Titolo originale: Nazi Wives: The Women at the Top of Hitler’s Germany Traduzione dall’inglese: Luca Fusari e Sara Prencipe

© James Wyllie, 2019

Per l’edizione italiana: © 2020, DeA Planeta Libri S.r.l. Redazione: Via Inverigo, 2 − 20151 Milano

In copertina: Adolph Hitler con Gertrud Forster, moglie di Albert Forster, alla Teehaus am Mooslahnerkopf, Berchtesgaden, 1943. © Galerie Bilderwelt/Getty Images www.deaplanetalibri.it

Prima edizione e-book: ottobre 2020 ISBN 978-88-511-8299-1 www.utetlibri.it www.deagostini.it

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Edizione elettronica realizzata da Gag srl James Wyllie

NAZISTE Le mogli al vertice del Terzo Reich

Traduzione di Luca Fusari e Sara Prencipe Indice

Introduzione

Prima parte. Ascesa al vertice 1. Prime reclute 2. Fuggitivi e prigionieri 3. Il gioco delle coppie 4. Arrivi e partenze 5. La svolta

Seconda parte. Alta società 6. First Lady del Reich 7. A sud 8. Il club delle mogli delle SS 9. Un salto nel buio

Terza parte. Un lento declino 10. Guerra e pace 11. Vittime 12. Sotto pressione 13. Senza via d’uscita

Quarta parte. Resistere 14. Prigionieri 15. Ricordare e dimenticare 16. Ultimi metri

Conclusione Ringraziamenti Note Bibliografia Indice analitico Introduzione

La sera del 10 luglio 1937 la giornalista ebrea tedesca Bella Fromm, titolare della rubrica di cronaca mondana su un quotidiano di Berlino, andò al cinema a vedere la commedia romantica La canzone di Broadway. Il film, liberamente tratto dall’originale del 1929, metteva insieme, tra le altre cose, la canzone di successo You Are My Lucky Star, un gruppetto di personaggi impegnati nel tentativo di lanciare uno spettacolo a Broadway, retroscena e intrighi farseschi, ambientazioni glamour – attici e terrazzi – e un finale con un corpo di ballo impegnato a ballare il tip-tap in cilindro e frac mentre due pianoforti a coda scivolano sulla pista. Dopo aver parcheggiato l’auto nei pressi del cinema, Bella si accorse di aver attirato l’attenzione di due ufficiali delle SS. Uno dei due prese nota della targa e l’altro le puntò addosso la macchina fotografica e le «scattò un’istantanea». Il motivo di quei controlli fu chiaro quando lì accanto si fermarono numerose auto con la svastica: da una di esse scesero e sua moglie Margarete, che poi entrarono nel cinema scortati da «arcigne guardie del corpo».1 Una volta entrati, i due presero posto – affiancati dai loro angeli della morte – pronti a sorbirsi centouno minuti di frizzi e lazzi. Questa scena surreale e grottesca lascia piuttosto spaesati, considerata la percezione che in genere abbiamo di Himmler: un pedante privo di senso dell’umorismo, un fanatico spietato e ossessionato da fantasie pazzoidi su una razza ariana dominante. Ma allora perché portò Margarete a vedere un allegro musical della Metro-Goldwyn-Mayer? A differenza di altri personaggi dell’élite nazista, incluso Hitler, Himmler non era un cinefilo impaziente di godersi le ultime uscite di Hollywood. Forse aveva voglia di un po’ di spensierata evasione per staccare dalla routine quotidiana. Oppure voleva vedere il film con occhio critico, per giudicarlo come un esempio di tipica depravazione e decadenza americana? È anche possibile che volesse soltanto far contenta la moglie. Fin dall’inizio, le tante ore che Himmler dedicava al lavoro e i suoi continui viaggi avevano minato il loro matrimonio. L’opportunità di trascorrere una serata insieme era molto rara. Vestiti bene. Chiama un corteo di auto ufficiali e la scorta in divisa. Falla sentire importante e portala a vedere un film leggero. Purtroppo, non sappiamo se a Margarete piacque La canzone di Broadway, o se apprezzò che il marito avesse trovato il tempo di accontentarla; forse la parte più emozionante della sua serata fu percorrere in auto le strade della capitale scortata dalle SS, facendo venire la pelle d’oca a chiunque li vedesse sfilare.

Tra le migliaia di testi sul nazismo, pochissimi si concentrano sulle mogli delle figure di spicco del regime hitleriano: Gerda Bormann, , Carin ed Emmy Göring, Ilse Hess, Lina Heydrich e Margarete Himmler. Gli uomini che portano questi cognomi hanno lasciato un’impronta indelebile nella nostra memoria collettiva, ma le donne che furono fondamentali per sostenerli, incoraggiarli e indirizzarli sono perlopiù rimaste relegate alle note a piè di pagina della Storia. Negli anni ottanta del secolo scorso il ruolo delle donne durante il nazismo è stato oggetto di studi approfonditi, che hanno esplorato un territorio fino a quel momento poco indagato e fornito un’immagine complessa e sfaccettata tale da mettere in discussione gli stereotipi perpetrati dalla propaganda nazista; ma proprio delle donne che furono al vertice di quel sistema, invece, nessuno ha parlato a dovere. Il motivo è in parte da imputare alle fonti, la maggioranza delle quali vanno trattate con cautela. Sebbene negli ultimi decenni siano emerse molte più informazioni, nei diari e nelle lettere che ci sono pervenuti esistono ancora vuoti temporali e lacune considerevoli, mentre le numerose autobiografie scritte nel dopoguerra dalle compagne dei nazisti si sforzavano di dipingere le autrici come spettatrici innocenti, e i loro mariti come modelli di virtù; le autobiografie e le memorie di altri protagonisti di quella stagione – scritte ciascuna con uno scopo ben preciso – hanno creato una camera d’eco di aneddoti, dicerie e pettegolezzi che complicano il tentativo di distinguere tra realtà e finzione. Tuttavia, si tratta di problemi comuni a qualsiasi indagine storiografica e non sufficienti a spiegare perché gli storici abbiano rinunciato a riconoscere a queste donne l’importanza che meritano. Oltretutto, con il loro atteggiamento gli studiosi hanno finito per avallare la versione delle mogli su certi aspetti delle biografie dei mariti, a cominciare da una netta separazione tra vita pubblica e vita privata. Tutto questo, invece, non regge a un esame minuzioso. I nazisti miravano a controllare ogni aspetto dell’esistenza dei loro cittadini –che cosa mangiavano, come si vestivano, con chi andavano a letto, che battute facevano, in che modo festeggiavano il Natale – così da rendere insignificante ogni separazione tra pubblico e privato. E a dispetto del loro indiscutibile privilegio, le mogli dei capi erano sottoposte alle stesse pressioni delle donne normali. La loro vita sociale era influenzata dalle considerazioni politiche, in nome delle quali dovevano rinunciare alle amicizie o interrompere bruscamente rapporti di tutti i tipi, anche quelli familiari. La loro condotta fu un fattore essenziale nelle lotte interne all’élite nazista, in particolare se coinvolgevano Hitler; non godere più del favore del Führer poteva avere gravi implicazioni per la carriera dei loro consorti. Anche ammettendo che non fossero al corrente delle decisioni prese ogni giorno dai mariti, erano circondate dalle prove delle loro azioni criminali: opere d’arte depredate affisse alle pareti; arredi fatti di pelle e ossa umane nascosti in soffitta; frutta e verdura colte negli orti dei campi di concentramento locali; manodopera schiavizzata che coltivava la loro terra. I rituali della vita familiare – nascite, matrimoni, funerali – erano indissolubilmente legati all’ideologia nazista. Forse giudicare queste donne con superficialità e considerarle personaggi minori è stato inevitabile; prenderle sul serio significa accettare che i loro mariti si cimentassero anche in attività normali e provassero riconoscibili emozioni umane. Innamorarsi, disamorarsi. Preoccuparsi delle spese, della dieta e di dove mandare i figli a scuola. Organizzare cene e picnic. Trascorrere le vacanze da turisti. Riconoscere che sotto molti aspetti non erano persone diverse da noi crea una forma di dissonanza cognitiva: un senso di profondo disagio. Eppure, la storia delle donne naziste ci dà modo di capire più a fondo la natura del nazismo e la psicologia dei suoi leader, e fornisce una prospettiva inedita sui principali eventi che ne determinarono l’ascesa e il declino. L’obiettivo di questo libro è descrivere le vite di queste donne dal momento in cui vennero coinvolte nel movimento nazista – in molti casi, ancora prima di conoscere i mariti – fino agli anni delle lotte, del potere, del declino e della distruzione, e infine nel crepuscolo del dopoguerra, fatto di negazionismo e illusione. Vissero nel lusso, da vere celebrità, ma d’altro canto dovettero sopportare matrimoni infelici, mariti infedeli, suicidi, assassinii, abbandoni del tetto coniugale, povertà e prigionia. Nonostante tutte queste tribolazioni e sofferenze, però, la loro dedizione alla causa di Hitler non vacillò mai.

Ognuna di loro aveva un fascino unico, così come ciascuna trovò modi diversi per affrontare la pressione, le attese e le richieste che le venivano dal ruolo; tuttavia, avevano in comune la classe sociale di appartenenza. Tutte erano figlie colte di conservatori medioborghesi – professionisti, uomini d’affari, militari, piccola nobiltà – nelle cui famiglie i ruoli di genere erano rigidamente definiti; al di là dei suoi successi, la miglior speranza per una donna era trovare un buon partito. I genitori, protestanti o cattolici che fossero, prendevano sul serio la religione e crescevano le ragazze secondo valori che ne plasmavano le inclinazioni, gli interessi e il punto di vista politico: la fede nella supremazia della cultura, della musica, dell’arte, della letteratura e della filosofia tedesche, nella genialità dei successi germanici in campo scientifico, nella forza di un esercito imbattibile; la devozione al Kaiser e allo Stato; l’odio profondo per il socialismo e la paura che le masse ribelli potessero distruggere le loro vite. Nella diversità, avevano comunque molto più in comune le une con le altre che con una qualsiasi proletaria. Crebbero in un’epoca che vide la rapida trasformazione della società tedesca da prevalentemente agricola a industriale, il passaggio irrequieto da un sistema imperiale alla democrazia, e un belligerante tentativo di rendere la Germania una potenza mondiale, con una grande marina militare e una sfilza di colonie. Un patriottismo martellante, questo, che non poteva dissipare l’atmosfera generale di crisi, la sensazione che il paese, circondato da nemici ostili, fosse in guerra con se stesso e reggesse a fatica le pressioni della modernità, tra cui l’acuirsi delle divisioni di classe. Particolarmente vulnerabili a queste pressioni e tensioni erano i borghesi, vittime sia di uno sproporzionato complesso di superiorità sia di una persistente ansia riguardo al futuro. All’inizio della prima guerra mondiale l’attesa della vittoria sembrò risolvere queste tensioni serrando le fila della nazione. Mentre la carneficina si trascinava, l’intera popolazione si mobilitò per sostenere lo sforzo bellico; al contempo, una pesante censura e una propaganda infaticabile facevano apparire sicura la vittoria finale, a qualsiasi costo. Le vite di queste giovani donne – a casa e a scuola – erano monopolizzate dal conflitto. Le statistiche del campo di battaglia e le storie dei soldati entravano nelle aule scolastiche. I sacerdoti pregavano per la vittoria al fronte. Ogni cosa, dai giocattoli alle carte da gioco, finì per avere un tema militare. Le madri, soprattutto le borghesi, partecipavano a intense campagne di beneficenza, organizzando collette di cibo o lavorando a maglia calze e sciarpe per confortare gli uomini nel freddo umido delle trincee. L’ultimo anno di guerra inferse a un sistema già vacillante una serie di duri colpi: la presa del potere dei bolscevichi in Russia minacciava di diffondere la rivoluzione in altri Stati e ispirare ammutinamenti nell’esercito; il fallimento della disperata offensiva sul fronte occidentale portò a una ritirata irreversibile; i principali alleati della Germania, l’impero austro-ungarico e quello ottomano, crollarono; fame, malnutrizione e malattia schiacciarono il morale dei civili; e poi ci furono scioperi e manifestazioni, le richieste di pace e l’abdicazione del Kaiser. Il caos e la violenza che inghiottirono la Germania in seguito alla sconfitta e alla resa proseguirono fino al 1919, portando il paese verso la guerra civile. La sinistra radicale fu a un passo dal prendere il controllo prima di essere spietatamente schiacciata dai Freikorps – unità paramilitari di destra composte di ex soldati e volontari esaltati – cui venne concessa una totale libertà d’azione dal tormentato governo della nuova Repubblica di Weimar, ritenuto responsabile delle condizioni umilianti imposte dal trattato di Versailles. Di conseguenza, queste donne divennero adulte in circostanze profondamente incerte e instabili. Le vecchie certezze erano crollate. Le convenzioni civili della generazione dei loro genitori apparivano sempre più insignificanti. Alla deriva, ciascuna di loro gravitava verso un sedicente salvatore che le avrebbe promesso il mondo. PRIMA PARTE Ascesa al vertice 1 Prime reclute

Nella primavera del 1920 Ilse Pröhl si trasferì in un rispettabile pensionato studentesco alla periferia di Monaco, decisa a beneficiare delle opportunità che si stavano prospettando nel campo dell’istruzione per le donne tedesche. Nel 1900, l’anno della sua nascita, le università avevano aperto per la prima volta alle studentesse, e otto anni dopo erano state inaugurate le prime versioni femminili del Gymnasium, scuole superiori private ed esclusive che preparavano i rampolli delle famiglie facoltose all’esame d’ingresso all’università, l’Abitur. Questi istituti erano riservati alle studentesse benestanti, ma per Ilse non era un problema: suo padre era uno stimato medico che aveva curato membri della corte prussiana a Berlino ed era diventato primario chirurgo militare nella famosa guarnigione di Potsdam. A quattordici anni Ilse entrò in una di queste prestigiose scuole. Studentessa brillante, vivace e apprezzata, era particolarmente appassionata di musica e letteratura. Le piacevano anche l’escursionismo e il campeggio, attività all’aperto molto popolari tra gli adolescenti borghesi desiderosi di sfuggire alla monotonia della vita in città. All’inizio questo ritorno alla natura era stato una prerogativa prettamente maschile, ma all’epoca in cui Ilse frequentava la scuola era ormai un’attività mista. Gli anni spensierati della sua adolescenza furono oscurati dalla prima guerra mondiale. Ilse era una decisa sostenitrice delle forze armate e una patriota convinta, ma nella primavera del 1917 la brutale realtà della catastrofe che si stava verificando nel nord della Francia la travolse, quando suo padre, assegnato a una posizione relativamente tranquilla del fronte, fu ucciso. Questa perdita dolorosa fu aggravata dallo shock della sconfitta e dagli sconvolgimenti che minacciavano di piegare la Germania. In seguito, durante il suo ultimo anno al Gymnasium, la madre di Ilse si risposò – con il direttore di un museo – e la famiglia si trasferì a Monaco prima che Ilse potesse concludere l’Abitur. Invece di restare a casa, Ilse mostrò il suo desiderio di indipendenza prendendo una stanza allo studentato. Una sera si imbatté in un altro studente, un giovane alto con indosso una divisa logora e cenciosa, che si presentò con fare brusco. Si chiamava Rudolf Hess. Ilse rimase subito colpita dal suo aspetto emaciato, con sopracciglia folte che sembravano destinate a incontrarsi nel mezzo, gli occhi incavati e l’espressione tormentata. Nonostante i suoi modi rudi, affascinò Ilse dal primo momento. Non sappiamo se il ventiseienne Hess ebbe la stessa reazione. Tra tutti i nazisti della prima ora, fu il più enigmatico. Decine di esperti, dagli psichiatri agli storici, si sono affannati invano per capirlo. Hess era un mistero persino per se stesso. In una lettera a un amico confessò di sentirsi diviso tra due opposti della sua personalità: uno desiderava un’esistenza ascetica, di contemplazione dei misteri dell’universo, l’altro era un barbaro sanguinario e assetato di battaglie. Eppure fu proprio la coesistenza tra il pensatore e l’uomo d’azione ad attrarre Ilse. La divisa logora che Hess indossava quella sera fatale – e che Ilse riconobbe all’istante – apparteneva al famigerato reggimento dei Freikorps di von Epp, di cui il giovane era entrato a far parte nel 1919 durante il feroce rovesciamento del governo di sinistra di Monaco. Era anche un veterano decorato con la croce di ferro al valore, per due volte ferito sul campo. Durante l’infernale battaglia di Verdun, in occasione della quale fu testimone di «ogni orrore di morte che si possa immaginare»,1 fu colpito da una scheggia di proiettile, e mentre era al comando di una carica della fanteria in Romania gli spararono al torace. A guarigione avvenuta, Hess appagò il suo vecchio desiderio di volare concludendo l’addestramento da pilota, ma la guerra finì prima che potesse mettersi alla prova in battaglia. All’inizio del conflitto Hess si era trovato di fronte a un importante bivio esistenziale. Desiderava andare all’università, ma il padre voleva che entrasse nell’azienda di famiglia, una ditta di import-export con sede nella città portuale di Alessandria d’Egit to, dove Hess era cresciuto in una splendida villa ai margini del deserto, un ambiente che aveva consolidato le sue tendenze ascetiche. Il padre era un ferreo sostenitore della disciplina, convinto che il giorno più importante dell’anno fosse il compleanno del Kaiser. Hess si sentiva più vicino alla madre, una donna dolce e intelligente che incoraggiò, quando era bambino, il suo precoce interesse per l’astrologia. Nel 1908, a quattordici anni, Hess tornò in Germania insieme ai suoi; poiché fino ad allora vi aveva trascorso soltanto le estati, il ragazzo fu emozionatissimo quando vide la prima neve. Spedito subito in collegio, rimase sempre un outsider. Studente scrupoloso, superò l’Abitur e si iscrisse, senza entusiasmo, a un corso di economia; i risultati deludenti provocarono uno scontro con il padre che si risolse soltanto quando Hess si arruolò nell’esercito. Quando la guerra finì – e la ditta di suo padre fu requisita dagli inglesi – Hess poté iscriversi all’università per studiare storia ed economia. Simpatizzava per la Società Thule (un gruppo semisegreto interessato alla mitologia ariana e alle civiltà nordiche preistoriche) e subì l’influenza intellettuale di Karl Haushofer, professore cinquantenne di geopolitica che era riuscito a conciliare la carriera militare e gli studi accademici. Dopo aver visitato il Giappone, Haushofer aveva concluso che le possibilità di successo di una nazione dipendessero dalla quantità di spazio vitale di cui poteva disporre, sviluppando così il concetto di Lebensraum (“spazio vitale”, appunto). Haushofer non considerava Hess particolarmente intelligente, ma ne ammirava la forza di carattere. Il professore e la sua famiglia trattavano il giovane Hess come un figlio adottivo. Questa profonda amicizia, che incluse anche Ilse, durò per decenni, con esiti diversi per ciascuno dei tre. Nonostante la scarsa voglia di divertirsi di Hess, Ilse decise di conquistarlo e i due cominciarono a frequentarsi. Era una relazione platonica. Hess, ancora vergine, non mostrava il minimo interesse per il sesso: negli anni successivi al loro rapporto mancò sempre la dimensione fisica. Al contrario, coltivarono una connessione spirituale basata sull’amore condiviso per la cultura tedesca, soprattutto per gli scrittori e i compositori del tardo XVIII secolo e dell’inizio del XIX. Il loro preferito era il poeta e filosofo Friedrich Hölderlin, le cui prime opere celebravano la natura, le ultime Dio. Ilse regalò a Hess una copia del romanzo metafisico Hyperion di Hölderlin, e vi scrisse una dedica poetica; il loro amore era «potente eppure tenero nello spirito», e i loro cuori «scatenavano onde più grandi persino di quelle che crea il tridente del Dio del Mare, loro signore».2 Fu tuttavia la reazione all’avvento di Hitler a forgiare un legame indistruttibile tra i due, che condividevano la gioia di aver trovato l’uomo destinato a trascinare la Germania fuori dall’abisso e a indirizzarla verso la gloria. Poco tempo dopo il loro primo incontro Hess presenziò a un piccolo comizio di Hitler. Incapace di trattenere l’entusiasmo, Hess corse allo studentato e irruppe nella stanza di Ilse, cantando lodi sperticate di quell’uomo meraviglioso e del suo messaggio elettrizzante. Alcune settimane dopo Ilse lo accompagnò a un altro raduno nazista e ne rimase colpita tanto quanto lui. Il suo entusiasmo per l’ideologia tossica di Hitler è evidente in una lettera che scrisse a una compagna di scuola, nella quale non si sforza nemmeno di smussare il suo punto di vista: «siamo antisemiti. Costantemente, rigorosamente, senza eccezioni. I due pilastri fondamentali del nostro movimento, nazionale e sociale, sono radicati nel significato di questo antisemitismo».3 Nell’autunno del 1920 Ilse aveva concluso il suo Abitur, iniziato un corso universitario part-time in letteratura tedesca e in biblioteconomia, e aveva cominciato a lavorare in una libreria antiquaria. Al di là delle occasionali gite fuori Monaco per girovagare nelle campagne, trascorreva la maggior parte del suo tempo libero a lavorare per il movimento nazista; distribuiva volantini, affiggeva manifesti, dava una mano al giornale del partito e fungeva da segretaria di Hess mentre questi affiancava Hitler e si esponeva in prima linea durante le frequenti risse tra i sostenitori del nazismo e gli oppositori di sinistra. A mo’ di ricompensa per il loro impegno, Ilse e Hess ebbero il privilegio di frequentare Hitler durante il suo tempo libero, nei momenti in cui si rilassava tra i compagni più fidati. Secondo Ilse – e molti altri con lei – Hitler amava concedersi una bella risata; non essendo tipo da barzellette, faceva le imitazioni e adorava ascoltare storie buffe e divertenti, purché non lo riguardassero.

Gerda Buch era una ragazzina timida, sensibile e dotata di senso artistico quando conobbe Hitler, che la prese subito sotto la sua ala protettrice. “Zio Adolf” aveva un debole per i giovani, soprattutto le giovani, e incarnava con entusiasmo il ruolo del “tutore”, curando in prima persona il loro benessere culturale, politico e morale. All’epoca era concentrato soprattutto su Henriette, la figlioletta di nove anni di Heinrich Hoffmann, uno dei suoi più stretti collaboratori, che sarebbe diventato il suo fotografo personale. Ogni pomeriggio, mentre Henriette si esercitava al piano, Hitler la interrogava sulla mitologia e sul folclore della Germania. Anche se con Gerda trascorse meno tempo, ogni volta che andava a trovare i suoi genitori Hitler la ricopriva di attenzioni. Il futuro Führer fu una presenza regolare nella vita della ragazzina perché suo padre, Walter Buch, era un militare di carriera dal 1902, quando a diciannove anni si era arruolato nell’esercito. Gerda nacque nel 1909, un anno dopo il matrimonio dei genitori. Nel 1914 Walter Buch fu promosso a primo tenente, uno dei pochi ufficiali che non proveniva da un ambiente aristocratico. Combattendo sul fronte occidentale si guadagnò una promozione dopo l’altra finché non arrivò a comandare un intero battaglione. Nel 1918, disgustato dalle condizioni imposte dagli Alleati con il trattato di Versailles, che riducevano il suo adorato esercito ad appena centomila uomini, si dimise da ufficiale e si unì agli altri ex soldati insoddisfatti che giravano senza meta per Monaco a leccarsi le ferite dopo lo scioglimento dei Freikorps e il fallimento del Putsch di Kapp, un colpo di stato militare tentato nella primavera del 1920 e annientato dal più grande sciopero generale nella storia della Germania. Ben presto, dopo che gli fecero conoscere Hitler, Buch ne fu rapito, tanto da dichiarare che «era stato mandato al popolo tedesco dalla grazia di Dio».4 Per Hitler reclutare uno come Buch era l’ideale: un rappresentante degli ufficiali militari con una reputazione immacolata. Il posto naturale di Buch nel movimento erano le Sturmabteilungen (SA), le “squadre d’assalto” meglio note come “camicie brune”. Hitler aveva bisogno di figure esperte come Buch per trasformare quella banda di picchiatori indisciplinati in un efficace reparto paramilitare. Durante l’estate del 1923 Buch prese in consegna i 275 membri delle SA di stanza a Norimberga – a circa centosessanta chilometri da Monaco – e cominciò a prepararli per l’azione. Ancora una volta, Buch era lontano da casa. Riflettendo sulla propria infanzia, Gerda si lamentò che il padre «non era che un ospite. Non restava mai a lungo con noi».5 In sostanza, il contributo più importante che Buch diede alla vita della figlia fu presentarle Hitler.

Prima che Buch andasse a dirigere il reparto di Norimberga, un nuovo capo si era installato al vertice assoluto delle camicie brune: l’ex asso dell’aviazione Hermann Göring, le cui imprese aeree gli erano valse una fama considerevole; aveva ricevuto la prestigiosa medaglia al merito Blauer Max dopo venti uccisioni accertate e assunto il comando dello squadrone d’élite Richthofen dopo la morte del Barone Rosso. I piloti da combattimento erano vere e proprie celebrità: la loro immagine di cavalieri volanti impegnati in duelli epici solleticava l’immaginazione del pubblico, e lo distraeva dalla realtà macabra e tutt’altro che affascinante della guerra di trincea. Göring era uno dei migliori e dei più noti; da qualche anno si trovava a Stoccolma, ma la sua reputazione continuava a precederlo. Hitler era perfettamente consapevole di che risorsa potesse essere un uomo del calibro di Göring. Uno come lui poteva aprirgli le porte dell’élite militare e dell’aristocrazia, gruppi di potere ancora influenti e in grado di appoggiarlo nella realizzazione del suo progetto originario: usare Monaco come punto d’inizio di una rivoluzione nazionale. Quando li presentarono, verso la fine del 1922 – Göring aveva da poco assistito a un suo comizio – il futuro Führer invitò il pilota a entrare nel movimento. Nel corso degli anni Göring rilasciò varie dichiarazioni in cui parlava della sua decisione di unirsi a Hitler. Che si trattasse di un sentito atto di sottomissione all’Eletto o di una scommessa calcolata sulla sua capacità di mobilitare le masse, una cosa è certa: in un partito giovane come quello nazista, Göring sapeva di potersi inserire da subito tra i pezzi grossi. Eppure fu la donna che aveva da poco sposato a siglare l’accordo. Svedese, antisemita convinta, Carin idolatrava Hitler e lo considerava una specie di supereroe uscito dalla mitologia nordica: fu lei a fare tutto quanto in suo potere per cementare la relazione tra i due uomini. La storia di come si conobbero Carin e il suo futuro marito è degna di un romanzo d’amore. Era una notte buia e tempestosa. Imperversava una bufera di neve. Tuttavia, il conte Eric von Rosen, facoltoso esploratore svedese, era deciso a trovare qualcuno che lo portasse in volo da Stoccolma al suo castello in stile medievale a un centinaio di chilometri dalla capitale, dove lo aspettavano sua moglie e la sorella di lei, la trentunenne contessa Carin von Fock. L’unico pilota capace di affrontare un viaggio così pericoloso era Göring. Il volo, da brividi, mise a dura prova le sue capacità e i suoi nervi; nonostante la visibilità quasi pari a zero, Göring riuscì ad atterrare sul lago ghiacciato accanto al castello. Poi entrò nella sontuosa residenza – arredata con arazzi a tema ariano, sculture nordiche, armi antiche e due enormi svastiche in ferro battuto – e sedette davanti al camino scoppiettante, con in mano un bicchiere di brandy, sentendosi subito a casa. Göring aveva trascorso buona parte dell’infanzia in due castelli (uno in Baviera, l’altro in Austria), di proprietà del suo padrino e angelo custode, Hermann Ritter von Eppenstein, stimato medico. Nel 1893, in occasione di un viaggio in Africa, von Eppenstein aveva conosciuto il padre di Göring, un governatore delle colonie, la cui bellissima e giovane moglie, incinta, era in preda a deliri da febbre alta. La donna stava per partorire e la situazione era sempre più critica, ma l’intervento di von Eppenstein fu decisivo. Quando Göring senior andò in pensione, con un assegno mensile a dir poco modesto, von Eppenstein si offrì di provvedere alla famiglia. A spingerlo non era esattamente l’altruismo: aveva una relazione con la moglie del vecchio Göring. Tra le mura del castello la donna si divideva tra l’anziano marito e il suo benefattore. Von Eppenstein era orgogliosissimo della sua posizione – aveva origini ebraiche, ma per fare carriera in medicina si era convertito al cristianesimo, e a un certo punto era entrato nell’orbita di influenti membri dell’élite prussiana – e si pavoneggiava appena ne aveva l’occasione; amava gli spettacoli e adorava recitare la parte del signore del castello nel corso di banchetti sfarzosissimi accompagnati da menestrelli in abiti medievali. Carin crebbe in un ambiente altrettanto barocco. Suo padre era un colonnello aristocratico; la madre, anglo-irlandese, era l’erede di una dinastia di birrai. Carin aveva quattro sorelle e insieme alle altre donne della famiglia aveva formato una società panteistica cristiana, il Club Edelweiss – la stella alpina era il loro emblema –, con una loro personale cappella, una piccola costruzione di pietra riccamente arredata in cui pregavano, intonavano canti popolari e organizzavano piccole sedute spiritiche. Durante la prima guerra mondiale si ritrovavano ogni giorno a pregare per la vittoria della Germania. L’educazione raffinata ed eccentrica di Carin e di Göring diede loro una percezione di sé grandiosa e distorta, come primi attori in una rappresentazione intrisa di pathos. La vita, però, li aveva riempiti di profonda frustrazione. Alla fine della guerra il trattato di Versailles aveva sciolto l’aviazione tedesca, con grande rabbia e amarezza di Göring che, drogato di azione – sin da giovane era ossessionato da tutto ciò che era militare, dalla caccia e dall’alpinismo – in Svezia ebbe un successo immediato e strepitoso come star degli spettacoli aerei, dove si esibiva in temerari numeri acrobatici di fronte al pubblico estasiato. Ben presto, però, l’interesse per la novità si spense, e con esso la fama di Göring. Depresso, si mise a lavorare come pilota di aerei privati. Il fatto che accettò la rischiosissima proposta di von Rosen la dice lunga su quanto fosse disperatamente alla ricerca di avventura. Carin era intrappolata in un matrimonio senza amore con Nils von Kantzow, ufficiale dell’esercito, che aveva sposato appena ventunenne. Tre anni dopo le nozze era rimasta incinta e aveva affrontato un parto traumatico; voleva bene al figlio Thomas, ma come madre era impreparata e desiderava intensamente sfuggire all’atmosfera soffocante della buona società. Dopo aver lasciato il figlio di sette anni e il marito a Stoccolma, aveva trovato rifugio al castello del conte. Non appena lo vide nel grandioso atrio, tra lei e Göring scoppiò un vero colpo di fulmine. Irresistibilmente attratti l’una dall’altro, cominciarono una relazione semiclandestina che si intensificò rapidamente. Carin disse alla sorella che lei e Göring erano come Tristano e Isotta: «Abbiamo ingerito la pozione d’amore e non possiamo resisterci»; le sue lettere all’amante erano intrise di dichiarazioni melodrammatiche come «tu per me sei tutto. Non c’è nessun altro come te», e di desiderio ardente: «bacio tutto ciò che hai sfiorato».6 Il marito, inevitabilmente, li scoprì. Il divorzio era l’unica possibilità. In cambio del sostegno economico di von Kantzow, Carin perse la custodia del figlio. Quando Göring si stabilì a Monaco, Carin lo raggiunse. Dopo una sbrigativa cerimonia civile in Svezia, i due celebrarono di nuovo le nozze al cospetto di amici e parenti e andarono a vivere in una villa a due piani alla periferia della città, che divenne ben presto un luogo di ritrovo per Hitler e i suoi compari. La sorella di Carin, Mary – che sarebbe diventata una presenza fissa nelle loro vite – ricordava affettuosamente che Hitler sembrava del tutto a suo agio in compagnia di Carin, e lei rifulgeva in sua presenza. Sul finire della primavera del 1923 Göring aveva assunto il comando delle camicie brune e si accingeva a preparare i suoi uomini a dosi massicce di marce forzate ed esercizi da accademia militare. In una lettera alla sua famiglia Carin scrisse che Göring aveva trasformato «una marmaglia […] in un vero e proprio esercito di luce»: grazie a lui, decine di uomini delle SA erano diventati «un gruppo di crociati entusiasti pronti a marciare agli ordini del Führer».7 2 Fuggitivi e prigionieri

Primo pomeriggio, 8 novembre 1923: Carin è bloccata a letto da una grave polmonite che l’ha messa in pericolo di vita. Il suo spirito appassionato è contenuto in un corpo fragile ed esile, particolarmente vulnerabile alle infezioni respiratorie. All’improvviso compare suo marito con una notizia sorprendente. La rivoluzione nazionale di cui si era tanto parlato avrebbe avuto inizio quella sera in una birreria, dove tre dei più potenti uomini della Baviera – il governatore dello stato, il capo della polizia e un alto ufficiale dell’esercito – avrebbero tenuto un grande raduno politico. Il piano era all’apparenza semplice e ambiziosissimo: assumere il controllo dell’evento, convincere il triumvirato a consegnare le chiavi della città e poi, con le masse al seguito, marciare su Berlino. L’iperinflazione aveva disgregato il tessuto della società tedesca; l’occupazione della Ruhr da parte delle truppe francesi – provocata dalle controversie sulle riparazioni di guerra imposte dal trattato di Versailles – aveva infuso nuova energia nei soldati della destra nazionalista; in Sassonia e in Turingia c’erano gravi rivolte guidate dalla sinistra. I tempi sembravano maturi. Tuttavia, c’era anche la crescente sensazione che il peggio fosse passato. Per non rischiare di perdere l’occasione buona, Hitler e i suoi congiurati decisero di agire. Alle venti e trenta Hitler, accompagnato da Hess, irruppe nella birreria seguito poco dopo da Göring con una squadra di uomini delle SA. I dignitari furono trascinati giù dal palco e la folla neutralizzata. In una stanza al piano di sopra venne elaborato un accordo: i tre funzionari promisero di appoggiare il colpo di stato. Intorno alle ventitré aleggiava una strana quiete. Hess ricevette l’ordine di scortare il gruppetto di ostaggi che sorvegliava – tra i quali un giudice, un capo di polizia e un ministro del governo bavarese – in una casa isolata, un covo approntato appositamente a una cinquantina di chilometri da Monaco. Lì doveva aspettare ulteriori istruzioni. Göring, fiducioso che tutto andasse come avevano previsto, chiese di far sapere a Carin che la situazione era sotto controllo. Non lo era. Quando Hitler lasciò la birreria per andare a seguire gli eventi da un’altra parte, il triumvirato cercò di fuggire. I tre mobilitarono immediatamente l’esercito e la polizia, che si precipitarono a mettere in sicurezza i punti strategici della città. Al mattino il colpo di stato era chiaramente fallito. Decisi a compiere un gesto simbolico di sfida, Hitler, Göring e gli altri radunarono le loro truppe – circa duemila uomini – e a stendardi spiegati si diressero al municipio, sorvegliato dalla polizia in armi. Dopo un breve stallo, qualcuno cominciò a sparare. Nello scontro Hitler si lussò la spalla e quattordici nazisti e quattro poliziotti rimasero uccisi; Göring fu colpito da un proiettile alla coscia, appena sotto l’inguine. Lo trascinarono via sanguinante in mezzo al caos e lo portarono a casa di un’anziana ebrea che viveva lì vicino. Da lì fu trasferito in una clinica privata. Carin – che a notte fonda aveva ricevuto il messaggio ottimista di Göring – dovette farsi carico della situazione. Si trascinò fuori dal letto e corse dal marito, che aveva chiaramente bisogno di cure adeguate e rapide. Tuttavia, se fosse rimasto a Monaco, l’arresto sarebbe stato inevitabile. Carin lo caricò allora in auto e lo portò a casa di un conoscente, una villa nei pressi del confine con l’Austria. Il mattino seguente, il 10, cercarono di varcare la frontiera, ma gli agenti doganali riconobbero il fuggitivo e lo portarono alla stazione di polizia più vicina. Forse troppo sicuri che a causa delle sue gravi condizioni Göring non potesse scappare, i poliziotti lo lasciarono solo e senza sorveglianza, e lui riuscì a fuggire da una finestra e a raggiungere un’auto che lo stava aspettando. Alla frontiera il conducente utilizzò un passaporto falso e lo nascose sotto alcune coperte sul sedile posteriore. I due riuscirono a varcare il confine. Per il momento Göring era al sicuro.

Nella confusione Ilse non aveva ancora idea di cosa fosse successo al suo fidanzato. Hess era rimasto diligentemente al suo posto, nascosto nella villa di campagna con i prigionieri prelevati dalla birreria, mentre la tensione aumentava ora dopo ora. Finché a metà pomeriggio ricevette la notizia della disonorevole sconfitta dei suoi compagni. Con il timore che da un momento all’altro potesse arrivare la polizia, Hess caricò su un’auto alcuni ostaggi confusi e terrorizzati e partì vagando assurdamente nelle foreste circostanti nel tentativo di schiarirsi le idee. Alla fine, abbandonò i prigionieri e si allontanò a piedi, sperando di trovare un telefono per avvertire Ilse. Quando finalmente riuscì a parlarle, lei prese una bicicletta e gli andò incontro. A turno pedalarono e camminarono fino a Monaco, a casa del professor Haushofer. Dopo un breve scambio di idee, Hess decise di fuggire; il giorno dopo era in Austria. Intanto il padre di Gerda si trovava a Norimberga, indeciso su come reagire a quegli eventi inaspettati. La sera precedente Buch aveva saputo del tentato colpo di stato, ma aveva deciso di non agire. Durante la mattinata giunsero le prime notizie della sconfitta. Infuriato alla notizia che Hitler era stato gravemente ferito, Buch disse alle SA che «il suo sangue» sarebbe stato «vendicato con il sangue degli ebrei»,1 ma poi ci ripensò. Si ritrovò invece di fronte a un ultimatum: le autorità avevano ordinato lo scioglimento di tutte le unità delle SA. Evitato l’arresto, Buch attese altri due giorni prima di adeguarsi agli ordini. Tuttavia, era deciso a impedire la disintegrazione delle SA, e il 13 novembre andò a Monaco per cercare di sistemare la situazione. Intanto l’ex capo delle SA era a Innsbruck. Dopo un paio di notti all’hotel Tyrol, Göring, delirante, fu ricoverato d’urgenza in ospedale. I medici dovettero operarlo di nuovo e riaprire la ferita alla coscia. Göring soffriva molto, come scrisse Carin in una lettera alla madre datata 8 dicembre 1923: «ha così male che deve mordere il cuscino, e non fa che gemiti sconclusionati […] gli danno la morfina ogni giorno, ma non gli serve a niente».2 Mentre Göring soffriva, Hess continuava a nascondersi presso vari contatti e andava avanti e indietro da Monaco per vedere Ilse – che si era ammalata – e confrontarsi con Haushofer sull’eventualità di consegnarsi. Dal momento che il processo a Hitler e ai suoi sodali stava andando meglio del previsto (il giudice simpatizzava con il futuro Führer e gli consentì di sfruttare il banco dei testimoni come un palcoscenico, garantendogli l’attenzione della stampa nazionale e internazionale), Hess era sempre più tentato di autodenunciarsi. Il verdetto del 1º aprile 1924 risolse il problema. Benché colpevole di tradimento – reato che di norma comportava la condanna a morte – Hitler fu punito con appena cinque anni di carcere; vari cavilli ridussero ulteriormente la pena a diciotto mesi, e dopo sei fu scarcerato sulla parola. Incoraggiato da questa dimostrazione di clemenza, il 12 maggio Hess si decise a consegnarsi; sanzionato con la stessa pena di Hitler, lo raggiunse nella prigione di Landsberg, a una sessantina di chilometri a ovest di Monaco. Hitler e Hess erano confinati in un’area speciale del carcere, detta “la fortezza”, riservata ai prigionieri politici e ai condannati per duello. L’atmosfera era estremamente rilassata: non c’erano divise, né tagli di capelli obbligatori. I detenuti erano autorizzati a decorare le celle, luminose e arieggiate, con fiori e fotografie. Potevano comprare tabacco e alcol e ogni giorno avevano diritto a un litro di birra. Liberi da qualsiasi costrizione, vivevano in assoluta tranquillità. Avevano accesso al giardino della prigione; il pranzo era a mezzogiorno, alle quattro e mezza arrivavano tè e caffè, la cena era in tavola alle diciotto. Prima del coprifuoco, alle dieci di sera venivano offerte bevande calde e pasticcini. L’intera ala della prigione assomigliava a ciò che sarebbe stata, di lì a qualche anno, una colonia estiva nazista. A Hess, come agli altri detenuti della sezione, erano concesse sei ore settimanali di visite, e Ilse andava a trovarlo ogni sabato. Accolta sulle scale da Hess e Hitler, che le facevano sempre il baciamano, Ilse pranzava poi insieme a loro. Una volta portò la madre, che fino a quel momento era stata «assolutamente disinteressata alla politica», a trovare Hitler. Affascinata dai suoi modi cortesi, la donna si iscrisse al partito «non appena tornò a Monaco».3 Hitler decise di sfruttare il tempo libero per scrivere un libro. Dopo aver provato con diversi titoli, alla fine optò per Mein Kampf, “La mia battaglia”. Ottenuta una macchina da scrivere, approntò un dattiloscritto battendo maldestramente sui tasti e lo sottopose a Hess, che fu il suo primo lettore e critico. Il flusso costante delle lettere scritte da Hess a Ilse racconta nel dettaglio lo sviluppo del suo legame emotivo con Hitler a mano a mano che rimuginavano insieme sul manoscritto. Dopo aver letto a Hess le sue memorie sulla prima guerra mondiale, Hitler era scoppiato in lacrime: «a un tratto ha lasciato cadere il foglio, si è coperto la faccia con le mani e ha preso a singhiozzare».4 Hitler inoltre gli confidò come si sentiva riguardo alle donne e al matrimonio; nonostante fosse allettato dalla prospettiva, pensava che avrebbe potuto compiere il suo destino soltanto se fosse rimasto da solo, senza l’intralcio di una donna e dei figli. Queste rivelazioni convinsero Hess di aver intravisto uno scorcio privato dell’anima di Hitler, che volle condividere con Ilse. Lei rispose inviando a Hitler una raccolta di poesie di Hölderlin, nella speranza di ispirarlo. Sfortunatamente, però, il futuro Führer non leggeva molta poesia e trovava ostici i versi di Hölderlin; era molto più interessato ad ascoltare il mentore di Hess, il professor Haushofer, che nel corso di diverse visite a Landsberg gli illustrò la filosofia del Lebensraum: considerato l’elevato numero dei suoi abitanti, la Germania poteva sopravvivere e prosperare soltanto se si fosse espansa oltre i suoi confini, verso est. Il professor Haushofer in seguito affermò che Hitler non era abbastanza colto per cogliere la complessità delle sue teorie, e ne aveva equivocato volutamente il significato: «Non le capì mai e non era in grado di mettersi nella prospettiva corretta per comprenderle».5 Alla conquista territoriale Haushofer pensava fosse preferibile la migrazione di massa della popolazione tedesca e non appoggiò mai la violenza genocida implicita nell’imperialismo razziale di Hitler. Tuttavia, è possibile che a Landsberg il professore possa aver piantato un seme nella mente di Hitler, fertile in modo inquietante e distorto. Nel corso degli anni successivi, di fatto, il suo odio per gli ebrei e per i bolscevichi trovò espressione nella grottesca visione di un impero sempre più esteso a est. Il 20 dicembre 1924 – dopo otto mesi e mezzo – Hitler uscì di prigione e fu accolto da una malconcia auto a noleggio piena di sostenitori. Non sappiamo se tra loro ci fosse anche Ilse, che di certo una settimana dopo presenziò alla scarcerazione di Hess. Quella sera i due andarono a cena con Hitler nel suo ristorante preferito e mangiarono ravioli, la specialità della casa. Finalmente riuniti, cominciarono a progettare il modo di rimettere in piedi il movimento. Hitler era stato interdetto da qualsiasi attività politica e il partito dichiarato illegale. Per prima cosa occorreva sollevare il morale dei seguaci più devoti; Hitler perciò riprese subito i contatti con la famiglia Buch. In seguito, Gerda lo avrebbe ricordato seduto «accanto alla nostra stufa a piastrelle», intento a confermare la sua dedizione alla battaglia: «Se pensassi di avere di fronte un futuro cupo, non continuerei a combattere».6 Nel frattempo, Ilse e il critico musicale del giornale del partito erano a lavoro per revisionare la prima bozza di Mein Kampf, che trasformarono in un testo vero e proprio. Il 18 luglio 1925 il primo volume era finalmente pronto per la pubblicazione. Alla fine del 1929 aveva venduto ventitremila copie; nel 1932, quasi un quarto di milione di esemplari; nel 1945, dodici milioni.

Una delle trecentocinquanta persone che andò a trovare Hitler in prigione fu Carin Göring. Si presentò il 15 aprile 1924 con l’idea di ottenere l’appoggio del futuro Führer per un progetto che aveva in mente: lei e il marito sarebbero andati in Italia per stabilire un contatto con Mussolini. Hitler rimase vago, tuttavia Carin lasciò Landsberg nuovamente ispirata dal suo idolo: «è un genio, pieno di amore e di autenticità e di una fede ardente».7 Era stato un inverno duro. Sempre più assuefatto alla morfina, Göring era stato dimesso dall’ospedale intorno a Natale, ma le sue condizioni rimanevano gravi. Nonostante il prezzo di favore applicato dall’albergo in cui la coppia soggiornava, i soldi erano un problema. Le autorità austriache stavano cercando di espellere l’ospite indesiderato, e l’Italia sembrava un’opzione allettante. La coppia ci arrivò a maggio del 1924 e si stabilì a Roma dopo un breve soggiorno a Venezia e a Firenze. All’epoca Mussolini era impegnato a consolidare il potere; ai suoi occhi Göring e Hitler erano personaggi irrilevanti. Anche se a Carin piaceva fingere che fosse andata diversamente, Göring non riuscì mai ad avvicinare il Duce, perché un funzionario fascista locale lo bloccò e respinse la sua richiesta di parlargli. Göring continuò a bussare alla porta di Mussolini, ma invano. La coppia viveva alla giornata in sistemazioni di fortuna e la situazione era sempre più critica: ingrassato e ormai dipendente dalla morfina, Göring arrivò a contemplare il suicidio. Carin, anch’essa in condizioni di salute precarie, si rese conto che dovevano lasciare l’Italia prima che fosse troppo tardi. La meta più sicura era ovviamente la Svezia. Anche se prendersi cura di Göring era il suo primo pensiero, Carin temeva che Hitler potesse dimenticarsi di lui. Prima di andare a Stoccolma passò dalla Germania per parlare con Hitler e rassicurarlo, dichiarando di aver avviato insieme al marito un importante dialogo con Mussolini. Si guardò bene dal rivelare la gravità della psicosi che l’abuso di morfina aveva scatenato in Göring, vittima di sbalzi d’umore violenti e imprevedibili e di crisi nervose. Tornata in Svezia, Carin si ammalò di tubercolosi e fu costretta a vendere alcuni beni per sopperire ai bisogni del marito. Disperata – ma sostenuta dalla sua famiglia – Carin riuscì a farlo ricoverare in una casa di cura. Lui, che non era disposto ad accettare una diminuzione delle dosi di antidolorifici né fisicamente in grado di reggerla, fu colto da un raptus, ruppe gli armadietti dei medicinali e aggredì il personale. I medici allora furono costretti a trasferirlo in camicia di forza all’Istituto psichiatrico di Långbro. Rinchiuso in una cella e costretto di punto in bianco a disintossicarsi, Göring aveva allucinazioni spaventose e fissazioni paranoiche. Farneticava e inveiva contro gli ebrei e il loro diabolico complotto per ucciderlo; le sue cartelle cliniche lo dicono convinto che «un medico ebreo volesse strappargli il cuore», e che Abramo – uscito dall’Antico Testamento – «gli conficcava un chiodo rovente nella schiena».8 Carin, tuttavia, era certa che si sarebbe rimesso e gli rimase accanto. Dopo dieci settimane – e una breve ricaduta che richiese un altro ricovero – Göring si riprese abbastanza da poter tornare in società. Pieno di vergogna e riluttante ad ammettere quanto fosse caduto in basso, non parlò quasi mai di quel periodo della sua vita. Anni dopo confessò al figlio di Carin che a salvarlo dall’oblio era stata lei. 3 Il gioco delle coppie

Nell’autunno del 1927 il governo tedesco annunciò un’amnistia generale che permise a Göring di tornare in Germania senza essere arrestato; al rientro trovò il partito in piena ricostruzione e consolidamento, deciso a prendere il potere percorrendo una nuova strada, quella delle urne elettorali. Dopo la scarcerazione Hitler aveva dedicato gran parte del suo tempo a ricomporre i pezzi del movimento nazista dispersi in tutto il paese e a riaffermare il proprio ruolo di leader. Hess – diventato segretario personale di Hitler – gli stava incollato ovunque andasse, lasciando Ilse spesso sola. Lei non aveva mai smesso di nutrire devozione per la causa nazista, ma era esasperata dalla lentezza con cui progrediva la relazione con il fidanzato. Dopo sette anni senza sesso, Hess sembrava continuare a non voler affrontare la questione e benché minimizzasse – «eravamo troppo impegnati per pensare al matrimonio; lui era sempre via e io lavoravo» –,1 Ilse stava valutando di andare all’estero per un po’. Aveva completato gli studi universitari e il lavoro part-time alla libreria antiquaria non era sufficiente per legarla a Monaco. Il suo legame più forte era Hess. Ilse raccontò spesso che fu Hitler a sistemare il problema durante un pranzo al Café Osteria, uno dei suoi locali preferiti. Mentre Ilse parlava del proprio futuro, Hitler le prese la mano, la mise in quella di Hess e le chiese: «hai mai pensato di sposare quest’uomo?».2 La sua risposta fu ovviamente sì; incapace di contraddire i desideri di Hitler, Hess smise di procrastinare. Dopotutto – come spiegò in una lettera ai genitori – Ilse era una «buona compagna», «un’amica leale», erano «affezionati l’uno all’altra» e condividevano le stesse idee sulla vita. Paragonata ad altre donne che aveva conosciuto, Ilse era «un angelo».3 Dal momento che avevano abbandonato le convenzioni religiose, Ilse e Hess decisero di non celebrare le nozze in chiesa. Il 20 dicembre 1927 si sposarono con una semplice cerimonia civile; i testimoni furono Hitler e il professor Haushofer. I due sposini avevano pochissimi soldi, ma Ilse riuscì a ottenere un prestito tramite Winifred Wagner, direttrice del Festival di Bayreuth, organizzato ogni anno per celebrare l’opera di Wagner. Winifred aveva conosciuto Ilse poco prima della guerra e si ritrovarono quando divenne amica di Hitler. Grande estimatore di Wagner, Hitler fu felicissimo di conoscere Winifred, mentre lei gli si rivolgeva con un mal dissimulato timore reverenziale. Il marito di lei, Siegfried Wagner, era un bohémien bisessuale con il doppio dei suoi anni che si era piegato alle richieste della madre – vedova di Richard – di rigare dritto e mettere al mondo degli eredi. Diligentemente Winifred gli aveva dato quattro figli in rapida successione, creando quella che diventò per Hitler una specie di famiglia acquisita. In seguito, la figlia maggiore dei Wagner ricordò che spesso il Führer passava da casa loro la sera tardi e raccontava ai bambini «storie orribili delle sue avventure».4 Winifred era affezionata a Ilse e felice di dare una mano alla coppia; Hess ricambiava tenendola informata dei movimenti di Hitler. Con il denaro Hess e Ilse comprarono un piccolo appartamento a Monaco. La convivenza, però, non risolse i problemi legati alla loro vita sessuale: Ilse lamentò con un’amica di sentirsi «un’educanda».5 Hess inoltre insisteva perché Ilse obbedisse alle nuove regole riguardo alla partecipazione femminile alle attività del Partito nazista: poteva conservarne la tessera – in quel periodo l’8 per cento degli iscritti erano donne – ma nient’altro. Le donne non potevano ricoprire incarichi ufficiali, contrariamente ad altri partiti più tradizionalisti e della destra conservatrice che avevano apposite sezioni femminili e presentavano candidate alle elezioni. Ilse avrebbe potuto entrare in uno dei gruppi femminili filonazisti come il Deutscher Frauenorden (DFO, “Ordine femminile tedesco”, fondato nel 1923) – che a gennaio del 1928 furono ufficialmente affiliati al partito, ma non ci riuscì a causa del suo ruolo nella gerarchia di Hitler. Ciò tuttavia non significava che Ilse fosse relegata nelle retrovie. La sua vicinanza a Hitler, che si fidava di lei e la considerava degna di rispetto e lealtà, le dava un tipo di potere diverso ma non meno influente. Le sue doti diplomatiche e umane furono utili quando Hitler dovette risolvere una complessa questione privata: la sua relazione con la nipote, la diciannovenne Geli Raubal. Geli attirò per la prima volta l’attenzione di Hitler quando andò a trovarlo in prigione insieme a sua madre, sorellastra di lui. Finita la scuola Geli entrò a far parte della cerchia ristretta di Hitler, che aveva chiesto a sua madre di fare da governante nella modesta casetta rustica presa in affitto a un prezzo stracciato da alcuni simpatizzanti nazisti nei pressi della cittadina montana di Berchtesgaden; la posizione panoramica e l’atmosfera rilassante erano una cornice perfetta per lunghi e pigri pomeriggi trascorsi tra picnic, nuotate nei laghi e passeggiate nei boschi. L’entourage di Hitler accolse di buon grado Geli, una ragazza semplice, spontanea, spensierata e divertente, che oltretutto aveva un effetto positivo sull’umore di Hitler. A Ilse stava simpatica, Hess la trovava sveglia. Heinrich Hoffmann la definì «un’ammaliatrice», che «metteva tutti di buonumore»;6 persino la figlia di Hoffmann, Henriette, che aveva tutte le ragioni per esserne gelosa in quanto le era subentrata come protetta di Hitler, trovava Geli «incredibilmente affascinante».7 Quand’erano insieme agli altri Hitler faceva la parte dello “zio Adolf”, ma i suoi sentimenti per la nipote non erano affatto puri; si era infatuato di lei. Il problema era che né Geli né l’affascinante autista di Hitler, Emil Maurice, se ne resero conto. I due erano innamorati e intenzionati a sposarsi. Usando la giovane età di Geli come pretesto Hitler, furioso, le impose duramente di lasciare Emil. La ragazza però rifiutò. Terrorizzato dall’idea di perderla, Hitler chiese a Ilse di fare da mediatrice: i due giovani avrebbero dovuto aspettare due anni prima di sposarsi. Nel frattempo, potevano vedersi soltanto in presenza di Hitler. Geli accettò queste condizioni, e la vigilia di Natale del 1927 lo comunicò a Emil: «due anni interi in cui potremo baciarci solo di quando in quando e sempre sorvegliati da zio Adolf». Geli si rendeva conto del ruolo chiave giocato da Ilse: «è stata molto gentile. Era l’unica a credere che mi ami davvero».8 Hitler aveva ottenuto ciò che voleva: nel giro di pochi mesi Emil sparì e fu dimenticato, e alla fine del 1929 Geli si trasferì nell’appartamento dello zio. Ilse mantenne i contatti con la ragazza, in parte per genuino interesse, ma soprattutto perché a Hitler serviva una fonte di informazioni affidabile per tenerla sotto controllo quando lui doveva assentarsi da Monaco.

Il 18 settembre 1927 Margarete Boden condivise un viaggio in treno di tre ore da Monaco a Berlino con un giovane occhialuto e dall’aspetto anonimo, Heinrich Himmler. Cominciarono a chiacchierare e a viaggio finito era nata una simpatia. Dopo essersi salutati i due cominciarono a scambiarsi lettere, un’abitudine quasi quotidiana che sarebbe proseguita nel corso di tutta la loro relazione, soprattutto perché erano destinati a passare più tempo separati che insieme. Margarete, erede di una benestante famiglia di latifondisti, aveva trentacinque anni, otto più di Himmler. Nel 1914, quando aveva l’età minima necessaria ad arruolarsi, era diventata infermiera della Croce rossa tedesca (fondata negli anni sessanta dell’Ottocento), pronta insieme ad altre seimila anime misericordiose a prestare servizio durante la prima guerra mondiale. Quella di infermiera era considerata una vocazione adatta alle donne degli ambienti alto e medioborghesi. Dopo aver completato il corso di formazione, Margarete indossò la divisa (che ricordava quella di una suora) e venne assegnata a un ospedale da campo. In genere queste strutture contenevano duecento posti letto e venivano situate in paesi vicini al fronte, spesso all’interno di chiese o scuole. Esposto ai bombardamenti e ai raid aerei, il personale cambiava ogni sei mesi. Ma ovunque andasse Margarete non poteva sottrarsi alla sfilata crudele e straziante di feriti storpi, mutilati e traumatizzati. È difficile stabilire quale impatto abbia avuto su di lei l’esperienza da infermiera in prima linea. Come si misura la perdita dell’innocenza? Della fiducia nella bontà dell’essere umano? Margarete aveva soltanto venticinque anni quando il conflitto finì; da allora ne dimostrò sempre di più rispetto alla sua vera età. Poco dopo la guerra si sposò. Di questa unione non sappiamo quasi niente, salvo che fallì e la coppia divorziò dopo due anni. Nel 1923, con l’appoggio economico del padre, Margarete acquisì una quota di una clinica privata di Berlino gestita da un ginecologo ebreo. Come capo infermiera, la sua specialità era l’omeopatia. Anche Himmler era affascinato dalla medicina alternativa a base di erbe e rimedi naturali. Benché non fosse un tecnofobo, considerava l’industrializzazione di massa una forza sostanzialmente aliena che corrompeva l’essenza dell’anima tedesca. Riteneva utile rivisitare le culture contadine e attingere al bagaglio di conoscenze popolari delle generazioni precedenti. Soffriva fin dall’infanzia di problemi cronici allo stomaco (alle elementari rimase a casa malato per oltre cinque mesi) e le sue condizioni di salute erano un argomento che ricorreva spesso nelle lettere tra lui e Margarete. Lei incolpava lo stress e il troppo lavoro – «il tuo stomaco si vendica per quello che lo costringi a sopportare»9 – e gli consigliava di riposare di più e di assumere senape, aceto e cipolle. È possibile che Margarete sia stata attratta da Himmler anche perché le ricordava i giovani che aveva curato durante la guerra, i quali spesso trattavano le infermiere come madri surrogate; in una lettera gli chiese se avesse qualche fotografia di lui bambino. Allo stesso modo, Himmler potrebbe aver trovato attraenti i capelli biondi e gli occhi azzurri di lei, il fisico robusto e i modi un po’ severi che conferivano a Margarete un’aria da matrona: tratti in comune con quelli della devota madre di Heinrich, che aveva sempre viziato e coccolato il figlio malato e che continuava a spedirgli pacchi di cibo e a fargli il bucato. Il padre di Himmler, severo collezionista di francobolli, era il preside di un rinomato Gymnasium – frequentato anche dal figlio – e aveva fatto da precettore al rampollo della famiglia reale bavarese, aggiungendo ulteriore lustro al nome della sua famiglia. Himmler lavorava sodo e faceva del suo meglio per soddisfare le altissime aspettative paterne. Allo scoppio della prima guerra mondiale aveva quattordici anni e non vedeva l’ora di buttarsi nella mischia. Nel 1918, tuttavia, quando ebbe l’età per iscriversi ai corsi di addestramento, li trovò faticosi e sentì spesso nostalgia di casa. Prima che lo mandassero al fronte, però, giunse l’armistizio. Abbattuto e riluttante a svestire la divisa, Himmler entrò e uscì da vari gruppi paramilitari finché non approdò alle SA, giusto in tempo per recitare una piccola parte durante la rivolta della birreria. A metà degli anni venti si votò completamente alla vita di partito e uscì dall’orbita di Gregor Strasser – che aveva preso a sostenere una versione più di sinistra del nazismo – per giurare fedeltà a Hitler; la sua devozione al futuro Führer era assoluta, una profonda ossessione che sfociava nell’idolatria. Poco tempo prima del viaggio in treno che gli fece conoscere Margarete era stato nominato vicecapo delle SS che, nate come guardia del corpo d’élite a protezione di Hitler, all’epoca erano ancora una squadra piccolissima, giovane e priva di un’identità precisa. Sebbene le prime lettere tra Himmler e Margarete fossero caratterizzate da toni teneri e romantici, rivelavano anche il sostanziale pessimismo di lei – «non riesco a immaginare l’amore senza il dolore e l’inquietudine» – e una visione negativa della natura umana. Margarete era sospettosa delle nuove conoscenze e non amava l’interazione sociale, ma al contempo provava una profonda e paralizzante solitudine. Pensando al Capodanno, si lamentava del suo destino: «domani sarà un giorno orribile, tutti festeggeranno e io sarò sola. È tremendo».10 In occasione del loro secondo incontro, una gita prenatalizia di tre giorni in una cittadina bavarese sepolta sotto la neve, i due divennero intimi. Margarete non era una persona particolarmente interessata al sesso, e Himmler era vergine. Qualche anno prima aveva rinunciato solennemente alle donne dopo aver letto un trattato pseudoscientifico che invitava i giovani a rimanere casti e a incanalare la loro energia sessuale in attività più utili. La scelta del celibato era per Himmler un modo molto conveniente per trasformare in virtù la sua assoluta inettitudine con le donne; il sesso lo spaventava e al contempo lo affascinava. Nei diari degli anni di scuola Himmler raccontava spesso che le ragazze troppo sicure del proprio corpo lo inorridivano, e allo stesso tempo fantasticava su come sarebbe stato cedere a creature così selvagge e disinibite. Nello stesso periodo riuscì ad alienarsi i suoi due migliori amici innamorandosi delle rispettive fidanzate, il cui rifiuto lo portò a concludere che anch’esse erano moralmente sospette. Dal suo punto di vista, Margarete era la compagna ideale: aveva un po’ di esperienza, ma non abbastanza da farlo sentire del tutto inadeguato. Non è chiaro se in quei tre giorni ebbero rapporti sessuali, ma dopo che si furono separati il tono delle lettere cambiò, rispecchiando un cambiamento nella relazione. Cominciarono a usare nomignoli e parole affettuose; Himmler si spinse persino ad accennare al suo «bellissimo corpo amato».11 Avendo oltrepassato insieme questo confine, decisero di sposarsi il prima possibile, ma si trovarono di fronte a una serie di impedimenti: Himmler era assorbito dallo sforzo collettivo per aumentare le probabilità che i nazisti vincessero le imminenti elezioni parlamentari – programmate per il 20 maggio – e i progetti legati al matrimonio dipendevano dal fatto che Margarete riuscisse a vendere la sua quota della clinica di Berlino e usasse il denaro per acquistare un appezzamento di terra; sarebbero diventati agricoltori, un sogno che Himmler accarezzava da sempre. Nell’autunno del 1919 aveva cominciato a studiare agraria a Monaco, un corso di laurea che univa lo studio sui libri al lavoro in una fattoria. Dopo la laurea, ad agosto del 1922, aveva trovato un impiego in una ditta di concimi, dov’era rimasto per un anno prima di iscriversi al Partito nazista. Margarete era cresciuta nella grande fattoria del padre e aveva dimestichezza con l’allevamento del bestiame e la coltivazione dei campi. Svincolarsi dal socio ebreo tuttavia richiese più tempo del previsto. Nelle sue lettere Margarete faceva osservazioni maligne su di lui, definendolo «gentaglia» e «feccia ebraica». Per lei era la prova vivente che tutti gli ebrei erano inaffidabili: «gli altri non sono da meno».12 Non ci sono prove a suggerire che la visione del mondo di Margarete fosse contorta e inquietante come quella del fidanzato, ma è indubbio che condividesse i pregiudizi del contesto sociale in cui era cresciuta, inclusi il razzismo congenito e lo snobismo. L’antisemitismo di Margarete era un riflesso istintivo, così come lo erano la paura e la sfiducia nelle classi sociali meno abbienti, rurali e urbane. Desideroso di darle un’istruzione politica, Himmler le spediva copie dei suoi discorsi, libelli e tomi smaccatamente razzisti che lei, diligente, leggeva sforzandosi di sembrare entusiasta. Margarete tuttavia non era un’estremista, e spesso trovava fastidioso il linguaggio violento di Himmler: «Perché devi essere così aggressivo, sempre con la bava alla bocca? Dopotutto, essere conservatori è una cosa bella».13 In realtà trascorrevano più tempo a completare i libri di enigmistica, che entrambi adoravano, che a discutere delle radici filosofiche e storiche del nazismo. Riluttante persino a prendere parte a un comizio del partito, Margarete era gelosa del potere che Hitler aveva sul fidanzato e gli esprimeva apertamente la sua insofferenza: «Quanto vorrei che non dovessi più andartene in giro con il Capo. Ti porta via un sacco di tempo». Himmler le rispondeva ricordandole che era un rivoluzionario, non «uno smidollato impiegato statale».14 Il 3 luglio 1928, passate le elezioni di maggio e quasi completate le trattative per la cessione delle quote della clinica, Margarete e Himmler si sposarono in municipio a Berlino. Il padre e il fratello di lei fecero da testimoni. Nessun familiare di Himmler era presente; i suoi genitori erano cattolici devoti e faticavano ad accettare le nozze del figlio con una protestante. Non ci fu luna di miele; ad agosto Himmler partì per partecipare sia alla manifestazione annuale del partito sia al Festival di Bayreuth. I novelli sposi riuscirono a trascorrere tre giorni insieme solo a inizio settembre, prima che lui sparisse di nuovo.

I risultati delle elezioni politiche – alle quali il partito ottenne meno del 3 per cento dei voti – furono un amaro promemoria di quanto il traguardo fosse ancora lontano. Il deprimente risultato fu dovuto principalmente alla rinascita in stile fenice della Repubblica di Weimar, che dopo aver toccato il fondo nel 1923 si era ripresa grazie a considerevoli prestiti degli Stati Uniti, a un accordo che aveva reso sostenibili i pagamenti della riparazione, all’allentamento delle tensioni diplomatiche con i paesi confinanti e al forte desiderio generale di un ritorno a una vita quanto più normale possibile. Della dozzina di nazisti che entrarono al Reichstag faceva parte anche un rinvigorito Göring. Carin era tornata dalla Svezia e lui aveva accettato un ruolo centrale nell’espansione del partito, incaricandosi di attirare le personalità più influenti e ottenere da loro i fondi necessari all’organizzazione. Per fare soldi tuttavia gli servivano soldi, o quantomeno doveva fingere di averli. Fortunatamente le imprese belliche che lo avevano reso celebre contavano ancora qualcosa: la Lufthansa – la più importante compagnia tedesca di aviazione civile – stava cercando di migliorare la propria immagine e lo scelse come rappresentante, finanziandolo con la bellezza di mille marchi al mese. Göring e Carin si trasferirono in un appartamento lussuoso e ben presto cominciarono a organizzare feste mondane per il fior fiore della società: membri delle vecchie dinastie aristocratiche imperiali tedesche, capitani d’industria e banchieri influenti. Ai loro ospiti Carin e il marito presentavano una facciata rispettabile e moderata, placando così i timori riguardo alle intenzioni di Hitler. Padrona di casa elegante e piena di fascino, Carin si trasformava quando intratteneva i suoi amici nazisti, tuffandosi nei dibattiti e nelle discussioni. Benché fosse una donna i suoi interventi erano tollerati, persino ben accetti – e sembra che Goebbels li apprezzasse in particolar modo – per via dell’indubbio radicalismo di Carin e del suo fervore ideologico. In una lettera scritta alla madre in quel periodo Carin sputava veleno contro i suoi nemici: «Ogni giorno i comunisti sfilano con i loro nasi adunchi e le bandiere rosse con la stella di Davide».15 Tra i compagni di partito eletti insieme a Göring c’era il padre di Gerda. Dai tempi del Putsch di Monaco, Walter Buch aveva intrapreso diverse carriere – avvocato, insegnante, venditore di vino e di sigari – ma non aveva mai rinunciato alla speranza che Hitler potesse risorgere dalle ceneri. La sua fede fu premiata nel novembre del 1927. Poiché suo padre era stato un giudice dell’alta corte, a Buch fu affidato l’USCHLA, il tribunale del Partito nazista, istituito per regolare le dispute interne e le violazioni della disciplina. Ormai Gerda aveva finito le scuole superiori, superato l’Abitur e stava per diventare maestra d’asilo, una carriera scontata per una persona i cui interessi principali erano le arti decorative, leggere fiabe per l’infanzia della tradizione tedesca e suonare musica popolare alla chitarra. Il fratello minore ricorda che «era felicissima quando stava in mezzo ai bambini, quando disegnava o faceva incisioni insieme a loro».16 Tuttavia, il fatto che fosse incline a una professione così amorevole e altruistica non significava che rinnegasse le idee politiche del padre. Cresciuta nell’orbita di Hitler e delle sue teorie, Gerda non riuscì a formarsi uno spirito critico autonomo: la sua visione del mondo era completamente plasmata dal nazismo, la sua fede nel movimento assoluta. Semmai, Gerda era addirittura più fanatica di suo padre, il che fu lampante quando cominciò a frequentare un fusto tarchiato e corpulento dall’aria maliziosa e attraente di nome Martin Bormann, iscrittosi al partito soltanto nel febbraio del 1927 e perciò tra gli ultimi arrivati nel movimento. Dopo aver lavorato come addetto stampa si era arruolato nelle SA, dove aveva conosciuto il padre di Gerda. La maggior parte dell’élite nazista considerava Bormann socialmente inferiore, un rozzo cafone privo di cultura – un rivale lo paragonò a un maiale – quando invece era di estrazione solidamente borghese. La famiglia di suo padre aveva origini umili, ma lui aveva fatto carriera come trombettista nella banda militare; dopo aver lasciato il reggimento era entrato alle poste come impiegato e da lì aveva cominciato la sua scalata sociale. In seguito, Bormann parlò con orgoglio dei successi del padre, ma la verità è che lo conosceva appena, perché era rimasto orfano ad appena tre anni. Di fronte alla prospettiva di crescere lui, il fratellino più piccolo Albert e i due figli nati dal precedente matrimonio del marito, la madre di Bormann si risposò rapidamente con il cognato – direttore di una banca locale – rimasto vedovo e a sua volta padre di cinque figli. Bormann crebbe quindi in una famiglia molto numerosa, ma non andava d’accordo con nessuno dei fratelli e si sentiva trascurato dal patrigno, arrivando a disprezzarlo. A ogni modo c’erano soldi sufficienti per mandare il giovane Martin a studiare in un collegio privato; a parte mostrare un talento per l’aritmetica, non brillava in nessuna materia. Non abbastanza portato per lo studio da puntare al Gymnasium, a quattordici anni Bormann si iscrisse a un istituto tecnico – un po’ meno prestigioso, ma non meno esclusivo – e mentre si avviava a una carriera nel settore agrario fu arruolato nel giugno del 1918, troppo tardi per vedere i combattimenti. Dopo il congedo decise di non fare ritorno a casa e trovò lavoro come capomastro in una vasta tenuta di trecentotrenta ettari, il cui proprietario riconobbe il suo talento per i numeri e gli affidò la contabilità e i libri paga. Il padrone era un ultranazionalista che reclutava la manodopera quasi esclusivamente tra ex membri dei Freikorps. Queste frequentazioni portarono Bormann a bazzicare una serie di associazioni di estrema destra e antisemite. La notte del 31 maggio 1923 la vita di Bormann ebbe una svolta: venne coinvolto nel sadico assassinio di un ex dipendente della tenuta, Walther Kadow, che dopo essersi pesantemente indebitato era fuggito senza pagare. Per motivi incomprensibili, Kadow commise il fatale errore di tornare sulla scena del crimine. Spronato dalla diceria che Kadow fosse una spia comunista, Bormann gli tese una trappola. Convinse cinque o sei operai della proprietà a rapirlo e a pestarlo. Gli aggressori fecero ubriacare Kadow e usando un cavallo e un carro forniti da Bormann lo trasportarono in un bosco vicino, dove gli fratturarono il cranio con un ramo, gli tagliarono la gola, gli spararono due volte alla testa, lo spogliarono e ne bruciarono i vestiti, per poi seppellirne il cadavere oltraggiato. Bormann fu arrestato insieme agli assassini – tra i quali c’era Rudolf Höss, futuro comandante di Auschwitz – e attese per sei mesi il processo. Il 12 maggio 1924 gli imputati comparvero in tribunale. Gli esecutori vennero condannati a dieci anni di reclusione, Bormann a un anno. In prigione si adattò a testa bassa alle misure draconiane e al duro lavoro che intorpidiva la mente. In seguito, avrebbe ricordato che doveva «incollare scatole di tutti i tipi: per sigarette, farmaci, caramelle e corde per strumenti» con l’obbligo di fabbricare la quota giornaliera di millecinquecento pezzi. Nel frattempo, approfittò della mancanza di distrazioni per riflettere sulle sue «idee, soprattutto politiche».17 Quando uscì di prigione era più convinto che mai che i nemici del popolo tedesco dovessero essere puniti. Bormann fece ritorno alla tenuta per riprendere il lavoro da dove lo aveva interrotto, ma al suo arrivo si rese conto che non era più il benvenuto; il proprietario aveva scoperto una relazione tra lui e sua moglie, Ehrengard. Bormann non ammise mai l’esistenza della relazione, ma continuò per altri vent’anni a scambiarsi lettere con Ehrengard, e di tanto in tanto, di solito a notte fonda, andava anche a trovarla. Bormann possedeva una libido insaziabile e sfrenata e non faceva niente per tenerla sotto controllo, anzi cercava di appagare il suo desiderio sessuale appena gli era possibile, infischiandosene delle convenzioni sociali. Non risulta difficile capire perché trovasse Gerda irresistibile: era snella e longilinea, molto attraente, giovane e radiosa. Inoltre, frequentare la figlia di un importante nazista poteva facilitargli la scalata alle gerarchie del partito. La ruvida mascolinità di Bormann sedusse l’inesperta Gerda, che prese a frequentarlo anche per ribellione nei confronti del padre, il quale considerava Bormann un inutile furfante. Buch decise comunque di non interferire con quella che considerava una cotta adolescenziale, destinata a passare quando la ragazza si fosse resa conto di quanto lei e Bormann fossero incompatibili. Le circostanze, però, ebbero la meglio. Ogni domenica Bormann guidava la sua Opel fino a casa dei Buch, subito fuori Monaco, e trascorreva il pomeriggio con Gerda sotto la supervisione della madre. Ad aprile del 1929, di ritorno da una delle loro lunghe passeggiate, Bormann chiese formalmente la mano di Gerda. Dopo il fidanzamento ufficiale alla coppia venne concessa un po’ più di libertà e all’inizio di agosto Gerda perse la verginità, rimanendo subito incinta. I due si sposarono il 2 settembre, con Hitler e Hess a fare da testimoni. Nelle foto del matrimonio si nota un netto contrasto tra Gerda – in abito bianco, con il velo e una ghirlanda di mirto – e il marito e i suoi compari in stivali militari e uniforme: eppure, nessuno degli uomini nella fotografia aveva alcun dubbio sul fatto che Gerda fosse una di loro. A qualche chilometro da Monaco, anche Margarete Himmler aspettava un figlio; il marito però aveva altre priorità. Infatti, dal 4 gennaio 1929, il giorno in cui era stato nominato capo delle SS – e aveva rilasciato la famosa dichiarazione in cui si diceva disposto a uccidere la sua stessa madre, se glielo avesse chiesto Hitler – era completamente assorbito dalla missione di creare un corpo militare d’élite composto da guerrieri di razza pura. Himmler supervisionò la ristrutturazione della loro modesta nuova casa e la costruzione dei pollai, ma se ne andò subito dopo, lasciando la moglie a gestire la fattoria da sola. Non era una situazione insolita. La responsabilità di amministrare le piccole fattorie tedesche ricadeva quasi tutta sulle spalle delle donne – che costituivano l’80 per cento della forza lavoro in questo settore dell’agricoltura – mentre i mariti cercavano lavori più remunerativi in città. Oltre al pollame, Margarete doveva gestire oche, conigli, tacchini, un maiale, e numerose varietà di frutta e verdura; con il passare del tempo, gli Himmler speravano di poter coltivare erbe curative. La gravidanza non fece che rendere ancora più impegnativa e complicata la vita di Margarete. Himmler, sempre in viaggio, le ordinava di non lavorare troppo, ma mantenere la fattoria era logorante, soprattutto se si volevano far tornare i conti. La salute di Margarete e quella del bambino ne risentirono e il 7 agosto 1928, di ritorno da una manifestazione di partito, Himmler trovò la moglie in preda a dolori atroci. La portò subito in una clinica e il giorno dopo, con un parto cesareo, nacque la figlia Gudrun. Margarete rimase in ospedale per altre tre settimane. Quando fu dimessa Himmler ingaggiò una tata perché la aiutasse mentre lui era via. Sfortunatamente Margarete non la sopportava – era «irrispettosa e pigra»18 – e chiese che fosse sostituita; era la prima di una lunga serie di domestiche che non avrebbero soddisfatto le sue aspettative. Alla fine dell’anno Margarete era nuovamente prigioniera della vecchia routine. Piantava le patate, spaccava la legna, potava i rami, trasportava il concime, raccoglieva sambuco e mirtilli e si occupava dei funghi che spuntavano nello scantinato. Il suo fisico risentiva della fatica, e smise di avere le mestruazioni. In una lettera Himmler le consigliava di fare bagni caldi e bere vino aromatizzato alla cannella, e suggeriva che il problema potesse avere a che fare con la sua «ansia innata»;19 si rifiutava di ammettere che il motivo principale alla base della sofferenza di Margarete erano le sue prolungate assenze.

Gerda non ebbe problemi con la gravidanza. Il 14 aprile 1930 diede alla luce un figlio che chiamò Adolf, per ovvie ragioni. Hess aveva preso Bormann sotto la propria ala, e per questo lui e Ilse diventarono padrino e madrina del bambino. Undici giorni dopo Bormann ottenne una promozione e divenne l’amministratore del fondo previdenziale del partito, che distribuiva indennizzi al numero crescente di nazisti feriti o uccisi durante i violenti scontri con gli oppositori. Al di là della sua carica ufficiale, Bormann stava penetrando con successo nell’entourage di Hitler, il quale nel 1930 gli affidò un incarico che richiedeva riserbo e discrezione: controllare l’ascendenza di una diciassettenne che aveva conosciuto nello studio fotografico di Heinrich Hoffmann, dove la ragazza lavorava come assistente. Hitler si era preso una cotta per lei e voleva la certezza che fosse di pura razza ariana. Dopo un’indagine approfondita, Bormann gli confermò che non aveva una goccia di sangue ebraico. 4 Arrivi e partenze

Durante l’estate del 1930 Magda Quandt, da poco divorziata, cercava qualcosa da fare. Gli accordi di divorzio le erano stati favorevoli, le garantivano un ampio appartamento in una zona di Berlino alla moda, un cospicuo assegno di mantenimento e l’accesso alla tenuta di campagna dell’ex marito. Era una donna sofisticata, poliglotta, cosmopolita, elegante, padrona di sé, a suo agio in compagnia di gente della buona società e mai a corto di ammiratori. Una vita scintillante di piaceri. Aveva conosciuto l’ex marito Gunther Quandt nel 1919, quando lui aveva trentasette anni e lei diciotto. Avevano condiviso un viaggio in treno mentre lei si spostava da Berlino all’esclusiva scuola privata per signorine a cui si era appena iscritta dopo aver superato l’Abitur. Quandt rimase così affascinato che continuò a presentarsi al collegio di Magda finché non gli fu concesso di stare con lei per il tempo necessario a chiederle di sposarlo. Lusingata dalle attenzioni di un uomo di successo – Quandt aveva interessi nel settore tessile, in quello chimico e in quello automobilistico, detenendo una quota di maggioranza nella BMW – Magda accettò di sposarlo. Dopo un breve periodo di fidanzamento, celebrarono le nozze il 4 gennaio 1921. L’improvvisa immersione di Magda nella vita matrimoniale suggerisce che fosse in cerca di stabilità dopo un’infanzia disordinata. Sua madre aveva chiesto il divorzio dal padre ingegnere quando lei aveva tre anni, e si era risposata due anni dopo. Il patrigno di Magda era un uomo d’affari ebreo che lei adorava. La famiglia si era trasferita a Bruxelles e Magda era stata mandata in un educandato nel quale vigeva una rigida morale cattolica. Nel 1914 Magda era di nuovo in Germania e si iscrisse al Gymnasium. Durante la guerra sua madre si separò dal patrigno, e lei tornò dal padre biologico che le fece conoscere il buddismo, mentre il fratello maggiore di una compagna di scuola ebrea le tenne un corso intensivo di sionismo. Il suo genuino interesse per entrambe queste filosofie, così diverse l’una dall’altra, appassì quando divenne una casalinga. Magda si ritrovò a dover crescere i due figli che Quandt aveva avuto da un altro matrimonio. In seguito, la coppia adottò tre orfani e nel 1922 Magda diede alla luce un bambino, Harald. Divenuta di colpo responsabile di una grande tenuta con tanto di servitù, Magda fece del suo meglio per gestire la situazione mentre il marito, assorbito dal lavoro, si chiudeva nel suo studio sera dopo sera a escogitare nuovi modi per sfruttare l’economia altalenante della Germania. Per Quandt una bella serata fuori consisteva in una cena formale e poi subito a casa, entro le dieci; Magda era una bellissima ed esuberante giovane donna, ansiosa di scoprire quello che Berlino aveva da offrirle. La capitale vantava la più spettacolare e variegata vita notturna di tutta Europa, ma Magda era costretta a restare chiusa in casa. Forse per placarne l’irrequietezza, Quandt la portò a Londra e a Parigi e insieme fecero numerosi viaggi oltreoceano: visitarono gli Stati Uniti e il Messico, e si fermarono sulla East Coast per un soggiorno che coniugava piacere e lavoro. Magda era nel suo elemento naturale, in un ruolo che le calzava alla perfezione. Aprire gli occhi sul mondo, però, non fece che acuire in lei la consapevolezza di quanto fosse limitata la sua vita a Berlino. A peggiorare le cose si aggiunse il fatto che uno dei figli di Quandt – ormai adolescente – si innamorò di lei. Consapevoli del pericolo, Magda e Quandt decisero di mandarlo a studiare a Parigi. Poco dopo il suo arrivo nella capitale francese il ragazzo fu ricoverato d’urgenza in ospedale per un’appendicite acuta. Un intervento chirurgico maldestro causò la sepsi, e nel giro di pochi giorni il giovane morì. Il filo sottile che ancora teneva insieme il matrimonio si spezzò. Poco tempo dopo Magda cominciò una appassionata relazione con un giovane studente. Sulla sua identità esistono numerose teorie, ma non ci sono prove concrete a sostenerle. Chi conosceva Magda, però, concorda nell’affermare che non si trattò semplicemente di una breve avventura. Lei provò a interrompere la relazione, ma invano: i suoi sentimenti erano troppo forti. Quandt la scoprì e chiese il divorzio. Nel tentativo di scongiurare la prospettiva di perdere tutto – le leggi sul divorzio erano pesantemente sbilanciate in favore del marito, soprattutto se era la parte lesa – Magda ritrovò per caso alcune vecchie lettere d’amore di Quandt e le usò per spostare l’attenzione su di lui. Per evitare che la faccenda diventasse di dominio pubblico, Quandt le diede ciò che le serviva per mantenere il suo stile di vita. Magda tuttavia era insoddisfatta e priva di stimoli. Non si era mai interessata in particolar modo alla politica, ma a Berlino era impossibile ignorare gli scontri quotidiani tra i nazisti e i loro oppositori. Esortata da alcuni amici, Magda prese parte a un grande raduno di partito la cui attrattiva principale era . A parte Hitler, Goebbels era il più efficace oratore nazista, e disseminava le sue invettive di osservazioni caustiche e raggelanti campagne diffamatorie cariche di aggressività che infiammavano la folla. Era molto intelligente e colto, e aveva un dottorato in letteratura all’università di Heidelberg. Ma era anche roso dal risentimento e dall’ambizione frustrata. I suoi tentativi di diventare scrittore – compose numerose opere teatrali e un sinistro romanzo autobiografico – si erano dimostrati infruttuosi, mentre la sua bassa statura, i piedi equini e l’andatura zoppicante lo avevano reso oggetto di scherno sin da ragazzo. Proveniente da una famiglia della piccola borghesia nella quale i soldi scarseggiavano (suo padre faceva il contabile in una fabbrica), Goebbels riuscì a frequentare un Gymnasium di stampo cattolico; i genitori erano credenti devoti e speravano che il figlio diventasse prete. Goebbels era uno studente talentuoso e durante l’Abitur si distinse come il migliore della sua classe. Inadatto al servizio militare, nell’aprile del 1917 si iscrisse all’università di Bonn, dove cominciò a studiare per il dottorato che completò – dopo aver frequentato anche altre istituzioni universitarie – nel 1921. Tre anni più tardi aderì al nazismo, attratto dai proclami di intransigenza; anche lui trovava oltraggiosa la Repubblica di Weimar, era un convinto antisemita e disprezzava le convenzioni della società. Indirizzò quindi la sua rabbia verso le classi agiate, l’élite degli affaristi e la finanza ebraica. Residente a Berlino, dove il movimento aveva adottato un atteggiamento più socialista nella speranza di attirare la classe lavoratrice della città e sottrarla ai comunisti, si distinse come esperto propagandista; il suo giornale “Der Angriff” era un esempio perfetto di aggressività comunicativa. Sulle prime le credenziali di Hitler non lo avevano convinto del tutto, ma entro la fine degli anni venti era completamente al servizio del genio del Fuhrer: «il tribuno nato del popolo, il futuro dittatore».1 Magda fu colpita dal comizio e dalla caustica retorica di Goebbels. Entrò nel partito e lesse diligentemente Mein Kampf e Il mito del XX secolo, un’accozzaglia sconclusionata nata dalla mente di Alfred Rosenberg, autonominatosi filosofo del nazismo. Il fatto che in precedenza si fosse già avvicinata ad altri sistemi di pensiero onnicomprensivi – il cattolicesimo inculcatole dalle suore belghe, il buddismo del padre e il sionismo del suo amico adolescente – le aveva lasciato il bisogno di credere in qualcosa. Forse non se n’era mai accorta, ma era sempre stata alla ricerca di una causa da seguire. Magda prese in poco tempo il comando del gruppo femminile nazista della sua zona, ma entrò in contrasto con le altre donne, che non accettavano di prendere ordini da una privilegiata. Frustrata, decise di mirare più in alto e si candidò a lavorare al Dipartimento della propaganda di Goebbels, dove lui non poté fare a meno di notarla. Colpito dalla classe e dalla bellezza innegabili, Goebbels le chiese di occuparsi del suo archivio privato, sperando che lavorare fianco a fianco gli permettesse di sedurla. Il 14 settembre 1930, circa sei settimane prima che Magda entrasse nella vita di Goebbels, il Partito nazista aveva compiuto un eccezionale passo avanti conquistando quasi il 18 per cento di voti alle elezioni politiche. Il crollo di Wall Street e la Grande depressione avevano abbattuto le fondamenta incerte della Repubblica di Weimar, spazzato via la politica centrista – spostando l’elettorato verso l’estrema destra – e concentrato il potere nelle mani di una cricca conservatrice che attorniava l’anziano presidente Hindenburg, una figura di pura facciata la cui reputazione era ancora legata alle imprese compiute da comandante nella prima guerra mondiale. Eletto nel 1925, avrebbe dovuto garantire la stabilità, ma con il paese sempre più disperato la sua influenza si dimostrò controproducente. Nel 1930, appellandosi all’articolo 48 della costituzione che gliene dava facoltà, Hindenburg aveva nominato cancelliere e governo senza consultare il Reichstag. Invece di fronteggiare l’emergenza economica il nuovo gabinetto gettava benzina sul fuoco, adottando misure deflazionistiche che sottrassero liquidità al sistema economico; le banche chiusero, le attività commerciali fallirono ed esplose la disoccupazione. A trarne i maggiori benefici erano stati i nazisti. Per la prima volta avevano avuto risorse sufficienti a organizzare una campagna elettorale coordinata in tutta la nazione, e in un contesto di crisi sempre più grave l’aumento della visibilità aveva dato i suoi frutti. Durante l’anno Göring non si era fermato mai. A dispetto dei suoi costanti problemi di salute, Carin aveva dato tutto l’appoggio che poteva al marito, intento a ordire intrighi clandestini e a sobillare le masse di tutta la Germania. Animati dal risultato, il 13 ottobre i due festeggiarono la svolta dando una festa sontuosa a cui presero parte anche Hitler, Hess, Goebbels e altre figure di primo piano del partito.

Tra coloro che erano accorsi sotto le insegne di Hitler c’era l’adolescente Lina von Osten, convinta dal fratello maggiore – già inveterato sostenitore dei nazisti – ad accompagnarlo a un raduno del partito; Lina ne era uscita convertita, elettrizzata dal dinamismo di un movimento rivolto ai giovani, che sarebbero stati i principali beneficiari del nuovo, luminoso futuro. Anche l’antisemitismo era un fattore determinante. Lina odiava gli ebrei polacchi che si erano insediati nel suo tranquillo angolino di mondo: per lei erano una specie aliena. La ragazza aveva colto al volo la prima occasione di abbandonare la casa di famiglia sull’isola di Fehmarn (di fronte alla punta nordorientale della Germania, sul Baltico) e farsi strada da sola. Non che non andasse d’accordo con i genitori, ma abitava in un borgo isolato, con una mentalità provinciale, mentre le origini nobili di suo padre erano un costante promemoria che qualcosa era andato perso per sempre: pur essendo erede di facoltosi proprietari terrieri danesi, suo padre era un umile insegnante. L’iperinflazione degli anni venti ridusse ulteriormente le risorse della famiglia di Lina, tanto che i von Osten dovettero traslocare nella vecchia scuola dove il padre lavorava. Anche lei decise di insegnare – all’epoca le donne erano circa un terzo del totale dei docenti – e per completare la formazione in un istituto tecnico si trasferì nel collegio studentesco di Kiel, cittadina portuale sulla terraferma. Verso la fine del corso, il 6 dicembre 1930 Lina e alcune amiche andarono a un ballo: fu una serata piuttosto noiosa, ma la ragazza conobbe il ventisettenne Reinhard Heydrich, ufficiale di marina. Si è detto molto sulla presunta fisionomia ariana ideale di Heydrich, almeno in confronto agli altri nazisti di primo piano. Era alto, biondo, atletico – era stato un ragazzino dalla corporatura esile, ma aveva fatto sport per irrobustirsi ed eccelleva nella corsa, nel nuoto e nella scherma. Di certo era affascinante in divisa, ma aveva anche la testa enorme, occhi stretti, labbra sottili e orecchie a sventola. Lina lo trovò interessante – «provai simpatia per quel giovane risoluto eppure riservato»2 – e accettò di uscire con lui il giorno seguente. Nelle sue memorie racconta con trasporto che dopo una serie di lunghe passeggiate, una serata a teatro e una cena al ristorante, in occasione della terza uscita insieme lui le aprì il suo cuore e le chiese di sposarlo. A Lina piaceva raccontare che il loro amore era scritto nelle stelle e che era impossibile negarlo; altri suggerirono che l’improvvisa proposta di matrimonio fosse il preludio necessario per andare a letto con lei. Potrebbe però esserci una spiegazione alternativa. Heydrich aveva avuto una storia con un’altra donna, e anche se non esistono prove certe, sembra che la ragazza avesse già fatto sesso con lui, dando per scontato che l’avrebbe sposata. Heydrich era ansioso di sposare Lina perché voleva liberarsi di una complicazione? In tal caso, si profilava una tregua soltanto temporanea, perché la donna abbandonata sarebbe tornata a dargli la caccia. Al di là della forte attrazione fisica che c’era tra i due, Lina e Heydrich condividevano alcune caratteristiche essenziali. Entrambi avevano la necessità di fuggire dal loro ambiente di origine e crearsi un destino diverso. Erano testardi ed estremamente ambiziosi. Possedevano una vena fredda e calcolatrice. Nessuno dei due sopportava gli sciocchi e tutti e due erano convinti di essere superiori alla maggior parte delle persone. Una delle peculiarità di Heydrich era il suo talento musicale. Suo padre era un compositore minore che nella loro cittadina, Halle, dirigeva con successo una scuola di musica. Heydrich prese lezioni di violino sin da piccolo; si esercitava per ore con disciplina e dedizione, tanto da sviluppare una tecnica eccezionale – a riprova della sua etica del lavoro e del suo perfezionismo – e una capacità di reinterpretare i classici che mostrava rara sensibilità e varietà emotiva. Lina lo definiva «un artista» che sapeva «tradurre i sentimenti in musica».3 Invece di seguire le orme paterne Heydrich scelse la marina e nel 1922 si arruolò. Gli altri cadetti non lo presero in simpatia – lo trovavano freddo e superbo – e giudicavano la sua abilità con il violino un segno di debolezza effeminata, per cui lo deridevano di continuo. I loro insulti, però, non avevano nessun effetto su Heydrich, abituato a essere schernito: quand’era studente la precocità e gli ottimi risultati scolastici avevano fatto di lui un bersaglio sin dal primo giorno. A lui importava soltanto che i suoi superiori lo giudicassero adatto a diventare un ufficiale. Così fu, e nel 1926, dopo una navigazione di sei mesi, venne nominato Leutnant zur See, guardiamarina. Nel 1928 diventò Oberleutnant zur See, sottotenente di vascello, e ricevette un addestramento speciale come radiotelegrafista. Dal momento che altre promozioni erano prevedibili, Lina non giudicò necessario trovarsi un lavoro come insegnante; del resto, nessuno si aspettava che una donna continuasse a lavorare anche dopo il matrimonio. I fidanzati andarono a chiedere la benedizione dei genitori, e la ottennero. Ma proprio sul più bello tornò a galla la spinosa questione dell’ex fidanzata di Heydrich, incattivita dal modo meschino in cui era stata trattata e in cerca di vendetta. L’identità precisa di questa donna rimane sconosciuta; si sa che il padre era un uomo importante, con agganci tra i più alti ufficiali della marina. Le autorità competenti ricevettero una denuncia per condotta deplorevole e Heydrich, accusato di tentato stupro, dovette comparire davanti a un tribunale della marina. Tutti i verbali del processo sono andati distrutti, ma alcuni testimoni oculari sostennero che, più che le accuse, fu l’atteggiamento sprezzante e altezzoso di Heydrich a deciderne il destino. Il 30 aprile 1931 fu congedato dalla marina. Lina ricorda che il verdetto lo sconvolse tanto da procurargli un esaurimento nervoso; si chiuse in camera per giorni, sfasciando i mobili e singhiozzando disperato, e lei dovette aiutarlo a tornare in sé. Che sia vero o no – è difficile immaginare l’uomo che Hitler definì «cuore di ferro» comportarsi come un ragazzino isterico – la cosa più sorprendente fu la lealtà inscalfibile di Lina. Date le circostanze, nessuno l’avrebbe biasimata se avesse deciso di rompere il fidanzamento. A soltanto diciannove anni aveva ancora tutta la vita davanti. Ma Lina era sicura che con il suo appoggio Heydrich sarebbe comunque arrivato al vertice.

A fine febbraio del 1931 tra Magda e Goebbels era nata una relazione sessuale. Fin dall’inizio la tensione erotica fu intensa, una forza magnetica li teneva insieme. Estasiato, Goebbels non poteva credere alla sua fortuna: «Mi sembra un sogno. Sono appagato e felice».4 Tanto buonumore, però, era destinato a spegnersi. La fase iniziale della relazione fu molto instabile – a giudicare dai diari di lui era continuamente un’agonia o un’estasi, senza mezze misure – ed entrambi nutrivano dubbi sulla relazione. E poi arrivarono le scenate e i dolorosi confronti dovuti alla ricomparsa del giovane amante di Magda. Uno degli aspetti più distruttivi della personalità di Goebbels era la sua devastante gelosia. Stare con una donna desiderabile come Magda nutriva il suo ego spropositato, ma non poteva tollerare il pensiero di lei con un altro uomo, sebbene lui per primo rifiutasse la monogamia in quanto obsoleta convenzione borghese e non nascondesse la sua insaziabile libido. Magda era ben consapevole della reputazione di Goebbels, donnaiolo impenitente; ma era anche un uomo energico, motivato e destinato a grandi cose, mentre il giovane amante non aveva prospettive concrete. Con il cuore spezzato, lo studente ebbe la sciagurata idea di presentarsi a casa di lei brandendo una pistola e minacciando di ucciderli entrambi se Magda non fosse tornata con lui. Durante una lite furiosa il ragazzo sparò un colpo di pistola, ma il proiettile la mancò e andò a conficcarsi nello stipite della porta. Magda chiamò la polizia e lo fece portare via. Ulteriori complicazioni emersero quando Magda fu presentata a Hitler. Benché non fosse ancora sicura di Goebbels, sul futuro Führer non aveva incertezze, e il sentimento era reciproco. Nella primavera del 1931 Magda e Goebbels trascorsero alcune ore insieme a Hitler e a Otto Wagener, ex veterano dei Freikorps e alto ufficiale delle SA, che per un po’ rivestì il ruolo di consigliere di Hitler. Wagener osservò che «Hitler trovava piacevole l’allegria innocente» di Magda, e «i grandi occhi di lei si fissavano sempre in quelli di lui». In seguito, Hitler gli confessò che Magda lo aveva molto colpito, tanto che nelle settimane successive non smise di parlarne. Confidò a Wagener che Magda poteva «avere un ruolo importante» nella sua vita e «rappresentare il corrispettivo femminile» dei suoi «risoluti istinti maschili». Ma che tipo di relazione poteva essere? Hitler credeva che per compiere il proprio dovere di futuro capo del Terzo Reich fosse necessario sembrare scapolo, completamente votato al benessere del popolo e pronto a sopportare una solitudine autoimposta. Qualsiasi contatto con Magda doveva essere clandestino; se lei avesse frequentato qualcun altro sarebbe stato molto più facile mantenere segreta la relazione. Parlando con Wagener, Hitler diceva: «è un peccato che non sia sposata». In seguito, in occasione di una lunga passeggiata da soli, Wagener svelò i pensieri di Hitler a Magda e le spiegò sia dell’avversione di Hitler per il matrimonio sia del suo desiderio di avere una donna che fosse come una moglie; una compagna sul piano intellettuale, emotivo e spirituale. Quando Wagener fu sicuro che Magda avesse capito che, se avesse voluto un legame speciale con Hitler, avrebbe dovuto valutare di sposare Goebbels, le chiese se fosse pronta ad accettare la sfida. Magda non ebbe esitazioni: «Per sono pronta a fare qualsiasi cosa».5 Non ci sono prove che la testimonianza di Wagener sia autentica, ma è fuor di dubbio che Magda fosse infatuata di Hitler. Forse fu pensando a questo bizzarro ménage à trois che accettò di sposare Goebbels. Annunciarono pubblicamente il fidanzamento a luglio, con un piccolo raduno ravvivato dallo champagne, cui presero parte Hitler, Ilse e Hess, Wagener e pochi altri. Goebbels tuttavia si sentiva incerto riguardo ai palesi sentimenti che Magda provava per Hitler, e in una giornata di agosto affidò la propria ansia al diario: «Magda si perde un po’ dietro il capo […] Sto malissimo […] Non ho chiuso occhio».6 Nonostante il tormento, però, per Goebbels la benevolenza di Hitler era più importante della gelosia, e quindi non fu mai in grado di fronteggiare il suo adorato leader.

A Lina Heydrich piaceva prendersi il merito di aver spinto il marito ad avvicinarsi al nazismo. Secondo lei quando si conobbero era privo di una direzione politica e giudicava quasi tutti i politici dei civili incompetenti e sciocchi. In effetti Heydrich non si era ancora interessato al movimento, ma tutte le sue azioni, sin dalla tarda adolescenza, lo collocavano decisamente a destra nello spettro ideologico. Quando la sua città natale fu coinvolta nei tumulti del dopoguerra, Heydrich entrò immediatamente nei Freikorps e fece da staffetta durante gli scontri con i comunisti. La marina era violentemente nazionalista e antisemita, ostile alla Repubblica di Weimar, aspramente delusa dal trattato di Versailles e a favore di una soluzione assolutistica ai problemi della Germania. Heydrich non doveva fare troppa strada per approdare al nazismo, e a Lina bastava accompagnarlo. Nella primavera del 1931, mentre Heydrich guadagnava pochi spiccioli in un club nautico, la sua madrina di battesimo intuì una possibilità di farlo entrare nelle SS. Il figlio di lei si era unito all’organizzazione ancora in nuce, e aveva sentito dire che Himmler cercava qualcuno che guidasse un’unità di controspionaggio. Dopo qualche raccomandazione, e con grande gioia di Lina, a Heydrich fu fissato un colloquio. All’ultimo minuto però Himmler annullò l’incontro per problemi di salute. Heydrich stava per rinunciare, ma Lina, nel timore di perdere l’occasione, inviò comunque un telegramma per comunicare che si sarebbe presentato lo stesso per il colloquio e lo costrinse a prendere il treno notturno per Monaco. Il mattino del 14 giugno Heydrich andò direttamente a casa di Himmler. Gli aprì la porta Margarete, che lo fece entrare e lo accompagnò dal marito. Avere Himmler a casa era una rarità per Margarete. L’anno precedente aveva tenuto duro ed evitato che la fattoria andasse in rovina, ma ormai la situazione era disperata. Le galline non facevano le uova e lei dovette uccidere le oche perché non poteva più permettersi di nutrirle. La tensione era palpabile, il marito si diceva solidale ma la sua mente era altrove. Oltre ad ampliare enormemente l’organico delle SS ne aveva ufficializzato le divise e i rituali; aveva poi assegnato le cariche più importanti ad avvocati, accademici, giovani laureati e aristocratici scontenti. Allo stesso tempo aspirava a creare una sezione clandestina delle SS per tenere sotto controllo gli oppositori. Il problema era che Himmler non aveva idea di come gestire le operazioni di intelligence. Gli risultava che Heydrich in marina avesse fatto esperienza in questo campo, ma ignorava che il suo era stato un ruolo prettamente tecnico. Perciò, quando Himmler gli chiese di spiegargli come avrebbe messo insieme un’unità di controspionaggio, Heydrich fece ricorso alla sua limitata conoscenza, basata sui romanzi di spionaggio inglesi che amava leggere. Colpito, Himmler gli offrì il posto: iniziava così una collaborazione che avrebbe condannato a morte milioni di persone.

Da quando si era trasferita nell’appartamento – e nel letto – di Hitler a Monaco, Geli Raubal aveva cominciato a cimentarsi senza successo in svariate attività, inclusi la recitazione e il canto, per occupare il tempo mentre lui non c’era. Quando Hitler era in città, Geli non aveva altra scelta che adattarsi alla sua routine. La vita sociale della ragazza girava attorno a quella di lui, che si trattasse di un pranzo informale con Ilse e suo marito o di una visita a sorpresa a Margarete Himmler. Quest’ultima rimase di stucco quando si ritrovò Hitler e Geli sulla porta di casa – «ero senza parole» – ma si godette la loro compagnia: «Chiacchierammo davanti a un caffè, fu molto piacevole».7 Geli si annoiava spesso e non vedeva l’ora di svagarsi un po’. Ma era più facile a dirsi che a farsi. Ogni anno, durante il periodo che precede la Quaresima, per le strade di Monaco sfilavano cortei di carnevale mascherati e danzanti. Geli aveva convinto Hitler a lasciarla partecipare a un ballo in costume, a condizione che Heinrich Hoffmann e l’editore di Hitler le facessero da accompagnatori. Nonostante le restrizioni Geli era emozionata e disegnò il bozzetto dell’abito che voleva indossare. Non un vestito provocante, ma nemmeno pudico. Secondo il racconto di Ilse, quando Hitler lo vide andò su tutte le furie; «tanto vale andarci nuda!» la apostrofò, e si mise a fare un bozzetto alternativo. Geli se la prese così tanto che afferrò il disegno e «corse via, sbattendo la porta».8 Sebbene Hitler si fosse scusato per il suo comportamento, Geli andò al ballo con un abito bianco, adatto alla serata. I suoi accompagnatori non la persero mai di vista, e la ragazza rientrò prima delle undici di sera. Nell’autunno del 1931 cominciò a non sopportare più la frustrazione e l’infelicità. Ad appena ventitré anni era una prigioniera virtuale alla disperata ricerca di una via di fuga. Supplicò Hitler di lasciarla tornare a Vienna, dov’era cresciuta, per cominciare una nuova vita. Lui non volle sentire ragioni, e le fece una sfuriata per aver anche solo preso in considerazione l’idea. Geli allora capì che non l’avrebbe mai lasciata libera. La sera del 18 settembre, mentre Hitler si trovava a Norimberga, Geli prese la pistola che lui le aveva dato per difendersi, se la puntò al petto e sparò. Crollò sul pavimento. Il proiettile le perforò un polmone e si conficcò alla base della spina dorsale. A faccia in giù, dopo una lenta e straziante agonia, Geli morì dissanguata. Il mattino seguente il cadavere – che mostrava già i primi segni di rigor mortis – fu probabilmente scoperto dalla governante, anche se Ilse raccontò sempre che il primo ad arrivare sul posto fu suo marito, dopo aver forzato la porta. Che fosse stato lui o meno a trovare il corpo, fu certamente Hess a incaricarsi dell’ingrato compito di comunicare l’accaduto a Hitler, riuscendo a raggiungerlo al telefono mentre stava per lasciare il suo albergo. Sconvolto e disperato, Hitler si precipitò a Monaco – prese una multa per aver guidato al doppio della velocità consentita – in modo da poter rispondere alle domande della polizia, che aveva già fatto una rapida indagine e parlato con alcuni testimoni, ed evitare uno scandalo. Per quarantotto ore i pettegolezzi si rincorsero, i giornali di sinistra gridarono all’omicidio, e sembrava che la credibilità di Hitler fosse a rischio. Il medico che esaminò Geli era convinto che si fosse uccisa, l’indagine ufficiale non trovò motivi per metterne in discussione il referto e il caso venne chiuso. Il cadavere di Geli fu trasportato in Austria e seppellito a Vienna. Hitler disertò il funerale, ma fece una visita solenne alla sua tomba, da solo, la settimana successiva. La stanza di Geli nel suo appartamento rimase intatta. Ilse era tra i molti convinti che Geli sia stata l’unico vero amore di Hitler, e che dopo la sua morte lui non fu più lo stesso. Perse la gioia e la capacità di godere delle piccole cose. Questo ritratto patetico, tuttavia, non considera che Hitler aveva già cominciato a frequentare Eva Braun. Andava a trovarla regolarmente nello studio di Hoffmann, dove lei continuava a lavorare; la portava fuori a cena e di tanto in tanto al cinema e le faceva dei regali. Geli sapeva dell’esistenza di Eva: si erano incontrate per caso durante l’Oktoberfest del 1930 e si erano scambiate qualche breve parola e occhiate malevole. Dopo il suicidio di Geli la relazione tra Hitler ed Eva, da innocente e superficiale, o presunta tale, divenne molto più seria. Più o meno consapevolmente, Eva stava per prendere il posto di Geli.

Göring avrebbe voluto essere accanto a Hitler nel momento del bisogno, ma stava a sua volta affrontando una crisi personale. Dall’inizio dell’anno la salute di Carin aveva subito un costante peggioramento. A giugno del 1931 fu ricoverata in un sanatorio, moribonda, con il polso debole e continue perdite di coscienza. Sentendo che la fine era vicina, i due fecero un ultimo viaggio insieme sulla Mercedes che Hitler aveva regalato a Göring. Si diressero a sud, in Baviera e poi in Austria al castello di von Eppenstein, dove Göring presentò la moglie all’uomo che gli aveva fatto da padre. Poi il 25 settembre morì la madre di Carin. Lei era decisa ad andare a Stoccolma per il funerale, anche se i medici l’avevano avvertita che poteva esserle fatale. Accompagnata dal marito, alla stazione fu accolta dal figlio Thomas: ormai quasi adulto e completamente riconciliato, il ragazzo ricordò che «non era mai stata tanto affettuosa». Sopraffatta, Carin crollò. Göring rimase al suo capezzale per giorni; Thomas raccontò che «si allontanava solo per rasarsi, lavarsi o mangiare un boccone veloce […] altrimenti rimase tutto il tempo inginocchiato accanto a lei […] a tenerle la mano, accarezzarle i capelli, tamponarle il viso e le labbra».9 Mentre Carin si avvicinava alla fine, Göring fu improvvisamente richiamato a Berlino per un incontro con il presidente Hindenburg, l’uomo che aveva in mano il destino della Germania. Diffidava di Hitler, ma aveva simpatia per Göring, l’ex eroe di guerra. Distrutto, Göring non voleva lasciare Carin, ma lei insistette perché compisse il proprio dovere. Anche in questo caso la sua dedizione alla causa fu più forte di tutto il resto. Alle quattro di notte del 17 ottobre Carin morì. Göring tornò quattro giorni dopo, in tempo per il funerale, celebrato nella cappella privata della famiglia, l’Edelweiss. La morte di Carin lasciò in Göring una ferita che né il potere né la ricchezza riuscirono mai a guarire.

L’anno si concluse con due matrimoni. La tensione irrisolta tra Magda e Goebbels riguardo al loro rapporto con Hitler si era spenta. Poco tempo dopo la morte di Geli una serie di incontri privati, tra Magda e Hitler, Goebbels e Hitler e i tre insieme, portò al raggiungimento di un tacito accordo. Magda e Goebbels si sarebbero sposati, così da poter stare vicino a Hitler e in modo che lui potesse stare accanto a lei. Il 19 dicembre 1931 Goebbels e Magda – che probabilmente era già incinta – si sposarono con un rito civile seguito da una cerimonia religiosa. Hitler era il testimone dello sposo; quando Magda lo ringraziò con un bacio, lui aveva le lacrime agli occhi. Il 26 dicembre si sposarono anche Lina e Heydrich. Tra gli amici e i familiari presenti c’erano le donne del gruppo nazista femminile locale, che regalarono ai due una svastica fatta a mano. Alcuni membri delle SA e delle SS in camicie bianche e pantaloni neri (in seguito a una temporanea messa al bando di entrambe le organizzazioni, non potevano indossare la divisa in pubblico) formarono una guardia d’onore attorno alla chiesa, dove risuonava Il canto di Horst Wessel, un inno caro ai nazisti. Heydrich era ormai di stanza a Monaco, dopo alcuni mesi trascorsi a imparare i trucchi del mestiere ad Amburgo, dove aveva affittato un appartamentino da un’anziana e cordiale signora e aveva lentamente costruito la struttura della sua unità di controspionaggio, il Sicherheitsdienst (SD). Guadagnava poco – meno del commesso di un negozio – ma abbastanza per permettersi di cominciare la nuova vita di coppia con Lina affittando un appartamento alla periferia di Monaco. Cinque giorni dopo il matrimonio Himmler introdusse una serie di linee guida per regolare le unioni nelle SS. Esigeva che il suo clan avesse esclusivamente radici nordiche e fosse privo di impurità razziali. Tutti i membri delle SS dovevano compilare un certificato che confermava l’idoneità biologica delle loro compagne; chiunque si fosse sposato senza il certificato sarebbe stato espulso. Se l’ascendenza ariana di Lina era inattaccabile, ben presto a finire sotto esame sarebbe stata nientemeno che quella di Heydrich. 5 La svolta

Nei primi mesi del 1932 sia Göring sia Hitler trovarono consolazione alla scomparsa delle donne che avevano amato. Oggi è impossibile saperlo con certezza, ma quasi tutte le fonti concordano sul fatto che all’inizio di quell’anno Hitler cominciò una relazione sessuale con Eva Braun. Eva era libera dal fardello di convenzioni che ancora appesantiva la generazione precedente; anzi, per molti versi assomigliava al nuovo tipo di donna “moderna” che scosse la società tedesca del dopoguerra: fumava, seguiva i balli di tendenza che arrivavano dai jazz club americani, leggeva riviste di moda e acquistava i prodotti di bellezza più pubblicizzati, venerava le star del cinema e i personaggi famosi. In più, aveva a cuore la propria indipendenza – la maggior parte delle giovani come lei aveva un lavoro, di solito nella vendita al dettaglio, nel settore ricreativo o nell’amministrazione – e non era intenzionata a rinunciare alla sua posizione da Hoffmann, attraverso la quale aveva cominciato a interessarsi seriamente di fotografia. Eppure, per altri versi, Eva incarnava l’ideale di “femminilità naturale” di Hitler. Bionda, atletica e sportiva – faceva ginnastica e nuoto per mantenersi in forma – era quasi del tutto priva di interesse per la politica o per le condizioni del paese; non era supponente, né spocchiosa, e aveva uno spirito libero e vivace. Inoltre, era emotivamente immatura, il che la rendeva facile da manipolare. Per lei Hitler era cortese, spesso affascinante, benevolo e premuroso, e il fatto di stare vicino a un uomo dalla fama crescente la lusingava e la emozionava. Eva non aveva colto quanto crudele e indifferente potesse essere quell’uomo verso coloro che osavano avvicinarglisi. Quella primavera Göring, con il cuore ancora spezzato, rivide una vecchia conoscenza, l’attrice trentottenne Emmy Sonne mann, che lavorava al teatro nazionale di Weimar. Göring si trovava in città e dopo uno spettacolo i due si incontrarono per caso al Kaiser Café; andarono a fare una passeggiata in un parco lì vicino e Göring parlò a lungo di Carin e di quanto la sua morte lo avesse abbattuto: «Parlò di sua moglie […] con così tanto amore e autentica tristezza che a ogni parola lo stimavo un po’ di più». In occasione di una successiva visita di Göring a Weimar pranzarono insieme e, nel giro di poco tempo, Emmy ricevette l’invito per un ricevimento a Berlino, dove trascorse «una serata emozionante». Emmy era solita presentarsi come un’artista che non si interessava di politica, e faceva del suo meglio per evitare di parlare del lavoro di Göring: «Dovevo sforzarmi molto per mostrare interesse di fronte a un argomento politico». Era molto più felice di parlare con lui «di teatro, libri, quadri e di relazioni umane».1 Per Emmy, la cosa più importante era che Göring la rispettasse come donna, e in quanto attrice. La sua passione per il teatro era nata quando aveva dodici anni, dopo aver visto una rappresentazione del Mercante di Venezia. Suo padre, un ricco imprenditore proprietario di una fabbrica di cioccolato, era assolutamente contrario alla sua scelta di calcare le scene, ma la madre fu più comprensiva. L’opportunità giusta si presentò a Emmy quando un famoso regista annunciò che stava aprendo una scuola di recitazione ad Amburgo – la città dov’era cresciuta – e offriva due borse di studio. La madre le garantì che se avesse vinto una delle due borse suo padre le avrebbe permesso di fare l’attrice. Andò così, e dopo aver completato il percorso formativo Emmy cominciò a lavorare in piccoli teatri regionali. Nel 1914, mentre interpretava Margareta nel Faust di Goethe, conobbe l’attore Karl Köstlin. Si sposarono un anno dopo, quando entrambi recitavano a Vienna. Per tutto il periodo della guerra rimasero spesso separati, perché lui fu arruolato nell’esercito austriaco. Sebbene lo trovasse «intelligente, distinto ed estremamente colto», al matrimonio mancava passione – «non eravamo altro che buoni amici»2 – e nel 1920 divorziarono di comune accordo. Due anni dopo Emmy si trasferì a Weimar, a circa duecento chilometri a sud di Berlino, dove rimase per i successivi dieci anni. Recitò in molti ruoli da attrice protagonista, sia nei classici sia in opere più moderne, come quelle di Ibsen e Oscar Wilde. Furono anni molto felici per lei; aveva un bel trilocale, amava il suo lavoro, si godeva la compagnia dei colleghi attori e passava il tempo libero nei bar e nei ristoranti del centro di Weimar. Il primo incontro con Göring avvenne in occasione di uno spettacolo del suo gruppo teatrale a una festa privata all’aperto, durante la quale gli attori recitavano un testo scritto dal padrone di casa. Göring era lì con Carin, che Emmy trovò affascinante: «Aveva l’aria malata, ma emanava un fascino irresistibile». Sin dall’inizio della sua relazione con Göring, Emmy mostrò grande sensibilità e tatto di fronte a quello che Carin rappresentava ancora per lui. Non che avesse altra scelta: il primo regalo che le fece Göring fu una fotografia della moglie morta. Quando per la prima volta andò a casa sua, Göring le mostrò una stanza che era una specie di altare alla memoria di Carin: «I suoi bellissimi occhi ci fissavano da innumerevoli fotografie appese a tutte le pareti».3 Ma Emmy aveva deciso: avrebbe aspettato il proprio momento, convinta che Göring fosse l’uomo giusto per lei. Nel 1932, però, né Hitler, né Göring avevano tempo da dedicare alle storie d’amore. Era l’anno delle elezioni, parlamentari e presidenziali. Hitler decise di sfidare Hindenburg, e benché nessuno si aspettasse una sua vittoria, la candidatura serviva a presentarsi come aspirante legittimo a un’alta carica. A Monaco la macchina del partito – guidata da Hess – non si fermava mai. Ilse, nonostante il divieto di contribuire direttamente al suo funzionamento, riuscì comunque ad assumere l’incarico informale di intermediaria con alleati, benefattori e potenziali sostenitori dentro e fuori la sua cerchia sociale, che comprendeva i rappresentanti della scena culturale della città (scrittori, pittori, filosofi), molti dei quali conosciuti nel mondo dei libri antichi. Al primo turno delle elezioni presidenziali Hitler ottenne il 30 per cento dei voti; Hindenburg il 49. Al turno successivo, Hitler guadagnò altri due milioni di voti, ma Hindenburg arrivò al 53 per cento. Nonostante un senso di sottile delusione, il confronto aveva permesso a Hitler di presentarsi nei panni dello statista sulla scena nazionale. Adesso, in occasione delle imminenti elezioni parlamentari, la priorità era convertire in voti la benevolenza dell’elettorato. Quando non volava su e giù per la Germania seguendo la campagna elettorale, Hitler faceva base a Berlino e si divideva tra la suite al lussuoso Kaiserhof Hotel e l’appartamento di Magda e Goebbels, diventato il suo quartier generale ufficioso. All’epoca aveva adottato una dieta strettamente vegetariana – mangiava ancora le uova, ma non i latticini – perciò Magda si assicurava che avesse sempre a disposizione cibo adatto; a causa della paranoia di Hitler di essere avvelenato, Magda gli faceva da mangiare anche quand’era in albergo. La campagna fu martoriata da episodi di violenza estrema. Spesso i raduni politici degeneravano nell’anarchia; in un’occasione Göring si lanciò in una rissa impugnando una spada. Le SA e il loro equivalente comunista, la Rote Frontkämpferbund (“Lega dei combattenti del fronte rosso”), si scontravano senza esclusione di colpi per le strade. C’erano attacchi mirati e aggressioni casuali. Verso la fine di maggio Margarete e Gudrun dovettero soggiornare per un po’ da alcuni amici in seguito all’esplosione di un colpo di pistola contro la loro casa. Heydrich fiutò il pericolo e mandò Lina in campagna per un paio di mesi. Ma a preoccupare Heydrich non era soltanto la sicurezza della moglie. A giugno un suo conterraneo e commilitone nelle SS lo aveva accusato di nascondere antenati ebraici. Allarmato, Himmler ordinò un’indagine approfondita, che rivelò l’origine del problema: la madre di suo padre, il cui secondo marito aveva un cognome che suonava ebraico. Fu una circostanza imbarazzante, ma non un colpo fatale. Il suo sangue non era impuro, e Heydrich era libero di riprendere la carriera nelle SS. Sarebbe facile suggerire che la persecuzione sistematica e implacabile di Heydrich ai danni degli ebrei avesse radici nell’insicurezza sulle proprie origini. Durante l’infanzia il padre venne preso di mira da antisemiti locali, e alcuni colleghi invidiosi continuarono a boicottare lo stesso Heydrich rivangando l’accusa di impurità. Ma non esistono prove che fosse spinto dal disprezzo per se stesso. Di certo Lina non diede alcun credito all’idea che lo motivasse il bisogno di espiare un passato sospetto. Semmai, Heydrich nutriva una esagerata autostima; non si pensò mai in una posizione di debolezza e non riteneva di doversi guardare le spalle, né si sentiva vulnerabile. Si considerava praticamente invincibile.

In qualità di amministratore del fondo previdenziale del partito, Bormann era molto impegnato dai tumulti legati alla campagna elettorale. Il modo in cui gestì le richieste di risarcimento delle vittime – morti e feriti gravi – e dei loro familiari gli fruttò una reputazione di scrupolosa onestà: nonostante le cifre considerevoli che gli passavano tra le mani – aveva a disposizione tre milioni di marchi – non tenne mai per sé neanche un soldo. Anche Gerda aveva il suo bel da fare; un anno prima aveva dato alla luce due gemelle: una si chiamava Ilse, l’altra – che morì pochi mesi dopo il parto – Ehrengard, come l’ex amante di Bormann. Non ci sono testimonianze riguardo alla reazione di Gerda alla tragedia, ma sappiamo che nell’autunno 1932 era di nuovo incinta. Con il marito immerso nel lavoro, rimase sola a gestire una famiglia sempre più numerosa; dai genitori non riceveva alcun aiuto a causa di una lite che era costata alla coppia la rottura definitiva con il padre di lei, Walter Buch. È difficile capire che cosa esattamente l’avesse provocata. Buch non chiarì mai le ragioni del litigio, e si limitò sempre a citare l’antipatia di lungo corso tra lui e Bormann. Una lettera scritta sul finire della guerra da Gerda al marito accenna alla chiusura dei contatti con la famiglia senza entrare nei dettagli. Qualunque fosse la causa, Gerda non rimpianse mai di aver perso un padre che non aveva mai avvertito come tale. Quanto a Bormann, era ben consapevole della bassa opinione che il suocero aveva di lui, e non si faceva scrupoli a seminare zizzania tra Gerda e suo padre. Del resto, Bormann era diventato indispensabile per il partito, e per fare carriera non gli serviva più il patrocinio di Buch. Inoltre, teneva a distanza anche i suoi stessi parenti. I figli di Gerda, dunque, crebbero senza i nonni. In compenso, trovarono una famiglia alternativa nell’élite nazista. Il 31 luglio la Germania andò alle urne: i nazisti riportarono un successo strepitoso, ottenendo il 37 per cento dei voti. La situazione economica del paese era catastrofica – oltre un terzo della popolazione attiva era disoccupato – eppure il governo sembrava incapace di intraprendere qualsiasi iniziativa. In queste circostanze estreme il carisma di Hitler e la sua immagine modellata dalla propaganda, associati al semplice e chiaro messaggio che soltanto lui avrebbe potuto unire una nazione frammentata e ricostruire l’orgoglio e il potere tedeschi, attirarono una grande varietà di persone. I nazisti erano ormai il partito più votato del Reichstag. Fatta eccezione per il proletariato urbano, che nel complesso rimase legato alla sinistra, ottennero voti da tutto lo spettro socioeconomico: braccianti impoveriti e agricoltori in difficoltà; negozianti e artigiani; impiegati statali e professionisti; maghi della finanza e grandi ereditieri. Molte elettrici dei partiti moderati di centro passarono dalla parte di Hitler. Sei mesi prima i nazisti avevano fatto confluire tutte le loro associazioni femminili in una sola organizzazione, la NS-Frauenschaft (NSF, “Lega delle donne nazionalsocialiste”). In linea con l’aumento dei voti femminili al partito, durante il 1932 la NSF conobbe una rapida espansione e da ventimila iscritte passò a oltre centomila. Considerata l’avversione di Hindenburg per il principale Partito socialista, arrivato secondo, restavano poche opzioni: garantire al nazismo un ruolo nel governo sembrava sempre più inevitabile. Ma Hitler voleva essere cancelliere, e nonostante le intense trattative di fine luglio e inizio agosto, nessuno era disposto a offrirgli quel ruolo. Nel corso dell’estate e dell’autunno ci fu la sensazione sempre più netta che i nazisti avessero sprecato la loro opportunità. Con il Reichstag praticamente paralizzato, a novembre furono indette nuove elezioni, che non fecero che confermare la sensazione di stallo. La quota di voti per il Partito nazista calò del 4 per cento, un segno inquietante che il partito aveva raggiunto il limite massimo della sua popolarità. Hitler si trovava di fronte a un dilemma: aspettare di essere chiamato al governo e rischiare di veder svanire il consenso, o tentare di impadronirsi del potere in maniera violenta e osare una guerra civile che i nazisti avevano poche speranze di vincere. Di ritorno a Monaco anche Heydrich dovette affrontare un grave problema: l’SD era cronicamente a corto di denaro, e la sua stessa esistenza era a rischio. A settembre lui e Lina si trasferirono dal loro piccolo appartamento in una villa a due piani. Occuparono il primo piano, e misero il piano terra a disposizione dei sette uomini che formavano la squadra dell’SD diretta da Heydrich. Lina faceva da «sentinella, cuoca e casalinga». Per sicurezza prese due cani da guardia, mentre la posizione della villa, che un ampio giardino separava dal cancello d’ingresso, le lasciava il tempo «di nascondere le cose compromettenti».4 Lina faceva del suo meglio per gestire la tenuta con un budget ridotto. Carne e pesce erano troppo costosi, perciò cucinava economiche minestre di verdure; il piatto forte della settimana era la tradizionale insalata di patate bavarese innaffiata di birra. Heydrich chiese aiuto a Ernst Röhm, capo delle camicie brune; sin dal principio le SS, benché teoricamente indipendenti, di fatto appartenevano ai ranghi di una vasta organizzazione che sotto la direzione di Röhm si era molto ingrandita e aveva visto crescere la propria influenza. Röhm era un ex soldato di prima linea con poca tolleranza per i civili. Per lui la via parlamentare al potere era un passaggio secondario, il semplice preludio a una rivoluzione sanguinosa che avrebbe fatto tabula rasa e trasformato la Germania in un grande campo militare. Lina sosteneva di essere stata determinante nell’ottenere l’appoggio di Röhm. Costretta a far quadrare il bilancio al centesimo, teneva persino il conto del numero di fiammiferi usati per far partire la caldaia del piano interrato. Quando si accorse che continuavano a sparire, pensò che qualcuno li stesse rubando. Allora decise di scoprire chi fosse il ladro. Comprò dei finti fiammiferi esplosivi in un negozio di articoli da festa e li mischiò a quelli normali, senza sapere che Röhm e Himmler stavano per fare un giro di ispezione. Prima che lei potesse intervenire, Röhm fece per accendersi un sigaro. Ci fu uno scoppio; Lina ricorda che Röhm «diventò bianco come un cencio»5 e Himmler si gettò a terra per ripararsi. A quanto pare Röhm fu così divertito dalla sua audacia e dalla sua ingenuità che autorizzò di buon grado ulteriori finanziamenti. La bella notizia coincise con la scoperta che Lina era incinta. Nove mesi dopo, Röhm diventò il padrino del piccolo.

Il 1º gennaio 1933 Ilse e suo marito erano tra i pochi prescelti per assistere all’esecuzione dei Cantori di Norimberga di Wagner all’Opera di Stato della Baviera insieme a Hitler e alla sua ospite speciale, Eva Braun. L’uscita pubblica confermava ufficialmente il fidanzamento. Ma la decisione di Hitler di portarla all’opera era dovuta anche al fatto che Eva, pochi mesi prima, aveva tentato il suicidio. Dopo essersi concessa, Eva aveva atteso a lungo che Hitler le mostrasse attenzione, ma nel 1932 lui non si trattenne quasi mai a Monaco. Anche quando c’era, aveva pochissimo tempo da dedicarle. Eva interpretava i silenzi e le assenze come un rifiuto. L’ansia si tramutò in disperazione. Come Geli, anche lei aveva una pistola. Scarabocchiò in fretta un messaggio di addio, si appoggiò l’arma alla gola e premette il grilletto. Mancò di poco l’arteria, e il proiettile le rimase conficcato nel collo. Nonostante la copiosa perdita di sangue, riuscì a chiamare un medico – il cognato di Heinrich Hoffmann – che arrivò immediatamente e la portò in ospedale, dove il proiettile venne rimosso con successo. Non sappiamo se Eva intendesse davvero uccidersi: il suo gesto era una richiesta d’aiuto? Pensava che fosse l’unico modo per attirare l’attenzione di Hitler? A prescindere dalle ragioni, Hitler rimase scioccato. Giurò che si sarebbe preso cura di lei. Quella serata a teatro tra amici intimi, come Ilse, era il suo modo di dimostrare a Eva che teneva a lei. Anche Goebbels doveva essere con loro, ma un’emergenza lo costrinse a tornare improvvisamente a Berlino. Magda aveva partorito senza problemi la loro prima figlia – Helga, nata il 1º settembre – ma la gravidanza le aveva aggravato un problema cronico al cuore. Pur non essendosi ancora rimessa del tutto, rimase di nuovo incinta. Il 23 dicembre ebbe un aborto spontaneo e fu ricoverata in ospedale. Dal momento che le sue condizioni erano stabili, Goebbels pensò di poter andare in Baviera e passare il Natale e il Capodanno con Hitler. Non fu così. La casa di Hitler a Obersalzberg – una regione montuosa di boschi e fattorie – non aveva il telefono, perciò il giorno di Capodanno Goebbels si recò nella vicina città di Berchtesgaden e chiamò l’ospedale a Berlino. A causa di un’infezione Magda aveva la febbre altissima ed era in pericolo di vita. Stravolto dall’angoscia Goebbels prese il primo treno e raggiunse la capitale di notte. Quando arrivò da Magda scoprì con sollievo che era fuori pericolo. Nelle frenetiche settimane successive andò a trovarla ogni volta che poteva, mentre lei si rimetteva lentamente. Göring trascorse il Natale con Emmy Sonnemann. Dopo un inizio incerto, la loro relazione era cresciuta in maniera lenta ma costante. Emmy passava regolarmente le notti a casa di lui, ma Göring continuava a pensare a Carin. Dopo Natale lasciò Emmy per andare a trascorrere il Capodanno con la famiglia della moglie in Svezia. Al suo ritorno Göring ebbe un ruolo cruciale nella fase drammatica che decise il futuro del nazismo, appianando le tensioni durante i negoziati tra Hindenburg e i propri compagni di partito, divisi tra la necessità di legittimare il potere con il consenso dell’elettorato e la tentazione di imporre una forma di dittatura. Il passare dei mesi portò il vecchio generale e i suoi alleati sempre più vicini a sciogliere le riserve riguardo a Hitler. Se gli avessero dato quello che chiedeva, l’appoggio delle masse di cui era a capo avrebbe rafforzato la loro posizione ormai in declino, e contribuito a sconfiggere la minaccia comunista, che temevano forse in misura maggiore. Se non lo avessero fatto, avrebbero rischiato una rivolta armata; le SA potevano contare ormai su oltre un milione di uomini. Concordarono sul fatto che fosse meglio cooptare Hitler e cercare di controllarlo, piuttosto che rischiare di essere scalzati da lui. Il 30 gennaio Hitler fu eletto cancelliere. Coloro che tramavano, convinti di poter neutralizzare il nazismo facendolo entrare nelle istituzioni, commisero un grave errore di valutazione nominando Göring ministro della Prussia, il più grande stato della Germania, sede della capitale. Tra le prerogative della carica c’era anche il controllo su tutte le forze di polizia, che Göring avrebbe usato con effetti devastanti. La sera dell’elezione i sostenitori nazisti si unirono alle SA e alle SS in un’enorme fiaccolata per festeggiare la vittoria. Hitler, Göring, Goebbels, Hess e Himmler – tutti in città per il grande giorno – si affacciarono trionfanti da un balcone del Kaiserhof Hotel. Fatta eccezione per Emmy, alla quale Göring aveva prenotato una stanza in modo che potesse vedere il corteo, nessuna delle loro compagne era presente. Il mattino seguente Hess si comprò un orologio nuovo, e scrisse a Ilse, frastornato: «È tutto vero o è stato un sogno?».6 Il 2 febbraio Magda venne dimessa dall’ospedale e tornò a casa, dove trovò Hitler ad aspettarla. Qualche settimana dopo, la sera del 27 febbraio, Hitler cenava con lei e Goebbels. Magda commise l’errore di servirgli della carpa. Irritato, la stava rimproverando – non sapeva che non mangiava pesce? – quando squillò il telefono. Qualcuno chiamava per avvertire che il Reichstag era in fiamme. Göring fu il primo ad arrivare sulla scena. Aveva un lussuoso alloggio – arredato con arazzi preziosi e altamente infiammabili – proprio di fianco al punto in cui infuriava l’incendio. Preso dal panico, chiamò Emmy, tornata a Weimar per riprendere il suo ruolo nel Faust, e poi andò in cerca di aiuto. Per decenni si è ipotizzato che in realtà l’incendio fosse stato appiccato proprio dai nazisti, ma a sostegno di questa tesi non sono mai emersi indizi concreti. Il piromane olandese accusato del crimine, che aveva vaghi contatti con la sinistra, rimane il colpevole più verosimile. Del resto aveva già cercato di incendiare numerosi edifici pubblici. I nazisti non persero tempo e annunciarono subito che l’attentato era il preambolo di una rivolta comunista su larga scala. Il giorno successivo Hindenburg firmò un decreto d’emergenza che di fatto sospendeva il principio di legalità, e autorizzava un pesante giro di vite, che peraltro in Prussia era già in corso. Migliaia di persone furono imprigionate e torturate. Göring era in prima linea: concesse alle SA gli stessi poteri dei corpi di polizia e organizzò il primo nucleo di quella che diventerà la polizia segreta nazista, la Gestapo. Nel giro di poche settimane, con le prigioni al collasso, spuntarono campi improvvisati per gestire il flusso di detenuti, una misura di cui Göring andava spudoratamente fiero; nel suo trattato politico Costruire la nazione ammetteva con disinvoltura: «fu del tutto naturale che all’inizio ci si lasciasse andare a qualche eccesso. Fu naturale che di tanto in tanto ci fosse qualche pestaggio».7 Nel frattempo furono indette nuove elezioni, previste per il 5 marzo: Hitler mirava alla maggioranza assoluta, in modo da poter smantellare il Reichstag. Trascorse la serata con Magda e Goebbels, poi andò a vedere La Valchiria di Wagner e infine si diresse alla Cancelleria del Reich per ascoltare i risultati alla radio. Nonostante le minacce, le intimidazioni, la violenza dilagante, i nazisti si aggiudicarono soltanto il 44 per cento dei voti. Tuttavia, dopo aver costretto con le cattive un piccolo partito nazionalista a fornirgli appoggio e convinto i centristi cattolici a collaborare, il Partito nazista riuscì a far approvare il Decreto dei pieni poteri, che dava a Hitler la libertà di sospendere il Reichstag e fare tutto ciò che voleva. Per ironia della sorte – considerato che era stata la culla del movimento – l’unica provincia che si oppose al dominio nazista fu la Baviera, i cui leader conservatori e nazionalisti si rifiutavano di cedere. Per Lina era molto frustrante vedere i nemici schiacciati ovunque tranne che a casa sua, mentre suo marito se ne stava ad ammuffire in panchina. Il Decreto dei pieni poteri, tuttavia, conferiva a Hitler l’autorità di annientare i politici in tutte le province. Il 9 marzo Ritter von Epp – capo dei Freikorps di cui aveva fatto parte Hess tanti anni prima – fu nominato commissario di stato della Baviera, e Himmler messo a capo della polizia. Il dado era tratto; nel giro di pochi giorni, centinaia di socialisti, comunisti e pubblici ufficiali ostruzionisti furono pestati, umiliati e arrestati. In una lettera ai genitori, Lina nascondeva a stento la gioia raccontando nel dettaglio ciò che era successo quando «le SA e le SS si sono divertite». Tra le vittime figurava un famoso cittadino ebreo: «l’hanno frustato, gli hanno fatto togliere scarpe e calze e l’hanno costretto a tornare a casa scalzo».8 Il senso di trionfo di Lina tuttavia non era condiviso da Magda e da suo marito, preoccupati del ruolo di Goebbels all’interno del nuovo regime. Mentre Göring imperversava in Prussia, Goebbels non aveva imprese concrete da rivendicare. Il suo desiderio più grande era avere il controllo sui media e sull’attività culturale di tutta la Germania. Alla fine Hitler lo accontentò – con l’eccezione della stampa – e il 14 marzo lo mise a capo del ministero del Reich per l’Istruzione pubblica e la Propaganda. Goebbels istituì delle sottosezioni per governare ogni area della produzione culturale: musica, teatro, arte, letteratura e cinema. Inorgoglito dalla sua nuova posizione, il 16 maggio portò Magda all’Opera di Stato di Berlino a vedere Madama Butterfly insieme alla regista cinematografica Leni Riefenstahl e al suo compagno. Leni era un’ex ballerina la cui carriera era stata interrotta da un infortunio, e prima di passare dietro la cinepresa era comparsa in numerosi film. Aveva attirato l’attenzione di Goebbels e Hitler durante il debutto del suo primo film come regista, La bella maledetta. Hitler chiese di conoscerla, e in occasione di un raduno di partito, nel 1932, Leni ricevette l’invito a una delle feste esclusive di Magda. Leni rimase molto colpita dalla donna – «una perfetta padrona di casa, che mi piacque subito» – ma trovò Goebbels ripugnante. Sfuggite ai paparazzi appostati fuori dal teatro, le due coppie presero posto in un palco, e Leni si ritrovò seduta accanto a Goebbels, che le infilò «la mano sotto il vestito; mi toccò il ginocchio e cercò di risalire lungo la coscia».9 Lei chiuse di colpo le gambe, schiacciandogli la mano finché non fu costretto a liberarsi con uno strattone. Secondo quanto racconta Leni nella sua autobiografia non era la prima volta che Goebbels tentava di molestarla. Se da un lato Leni non è la più affidabile delle fonti, d’altro canto la descrizione che fa del comportamento di Goebbels coincide con il genere di molestia sessuale che subirono da lui numerose attrici e starlette. Benché Leni sia vaga rispetto alle date, può darsi che Goebbels avesse cominciato a tormentarla mentre Magda era in ospedale in fin di vita. Con suo grande disappunto, Goebbels cominciò a chiamarla ogni giorno. Quando Leni gli chiese di smettere, lui si presentò al suo appartamento in ben due occasioni; la supplicò, si umiliò, cercò di intimorirla e di minacciarla, ma lei riuscì a resistere. Quella dell’opera non fu l’ultima aggressione; l’estate seguente Goebbels le si gettò addosso mentre erano insieme in auto e per poco non finirono fuori strada. Da quel giorno lui tenne le mani a posto, rendendosi conto che continuare a molestarla lo avrebbe soltanto danneggiato. Se avesse potuto distruggere la carriera di Leni lo avrebbe fatto, ma lei aveva l’appoggio di Hitler, ed era troppo in gamba per essere liquidata facilmente. È impossibile dire se Magda sospettasse qualcosa; il fatto che rimase in rapporti amichevoli con Leni farebbe pensare di no. Forse in quel frangente preferì attenersi al principio per cui “occhio non vede, cuore non duole”. Del resto, in tanti sarebbero stati più che felici di prendere il posto di Goebbels.

Mentre infuriavano il tumulto e l’entusiasmo, Margarete Himmler era concentrata sui problemi domestici. A febbraio lei e il marito vendettero la fattoria e si trasferirono in un sontuoso appartamento situato nella stessa via di Hitler, a Monaco. Margarete aveva cominciato a tenere “un diario d’infanzia”, un resoconto quotidiano dello sviluppo di Gudrun, nel quale si tormentava dei piccoli problemi di indisciplina e celebrava le bravate della figlia. Al contempo usava il diario per monitorare e valutare le sue competenze genitoriali. A marzo lei e Himmler adottarono un bambino di cinque anni, Gerhard; suo padre era un soldato delle SS rimasto ucciso in una rissa a Berlino il mese precedente. Oltre a essere un gesto che metteva Himmler in buona luce, l’adozione gli forniva anche un erede maschio, che Margarete non poteva più dargli: dopo le gravi difficoltà avute con il parto di Gudrun i dottori le avevano sconsigliato di provare ad avere altri figli. All’inizio Margarete era felice del nuovo arrivo. Il bambino le sembrava «brillante» e «molto obbediente»10 e lei sperava che sarebbe stato un buon esempio per Gudrun. Ma l’attitudine positiva di Margarete non durò a lungo, e ben presto Gerhard divenne l’ennesimo problema di cui doveva occuparsi. Dopo aver soddisfatto il suo desiderio di un figlio maschio e caricato Margarete di ulteriori responsabilità, Himmler cominciò a programmare la fase successiva dell’espansione delle SS. Non solo voleva per le SS il monopolio del terrore e del controllo, ma mirava a garantire all’organizzazione una forma di potere assoluto sulle proprie vittime. A metà marzo nelle carceri locali erano stipati oltre diecimila prigionieri. Per allentare la pressione, una fabbrica di munizioni abbandonata alla periferia di Dachau, a venticinque chilometri a nord-ovest di Monaco, fu trasformata in un campo di concentramento improvvisato. Nel giro di qualche settimana Himmler lo affidò alla giurisdizione delle SS. Per Himmler assumere il controllo di Dachau era una vera e propria dichiarazione d’intenti: tutti i campi di concentramento nazisti sarebbero dovuti appartenere a lui. Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate, tuttavia, poteva immaginare che l’ambizione di sgomberare la Germania dai suoi nemici ideologici lo avrebbe portato ai cancelli di Auschwitz. SECONDA PARTE Alta società 6 First Lady del Reich

Il 20 aprile 1933 Hitler trascorse la sera del suo quarantaquattresimo compleanno alla Konzerthaus di Berlino, dove poté assistere alla prima di un toccante spettacolo propagandistico a lui dedicato, già trasmesso alla radio durante la campagna per le elezioni di marzo. La serata di gala fu piacevole e segnò il debutto di Emmy sui palcoscenici della capitale. Al promettente esordio di Emmy nella nuova era del teatro tedesco contribuiva la sua amicizia e alleanza professionale con il famoso attore e regista Gustav Gründgens, celebre per aver interpretato Mefisto nel Faust di Goethe. Dopo l’ascesa al potere da parte dei nazisti, però, l’attore rischiava seriamente di perdere tutto. Gründgens era bisessuale, e negli anni venti aveva appoggiato i comunisti e lavorato nei teatri di sinistra. La sua amicizia con Emmy, tuttavia, che si sentiva «legata» a lui «sul piano artistico e personale», gli risparmiò il destino che toccò a molti altri. Emmy fece pressioni su Göring, che in quanto ministro della Prussia controllava teatri, sale da concerto e orchestre, e lo convinse a prendere posizione in favore di Gründgens. Dopo avergli rinnovato il contratto alla Konzerthaus, nel 1934 Göring lo nominò direttore. Le sue manovre accelerarono la carriera di Emmy, che finalmente approdava sulla scena nazionale dopo essere stata per anni un’attrice di successo, ma solo in provincia. «Avevo raggiunto il massimo cui qualsiasi attrice tedesca potesse ambire», dirà in seguito. Gründgens ed Emmy instaurarono una collaborazione vantaggiosa per entrambi: «Mi aiutò a sviluppare il mio talento».1 Dopo aver ripreso brevemente il ruolo consueto nel Faust, Emmy e Gründgens inaugurarono la stagione autunnale con la commedia Il concerto, una farsa su un vecchio pianista che seduce le sue giovani allieve mentre la moglie disperata cerca di farlo ravvedere. Lo spettacolo fu accolto positivamente e andò in tournée nell’estate del 1934, prima a Monaco e poi ad Amburgo. La tappa di Monaco stava per essere fatale: in viaggio verso Obersalzberg, l’auto di Göring ed Emmy si scontrò con un altro veicolo. Nell’impatto, il volante urtò violentemente il torace di Göring, fratturandogli due costole, ed Emmy si ferì alla testa andando a sbattere contro il parabrezza. Nonostante le brutte ferite, i due se la cavarono. Di ritorno a Berlino, Emmy e Gründgens scelsero un’altra commedia di cui lei sarebbe stata protagonista: Minna von Barnhelm, un classico intramontabile, del quale durante il Terzo Reich furono portate in scena oltre duecento rappresentazioni. La versione di Emmy e Gründgens rimase in cartellone per quasi un anno. Durante il periodo nazista la commedia fu il genere di gran lunga più popolare nei teatri tedeschi. I tentativi del regime di attirare il pubblico verso la satira politica di stato erano miseramente falliti, ma i nazisti riconoscevano il valore della commedia come valvola di sfogo, una momentanea liberazione e via di fuga dalla pressione sociale che loro stessi esercitavano sui cittadini. Il materiale innocuo e disimpegnato a cui attingere non mancava, che fossero opere di drammaturghi contemporanei con titoli come Hochzeitsreise ohne Mann (“Luna di miele senza marito”) e Krach im Hinterhaus (“Baccano in cortile”), oppure successi classici di scrittori sia tedeschi sia stranieri; La dodicesima notte e La bisbetica domata di Shakespeare furono gli spettacoli portati in scena più spesso, mentre le commedie argute di Oscar Wilde erano molto amate, come pure quelle di George Bernard Shaw, il cui Pigmalione fu adattato per il cinema nel 1935, con Gründgens nei panni del professor Higgins. Emmy non si limitò a usare la fama e l’influenza recentemente guadagnate a proprio beneficio. Nel mondo del teatro gli artisti ebrei erano perseguitati – costretti a lasciare il lavoro o al pensionamento – ed Emmy, grazie all’appoggio di Göring, intervenne tutte le volte che poté per aiutare i colleghi. La giornalista Bella Fromm scrisse nel suo diario che Emmy era stata meravigliosa «per la lealtà verso i suoi amici non ariani».2 Tuttavia, c’erano dei limiti a quello che poteva ottenere, e a ciò che Göring poteva fare per lei. Henny Porten era stata una star importante sin da prima del 1914; dopo una sfilza di successi aveva lavorato a Hollywood ed era passata abilmente dal cinema muto a quello sonoro. Suo marito però era ebreo, e Henny si rifiutò di divorziare, con il risultato di non poter più lavorare con nessuno. Emmy si rivolse a Göring, che le disse di avere le mani legate, ma lei non si arrese e continuò ad assillarlo. Alla fine, esasperato, Göring chiamò il fratello minore Albert – antinazista convinto – che lavorava nell’industria cinematografica austriaca e riuscì a trovarle degli ingaggi a Vienna.

La crescente influenza di Emmy era una sfida diretta al ruolo di Magda come First Lady del Reich. Quando il nazismo prende il potere, Magda è la candidata più ovvia al titolo; domenica 14 maggio 1933 tiene alla radio il primo discorso ufficiale in occasione della Festa della mamma, inserita dai nazisti nel calendario delle festività nazionali dopo che, nel corso degli anni venti, la richiesta della società civile – appoggiata con entusiasmo dall’associazione dei fiorai tedeschi – si era fatta insistente. Nel suo discorso Magda dichiarava orgogliosa che la madre tedesca coglieva «istintivamente» i «nobili obiettivi spirituali e morali» di Hitler ed era pronta a essere sua «sostenitrice entusiasta e una guerriera fanatica».3 La trasmissione radiofonica fu accolta con debordante entusiasmo e Magda ricevette centinaia di lettere da tutta la nazione. La mole era talmente cospicua – arrivarono anche richieste di denaro e di consigli sulla vita di coppia – che per gestirla dovette assumere due segretarie. Magda e i figli erano continuamente ritratti sulle riviste e i periodici come esempio della perfetta famiglia nazista. Benché Magda abbia certamente adempiuto il dovere più importante per le donne tedesche continuando a fare figli – tra il 1934 e il 1937 ebbe altre due figlie e un figlio –, non viveva la maternità come un desiderio innato. Nelle decine di immagini che la ritraggono insieme ai bambini appare sempre un po’ assente, persino distante nei suoi abiti impeccabili. Appassionata di moda, a fine primavera del 1933 Magda fu eletta presidentessa onoraria del nuovissimo Istituto di moda tedesco, ideato per incoraggiare uno stile nazionale unico, porre fine a negative influenze straniere ed estromettere gli ebrei dal settore: quest’ultimo obiettivo fu particolarmente ostico, dal momento che gran parte dell’industria era in mano agli ebrei (a Berlino, il 70 per cento degli abiti prêt-à-porter era prodotto da aziende ebraiche), e molti degli stilisti preferiti di Magda ed Emmy erano ebrei. Gli stilisti più esclusivi furono protetti grazie ai loro clienti importanti, ma entro la fine degli anni trenta il settore della moda era stato completamente arianizzato. Anche il secondo obiettivo dell’Istituto – fare in modo che le donne tedesche abbandonassero lo stile “moderno” promosso dalle case di moda francesi e dai film di Hollywood – incontrò diversi ostacoli. Nonostante le critiche sprezzanti alle tendenze straniere (come disse un commentatore nazista, «le puttane di Parigi hanno stabilito la moda proposta alle donne tedesche»),4 i tentativi di convincere il pubblico femminile a adottare indumenti popolari tradizionali come il dirndl, un costume del folclore contadino bavarese, non ebbero molto successo. A confondere ulteriormente la faccenda, un periodico sponsorizzato da Goebbels ritraeva regolarmente modelle in eleganti abiti da sera e in costume da bagno, e pubblicava una pagina dedicata ai problemi femminili; un numero dell’aprile del 1934 sollevava la controversa questione: capelli corti o lunghi? Magda era l’incarnazione di questi messaggi contraddittori. Benché il regime inveisse contro i cosmetici – dai rossetti alle ciglia finte – e incoraggiasse un look “naturale” (il periodico delle SS, “Das Schwarze Korps”, era pieno di immagini di donne seminude in pose atletiche), Magda utilizzava marchi di lusso come Elizabeth Arden, era sempre truccata e si spazzolava i capelli quarantadue volte prima di uscire di casa; in una dichiarazione pubblica al riguardo, disse che «la donna tedesca del futuro» avrebbe dovuto essere «elegante, bellissima e intelligente».5 Magda inoltre compariva spesso sulla copertina di “The Lady”, un’elegante rivista di moda che deteneva i diritti tedeschi di “Vogue” e pubblicizzava gli abiti di stilisti parigini come Chanel. Quando assunse la direzione dell’Istituto di moda, Magda confermò il suo impegno a rendere le donne tedesche «più femminili possibile».6 Il marito, allarmato, manovrò subito per ostacolarla, ordinando ai giornalisti che «Frau Goebbels» non fosse «in alcun modo collegata all’Istituto di moda».7 Quando a metà agosto 1933 si tenne la prima mostra dell’istituzione, Magda non era più coinvolta. Goebbels potrebbe averla licenziata per evitare la polemica ideologica che il suo atteggiamento avrebbe causato o assecondando una generale ostilità nei confronti delle mogli dei nazisti più importanti, ma è anche possibile che fosse invidioso e non volesse che Magda gli sottraesse le attenzioni del pubblico. Goebbels continuava a descriverla come una specie di angelo del focolare, ma era un esercizio del tutto inutile; non era facile immaginarla intenta a lavare piatti o strofinare pavimenti. Per quello c’erano le domestiche. Ciononostante, i nazisti facevano di tutto per trasformare le donne tedesche in casalinghe ultraefficienti, soprattutto quando la loro implacabile determinazione a preparare la nazione alla guerra prosciugò le risorse e i mezzi dell’economia civile e impose vincoli sempre più rigorosi ai consumi domestici. Burro, latte, uova, zucchero e caffè erano difficili da trovare, e anche tessuti e mobili scarseggiavano. Migliaia di donne frequentavano corsi, di pochi giorni o di qualche settimana, per imparare a cucinare il pesce, trovare un’alternativa più sostenibile all’arrosto della domenica, trasformare vecchie lenzuola in abiti, inscatolare e conservare il cibo e riciclare i completi dei mariti per farne gonne o gilet. Privata di una piattaforma per esprimere le proprie idee e a disagio di fronte alla prospettiva di interpretare il ruolo della casalinga, Magda riuscì comunque a trovare uno sbocco domestico per la sua creatività frustrata. Era portata per l’arredamento di interni e la decorazione, e visto il numero di residenze acquistate dalla coppia aveva di che tenersi occupata. Anche in questo caso, tuttavia, a Magda non era possibile sottrarsi alle pretese dell’ideologia nazista, e in particolare alla visione che Hitler aveva dell’arte. Il Führer disprezzava quella che definiva «arte degenerata» – in sostanza tutto ciò che era anche minimamente astratto o sperimentale – e si infuriò quando vide che Magda aveva appeso a una parete della residenza ufficiale di Goebbels al ministero della Propaganda un’opera di Emil Nolde, uno dei più famosi modernisti tedeschi. Dopo la scenata di Hitler il dipinto fu rapidamente rimosso e messo da parte con discrezione nella loro tenuta sul lago.

Mentre tentava di insidiare la corona di Magda, Emmy doveva ancora competere con il ricordo di Carin. Dopo il danneggiamento della sua tomba a Stoccolma, nel 1934 Göring fece trasferire in Germania i resti della prima moglie per poterla riseppellire. La bara, rivestita di zinco, viaggiò in treno con una scorta armata.* In ogni città che attraversava suonavano le campane e la stazione era listata a lutto. Giunto nella nuova tenuta di Göring, a nord di Berlino, il feretro venne solennemente deposto in un mausoleo sotterraneo, accompagnato dalle note del Crepuscolo degli dèi di Wagner. Hitler rese omaggio con una corona di fiori e un breve discorso ai sacrifici che Carin aveva fatto per il movimento. Commentando la cerimonia,il principale periodico femminile nazista decantò le virtù di Carin: «Ispiriamoci alla vita di questa donna nordica. Ammirati, restiamo in silenzio di fronte a una lealtà così lampante e alla grandezza interiore di una vera donna».8 Con diligenza la sorella scrisse una affettuosa biografia di Carin che divenne un bestseller; nel 1943 aveva già venduto novecentomila copie. La nuova tomba sorgeva nella tenuta di campagna di Göring, Carinhall, anche se il termine “tenuta” non rende giustizia al luogo. Costruita per ricordare un padiglione di caccia, aveva una piscina di quarantacinque metri, un cinema e una palestra al piano interrato, una stanza delle mappe, uno studio con un camino di granito, un’enorme biblioteca, una vasta sala dei banchetti circondata da colonne di marmo rosso di Verona in cui servivano domestici in livrea, futuristiche finestre azionabili a distanza e tende con ricamata in oro la lettera H. Nell’attico,un enorme plastico ferroviario con diciotto metri di binari, e un imponente vestibolo circondato da statue e dipinti. Il disagio che Emmy dovette provare nell’occupare una casa dedicata alla moglie defunta del suo compagno era poca cosa se paragonato all’emozione di essere la signora del maniero e di vivere nel genere di splendore che nemmeno le più affermate attrici di Holly wood potevano sognarsi. Poi, nel 1935, forse su consiglio di Hitler, Emmy e Göring annunciarono il loro fidanzamento. Anche se la festa organizzata a Carinhall per celebrare l’evento fu tutt’altro che modesta, non fu nulla in confronto al matrimonio. Il 10 aprile Berlino si fermò. In un rapporto a Londra l’ambasciatore inglese Eric Phipps descrisse la scena: «Un visitatore […] avrebbe potuto pensare che fosse stata restaurata la monarchia […] le strade erano addobbate; tutto il traffico sospeso […] e in cielo volavano duecento aerei militari».9 Dopo una cerimonia in municipio i trecentoventi ospiti – tra i quali Hitler e tutti i personaggi di spicco del partito – si spostarono alla cattedrale e poi a una festa sontuosa. Emmy ricevette moltissimi regali: il re di Bulgaria le conferì l’onorificenza più alta dello stato, accompagnandola con un braccialetto ornato di zaffiri; la sua città natale, Amburgo, le donò una nave d’argento massiccio, mentre gli scienziati della IG Farben – la principale azienda petrolchimica tedesca – le offrirono due gemme sintetiche. La sera prima delle nozze Emmy calcò per l’ultima volta le scene; se anche poteva avere dei rimpianti, riconosceva che sarebbe stato inappropriato «continuare a recitare».10 Così facendo non si stava solo adeguando al divieto generale di continuare a lavorare rivolto alle mogli dei gerarchi nazisti, ma anche alle pressioni che caratterizzavano tutta la linea politica del partito: il posto di una donna era a casa, non al lavoro. Tuttavia, come numerosi altri tentativi del regime di plasmare le donne a sua immagine, anche questo fu compromesso dalla priorità di preparare il paese alla guerra. Con lievi variazioni, la proporzione di donne lavoratrici rimase la stessa del periodo di Weimar, circa un terzo del totale. Coerentemente con il sistema di valori nazista, ci fu una diminuzione dell’impiego femminile nelle libere professioni, a cominciare dal 15 per cento di insegnanti in meno, ma le donne aumentarono nel settore dell’agricoltura, dell’industria e del lavoro d’ufficio. La maggioranza delle lavoratrici era nubile; le donne sposate erano soltanto il 35 per cento. Nonostante il ritiro dalle scene, Emmy non smise di interessarsi al mondo del teatro – si impegnò nella difesa e nella promozione dei musicisti classici e direttori d’orchestra che preferiva – o di esercitare la propria influenza, soprattutto quando si trattava di Gründgens. Nel 1936 alcuni critici insinuarono che la rappresentazione dell’Amleto diretta da Gründgens fosse ideologicamente sospetta. Consapevole che una critica negativa poteva farlo finire in un campo di concentramento, Gründgens fu colto dal panico e scappò in Svizzera. Allarmata dalla sua improvvisa scomparsa Emmy mandò il marito a cercarlo, e Göring riuscì a convincerlo a tornare; fece persino arrestare dalla Gestapo i giornalisti coinvolti nella faccenda e costrinse uno di loro a scusarsi pubblicamente con Gründgens. Lui però continuava a sentirsi vulnerabile e decise quindi di avvicinarsi anche a Goebbels. Quello stesso anno sposò l’attrice cinematografica Marianne Hoppe. Il matrimonio avrebbe contribuito a mettere a tacere le voci sulla sua sessualità, e la relazione con una stella del cinema lo avrebbe avvicinato al ministro della propaganda. In questo modo Gründgens riuscì abilmente a sopravvivere indisturbato all’era nazista.

Finalmente affermati come la coppia nazista per eccellenza, Emmy e Göring dominavano la scena sociale di Berlino con spavalderia, perseguendo in perfetta sintonia una teatrale ostentazione del loro status. Prima donna tanto quanto Emmy, Göring era famoso per il suo bizzarro modo di vestire – spesso accoglieva gli ospiti in toga e pantofole alla turca – e per l’abitudine di indossare una serie infinita di divise variopinte ed elaborate, impreziosite dalle medaglie che continuava ad autoassegnarsi come capo dell’aviazione tedesca, la Luftwaffe. Questo cangiante guardaroba era una costante fonte di divertimento per il pubblico, che non si stancava mai di inventare aneddoti e storielle sul suo abbigliamento stravagante; battute più affettuose che maligne, visto che la sproporzionata vanità lo faceva apparire più umano. Sembrava più facile immedesimarsi in lui piuttosto che negli altri leader nazisti. «“Vostra eccellenza”, avverte l’assistente di Göring, “è scoppiata una conduttura al ministero dell’Aria!” Göring si rivolge alla moglie e grida, “Presto, Emmy! Dammi subito la divisa da ammiraglio!”.»11 Un esempio tipico del loro atteggiamento pretenzioso fu la festa organizzata per celebrare il quarantatreesimo compleanno di Göring, il 12 gennaio 1936. Oltre duemila ospiti pagarono cinquanta marchi – poi dati in beneficenza – per prendere parte ai bagordi all’Opera di Stato di Berlino; la serata fu allietata da un’orchestra al completo che suonava valzer e melodie jazz epurate, champagne a fiumi e una tombola – tra i premi, carri armati e mitragliatrici in miniatura fatti di marzapane e una spilla tempestata di diamanti a forma di svastica. Significativamente, Magda si diede malata e Hitler, che non aveva nessuna intenzione di essere eclissato, rimase a casa. La posa da antichi imperatori dei Göring fu rafforzata dalla loro decisione di tenere in casa dei cuccioli di leone. Prendendoli in prestito dallo zoo e restituendoli una volta cresciuti, Emmy trattava i suoi leoncini come se fossero innocui animali domestici o bambini piccoli: «Ogni volta che un cucciolo arrivava a casa nostra, si spaventava moltissimo quando lo mettevamo per la prima volta nella vasca da bagno. Ma presto imparavano che venivano lavati una volta alla settimana e si lasciavano insaponare per bene».12 Emmy recitava una parte per nascondersi l’orribile verità del lavoro di Göring: gli aerei turbo della Luftwaffe erano entrati in azione per la prima volta durante la guerra civile spagnola per combattere al fianco delle forze di Franco ed erano responsabili della devastazione della cittadina di Guernica. Henriette Hoffmann, che nel 1932 aveva sposato Baldur von Schirach, il leader della Gioventù hitleriana, fece un’osservazione acuta sul mondo di fantasia che si era creata Emmy: «Si illudeva che […] le divise fossero costumi di scena, il palazzo una scenografia, il suono della guerra solo un effetto speciale e gli splendidi regali semplicemente materiale scenico. Non ha mai voluto la realtà».13 Magda e Goebbels cercavano di stare al passo. Di certo, gran parte di coloro che incontravano Magda nella serie infinita di ricevimenti, soirée diplomatiche ed eventi formali la trovavano incantevole – a eccezione di Bella Fromm, che dichiarò di non aver mai visto «una donna con occhi così gelidi», carichi di «determinazione e ambizione smisurata».14 Ma ovunque Magda andasse, Emmy e suo marito erano nei dintorni a marcare il territorio durante gli eventi e finivano per vincere la competizione. Uno dei momenti più importanti del calendario mondano era una giornata alle corse dei cavalli. L’ippodromo di Berlino era gestito dall’esclusivo Union Club – fondato nel 1867 –, che contava cinquecento membri paganti. Il circolo si espanse rapidamente durante il nazismo con stand più grandi, un maggior numero di cavalli, strutture che includevano un salone e una clinica per gli animali e un’area speciale in cui le signore altolocate come Magda ed Emmy potevano mangiare, bere e scommettere indisturbate. Goebbels cercò di far pesare la sua influenza organizzando al club una sfilata annuale di moda– con l’aiuto, neanche a dirlo, di Bella Fromm – ma Göring lo batté facilmente offrendo la più grande somma in denaro mai assegnata al vincitore del Gran premio di Berlino – ribattezzato Gran premio della capitale del Terzo Reich – che era la prima corsa dell’anno. Per quanto Magda e Goebbels cercassero di brillare, non potevano competere con il reddito di Göring, il nazista più ricco dopo Hitler. Quasi tutti gli esperti militari ritenevano che la potenza aerea si sarebbe rivelata decisiva nella grande guerra che attendeva la Germania, e l’aviazione di Göring fu uno dei principali beneficiari del programma di riarmo di Hitler. Göring aveva l’ultima parola sulla progettazione e sulla produzione dei velivoli; assegnava appalti e stanziava i fondi provenienti dallo stato e dagli investimenti privati. Tutto ciò gli permetteva di stornare impunemente una fortuna dal budget della Luftwaffe e ricevere bustarelle dalle compagnie in cambio di appalti. Nel 1936 il suo impero crebbe in modo considerevole quando Hitler lo nominò capo del Piano quadriennale, pensato per preparare l’economia alla guerra totale e per incoraggiare l’autarchia nella produzione di numerosi prodotti primari: ferro, acciaio, petrolio e gomma. Hitler si era stancato del suo ministro dell’economia, riluttante a incrementare il ritmo del riarmo. Creando il Piano quadriennale e affidandolo a Göring – nonostante la sua assoluta mancanza di credenziali e di esperienza in campo economico – Hitler sabotava l’influenza del ministro e promuoveva un uomo ossessionato dalla guerra quanto lui. Una volta a capo di questo esteso conglomerato, Göring fu libero di sottrarre denaro su larga scala; tra gli apportatori di capitali alla sua società, la Göring Inc., figuravano infatti compagnie tedesche come BMW e Bosch, le aziende svedesi Electrolux ed Ericsson e le società americane Standard Oil e General Motors. Benché Goebbels non fosse meno corrotto di Göring, le sue fonti di guadagno erano tutt’altro che consistenti. Lui e Magda avevano una residenza ufficiale al ministero della Propaganda e una casa a Berlino, oltre a due tenute sul lago, non lontano dalla città; la più grande era a Schwanenwerder, una casa di campagna in stile inglese dotata di stalle per i pony e una dépendance con quattro stanze riservata agli ospiti; la seconda residenza, finanziata dallo stato, si trovava a Lanke, una villa signorile leggermente più piccola della prima, ma non meno lussuosa. Göring ed Emmy, però, avevano tre case a Berlino, Carinhall (in continua espansione), una grande casa di campagna a Obersalzberg, ed entrambi i castelli che Göring aveva ereditato dal patrigno. Goebbels poteva anche aver comprato una barca a vela – di cui peraltro andava molto fiero – ma Göring aveva due grossi yacht, Carin I e Carin II. La porzione di bosco acquistata da Goebbels non poteva competere con i centomila acri che circondavano Carinhall, usati da Göring come personale tenuta di caccia. Agli ospiti di Göring ed Emmy veniva servito cibo migliore – sia in termini di qualità sia di quantità –; le porzioni servite alla tavola dei Goebbels erano notoriamente scarse, tanto che spesso gli ospiti si rimpinzavano preventivamente. Emmy e suo marito facevano anche vacanze migliori. Entrambe le coppie viaggiavano spesso all’estero, unendo piacere e lavoro, a volte per pochi giorni, altre per visite più prolungate. Goebbels tuttavia viaggiava perlopiù da solo, dal momento che Magda era spesso incinta o doveva riprendersi dopo aver partorito. Magda era stata più volte a Roma e nel Nord Italia e a settembre del 1936 raggiunse la Grecia per una decina di giorni con il marito e altre coppie. Dopo brevi soste a Budapest e Belgrado, il gruppo volò ad Atene, dove fu accolto da una folla di seguaci con l’offerta di un pranzo a buffet. Subito dopo ci fu l’incontro con il re e una seduta con il primo ministro, seguita da un po’ di tempo libero per visitare il paese. Goebbels fu estasiato dalle glorie dell’antichità – l’Acropoli, il Partenone, l’anfiteatro di Delfi – ma Magda si sentiva giù di tono a causa dell’afa. Poi, in occasione di una gita in barca di quattro giorni per visitare i siti antichi di alcune isole, Magda fu costantemente in preda alla nausea. Emmy, al contrario, si godeva numerose escursioni sui suoi yacht, sia lungo il Reno sia navigando nell’Adriatico. E poi c’erano le visite di stato ai potenziali alleati. Nella primavera del 1939 Emmy e Göring andarono in Libia, ospiti nella residenza estiva del governatore fascista Italo Balbo, che aveva intrapreso una feroce campagna contro i ribelli autoctoni per garantire il dominio italiano. Il giorno dopo il loro arrivo ci fu una sontuosa festa di benvenuto «con grandi fontane illuminate e guardie moresche» che ricordò a Emmy «una storia delle Mille e una notte». Altri momenti salienti del viaggio furono una parata militare e una gita nel deserto a dorso di cammello, «come essere in barca col mare mosso», secondo Emmy. L’anno seguente i Göring visitarono i Balcani come ospiti di entrambe le famiglie reali di Bulgaria e di Serbia, e soggiornarono «in un castello fiabesco affacciato sul mare».15

L’unico vantaggio concreto che Magda e Goebbels avevano sui loro rivali era il rapporto unico che li legava a Hitler. Il triangolo continuava a funzionare indisturbato anche dopo la scalata al potere: Hitler passava spesso a trovare Magda e i bambini, festeggiavano i compleanni insieme, facevano viaggi sulla costa e lunghe chiacchierate fino a notte fonda. In occasione del quinto anniversario di nozze di Magda e Goebbels, in segno d’affetto Hitler regalò alla coppia un dipinto a olio del pittore di metà Ottocento Carl Spitzweg che alludeva al matrimonio: intitolato L’eterno sposo, raffigurava un gentiluomo di mezza età che offre dei fiori a una fanciulla. Goebbels era una presenza fissa ai pranzi che Hitler teneva alla Cancelleria del Reich, dove impersonava il buffone di corte. Il suo sarcasmo era leggendario e Hitler apprezzava il modo in cui sceglieva la sua vittima per poi farla a pezzi senza pietà con battute taglienti. Allo stesso tempo, Hitler «chiedeva spesso a Frau Goebbels di invitare qualche giovane attrice a prendere il tè, e si divertiva moltissimo a partecipare a questi incontri mondani».16 Il Führer era diffidente nei confronti di Emmy; non la screditava, né la criticava, ma non era mai rilassato in sua presenza: forse ne percepiva la mancanza di dedizione ideologica o era disorientato dal fatto che lei non lo trattasse come una specie di semidio. Il suo rapporto con lei non aveva niente dell’intimità e dell’affinità elettiva che lo legavano a Magda. Questo legame speciale rischiò una rottura definitiva in occasione del raduno di partito del 1935 a Norimberga. La causa fu la partecipazione all’evento di Eva Braun, che per la prima volta venne presentata a Magda e a molte altre importanti personalità naziste. Questa esposizione pubblica della relazione segreta di Hitler si verificò in circostanze simili a quelle che avevano portato la coppia a mostrarsi a teatro all’inizio del 1933: Eva aveva di nuovo tentato il suicidio. Durante il 1934 aveva visto spesso Hitler, e la consuetudine le aveva dato un senso di illusoria sicurezza che all’inizio del 1935 rese ancora più intollerabile il fatto di vedersi di nuovo trascurata. Il 6 febbraio Hitler si dimenticò del suo compleanno. Nelle settimane a seguire, nemmeno una telefonata. Eva riuscì a vederlo per un paio d’ore solo il 2 marzo. Il giorno dopo lui tornò a Berlino senza salutarla. Per tutto il resto di marzo e di aprile Eva venne lasciata a se stessa, e la solitudine le diventò insostenibile. Una testimonianza della sofferenza di Eva si legge nelle ventidue pagine superstiti del diario che teneva in quel periodo. Il 4 marzo era «sulle spine» mentre si aggrappava alla vana speranza che lui comparisse all’improvviso. Una settimana dopo si lamentava amaramente: «gli servo solo per certe cose». Il 29 aprile ammetteva con dolore che «al momento l’amore non sembra essere nei suoi piani».17 Eva non sapeva che Hitler era a riposo in seguito a un piccolo intervento alla gola per asportare una cisti. Verso la fine di maggio, sempre all’oscuro delle condizioni di lui, ebbe violenti sbalzi d’umore che portarono a una crisi isterica: la sera del 28 prese una dose eccessiva di tranquillanti. La sorella minore la trovò in tempo e un medico premuroso venne in suo aiuto. Hitler si rese conto di doversi far perdonare e a settembre lasciò che partecipasse insieme alle altre mogli dei leader al raduno di partito. Forse inconsapevole dell’importanza di Eva per Hitler – del resto non era insolito vederlo in compagnia di una giovane donna – Magda fece qualche osservazione maligna su di lei. Una delle guardie del corpo di Hitler ricordò che Magda era «assolutamente inorridita» da «quella ragazza capricciosa con l’aria insofferente seduta nella tribuna d’onore».18 Le parole arrivarono a Hitler. Furioso, non volle vederla per oltre sei mesi. Considerata la forza dei suoi sentimenti per Hitler – un autista ricordava caustico che quando Magda era con il Führer si sentivano «le sue ovaie che si agitavano» –,19 per lei fu una tortura vedersi negato il contatto, e senza dubbio questa circostanza contribuì alla crescente insofferenza per il proprio matrimonio. Senza le regolari visite di Hitler, i problemi che aveva con il marito erano più difficili da ignorare. Anche Goebbels soffriva, preoccupato di perdere il favore dell’uomo che significava tutto per lui; insieme, lui e Magda cercarono di blandirlo. Riservarono una casetta rustica nella loro proprietà di Schwanenwerder a suo uso esclusivo. Finalmente, il 19 aprile 1936 Hitler andò a vederla di persona, e lui e Magda si riconciliarono. Questo sviluppo positivo, tuttavia, non bastò a rincuorarla. Alcune settimane dopo l’incontro, Goebbels descrisse nel suo diario la malinconia della moglie: «singhiozza ed è tristissima», e «a volte è lunatica: come tutte le donne».20

A provocare scompiglio – e attriti con Eva – in occasione del raduno di partito del 1935 furono due sorelle dell’aristocrazia inglese, Unity e Diana Mitford, provenienti dal genere di famiglia vagamente artistica, eccentrica e anticonvenzionale dell’alta società che lo scrittore Evelyn Waugh ha descritto alla perfezione. Diana era l’amante di Oswald Mosley, ex politico laburista che nel 1932 aveva fondato l’Unione britannica dei fascisti. Tuttavia fu Unity, la più giovane delle due, ad appassionarsi al nazismo e in particolare a Hitler. All’epoca girava voce che avesse anche una storia con lui. Diana ha smentito questo pettegolezzo, dichiarando che «l’ammirazione e anche l’affetto [di Unity] per lui erano immensi, ma non era innamorata», e pensava che Hitler apprezzasse semplicemente la personalità allegra di sua sorella; Heinrich Hoffmann disse che Unity era sia un esempio dell’ideale femminile di Hitler sia potenzialmente utile «a scopo propagandistico». Hitler sperava di sfruttare la «cieca devozione»21 di Unity come parte della campagna in corso per garantirsi la neutralità dell’Inghilterra nella guerra che era deciso a combattere. Eppure, a quello scopo, sembrava preferire Diana – con cui si confrontava in incontri faccia a faccia – senza rendersi pienamente conto che la sua relazione con Mosley ne comprometteva la credibilità nel Regno Unito. Quando Unity arrivò a Monaco, nel 1934 – e dopo che lei e Diana parteciparono al raduno di Norimberga – cominciò a comportarsi da fan sfegatata. Pedinava Hitler, seguendo i suoi spostamenti quotidiani, memorizzandone le abitudini e i percorsi consueti in attesa del momento in cui si sarebbe accorto della sua presenza, il che accadde il 9 febbraio 1935 al Café Osteria. Dopo aver finalmente stabilito un contatto, Unity convinse Diana a raggiungerla a Monaco. Le due sorelle suscitarono reazioni contrastanti tra i seguaci nazisti; i loro abiti scollati e l’uso generoso del rossetto sollevarono non poche perplessità. Friedelind Wagner, la figlia maggiore di Winifred, era un po’ più indulgente, e ricorda Diana come «la tipica, fredda bellezza inglese con gli occhi azzurri», mentre Unity era «una ragazza attraente», salvo quando sorrideva e mostrava «i denti più brutti che abbia mai visto».22 Magda fu l’unica a entusiasmarsi davvero per Unity e ad apprezzarne il vivace senso dell’umorismo. Ogni volta che Unity era a Berlino le due uscivano insieme; andavano a fare compere, al cinema e all’opera. A Magda piaceva anche Diana, e il sentimento era reciproco. Quest’ultima scrisse nella sua autobiografia: «adoravo Magda Goebbels e i suoi figli». Magda si prodigò per aiutare Diana e Oswald Mosley a sposarsi in Germania. Diana era divorziata – il suo ex marito era un membro della ricchissima famiglia Guinness – e Mosley era rimasto vedovo da poco; entrambi desideravano evitare la pubblicità negativa che avrebbero attirato se si fossero sposati in patria. Diana chiese aiuto a Magda «per la compilazione di tutti i moduli»23 e il 6 ottobre 1936 fu celebrato il matrimonio. La cerimonia si svolse negli appartamenti privati di Goebbels al ministero della Propaganda. Diana indossava una tunica d’oro chiaro; Hitler diede la propria benedizione ai due sposi e regalò loro una sua fotografia autografata in una cornice d’argento; dopodiché, Magda offrì il banchetto di nozze e regalò a Diana le opere complete di Goethe in edizione rilegata in pelle. Un paio di mesi prima Hitler aveva personalmente invitato le due sorelle ai Giochi olimpici del 1936 e messo a loro disposizione una limousine con autista per scortarle avanti e indietro dallo stadio. Diana e Unity, ospiti di Magda e Goebbels, insegnarono alla coppia il gioco di società inglese “Analogie”. I giocatori dovevano indovinare l’identità di una persona usando un’analogia; per esempio, se fosse un colore, quale sarebbe? Nel caso di Hitler, Goebbels non aveva dubbi: «rosso fuoco».24 Durante i Giochi olimpici i nazisti si impegnarono per sedurre i visitatori di Berlino; le strade vennero ripulite da tutto ciò che poteva risultare sgradevole. La propaganda antisemita fu ridimensionata, vagabondi e ladruncoli sistematicamente eliminati. Per due settimane, con la capitale affollata di rappresentanti di gran parte degli Stati che partecipavano ai Giochi, le principali concorrenti al titolo di First Lady del Reich ebbero l’opportunità perfetta di accrescere il proprio prestigio internazionale. Per dare il via alla manifestazione, il giorno di apertura dei Giochi Hitler presiedette un banchetto. L’indomani Göring prese il testimone e ospitò un raffinato pranzo privato – con un menu che prevedeva anche zuppa di coda di canguro – seguito il 6 agosto da una sfarzosa cena ufficiale. Nel frattempo, Goebbels e Magda si stavano preparando a dare una grande festa programmata per il 15. Prima però Göring ed Emmy avevano ospitato il proprio evento finale nella proprietà di cui disponevano all’interno del ministero dell’Aria. Dopo una cena sontuosa e un balletto al chiaro di luna, l’arena si trasformò improvvisamente in un parco divertimenti, con giostre, un caffè, chioschi per la birra, e una processione di cavalli bianchi, asini e attori travestiti da contadini che si muoveva tra la folla sbigottita. Due giorni dopo Magda e Goebbels diedero il benvenuto a tremila ospiti su Pfaueninsel, l’isola dei pavoni, una fiabesca riserva naturale immersa nel verde e raggiungibile solo in traghetto. Sulle prime sembrò che la festa dei Goebbels avesse eguagliato o persino superato quella dei rivali: i viali alberati erano illuminati da lanterne, tre orchestre suonavano musica da ballo, ci furono un barbecue all’aperto e spettacolari fuochi d’artificio. Con il passare della serata, però – mentre le giovani coppie sparivano per appartarsi nel bosco – la situazione cominciò a sfuggire di mano. Gli uomini delle SA e delle SS incaricati della sicurezza avevano tracannato grandi quantità di alcol, e un piccolo battibecco si trasformò in una rissa. Volarono sedie e bottiglie davanti agli ospiti inorriditi che scappavano in cerca di riparo. Mortificata, imbarazzata ed esausta, Magda guardò l’alba sorgere su macerie di vetri rotti, tavoli rovesciati e ospiti arruffati, piangendo inconsolabile.

Una bella mattina di maggio del 1937 Emmy sentì di aver raggiunto «il colmo della felicità», quando insieme al marito inaugurò una casa di riposo per attori in pensione. Era entrata nel consiglio di amministrazione del Marie Seebach-Stift – una fondazione istituita negli anni venti per dare alloggio ad attori indigenti – e aveva convinto Göring a finanziare l’organizzazione, che si trovava in difficoltà. Grazie alle sue generose donazioni, la fondazione riuscì ad acquistare un lotto di terreno e a costrui re in una pittoresca località boschiva una nuova struttura di trentacinque stanze, con un grande salone per il pranzo e una biblioteca. In segno di gratitudine la fondazione fu intitolata a Emmy e sotto la sua direzione continuò a prosperare, tanto che nel 1945, all’arrivo delle truppe sovietiche, stava ancora accogliendo nuovi residenti. Poi, contro ogni aspettativa, Emmy scoprì di essere incinta. La sua gioia fu immensa: finalmente poteva unirsi alle altre madri del Reich. La notizia delle sue condizioni si diffuse subito e ben presto in tutta la Germania si moltiplicarono le voci e i pettegolezzi. Emmy aveva quarantadue anni e Göring quarantaquattro, e dal suo matrimonio con Carin non erano nati figli – anche se a causa delle precarie condizioni di salute di Carin e non della presunta impotenza di lui –, dunque la paternità del bambino fu subito messa in dubbio. La vita sessuale di Emmy e Göring era già oggetto di innumerevoli battute, spesso riferite alla performance di lui durante la prima notte di nozze (per esempio, si diceva che Emmy avesse smesso di andare in chiesa dopo la loro luna di miele perché aveva perso la fede nella resurrezione della carne). Alcune battute si basavano sulla diceria che il padre fosse Mussolini, perché qualche mese prima il dittatore italiano aveva trascorso del tempo in compagnia della coppia; altri arrivavano ad accusare il genero del Duce, il conte Ciano, noto sessuomane, che si vociferava avesse anche avuto una storia con Magda Goebbels. Le allusioni più plausibili invece puntavano il dito contro l’autista o il primo assistente di Göring nella Luftwaffe. Per esempio: un alto ufficiale dell’aviazione chiede a Göring cosa si dovrà fare per festeggiare nel caso nascesse una femmina. Göring risponde: «Una parata con cento aerei». E se è un maschio? «Una parata con mille aerei». E se non c’è nessun bambino? «Mandiamo il mio aiutante davanti alla corte marziale».25 A Göring piaceva vantarsi del proprio senso dell’umorismo, tanto che aveva un quaderno su cui annotava le sue battute preferite, ma se si trattava della sua virilità e della dignità di Emmy non aveva nessuna voglia di scherzare. Pare che quando il celebre comico di un locale notturno di Berlino fece una battuta di troppo, Göring lo abbia spedito per qualche giorno in un campo di concentramento. Non esistono prove della veridicità di questa storia, ed è possibile che sia stato Goebbels, nel 1936, a prendere provvedimenti contro lo sprovveduto comico, mandandolo a Dachau prima che Göring lo facesse liberare. Tuttavia, non c’è dubbio che Göring fosse molto suscettibile sull’argomento, e che si offendesse ogni volta che qualcuno metteva in discussione la paternità del bambino. Quando il fondatore e direttore di lungo corso di un tabloid rozzo e ferocemente antisemita scrisse un’osservazione volgare su Emmy, Göring lo fece a pezzi: l’uomo fu trascinato davanti al Tribunale di partito, sfuggì per poco alla scomunica totale e perse la sua posizione nell’élite nazista. Alla fine, niente poté togliere a Emmy e al marito la gioia all’idea di diventare genitori. Le uniche nubi all’orizzonte erano legate alla salute. Si temeva infatti che la gravidanza potesse aggravare i problemi alla sciatica di cui Emmy soffriva da anni, mentre Göring aveva un brutto mal di denti che lo costrinse a sottoporsi a una serie di operazioni. Gli vennero prescritti antidolorifici che contenevano una piccola quantità di codeina. Benché la sostanza fosse molto meno pericolosa della morfina, Göring continuò ad assumere i farmaci anche al termine della cura, arrivando a prendere prima fino a cinque pastiglie al giorno, e nel giro di poco tempo addirittura dieci. Il 29 ottobre 1937 Magda e Goebbels tennero un elegante ricevimento al ministero della Propaganda per il fior fiore della scena culturale tedesca. Tra gli ospiti c’era anche Hitler, che a cena sedeva di fronte a Magda, l’onnipresente Heinrich Hoffmann e un gruppo di famosi registi cinematografici e attori e attrici celebri. L’intera serata fu gestita con la precisione di un’operazione militare. Alle otto e venti in punto la cena ebbe inizio; le portate (insalata di granchio con asparagi, consommé, anatra con patate rosolate, dessert, una selezione di formaggi accompagnati da ravanelli e frutta) furono servite a intervalli di circa dieci minuti. Alle nove e venticinque gli ospiti d’onore si erano ritirati per caffè, pasticcini e sigari, prima di essere raggiunti da altri invitati meno importanti per assistere a un concerto di un’ora con musica di Schubert, Richard Strauss e Schumann. A uno dei tavoli principali sedeva l’attrice ventiduenne ceca Lída Baarová, con la quale Goebbels intratteneva un’appassionata relazione sessuale. Controllando l’industria cinematografica Goebbels era al vertice di un settore in rapida espansione: tra il 1933 e il 1934 erano stati venduti quasi 250 milioni di biglietti del cinema, che nel biennio 1936-37 erano diventati 360 milioni. Gli appassionati facevano la fila per avere la loro razione regolare di commedie, che rappresentavano oltre il 50 per cento di tutti i film prodotti; l’attrice più importante, Zarah Leander, specializzata in commedie romantiche, impersonava donne costrette a scegliere tra il lavoro e il marito ideale. Da un grande potere derivano grandi tentazioni, e Goebbels faceva un uso intenso del divano nella sala del casting. Se le attrici più esperte erano spesso in grado di respingerlo senza danneggiare le loro carriere, le giovani promesse che lo rifiutavano ne subivano le conseguenze; Anneliese Uhlig era un’attrice in ascesa quando, respinte le avances del ministro, il suo ultimo film fu cancellato dagli schermi. I tradimenti seriali di Goebbels erano noti a tutti. Magda tuttavia continuava a tollerarne gli eccessi e a chiudere un occhio. Nella loro abitazione di Berlino vivevano in camere separate. Una notte di temporale Magda si svegliò e scoprì che la porta che collegava la sua camera a quella del marito era chiusa a chiave, e il mattino si ritrovò faccia a faccia con la donna che aveva condiviso il letto con lui. Convinta che le avventure di una notte non minacciassero il loro matrimonio, Magda sorvolò sull’incidente senza commentare. Del resto, nemmeno lei era estranea ad avventure occasionali, e se provocata stuzzicava Goebbels con indiscrezioni sulle sue scappatelle. Una delle quali coinvolgeva Kurt Lüdecke, entrato nel movimento nazista a Monaco negli anni venti e poi partito per gli Stati Uniti in cerca di qualche contatto importante. A quanto raccontava, aveva conosciuto Magda quando lei si trovava a New York con l’ex marito Gunther Quandt, e l’aveva ritrovata al ritorno in Germania nel 1930. Di tanto in tanto i due trascorrevano ancora del tempo insieme, ma il loro ultimo incontro risaliva al 1936; dopodiché Lüdecke venne espulso dal movimento per comportamento scandaloso durante il suo soggiorno in America. Tra i suoi nemici più potenti c’era Walter Buch, il padre di Gerda, che continuava a essere a capo del Tribunale di partito. Lüdecke non fa riferimento alla relazione con Magda nel suo libro I Knew Hitler (1937), ma non nasconde quanto la trovasse attraente, sottolineando «il calore e il fascino di cui la natura l’aveva dotata» e definendola «bellissima, colta e intelligente».26 Benché Magda provasse una certa soddisfazione a provocare il marito, le continue infedeltà subite la logoravano, e le cose peggiorarono dopo che Goebbels conobbe Lída Baarová. Nata a Praga, Lída si era formata in teatro e aveva recitato in molti film prima di trasferirsi in Germania, nel 1934. Con i suoi capelli scuri, l’aria sensuale e un seducente accento straniero, divenne rapidamente l’emblema dell’attraente sirena che spinge gli uomini verso il loro destino; nel suo primo ruolo in un film tedesco, uscito nel 1935, provocava un duello; nel secondo, una morte in mare. Questi pretenziosi melodrammi erano film mediocri, ma Lída ricevette critiche positive, e quando si fidanzò con una star del cinema la sua carriera sembrava sul punto di decollare. Nel 1936 Lída viveva insieme al celebre fidanzato in una villa vicino a casa di Goebbels a Schwanenwerder, e i due si incontrarono per caso durante una passeggiata nel bosco. Sin dal primo momento Goebbels la trovò incredibilmente attraente – ne rimase incantato – e non perse tempo prima di farle sapere come si sentiva. Lei lo tenne a bada: era fidanzata e conosceva la reputazione di Goebbels, ma la sua insistenza e il fatto che le dichiarazioni d’amore sembrassero genuine – e lo erano – la convinsero a cedere. Dopo aver consumato la relazione, Goebbels cominciò a promuovere i film di Lída. Nel 1937 la ragazza ebbe un ruolo importante nel film Patrioti. Ambientato durante la prima guerra mondiale, raccontava la storia di un pilota da combattimento tedesco ferito in territorio francese. Accolto da un gruppo teatrale locale, il pilota ha una storia d’amore con una donna francese, interpretata da Lída, che deve decidere se consegnarlo o meno. La donna lo denuncia e, accusato di essere una spia, il pilota rischia di finire davanti al plotone d’esecuzione, ma viene risparmiato grazie all’intervento appassionato del personaggio di Lída. I critici erano entusiasti, tanto che uno di loro scrisse esaltato che l’attrice era «più brava che mai».27 Estasiato, Goebbels era sempre meno prudente rispetto alla loro relazione. Il genio della propaganda stava giocando col fuoco – oltre a offendere Magda, pare sia stato aggredito dal robusto compagno di Lída – ma non riusciva a trattenersi. Se a Magda non andava di partecipare a una prima pullulante di star, suo marito semplicemente si presentava con Lída al braccio. Quando si rese conto del pericolo, Magda affrontò Goebbels e ne seguirono pesanti litigi. Eppure, non fu in grado di contrattaccare. Alcuni mesi prima aveva partorito un’altra figlia – con i consueti effetti negativi sulla salute – e gli amici notarono che sembrava depressa. Fumava e beveva troppo. A fine autunno rimase di nuovo incinta e perse la volontà di affrontare la questione. Goebbels tuttavia non si era accorto che il suo assistente personale si era perdutamente innamorato di Magda, e non potendo sopportare di vederla soffrire si stava preparando a pugnalarlo alle spalle.

* Nel 1991 nella tenuta di Carinhall fu scoperto uno scrigno contenente ossa umane che si ritenne potessero appartenere a Carin Göring. Nel 2013 il test del DNA ha confermato questa ipotesi, e Carin è stata seppellita di nuovo in Svezia. 7 A sud

Gerda Bormann era per molti aspetti la moglie nazista ideale. Non utilizzava cosmetici, teneva i capelli legati in una treccia e indossava abiti tradizionali bavaresi, come i suoi figli, che in alcune fotografie sembrano usciti dal set di Tutti insieme appassionatamente. A casa, Gerda era completamente sottomessa al marito. Non aveva un profilo pubblico, né un ruolo nelle campagne di propaganda del regime. Alle feste cui era costretta a partecipare restava sempre in disparte. Era soprattutto una madre prodigiosa, che partoriva a un ritmo eroico: tra il 1933 e il 1940 aggiunse altri cinque figli ai due che aveva già. Per i nazisti il ruolo essenziale della donna era esattamente questo: fare in modo che la popolazione aumentasse. Incrementare il tasso di natalità era un obiettivo prioritario, tanto che per raggiungerlo il regime mobilitò tutte le sue forze: stanziò incentivi e sovvenzioni in contanti destinati alle famiglie numerose; la macchina della propaganda realizzava film, programmi radiofonici e mostre che glorificavano la maternità; vennero reclutati medici e appartenenti alla comunità scientifica – in particolare nutrizionisti ed esperti di fertilità –, e la Gestapo sorvegliava le donne considerate inadatte a diventare madri. Il regime inoltre prese severi provvedimenti contro l’aborto, che durante il periodo di Weimar era stato ridotto a reato minore; i nazisti, al contrario, introdussero pene durissime e il numero delle sentenze di condanna aumentò del 65 per cento. La politica sulla contraccezione fu più indulgente, soprattutto perché i nazisti temevano la diffusione delle malattie veneree. Benché disapprovati, i preservativi erano venduti nei distributori automatici delle stazioni ferroviarie e nelle toilette pubbliche. Un medico, allarmato, calcolò che ogni anno si vendevano settanta milioni di preservativi. Nel complesso quindi Gerda rappresentava un’eccezione, non la regola. Il tasso di natalità aumentava – nel 1933 c’erano poco meno di quindici nati vivi ogni mille persone, numero che salì a venti entro il 1939 – ma era leggermente più basso rispetto al 1925, mentre il numero di famiglie con più di quattro figli era sceso da un quarto del totale nel 1933 a un quinto nel 1939. Le donne del ceto basso, vincolate dalle condizioni economiche, non potevano permettersi di avere troppi figli, e quelle che potevano non lavorare non volevano rinunciare alla libertà implicita in una famiglia meno numerosa. I nazisti sapevano di essere lontani dall’obiettivo, perciò lanciarono una nuova iniziativa, la Croce d’onore per le madri tedesche, un’onorificenza destinata alle donne più prolifiche del Reich. Quattro figli erano sufficienti per ottenere il bronzo, sei o sette per l’argento, otto o più garantivano la medaglia d’oro. Le partecipanti erano passate al vaglio con attenzione e la loro idoneità scrupolosamente valutata. Ciononostante, tre milioni di madri vinsero la Croce d’onore. Benché l’impegno di Gerda meritasse certamente il primo premio, non prese parte alla cerimonia inaugurale organizzata nel giorno del compleanno della madre di Hitler. Magda, al contrario – che vinse la medaglia d’argento – fu nominata rappresentante delle mogli modello. Come Magda anche Gerda non era sola a gestire la prole. C’erano tate, cuoche e domestiche. Nei primi anni dopo la scalata al potere dei nazisti, lo stile di vita dei Bormann era ancora relativamente sobrio. Ma a mano a mano che l’ascesa di Martin si faceva più inesorabile, da metà degli anni trenta cominciarono anche loro a godere degli stessi privilegi degli altri personaggi di spicco. La carriera di Bormann fece un grosso balzo in avanti grazie a Hess. Il 21 aprile 1933 Hess fu nominato vice Führer, i cui doveri erano descritti nel manuale del partito: «tutte le questioni del comando nazista» e «tutti i vari aspetti del lavoro svolto all’interno del partito» erano «sotto la sua supervisione, così come tutte le leggi e i decreti».1 Si trattava di una promozione importante ma inadatta a Hess, che non era un burocrate. Detestava le scartoffie e passava le molte incombenze quotidiane a Bormann, che aveva dato prova delle sue capacità gestendo il fondo previdenziale del partito. A luglio di quell’anno Hess nominò Bormann capo del suo staff, un ruolo decisivo anche se sconosciuto alla maggior parte dei tedeschi. Le leve del partito erano nelle sue mani; delegava incarichi, diffondeva direttive per i capi partito regionali e dispensava nomine. Nel giro di poco tempo l’intera struttura era sotto il suo controllo. Lo aiutava avere una mente rigorosa che immagazzinava una enorme quantità di informazioni; Hitler sapeva di poter contare sulla memoria di Bormann – «non dimentica mai niente» – e sulla sua instancabile efficienza: «se agli altri serve tutto il giorno, a Bormann bastano due ore».2 Bormann lavorava duramente, dormiva poche ore per notte e spingeva al limite i propri collaboratori. Christa Schroeder, a lungo segretaria di Hitler, ricorda che Bormann «si aspettava dal suo staff la stessa irragionevole solerzia che lo distingueva».3 Esigente, irritabile e inflessibile, Bormann non era un capo amato: i sottoposti vivevano nel terrore del suo temperamento irascibile. Secondo l’autista di Hitler poteva passare improvvisamente da un comportamento affabile a uno «sadico,degradante, offensivo, maligno».4 Hitler sapeva che Bormann era un terribile prepotente, ma anche in grado di ottenere ciò che voleva: «Posso fare affidamento su di lui in modo incondizionato e assoluto, fa eseguire i miei ordini immediatamente e a prescindere da qualsiasi ostacolo».5 Secondo tutti i resoconti Bormann si comportava allo stesso modo anche a casa, e l’impressione diffusa era che Gerda fosse una casalinga sottomessa e impaurita. Un importante personaggio nazista descriveva Bormann come «il genere di uomo che prova piacere nell’umiliare sua moglie davanti agli amici, come se fosse una specie di essere inferiore».6 Se gli standard domestici non rispettavano le sue aspettative, se qualcosa non veniva fatto in modo corretto o finiva nel posto sbagliato, Bormann inveiva contro Gerda. Stando al cameriere personale di Hitler tutti sapevano che Bormann terrorizzava la famiglia: «Nei momenti di rabbia incontrollata ricorreva alla violenza fisica contro la moglie e i figli».7 Pare che Bormann abbia frustato due dei figli perché erano spaventati da un grosso cane e preso a calci un terzo perché era caduto in una pozzanghera. Difficile dire cosa provasse Gerda di fronte a questo trattamento umiliante. Non si ribellava. Non chiedeva aiuto. Non si confidava con nessuno. L’ideologia nazista nella quale credeva ciecamente le aveva inculcato che era suo dovere obbedire al marito, e tutto fa pensare che fosse sinceramente devota a Bormann. Quanto ai figli, Gerda giocava con loro, cantava, gli leggeva delle storie, e faceva disegni; era compito del padre disciplinarli e punirli. In una lettera a Bormann in cui Gerda ipotizza di chiudere i rapporti con i genitori, parla dei figli in modo pratico e del tutto privo di sentimentalismi: «I bambini sono sempre egoisti. Hanno i loro interessi e le loro cerchie, e nessuna considerazione per i genitori».8

Durante i primi mesi di governo Hitler inserì nel protocollo della Cancelleria del Reich la consuetudine che una delle mogli dei capi nazisti accogliesse ospiti importanti e dignitari. Un sistema accantonato abbastanza in fretta, ma non prima che Ilse si fosse dimostrata del tutto inadatta a un ruolo di rappresentanza, soprattutto se confrontata con una situazione imbarazzante. La figlia maggiore di Winifred Wagner, Friedelind, fu testimone di un incidente emblematico. Adolescente ribelle, Friedelind lasciò per sempre la Germania nel 1940, un anno dopo si trasferì negli Stati Uniti e scrisse una feroce critica contro la madre e le sue compagne naziste. Dopo aver definito Ilse una «bionda paffuta e inelegante con una voce maschile» che disprezzava «la cipria e il trucco», Friedelind ricorda che la donna offrì a un gruppo di ospiti «alcune delle caramelle preferite di Hitler» per tenerli occupati nell’attesa che lui arrivasse. Sfortunatamente il Führer era di pessimo umore; seduto accanto a Ilse durante il pranzo, ribolliva di rabbia silenziosamente mentre Friedelind, sua madre e il resto del gruppo consumavano una poco appetitosa scodella di tagliolini in brodo prima di ritirarsi per il caffè. Incapace di contenersi, Hitler si precipitò nella stanza accanto e aggredì uno dei suoi subalterni con una terribile sfuriata di dieci minuti a voce altissima. Ilse e il gruppo degli invitati sentirono ogni parola. Mortificata e paralizzata dall’imbarazzo, Ilse infine «trovò il coraggio di comunicare a Hitler che gli ospiti se ne stavano andando».9 Ilse non si sentì mai a casa nella frenetica scena sociale di Berlino. Secondo Bella Fromm si faceva vedere di rado. Benché le responsabilità di suo marito lo costringessero a stare più spesso nella capitale, lei andava a trovarlo il meno possibile; la sua riluttanza a fermarsi a Berlino derivava dalla reputazione della città come luogo di perdizione, un ambiente tossico che avrebbe indebolito la fibra morale di chiunque ci fosse rimasto troppo a lungo. A Monaco poteva restare fedele ai valori che l’avevano guidata dai tempi in cui studiava e sostenere la missione che lei e il marito si erano dati: essere i custodi della fiamma nazista. Anni dopo Ilse ricordò a Hess il loro voto di «non svendere mai per dei beni superficiali il nostro idealismo originario».10 Mentre gli altri si arricchivano a spese del partito, gli Hess conducevano uno stile di vita frugale e tipicamente borghese. La loro villa in un elegante sobborgo di Monaco, con un ampio giardino e svariate dépendance, era un’abitazione modesta se confrontata con quelle di altri leader nazisti; la casa di villeggiatura era un piccolo chalet in montagna che utilizzavano per le escursioni in estate e per fare sci di fondo in inverno. L’unico vizio che si concedeva Hess erano le auto di lusso; il suo marchio preferito era la Mercedes e adorava fare lunghi giri in macchina a tutta velocità. Ma una volta esaurita la riserva mensile di benzina scontata cui aveva diritto, Hess la pagava di tasca propria. Per l’onestà e il disinteresse ad accumulare beni materiali, fu soprannominato “la coscienza del partito”, un nomignolo singolare considerati i crimini di cui si macchiava il regime. Dopo la Notte dei lunghi coltelli, nel giugno del 1934, quando Hitler decapitò il comando delle SA e sistemò una serie di conti in sospeso – innescando un’orgia di violenza e di morti – Hess dovette correre ai ripari dopo l’uccisione per errore di un civile innocente. L’obiettivo della spedizione era un certo dottor Will Schmitt, ma i sicari massacrarono un rispettabile critico musicale, il dottor Wilhelm Schmidt. La vedova raccontò che quattro uomini delle SS prelevarono il marito mentre stava facendo pratica con il violoncello e lei preparava la cena. Non seppe più nulla di lui finché il suo cadavere comparve in una bara sigillata e le SS le offrirono un indennizzo economico, che la donna rifiutò con rabbia. Esasperata dai ripetuti tentativi delle SS di convincerla ad accettare il denaro, andò alla Braunes Haus (“Casa bruna”), quartier generale del partito a Monaco, e presentò un reclamo formale. La risposta fu immediata. Il 31 luglio Hess si presentò alla sua porta. Era venuto a conoscenza della sfortunata serie di eventi e voleva rimediare. Le garantì che i responsabili sarebbero stati puniti. Come ricordò in seguito la donna, Hess le consigliò di considerare «la morte di mio marito come quella di un martire per una causa superiore».11 Convinta che le scuse di Hess fossero sincere, accettò l’offerta di una pensione mensile equivalente allo stipendio del marito morto. Su un piano più personale, Hess intervenne in favore dell’amico Haushofer. La moglie del professore era per metà ebrea e lui temeva per la sua incolumità, la propria reputazione e la carriera del figlio Albrecht. Hess allora nominò il professore capo di due organizzazioni nate per occuparsi dei bisogni di venti milioni di tedeschi che vivevano all’estero. Garantì anche un posto ad Albrecht, talentuoso accademico che lavorava nello stesso campo del padre, all’alta scuola per la formazione politica di Berlino. Anni dopo Haushofer riconosceva: «Hess protesse me e la mia famiglia dalle brutte esperienze col partito».12 Intanto Ilse non perdeva tempo; nel 1933 scrisse a Himmler lamentandosi della mano pesante e della sorveglianza invadente esercitata dalla Gestapo. Nello specifico, espose il suo timore per la tendenza della polizia segreta a tenere sotto controllo il telefono di chiunque, e pretese di sapere perché gli agenti di Himmler sorvegliavano anche gli elementi leali al regime. Senza scomporsi Himmler informò Hess della lettera di Ilse. Hess si infuriò con la moglie e le ordinò di non azzardarsi a protestare mai più. È tuttavia importante non sovrainterpretare il gesto di sfida di Ilse: stava obiettando contro i metodi della Gestapo, non contro le motivazioni che li ispiravano. Né lei né suo marito ebbero qualcosa da dire sui campi di concentramento o sulle camere di tortura. Hess non mise mai in discussione la lunga lista di misure repressive che richiedevano la sua autorizzazione. Poteva anche aver aiutato il professor Haushofer, ma non si fece scrupoli sulle leggi di Norimberga del 1935, che separavano formalmente gli ebrei – i quali di fatto cessavano di essere cittadini tedeschi – dal resto della popolazione. Salvo alcune rare eccezioni, agli ebrei era proibito sposare o avere relazioni sessuali con i non ebrei. Il fanatismo di Hess e Ilse era lo stesso di sempre e non diminuiva, e lei non smise mai di sedersi in prima fila sul palco durante gli annuali raduni di partito che, ogni settembre, per una settimana rendevano omaggio a Hitler con festeggiamenti sempre più stravaganti ed elaborati. Un’occasione più culturale, anche se non meno obbligata, era il Festival di Bayreuth. Ilse era rimasta in rapporti amichevoli con Winifred Wagner, curatrice e promotrice dell’evento, e la incontrava sempre volentieri, evitando accuratamente di farsi trascinare nelle controversie e nei battibecchi su quale opera del maestro sarebbe stato meglio interpretare e chi avrebbe dovuto dirigerla. I membri dell’élite nazista non erano altrettanto entusiasti di partecipare al chiassoso raduno in omaggio a Wagner, e vi si presentavano controvoglia. Il pubblico in generale, poi, era ancora meno interessato, e i biglietti si vendevano a fatica. Con le finanze del Festival di Bayreuth allo stremo, i mancati incassi potevano rivelarsi fatali. Hitler tuttavia diede sempre una mano a Winifred, assicurandosi che gli auditorium fossero pieni e i posti occupati. Le SA prenotavano biglietti in massa, così come l’Associazione nazionale degli insegnanti socialisti e le organizzazioni femminili naziste: dal 1934 il ministero della Propaganda di Goebbels prese a finanziare un terzo del budget del festival. Dal suo “quartier generale” Ilse manteneva diligentemente una vasta corrispondenza con i seguaci del partito, dispensando consigli e gestendo una gran quantità di richieste. Seppure le piaceva immaginarsi come una specie di onesta mediatrice, riusciva spesso a contrariare gli interlocutori. Rispondendo a un parente che le chiedeva un biglietto in più per il raduno di partito del 1935, Ilse ammonì con tono moralistico: «voi non fate parte dei fedeli di lungo corso al partito»; non era lecito aspettarsi alcun trattamento di favore «dal momento che i biglietti vanno così a ruba che non riescono ad aggiudicarseli nemmeno i vecchi compagni d’armi».13 La tendenza di Ilse a immischiarsi nella vita privata delle altre persone la mise nei pasticci con Bormann quando si intromise nell’organizzazione del matrimonio di Albert, fratello minore di Martin e suo opposto: educato, sofisticato e naturalmente tradizionalista, si era formato nel campo della finanza. Bormann aveva fatto entrare Albert nel partito nel 1931 trovandogli un posto alla Cancelleria privata di Hitler, una mansione puramente amministrativa che gestiva perlopiù l’immensa quantità di posta ricevuta dal Führer. I due fratelli mantennero un civile rapporto lavorativo finché Albert non decise di sposare una donna che Bormann disapprovava perché non abbastanza “nordica”. Ilse però, a cui piacevano sia Albert sia la sua futura sposa, li incoraggiò a fare il grande passo. I due si sposarono nel 1933. Bormann se la prese moltissimo e non parlò mai più con il fratello; Christa Schroeder ricorda che i due facevano di tutto per ignorarsi. Se uno raccontava «una storia buffa», l’altro manteneva «un’espressione imperturbabile»,14 anche se tutti gli altri si mettevano a ridere. Quanto a Ilse, anche se in pubblico Bormann era cordiale, da quel momento in poi le portò sempre rancore. L’atteggiamento di Ilse infastidì anche Hitler, che a metà degli anni trenta perse definitivamente la pazienza. Il dottor Karl Brandt – per anni medico personale di Hitler e membro del suo entourage – disse che il Führer criticava spesso Ilse per via «della sua ambizione» e si lamentava del modo in cui cercava «di dominare gli uomini fino a rischiare di perdere la sua stessa femminilità».15 L’intellettualismo sfrontato di Ilse cozzava con la visione arcaica di Hitler secondo cui le donne non dovevano avere un’opinione politica, e seppure l’avessero avuta, avrebbero dovuto tenere la bocca chiusa. Il 13 luglio 1936 Gerda ebbe il quinto figlio, che fu chiamato Heinrich in onore del padrino, Himmler – Bormann aveva dato forma a un’inquietante alleanza con il capo supremo delle SS –. In occasione del primo compleanno, Himmler regalerà al bimbo un orsacchiotto. Quell’anno la famiglia Bormann acquistò due nuove proprietà: una casa più grande nello stesso esclusivo sobborgo di Monaco in cui viveva Hess – pronta da metà settembre, ma i cui laboriosi lavori di ristrutturazione proseguirono fino all’anno successivo – e uno chalet di tre piani a Obersalzberg. La casa dei Bormann si trovava sulle Alpi bavaresi, al centro di un altopiano circondato da vette torreggianti che digradava verso una distesa di alberi; Bormann pensò di ristrutturarla mantenendo il corpo delle mura esterne, mentre l’interno fu completamente ricostruito e ampliato. Nell’autunno del 1937 Gerda e la famiglia si trasferirono in quella che sarebbe stata la loro residenza pressoché permanente. Un giornalista in visita rimase conquistato da ciò che vide: «Dallo scantinato alla soffitta, non c’era altro che lusso ed eccellenza».16 Nello chalet di Obersalzberg il vicino più prossimo a Gerda era Hitler, che aveva preso possesso del , un alto castello che in occasione dei suoi soggiorni diventava un secondo centro di comando. Il Berghof svettava sul cottage che Hitler aveva affittato sin dal 1927 e comprato a giugno del 1933. Invece di radere al suolo il rudere del castello e rifarlo, si decise di rafforzarlo innestando sul corpo centrale una nuova struttura. I lavori cominciarono a marzo del 1936 e proseguirono velocissimi: l’8 luglio il castello era pronto per essere occupato. Il denaro per le case di Bormann e di Hitler proveniva dal Fondo Adolf Hitler per il commercio e l’industria tedeschi, frutto dell’intuizione di un barone dell’acciaio che aveva convinto altri capitani d’industria a prelevare una parte dei salari dei loro dipendenti per donarla a Hitler. Bormann era al comando delle decisioni relative ai fondi e divenne il contabile personale di Hitler, addetto al pagamento degli stipendi. Tra il 1933 e il 1945 dalla sua scrivania passarono trecentocinquanta milioni di marchi. Benché fosse deliberatamente isolato, il complesso del Berghof era ben collegato al resto del mondo – aveva una stazione radiotelegrafica, tre postazioni telefoniche e un ufficio postale – mentre Berchtesgaden, la vicina città mercantile, era dotata di una stazione ferroviaria e di una pista d’atterraggio a uso personale di Hitler. Bormann organizzò una sorveglianza serrata. Un recinto elettrificato alto due metri circondava l’area, residenti e membri dello staff dovevano sempre portare un documento di riconoscimento, una caserma costruita appositamente ospitava una compagnia di uomini scelti delle SS. Al Berghof Hitler poteva rilassarsi, riunire la corte e ponderare decisioni cruciali e questioni di strategia. Fu anche il luogo in cui Bormann consolidò il ruolo di braccio destro del Führer, esaudendo ogni capriccio e futile richiesta e diventando il custode della fortezza, che sotto la sua supervisione si espanse trasformandosi in una vasta proprietà a disposizione dell’élite nazista, con tanto di scuola privata e fattoria in funzione. Per dare ai numerosi dipendenti della struttura qualcosa da fare oltre a bere e azzuffarsi, c’erano anche un teatro e un bordello – con una ventina di prostitute francesi e italiane – in una caserma a circa cinque chilometri da Obersalzberg. Bormann si concentrò anzitutto sull’allontanamento di oltre quattrocento residenti dalle loro abitazioni. Pagando cifre notevolmente più alte della tariffa ordinaria acquistò case e fattorie per modificarle o demolirle. Una volta Hitler indicò un certo edificio che lo disturbava perché non si accordava abbastanza con l’ambiente circostante. Bormann lo comprò subito, buttò fuori i residenti, e lo fece demolire per coprire di zolle erbose il terreno su cui sorgeva. Quando Hitler tornò ad ammirare il paesaggio, vide mucche al pascolo. Il Führer inoltre aveva problemi con la folla di seguaci che, nella speranza di vedere da lontano il loro glorioso leader, ogni giorno si accalcavano fuori dal Berghof e sfilavano davanti allo chalet. Hitler era costretto a lasciarsi ammirare stando sotto il sole anche per più di un’ora, e in estate rischiava di stare male. A luglio del 1937 accennò la questione a Bormann, che da fedele servitore si mise subito all’opera. Nel giro di ventiquattr’ore convocò il capo giardiniere e la sua squadra e fece sradicare e ripiantare un grosso tiglio per fare ombra a Hitler. Bormann modificò le proprie abitudini per adattarsi a quelle del capo; fumatore accanito, smise di accendersi sigarette davanti a Hitler – che disprezzava il fumo – e aderì alla sua dieta vegetariana, anche se Heinrich Hoffmann rivelò che, «dopo aver consumato carote crude e insalata», Bormann «si ritirava nel segreto dei suoi appartamenti a mangiare costolette di maiale».17 In questo nuovo contesto Gerda cercò timidamente di uscire dal guscio e si conquistò una certa indipendenza, anzitutto grazie al buon rapporto con Eva Braun. Dopo il tentativo di suicidio di Eva, nel 1935, Hitler aveva fatto del suo meglio per compiacerla. Ad agosto di quell’anno affittò un trilocale per lei e la sorella; a marzo dell’anno seguente le comprò una villa a due piani e un’auto nuova. Soprattutto, le assegnò la stanza accanto alla sua al Berghof. Ci volle del tempo e continuava a subire restrizioni di movimento, ma allo chalet Eva si riprese. Lei e Gerda avevano solo tre anni di differenza, e l’atteggiamento inoffensivo della moglie di Bormann era perfetto per Eva, il cui unico rimpianto era che l’amica avesse così poco tempo libero per via delle continue gravidanze e conseguenti responsabilità da casalinga. Eva sapeva certamente che non c’era motivo di essere gelosa di Gerda. Il sincero affetto che Hitler nutriva per lei si manteneva nei confini del personaggio dello «zio Adolf», che ogni anno regalava a Gerda un mazzo di rose rosse per il suo compleanno. Hitler però apprezzava anche il fatto che Gerda fosse un modello di maternità tedesca. Secondo un ospite abituale del Berghof, «la trattava con un rispetto speciale».18 Eva aveva meno simpatia per il marito di Gerda, e anche Bormann non impazziva per lei. Entrambi tuttavia riconoscevano la propria dipendenza da Hitler e l’importanza dell’altro ai suoi occhi, e stipularono un tacito accordo di non belligeranza, reciprocamente conveniente. Si mostravano uniti davanti a lui e confinavano la loro rivalità alle minuzie della vita quotidiana; col passare del tempo Hitler cominciò a farsi vedere sempre meno spesso alla tenuta, e la lotta tra i due per il dominio su Berghof esplose. Dopo aver fatto di Bayreuth la patria dell’opera, Hitler voleva che Monaco fosse il cuore pulsante dell’arte tedesca. Il 15 ottobre 1933, durante una cerimonia trasmessa alla radio e filmata da una troupe del cinegiornale, Hitler pose la prima pietra di un nuovo museo, la Haus der Kunst (“Casa dell’Arte”). Tre anni dopo l’edificio in stile neoclassico era ultimato, e il 18 luglio 1937 Hitler inaugurò le gallerie con un discorso che contrapponeva il nuovo spirito dell’arte tedesca e la sua «gioia di vivere» agli «storpi deformi e imbecilli» che professavano il modernismo.19 Per celebrare la svolta, i nazisti organizzarono una gigantesca parata in onore dei duemila anni di storia e cultura tedesche. Il corteo procedeva in ordine cronologico per quasi dieci chilometri, durò tre ore e comprendeva una nave da guerra sassone, carri allegorici con cavalieri medievali, scene mitologiche, omaggi a famosi sovrani e leader militari e tributi a figure di spicco della cultura, come Wagner. Nello stesso periodo, in un deposito convertito frettolosamente in spazio espositivo si inaugurava la mostra sull’Arte degenerata, che ospitava le opere degli artisti proibiti ed era molto più apprezzata dal pubblico rispetto alla Haus der Kunst. La collezione di dipinti di contadini, sculture di nudi e rappresentazioni eroiche di combattimenti non poteva competere con l’alternativa “degenerata” che includeva settecentotrenta opere di artisti tedeschi e stranieri come Picasso, Matisse e Van Gogh, ammirate da oltre due milioni di persone, con una media di ventimila ingressi al giorno. La Haus der Kunst ne attirava soltanto tremila. A Ilse e Hess piaceva considerarsi i mecenati della scena artistica e aspiravano a trasformare la loro casa in una specie di salotto. Uno dei loro artisti preferiti era il modernista Georg Schrimpf, di Monaco. I primi quadri espressionisti di Schrimpf riflettevano le sue tendenze socialiste, ma alla fine degli anni venti il pittore si era spostato a destra sia sul piano estetico sia politico. Il cambiamento di stile e di visione gli permise di sottrarsi alla censura, e nel 1933 diventò professore all’Accademia d’arte di Berlino. Nel 1937 però il vento cambiò; Schrimpf fu licenziato e le sue opere proibite e rimosse dalle gallerie e dai musei per finire insieme alle altre nella mostra sull’Arte degenerata. Gli Hess, tuttavia, avevano i suoi quadri appesi alle pareti di casa; una sera del 1934 Hitler andò a trovare la coppia e quando vide le opere – che aveva sempre detestato – si sentì oltraggiato. Fino a quel momento Hess era il candidato più ovvio per la successione del Führer, sia in quanto capo del partito sia perché era al suo fianco da oltre un decennio. Dopo quella sera, però, Hitler cambiò idea. Comunicò alla sua addetta stampa che non poteva assolutamente permettere a qualcuno con «una così clamorosa mancanza di sensibilità per l’arte e la cultura» di essere il suo vice.20 Poco tempo dopo questa conversazione, Hitler nominò Göring erede al trono. Hitler non era l’unico nazista potente a non voler trascorrere una serata con gli Hess; Magda reputava «le feste a casa degli Hess talmente noiose che quasi tutti declinano l’invito». Era vietato fumare. Al posto dell’alcol Ilse serviva «succo di frutta e tè alla menta» e la conversazione era «apatica e mediocre come le bevande»; gli ospiti non aspettavano altro che «Hess, a mezzanotte in punto, interrompesse la festa», per potersela svignare.21 Ilse faceva del suo meglio per compensare la riluttanza del marito a divertirsi, ma non era facile. Come ricordò la regista Leni Riefenstahl, invitata a prendere il tè, «Ilse […] chiacchierava amabilmente», mentre suo marito «era sempre taciturno».22 Hess tuttavia di tanto in tanto sapeva divertirsi. Alla fine dell’ottobre del 1937 lui e Ilse ospitarono il duca e la duchessa di Windsor, in Germania per un breve soggiorno. I due avevano trascorso il pomeriggio al Berghof – dove Magda aveva fatto da padrona di casa – prima di passare a casa degli Hess. Il duca era stato, per un breve periodo, re Edoardo VIII. Era salito al trono a gennaio del 1936 dopo la morte di Giorgio V, ma la sua relazione con Wallis Simpson – ereditiera dell’alta società americana al terzo matrimonio – lo aveva indotto in pochi mesi all’abdicazione. La coppia si era sposata a giugno del 1937, dopo che Wallis ebbe ottenuto il terzo divorzio. Ilse pensava che il duca sarebbe stato «un re straordinario e intelligente» e la duchessa una regina «raffinata». Durante una piacevole serata, Hess e il duca scomparvero al piano di sopra. Passata un’ora Ilse andò a cercarli e li trovò «in una delle stanze dell’ultimo piano, dove mio marito teneva un grosso tavolo con una collezione di modellini della flotta tedesca e inglese della prima guerra mondiale»; il duca e Hess avevano disposto le navi in formazione e stavano replicando «con entusiasmo» una delle battaglie navali più drammatiche del conflitto.23 Quanto alla vita notturna di Monaco, Ilse e il marito uscivano di rado, tranne che per andare a concerti di musica classica dei loro compositori preferiti, Mozart, Bach e Brahms. Evitavano accuratamente le feste selvagge che si tenevano nei sordidi bassifondi della città, dove anche alcuni gruppi di nazisti si lasciavano andare a eccessi edonistici. Di questi gruppi faceva parte Unity Mitford; con Hitler raramente disponibile e la sorella Diana spesso assente per via del suo matrimonio con Mosley, Unity si lasciò trascinare dalle cricche dissolute che girovagavano per la città. Le seguiva instancabile e sempre piena di energia, anche se in realtà stava cominciando a mostrare i primi segni di instabilità mentale: si trascurava, mangiava e dormiva pochissimo. Una sfilza di spasimanti indegni e di relazioni fallite non aiutava a migliorare le cose. A Unity avrebbe fatto bene poter contare sull’appoggio stabile di Ilse e sulle sue sagge rassicurazioni. Ilse, in effetti, era nota per offrire sempre aiuto alle giovani donne in difficoltà, ma lei e il marito consideravano Unity un’intrusa priva di senso del decoro e di morale. A conti fatti lo stile di vita sobrio di Ilse e di Hess era adatto a loro; l’unica importante eccezione era rappresentata dalla sete di avventura e dall’amore per il rischio che Hess non aveva mai perso del tutto. Sulla base dell’addestramento fatto durante la prima guerra mondiale ricominciò a volare, partecipando ogni anno a una competizione aerea per raggiungere la cima dello Zugspitze, la montagna più alta della Germania. Nel 1932 arrivò secondo. Due anni dopo vinse la coppa e ricevette un telegramma di congratulazioni dal famoso aviatore americano – e sostenitore del nazismo – Charles Lindbergh. Ilse era certamente fiera dei risultati ottenuti dal marito, ma se avesse immaginato dove lo avrebbero portato le sue spacconate in volo, forse non lo avrebbe sostenuto così tanto. Hitler, al contrario, era allarmato dai rischi corsi da Hess e lo costrinse a smettere. Hess doveva limitarsi alle prodezze a tutta velocità al volante della sua auto. Secondo il suo assistente guidava la Mercedes «come se pilotasse un aereo. Sembrava che potessimo decollare da un momento all’altro».24

Nonostante l’apparente rispetto e lo status che aveva ottenuto a caro prezzo al Berghof, Eva continuava a subire rigide limitazioni. Di norma era relegata in camera sua o nella villa di Monaco, oppure le veniva imposto di non farsi vedere per qualche ora, e spesso di passare la notte in compagnia di Gerda. Le sue partenze forzate coincidevano con l’arrivo al Berghof di ospiti prestigiosi e di capi di Stato stranieri. Le stesse regole valevano quando Hitler era impegnato in riunioni politiche di alto livello con gli altri leader e ufficiali nazisti, come Göring o Goebbels. Eva di solito partecipava ai riti sociali, ai compleanni e alle vacanze stagionali, quando le mogli e i figli delle figure di spicco del partito sedevano alla tavola di Hitler, ma manteneva un profilo basso se Magda era al Berghof senza la sua famiglia al seguito. Queste visite in solitaria si verificavano raramente e mai a lungo. Erano le occasioni in cui Magda cercava sollievo dal suo matrimonio travagliato e un incoraggiamento dal suo amato Hitler. Magda tuttavia non diventò mai parte della comunità del Berghof: lei e Goebbels non possedevano nemmeno una proprietà nella zona. In parte era per via della presenza di Eva. Anche se Magda cercava di far valere la sua autorità, Eva si sentiva ormai abbastanza sicura da non cedere terreno. Una scena in particolare simboleggia bene il riequilibrarsi del rapporto di forza. Le due donne stavano chiacchierando e Magda, agli ultimi mesi di una delle numerose gravidanze, chiese a Eva di allacciarle una scarpa, perché faceva fatica a piegarsi; senza scomporsi di fronte alla richiesta di inchinarsi, Eva suonò tranquillamente il campanello e lo fece fare alla cameriera. Emmy e suo marito avevano una vera e propria casa all’interno del complesso, ma non erano frequentatori assidui del Berghof. Dal momento che possedevano Carinhall non si recavano spesso a sud. C’era inoltre il fattore Eva. Per qualche motivo – difficile da capire, dal momento che Emmy non era affatto una rivale nella ricerca delle attenzioni di Hitler, a differenza di Unity e di Magda –, Eva la evitava deliberatamente. Forse percepiva il disagio di Hitler nei confronti di Emmy; forse ne disapprovava l’atteggiamento pomposo e regale; forse ne era intimidita; forse si trattava di un conflitto generazionale o semplicemente non le piaceva. Sta di fatto che Eva ignorava Emmy. Come confermano diversi componenti del personale del Berghof, testimoni di un incidente accaduto un giorno in cui Hitler e Göring erano altrove. Pare sia successo che Emmy, in un tentativo di rompere il ghiaccio, avesse invitato Eva – e le sue cameriere – a un tè pomeridiano. Eva e il piccolo seguito però non si presentarono, ed Emmy non ricevette mai delle scuse o delle spiegazioni. Dopo essere stata trattata in modo così maleducato, Emmy si guardò bene dal tendere ancora la mano in segno di amicizia. Ilse, al contrario, era sempre la benvenuta. Eva la considerava un’amica e una potenziale confidente. Ilse tuttavia – forse percependo che Hitler non apprezzava più la sua compagnia – andava al Berghof solo quando vi era costretta. In compenso si occupava spesso di Eva quando veniva esiliata dallo chalet; «facevamo passeggiate in montagna e altre cose del genere»,25 avrebbe ricordato. Per Eva la compagnia di Ilse era importante, perché l’amica capiva la situazione delicata e la trattava con gentilezza ed empatia. Ma per quanto Ilse le facesse molti complimenti – per esempio lodando il suo aspetto o la sua natura dolce – non poteva impedirsi di paragonarla a Geli, il vero amore di Hitler. Ilse pensava che Eva fosse una sostituta perfetta, ma Geli restava inarrivabile.

Quando Hess trascorreva una notte al Berghof – cosa che accadeva saltuariamente – soggiornava nella stanza Untersberg, usata di rado da qualcun altro. Al piano superiore dello chalet, la suite aveva un ampio soggiorno rivestito in legno, una scrivania, bagno e camera da letto, oltre a un terrazzino che offriva una magnifica vista sulle montagne che si estendevano fino a Salisburgo. Se questa sistemazione sembrava lusingare Hess e confermarne il ruolo importante nel movimento, rifletteva però il suo allontanamento sempre più palese e il suo distacco dall’élite nazista, e anche da Hitler: secondo molti, Hess era il tipo strambo ed eccentrico confinato in soffitta, chiuso nel suo mondo. Mentre Bormann era preso dalla gestione di un carico sempre maggiore di lavoro amministrativo, Hess aveva più tempo libero da dedicare ai suoi interessi esoterici. Da adolescente impacciato era stato affascinato dall’astrologia e nel 1907 fu ispirato dalla cometa di Daniel, la più brillante apparsa in venticinque anni nell’emisfero settentrionale, visibile all’alba da metà luglio fino alla fine di agosto. In seguito, Hess ricordò la prima volta che aveva visto la cometa: «La coda scintillava rapida in quello che corrispondeva a circa un terzo del cielo. Ogni notte mi alzavo per osservarne il volo e la forma cangiante. Da allora non ho mai smesso di interessarmi alle stelle».26 Nel 1933 Ilse presentò Hess a Ernst Schulte-Strathaus, che lei aveva conosciuto all’inizio degli anni venti, quando lavorava nella libreria antiquaria. Strathaus era un professore universitario di letteratura che aveva diretto numerose riviste per bibliofili, oltre che un esperto di occulto. Conoscendo la fascinazione di Hess per le stelle dello zodiaco, Ilse mise in contatto i due. Nel 1934 Hess trovò un posto a Strathaus nel suo staff come consulente per gli affari culturali e lo trasformò nel proprio astrologo personale, che gli forniva un oroscopo quotidiano. Ilse non era un’appassionata di occulto come il marito, ma appoggiava comunque il suo misticismo e come lui credeva che le forze soprannaturali plasmassero il destino dell’essere umano. Una volta osservò che «in alcuni momenti di estrema tensione spirituale ci arriva da luoghi che trascendono il campo della ragione una conoscenza che non può ingannarci».27 L’atteggiamento del regime nei confronti dell’astrologia era ambiguo. Ufficialmente era considerata un sistema di credenze alternativo e dunque una minaccia, non ultimo perché estremamente popolare. Di conseguenza, gli indovini subirono improvvise persecuzioni. Nel 1937 la Società astrologica tedesca fu abolita e i suoi periodici vietati. Hess tuttavia – spesso preso di mira per la sua fiducia nei temi astrali di Strathaus – non era solo. In vari momenti anche Himmler consultò degli astrologi, e si diceva che Hitler avesse parlato con una veggente, un’anziana e rugosa zingara alla quale si attribuiva il tocco magico. Hess però era considerato il più eccentrico e girava voce che praticasse il mesmerismo e la manipolazione di oggetti solidi come il metallo con il potere della mente. Un altro degli argomenti preferiti di Hess, che derivava dai suoi costanti problemi di salute, era la medicina alternativa. Il primo segnale di malessere legato allo stress fu una grave eruzione cutanea che lo portò in ospedale durante il complicato autunno del 1932. Da allora soffrì sempre di diversi disturbi: gonfiori, coliche renali, palpitazioni, problemi intestinali, insonnia. Per combatterli Hess adottò una dieta macrobiotica. Sia lui sia Ilse diventarono vegetariani insieme a Hitler – confermando di essere “visceralmente” in sintonia con il loro leader –, ma Hess era anche più pignolo del Führer quando si trattava dei pasti. Ilse doveva andare in cerca del cibo adatto da preparare al marito, e alla fine Hess assunse un cuoco personale che lo accompagnava ovunque. Henriette Hoffmann – che viveva a Vienna con il marito Baldur von Schirach – ricordava che durante un viaggio nella capitale austriaca Hess «si era portato dietro un pentolino di spinaci con ingredienti misteriosi».28 Il suo ostinato rifiuto di ingerire qualsiasi cibo diverso dal proprio era oggetto di discussione con Hitler: quando Hess mangiava alla Cancelleria del Reich preferiva alle alternative vegetariane scelte da Hitler i cibi che si era portato da casa; un testimone ha raccontato che un giorno Hitler, infastidito, disse a Hess che il suo «cuoco di prim’ordine» gli avrebbe preparato tutto ciò che voleva. Hess però declinò l’invito, spiegando che «gli ingredienti del suo pasto dovevano essere di origine biodinamica».29 Hitler prese il rifiuto di Hess come un’offesa personale, sentenziò che da quel momento avrebbe fatto meglio a mangiare a casa sua e non lo invitò quasi più. La rigida dieta di Hess non era solo un vezzo personale. Con l’appoggio di Ilse consacrava molto tempo ed energie alla promozione, lo studio e lo sviluppo di terapie e cure alternative. Nel 1934 Hess fece pressioni per includere un’ampia gamma di associazioni – come l’Associazione dei naturopati tedeschi, la Società delle stazioni termali e delle scienze climatiche e la Lega degli idroterapeuti – nell’organizzazione ufficiale nazista dei professionisti della salute. Dopodiché istituì l’ospedale Rudolf Hess a Dresda, un centro di medicina naturopatica; il direttore era un oncologo che ammirava – come molti dei suoi collaboratori – le teorie del rinomato psicanalista Carl Gustav Jung e curava i pazienti con idroterapia, diete e periodi di digiuno. Nel 1937 Hess organizzò a Berlino la Conferenza mondiale di omeopatia: iniziò il discorso d’apertura con un appello alla professione medica perché considerasse «con mente aperta anche terapie precedentemente escluse». Poi dichiarò che l’omeopatia era la «branca della scienza» più appropriata a curare «le creature viventi», e si disse fiducioso che «la domanda di terapie olistiche» stava diventando «sempre più pressante».30 Ai convenuti poteva garantire che le condizioni politiche nella Germania nazista fornivano un’opportunità di fare grandi passi avanti in questo ambito. Come con l’astrologia, Hess fu ingiustamente preso di mira perché ritenuto un credulone, raggirato da fanatici e dalle loro chiacchiere irrazionali. A parte Himmler, il cui interesse per la medicina erboristica non era un segreto, il regime cercava di ridimensionare il potere delle cure naturali. La lotta al cancro fu una priorità assoluta e ispirò ricerche per capire se una dieta a base di alimenti vegetali non processati industrialmente potesse prevenire le malattie, e per identificare l’utilizzo di sostanze chimiche nel cibo e nei prodotti domestici come possibili patogeni. Alla base degli esperimenti di Hess nel campo della medicina naturale – e della sua fiducia nelle profezie mistiche – c’era il fatto che lui e Ilse non erano riusciti a concepire un figlio. Considerata l’immagine che avevano di sé come alfieri del movimento, era disonorevole non aver dato il loro contributo demografico. Entrambi fecero di tutto per rimediare. Hess lavorava duramente per non pensare alla sua avversione per il sesso. Nonostante i tentativi inutili, Ilse rifiutava di arrendersi all’evidenza. Magda raccontò a un membro dello staff di Goebbels che «nel corso degli anni [Ilse] le disse almeno cinque o sei volte che stava finalmente per restare incinta, di solito perché glielo aveva detto qualche indovino».31 Disperato, Hess mise da parte i suoi princìpi e andò in cerca di un aiuto farmaceutico. A Monaco c’era una farmacia proprio di fronte allo studio di Heinrich Hoffmann. Ogni giorno si vedeva Hess entrare e uscire con una speciale pozione che avrebbe dovuto aumentare la sua virilità. La cura miracolosa era probabilmente una delle tantissime pillole per l’impotenza a base di ormoni disponibili senza ricetta medica. Il rimedio più diffuso erano le Perle di Tito create da Magnus Hirschfeld, il famoso sessuologo il cui Institut für Sexualwissenschaft (“Istituto per la ricerca sessuale”) era stato distrutto dai nazisti. Il prodotto con la sua formula, tuttavia, continuava a essere venduto. La ditta che lo produceva aveva creato anche un farmaco per aumentare il seno, reclamizzato con uno slogan che prometteva di trasformare il corpo «dalla testa ai piedi».32 Le pubblicità delle Perle di Tito erano pensate in modo specifico per gli uomini come Hess: stanchi dirigenti di mezza età che cercavano di dare un po’ di brio alla loro vita amorosa. Il messaggio sottinteso della campagna pubblicitaria – che insinuava che un uomo sessualmente inattivo non fosse un membro utile della comunità a causa del suo insuccesso nel riprodursi – si adattava perfettamente a Hess. Tutti davano per scontato che il problema fosse suo, non di Ilse, dunque era lui a subire la pressione e a dover in qualche modo rimediare. Che siano stati i farmaci, l’allineamento delle stelle o le miracolose proprietà della dieta, sta di fatto che all’inizio del 1937 Ilse rimase inaspettatamente incinta. La coppia era emozionatissima. A quel punto Ilse non doveva fare altro che partorire un maschio alfa, e il gioco era fatto. Hess cominciò a cercare presagi positivi. Secondo il folclore, se durante l’estate compare un numero di vespe più alto della media ci si può aspettare con maggiore probabilità un maschio; Hess teneva attentamente il conto delle vespe che ronzavano attorno al giardino di casa intrappolandole in vasetti di miele. I segni furono propizi, e il 18 novembre Ilse partorì un maschio – il loro unico figlio – che venne chiamato Wolf Rüdiger Hess. Hitler era il padrino, e Wolf era stato un suo vecchio soprannome. Ilse e il marito erano diventati genitori orgogliosi, ma in tutto questo Hess aveva perso ciò che restava della sua credibilità. Secondo Magda e Goebbels quando nacque Wolf, Hess «si mise a danzare di gioia» in un modo che ricordava i rituali dei «nativi americani». Hess diffuse un ordine a tutti i leader regionali del partito chiedendo loro di inviare «sacchetti di terra tedesca» da «gettare sotto una culla appositamente costruita», in modo che il figlio potesse simbolicamente cominciare la sua vita «sul suolo tedesco». Goebbels trovò piuttosto buffa la richiesta e pensò di inviare «una pietra del selciato di Berlino»33 per sottolineare che le sue radici erano urbane, ma alla fine optò per un sacchetto sigillato di concime preso dal giardino. 8 Il club delle mogli delle SS

Margarete Himmler e Lina Heydrich non facevano parte del giro del Berghof. Margarete si limitò a farsi vedere in un paio di occasioni ufficiali, e Lina non varcò mai la porta d’ingresso. Benché i mariti stessero espandendo il loro potere, le due donne non erano allo stesso livello di Magda ed Emmy – nessuna delle due era un personaggio pubblico – né stavano dentro al cerchio magico di Hitler come Gerda e Ilse. Questa posizione secondaria infastidiva entrambe. Considerati i successi dei loro mariti si aspettavano di essere trattate con maggiore rispetto e di meritare uno status diverso. Sia Margarete sia Lina si lamentavano di continuo che Himmler e Heydrich non fossero sufficientemente apprezzati da Hitler o ricompensati con la stessa generosità riservata alle altre figure dell’élite nazista. Il fatto che al marito non fosse accordato «il giusto riconoscimento»1 torna costantemente nel diario di Margarete. Tuttavia, invece di unire le forze per agire insieme – come facevano, con successo, i mariti – le due donne erano in costante disaccordo. Margarete pativa che Lina ambisse smaccatamente a diventare la più influente tra le mogli delle SS. Lina non sopportava di avere un ruolo di secondo piano rispetto a una donna per cui non provava altro che disprezzo. Considerava Margarete inferiore a lei da ogni punto di vista e non perdeva occasione per umiliarla. Si beffava del fisico robusto di Margarete – «non può portare altro che mutande extralarge» – e la definiva una «bionda meschina e priva di senso dell’umorismo», «sempre fissata col protocollo».2 Lina non era l’unica ad avere un’opinione negativa di Margarete. Henriette Hoffmann la riteneva «una donnetta bizzosa che sembrava nata per essere infelice». In tanti concordavano con Lina sul fatto che Margarete «comandasse a bacchetta suo marito».3 L’élite nazista si rifiutava di prenderla sul serio: perfino Unity Mitford «rideva apertamente di Frau Himmler». Margarete venne a sapere degli insulti di Unity e si lamentò con un’amica comune del comportamento «di quella buona a nulla». L’amica – che frequentava da anni il movimento – si scusò per conto di Unity e le intimò di tenere la bocca chiusa. Era una donna gentile che provava compassione per Margarete, «una povera disgraziata che durante la prima guerra mondiale aveva fatto l’infermiera» con una dedizione che l’aveva consumata: «di lei non era rimasto più niente».4 In molti condividevano questo giudizio, sostenendo che Margarete era così perché aveva subito uno shock post-traumatico. Una supposizione oziosa che poteva essere crudele o empatica a seconda del contesto. Margarete era consapevole dell’aperta ostilità di Lina, e sollevò la questione con il marito. Himmler disapprovava da tempo la tendenza di Lina a interferire negli affari delle SS, un atteggiamento che irritava anche Heydrich. Himmler chiese a un’altra moglie di un SS, Frieda Wolff – che conosceva bene sia Margarete sia Lina ed era sposata con l’assistente personale di Himmler – di provare a far ragionare Lina. Frieda le parlò in occasione di una regata. Lina non la prese bene, non le piaceva che la si volesse mettere in riga – «mi hanno rinfacciato cose tremende, e mio marito è stato accusato di non essere in grado di tenermi a bada» – e respinse con sdegno Frieda. Dopo il fallimento dell’approccio indiretto, pare che Margarete abbia convinto Himmler a mettere Heydrich di fronte a una scelta: chiedere il divorzio o lasciare le SS. Heydrich probabilmente avvertì Lina, al che lei decise di avere un confronto diretto con Himmler. Avvenne, secondo la testimonianza di Lina, mentre erano seduti allo stesso tavolo durante una delle feste in giardino a casa dei Göring. Invece di adottare i soliti modi volubili e aggressivi, Lina rimase in silenzio per tutto il tempo; «misi su la mia espressione più afflitta e rimasi lì seduta, immobile». Questo atteggiamento irritò Himmler, che le chiese se stesse bene. Lei fece spallucce e poi i due ballarono, anche se Himmler «non ne era capace». Apparentemente era finita lì. Himmler le disse che era tutto a posto e non ne parlò mai più. Lina concluse che l’intero incidente era «tipico di Himmler: sulla carta ci ha ordinato di divorziare, ma poi di fronte a me tutto il suo coraggio era svanito».5 Alla fine, a prescindere da quello che voleva Margarete, Himmler non aveva intenzione di compromettere l’eccellente rapporto lavorativo che lo legava a Heydrich. I due formavano una squadra formidabile. Heydrich non sfidava mai l’autorità del suo superiore e faceva il possibile per esaudirne i desideri; poteva anche avere da ridire o brontolare alle spalle di Himmler, ma la sua lealtà non vacillò mai. Himmler ne ammirava le capacità organizzative e la «straordinaria» abilità nel giudicare se qualcuno stava mentendo, e quindi se si trattava di «un amico o un nemico».6 Le rispettive debolezze e punti di forza si compensavano a vicenda. Himmler era più portato per i contesti sociali; quando Heydrich entrava in una stanza la temperatura calava bruscamente. Il suo modo di pensare era logico e lineare; Himmler era più astratto e contorto. Nonostante tutte le energie che Margarete e Lina impiegavano per disprezzarsi l’un l’altra, erano accomunate dagli stessi problemi matrimoniali: entrambe erano abbandonate e neglette. I mariti non avevano tempo per loro né per i figli, ma soltanto per il lavoro. Il 23 dicembre 1934 Lina diede alla luce il suo secondo figlio, un bimbo che chiamarono Heider. Con due figli, e malgrado la presenza dei domestici ad alleviarle il carico, le mancava un vero sostegno familiare. I genitori erano lontani, a Fehmarn, l’isola nel Baltico dalla quale era fuggita, e Heydrich aveva virtualmente tagliato tutti i rapporti con genitori e fratelli. Nel frattempo, Margarete aveva seri problemi con il figlio adottivo, Gerhard, che rubava, diceva bugie, marinava la scuola. Punirlo non serviva a niente, anche quando Himmler lo picchiava con un frustino. Per Margarete Gerhard era «un criminale di natura». Non sapendo più che cosa fare Margarete tentò di riportarlo dalla madre biologica, la quale però pretese una grossa somma di denaro; allora il ragazzo fu spedito in collegio, dove subì costanti atti di bullismo dagli altri studenti. La figlia degli Himmler, Gudrun, al contrario era «dolce e educata», ma le erano imposti ugualmente una rigida disciplina e gli altissimi standard di sua madre. La famiglia di Himmler era presente per dare sostegno a Margarete, ma lei non ci andò mai d’accordo. I suoi genitori del resto non avevano mai approvato il matrimonio e si erano tenuti alla larga, anche se a partire dal 1934 la sorella minore, una sarta professionista, fu ospite fissa in casa, per darle una mano insieme ai domestici, alla cuoca e al giardiniere. Margarete, tuttavia, non si trovò mai bene con il personale di casa. Dopo aver licenziato una coppia impertinente e «pigra», concludeva che «persone del genere dovrebbero essere rinchiuse e costrette a lavorare finché muoiono».7

Tra Natale del 1934 e Capodanno del 1935 Margarete e il marito ebbero a casa alcuni ospiti: Walther Darré, comandante dell’Ufficio centrale per la razza e le colonie e ministro del Reich per l’alimentazione e l’agricoltura, e sua moglie Charlotte, colta ed elegante figlia di un latifondista aristocratico con simpatie destrorse e idee antisemite. Dopo essere entrato nelle SS nel 1930 Darré, che durante la prima guerra mondiale aveva servito nell’artiglieria, lavorato come direttore di un’azienda agricola e scritto testi sull’allevamento del bestiame, diventò amico di Himmler; i due condividevano la visione di un’utopia agreste, un mondo popolato da contadini di razza pura, e Darré aveva coniato l’espressione «sangue e suolo». Nel 1929 aveva assunto Charlotte come segretaria e tre anni dopo si erano sposati. Charlotte e Margarete avevano molte cose in comune: erano più o meno coetanee ed entrambe cresciute in grandi fattorie. Come regalo di matrimonio Margarete e Himmler donarono agli sposi due vasi d’argento e una voluminosa biografia di Gengis Khān. Le due famiglie si godevano il primo Natale degli Himmler nella nuova proprietà sul lago Tegernsee, non lontano da Monaco. Acquistata da un cantante, la casa imponente in stile chalet ospitava un comando separato delle SS gestito da quattro uomini, un pontile privato,un terreno per il bestiame – pecore, pony, maiali e cervi –, una peschiera, una serra e un prato utilizzato per il croquet in estate e il pattinaggio sul ghiaccio in inverno. Durante quelle vacanze sia Himmler sia Darré avevano molto da festeggiare. Il 1934 era stato un anno cruciale per la loro organizzazione, che aveva esteso il suo potere a discapito delle SA di Röhm, diventate un ostacolo ai progetti di guerra di Hitler. Il Führer aveva infatti bisogno di stabilità interna ed esterna, e della totale collaborazione dell’esercito. Le SA, invece, erano intenzionate a scalzare il monopolio militare delle forze armate e a togliere di mezzo ciò che restava del vecchio ordine. Nel frattempo, Röhm si era rifiutato di tenere a freno la violenza urbana, il vandalismo e gli atti intimidatori per cui i suoi uomini erano tristemente famosi. Nella primavera del 1934 la tensione lasciava presagire un’inevitabile resa dei conti. L’unica incertezza riguardava chi avrebbe colpito per primo. Fu il momento di Himmler. In cambio dell’utilizzo delle SS per sopprimere le SA, Göring accettò di concedere a Himmler – che già gestiva le forze di polizia di tutte le altre regioni – il controllo sulla polizia prussiana e sulla Gestapo. Durante la notte fra il 30 giugno e il 1º luglio gli squadroni della morte di Himmler colpirono. Tra le ottanta e le duecento persone (incluso lo sfortunato dottor Schmidt) furono trucidate in quella che venne chiamata la Notte dei lunghi coltelli. Röhm sopravvisse qualche ora mentre Hitler e i suoi ne decidevano il destino; alla fine fu ucciso a colpi di pistola nella sua cella. Il fatto che fosse amico di Lina e Heydrich, nonché padrino del loro primogenito, non faceva alcuna differenza nel mondo spietato della politica nazista; né Lina né il marito espressero mai rimpianto. Hitler, dal canto suo, era felicissimo: «In considerazione dei grandi servizi resi dalle SS […] le promuovo a organizzazione autonoma».8 Al netto delle cordialità di quelle feste natalizie, il Natale non era una faccenda di primaria importanza per l’élite nazista. Le vacanze al Berghof trascorrevano in sordina a causa della depressione che colpiva Hitler ogni anno in quel periodo. Sua madre era morta il 21 dicembre 1907 e lui non aveva mai superato la perdita. Di solito trascorreva il giorno di Natale da solo, a Monaco. Una volta la sera della Vigilia aveva chiamato un taxi che lo portò in giro per la città, per far passare il tempo. Passando dalla dimensione privata a quella pubblica, il Natale era un terreno di battaglia centrale nella lotta nazista per strappare il popolo tedesco al cristianesimo, considerato da Hitler una religione che esaltava la debolezza e soffocava lo spirito guerriero della nazione. Benché Hitler fosse agnostico, quasi tutti quelli della sua cerchia avevano abbandonato la fede dell’infanzia e abbracciato il paganesimo, riscoprendo i simboli e i rituali delle antiche divinità. Himmler e Darré erano pagani praticanti, e così pure gli Hess. Sia Heydrich sia Bormann disprezzavano i cristiani e fecero il possibile per rendere la loro vita un inferno. Magda e Goebbels appoggiavano la campagna anticristiana. Solo Emmy e Göring mantenevano una formale fedeltà alle tradizioni cristiane. Considerato quello che significava il Natale per i cristiani, i nazisti fecero del loro meglio per appropriarsi di quel periodo dell’anno. C’erano canti ispirati al nazismo, cartoline natalizie decorate con la svastica, addobbi con le insegne del partito da appendere all’albero e omini delle SA fatti di cioccolato. Le madri erano incoraggiate a cuocere biscotti a forma di simboli runici. Sebbene Himmler avesse cercato di introdurre una festività pagana chiamata Festa di mezza estate, che sperava di rendere più popolare del Natale, ogni dicembre faceva produrre calendari dell’Avvento con le immagini dei membri dell’organizzazione e speciali candelabri natalizi con il logo delle SS. Sostenne perfino l’idea che Babbo Natale discendesse dal dio nordico Odino. Himmler non tralasciò nulla nel tentativo di screditare la Chiesa. Ordinò un’indagine dettagliata sulla caccia alle streghe del XVI e XVII secolo. I ricercatori raccolsero una vasta documentazione – che ammontava a circa 34 000 pagine – per provare che le cosiddette streghe erano in realtà virtuose donne pagane che fornivano un servizio utile alla loro comunità perché sapevano come sfruttare le proprietà magiche di erbe e piante. Demonizzando e mandando al rogo queste donne sagge dalle grandi doti spirituali, le autorità cristiane si erano macchiate di un crimine spaventoso. Il gruppo di ricerca sulla caccia alle streghe di Himmler era solo la prima di una serie sconcertante di iniziative pseudoaccademiche, la maggior parte delle quali era intrapresa da un’associazione di sua creazione, l’Ahnenerbe (“Società di ricerca sull’ere dità ancestrale”). Sempre più strutturata, questa organizzazione ricorreva ad archeologi e scienziati simpatizzanti con l’ideologia del movimento, che operavano ai margini delle loro discipline con l’incarico di studiare la stirpe antica e preistorica della razza ariana e il suo ruolo nello sviluppo della specie umana. Tentarono persino di dimostrare che il primissimo Homo sapiens era di origine ariana. Squadre di esperti visitavano potenziali siti di interesse in Nord Africa o Medio Oriente, fino al Tibet. Non sappiamo quanto Margarete condividesse le ossessioni ideologiche del marito; di certo però continuava a leggere il materiale che Himmler le forniva regolarmente, dai libri di storia sullo sfruttamento dei capi tribali che sfidarono il potente impero romano a documenti archeologici sull’analisi dei teschi. Diligente, Margarete passava in rassegna tutti questi testi e poi ne parlava nel diario e nelle lettere a Himmler. Di solito si limitava a esprimere interesse, senza dare un giudizio o reagire in qualche modo. Himmler voleva chiaramente che sua moglie condividesse le sue passioni, o quantomeno che le approvasse. Il 25 maggio 1935 la portò a Wewelsburg per mostrarle il castello che stava ristrutturando, con l’idea di riportarlo alla sua gloria medievale e usarlo come centro ideologico dei cavalieri delle SS, rievocando la Camelot di Re Artù. Quando Margarete lo visitò, il castello era ancora in rovina. Forse la moglie tollerava i bizzarri entusiasmi di Himmler allo stesso modo in cui innumerevoli donne si sono rassegnate ai progetti cari ai mariti, incoraggiandoli e tenendo per sé i loro veri sentimenti. Di fatto, il tempo che Himmler dedicava al castello e a una moltitudine di altri impegni era sottratto a lei e a Gudrun. Per tutto il 1935 Himmler passò soltanto sei settimane nella loro residenza di Tegernsee. Lina affermava che lei e Heydrich trovavano buffe le eccentriche stravaganze di Himmler – «i suoi hobby ci facevano ridere» –, ma essenzialmente innocue. «A me e a mio marito veniva da sorridere con benevolenza», ricordava, quando ascoltavano «impassibili le sue teorie sulle pietre pagane.» Heydrich, tuttavia, non era del tutto insensibile al «misticismo»9 di Himmler. In occasione del solstizio d’estate del 1935 visitò Fehmarn, l’isola in cui era cresciuta Lina, in compagnia di uno storico che lo portò a vedere una casa colonica del XVIII secolo sorta sul sito di una costruzione di molto precedente, dietro la quale erano nascoste alcune lapidi antiche. Sapendo dell’interesse di Himmler per le prime civiltà scandinave – l’Ahnenerbe aveva esplorato la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, l’Islanda e la Finlandia – Heydrich propose di costruirvi un museo e una fondazione che lo finanziasse. A Fehmarn Lina e il marito avevano inoltre una residenza estiva, ma interruppero i lavori di ristrutturazione il giorno in cui Heydrich scoprì il sito archeologico. Con il denaro prestatogli dal figlio di un ricco industriale che aveva ereditato la fortuna del padre acquistarono un vasto lotto di terreno in prossimità di una spiaggia affacciata sul Baltico, ed eressero lì una casa tradizionale con la struttura in legno e il tetto di paglia. Lina la adorava e la famiglia vi trascorse quasi tutte le estati.

Tra le conseguenze dell’affermazione delle SS in seguito alla Notte dei lunghi coltelli ci furono due appartamenti a Berlino: uno per Lina e uno per Margarete. Davanti a loro si apriva un nuovo mondo di possibilità. Se a Monaco Lina si sentiva sempre isolata, esclusa dalle alte sfere della società nazista, a Berlino era decisa a incontrare persone importanti e influenti. In suo soccorso arrivò il bel venticinquenne Walter Schellenberg, brillante studente all’università di Bonn, iscritto per due anni alla facoltà di medicina prima di passare a giurisprudenza. Era entrato nelle SS nel 1933 e aveva cominciato a lavorare al Sicherheitsdienst, il servizio segreto, dopo essere stato reclutato da due professori. Ben presto aveva socializzato con Heydrich e Lina. Secondo Schellenberg Lina «era felice di aver incontrato […] qualcuno capace di soddisfare il suo bisogno di cose belle, il desiderio di frequentazioni più intelligenti e colte appartenenti al mondo della letteratura e dell’arte». Il giovane portava la coppia ai concerti e a teatro, e fece in modo che cominciassero a «frequentare i migliori circoli della società berlinese».10 A febbraio del 1937 organizzare ricevimenti diventò più facile per Lina, quando la famiglia si trasferì in una nuova casa a nove stanze – ciascuna dotata di allarme – distribuite su tre piani, con due camere extra per i domestici, guardie delle SS al cancello d’ingresso e un ampio giardino con un parco giochi e un pollaio. I tentativi di Lina si infrangevano contro il carattere del marito; oltre a trovare assolutamente noiosa la buona società, Heydrich non aveva alcun interesse a farsi nuovi amici, e preferiva frequentare bar e night club insieme ai colleghi delle SS. Lina ha ricordato che non aveva «neanche un vero amico» ed «evitava qualsiasi contatto sociale con i vicini o i colleghi».11 C’erano però delle eccezioni. Herbert Backe e sua moglie Ursula, insieme ai figli – che avevano più o meno la stessa età dei bambini di Lina e Heydrich – erano ospiti fissi a casa loro, e trascorrevano insieme alla famiglia week-end e serate. Backe, entrato nelle SS nel 1933, era esperto di agricoltura e protetto di Darré. Dopo che Himmler ebbe licenziato Darré e messo fine alla loro amicizia, fu Backe a prenderne il posto. Come Lina, anche Ursula era una nazista appassionata e fungeva ufficiosamente da segretaria, assistente personale e archivista per il marito. Il suo diario era in buona sostanza il registro delle attività di Backe. Tuttavia, le relazioni che Lina riusciva a instaurare erano fragili, soggette alle macchinazioni della politica nazista e alle rivalità in cui suo marito era incessantemente coinvolto. Un caso significativo fu il rapporto di Heydrich con Wilhelm Canaris e sua moglie Erika. Canaris era un eroe di guerra arruolato in marina nel 1905, all’età di diciotto anni; aveva comandato un feroce reggimento dei Freikorps e nel 1923 era ufficiale a bordo della nave sulla quale serviva la giovane recluta Heydrich. Erika era una donna cerebrale, colta e appassionata di musica. Brillante violinista, ospitava tè pomeridiani in cui si esibiva con un quartetto d’archi. Quando uno dei musicisti abbandonò il gruppo, Canaris suggerì che a sostituirlo fosse Heydrich; Erika adorava il suo modo sublime di suonare il violino e lui divenne un componente fisso del gruppo. L’amicizia durò poco e Heydrich e Canaris presero strade diverse. Nel 1933 la carriera di Canaris era in stallo, ma con l’ascesa dei nazisti le cose tornarono ad andargli bene e il 1º gennaio 1935 divenne capo dell’Abwehr, la sezione di spionaggio dell’esercito. Poco tempo dopo gli Heydrich si imbatterono in Canaris e in Erika durante una passeggiata e scoprirono di essere vicini di casa. Lina apprezzava i modi raffinati di Erika, e Heydrich e Canaris sembravano contenti di essersi ritrovati. Andavano a cavallo nel bosco di Grunewald, il pomeriggio giocavano a croquet e ogni settimana organizzavano una serata musicale in cui Heydrich suonava il primo violino, Erika il secondo, il fratello minore di lui il violoncello e un amico la viola. Canaris, che era un ottimo cuoco, preparava piatti raffinati: le sue specialità erano il cinghiale in salsa di vino rosso e l’insalata di aringhe servita con brandy e caviale. Nonostante le dichiarazioni di Lina secondo cui la rivalità professionale tra Canaris e suo marito «non influenzava la nostra vita privata e in società»,12 le tensioni tra i due erano sempre palpabili. L’Abwehr e il Sicherheitsdienst erano naturalmente contrapposti, soprattutto dal momento che Heydrich voleva controllare ogni aspetto dello spionaggio, sia interno sia estero. Sebbene i due fossero arrivati a un fragile accordo noto come “I dieci comandamenti” – che definiva e specificava le rispettive aree di competenza –, non si fidarono mai l’uno dell’altro. Quando Heydrich notò una delle figlie di Erika aggirarsi intorno alla sua scrivania la accusò di essere una spia, mentre nel suo diario Canaris definiva Heydrich «un brutale fanatico con cui è difficile collaborare in modo aperto e amichevole».13 Potevano anche aver mantenuto rapporti apparentemente civili, ma i due erano impegnati in una lotta all’ultimo sangue per la supremazia.

Dopo essersi trasferita a Berlino, Margarete si immerse nella vita da First Lady del Reich. Adesso faceva parte del circuito delle feste diplomatiche e registrava fedelmente nel suo diario le reazioni a ogni evento: pensava che l’ambasciatore francese fosse «la persona più divertente e simpatica che abbia mai conosciuto»; all’ambasciata argentina «ho visto molte persone che conosco»; l’ambasciata egiziana era «molto bella»; a una serata con duecento ospiti alla Cancelleria del Reich c’erano «ovunque fiori meravigliosi, davvero stupendi», e cinque giorni dopo il ministero della Propaganda le sembrò «noiosissimo, siamo venuti via in anticipo».14 A parte trovarsi bene con una stravagante contessa ed essere incuriosita dalla moglie tedesca dell’ambasciatore giapponese – che le raccontò «un sacco di cose intime e interessanti» – Margarete faticava a adattarsi alla situazione e nell’alta società era chiaramente a disagio: «stanno ricominciando gli inviti. Quanto vorrei non avere così bisogno di dormire». La serata ideale per Margarete era uno spettacolo a teatro – prediligeva le commedie farsesche come Alle lügen, che trovò «divertentissima»15 – e talvolta al cinema. Altrimenti trovava del tutto piacevole stare a casa a giocare a bridge, o ritirarsi presto con un buon libro. Malgrado il disagio, Margarete desiderava essere considerata una figura importante e degna di rispetto. Ogni mercoledì ospitava le mogli dei membri di spicco delle SS per un tè pomeridiano nella sua villa con quattordici stanze. Di norma si presentavano tra le sei e le dieci ospiti, tutte appartenenti a famiglie della media e alta borghesia, come Frieda Wolff, il cui padre, aristocratico, aveva lavorato per il granduca di Hesse, aveva diretto un tribunale distrettuale e possedeva azioni in un’azienda cartiera. Il marito di Frieda e quelli delle altre ospiti del circolo avevano estrazioni professionali simili – erano avvocati, economisti, politologi e uomini d’affari – che riflettevano la strategia di reclutamento di Himmler e Heydrich. Lina si opponeva con forza alle iniziative di Margarete, cercando di sabotarle. La prima mossa fu attirare le mogli nella propria orbita. Con l’aiuto di una di loro, un’ex ballerina, organizzò un inedito spettacolo musicale nel quale le signore delle SS all’inizio intonavano canti popolari e alla fine ballavano un can-can. Lina ideò poi un corso di ginnastica; programmato per coincidere con i tè pomeridiani di Margarete, univa educazione fisica e ginnastica ritmica ed era tenuto da un istruttore trovato da Heydrich. Dopo la prima, faticosa lezione di ginnastica, il gruppo di Lina era affaticato e accaldato, ma le signore erano in imbarazzo a utilizzare le docce della palestra. Per incoraggiarle a superare la timidezza, Lina si spogliò e rimase nuda di fronte a loro, il che bastò a convincere le altre a liberarsi delle inibizioni e dei vestiti. Nel complesso le lezioni furono un successo: alla fine, otto delle signore ottennero una medaglia d’oro per l’attività sportiva, e altre venti l’argento. Nel 1936 lo sport offrì a Lina un’altra opportunità per prevalere su Margarete. Heydrich faceva parte del Comitato olimpico tedesco e durante i Giochi a lui e a Lina – che erano invitati a tutti gli eventi di gala – furono assegnati posti nettamente migliori rispetto a quelli di Margarete e Himmler; Lina ne fu molto soddisfatta perché «era una situazione inedita per Himmler. Mio marito era abituato a venire sempre dopo di lui».16 Sedettero persino a uno dei tavoli più importanti durante il ballo del Comitato olimpico internazionale, una cena con sei portate di cibo raffinatissimo nella splendida sala bianca del castello di Berlino, la sera prima della cerimonia di apertura. A Lina e Heydrich era anche stato assegnato lo status di ospiti d’onore ai Giochi olimpici invernali che si erano tenuti qualche mese prima, con tanto di parco macchine e aereo privato a loro disposizione. Tra tutti gli sport nei quali Heydrich eccelleva, la scherma era quello a cui teneva di più. Si allenava con gli atleti migliori e partecipava a competizioni di alto livello; al torneo di scherma delle SS tenuto a novembre del 1936 arrivò quinto nello spadino e terzo nella sciabola. Fu una prestazione più che lodevole, ma Heydrich, che detestava perdere, ignorò l’etichetta e mise in discussione il voto del giudice di gara. Lo sport di Himmler era il tennis, ed era un giocatore appassionato. Per un po’ vi si dedicò anche Margarete: a parte il fatto che aveva bisogno di fare esercizio – aveva una quarantina d’anni e problemi di peso – era l’unica attività che poteva condividere con il marito. L’impegno si rivelò troppo gravoso e ben presto Margarete appese la racchetta al chiodo. Himmler, dal canto suo, proseguì a giocare con regolarità. Il sincero interesse di Himmler per lo sport non significava che fosse pronto a mettere in discussione i propri princìpi. L’aristocratico Gottfried von Cramm – due volte vincitore degli Internazionali di Francia e per due volte finalista a Wimbledon – era l’indiscussa star del tennis tedesco. Nonostante un matrimonio farsa celebrato nel 1930, von Cramm era omosessuale, e prima dell’era nazista, grazie all’atmosfera liberale che si respirava a Berlino durante Weimar, era relativamente aperto riguardo alla sua vita privata. Himmler temeva e disprezzava profondamente l’omosessualità. In un discorso del 1937 dichiarò che era la ragione per cui «la condizione virile» si stava «autodistruggendo».17 Sulle prime i nazisti continuarono a usare la legge di Weimar sull’omosessualità, secondo la quale era illegale per due uomini con più di ventuno anni avere rapporti sessuali penetrativi. A seguito di queste disposizioni, tra il 1933 e il 1935 furono condannati quattromila uomini. Poi il campo d’azione della legge fu ampliato fino a includere «qualsiasi attività indecente tra uomini».18 Questo cambiamento generò un drammatico incremento delle condanne; dal 1935 al 1939, trentamila uomini furono mandati in prigione o nei campi di concentramento. Dopo essere stato denunciato da un prostituto, nell’aprile del 1937 von Cramm venne prelevato da due agenti della Gestapo, interrogato duramente per molte ore e poi rilasciato. Gli fu risparmiata la prigione perché stava per partecipare alla finale interzona della Coppa Davis, una competizione che la Germania non aveva mai vinto nonostante negli ultimi anni ci fosse andata vicino. Il match decisivo, giocato sul campo centrale di Wimbledon contro Don Budge della squadra americana, è passato alla storia come un classico del tennis. In Germania milioni di persone – incluso Hitler, che aveva chiamato von Cramm poco prima del match per augurargli buona fortuna – rimasero incollate alla radio ad ascoltare il commento della partita tifando per von Cramm. Nonostante fosse di gran lunga il favorito, alla fine fu battuto in cinque set da brivido. Se avesse vinto il destino di von Cramm sarebbe stato diverso. La sconfitta però lo lasciò del tutto indifeso e, a peggiorare la situazione, la moglie chiese il divorzio. Himmler colse l’occasione per sbatterlo in prigione. A maggio del 1938 fu condannato a un anno di carcere per avere avuto una relazione con un giovane attore ebreo, ma fu liberato sulla parola dopo sei mesi. Nel 1939 von Cramm cercò di tornare alla ribalta, ma fu bloccato di nuovo quando l’All England Club – adducendo come pretesto la sua fedina penale – gli impedì di giocare a Wimbledon.

Nel 1936 Lina era ormai sicura che Heydrich la stesse tradendo. Con brutale sincerità diceva che al marito andava bene «qualunque cosa indossasse una gonna».19 Lina non aveva idea di chi potesse essere la donna, ma era sicura di non essersi inventata niente; altrimenti perché mai suo marito avrebbe dovuto passare fuori tutta la notte – cosa che faceva spesso – e tornare all’alba puzzando di alcol e di profumo? Lina lo affrontò ripetutamente, ma lui negò tutto. I timori di Lina erano infondati: Heydrich non aveva una relazione clandestina, né teneva nascosta qualche amante. Numerosi suoi colleghi delle SS, però, testimoniano che frequentava regolarmente prostitute e aveva la reputazione di maltrattarle. Un ufficiale delle SS diceva che dopo essere stata con Heydrich «persino la puttana più pietosa non vuole rivederlo mai più».20 Lo stesso uomo raccontò della visita a un bordello di Napoli in cui Heydrich, svuotato sul pavimento un borsellino pieno di monete d’oro, rimase a guardare compiaciuto la proprietaria e le ragazze azzuffarsi per raccoglierle. Pur tenendo conto della sospetta attendibilità di testimoni che avevano tutto l’interesse a far apparire il loro capo il più depravato possibile – in modo da sembrare meno spaventosi – emerge comunque uno schema ricorrente e preciso nel comportamento sessuale di Heydrich. A maggio del 1926 faceva parte di un’esercitazione navale che prevedeva un breve soggiorno a Barcellona. Uno degli altri cadetti disse che Heydrich andò in cerca di un bordello non appena toccò terra. L’ex cadetto ricordava anche uno spiacevole incidente durante un evento al circolo tedesco; Heydrich portò «una signorina di un contesto sociale impeccabile» a fare una passeggiata in giardino e «si comportò talmente male che lei lo schiaffeggiò».21 Poco tempo dopo Heydrich provocò una scenata durante una cena, chiedendo ripetutamente alle mogli di alcuni ufficiali inglesi di ballare con lui. E poi c’erano le circostanze legate alla sua espulsione dalla marina e la ragazza disperata che lasciò per Lina. Questi episodi – sommati alle rivelazioni degli uomini delle SS – fanno pensare che il trattamento riservato alle prostitute non fosse semplicemente un pettegolezzo; offrono piuttosto un’ulteriore conferma delle sue tendenze sociopatiche. Heydrich era emotivamente arido e privo di empatia, e considerava le altre persone come oggetti, cose che potevano essere manipolate per servire i suoi bisogni. Inoltre, amava il brivido di spingersi oltre il lecito e di provare a se stesso di essere intoccabile. Se le sue abitudini notturne fossero state di dominio pubblico, lo avrebbero rovinato. Temendo la diffusione delle malattie veneree, il regime nazista era durissimo nei confronti delle prostitute che esercitavano per strada – nel 1933 ne furono arrestate migliaia – ma si dimostrava più flessibile quando si trattava dei bordelli. Dopo essere stati chiusi durante l’epoca di Weimar, i bordelli riaprirono, soprattutto nelle grandi città. Nel 1937 diventò legale per una prostituta affittare una stanza in un edificio se all’interno non vivevano minorenni. Tuttavia, nello stesso anno le prostitute vennero arrestate in massa come elementi “antisociali”. Erano anche soggette a regolari visite sanitarie: se una di loro mostrava sintomi di una malattia venerea, veniva sterilizzata. Incurante delle severe punizioni inflitte a chi lavorava nel commercio del sesso, Heydrich decise di aprire un bordello. Secondo Schellenberg voleva «un posto in cui visitatori importanti provenienti dall’estero fossero “intrattenuti” in un’atmosfera discreta, dove avrebbero trovato una seducente compagnia femminile» e magari rivelato «qualche informazione utile». A questo scopo venne requisita una casa elegante in un quartiere alla moda della capitale, un importante architetto scelse l’arredamento e i mobili e furono costruiti doppi muri con all’interno microfoni collegati a «strumentazioni che registravano su nastro ogni parola pronunciata dentro la casa». L’apparecchiatura era gestita da tre tecnici specialisti «vincolati da un giuramento». A una signora esperta, nota come “Kitty”, erano affidate sedici prostitute d’alto bordo accuratamente selezionate che parlavano molte lingue straniere. Il bordello di Kitty faceva affari d’oro: dignitari stranieri e alte cariche istituzionali del governo nazista, militari e uomini dello show business pronunciavano la parola d’ordine – «Rothenburg» – e ne varcavano la soglia. Schellenberg si diceva convinto che le informazioni raccolte grazie alle confidenze nell’intimità svelarono una quantità di «segreti diplomatici».22 Sebbene Lina fosse ignara delle occupazioni notturne del marito, restava convinta che Heydrich avesse le sue distrazioni. Non era però il genere di donna che accetta di essere ingannata: era attraente, ancora giovane, e aveva bisogni e desideri che non venivano soddisfatti dal marito malato di lavoro. Le prove sono indirette, ma pare che Lina abbia cercato la compagnia di altri uomini. Uno dei presunti amanti di Lina era proprio Walter Schellenberg, anche se secondo la sua versione dei fatti l’immaginaria relazione era soltanto il frutto della paranoia di Heydrich. Reso sospettoso da quello che con tutta probabilità non fu altro che un flirt innocuo, Heydrich cercò di coglierli sul fatto. In occasione di una conferenza delle SS nella residenza di Heydrich a Fehmarn, Schellenberg si era fermato un giorno in più dopo il ritorno del capo a Berlino. Secondo Schellenberg lui e Lina avevano fatto una passeggiata fino al lago, preso un caffè insieme e «parlato di arte, letteratura e concerti». Quattro giorni dopo, nella capitale, Heydrich aveva chiesto a Schellenberg di unirsi a lui e al capo della Gestapo, Heinrich Müller, per una serata in città. Dopo cena i tre si erano recati in un bar buio e avevano ordinato da bere. Bevuto qualche sorso, Müller – un ex poliziotto – era passato alla modalità interrogatorio. Gli era piaciuta la passeggiata con Lina? Non si era reso conto di essere sotto controllo? Turbato, Schellenberg aveva ripetuto che tra lui e Lina non c’era niente. Heydrich allora lo aveva informato freddamente che il suo drink era avvelenato; se avesse giurato sul suo onore che stava dicendo la verità gli avrebbe dato l’antidoto. Schellenberg aveva giurato e gli era stato dato un Martini dry, che a suo dire aveva un gusto strano: «sembrava che ci avessero aggiunto qualcosa di amaro».23 Dopodiché i tre non avevano più toccato l’argomento e si erano goduti la serata. È possibile che la storia di Schellenberg fosse, appunto, una storia; era certamente in grado di imbastire un racconto complicato per nascondere la verità e preservare la propria reputazione. Eppure, che Heydrich gli avesse teso una trappola o meno, sembra improbabile che Schellenberg, ossessionato dall’idea di fare carriera, abbia rischiato di attirarsi l’ira del capo per andare a letto con Lina. Un altro potenziale candidato era Wolfgang Willrich, pittore, poeta, critico d’arte e polemista con idee estremiste persino per gli standard delle SS. I suoi dipinti erano pura propaganda, ritraevano contadinelle dalle guance rosee e giovani reclute delle SS, con titoli come I custodi della razza. Gli articoli e i saggi di Willrich suscitavano pareri contrastanti e fu controversa la decisione di chiamarlo a far parte della commissione di sei membri incaricata di selezionare gli artisti per la mostra sull’Arte degenerata, un compito che gli ispirò la scrittura del libro Säuberung des Kunsttempels (“La pulizia dei templi dell’Arte”, 1937). Heydrich commise l’errore di chiedere a Willrich di dipingere un ritratto della moglie. Non è difficile immaginare che Lina sia stata affascinata dalla natura vivace di Willrich durante le lunghe ore trascorse a posare per lui, turbata dalla strana intimità che si crea tra un pittore e il suo soggetto. Heydrich ovviamente era allarmato, e non perse l’occasione di minacciare Willrich. A marzo del 1937 una rivista intitolata “Volk und Rasse” (“Popolo e Razza”) utilizzò il ritratto di Lina per la copertina. Invece di affrontare direttamente il pittore, Heydrich chiese al marito di Frieda Wolff di scrivere una lettera ai redattori in cui intimava di non pubblicare più le opere di Willrich. Benché il divieto non abbia avuto gravi conseguenze per Willrich, fu sufficiente a interrompere qualsiasi genere di legame avesse con Lina. Poco tempo dopo, nel tentativo di salvare il loro matrimonio, Heydrich e Lina decisero di fare una vacanza insieme, da soli, sperando che qualche settimana lontani da tutto avrebbe rinsaldato la loro relazione. Si imbarcarono come semplici turisti per una crociera sul Mediterraneo e visitarono Italia, Grecia, Tunisia, Tripoli e Cartagine. Il sospirato periodo di riposo deve aver giovato al matrimonio, almeno per un po’, e l’estate successiva Lina rimase incinta del terzo figlio. I fattori che minavano la sua felicità però non erano così facilmente eliminabili. Lina continuava ad avere un ruolo secondario nella vita del marito, che a breve sarebbe stato ancora più impegnato di prima. Heydrich e il suo complice stavano progettando di conquistare un nuovo territorio.

Il 12 marzo 1938, a poche ore dall’ingresso indisturbato delle truppe tedesche in Austria, Himmler e Heydrich arrivarono a Vienna. Si stavano preparando da mesi. A loro disposizione avevano le informazioni raccolte sui potenziali oppositori al nazismo: ciò che restava della sinistra, cittadini prestigiosi che avrebbero potuto arrischiare una resistenza, intellettuali, scrittori e artisti con un curriculum sospetto. E poi notizie dettagliate sulla vasta comunità ebraica – concentrata a Vienna – e soprattutto sui componenti più ricchi e il loro giro d’affari. Sin da quando aveva formato l’unità di controspionaggio, Heydrich era stato in grado di comprendere il grande valore delle informazioni. Aveva cominciato quasi subito a compilare una raccolta di schede contrassegnate con colori diversi che contenevano dettagli precisi su alcuni individui di particolare interesse. Questo sistema di schedatura, che Heydrich archiviava dentro alcuni scatoloni nel suo appartamento di Monaco, era cresciuto e ormai riguardava migliaia di persone. Quando lui e Himmler arrivarono nella capitale austriaca, tutte le schede più importanti erano state selezionate e i due erano pronti per sfruttare tutto ciò che sapevano. Nei primi giorni dopo il loro arrivo furono arrestate e sottoposte a un primo assaggio della giustizia nazista tra le venti e le settantamila persone. Durante il viaggio per tornare a casa Himmler si fermò a Mauthausen, sul Danubio, e decise che sarebbe stato il posto ideale per un nuovo campo di concentramento. Il 27 marzo 1938 Margarete scrisse sul diario che il marito era «tornato dal viaggio in Austria molto soddisfatto, quasi euforico».24 L’unificazione della Germania e dell’Austria – l’Anschluss – era sempre stata una priorità per Hitler, animato dalla volontà di unire la sua madrepatria e il Reich. Da anni i nazisti scalfivano a poco a poco l’indipendenza austriaca. Nel 1934 un colpo di stato fallito, organizzato dal Partito nazista austriaco e appoggiato da Hitler, costrinse la Germania a adottare un approccio più cauto. Nel 1938 il Führer tentava di nuovo di rovesciare il governo austriaco, il cui cancelliere si era rovinato con le sue stesse mani annunciando un plebiscito sull’annessione dell’Austria alla Germania. Temendo che la vittoria del “no” potesse intralciare i suoi piani, Hitler passò all’offensiva. Lanciò un ultimatum supportato dalla minaccia di Göring di fare ricorso alla Luftwaffe, e il cancelliere austriaco cedette alle richieste. Sei settimane dopo, il 2 maggio, Hitler partì per una visita di stato in Italia insieme a un vasto seguito. L’alleanza con Mussolini era stata rafforzata dalla decisione in extremis del Duce di concedere via libera al Führer – dopo essersi fatto a lungo garante dell’integrità territoriale dell’Austria –, e la visita di cinque giorni aveva lo scopo di confermare l’accordo. Per Margarete fu l’unica occasione di sperimentare davvero cosa significava essere la First Lady del Reich. Sei mesi prima era stata in Italia durante un entusiasmante soggiorno semiufficiale. A Roma aveva amato il cibo, era andata dal parrucchiere, aveva visitato il Colosseo e i Fori imperiali e aveva fatto un giro in auto nei giardini del Vaticano grazie all’«accomodante politica della polizia e ai vessilli delle SS sulla nostra macchina». Le tappe successive furono Napoli, Pompei ed Ercolano, dove rimase molto colpita dall’immagine delle «persone sorprese dalla morte improvvisa». Di fronte alle antiche rovine romane a Catania, Margarete concluse che «oggi gli Stati sono così miseri» perché «non ci sono più schiavi».25 La visita di stato in Italia, però, era di tutt’altro livello, soprattutto dal momento che sia Emmy sia Magda erano in procinto di partorire e dunque erano rimaste a casa. Anche se a Eva era stato concesso di unirsi alla spedizione, non poteva prendere parte agli eventi ufficiali. A Roma visitò la città, filmò le manifestazioni più importanti con la sua nuova cinepresa e andò a fare spese; poté passare nella bottega del suo calzolaio preferito, che la scambiò per un’attrice e ricordò che aveva «dei bei piedi e le stava bene tutto».26 In assenza di Emmy e Magda, Margarete, Ilse e Anneliese von Ribbentrop godettero di un trattamento speciale. Anneliese era la moglie del ministro degli esteri nazista e buona amica di Margarete. La rappresentanza femminile non fece esattamente una bella impressione sugli ospiti, i cui timori si concretizzarono quando Ilse e Margarete andarono contro il protocollo e rifiutarono di inchinarsi di fronte alla regina Elena, moglie di re Vittorio Emanuele, che tecnicamente era il capo di Stato. Il loro comportamento offendeva i dignitari italiani ma aveva l’approvazione della delegazione nazista. Hitler non era a suo agio con tutti gli inchini e i salamelecchi ed era infastidito dal tentativo del re di mettere in ombra Mussolini. Nonostante l’inizio turbolento, la visita trascorse senza ulteriori difficoltà. Ilse cercava di comandare a bacchetta le altre mogli – Margarete osservò che «Frau Hess voleva fare la mae strina con Frau Ribbentrop» –, ma il gruppo riuscì comunque ad andare abbastanza d’accordo. Margarete era di ottimo umore; le piacque l’imponente parata navale a Napoli e giudicò «fantastica»27 una dimostrazione sportiva dell’Opera nazionale Balilla al Foro Mussolini. Dopo tutti gli anni di sacrifici, di solitudine e scarso apprezzamento, Margarete si sentiva finalmente ripagata. Ma il suo buonumore non era destinato a durare: la vita stava per diventare ancora più complicata. 9 Un salto nel buio

La sera del 20 aprile 1938 – quarantanovesimo compleanno di Hitler – l’élite nazista e il gotha dell’industria cinematografica si trovarono riuniti in occasione della première di Olympia, il film di Leni Riefenstahl sui Giochi olimpici del 1936. Il capolavoro di propaganda girato da Leni l’anno precedente, Il trionfo della volontà, era molto piaciuto a Hitler e persino Goebbels, che serbava ancora rancore alla donna colpevole di averlo rifiutato, dovette ammettere che l’opera era geniale. La stella di Leni era in ascesa, tanto che le venne commissionato un film sulle Olimpiadi. Durante le due settimane dei Giochi le numerose troupe cinematografiche di Leni erano ovunque, e usavano tecniche innovative per filmare a bordo pista e catturare l’azione da vicino. Alla fine della manifestazione Leni aveva ore e ore di riprese e avrebbe trascorso l’anno seguente chiusa in uno studio di montaggio a dare un senso a quel materiale. La pellicola fu pronta per il grande schermo solo dopo aver sforato di molto il budget e la data di uscita previsti, con grande irritazione di Goebbels. Il film tuttavia fu accolto con notevole entusiasmo e ricevette critiche positive e riconoscimenti, tra i quali il Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia. Tra il pubblico della serata di apertura c’era anche Lída Baarová, la cui relazione con Goebbels era diventata sempre più seria. Mentre solitamente si stancava in fretta dei flirt con le attrici, e le metteva presto da parte, la passione per Lída non accennava a scemare, e lei cominciava a vedersi come qualcosa di più di una semplice amante. Costantemente preoccupato che Magda intuisse la vera natura dei suoi sentimenti per Lída, temendo di avere il telefono sotto controllo, Goebbels si espose e chiese l’aiuto di Emmy: poteva usare il suo telefono? Emmy accettò, ma quando si rese conto che Goebbels «aveva cominciato a usare la nostra linea privata per tenersi in contatto con Frau Baarová»,1 dovette ricordargli che la Gestapo teneva sotto controllo il telefono di tutti i cittadini, compreso quello della famiglia Göring. In seguito all’ennesima gravidanza, Magda ricadde nei problemi di salute – a cominciare da quelli al cuore – di cui aveva sempre sofferto quando era incinta e che non scomparvero neanche dopo la nascita di un’altra figlia, Hedda, il 5 maggio. Ma, soprattutto, dopo il parto l’assistente personale di Goebbels, Karl Hanke, la informò della serietà dell’infatuazione del marito per Lída Baarová. Uomo diligente e appassionato di tutto ciò che riguardava il mondo militare, Hanke era tuttavia una specie di nullità: quando nel 1928 si iscrisse al Partito nazista ed entrò nelle SA era docente in un istituto tecnico superiore. Dopo aver perso il posto in quanto affiliato al partito, nel 1931, Hanke cominciò a lavorare a tempo pieno come segretario nell’ufficio di Goebbels, e nel giro di un anno era diventato il braccio destro del ministro della propaganda. Coltivava da tempo una cotta per Magda, alla quale mostrò il dettagliato dossier che aveva scrupolosamente redatto sulle infedeltà di Goebbels e sulla relazione con Lída. Sconvolta, Magda non poté più negare l’evidenza. Queste rivelazioni coincisero per lei con un periodo di dubbi e sconforto. Parlando con la sua unica confidente, Ello Quandt, sorella minore dell’ex marito, Magda esprimeva perplessità sulla direzione che stava prendendo il nazismo. Si diceva contraria alla militarizzazione della società tedesca, defraudata della sua «cultura», della «spensieratezza», della «gioia», sostituite da «obbedienza cieca, regole» e «ordini». Metteva in discussione la capacità di discernimento di Hitler e soprattutto il fatto che permettesse al regime di trattare le donne come cittadine di serie B, quando meritavano «maggiore considerazione».2 La situazione precipitò all’inizio di agosto, quando Goebbels – che non riusciva più a sopportare una doppia vita – confessò tutto alla moglie e la implorò di prendere in considerazione una possibile coesistenza con Lída. Confusa e disorientata dalla richiesta inaspettata, Magda accettò e sopportò cupamente la presenza di Lída in casa. Prendendo come un segnale positivo il silenzio stoico e doloroso della moglie, Goebbels organizzò un week-end in yacht. La vista di Lída che prendeva il sole sul ponte e si comportava come se avesse già vinto fu troppo per Magda, che abbandonò la gita. Poco tempo dopo, in un’insolita conversazione intima con Emmy, definì suo marito «un diavolo nel corpo di un uomo».3 Magda era sopravvissuta a un divorzio ed era pronta ad affrontarne un altro, e il caso volle che le nuove leggi sul matrimonio rendessero più facile separarsi. Sebbene i nazisti promuovessero il matrimonio, il tasso di divorzi aumentò costantemente a partire dal 1933, e il regime non fece granché per invertire la tendenza: voleva unioni produttive, non destinate a fallire. Alle motivazioni valide per il divorzio – come l’adulterio o l’inidoneità biologica o razziale – la nuova legge, introdotta il 6 luglio, aggiungeva i casi di «incompatibilità irrecuperabile». Significava che Magda non doveva provare in tribunale l’infedeltà del marito. Prima di poter fare un passo del genere, però, doveva consultare Hitler. Il divorzio avrebbe minato il legame speciale che li univa, più debole di prima ma ancora intenso, e Hitler non esitò a rispondere alla richiesta d’aiuto di Magda. Sulle prime non volle crederle, ma dopo che Hanke ebbe confermato il racconto Hitler, furioso per il tradimento, scagliò la propria collera contro Goebbels. Poi organizzò un incontro con entrambi e stabilì delle regole. Il divorzio era fuori discussione. Avrebbero dovuto cercare di far funzionare il matrimonio e Goebbels avrebbe lasciato Lída. Era più facile a dirsi che a farsi, però, e né Magda né suo marito uscirono dal Berghof convinti che la relazione sarebbe sopravvissuta.

Quell’estate Hitler aveva tutte le ragioni per adagiarsi sugli allori e rilassarsi al Berghof. Aveva restituito alla Germania lo status di grande potenza europea e fatto passi da gigante verso la promessa demolizione dell’odiato trattato di Versailles. In patria, anche se il regime aveva perso un po’ dello smalto del passato e le conseguenze delle privazioni e incertezze economiche stavano cominciando a minarne l’immagine, la popolarità personale del Führer era immutata e l’Anschluss aveva provocato un’impennata di ottimismo. Hitler però era implacabile e impaziente di vedere realizzata l’ambizione imperiale che avrebbe instaurato un nuovo ordine mondiale. Aveva solo la grande paura di morire prima di aver completato la missione storica e compiuto il proprio destino, ed era sempre più preoccupato dall’idea della mortalità. Alcuni mesi prima, il 2 maggio, aveva fatto testamento: Eva era la principale beneficiaria e avrebbe ricevuto una somma mensile considerevole per il resto della vita. Una volta sistemate le faccende private, Hitler cominciò a pensare a come sottomettere la prossima vittima. L’annessione della Cecoslovacchia al Reich lo allettava anche perché gli avrebbe permesso di impadronirsi delle sue materie prime, a cominciare dal carbone, e di una delle industrie di armamenti più grandi d’Europa, la Skoda. All’interno dei confini cecoslovacchi si trovava inoltre la regione dei Sudeti, sottratta alla Germania con il trattato di Versailles e abitata da una nutrita popolazione tedesca. Il primo obiettivo di Hitler era separare il territorio dei Sudeti come preludio alla totale annessione del resto del paese. I leader europei, allarmati, erano in cerca di un modo per impedirglielo, ma Hitler non era disposto ad arretrare di un centimetro e cominciò a mobilitare l’esercito. L’eventualità che l’Inghilterra si sentisse costretta a intervenire con la forza per contrastare il progetto di Hitler era un pensiero gravoso per Unity Mitford. Con i capelli tinti di un «biondo più nordico», Unity aveva seguito il trionfale viaggio di Hitler in Austria dopo l’Anschluss e visitato il confine tra Cecoslovacchia e Germania a maggio. Unity continuava ad appoggiare incondizionatamente tutto ciò che faceva Hitler. La Gran Bretagna però era la sua patria, e quando la posta in gioco si alzò lei parve determinata ad autodistruggersi: si ammalò di bronchite rifiutando di prendere sul serio la necessità di curarsi. Secondo Friedelind Wagner, Unity sfidò il medico «gettando le medicine dalla finestra e standosene lì a fissarlo con indosso una vestaglia leggera, cercando di prendersi la polmonite».4 La sua salute, inevitabilmente, peggiorò, e Unity venne trasferita in una clinica, le cui spese furono pagate da Hitler. La minaccia sempre più seria di una guerra aperta con la Cecoslovacchia non allarmava soltanto Unity; al raduno di partito a Norimberga si respirava un’atmosfera tesa e sgradevole che sfociò in un confronto diretto tra Margarete e Lina. Dopo la grandiosa visita in Italia, Margarete si trovava a fronteggiare i soliti vecchi problemi domestici, l’assenza di Himmler – «non è mai a casa» – e gli scontri con il personale, tanto che dovette licenziare un’altra «cameriera sfrontata».5 Margarete, tuttavia, non vedeva l’ora di partecipare al raduno di partito e aveva compilato un programma con gli eventi e gli incontri per le altre mogli delle SS. Lina rifiutava l’idea che la rivale decidesse per lei e convinse Frieda Wolff che Margarete volesse deliberatamente sabotare il loro momento di svago. Entrambe ignorarono il programma e indugiarono fino a notte fonda nell’atmosfera mondana che proliferava a margine del raduno. Irritata dalla sfacciata mancanza di rispetto verso la sua autorità, Margarete affrontò le due donne e le rimproverò aspramente. Lina e Frieda andarono dritte dai mariti a lamentarsi del comportamento prepotente di Margarete e Heydrich e Wolff si sentirono in obbligo di fare rapporto a Himmler, che non difese la moglie, né la biasimò per aver perso la calma. Si limitò a liquidare la faccenda, suggerendo di lasciar perdere. La tensione che aveva pervaso il raduno svanì alla fine di settembre grazie alla conferenza di Monaco, durante la quale Hitler, Mussolini, Neville Chamberlain e Léon Blum discussero del futuro della Cecoslovacchia. In cambio di una promessa di pace e della rinuncia a un’ulteriore espansione territoriale, a Hitler fu concesso il territorio dei Sudeti. Il governo cecoslovacco non fu invitato a partecipare alle trattative e non ebbe altra scelta che accettare l’accordo, e il 3 ottobre i nazisti misero le mani sul loro bottino. Missione compiuta: a Hitler non restava che sfoggiare il suo ultimo giocattolo, il Nido dell’Aquila, una foresteria situata in cima al monte Kehlstein (che diede il nome al rifugio) e visibile dal Berghof. Per mesi il silenzio che di norma regnava sulle vette dell’Obersalzberg era stato infranto da un frastuono costante; l’addetta stampa di Hitler ricordava che i buoi della zona erano stati usurpati da «giganteschi autocarri e scavatrici» e dal «rombo delle esplosioni di dinamite».6 Un piccolo esercito di operai edili sgobbò giorno e notte per completare la costruzione, che Bormann sperava di presentare a Hitler in occasione del suo cinquantesimo compleanno, l’aprile seguente. Bormann ridusse allo stremo gli operai – alcuni morirono a causa delle valanghe e delle piogge torrenziali – e l’edificio venne completato con sette mesi di anticipo. La domestica di Hitler definì la struttura finita «un vero capolavoro di architettura, ingegneria e abilità tecnica».7 Per tutto il mese di ottobre Hitler accolse al Nido dell’Aquila un flusso costante di dignitari. La prima fase del viaggio si effettuava in auto, lungo una strada di circa sei chilometri scavata nella roccia, che conduceva a un parcheggio a quasi duemila metri sul livello del mare accanto a un tunnel il cui ingresso era protetto da una massiccia cancellata di ottone; il tunnel penetrava nella montagna per terminare in un corridoio color rame; da qui, un ampio ascensore poteva trasportare fino a quaranta ospiti per centoventi metri in meno di un minuto e depositarli direttamente all’interno del Nido dell’Aquila. Ovvero una struttura dotata di camere da letto, sala di rappresentanza, soggiorno, sala riunioni, cucina, seminterrato, corpo di guardia, terrazzino e finestra panoramica circolare. Tra le prime ospiti del Nido dell’Aquila ci furono Magda e Unity, alle quali il 21 ottobre venne concessa una visita dell’attico di Hitler. Sollevata dagli accordi della conferenza di Monaco, Unity aveva recuperato le forze e la sua irrefrenabile esuberanza, mentre Magda si trovava a Obersalzberg per riprendere il dialogo con Hitler sulla crisi del suo matrimonio. Era ancora decisa a divorziare, ma Hitler continuava a essere contrario. Due giorni dopo li raggiunse Goebbels – che non era riuscito a sbarazzarsi di Lída – e concordò con Magda un periodo di separazione di tre mesi durante il quale avrebbe dovuto rigare dritto, pena il rischio di perdere tutto: se Goebbels non avesse rispettato la sua parte dell’accordo, Hitler avrebbe accettato un inevitabile divorzio e il ministro sarebbe stato costretto a dimettersi.

Con il ripristino di una situazione più calma, Emmy e Göring si sentirono liberi di battezzare la figlia Edda, nata il 2 giugno. I genitori, raggianti, – Emmy ricordava che suo marito «dichiarò con assoluta certezza che era la bambina più bella che avesse mai visto»8 – ricevettero 628 000 telegrammi di congratulazioni, e alla neonata furono regalati due quadri del pittore tedesco rinascimentale Lucas Cranach il Vecchio, uno dei quali, la Madonna col Bambino, donato dalla città di Colonia. Il battesimo di Edda fu celebrato a Carinhall il 4 novembre dal vescovo del Reich Ludwig Müller, la figura più importante nella Chiesa protestante tedesca, convinto nazista e antisemita. Malgrado l’avversione per il cristianesimo, Hitler passò a salutare per dare alla bambina la sua benedizione. Alla cerimonia erano presenti i fotografi della rivista “Life”, che catturarono un’immagine del Führer mentre cullava la piccola. Cinque giorni dopo, per affermare il loro credo pagano e il netto rifiuto del cristianesimo, Ilse e il marito organizzarono una cerimonia che celebrava l’ingresso nel mondo del figlioletto Wolf. I riti prevedevano l’utilizzo della terra che Hess si era fatto consegnare da tutto il Reich un anno prima, e che venne disposta in mucchietti intorno a Wolf disteso nella culla. Il rituale coincise con un giorno altamente significativo del calendario nazista; il 9 novembre era l’anniversario del Putsch alla birreria di Monaco del 1923, e ogni anno i sopravvissuti al maldestro colpo di stato si riunivano per una serie di cerimonie che commemoravano i quattordici nazisti che vi avevano perso la vita. Ogni anno la celebrazione si faceva più solenne ed elaborata, e Hitler – insieme a Göring, che quel giorno era stato ferito gravemente – omaggiava la memoria degli eroi caduti deponendo una corona di fiori in un tempio circondato da torce accese. A novembre di quell’anno l’atmosfera in città, ancora più tesa del solito, ribolliva di violenza sotterranea. Due giorni prima, a Parigi, un giovane ebreo apolide di origini polacche aveva sparato a un diplomatico tedesco. Da allora, mentre in ospedale il funzionario lottava per la vita, Goebbels aveva rinvigorito la sua retorica antisemita, promettendo una sanguinosa vendetta se l’uomo non si fosse ripreso. Il battesimo pagano di Wolf fu celebrato comunque nel primo pomeriggio del 9 novembre. Hitler vi prese parte insieme ad alcuni amici intimi, tra cui il professor Haushofer. A rituale terminato, Haushofer e Hitler si chiusero in una stanza appartata, dove il professore fece al Führer una lezione sulla situazione europea e sull’importanza di mantenere buoni rapporti con gli inglesi. Hitler la prese malissimo e da quel momento non gli chiese mai più consiglio. Dopo che Hitler ebbe lasciato la casa degli Hess per andare a tenere un discorso ai vecchi combattenti per la commemorazione del famigerato Putsch alla birreria, si diffuse la notizia che il diplomatico era morto. Hitler ne fu informato alle ventuno, mentre cenava con alcuni camerati. Dopo essersi brevemente consultato con Goebbels, autorizzò un pogrom affidato ai delinquenti delle SA, che passò alla storia come la Kristallnacht, la “Notte dei cristalli”. Secondo Lina l’azione colse suo marito di sorpresa; sembra che Heydrich si sia reso conto di cosa stava accadendo soltanto quando guardò fuori dalla finestra del suo albergo e vide una sinagoga in fiamme. Sia lui sia Himmler trovarono allarmanti la violenza arbitraria e il disordine incontrollato, così diversi dalla persecuzione metodica voluta dai nazisti, che amavano definire “scientifica”. Lina disse che suo marito considerava la questione ebraica un «problema medico», non «politico» e paragonava la comunità ebraica a un parassita «aggrappato come una sanguisuga al corpo di un’altra nazione». Eppure, la visione che Heydrich aveva di se stesso come un chirurgo che asporta una massa velenosa era fondata su una repulsione quasi esistenziale, condivisa da Lina. Gli ebrei erano «intollerabili sia per lui che per me, nell’anima e nella psiche». Per quel che li riguardava, l’unica soluzione era «costringerli a emigrare dalla Germania».9 All’una e venti del 10 novembre, mentre il pogrom imperversava e gli uomini delle SA si lasciavano andare alle peggiori violenze, Heydrich tentò di imporre un po’ di ordine agli eventi e fece recapitare istruzioni a tutte le unità della Gestapo e delle SS: niente aggressioni agli stranieri; niente saccheggi alle case distrutte degli ebrei. Heydrich aveva intenzione di catturare un totale di ventimila uomini «in buone condizioni di salute» e quindi ordinò l’arresto del «maggior numero di ebrei possibile, soprattutto ricchi», che potevano essere «sistemati nelle carceri esistenti».10 Il mattino seguente cercò di quantificare l’ammontare delle perdite di vite umane e beni materiali, ma i suoi calcoli erano ben lontani dalle cifre esatte. In totale erano state distrutte 267 sinagoghe, 7500 negozi erano stati vandalizzati e uccisi 91 ebrei, mentre centinaia di altri si suicidarono o morirono in carcere. Il 12 novembre Heydrich presenziò a un importante incontro con un nutrito gruppo di ministri, cui presero parte anche Göring – preoccupato per le conseguenze che la devastazione della Notte dei cristalli poteva avere sull’economia – e Goebbels, soddisfattissimo della sua opera. Stesero le bozze di una serie di decreti che acceleravano la totale segregazione degli ebrei tedeschi e la loro esclusione dalla società e li costringevano a pagare per i danni provocati durante il pogrom, derubandoli di tutto ciò che avevano.

Con tutto quello che stava succedendo, la pausa natalizia offrì all’élite nazista un momento di tregua. Al Berghof la festa di Capodanno – c’erano Gerda, Bormann, Eva e il resto della cerchia che frequentava lo chalet – fu più allegra del solito e i preparativi degli ospiti per la serata erano accompagnati da un brusio costante. La sorella di Eva, Gretl – che si stava lentamente facendo strada nel mondo del Berghof – ricordava che i parrucchieri erano «presi d’assalto dalle donne» e i signori non vedevano l’ora «di indossare lo smoking».11 Dopo cena ci fu uno spettacolo di fuochi d’artificio, poi tutti si spostarono nel grande salone per il tradizionale brindisi e il conto alla rovescia per il 1939. Solitamente astemio, Hitler si costrinse a bere un sorso di champagne prima di ritirarsi, subito dopo mezzanotte, facendo capire che era il momento di concludere la festa. Il genere di feste a base di bevute e balli fino al mattino non fecero mai parte della vita del Berghof, almeno quando Hitler era presente. La maggior parte delle serate culminava con la proiezione di un film o con le interminabili tirate di Hitler davanti al camino fino a notte fonda, mentre il suo pubblico lottava per restare sveglio. Di solito c’era anche Gerda – un ospite fisso del Berghof notò che si sedeva «accanto al fuoco in mezzo alle altre mogli del personale di Hitler, e non diceva una parola per tutta la sera»12 – ma le notti in bianco le venivano risparmiate. Bormann le aveva imposto il coprifuoco alle dieci perché era inopportuno per una madre (aveva un altro neonato di cui occuparsi, una bimba di cinque mesi che avevano chiamato Eva) restare in piedi fino a tardi; Gerda doveva riposare se voleva essere in grado di tenere in ordine la casa. Quando il film era terminato o l’orologio nella stanza in cui Hitler teneva banco segnava l’orario prestabilito, Gerda era spedita a casa. Il cameriere personale di Hitler ricordava che persino quando Bormann «dava le sue feste stagionali», dove gli ospiti erano «soprattutto attrici del cinema che gli interessavano in prima persona», a Gerda «non era consentito presenziare», benché avesse dovuto occuparsi «di tutti i preparativi e delle faccende domestiche».13 Cinque giorni dopo la baldoria di Capodanno a Obersalzberg arrivò Goebbels, che aveva trascorso un paio di mesi complicati: gli era venuta un’ulcera e stava prendendo pesanti sonniferi per combattere l’insonnia. Dopo dodici giorni di riposo e confronti meno tesi con Hitler, però, si sentiva rinvigorito ed era pronto ad affrontare Magda a Berlino. Anche lei aveva avuto problemi di salute e non era ancora pronta a perdonare il marito, ma acconsentì a un accordo formale riguardo al matrimonio. I due si rivolsero a un avvocato per stendere un contratto – che firmarono il 22 gennaio 1939 – con il quale rimandavano di un anno la decisione relativa al divorzio, un tempo durante il quale Goebbels doveva dimostrare di essere cambiato. Sulla scia di questa decisione, Lída Baarová – che aveva aspettato paziente in disparte – venne esiliata in Cecoslovacchia senza possibilità di ritorno, e tutti i suoi film furono eliminati dalla circolazione. Per il grande pubblico aveva smesso di esistere.

Margarete trascorse la sera di Capodanno a letto per un disturbo gastrico che le aveva guastato il Natale e aveva aggravatole solite preoccupazioni: «La situazione con le domestiche è catastrofica. Quello che mi tocca sopportare è intollerabile. Non sto bene». Eppure, poche settimane prima Margarete aveva trascorso con suo marito una vacanza quasi perfetta a Salisburgo – «abbiamo passato giorni bellissimi e parlato tanto» – che le aveva lasciato un senso di soddisfazione e appagamento: «oggi sono fermamente convinta di essermi guadagnata il mio posto al sole, l’amore e la felicità».14 Era ben lontana dall’immaginare che Himmler si era innamorato della sua segretaria ventiseienne, Hedwig Potthast. Nata il 6 febbraio 1912 in una famiglia medioborghese che l’aveva iscritta al Gymnasium e poi a una scuola femminile privata, Hedwig aveva imparato un po’ di inglese e aveva studiato all’Istituto di economia per interpreti di Mannheim. Dopo essersi diplomata nel 1932, il momento peggiore della Grande depressione, aveva trovato lavoro come impiegata in un ufficio postale. Annoiata e in cerca di nuove opportunità, nell’autunno del 1935 Hedwig aveva fatto domanda per un posto all’ufficio stampa della Gestapo; il ruolo tuttavia non soddisfaceva ancora la sua ambizione, e a gennaio del 1936 era diventata la segretaria personale di Himmler. Hedwig era gioviale e allegra – i suoi amici la chiamavano «Coniglietto» –, le piaceva fare ginnastica e canottaggio ed era popolare tra i colleghi; a ottobre del 1937 si unì ad altri membri dello staff per festeggiare il compleanno di Himmler al lago Tegernsee e venne accolta nella famiglia delle SS. A forza di lavorare fianco a fianco la relazione tra Himmler e Hedwig crebbe di intensità e intorno a Natale del 1938 – forse proprio in occasione dell’equivalente di un party tra colleghi in vista delle festività – si confidarono a vicenda i loro sentimenti, come spiegò Hedwig alla sorella: «abbiamo avuto una conversazione onesta durante la quale ci siamo confessati di essere perdutamente innamorati».15 Sebbene la coppia tenesse il più possibile segreta la relazione – secondo Hedwig stavano cercando «un modo onorevole […] di stare insieme»16 – tra coloro che ne erano a conoscenza c’era anche Lina, che trovava simpatica Hedwig e la rispettava, considerandola «una donna intelligente e di buon cuore». A differenza di Margarete, Hedwig non era «una piccola borghese meschina», né «un’eccentrica», o una «sofisticata delle SS». Secondo Lina, Hedwig era una persona genuina e benintenzionata, che aveva aiutato Himmler a raggiungere «una grande levatura».17 All’apparenza Margarete non aveva idea di cosa stesse accadendo. I suoi problemi di salute persistevano anche a gennaio, perciò venne ricoverata alla clinica Hohenlychen, un ex sanatorio per malati di tubercolosi a nord di Berlino. Himmler aveva convertito l’edificio di inizio secolo dalle guglie gotiche in un centro ortopedico e una stazione termale per l’élite delle SS; ospitava una grossa piscina con tetto retraibile, una sala operatoria all’avanguardia e stanze dotate di ogni genere di attrezzatura per fare esercizi. La struttura era diretta dal professor Karl Gebhardt, un vecchio compagno di scuola di Himmler che faceva il chirurgo dal 1932. Esperto in medicina dello sport, Gebhardt aiutava i pazienti disabili a ritrovare le forze e la coordinazione grazie a un approccio pionieristico. Entrato nelle SS nel 1935, Gebhardt fu notevolmente apprezzato per aver curato con successo un gran numero di atleti durante i Giochi olimpici del 1936. Margarete rimase alla clinica Hohenlychen un paio di settimane, e a parte il fatto che il suo unico visitatore fu Himmler e la sola persona che si diede la pena di telefonare fu Anneliese von Ribbentrop, si godette la pace e il silenzio e la possibilità di dedicarsi un po’ alla lettura. Ma una volta tornata a Berlino, alle prese con la frenetica scena sociale, Margarete si sentì nuovamente debole: «Un sacco di inviti. Sono di nuovo stanchissima». Persino le consuete visite a teatro – anche per vedere il classico della commedia Il concerto, di cui in passato era stata protagonista Emmy, e una rappresentazione di Amleto – non le davano lo stesso piacere di prima; trovava che il teatro peggiorasse «di giorno in giorno».18 Margarete poteva almeno essere felice del contributo dato dal marito allo sviluppo ulteriore del progetto di Hitler di rimodellare la mappa d’Europa. All’inizio di marzo il Führer aveva incalzato e minacciato il presidente della Cecoslovacchia mentre le truppe tedesche si radunavano ai confini tra i due Stati e Göring prometteva di distruggere Praga se i cecoslovacchi si fossero rifiutati di obbedire. Di fronte al silenzio di Inghilterra e Francia, il presidente cecoslovacco aveva ceduto. Il 15 marzo Himmler era a Praga insieme a Hitler. Com’era accaduto per l’Anschluss, Himmler e Heydrich avevano raccolto informazioni dettagliate sulle persone che dovevano essere arrestate, e fecero subito il necessario per avviare le retate e soffocare il dissenso. Qualche settimana dopo, il 9 aprile, Lina diede alla luce una bambina che chiamò Silke, la sua prima figlia femmina. Benché felice del nuovo arrivo in famiglia, Heydrich non era quasi mai a casa per vederla crescere. Era impegnato in una grande riorganizzazione delle SS e della Gestapo, che stavano facendo convergere tutte le loro funzioni in un’unica agenzia – l’RSHA, la Reichssicherheitshauptamt, “Direzione generale per la sicurezza del Reich” –, divisa in sei dipartimenti. A Heydrich inoltre era stata affidata da Göring la responsabilità dell’«emigrazione e dell’evacuazione»19 di tutti gli ebrei del Reich. Nonostante gli impegni, però, Heydrich riuscì a trascorrere qualche giorno di vacanza con Lina e i figli alla casa al mare sull’isola di Fehmarn.

Quando Magda arrivò al Festival di Bayreuth, il 25 luglio 1939, era sull’orlo di una crisi di nervi. Sebbene avesse firmato l’accordo con Goebbels non aveva ancora deciso se perdonarlo, ed era divisa tra le suppliche e le prepotenze del marito e il suo ardente spasimante, Hanke. Dopo aver messo in crisi il matrimonio – e averla convinta ad andare a letto con lui – Hanke credeva che infine Magda fosse sua. La tensione ebbe effetti negativi sulla salute di Magda, che in primavera si ritirò nella sua clinica preferita di Dresda, ormai diventata una specie di seconda casa. Ad aumentare la sofferenza c’era il fatto che Hitler la teneva a distanza; forse non voleva fare favoritismi, o era deluso dal suo comportamento. Nel frattempo, il Führer trattava con freddezza anche Goebbels, che sapeva bene di poter riconquistare la fiducia del capo soltanto salvando il matrimonio, e di conseguenza non smetteva di supplicare Magda di perdonarlo; lei però continuava a tentennare. Il 17 marzo Goebbels scrisse nel suo diario che Magda era stata «dolcissima», ma il 30 maggio era di nuovo convinto che lei vedesse tutto «sotto una luce falsa e distorta».20 Sotto pressione, Magda scappò per una vacanza di qualche settimana in Sicilia e nel Sud Italia con il medico di Hitler, il dottor Karl Brandt, l’architetto e lo scultore di riferimento del Führer, Albert Speer e Arno Breker, e le rispettive mogli. Lontana dal caos di casa, Magda si riprese un po’ e tornò a sentirsi in sintonia con se stessa. Il ritorno a Berlino, però, mandò in pezzi l’equilibrio che era riuscita a riconquistare. Hanke, che ormai non aveva più niente da perdere perché aveva lasciato il lavoro con Goebbels ed era entrato nell’esercito, le faceva pressione perché si impegnasse con lui, mentre il marito minacciava di toglierle i figli se lo avesse fatto. Al Festival di Bayreuth tutte quelle tensioni la fecero crollare durante la rappresentazione della tragica storia d’amore di Tristano e Isotta. Nel palco che condivideva con il marito, Hitler, Winifred Wagner e Speer, Magda «pianse in silenzio per tutto lo spettacolo» e trascorse l’intervallo «a singhiozzare disperata in un angolo del salone». Secondo Speer, Hitler rimase esterrefatto da quella scena imbarazzante in pubblico; al termine della serata disse a Goebbels che «avrebbe fatto meglio a lasciare il festival immediatamente insieme a sua moglie», e lo «congedò» senza stringergli la mano né aspettare una risposta.21

Alla fine di luglio Margarete era tornata al lago Tegernsee dopo una vacanza in un resort sul Baltico insieme alla figlia, ma senza il marito, impegnato altrove. Margarete era stata bene senza Himmler – «giorni tranquilli e bel tempo» –, ma era preoccupata per Gudrun, che aveva problemi a scuola e leggeva «davvero molto male».22 Il 14 agosto Margarete scrisse sul diario che Himmler era con Hitler al Berghof in attesa di notizie del viaggio di von Ribbentrop a Mosca. Hitler aveva inviato il ministro degli esteri per proporre a Stalin un’alleanza che segnasse una tregua temporanea nelle tensioni tra i due paesi e un accordo sulla spartizione della Polonia. Tra una consultazione e l’altra con Hitler, Himmler giocava spesso a tennis – tra metà luglio e metà agosto giocò tredici volte –, un’abitudine che mantenne anche quando tornò a Berlino, a fine estate. Indubbiamente stava cercando di sfogare l’ansia e lo stress accumulati, che gli causavano cronici problemi di stomaco; quell’anno le sue condizioni peggiorarono tanto da spingerlo ad assumere un terapeuta svedese che gli praticava massaggi quasi ogni giorno. All’apprensione si mescolava l’esaltazione: nelle mire di Himmler c’era la Polonia, che prometteva di essere una terra ricca di opportunità per le SS. Lui e Heydrich non solo avevano l’incarico di neutralizzare l’intellighenzia polacca, l’aristocrazia, i leader politici e della Chiesa e qualsiasi rappresentante del nazionalismo polacco, ma c’era anche un’enorme popolazione di ebrei di cui occuparsi. E poi si stava concretizzando la prospettiva del Lebensraum, lo “spazio vitale”, il grande esperimento di colonizzazione dell’Est. Per portare a termine l’incarico di una repressione sanguinosa, Heydrich istituì otto unità operative speciali – le Einsatzgruppen – che avrebbero accompagnato l’esercito tedesco durante l’invasione. Heydrich stesso progettava di trovarsi sul campo nel momento cruciale e di partecipare all’azione in un modo o nell’altro. Prima dell’inizio della campagna scrisse a Lina una lettera da aprire soltanto nel caso lui fosse morto. Con un tono formale, quasi burocratico, le ordinava di educare i figli in modo che fossero «fedeli alle idee del movimento nazista», le chiedeva di «ricordare la nostra vita insieme con rispetto e tenerezza», e le dava il permesso, «dopo che il tempo avrà guarito le ferite», di trovare un nuovo padre per i loro figli, purché fosse «il genere di uomo che aspiravo a essere io».23 Anche Margarete si stava preparando a servire il paese facendo buon uso della sua esperienza come infermiera durante la prima guerra mondiale: «se ci sarà una guerra dovrò lavorare con la Croce rossa». Dopo la firma del patto nazi-sovietico, il 23 agosto, e il via libera all’invasione della Polonia, Margarete comunicò a Gudrun la sua decisione, che avrebbe comportato una lunga separazione: «lei naturalmente ha pianto molto e non riesco a calmarla». Quando Margarete dovette lasciare Tegernsee per Berlino, dove avrebbe svolto il suo nuovo incarico, Gudrun vide che la madre piangeva e cercò di farsi coraggio: «stoicamente, si è messa a ridere», anche se «le lacrime le rigavano il viso». Ma nonostante questa traumatica separazione, Margarete fu «felice» di poter dare il proprio «contributo» ed era convinta che la guerra sarebbe «finita presto».24

Il giorno prima che le truppe di Hitler entrassero con furia devastante in Polonia, Emmy e suo marito andarono a fare una passeggiata dopo colazione, a Carinhall. Göring era serio, e confessò a Emmy che la guerra sarebbe stata «tremenda, più terribile di quanto possiamo immaginare». L’unica speranza di sfuggire a un prolungato bagno di sangue era tenere fuori l’Inghilterra e Göring chiese a Emmy di pregare che lui fosse in grado «di portare la pace». Quella notte, mentre i carri armati di Hitler entravano in azione e gli aerei di Göring decollavano per colpire il nemico, Emmy fu turbata da una premonizione tragica: «Il futuro si levava […] come un muro altissimo, sinistro e minaccioso».25 Göring sapeva di esagerare quando ostentava spavalderia riguardo alla forza devastatrice della Luftwaffe, ed era ben consapevole delle difficoltà che avrebbe fronteggiato l’economia costretta a sostenere una lunga guerra, soprattutto se combattuta su due fronti. Incombeva il ricordo della sconfitta della prima guerra mondiale, durante la quale la marina militare inglese era riuscita a bloccare le coste della Germania – il che aveva in gran parte contribuito ad affamare lentamente la popolazione civile – e a mantenere un flusso costante di uomini e materiali dal resto dell’impero. Il timore di Göring era che tutto questo si ripetesse. E non era il solo a pensarla così. Anche Hess, un altro veterano della Grande guerra, era cauto all’idea di affrontare gli inglesi e ritrovarsi impantanati in un conflitto su un doppio fronte, soprattutto perché capiva meglio di altri che Hitler non avrebbe mai rinunciato al sogno di mettere a ferro e fuoco l’Unione Sovietica; la tregua con Stalin era solo temporanea. Secondo Ilse suo marito pensava che «una nuova guerra sarebbe stata un disastro per l’Europa e per il mondo intero».26 Hess tuttavia non era più in grado di influenzare le decisioni di Hitler. In pubblico era ancora una figura importante, che svolgeva i suoi numerosi doveri e teneva discorsi ufficiali, ma di fatto non contava più ed era isolato dal potere. Anche Ilse rimase in disparte per quasi tutto il 1939, concentrata sulla vita domestica. Si dedicava al figlioletto Wolf ed era impegnata a supervisionare i lavori di ampliamento della casa di Monaco. Ilse desiderava avere in casa un centralino telefonico, stanze per aumentare il personale e un garage abbastanza grande da contenere dieci automobili. Quando sua madre venne a sapere di queste costose modifiche scrisse alla figlia una severa lettera in cui rimproverava la sua stravaganza. Sempre suscettibile quando le si faceva notare che si stava lasciando corrompere, Ilse respinse l’accusa che lei e il marito si stessero viziando troppo: «Non siamo megalomani, mamma: non abbiamo altre macchine […] Non ne abbiamo neanche una nuova».27 Nonostante l’aggravarsi della situazione internazionale, Ilse e Hess riuscirono a fare la loro annuale vacanza a base di escursioni in montagna, che lui avrebbe ricordato con grande tenerezza. Al ritorno Hess cercò di creare un collegamento clandestino con i membri del governo inglese tramite il figlio del professor Haushofer, Albrecht, convinto oppositore del regime nazista. La posizione accademica di Albrecht Haushofer come esperto di politica estera – che era stata garantita proprio da Hess – gli permetteva di viaggiare, e nell’autunno cominciò a cercare contatti potenziali in Svizzera e in Spagna. Tuttavia, al di là di un cauto e interlocutorio scambio di informazioni, non accadde granché. Anche i tentativi di Göring fallirono. Molti dei suoi soci d’affari svedesi accettarono di dargli una mano e riuscirono a fissargli un incontro in una fattoria isolata con un gruppo di industriali inglesi, ma con grande disappunto dell’ambasciatore inglese a Berlino le discussioni non portarono a nulla. Il diplomatico aveva frequentato spesso Carinhall ed era stato a caccia insieme a Göring, perciò aveva stima sia per lui sia per Emmy. In occasione della loro ultima serata insieme, Göring e l’ambasciatore rifletterono sulla guerra imminente e il ministro promise che se uno dei suoi bombardieri della Luftwaffe avesse incidentalmente ucciso l’ambasciatore durante un raid, sarebbe personalmente volato a Londra per andare a deporre una corona di fiori sulla sua tomba. La prima vittima del fallimento delle trattative di Göring fu Unity Mitford. Quando l’Inghilterra e la Francia reagirono all’annessione della Cecoslovacchia da parte di Hitler annunciando di essere pronte, se necessario, a difendere la Polonia, Unity si ritrovò a guardare nell’abisso: ogni tentativo di sfruttare la propria celebrità per convincere i compatrioti che l’Inghilterra e la Germania di Hitler erano alleate naturali era fallito, e lei cominciò a dire che si sarebbe uccisa se si fosse arrivati a una guerra tra i due paesi. Durante il Festival di Bayreuth era con sua sorella, e Diana ricordò che, dopo aver cenato con Hitler, Unity «ribadì che non sarebbe vissuta per assistere alla tragedia imminente». Per Diana le tetre parole di sua sorella resero lo spettacolo di quella sera, Il crepuscolo degli dèi, ancora più struggente: «Quella musica gloriosa non era mai sembrata più carica di cattivi presagi».28 Domenica 3 settembre, dopo la dichiarazione di guerra dell’Inghilterra, Unity scrisse una serie di lettere d’addio e si diresse al quartier generale del leader regionale del partito, lasciò una busta contenente il prezioso ritratto con dedica che Hitler le aveva regalato, l’insegna d’oro del Partito nazista e la disposizione di seppellirli con lei a Monaco se le fosse successo qualcosa. Poi guidò fino a un parco, sedette su una panchina, prese una pistola dalla borsetta, esplose un proiettile al suolo per accertarsi che funzionasse e infine si sparò alla tempia destra. Alcune ore dopo Unity fu ritrovata priva di sensi dalla polizia e trasportata d’urgenza in una clinica privata. Il medico che la visitò disse che era «pallidissima e aveva l’aspetto di un cadavere».29 La pallottola era bloccata nella parte sinistra del cervello e non poteva essere rimossa. Unity riusciva a malapena a parlare o a muoversi. Quando venne a sapere della notizia, Hitler rimase sconvolto. Heinrich Hoffmann disse che «il tentato suicidio di Unity lo colpì profondamente»;30 pagò le cure, mandò dei fiori ogni giorno e le fece un’unica breve visita, durante la quale Unity non fece che fissare il vuoto. Hitler sapeva che con l’arrivo della guerra Unity non poteva restare in Germania, perciò fece mettere in un deposito tutti i suoi averi e le organizzò un viaggio in treno in una carrozza privata – accompagnata da un medico, un’infermiera e una suora – fino a una clinica svizzera, e da lì in Inghilterra. Unity morì invalida nel 1948, all’età di trentatré anni. Riflettendo sul coinvolgimento della sorella nel nazismo, Diana scrisse che Unity aveva «adottato» il loro «credo […] e anche il loro antisemitismo, con pedissequo entusiasmo».31 Aveva sacrificato tutto sull’altare delle ossessioni di Hitler e dissipato la giovinezza per una fantasia tossica che stava per mandare a morire milioni di persone. TERZA PARTE Un lento declino 10 Guerra e pace

Alla fine del 1939 Magda e suo marito si erano riavvicinati. A dispetto di tutti i litigi e delle turbolenze emotive, i termini del contratto matrimoniale che avevano firmato all’inizio dell’anno erano stati rispettati, e la coppia si era riunita. La riconciliazione incontrò il favore di Hitler, che il 30 ottobre li invitò per un tè alla Cancelleria del Reich e il 15 gennaio andò a trovarli nella casa di campagna, portando un teatrino di burattini per i bimbi. Tornò da loro anche il 1º febbraio. Hitler, Magda e suo marito ricordarono i tempi in cui erano inseparabili. Secondo Goebbels, rivangarono «vecchi ricordi».1 Poco tempo dopo Magda scoprì di essere di nuovo incinta: la famiglia modello del Reich era tornata. Il 29 dicembre Goebbels partecipò alla prima del film Mutterliebe (“L’amore più forte”), che raccontava la vita di una vedova, dalla giovinezza alla vecchiaia; la protagonista gestisce una lavanderia e sacrifica la propria felicità per crescere i quattro figli, che da ragazzi difficili – uno di loro frequenta una donna sposata, un altro mette incinta una delle dipendenti della lavanderia, un terzo perde la vista e la figlia fa la ballerina – diventano rispettabili membri della comunità. La pubblicità del film dichiarava di voler «rappresentare l’immagine della madre, rivelarne la sconfinata capacità di amore e di bontà, ed erigere un monumento alla fedeltà come ringraziamento a tutte le madri».2 Durante la proiezione Goebbels scoppiò in lacrime e nel diario scrisse che era stata «una vittoria per il cinema tedesco».3 Quando vide il film anche Margarete Himmler fu molto commossa. Lo giudicò «bellissimo»,4 una lode insolita per lei che esprimeva di rado opinioni forti per un film, tranne quando non le piaceva. Forse Margarete si identificò nel messaggio e nei temi che trattava la pellicola, nella protagonista sola che dava tutto senza ricevere in cambio quasi niente, oppressa dal fardello della maternità eppure sempre pronta a fare del suo meglio. Le preoccupazioni di Margarete riguardo alla famiglia si erano intensificate adesso che dava il suo contributo allo sforzo bellico. Nei primi mesi del conflitto aveva lavorato in un ospedale di Berlino e non vedeva l’ora «di fare qualche intervento chirurgico»,5 ma continuava a litigare con i medici e il personale di grado più elevato, che non erano entusiasti all’idea di avere sul collo il fiato della prepotente moglie di Himmler. Sentendosi frustrata lasciò perdere, e il 3 dicembre 1939 assunse un ruolo di supervisione per la Croce rossa tedesca, monitorando gli ospedali da campo e le strutture nei pressi dei principali snodi ferroviari in cui erano curati i soldati feriti in transito. A metà degli anni trenta la Croce rossa tedesca era controllata dalle SS. Il direttore era Charles Edward von Saxe-Coburg-Gotha – passato dai Freikorps alle SA e poi alle SS – ma la vera autorità era rappresentata dal medico delle SS Ernst-Robert Grawitz, uno dei protetti di Himmler e capo di Margarete. Dalla fine del 1937 tutte le novemila unità della Croce rossa confluirono in un’organizzazione controllata dal ministero dell’Interno. Dopo le verifiche relative all’idoneità politica e razziale, le infermiere dovevano entrare nel partito e giurare fedeltà a Hitler. Con l’avvicinarsi della guerra la Croce rossa tedesca smise di trattare i civili e cominciò a prepararsi per i feriti militari. Il numero dei membri del personale di emergenza passò da 13 500 nel 1933 a 142 000 nel 1938. Un esercito da schierare in ospedali di riserva sul fronte interno o in ospedali da campo dotati di centinaia di letti nelle zone di guerra, a una ventina di chilometri dalla prima linea. Venne istituita anche una rete di ricoveri per i soldati che necessitavano di riabilitazione a lungo termine. Gudrun Himmler, che aveva solo dieci anni, soffrì moltissimo la separazione dalla madre – non riusciva a dormire e singhiozzava al telefono – e la sua sofferenza era aggravata dal fatto che non vedeva quasi mai il padre. Non che Margarete se la cavasse meglio: come scrisse tristemente nel diario, Himmler «la sera non è quasi mai a casa neanche quando si trova a Berlino».6 Per Margarete quell’anno sarebbe arrivata la resa dei conti riguardo al matrimonio. Himmler e Hedwig, la sua amante, avevano deciso di avere dei figli, perciò sentivano di doverle finalmente dire la verità.

Il 12 settembre 1939, quindici giorni prima della resa della Polonia, Heydrich solcò i cieli su un volo della Heinkel come mitragliere in torretta, rischiando la vita per sparare ai soldati polacchi in ritirata. Il marito di Lina si preparava all’azione già dal 1935, quando aveva seguito un corso di addestramento come pilota sportivo, diventando abbastanza esperto da partecipare a spettacoli acrobatici. Durante l’estate del 1939 si qualificò come pilota di caccia e fece allestire una pista d’atterraggio in un campo nei pressi della villa di Fehmarn, in modo da poter volare da Berlino nei week- end. Per segnalare il suo arrivo Heydrich faceva rombare il motore e Lina metteva in tavola la cena. Preoccupata dal nuovo hobby del marito, una volta provò a fare un giro dell’isola insieme a lui; Lina fu traumatizzata dall’esperienza e non salì mai più sul suo aereo. Dopo l’occupazione Heydrich volò molte volte in Polonia per accertarsi che i suoi feroci squadroni della morte, gli Einsatzgruppen, facessero progressi, e per cominciare a radunare la popolazione ebraica nei ghetti. Perché l’assenza del marito fosse più sopportabile, Lina aveva introdotto alcuni nuovi elementi nel suo piccolo circolo sociale berlinese, inclusa la moglie di Walter Schellenberg, Irene, la cui madre era polacca, il che avrebbe reso problematico ottenere un certificato di matrimonio delle SS. Heydrich aiutò Schellenberg persuadendo Himmler a consentire alla coppia di sposarsi. Lina e Irene andavano molto d’accordo; uscivano, andavano a fare compere e al cinema, pranzavano e cenavano insieme. L’altra coppia che allietava le giornate di Lina era composta da Max de Crinis e dalla moglie Lilli, un’ex attrice. Lina li aveva conosciuti nel 1939, quando lui aveva ottenuto il posto di professore di psichiatria all’ospedale universitario della Charité di Berlino, rinomato a livello internazionale. De Crinis stava per diventare un personaggio cruciale nel programma di eutanasia del regime – noto come Aktion T4 – e il 10 agosto prese parte a un incontro con una dozzina di altri psichiatri per selezionare personale tecnico in grado di concretizzare il suo pensiero, supportato da Hitler, secondo il quale «ai pazienti […] considerati incurabili può essere garantita una morte pietosa dopo un’attenta valutazione del loro stato di salute».7 Il coinvolgimento di de Crinis nel progetto T4 era fondato tanto sulle sue credenziali professionali quanto su quelle ideologiche. Figlio di un medico, era nato in Austria nel 1889. Nel 1924 era diventato professore associato di neurologia e fino al 1934 fu molto attivo nel Partito nazista austriaco. Quello stesso anno ottenne una cattedra all’università di Colonia. Nel 1936 entrò nelle SS e nell’SD. Il suo fascicolo personale lo descriveva come un «celebre pioniere dell’antisemitismo».8 De Crinis era un sostenitore entusiasta del programma di sterilizzazione che aveva preparato la strada all’adozione dell’eutanasia da parte del regime. La Legge per la prevenzione delle malattie ereditarie venne emanata il 14 luglio 1933 e integrata con la Legge contro i criminali recidivi, che prevedeva la castrazione di chiunque avesse compiuto ventuno anni e passato più di sei mesi in carcere da recidivo. Quattro delle nove condizioni citate nella legislazione come motivi per procedere alla sterilizzazione si riferivano alla salute mentale: depressione, schizofrenia, «idiozia congenita» – che includeva coloro che avevano precedenti penali, prostitute, chi non aveva un lavoro o una casa – e «chiunque soffrisse di problemi cronici di alcolismo».9 Le potenziali vittime venivano selezionate da psichiatri come de Crinis – che aveva studiato sia l’epilessia sia l’alcolismo – ed erano chiamate a comparire davanti a uno dei duecentoventi tribunali locali della salute, dove si decideva il loro destino. Nel 1939 erano state sterilizzate 345 000 persone: 200 000 «idioti congeniti», 73 000 schizofrenici, 37 000 epilettici e 30 000 alcolisti. Sebbene i primi a morire fossero stati i bambini, il programma T4 si concentrava sugli adulti. A metà gennaio del 1940 fu deciso di usare il monossido di carbonio; all’inizio di febbraio de Crinis era in una commissione che reclutava medici e procurava agli ufficiali sanitari delle case di ricovero e dei sanatori moduli per registrare potenziali “pazienti”. A marzo, durante una conferenza, de Crinis discusse del T4 con alcuni psichiatri impiegati nelle case di cura statali per malattie mentali. Le uccisioni vennero dapprima perpetrate in quattro diverse sedi; venti “pazienti” vennero uccisi con il gas in una stanza progettata per assomigliare a una doccia comunale. A tutti i deceduti vennero estratti i denti d’oro. Ad agosto del 1941 l’Aktion T4 fu interrotta in seguito alle proteste della Chiesa cattolica, sebbene le vittime fossero già state settantamila. Nell’autunno del 1943 de Crinis fu uno dei principali fautori della reintroduzione del programma, portato avanti fino alla fine della guerra. Nel 1939 gli istituti di igiene mentale tedeschi contavano tra i trecento e i trecentoventimila pazienti, ridotti a quarantamila entro il 1946. Schellenberg considerava de Crinis un caro amico, un uomo raffinato con «una famiglia piacevolissima e colta».10 Heydrich lo giudicava «un tipo molto simpatico».11 Lina e suo marito andavano spesso a cavalcare di prima mattina con de Crinis e la moglie; partivano a cavallo da un maneggio di Berlino per arrivare al bosco di Grunewald, dopodiché si fermavano nella villa di de Crinis sul lago Wannsee per una colazione a base di champagne.

Nell’aprile del 1940 Heydrich trascorse quattro settimane in Norvegia con una squadriglia di caccia: mitragliava a bassa quota il nemico, si godeva la mensa ufficiali e giocava a carte. La sua partecipazione a questa breve campagna si concluse il 13 aprile, quando il Messerschmitt 109 che pilotava finì fuori pista durante il decollo e si schiantò; l’aereo distrutto, Heydrich con un braccio rotto. Il giorno seguente era di nuovo dietro una scrivania a Berlino, decorato con una Croce di ferro di seconda classe. Alla rapida conquista della Polonia seguirono mesi di stallo mentre Hitler aspettava di vedere se l’Inghilterra o la Francia – in particolare la prima – erano disposte a riconsiderare la loro decisione di andare in guerra. Di fronte all’assenza di chiari segnali sull’intenzione di fare un passo indietro, Hitler riprese le ostilità e attaccò la Norvegia per garantirsi rotte navali di primaria importanza. Dopodiché rivolse la sua attenzione a ovest, verso il suo vecchio nemico, la Francia. Dalla sconfitta del 1918 il Führer era ancora in cerca di vendetta e di riscatto, deciso a cancellare l’onta e l’umiliazione dalle pagine della Storia. Tuttavia, non aveva i mezzi per sostenere una campagna lunga. La famigerata strategia della guerra lampo (Blitzkrieg) nacque proprio da questa necessità: le truppe venivano concentrate per ottenere un rapido sfondamento aprendo una breccia nelle difese nemiche con una combinazione di carri armati e di aerei, e sfruttavano il varco per penetrare nel territorio francese lasciando coloro che restavano indietro vulnerabili all’accerchiamento. I risultati furono strepitosi. Il 10 maggio fu lanciato l’attacco; il 17 giugno, sei settimane dopo, i francesi si arresero. Poco tempo dopo Emmy – che indossava abiti francesi all’ultima moda – e suo marito organizzarono una cena speciale per festeggiare la splendida vittoria e il ruolo avuto dalla Luftwaffe. Göring aveva portato da Parigi del pâté de foie gras per accompagnare diversi tipi di vodka della Polonia; inoltre la coppia e i suoi ospiti consumarono «salmone arrosto cucinato nello stile di Danzica con vino della Mosella […] e poi una piccola e leggerissima torta viennese»12 con vino bianco. La cena era stata preparata da Otto Horcher, cuoco personale dei Göring e artefice dei loro banchetti, direttore del ristorante Horcher di Berlino. Inaugurato nel 1904 da Gustav, padre di Otto, il locale serviva eccellente cucina tedesca, piatti come l’anguilla affumicata con salsa di rafano, la zuppa di lenticchie con würstel e l’insalata di patate con senape di Pommery e uovo in camicia. Göring aveva cominciato a frequentarlo alla fine degli anni venti per offrire pasti pregiati ad aristocratici e industriali. Otto si occupava di tutte le grandi feste dei Göring, dal banchetto delle Olimpiadi ai ricevimenti e alle cene private a Carinhall. Il marchio degli Horcher trasse notevole beneficio dall’espansione nazista. Dopo l’Anschluss Otto prese possesso del miglior ristorante di Vienna. Quando cominciò la guerra Göring si assicurò che tutti i camerieri e i cuochi di Otto fossero esonerati dal servizio militare. In Norvegia Horcher aprì alcuni esclusivi club della Luftwaffe per servire cibo e bevande agli ufficiali, e a Oslo due ristoranti per il pubblico. Dopo la sconfitta della Francia acquisì il leggendario marchio Maxim’s a Parigi, in modo che il suo patrono avesse un posto in cui mangiare durante i numerosi viaggi in città che gli servivano per orchestrare uno dei più grandi furti d’arte della Storia.

All’inizio di marzo del 1940 Margarete arrivò in Polonia per ispezionare le sedi della Croce rossa tedesca. Visitò Poznań – dove c’erano una scuola e un pensionato per le infermiere –, Łódź, che era il centro dell’attività della Croce rossa tedesca in Polonia e infine Varsavia. Come altri suoi colleghi, Margarete si lamentò delle precarie condizioni di vita e della scarsa igiene degli ospedali e dei treni, tutto immerso in un «sudiciume indescrivibile». Si sentì anche oltraggiata dal contegno degli abitanti: «questa gentaglia ebrea, questi sporchi polacchi, la maggior parte non sembrano neanche esseri umani».13 Dopo aver confermato i propri pregiudizi Margarete tornò a Berlino, dove Himmler le disse di Hedwig. Malgrado quello che doveva essere un colpo durissimo Margarete non prese mai in considerazione il divorzio, che per lei avrebbe significato una terribile umiliazione. E poi c’era Gudrun a cui pensare; Himmler era devoto alla bambina, e lei lo idolatrava. Dal momento che era già in grave difficoltà nell’affrontare la quasi totale assenza di entrambi i genitori – secondo la madre era «molto nervosa e aveva problemi a scuola» –,14 nessuno dei due voleva turbarla ulteriormente. Himmler continuò a presentarsi al lago Tegernsee, cercava di chiamarla ogni giorno e le scriveva regolarmente. La volontà di mantenere le apparenze non serviva solo a risparmiare a Margarete e Gudrun un inutile dolore. Himmler era assolutamente contrario al divorzio; il 77 per cento dei leader delle SS era sposato, una tendenza opposta a quella del resto della popolazione, in cui si arrivava ad appena il 44 per cento. Un membro delle SS che volesse lasciare la moglie doveva prima chiedere il permesso a Himmler; chi tentasse di sfuggire alla norma era espulso dall’organizzazione. Un esempio dell’atteggiamento intransigente di Himmler fu il caso del suo vecchio collaboratore Karl Wolff, che voleva divorziare da Frieda e sposare l’amante di lungo corso, una contessa vedova con la quale aveva una relazione fin dal 1934; nel 1937 avevano avuto un figlio e lei viveva a Budapest nel loro nido d’amore, dotato di dieci stanze e di un hammam. Himmler gli negò il permesso di lasciare Frieda. Wolff allora si rivolse direttamente a Hitler, che gli concesse l’autorizzazione al divorzio. Durante tutta la vicenda Frieda – che aveva scritto a Himmler per dirgli che non intendeva intralciare la felicità di Wolff – rimase nella casa sul lago Tegernsee insieme ai figli. Lei e Margarete erano intime, si conoscevano da quasi un decennio e le loro figlie erano buone amiche, ma il rancore che c’era tra i mariti condizionò anche il loro rapporto. Quando fu chiaro che Karl stava sfidando gli ordini di Himmler, Margarete prese le distanze da Frieda, abbandonandola nel momento del bisogno. Forse l’esperienza di Frieda la toccava troppo da vicino. L’infelicità di Margarete, il senso di perdita e di abbandono cominciarono a trasparire in ciò che appuntava nel diario: il 9 giugno 1940 scrisse: «tutta questa tristezza rende difficile stare soli […] perciò la sera di solito gioco al solitario e leggo un po’». Il 4 gennaio 1941 rifletteva: «il vecchio anno se n’è andato. Ci è voluto tanto coraggio per superarlo». Un mese dopo si lamentava che «tutte le ragazze desiderano un uomo» senza rendersi conto di «quanto è amara la vita», e si augurava di essere in grado di «proteggere» sua figlia «dal peggio».15

Una delle opere d’arte sfoggiate con orgoglio nella casa che i Bormann possedevano a Monaco era un busto di Gerda in bronzo realizzato dallo scultore più famoso e amato del regime, Arno Breker, le cui statue monumentali di soggetto classico – con titoli come Prometeo, Il grande Tedoforo e Sacrificio – ritraevano uomini nudi in pose dinamiche ed eroiche. I busti in bronzo realizzati da Breker erano perlopiù commissioni private; ne aveva scolpiti di Hitler, di Goebbels, del figlio di Magda, Harald Quandt, e di Edda Göring. Nato nel 1900, figlio di uno scalpellino, Breker aveva vissuto a Parigi negli anni venti dopo essersi diplomato alla Scuola d’arte di Düsseldorf. Nel 1932 si trovava a Roma quando Goebbels lo rintracciò e cercò di convincerlo a tornare in Germania, cosa che fece nel 1934. Due anni dopo partecipò alla competizione artistica delle Olimpiadi con due sculture che gli valsero l’argento e in occasione del ricevimento incontrò Hitler, che lo impressionò positivamente. Il sentimento era reciproco; nel 1940 Hitler gli conferì l’insegna d’oro del partito. Breker, inoltre, era l’artista più ricco del regime dal momento che guadagnava una fortuna dagli incarichi di rappresentanza, dai premi e dall’impresa che impiegava forza lavoro schiavizzata per produrre in serie le sue sculture più popolari, come il ritratto di Hitler. Gerda posò per lui nel 1940, e quando il busto fu completato divenne amica di Breker e della moglie, l’affascinante ex modella Demetra Messala, che aveva posato per Picasso a Parigi. Quando aveva raggiunto Breker in Germania era già diventata una commerciante d’arte di grande successo. I due si sposarono nel 1937 ed ebbero cinque figli. Il fatto che Gerda fosse a proprio agio in compagnia di persone così sofisticate è indicativo del suo prestigio crescente nella cerchia delle mogli naziste. Era ormai parte integrante della vita del Berghof, la cui routine quotidiana era modellata sulle abitudini di Hitler: poiché il Führer dormiva fino a tardi e si faceva vedere verso mezzogiorno, il pranzo era servito alcune ore dopo. Molto spesso intorno alle quattro Hitler, Eva e i loro ospiti facevano una passeggiata di una ventina di minuti in discesa fino alla piccola “Casa da tè” (Teehaus), invece di scalare la montagna per arrivare al Nido dell’Aquila: oltre al fatto che spesso lassù faceva molto freddo, l’aria rarefatta dall’altitudine dava la nausea a Hitler. La piccola Casa da tè era un posto molto più accogliente. Secondo la fedele segretaria di Hitler, Christa Schroeder, Hitler ed Eva bevevano sempre cioccolata invece di tè o caffè, e anche se «la selezione di torte e pasticcini era molto invitante», Hitler «ordinava sempre la torta di mele, con impasto sottilissimo, ipocalorica e con fettine di mele al forno». In questa atmosfera rilassata «a Hitler piaceva ascoltare storie divertenti, e le persone capaci di raccontarle erano le benvenute».16 A volte, se la compagnia non era particolarmente stimolante, Hitler si addormentava sulla sedia. Le serate erano monopolizzate dai suoi monologhi, declamati durante la cena o davanti al camino. Il 5 luglio 1941 un membro dello staff di Bormann cominciò a lavorare all’ambizioso progetto di mettere per iscritto tutte le perle di saggezza del Führer. Il risultato – noto come Tischgespräche im Führerhauptquartier, “Colloqui riservati di Adolf Hitler” – documenta tutti i pasti al Berghof fino a metà marzo del 1942; dopo quella data i resoconti diventano intermittenti, con grandi lacune tra una sessione e l’altra. Fino a poco tempo fa gli storici hanno creduto che il testo finale, centinaia di pagine, consistesse in una riproduzione letterale dei discorsi di Hitler. Le ricerche più recenti invece suggeriscono che l’assistente di Bormann abbia trascritto il materiale a memoria ogni mattina per poi passarlo a Bormann, che gli dava forma e lo modificava. Bormann prendeva molto sul serio il compito di fissare la voce del suo maestro, impersonando il ruolo del discepolo fedele e del curatore dei pensieri del Führer, da preservare per le generazioni future.

Quell’estate, al Berghof, Hitler si trovava davanti a un dilemma. Nonostante l’assoggettamento della Francia in tempi record, l’Inghilterra rifiutava di piegarsi. Vennero studiati piani tattici per una possibile invasione, ma la prospettiva era troppo rischiosa. Poi Göring si fece avanti e offrì di risolvere il problema ricorrendo alla Luftwaffe per mettere in ginocchio l’Inghilterra. La sua soluzione convinse Hitler, e per sei mesi a cominciare da agosto l’aviazione militare di Göring tentò di portare a termine la missione, dapprima attaccando la RAF e la sua infrastruttura e poi bombardando Londra e altre città economicamente importanti. Tuttavia, nonostante le terribili distruzioni causate, alla fine di febbraio del 1941 era chiaro che Göring non avrebbe mantenuto la promessa: la Luftwaffe stava perdendo aerei e piloti esperti a un ritmo spaventoso, mentre il “suo” Piano quadriennale, mal gestito, strutturalmente corrotto, dispendioso e inefficace, era diventato un colosso incontrollabile e incapace di produrre velivoli sufficienti a sottomettere un’intera nazione, e meno che mai l’Inghilterra, che combatteva con tenacia ed era in grado di costruire più aerei e in meno tempo della Germania. Durante questo periodo, il più critico della sua carriera nazista, Göring dedicò tempo ed energie alla propria collezione d’arte, che aveva cominciato a raccogliere seriamente nel 1936 dopo aver istituito un fondo privato. Il principale apportatore di capitali era il produttore di sigarette Philip Reemstama, che controllava il 75 per cento del mercato. Göring gli fece molti favori, indebolendo la concorrenza, tirandolo fuori dai guai finanziari e procurandogli contratti con l’esercito che ammontavano a cifre da capogiro. Il re del tabacco gli era comprensibilmente grato e ogni tre mesi donava duecentocinquantamila marchi al suo fondo. Göring fece acquisti attraverso un gran numero di mercanti d’arte e scovò opere di artisti tedeschi del XVI e XVII secolo, di maestri della pittura olandese e del Rinascimento italiano, talvolta pagando più del dovuto, talvolta meno. Altrimenti rubava senza vergogna da gallerie e collezionisti ebrei, ed entro il 1940 aveva messo insieme duecento opere d’arte. Dopo l’inizio della guerra i suoi agenti razziarono la Polonia, tornando in patria con trentuno disegni di Albrecht Dürer che Göring donò a Hitler, e saccheggiarono il mercato dell’arte di Amsterdam, comprando intere collezioni di quadri da privati, incluso un Vermeer falso. Nel frattempo, Göring sfruttava l’Arte degenerata come una fonte collaterale di finanziamenti. Cedette dipinti di Cézanne, Van Gogh e Munch in cambio di contanti, e il 3 marzo 1941 scambiò undici quadri – tra i quali un Degas, due Matisse, due Picasso, un Braque e un Renoir – con un Tiziano. Un mese dopo, in occasione di un accordo simile, ottenne un Rembrandt e due arazzi per venticinque dipinti di Arte degenerata. La vera pacchia tuttavia ebbe inizio quando la Francia capitolò. Un grosso deposito di Parigi venne riempito di opere d’arte confiscate alla comunità ebraica della città. Tra il 3 novembre 1940 e il 27 novembre 1942 Göring portò via dal deposito – che visitò venticinque volte – settecento opere, soprattutto dipinti, ma anche arazzi e sculture. Tutti questi tesori vennero trasportati in treno a Carinhall, dove Emmy poteva goderne. Lei e il marito affermavano di non voler tenere le opere per sé; ne erano i custodi, con il compito di mantenerle al sicuro. Emmy si diceva convinta che a guerra finita suo marito avrebbe aperto il museo Hermann Göring e le avrebbe esposte tutte, mettendole a disposizione del pubblico.

Magda trascorse gran parte del 1940 a entrare e uscire dall’ospedale a causa dei problemi cardiaci, come sempre aggravati dalla gravidanza. Ad agosto stava abbastanza bene da tornare a casa, ma di nuovo all’inizio di ottobre – secondo suo marito – «stava molto male di cuore». Il 10 era «nervosa e irritabile», e a fine mese, con il parto sempre più imminente, Magda affrontava «il momento critico» con «grande coraggio». Il 29 ottobre i patimenti erano finiti e aveva dato alla luce un’altra bambina. Il giorno seguente ci fu una festa per il quarantatreesimo compleanno del marito. Magda e i figli – con l’aiuto di alcuni professionisti – avevano preparato un regalo speciale, un breve filmino dei bambini che camminavano in un bosco, giocavano con un castello e davano la caccia ai conigli. Dopo la visione privata il filmino venne distribuito nei cinema come opera di propaganda. Goebbels fu estasiato dal «bellissimo» regalo, che suscitava «risate e lacrime».17 In cambio organizzò «una festicciola per il compleanno di Magda», il 12 novembre. Contento che sua moglie fosse «di nuovo straordinariamente bella», Goebbels era anche emozionato dal fatto che Hitler avesse deciso di passare a salutarli: «il Führer arriva verso le ventidue e si ferma fino alle quattro di notte. È assolutamente ottimista e rilassato, come prima della guerra». Il trio parlò di «vegetarianismo», la «religione del futuro», e Goebbels era orgoglioso del fatto che con loro due Hitler poteva «tornare a essere un uomo rispettabile».18 Durante il 1941, però, queste scene di serenità domestica furono sempre più rare. Quell’anno Magda e Goebbels condussero vite separate. A tenerli lontani furono i persistenti problemi di salute di Magda – un piccolo malore a febbraio, la bronchite a marzo –, gli impegni pressanti di Goebbels, compresi una serie di viaggi all’estero, e la potenziale minaccia dei bombardieri inglesi su Berlino, che spinsero la coppia a mandare i figli a sud. Per un po’ i bambini rimasero a Obersalzberg e in altre località della Baviera. Poi furono mandati nella regione dell’alto Danubio. In questo periodo i rapporti tra Magda e Goebbels rimasero cordiali e caratterizzati da benevolenza da entrambe le parti. Eppure, si stavano allontanando, e la distanza tra loro continuava a crescere. Ben presto i problemi che affliggevano il loro matrimonio sin dal principio avrebbero reso inutile il contratto che avevano firmato.

Nell’ottobre del 1940 Margarete andò per un paio di settimane nella regione dei Balcani per conto della Croce rossa insieme al professor Gebhardt, che dirigeva la sua stazione termale preferita, la clinica Hohenlychen. Si recarono in Romania passando da Budapest – dove in albergo furono intrattenuti da «musica gitana» –, fecero una breve sosta a Belgrado e visitarono un «insediamento tedesco» nella regione della Bessarabia, nel nord del paese. Quest’area era stata ceduta ai sovietici come parte del patto del 1939 tra Hitler e Stalin; in seguito fu reclamata dall’esercito rumeno, che si scagliò con violenza contro la popolazione ebraica, uccidendo ottomila persone e rinchiudendone venticinquemila nei campi di concentramento. Di conseguenza interi villaggi e cittadine furono svuotati, rendendo disponibili numerosi appezzamenti di terra che spinsero il marito di Margarete a includere la regione nei suoi progetti di insediamento di gruppi di etnia tedesca allo scopo di creare comunità agricole modello. Margarete e il professor Gebhardt visitarono uno di questi cosiddetti villaggi Volkdeutsches, e lei rimase colpita da quanto fosse «pulito».19 Di ritorno a Berlino la vita sociale di Margarete si era ridotta in modo drastico: per lei le serate diplomatiche erano finite e vedeva pochissime persone. Una di queste era Anneliese von Ribbentrop, la sua più cara amica tra le mogli dei nazisti. Determinata, ambiziosa, intelligente ed elegante, Anneliese aveva più o meno la stessa età di Margarete e proveniva dalla famiglia Henkel, che si era arricchita con la vendita di un prestigioso vino frizzante. Aveva sposato von Ribbentrop nel 1920 dopo averlo conosciuto a un torneo di tennis, e la coppia conduceva uno stile di vita invidiabile. La loro elegante villa di Berlino era dotata di un campo da tennis, mentre la tenuta di campagna aveva un campo da golf a nove buche. Nel 1932, dopo aver ospitato Hitler a cena, Anneliese si era convertita al nazismo e aveva spinto suo marito a entrare a far parte della cerchia del Führer. Sfortunatamente per Margarete la loro amicizia si interruppe bruscamente a causa del litigio tra i mariti. I due si erano avvicinati nel 1934, dopo l’ingresso di Ribbentrop nelle SS, e avevano legato anche grazie alla passione comune per il tennis. Dopo che Ribbentrop venne nominato ministro degli esteri, però, avevano cominciato a bisticciare sulle rispettive aree di competenza per ciò che riguardava i rapporti con gli Alleati e gli Stati neutrali. La situazione precipitò nel 1941. Infuriato per l’appoggio dato dall’SD a un colpo di stato fallito contro il governo rumeno, simpatizzante nazista, Ribbentrop costrinse Himmler a firmare un accordo che affermava la sua autorità negli affari esteri. L’8 maggio 1941 Margarete scrisse sul diario che «il rapporto» tra suo marito «e Herr Ribbentrop» si era «concluso» perché «Ribbentrop aveva troppe pretese».20 Nello stesso periodo Margarete rinunciava al legame con Anneliese; senza la sua compagnia l’isolamento di Margarete a Berlino era completo.

Durante l’inverno 1940-41 Ilse Hess cominciò a sospettare che il marito stesse progettando qualcosa, perché «era impegnatissimo in ogni tipo di attività e visibilmente nervoso». Hess aveva ripreso a volare e usava così spesso il campo d’aviazione di Augsburg che Ilse trovava difficile credere che cercasse semplicemente «di distrarsi dai problemi in ufficio». Il mistero si infittì quando «nello studio di casa nostra comparve un nuovissimo impianto radio […] che veniva usato dietro una doppia porta chiusa a chiave». Ilse lo esaminò e scoprì che era sintonizzato sui bollettini di una stazione metereologica. Ma la cosa più curiosa era «l’incredibile quantità di tempo che – nel bel mezzo di una guerra – mio marito trascorreva con nostro figlio». Sabato 10 maggio 1941 Hess aveva in programma un pranzo sul presto insieme a un vecchio amico, Alfred Rosenberg, ma Ilse non si sentiva bene e non partecipò. Quando Rosenberg se ne andò Hess salì al piano di sopra per vedere come stava e le chiese di prendere il tè insieme «alla solita ora». Quando comparve, alle 14.30, Ilse fu sorpresa di vedere che «indossava un paio di pantaloni grigio-blu e stivali alti da aviatore» e, «ancora più strano, aveva una camicia azzurra con una cravatta blu scuro, un abbinamento che spesso gli avevo consigliato senza ottenere mai il minimo risultato». Quando Ilse gli chiese il perché di quell’abbigliamento, Hess rispose che voleva farle piacere. Ilse lo trovò strano. In seguito, si rese conto che suo marito sfoggiava una divisa da ufficiale della Luftwaffe. Dopo il tè Hess le «baciò la mano e rimase fermo sulla soglia della camera del bambino, con aria improvvisamente serissima, come assorto in qualche pensiero». Salutò il figlio addormentato e uscì per andare al campo d’aviazione di Augsburg, da dove decollò su un Messerschmitt per compiere la missione di portare la pace tra l’Inghilterra e la Germania. Quando quella sera non tornò a casa, Ilse cominciò a preoccuparsi. «Nei giorni successivi, domenica e lunedì […] non avemmo nessuna notizia di quello che era successo.» Lunedì sera, il 12, Ilse aveva «organizzato per lo staff di Hess, l’autista e i domestici, uno spettacolo nel piccolo cinema di casa». Durante la proiezione irruppe con l’aria sconvolta l’aiutante più giovane di Hess; aveva appena sentito alla radio che il suo capo si era schiantato nel Mare del Nord, dopo aver avuto un «crollo mentale». Ilse telefonò immediatamente al Berghof, intenzionata a «parlare col Führer e dirgli quello che pensavo», ma le passarono Bormann, il quale dichiarò di non saperne niente, e in quel momento era vero. Ilse non gli credette ed espresse la sua «indignazione con un’enfasi e una retorica che non avevo mai usato prima di allora, né avrei usato mai più». Bormann – che aveva tutto da guadagnare dalla scomparsa di Hess – le promise che un funzionario del ministero le avrebbe fatto avere notizie il prima possibile, ma quando questi arrivò, dopo mezzanotte, non aveva niente di significativo da comunicarle. Il mattino successivo passò a trovarla il vecchio amico e mentore di Hess, il professor Haushofer. Era «profondamente scosso, disperato» perché pensava che Hess fosse morto. Rimasta sola Ilse, esausta, andò a letto e si addormentò «all’istante». Al risveglio le sue preghiere erano state esaudite: il marito era atterrato sano e salvo in Scozia.21 Prima che potesse riflettere sul da farsi, venne convocata nell’appartamento berlinese del marito, dove ad attenderla c’era Bormann. Dopo averla interrogata a lungo, le chiese di fare una lista degli oggetti presenti nell’appartamento che appartenevano allo stato – che sarebbero stati confiscati – mentre avrebbe potuto tenere quelli di proprietà di Hess. Risultò che erano suoi soltanto i tappeti; il resto dei mobili e degli arredi era di proprietà del governo. Dopo averle deliberatamente imposto questo compito umiliante, Bormann aggiunse il danno alla beffa; se Ilse avesse voluto comprare i mobili della camera da letto, le avrebbe fatto uno sconto del 50 per cento. In definitiva il destino di Ilse dipendeva da Hitler. Il mattino dopo l’incidente il Führer si trovava al Berghof quando arrivò l’aiutante di Hess con una lettera del suo capo. Dopo averla letta Hitler reagì con un misto di collera e incredulità che non fece che aumentare con l’emergere di nuovi dettagli. Alcuni – incluso il suo cameriere personale – pensarono che in realtà fosse a conoscenza delle intenzioni di Hess, e che le approvasse; la reazione infuriata non sarebbe stata altro che la messinscena di un consumato attore. Ilse però negò categoricamente questa ipotesi: «Sono assolutamente certa che mio marito desiderasse immolarsi senza che gli fosse stato ordinato, senza che il Führer fosse a conoscenza del suo gesto».22 Hitler fece immediatamente arrestare tutto lo staff di Hess; alcuni suoi collaboratori rimasero nei campi di concentramento fino al 1944. Furono incarcerati anche i fratelli, rilasciati dopo aver temuto per la loro vita. Anche il professor Haushofer era nel mirino – Hitler lo definiva «lo sporco professore ebreo»23 – e la Gestapo lo tenne in custodia per mesi. Suo figlio Albrecht fu trascinato davanti a Hitler e costretto a dare spiegazioni. Albrecht scrisse una relazione sui suoi contatti con il duca di Hamilton – che Hess aveva incontrato brevemente alle Olimpiadi – e sulla lettera che aveva scritto al pari d’Inghilterra per conto di Hess, in cui spiegava l’intenzione di rappacificare i due Stati. In seguito alla confessione Albrecht fu incarcerato per due mesi nel quartier generale della Gestapo a Berlino e licenziato. Temendo altre conseguenze, Albrecht fuggì sulle montagne bavaresi. La versione dei fatti fornita da Hess non accennava ad Albrecht Haushofer né a suo padre. In una dichiarazione ufficiale rilasciata ai carcerieri inglesi Hess spiegò le ragioni di una decisione tanto precipitosa: «Dopo la fine della guerra in Francia Hitler aveva proposto un accordo all’Inghilterra, ma ricevette un rifiuto. Ciò mi rese più sicuro che mai di dover mettere in pratica il mio piano» per evitare «una distesa interminabile di bare al cospetto di madri in lacrime, sia inglesi che tedesche; e un’altra distesa di bare di madri che avrebbero lasciato figli disperati».24 La preoccupazione di Hess riguardo alle vite innocenti non contemplava i civili sovietici. Era del tutto consapevole che Hitler stava per intraprendere la tanto attesa invasione dell’Unio ne Sovietica – in programma per quell’estate – e si rendeva conto che la campagna sarebbe stata condotta con un’efferatezza senza precedenti. Tentando di convincere gli inglesi a deporre le armi e di conseguenza di scongiurare la minaccia di una guerra su due fronti, Hess aveva fatto quel che poteva per aiutare Hitler a distruggere i nemici bolscevichi. Nella sua lettera a Hitler, Hess riconosceva che il «progetto» aveva «pochissime possibilità di successo» ed era probabilmente destinato a «fallire». In quel caso, riteneva che per evitare qualsiasi «esito deleterio» Hitler avrebbe dovuto «negare ogni responsabilità» e dare la colpa a lui, dicendo al mondo che era «pazzo».25 Al di là di quello che voleva Hess, questa fu la spiegazione fornita dal regime nel tentativo di neutralizzare le speculazioni sull’accaduto, minimizzandone l’importanza e smorzando gli effetti della propaganda inglese. Incaricato di far passare il messaggio fu Goebbels, che non aveva dubbi sulle persone da incolpare: «Il professor Haushofer e la moglie di Hess sono le menti diaboliche a monte di questa faccenda […]. Si può far facilmente risalire tutta la storia all’ossessione mistica [di Hess] per una vita sana e a tutte quelle sciocchezze sul fatto di cibarsi di erba […]. Quanto vorrei prendere a calci sua moglie!». Il 14 maggio il principale giornale nazista – il cui direttore era Goebbels – alluse alle «manie» di Hess e criticò la sua fiducia nei «magnetoterapeuti» e negli «astrologi». Fu una brutta notizia per l’astrologo personale di Hess, Ernst Schulte-Strathaus, che venne arrestato quello stesso pomeriggio. Pare che a gennaio, a marzo e il giorno prima della partenza, Strathaus avesse fatto una serie di pronostici positivi sulla missione di Hess. L’astrologo fu interrogato per due settimane, poi trasferito nel quartier generale della Gestapo a Berlino, dove rimase in isolamento per undici mesi prima di essere rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen, da dove fu liberato dopo due anni terribili. Il 16 maggio Goebbels osservava che «si parla ancora molto del caso Hess», ma «le dicerie si stanno placando». Il giorno seguente scrisse soddisfatto che «il pubblico si sta calmando e cominciano a circolare battute sulla faccenda».26 Le battute però non fecero altro che rendere evidente quanto fosse confuso e disorientato il popolo tedesco; Hess era sempre stato l’affidabile membro della vecchia guardia, l’uomo leale al fianco di Hitler. Dopotutto, ogni anno pronunciava alla radio il discorso ufficiale di Natale e adesso tutti dovevano convincersi che fosse impazzito. Una delle storielle che circolavano diceva così: «Due amici si incontrano in un campo di concentramento, e uno chiede all’altro: “Come mai sei qui?”. Risposta: “Perché il 5 maggio ho detto che Hess era pazzo. E tu perché sei qui?”. “Perché il 15 ho detto che non era pazzo”».27 Hess non stava certamente bene. Soffriva di una grave ipocondria. Dopo il suo atterraggio in Scozia, il British Medical Research Council esaminò i ventotto tipi di farmaci che aveva portato con sé e che comprendevano un elisir per la cistifellea, oppioidi per combattere il dolore, aspirina per il mal di testa, atropina per le coliche, barbiturici per restare sveglio, anfetamine per la fatica e una composizione salina per la costipazione. Inoltre, erano presenti «miscele di prodotti sconosciuti e omeo patici» così «diluiti che era impossibile capire cosa fossero».28 11 Vittime

Verso le sedici del 10 giugno 1941, dodici giorni prima che la più grande forza d’invasione della Storia – tre milioni di soldati tedeschi e mezzo milione di milizie straniere – si riversasse come una marea sull’Unione Sovietica, il Berghof venne colpito da una spaventosa bufera. Secondo uno dei domestici era stata «una giornata caldissima», con «una brutta perturbazione che si addensava a nord», quando «a un tratto il cielo diventò buio come se ci fosse una vera eclissi di sole» e si sentì «uno schianto terribile» accompagnato da un’«esplosione assordante». Un fulmine aveva distrutto l’asta di dieci metri – sulla quale sventolava un’enorme bandiera con la svastica – che svettava sopra il Berghof, facendo schizzare ovunque «migliaia di schegge di legno» grandi come «fiammiferi».1 Confuso e agitato, il domestico cercava di capire cosa fare quando arrivò una chiamata da Bormann, che dalla sua casa sulla collina aveva visto il fulmine cadere. Ordinò al domestico di prendere l’asta identica che c’era nel parcheggio e usarla per sostituire la prima, intimandogli di non dire una parola per evitare che lo strano incidente fosse interpretato come un presagio negativo, l’annuncio di un disastro imminente. Gestire piccole emergenze come questa era solo una delle tante incombenze di Bormann in quanto responsabile della tenuta. Il suo grande orgoglio era la proprietà di duecento acri annessa alla fattoria. Sebbene la scarsa qualità del terreno sulle pendici più basse rendesse difficile coltivarlo, il bestiame della fattoria forniva ai residenti carne e latticini, le galline deponevano le uova e dal meleto si produceva sidro. C’era anche una serra per la frutta e la verdura, e nelle cantine del Berghof crescevano i funghi. Sia Bormann sia il suo capo, però, erano sempre più spesso assenti. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica Hitler si trasferì in diversi quartieri generali segreti; sulle prime rimase alla Wolfsschanze (la “Tana del Lupo”), mentre l’anno seguente si spostò al Werwolf (“Lupo mannaro”); entrambi erano imponenti bunker di cemento nel cuore di fitte foreste popolate da sciami di zanzare. Secondo Christa Schroeder il momento peggiore per stare alla Wolfsschanze era luglio, mentre il Werwolf era «assediato dalla varietà Anofele, il cui morso poteva causare la malaria».2 Bormann trascorreva gran parte del suo tempo in entrambi i complessi, spostandosi avanti e indietro da Berlino. Quando i due maschi dominanti erano lontani da Obersalzberg, Eva diventava la regina del Berghof. Insieme a un selezionato gruppetto di donne si dedicava alla passione per la fotografia – girò ore di filmini con la sua cinepresa –, prendeva il sole in terrazza e andava spesso a nuotare nel lago Königsee, a meno di una decina di chilometri dalla tenuta. A parte le amiche che invitava a prendere il tè al Berghof, le stesse con cui se ne andava in giro per Monaco, due donne dell’élite nazista erano presenze fisse nella cerchia di Eva: Anna Brandt e Margarete Speer. La prima aveva attirato l’attenzione del Führer negli anni venti, quand’era campionessa di nuoto. La sua specialità era il dorso; tra il 1924 e il 1928 vinse cinque titoli nazionali, batté sette record tedeschi e prese parte alle Olimpiadi di Amsterdam. Le sue imprese la resero una celebrità spesso immortalata sulle copertine di giornali e riviste. Anna venne presentata a Hitler nel cottage di Obersalzberg quando si iscrisse al partito, prima di suo marito. Karl Brandt divenne uno dei medici personali del Führer a metà degli anni trenta, ebbe una certa influenza sulle scelte del regime in materia di politiche sanitarie e fu a capo del programma di eutanasia dell’Aktion T4. Margarete Speer non era un’atleta di alto livello, ma lei e il marito Albert apprezzavano le attività all’aperto come l’escursionismo e il campeggio. Durante la luna di miele fecero canottaggio. Erano anche appassionati di teatro, letteratura e musica classica. Il padre di Speer era un architetto di successo, mentre quello di Margarete un mastro falegname a capo di una piccola azienda; la giovane coppia dovette quindi affrontare la diffidenza dei genitori di Speer per il matrimonio del figlio con una donna di ceto inferiore. Albert, che scelse la stessa professione del padre, era all’università quando assistette per la prima volta a un comizio di Hitler. Incuriosito, si iscrisse al partito. All’inizio seguì soprattutto Goebbels, ma poi Hitler lo prese sotto la sua ala e arrivò a trattarlo come il figlio che non aveva mai avuto. Gerda, occupatissima con i figli, si manteneva ai margini della cerchia di Eva. Il figlio maggiore frequentava un collegio elitario ed estremamente rigido – l’Istituto per l’istruzione nazionalsocialista –, ma dopo la bambina nata a ottobre del 1940 nacquero altri due fratellini a marzo del 1942 e a settembre del 1943. A mano a mano che i bambini crescevano Gerda, esperta insegnante di asilo, si dedicava alla loro educazione, registrando i progressi nelle lettere al marito come se stesse compilando una relazione di fine anno scolastico.

Eva mandò un segnale di crescente sicurezza offrendo il suo aiuto a Ilse poco tempo dopo il volo di Hess: «Sono affezionata a te e a tuo marito. Per favore fammi sapere se le cose diventano intollerabili, posso parlare con il Führer senza che Bormann lo sappia».3 Pare che Eva sia effettivamente intervenuta presso Hitler per impedire a Bormann di far arrestare Ilse, per evitare che continuasse a sorvegliarla e chiedendo che le venisse concessa una pensione mensile. Ma nonostante gli sforzi di Eva perché Ilse fosse trattata con dignità e rispetto, Bormann fece il possibile per complicarle la vita. Bloccava e ritardava i pagamenti che le spettavano, cercò invano di confiscare la sua casa di Monaco e tirò sul prezzo dei mobili dell’appartamento di Berlino, chiedendole il doppio del loro valore. Ilse poteva anche essere al riparo da attacchi ben peggiori di questi, ma era pur sempre un’esule interna, una paria dal futuro incerto, con un destino che non le apparteneva più. Anche il marito era alla mercé di forze che sfuggivano al suo controllo. Aveva sottoposto il proprio caso a una serie di dignitari, incluso il duca di Hamilton, ma le sue richieste erano cadute nel vuoto. Il governo inglese non aveva alcuna intenzione di trovare un accordo con Hitler. Hess aveva commesso un grave errore di valutazione. Come altri appartenenti all’élite nazista credeva che l’Inghilterra fosse governata dall’aristocrazia, ed era convinto che garantirsi l’appoggio di qualche lord importante significasse ottenere quello che chiedeva. Demoralizzato e abbattuto, Hess tentò il suicidio. Verso la mezzanotte del 15 giugno 1941 distrasse le guardie chiedendo un po’ di whisky per dormire. Con indosso la divisa della Luftwaffe e gli stivali di pelle lucida scavalcò la finestra della sua stanza, avanzò lentamente sul ballatoio e si gettò oltre la balaustra. Atterrò sette metri e mezzo più giù e nell’impatto si spezzò una gamba. A luglio, dopo averlo tenuto in osservazione per diciotto giorni, uno dei suoi psichiatri scrisse che Hess era convinto che «al suo cibo e alle sue medicine» venisse aggiunto «qualche tipo di veleno» che gli comprometteva «il cervello e i nervi» allo scopo di «farlo impazzire». Sulla base delle sue «bizzarre manie di persecuzione e della sua ossessione per la tortura», lo psichiatra concludeva che Hess era affetto da una forma di paranoia.4 Ilse non aveva idea di quello che stava passando il marito. Quell’estate apparve all’orizzonte un barlume di speranza, quando Hitler le concesse di scrivere a Hess, sebbene il gesto non fosse privo di secondi fini. Il comando nazista era ansioso di trovare un modo per monitorare la situazione di Hess e Schellenberg fu incaricato di gestire la corrispondenza: «Dovetti organizzare delle misure per fare in modo che lui e sua moglie si scrivessero. Dopo un po’ gli inglesi gli permisero di scrivere delle lettere, entro certi limiti, passando tramite la Croce rossa internazionale in Svizzera, e toccò a me supervisionare l’accordo».5 Ma dal momento che le lettere di Ilse impiegarono otto mesi per arrivare al marito, sarebbe trascorso molto tempo prima di poter ottenere una risposta. La fase finale delle ritorsioni seguite all’azione di Hess fu messa in atto da Heydrich all’inizio di giugno del 1941 e prese di mira coloro che divulgavano «dottrine arcane e la cosiddetta scienza dell’occulto». Il marito di Lina gioiva nel portare a termine il compito. La simpatia di Himmler per i mistici e i profeti lo irritava; Heydrich li considerava stupidi in malafede che esercitavano un’influenza negativa sulla società. Sulla sua lista c’erano «astrologi, occultisti, spiritualisti, sostenitori delle teorie delle radiazioni occulte, indovini» e «guaritori».6 La Gestapo ne arrestò a centinaia e sequestrò migliaia di libri, riviste e opuscoli. Goebbels, che condivideva le misure restrittive, non poté impedirsi di fare sarcasmo, e nel diario osservò che «neanche un indovino aveva previsto che sarebbe stato arrestato. Che brutta pubblicità per la loro professione!».7 La maggior parte degli arrestati tuttavia fu liberata dopo una breve permanenza nei campi di concentramento, dove subirono percosse e umiliazioni; l’Aktion Hess, come venne denominata, non riuscì comunque a minare la popolarità dei professionisti dell’occulto: si stima che nel 1943 a Berlino ci fossero tremila cartomanti. Per quanto Heydrich si divertisse a dare la caccia agli astrologi, all’epoca la sua preoccupazione principale era prepararsi per l’invasione dell’Unione Sovietica. Il 17 giugno radunò i leader di quattro unità operative degli Einsatzgruppen e diede istruzioni inequivocabili per l’imminente campagna: avrebbero dovuto agire con una «durezza senza precedenti»; tutti gli ebrei al servizio del Partito comunista dovevano essere «eliminati», oltre a tutti gli altri funzionari sovietici e agli «elementi radicali».8 Gli ordini di Heydrich erano coerenti con il compito – affidatogli da Göring il 31 luglio – di trovare «una soluzione finale alla questione ebraica nella sfera d’influenza tedesca in Europa». Alla fine del 1941 gli Einsatzgruppen di Heydrich avevano trucidato tra le cinquecento e le ottocentomila persone, la maggior parte delle quali ebree. Le uccisioni venivano perpetrate con armi da fuoco e oggetti contundenti, con conseguenze emotive devastanti anche per gli stessi assassini, tanto che moltissimi di loro impazzirono o si suicidarono. Heydrich e il suo capo allora cominciarono a considerare un approccio meno diretto agli omicidi di massa e si rivolsero al programma di eutanasia in cerca di ispirazione. Il 20 luglio Heydrich – senza l’autorizzazione di Himmler – si unì nuovamente alla squadriglia di caccia che stava operando in Unione Sovietica. Due giorni più tardi, poco dopo le quattordici, il suo aereo venne colpito da un colpo di artiglieria; con il motore danneggiato Heydrich si vide costretto a un atterraggio di emergenza dietro le linee nemiche. Fu ritrovato solo dopo quarantotto ore dai membri di uno degli Einsatzgruppen, che in quello stesso giorno avevano già ucciso quarantacinque ebrei e trenta altri ostaggi. Lina ricordava che il marito tornò a casa «sporco, con la barba lunga e sconvolto».9 In seguito a quest’avventura Heydrich fu costretto a stare a casa e non prese più parte alla campagna, che stava danneggiando gravemente le truppe sovietiche, aveva consentito ai nazisti di impossessarsi degli Stati baltici e della Bielorussia e di spingersi verso l’Ucraina. Entro l’autunno i tedeschi avevano catturato oltre tre milioni di soldati sovietici e raggiunto la periferia di Mosca, prima di arrestarsi. Nel bel mezzo di tutto questo Heydrich riusciva a trovare il tempo per la scherma, un’ora ogni mattina e di più nei fine settimana. All’inizio dell’anno era diventato presidente della Federazione internazionale di scherma, dopo aver superato in abilità i suoi rivali. A giugno e luglio, mentre si trovava in Unione Sovietica con Himmler, si allenava per il Campionato nazionale tedesco; arrivò quinto. Nel mese di settembre si preparava a una gara di sciabola con l’Ungheria, che deteneva il titolo di campione. Vinse tre incontri. Naturalmente Lina risentiva moltissimo di questi continui impegni: «Per me fu terribile. Non era mai, mai a casa».10 Anche quando suo marito si trovava a Berlino, la sera continuava a uscire e a frequentare bar e locali. Una volta Heydrich costrinse Schellenberg – felicemente sposato – a stare sveglio fino alle cinque del mattino per saltare da un posto all’altro, intrattenendo «stupide conversazioni» con il personale dei bar, «dove lo conoscevano e lo temevano tutti, pur fingendo di essergli devoti».11 A marzo del 1941 Margarete viaggiò per due settimane in Francia e in Belgio per visitare le strutture della Croce rossa tedesca. Accompagnata dalla cognata di Emmy, Margarete macinò molti chilometri e fece visita a residenze per soldati – la più grande delle quali si trovava ad Amiens –, un gran numero di ospedali da campo e numerose stazioni ferroviarie adibite ad accogliere i feriti in arrivo. Lungo il tragitto riuscì anche a visitare alcune attrazioni turistiche, i castelli della Loira, la cattedrale di Chartres, la reggia di Versailles, e a fare un giorno di compere a Parigi, dove soggiornò all’hotel Ritz e i leader locali delle SS le offrirono da mangiare e da bere. Nel complesso Margarete fu «davvero contenta» del viaggio, che trovò «molto sereno».12 Poco tempo dopo, il 22 luglio 1941, Himmler portò lei e Gudrun a vedere il vasto giardino di erbe officinali e spezie per la medicina omeopatica che aveva fatto costruire a Dachau. Nel 1938 erano cominciati i lavori per bonificare duecento acri di terreno paludoso nei pressi del campo. Il terreno del giardino, un misto di terra e sabbia, era stato preparato da un migliaio di prigionieri stremati e ridotti in schiavitù. Usando soltanto concime naturale e organico – i fertilizzanti e i pesticidi erano vietati da Himmler – il giardino, che i prigionieri del campo chiamavano “piantagione”, produceva timo, basilico, dragoncello, rosmarino, menta piperita, carvi, maggiorana, salvia e gladiolo per il contenuto di vitamina C. Il 23 gennaio 1939 la piantagione fu posta sotto la direzione dell’Istituto di ricerca per la nutrizione e l’approvvigionamento alimentare (uno dei tanti business delle SS), che doveva rifornire di erbe medicinali i mercati domestici ed esteri, eseguire ricerche sperimentali e curare la manutenzione dei laboratori, vendere il bestiame, il miele prodotto dalle colonie di api, la frutta e la verdura – patate, porri, pomodori, cetrioli, navoni e cipolle – provenienti dalle serre della piantagione. In seguito alla visita Gudrun scrisse entusiasta al padre e gli disse che aveva visto «la grande serra, il mulino, le api» e «come sono processate le erbe», e aveva trovato tutto «splendido» e «divertente».13 Per Margarete la piantagione era il risultato finale dei progetti che lei e il marito avevano vagheggiato sin dall’inizio della loro relazione, quando erano ancora l’infermiera appassionata di omeopatia e lo studente di agraria che sognavano il loro giardinetto di piante officinali. Vedere il sogno realizzato su così vasta scala dovette essere molto gratificante. Margarete non si fermò mai a riflettere su quanto costasse in termini di sofferenza umana: il ritmo massacrante e le infinite ore di lavoro, le misere razioni di cibo, il freddo inclemente e le epidemie di malattie mortali. Il piacere di quella giornata fu probabilmente condizionato dagli strascichi di un incidente domestico avvenuto un mese prima: «La caldaia è esplosa mentre ero seduta sul bordo della vasca, e la porcellana mi si è sbriciolata addosso. Quella sera sono dovuta andare a farmi ricucire all’ospedale di Tegernsee. Sanguinavo come un maiale e hanno dovuto fasciarmi in sei punti; ci hanno messo due ore per sistemare il braccio destro e sul lato sinistro dell’addome ho una grossa ferita, che si è infettata e spesso mi fa un male terribile». Il 19 luglio il professor Gebhardt le telefonò per sapere come stava e si disse soddisfatto delle sue condizioni; alcune settimane dopo le scrisse «una lettera molto rasserenante». Per allora Margarete stava «molto meglio» e pensava che le cose stessero «lentamente tornando alla normalità».14 Questo tuttavia significava avere di nuovo a che fare con il figliastro ingestibile – «succedono di continuo cose orribili» – e con le preoccupazioni riguardo a Gudrun, che a marzo aveva subìto un intervento di appendicite, che andava «male a scuola»15 e che sentiva moltissimo la mancanza del padre. Alla festa di compleanno che le venne organizzata, con nove ospiti e molti regali, Himmler non riuscì a presentarsi. In compenso le mandò delle foto di lui che giocava a tennis a Berlino. Leggendo la corrispondenza che lui e Margarete si scambiarono quell’autunno è difficile trovare la prova che il loro matrimonio fosse irrimediabilmente finito. In una lettera Margarete diceva al suo «bravo marito» che lei e Gudrun lo stavano aspettando, «ansiose di rivederti»;16 per il compleanno di Margarete Himmler le inviò caffè e rose. Eppure, allo stesso tempo, la sua amante Hedwig era incinta del loro primo figlio e lui era impegnato a progettare un futuro con lei. Hedwig descrisse questi progetti in una lettera alla sorella: «Appena la guerra sarà finita vuole comprare una casa in campagna, su un terreno» che si poteva «sfruttare» piantando «un piccolo vivaio», «allevando animali» o «coltivando bacche». Per quanto l’idea fosse suggestiva, Hedwig era una creatura urbana e nutriva dei dubbi: «L’idea non è male. Non ho ancora deciso. Sicuramente sarebbe un cambiamento enorme, e dovrei imparare un sacco di cose».17 Il 13 febbraio 1942, alla clinica Hohenlychen, Hedwig diede alla luce un neonato che chiamarono Helge. Il professor Gebhardt assistette al parto e divenne il padrino del piccolo. Trovare a Hedwig una casa in cui crescere il bambino era diventata un’urgenza, soprattutto considerato che i suoi genitori l’avevano rinnegata. Himmler allora le comprò un accogliente chalet nei pressi di un paesino circondato da laghi in una foresta del Meclemburgo, a un’ottantina di chilometri da Berlino. La nuova casa di Hedwig si trovava a una decina di chilometri dal campo di concentramento di Ravensbrück, la prima struttura delle SS interamente destinata alle donne. Aperta a maggio del 1939, ad agosto del 1940 contava tremiladuecento detenute che dormivano in casermoni affollati, con una cinquantina di guardie, anche loro donne, a sorvegliarle e recinzioni elettrificate per scoraggiare eventuali tentativi di fuga. Nella direzione opposta, più o meno alla stessa distanza dalla casa di Hedwig, c’era la clinica Hohenlychen. Quel Natale il professor Gebhardt scrisse alla donna una lettera dai toni servili: «Quando ripenso alla nascita del tuo figlioletto, del mio figlioccio, e al senso di responsabilità e alla gioia che abbiamo provato in quel momento, mi mancano le parole […]. Posso solo assicurarti che mi adopererò per essere un fedelissimo seguace di Himmler».18 Margarete sapeva del figlio illegittimo di suo marito? Qualche settimana dopo la nascita Himmler trascorse tre giorni al lago Tegernsee. Non sappiamo se glielo disse, ma Margarete dovette intuirlo: «A volte non mi capacito di quello che devo sopportare ogni giorno. Povere noi donne». Un’altra annotazione sul diario suona ancora più esplicita: «Circondata da bugie e tradimento. Non ce la faccio più […]. Sono sempre sola».19 Una sera di metà settembre Lina andò al cinema con Irene, la moglie di Schellenberg, e quando tornò a casa trovò quest’ultimo e suo marito intenti a brindare con lo champagne per festeggiare la nuova nomina di Heydrich a protettore di Boemia e Moravia, la regione dell’ex Cecoslovacchia sotto il controllo nazista. L’industria degli armamenti del Protettorato era essenziale per lo sforzo bellico, ma la produzione era in fase di stallo a causa delle azioni di sabotaggio degli operai. La missione di Heydrich consisteva nel rimettere in moto le catene di montaggio, cosa che riuscì a fare con un metodo che prevedeva il bastone e la carota; arrestò e fece giustiziare centinaia di sovversivi, veri o presunti, e al contempo incrementò le razioni di cibo e di birra per i lavoratori con le mansioni più importanti. Sebbene fosse un momento decisivo nella carriera del marito, Lina non era particolarmente felice quando Heydrich partì, il 27 settembre 1941, soprattutto perché aveva saputo di essere di nuovo incinta. Il suo umore tuttavia migliorò quando il marito decise che lei e i bambini potevano raggiungerlo a Praga. Tre mesi dopo Lina arrivò nella nuova casa, l’imponente Castello di Praga, e si sentì sopraffatta dalla maestosità: «Sono a una finestra del castello e guardo dall’alto la città splendente e dorata. Mi sento travolta da sentimenti sublimi. Sento di non essere più un essere umano ordinario. Sono una principessa nel regno di una fiaba».20 La sua euforia iniziale però si dissolse in fretta. Il castello ricordava troppo un museo, e Lina trovava opprimente il peso della Storia. Desiderava uno spazio che potesse sentire suo, da vivere insieme alla famiglia. Heydrich nel frattempo andava e veniva da Berlino due o tre volte alla settimana. Una delle sue soste a Praga fu in occasione della tristemente celebre conferenza di Wannsee, da lui presieduta, durante la quale i rappresentanti di vari governi e dipartimenti di stato furono informati della «soluzione finale». Si discussero le questioni logistiche e la tabella di marcia dell’eliminazione sistematica degli ebrei dall’Europa. Il desiderio di Lina di trovare una sistemazione più adatta fu infine esaudito e la famiglia si trasferì in una residenza neoclassica sottratta al proprietario ebreo dal predecessore di Heydrich. Situata a una ventina di chilometri da Praga, ad appena mezz’ora di macchina, la casa era dotata di trenta stanze ristrutturate e ridecorate, riscaldamento centralizzato, sette ettari di giardino e centoventicinque di boschi. La piscina fu costruita da forza lavoro proveniente da un campo di concentramento. Quando la famiglia vi si trasferì Lina si sentì felice come non le capitava dai primi tempi del matrimonio. Se non si trovava a Berlino, Heydrich tornava a casa ogni sera a un’ora decente per stare con lei e giocare con i bambini. Nei fine settimana la coppia andava a cavallo; i bambini avevano dei pony; i più grandi prendevano lezioni di scherma. Lina cominciò a collezionare antiche porcellane tedesche. Certe sere aiutava il marito a preparare i discorsi, dando consigli e facendo critiche severe. C’erano anche serate dedicate alla musica. La coppia aveva spesso ospiti, come Canaris, il vecchio amico di Heydrich, e la moglie Erika. Lina avrebbe ricordato la loro presenza con affetto: «erano giorni felici». In altre occasioni a Heydrich «piaceva poter rinunciare alla formalità […] si stendeva sul divano e leggeva, spesso fino a tarda ora».21 I due erano anche al centro della vita pubblica. Il 15 maggio 1942 Heydrich inaugurò il primo «festival culturale» della città, con opere di Bruckner, Mozart e Dvorak eseguite dall’Orchestra filarmonica tedesca di Praga. Nelle note al programma Heydrich dichiarava che «la musica» era «l’eterna manifestazione delle radici culturali della razza tedesca».22

Il 21 febbraio 1942 uno psichiatra inglese scrisse che Hess mostrava «una chiara perdita di memoria».23 Il 27 maggio il maggiore Foley – un ufficiale dell’intelligence militare che conosceva Hess – osservò sintomi simili e si domandava se fossero «veri o simulati». Né Foley né le infermiere lo giudicavano «un attore talmente consumato da saper fingere così bene di aver dimenticato cose che avrebbero dovuto restargli impresse per sempre nella memoria».24 L’amnesia di Hess era un fenomeno transitorio; la sua memoria andava e veniva, la capacità di ricordare gli eventi scompariva e riappariva da un giorno all’altro. Nella sua prima lettera a Ilse, datata 20 maggio 1942, parlava della guerra nazista al cancro, rifletteva sul fatto che il figlio Wolf stava per cominciare la scuola – «è quasi impossibile immaginarlo studente, alle prese per la prima volta con le cose serie della vita» – e faceva un riferimento chiarissimo ai momenti prima del volo, ricordando Wolf come «il bimbetto dagli occhi ingenui seduto nella sua cameretta l’ultima volta che l’ho visto».25 Hess era stato trasferito in un ex ospedale per malattie mentali nei pressi di Abergavenny, in Galles, usato per i soldati feriti. Un’intera ala della struttura era riservata a lui, tenuto sotto sorveglianza da trenta uomini. Leggeva molto Goethe, scribacchiava appunti per un’autobiografia e talvolta poteva fare una passeggiata dopo pranzo. Trovava «i colori del paesaggio […] insoliti e bellissimi» e amava osservare il cambio delle stagioni, quando «la terra rossa che giace tra i prati e i campi verdi» diventa «giallognola […] dopo essere maturata».26 A dispetto di questa routine apparentemente tranquilla, Hess restava convinto che gli inglesi stessero cercando di avvelenarlo. Teneva un registro segreto di quello che considerava un tentativo sistematico da parte dei carcerieri di rovinargli la digestione e impedire al suo intestino di funzionare, allo scopo di «distruggergli la memoria»;27 era convinto che aggiungessero acido solforico al cibo, talmente salato da fargli venire un’infezione ai reni, e veleno all’acqua da bere, che gli alterava la capacità di urinare. Era tormentato dall’insonnia e ipersensibile al rumore. Eppure, nelle lettere a Ilse Hess non drammatizzava mai, né si lamentava della situazione. Il suo tono era sempre misurato e riflessivo, persino filosofico: «Il mondo è sottosopra in ogni suo aspetto. Ma un giorno verrà rimesso in ordine – e anche noi saremo riuniti».28

Durante il 1942 Magda fece del suo meglio per essere all’altezza dell’immagine di First Lady del Reich accettando un gran numero di impegni pubblici. Visitò un ospedale da campo in cui «il primario non era in grado di gestire i feriti, e il loro morale è bassissimo», e tenne «un discorso a un migliaio di donne berlinesi il giorno della Festa della mamma».29 Ci fu anche il seguito del filmino domestico girato due anni prima per il compleanno di Goebbels. La versione del 1942 aveva un approccio molto più professionale ed era stata pianificata con attenzione; includeva una scena in classe, momenti divertenti, i bambini che giocavano e indossavano maschere di Topolino e una sequenza che mostrava l’eroe di guerra Rommel – che stava dando filo da torcere agli inglesi in Nord Africa – mentre andava a trovare la famiglia a casa. A differenza del precedente, il film era pura propaganda. Come forse era inevitabile la tregua fra Magda e il marito non durò; lente ma inesorabili, le crepe ricomparirono. Magda era sulla quarantina e i persistenti problemi di salute avevano lasciato il segno sul suo aspetto; Goebbels non la desiderava più come in passato. Le era affezionato, rispettava la sua intelligenza e la sua forza di carattere e probabilmente la amava nel suo tipico modo egoista e possessivo, ma la scintilla erotica si era spenta, e ricominciò a tradirla. Come Magda ammetteva stancamente con la sua confidente Ello Quandt, «sto invecchiando. Spesso sono esausta e non posso cambiare le cose. Quelle ragazze hanno vent’anni meno di me e non hanno messo al mondo sette figli».30 Goebbels cominciò a frequentare la sua segretaria. Una sera di febbraio Magda la vide arrampicarsi dal giardino nello studio del marito. Furiosa, lo minacciò di chiedere il divorzio e andò dal suo avvocato. Goebbels però riuscì a farla ragionare. Non si ripeté la dura battaglia che c’era stata per Lída Baarová; nessuno dei due ne aveva più l’energia, e Hitler aveva chiarito brutalmente quali sarebbero state le conseguenze se avessero divorziato. Magda perciò fece marcia indietro e non protestava quando la segretaria andava a mangiare da loro o partecipava alle feste private. Alla fine, la ragazza scaricò Goebbels perché temeva che il suo fidanzato scoprisse la relazione. Di fronte all’impossibilità di impedire al marito di andare a letto con chiunque, Magda si divertiva a giocare qualche tiro alle sue amanti. Una di loro utilizzava una chiave speciale per entrare in un corridoio la cui porta di solito era chiusa, perciò Magda fece cambiare la serratura. A un’altra fece uno scherzo telefonico, informandola che Goebbels le avrebbe mandato un’auto ad attenderla nel bosco di Grunewald alle ventitré. La lasciò aspettare un’ora prima di informare Goebbels. Il 27 maggio 1942 l’intera famiglia Heydrich si stava godendo una mattinata insolitamente rilassante; la sera prima Lina e il marito erano stati ospiti d’onore di un evento speciale tenutosi al Palazzo Wallenstein nell’ambito del Festival culturale di Praga. Il programma della serata, oltre all’opera, prevedeva un concerto per violino scritto dal defunto padre di Heydrich ed eseguito da un quartetto di suoi ex studenti di Halle. Dopodiché c’era stato un ricevimento per ospiti e musicisti all’elegante hotel Avalon. Lina ricordava che Heydrich era nel suo elemento naturale, «un maestro di buone maniere, divertente, interessato a tutti, un conversatore affascinante».31 Dopo una colazione, sul tardi, Heydrich fece una passeggiata con Lina e giocò con i bambini. Alle dieci salì sulla sua Mercedes verde scuro e l’autista delle SS partì per la capitale. A un incrocio nei dintorni di Praga l’auto di Heydrich cadde nell’imboscata di due membri della Resistenza cecoslovacca paracadutati dalle forze britanniche alcuni mesi prima. Il fucile di uno dei due si inceppò; l’altro lanciò una granata che esplose sul sedile posteriore dell’auto, ferendo gravemente Heydrich alla vita. Sanguinando copiosamente, Heydrich riuscì a sparare un paio di colpi di pistola agli attentatori in fuga, per poi svenire ed essere portato d’urgenza in ospedale nel furgoncino di un fornaio. Due medici cecoslovacchi estrassero immediatamente un frammento di metallo dalla ferita nella schiena e gli fecero una radiografia, che rivelò fori di proiettile, danni al pancreas e segni di un corpo estraneo – forse una scheggia della granata o un pezzo del rivestimento del sedile dell’auto – nell’area della milza, che avrebbe richiesto un altro intervento. Heydrich voleva che se ne occupasse un chirurgo tedesco, perciò i medici cecoslovacchi rintracciarono un collega adatto che si mise al lavoro verso mezzogiorno. Un frammento d’acciaio di otto centimetri per otto venne estratto dalla milza, ma nell’addome rimasero intrappolati piccoli pezzi di pelle e di crine di cavallo. Tuttavia, sembrava che l’operazione fosse andata bene, perciò lo ricucirono e lo fecero riposare. Lina arrivò poco dopo. Hitler chiamò l’ospedale alle dodici e mezzo. Il professor Gebhardt prese un volo e arrivò quella sera. La mattina del 31 maggio Heydrich ricevette la visita di Himmler. Lina portava al marito pasti fatti in casa e lui sembrava in via di guarigione. Il 2 giugno, tuttavia, gli venne la febbre alta. A quel punto uno dei medici personali di Hitler – arrivato sul posto per dare un parere – propose di combattere l’infezione con l’utilizzo di un sulfamidico. Il professor Gebhardt rifiutò il suggerimento e il 3 giugno telefonò a Himmler per comunicargli che la febbre si era abbassata e che le ferite stavano migliorando. Dopo pranzo, però, Heydrich perse conoscenza. Lina si precipitò al suo capezzale. Alle prime ore del 4 giugno si riprese e nel delirio pronunciò le sue ultime parole, rivolte a Lina: «Torna a Fehmarn».32 Disperata e sopraffatta Lina dovette prendere un sedativo. Al suo risveglio il marito era morto. Heydrich si spense alle quattro e mezzo, ucciso dalla setticemia. Quando Hitler lo venne a sapere non poté contenere la rabbia. Perché Heydrich aveva ignorato il protocollo? Perché andava in giro con il tettuccio dell’auto abbassato, senza guardie del corpo o una scorta delle SS? Tutti i leader nazisti avevano auto antiproiettile e squadre di protezione. Come aveva potuto essere così irresponsabile? Riflettendo sull’atteggiamento incauto del marito, Lina era convinta che Heydrich covasse un desiderio di morte: «Mi sembrava che avesse accettato da tanto l’idea di morire giovane […]. So che sembra banale, ma credo che volesse sacrificarsi».33 Per due giorni la sua bara rimase esposta nel cortile del Castello di Praga. Decine di migliaia di tedeschi e cecoslovacchi gli sfilarono davanti per dare un ultimo saluto al loro “Protettore”; di certo alcuni di loro volevano semplicemente accertarsi che fosse morto davvero. Il 9 giugno la bara venne trasportata in treno a Berlino per una cerimonia che cominciò nella Sala dei mosaici della Cancelleria del Reich, con Il crepuscolo degli dèi di Wagner in sottofondo. Il primo a parlare fu Himmler, che lodò la ferma determinazione e l’inflessibile dedizione del collega: «So quanto costava a quest’uomo mostrarsi così duro e rigido nonostante il suo buon cuore, e prendere decisioni difficili per agire in accordo con la legge delle SS».34 Poi fu la volta di Hitler, che parlò brevemente, visibilmente commosso; Heydrich era «uno dei nazionalsocialisti migliori» e «uno dei principali oppositori di tutti i nemici dell’impero», «morto da martire per preservare e proteggere il Reich».35 Finita l’orazione Hitler andò dai due figli maschi di Heydrich – in prima fila accanto al professor Gebhardt – e diede loro un buffetto sulla guancia. Il feretro fu poi portato via sulle note dell’Eroica di Beethoven, e una carrozza trainata da sei cavalli neri lo trasportò al Cimitero degli invalidi, dove la bara venne avvolta da una bandiera con la svastica; poi ci fu un saluto con tre colpi di cannone e tutti gli alti ufficiali delle SS e i capi della polizia si raccolsero solennemente davanti al feretro per un omaggio finale. Lina non era nelle condizioni di partecipare al funerale. Era devastata e doveva pensare alla salute della bambina che portava in grembo. Il 23 luglio diede alla luce la seconda figlia femmina, Marte. Diciotto villaggi cecoslovacchi vennero ribattezzati in onore di Heydrich, oltre a dozzine di strade della capitale. Un anno dopo fu eretto un busto di bronzo sul luogo dell’attentato. La rappresaglia condotta dal successore di Heydrich, Kurt Daluege – un ostinato, rozzo e violento ufficiale delle SS – fu terribile. La squadra degli attentatori venne accerchiata e alla fine tutti furono uccisi nella cripta di una chiesa al centro della capitale; 3188 civili cecoslovacchi furono arrestati, 1327 dei quali condannati a morte; altri quattromila rinchiusi nei campi di concentramento. L’atrocità più scioccante di tutte avvenne nel villaggio di Lidice, dove tutti i cittadini maschi adulti furono giustiziati, i bambini portati negli orfanotrofi delle SS e le donne imprigionate a Ravensbrück. Alla clinica Hohenlychen, non lontano dalla destinazione finale delle donne di Lidice, anche il professor Gebhardt affrontò le conseguenze della morte di Heydrich; poiché si era rifiutato di usare il sulfamidico per combattere l’infezione che aveva ucciso il leader nazista, temeva di essere incolpato della sua morte. Per dimostrare che il suo giudizio era corretto, a partire da fine luglio Gebhardt organizzò a Ravensbrück una serie di esperimenti. Le prime vittime furono alcuni prigionieri del campo di concentramento di Sachsenhausen, ai quali vennero fratturate le gambe per poi infettarli con batteri molto aggressivi; a metà di loro venne somministrato il sulfamidico, all’altra metà niente. I risultati non erano univoci, perciò Gebhardt selezionò una settantina di donne polacche da Ravensbrück – note come “i conigli” – e le sottopose a un trattamento terribile: praticò loro delle larghe incisioni nelle gambe, e dentro le ferite aperte inserì pezzetti sporchi di legno e vetro, e in un caso un ago chirurgico ricurvo. Il capo di Margarete alla Croce rossa tedesca, Ernst-Robert Grawitz, arrivò a suggerire di sparare alle donne per riprodurre le ferite da scontro a fuoco, ma Gebhardt decise di attenersi alle gravi ferite ai tessuti. Alla fine, ottenne quello che voleva; cinque delle donne cui era stato somministrato il sulfamidico morirono, confermando la convinzione che il farmaco fosse inefficace. Gebhardt presentò le proprie scoperte a oltre duecento medici militari in occasione del Terzo congresso operativo dei consulenti sanitari tenutosi dal 24 al 26 maggio 1943, durante il quale il suo assistente pronunciò un intervento dal titolo “Esperimenti speciali con i sulfamidici”.

Tra luglio e agosto del 1942 Margarete trascorse quattro settimane in Lettonia, nella cittadina di Mitau, a una quarantina di chilometri da Riga, per l’anniversario della liberazione del paese dai sovietici. Sebbene avesse trovato il viaggio «interessante e istruttivo»36 e fosse riuscita a visitare anche un ospedale da campo gestito dalle SS, Margarete contrasse il vaiolo e rimase a letto per gran parte del tempo. Tornata al lago Tegernsee e dopo essere guarita, Margarete ricevette pacchi dono spediti da Himmler contenenti provviste e prodotti domestici che scarseggiavano sempre di più e che ormai erano irreperibili per la maggioranza della popolazione: fazzoletti, carta oleata, carta igienica, due piccole lampade, due strofinacci da cucina, un vassoio e una scodella di legno, un sacchetto da viaggio per la biancheria, polvere abrasiva per le pulizie e un vecchio spazzolino da denti per lucidare le scarpe. Le spedì anche tanto di quel caviale che Margarete non sapeva più che cosa farsene: avrebbe dovuto regalarlo a qualcuno? A settembre tornò a Berlino per riprendere le mansioni alla Croce rossa tedesca, il che giovò al suo morale: «Se non avessi qualcosa da fare fuori casa non potrei sopravvivere alla guerra».37 Quel mese scrisse al marito riguardo a Gudrun e alle sue difficoltà nel farsi degli amici tra i compagni di scuola. La sera Margarete trascorreva le lunghe ore solitarie a cucire, leggere e preparare conserve.

Ogni anno a Natale Emmy organizzava due feste: una alla residenza ufficiale dei Göring a Berlino, dove fra i trecento e i quattrocento ospiti si riunivano sotto le decorazioni variopinte appese ai lampadari, chiacchieravano davanti a pareti addobbate con rami di pino e ascoltavano gli amici di Emmy dell’Opera di Berlino intonare canti natalizi. L’altra festa si teneva a Carinhall, un’occasione più privata pensata per la famiglia – compresi il figlio di Carin, Thomas, e sua sorella – e lo staff. Un famoso attore della Staatsoper di Berlino si travestiva da Babbo Natale, c’era un balletto, e la sera della Vigilia un organista suonava Stille Nacht prima che tutti aprissero i regali. Quell’anno le feste furono incupite dal disastro in corso a Stalingrado. Le offensive tedesche in primavera e in estate erano riuscite a spingere gli eserciti in profondità dentro l’Unione Sovietica, e in autunno era cominciata un’incursione per impadronirsi della città industriale sul Volga. L’intera Sesta armata della Wehrmacht venne attirata in un ginepraio urbano, e si batté disperatamente per ogni centimetro della città distrutta, ridotta in macerie dalla Luftwaffe di Göring. I sovietici tuttavia riuscirono a contrattaccare respingendo i fianchi dell’esercito tedesco, sprovvisti di una difesa adeguata, e riuscirono a intrappolare la Sesta armata a Stalingrado. Nel frattempo, Göring aveva garantito a Hitler che i suoi aerei erano in grado di continuare ad approvvigionare le truppe assediate con ciò di cui avevano bisogno per sopravvivere e combattere durante la parte più dura dell’inverno. La missione di Göring tuttavia era destinata a fallire sin dall’inizio. Sarebbero stati necessari trecento aerei al giorno per sopperire ai bisogni dei soldati, ma il meteo rese impossibile garantire tanti voli; a causa delle temperature rigide gli aerei non potevano avviare i motori, le ali erano ricoperte di ghiaccio, la visibilità pari a zero e per i velivoli seppelliti dalle intense nevicate era quasi impossibile decollare. Come se non bastasse, i campi d’aviazione erano a portata dei cannoni e degli aerei sovietici. Nel tentativo di approvvigionare le truppe furono persi 488 aerei da trasporto e uccisi mille membri degli equipaggi. Di conseguenza l’esercito tedesco, accerchiato, fu ridotto alla fame. Alla fine, il comandante disobbedì all’ordine di Hitler di non arrendersi, e il 31 gennaio 1943 capitolò. Era la prima grande sconfitta per Hitler, dalla quale non si sarebbe mai più ripreso; lo slancio che lo aveva portato fin lì si era esaurito. 12 Sotto pressione

Il 18 febbraio 1943 Magda si trovava tra la folla riunita a Berlino per ascoltare il discorso – trasmesso anche dalla radio – con cui suo marito esortava alla guerra totale, alla mobilitazione integrale di ogni aspetto della società tedesca in vista della lotta titanica che la aspettava. Qualunque cosa non fosse utile, qualsiasi attività economica o sociale che non contribuisse direttamente allo sforzo bellico o impiegasse impropriamente le risorse doveva essere interrotta. Goebbels diresse alle donne parte della sua invettiva e le sollecitò a «dedicare tutte le energie alla guerra, e a sostituire, dove possibile, gli uomini sul posto di lavoro, liberandoli per l’azione!».1 In quel momento oltre il 50 per cento della forza lavoro tedesca era femminile, ma Goebbels e gli altri leader erano impazienti di massimizzare qualsiasi potenziale inutilizzato. Per le donne tra i 17 e i 45 anni fu introdotto il lavoro obbligatorio, anche se la campagna fu intralciata dalle eccezioni concesse per problemi di salute o situazioni familiari difficili. Alla fine di giugno 3,1 milioni di donne si erano registrate agli uffici per l’impiego, ma soltanto 1 235 000 erano idonee a lavorare, e la metà solo con orari ridotti. L’ammanco fu colmato con l’importazione di centinaia di migliaia di lavoratori dall’Est Europa, molti dei quali erano donne, che dovettero sopportare condizioni di vita indescrivibili e orari disumani. Ispirata dalle parole del marito, Magda era decisa a dare il suo contributo: Goebbels osservò che era «assolutamente intransigente e radicale sulla questione della guerra totale».2 Magda si trovò un posto in uno stabilimento della zona – di proprietà della Telefunken, una grande compagnia di comunicazioni – e cominciò a spostarsi quotidianamente in tram. Le condizioni lavorative si rivelarono subito troppo impegnative per lei, che il 1º marzo era già tornata nella clinica di Dresda. Il 18 marzo Goebbels scrisse che la moglie stava «facendo molta fatica a riprendersi dalla malattia […], la guerra la deprime sia fisicamente che psicologicamente».3 Il suo pessimo umore era dovuto anche a quanto il marito le aveva confidato sulla situazione a est. Un anno prima Goebbels aveva incontrato Hitler e aveva ricevuto precise indicazioni circa la risposta alla questione ebraica: «Il Führer è stato più intransigente che mai. Gli ebrei devono essere eliminati dall’Europa, se necessario ricorrendo ai metodi più brutali».4 Dopo l’assassinio di Heydrich, Himmler aveva assunto il pieno controllo della Soluzione finale. Il 19 luglio 1942 aveva lanciato l’Aktion Reinhard – così nominata in onore del compagno caduto – per sterminare gli ebrei polacchi. I primi trasferimenti al campo di sterminio di Treblinka, dotato di camere a gas e forni crematori, cominciarono tre giorni dopo. Due altri luoghi destinati al massacro, Belzec e Sobibor, ben presto furono pronti e funzionanti. Nell’estate del 1943, quando l’Aktion Reinhard cominciava a esaurirsi, erano già stati uccisi due milioni di persone. Sebbene Hitler avesse ordinato che i leader a conoscenza dei campi non ne parlassero alle mogli, Goebbels condivise il fardello con Magda, la quale accennò a Ello Quandt delle sue rivelazioni: «È terribile quello che mi sta raccontando adesso. Non ce la faccio più. Non puoi neanche immaginare le cose tremende con cui mi tormenta». Ma aveva giurato di mantenere il segreto – «Non ho nessuno a cui aprire il mio cuore. Non posso parlare con nessuno» – e si impedì di svelare la terribile verità a Ello. Sconcertata da ciò che aveva saputo, Magda cominciò a nutrire dubbi su Hitler: «Non vuole più sentire ragioni […]. E non si può fare altro che assistere impotenti a quello che sta succedendo. Finirà tutto male: non può che essere così».5

Ilse era a Monaco quando la città subì il primo vero bombardamento aereo; la notte del 20 settembre 1942 sessantotto caccia bombardieri sganciarono il loro carico letale, uccidendo centoquaranta civili e ferendone oltre quattrocento. Ilse non aveva intenzione di abbandonare la città al primo segnale di pericolo. Tuttavia, all’inizio del 1943 non ne poteva più della casa di Monaco: era troppo costosa e troppo grande per lei e il figlio Wolf. Voleva convertirla in una casa di cura per soldati feriti. A marzo chiese l’autorizzazione a procedere, ma la risposta fu negativa; Himmler le scrisse spiegando che «la decisione del Führer riguardo alla sua casa è chiarissima. Deve tenerla […]. Può chiedere un rimborso per tutte le spese, in modo che il mantenimento della preziosa proprietà non gravi su di lei».6 Ilse tuttavia sapeva che si trattava di una falsa promessa. I soldi per la casa sarebbero dovuti passare attraverso Bormann, e lei era consapevole di quanto sarebbe stato complicato. Perciò raccolse le sue cose, chiuse la casa principale e si trasferì nell’appartamento vuoto dell’autista. La cospicua collezione di libri appartenenti al marito fu sistemata nel loro piccolo chalet a circa centocinquanta chilometri da Monaco. A marzo del 1943 la città fu sconvolta da un altro raid, ben peggiore del primo; rimasero uccisi o feriti quasi il doppio dei cittadini rispetto alla volta precedente, e in novemila restarono senza una casa. Hess in Galles era apparentemente ignaro della minaccia che affrontavano la moglie e il figlio. Nelle sue lettere a Ilse si concentrava sulla crescita di Wolf, e si diceva dispiaciuto di saperlo incline «alle scienze tecniche», mentre lui e Ilse avevano sempre sperato che diventasse «un grande poeta o musicista in grado di portare felicità al genere umano».7 In una sola occasione Hess parlò di come si sentiva riguardo a quello che dopo la sua partenza era accaduto ai collaboratori, agli amici e alla sua famiglia. Benché la loro persecuzione lo facesse infuriare, Hess si rendeva conto che Hitler stava «vivendo un momento di stress difficile da immaginare, che certamente causava stati d’animo intensi», duranti i quali si possono prendere «decisioni che in condizioni normali non si prenderebbero».8 Era felice di sapere che Ilse fosse rimasta fedele a Hitler, e che nulla era cambiato nella sua «relazione spirituale con l’uomo al cui destino siamo così profondamente legati da oltre vent’anni, nella gioia e nella sofferenza».9

Una delle numerose restrizioni imposte alla vita dei civili fu la messa al bando della produzione e della vendita di cosmetici. In quanto amante dei trucchi Eva non fu affatto contenta della misura, e dopo aver protestato fece in modo che le sue scorte non fossero interrotte. Lo stesso accadde per gli assorbenti, sempre più scarsi; a fine anno non se ne trovavano più e le donne normali dovevano ricorrere alle alternative fatte in casa. Non fu toccata nemmeno dal razionamento dei vestiti. Eva continuò a cambiarsi tre volte al giorno – indossava un abito per pranzo, uno per l’ora del tè e uno per la cena. Come Emmy e Magda, riusciva a procurarsi gli abiti da alcuni stilisti tedeschi e da case di moda francesi e italiane. Il razionamento applicato al resto della popolazione entrò in vigore nel 1939. Furono distribuiti buoni individuali da 150 punti che dovevano durare un anno, ridotti a 120 per sedici mesi nel 1942. Un cappotto invernale valeva 100 punti, una gonna 20, una camicia altri 20 e un vestito nuovo o un nuovo paio di calze 40 punti. Nonostante i privilegi di cui godeva, Eva soffriva per le assenze prolungate di Hitler. Il giorno di Natale del 1943, mentre Gerda trascorreva il pomeriggio con i figli, «a una festa di compleanno per le bambole nuove e per quelle vecchie ma rivestite di tutto punto, con tanto di cioccolata e torta», Eva era sola al Berghof. Gerda provava pena per lei, ma anche per Hitler, costretto a sopportare «telefonate e lettere piene del malumore di Eva, invece di essere rallegrato da un po’ di positività».10 Bormann era via quasi quanto il suo capo, ma lui e Gerda si scrivevano costantemente e le loro lettere testimoniano l’intenso legame che li univa. Bormann definiva la moglie «la migliore di tutte le donne che conosco o abbia mai conosciuto».11 Aspettando l’imminente ritorno del marito, Gerda scriveva: «sono felicissima al pensiero di averti di nuovo qui. Non vedo l’ora di stringerti fra le braccia e non lasciarti più andare via».12 Ma a dispetto di tutte le tenerezze, Bormann poteva ancora trattare Gerda come se fosse la sua serva. L’autista di Hitler raccontò che, in occasione di un grande ricevimento nella loro residenza di Obersalzberg, «verso le due di notte Bormann decise all’improvviso che doveva indossare una giacca da smoking» e «chiese una camicia in particolare, che aveva indossato alcuni giorni prima». Quando Gerda lo informò che la camicia era da lavare, il marito «si mise a gridare»13 ordinandole di correre alla loro casa di Monaco e portargli subito il tipo di camicia che gli serviva. Gerda tuttavia si considerava una figura sempre più importante nell’élite nazista. Il 12 aprile 1943 suo marito era diventato segretario del Führer; per arrivare a Hitler bisognava passare da lui, che adesso si sentiva abbastanza forte da prendere posizione contro il padre di Gerda, Walter Buch, ancora a capo del Tribunale di partito. Nell’autunno del 1943 Hitler mise Bormann a dirigere il sistema legale del partito, e il tribunale perse la sua indipendenza. Secondo Buch, Bormann aveva «il potere di decidere le sentenze» in anticipo. Buch «si oppose al cambiamento», ma le sue proteste caddero nel vuoto: Hitler «aveva smesso di ascoltarlo da anni».14 Gerda dimostrò una presunzione crescente diventando amica dell’amante di Himmler, Hedwig, e avviando con lei una corrispondenza. In una lettera commentava le foto di Himmler che Hedwig le aveva mandato: «Non l’ho mai visto così rilassato come in queste foto in cui è con suo figlio».15 Il fatto che Himmler fosse sposato non la disturbava. Per lei faceva parte dell’ordine naturale delle cose: il comportamento di Himmler non era altro che la sana espressione della necessità biologica di riprodursi, innata nel maschio. Applicava lo stesso atteggiamento aperto al proprio matrimonio. Bormann non nascose mai il fatto di correre dietro a qualunque donna incontrasse. Durante una gita in vaporetto uno dei camerieri di Hitler lo vide attraverso la porta socchiusa di una cabina, con i pantaloni abbassati attorno alle caviglie e gli stivali ancora indosso, intento a consumare un rapporto sessuale con una «signora importante».16 Fino al 1943 le infedeltà di Bormann furono soprattutto incontri occasionali o storie passeggere, che finivano non appena lui aveva trovato soddisfazione. L’attrice Manja Behrens, tuttavia, lo colpì profondamente. Nata nel 1914 a Dresda, Manja era la figlia di un avvocato e di un’attrice e per un po’ aveva studiato inglese a Praga. Fino al 1935 aveva lavorato come assistente in uno studio dentistico, prendendo al contempo lezioni private di recitazione prima del debutto sul palco. Poco tempo dopo comparve in due film: Stärkerals Paragraphen, nel ruolo di una donna innamorata dell’uomo che ha ucciso suo zio, tormentata da un dilemma quando un innocente viene arrestato e condannato a scontare dieci anni di carcere; e Susanne im Bade, un melodramma dalla forte carica erotica in cui un professore di arte immagina nuda una sua studentessa (impersonata da Manja), la dipinge, espone il quadro e causa uno scandalo. Prima che potesse girare altri film la carriera di Manja sul grande schermo si interruppe bruscamente quando la donna rifiutò le avances di Goebbels, dicendogli che avrebbe preferito fare le pulizie piuttosto che andare a letto con lui. Senza ruoli cinematografici Manja tornò al teatro, recitò in un paio di altre commedie e venne presentata a Bormann nel 1940, in occasione di una festa da ballo. Lui la trovò attraente ma non successe niente. Si incontrarono di nuovo in circostanze simili nell’ottobre del 1943. Bormann fu sopraffatto dal desiderio, e alcuni mesi dopo confessò a Gerda di essersi «perdutamente innamorato di Manja».17 Con la consueta cocciuta determinazione Bormann continuò ad assillare la donna finché non cedette. Manja si preoccupava per i sentimenti di Gerda, anche se non ne aveva motivo. Gerda fu felice di accoglierla in famiglia – «Sono molto affezionata a M. […] e anche i bambini le vogliono bene, tutti quanti» – ed era entusiasta all’idea di formare una famiglia poligamica: «Un anno M. partorisce un figlio, e l’anno dopo lo partorisco io, in modo che tu possa sempre avere una moglie disponibile. Poi vivremo tutti insieme in una casa sul lago e la moglie che non è incinta potrà venire a stare con te a Obersalzberg o a Berlino». Per formalizzare questo accordo Gerda propose di stilare un nuovo contratto matrimoniale che avrebbe concesso a Manja gli stessi suoi diritti, un’idea che avrebbe voluto vedere applicata su scala nazionale per incrementare il tasso di natalità: «Sarebbe bello se alla fine della guerra ci fosse una legge […] che concedesse agli uomini sani e valorosi di avere due mogli».18 Ansiosa di mettere in pratica le sue idee, Gerda invitò Manja a stare da loro a Obersalzberg, ma il triangolo si rivelò impraticabile: Manja faticò a adattarsi e infine lasciò il nido d’amore. Nel 1944 aveva cominciato a lavorare in una fabbrica che produceva armamenti e faceva turni di quindici ore.

Dopo l’assassinio del marito Lina trascorse l’estate a Fehmarn, per riprendersi. Aveva deciso che il suo futuro sarebbe stato nel Protettorato, perciò mise in vendita la casa di Berlino e il 7 dicembre 1942 fece ritorno a Praga. Tecnicamente la sua casa in Cecoslovacchia apparteneva al Reich, ma quando Hitler le diede il permesso di restarci a tempo indeterminato Lina rifiutò. Non voleva essere la proprietaria e rischiare che le spese per mantenerla fossero troppo gravose, costringendola ad attingere alla sua pensione da vedova o a qualche altra entrata, perciò la mise in affitto. Invece di indulgere nell’autocommiserazione per la morte del marito, Lina mostrò resilienza e determinazione, continuando a combattere. In una lettera ai genitori spiegò che la decisione di tornare sulla scena del crimine era «un impegno politico», e si diceva fiera del fatto che forse era «l’unica donna nella vita pubblica a non essere inghiottita dall’anonimato dopo la morte del marito».19 Durante un viaggio in Danimarca Lina litigò con il capo delle SS riguardo alla sua linea politica, e aveva intenzione di fare lo stesso sia in Norvegia sia in Francia. Himmler allarmato dovette porle un freno; decise che, semplicemente, per lei era troppo pericoloso andare in giro per l’Europa. Confinata nella sua proprietà Lina si concentrò sui lavori da fare. Aggiunse un frutteto, un appezzamento di terreno destinato agli ortaggi e un allevamento di conigli e pollame. Dal campo di Theresienstadt arrivavano manovali ebrei per trasformare i giardini in un parco all’inglese con tanto di ruscello. La vita senza il marito era resa più sopportabile dal suo autista delle SS, particolarmente affettuoso con i due figli maschi di Lina, e da un compagno di equitazione di Heydrich – ufficiale delle SS ed ex poliziotto – che le faceva da consulente finanziario e legale, cenava regolarmente insieme alla famiglia e insegnò ai bambini a nuotare e ad andare a cavallo. Nei fine settimana lui e Lina andavano a caccia di lepri e di fagiani nella foresta. Per avere aiuto nella gestione dei bambini Lina assunse una governante a tempo pieno mentre la casa era tenuta in perfetto ordine dai domestici, che facevano del loro meglio per non farla infuriare. Un membro dello staff ricordava che a Lina «piaceva dare ordini a destra e a manca […]. Se non aveva dormito bene se ne andava in giro a gridare dietro a tutti, dicendo che eravamo pigri e cose così, persino alle guardie delle SS. Quand’era di buonumore ci ignorava».20 Il 24 ottobre 1943 Lina visse un altro lutto improvviso e brutale. A fine pomeriggio i due figli maschi – Klaus, di 9 anni, e Heider di 8 – se ne andavano in giro in bicicletta per il giardino. I cancelli d’ingresso erano aperti perché doveva arrivare un ospite, e i due bambini entravano e uscivano. Dopo un po’ Heider rientrò a casa, ma Klaus rimase fuori. Alle 16.45 una guardia delle SS lo vide sfrecciare sulla bicicletta e cercò invano di fermarlo; Klaus si buttò a tutta velocità in strada, dove dal nulla sbucò un furgone che lo travolse. Lina e la guardia lo portarono in casa privo di sensi; era coperto di sangue e aveva gravi ferite al collo e al torace. Uno dei manovali ebrei era un dottore, e lo visitò prima dell’arrivo del medico personale di Lina. Era già troppo tardi; Klaus morì dopo trenta minuti. Venne seppellito all’interno della proprietà in una bara di metallo, vestito con la divisa della Gioventù hitleriana.

I lunghi ritardi che affliggevano la corrispondenza tra Ilse e suo marito rendevano la vita difficile a entrambi. Il 15 gennaio 1944 Hess si lamentava che fossero passati più di quattro mesi da quando aveva ricevuto una lettera della moglie, e le chiese di spedirgli altri libri perché erano «preziosissimi» e lo aiutavano ad alleviare la monotonia del suo «confinamento solitario». Il vero motivo per cui Hess era così ansioso di tenere la mente in esercizio era legato al ritorno dell’amnesia: «Posso anche dirtelo: ho completamente perso la memoria. Tutto il passato è annegato in una nebbia grigia. Non riesco a ricordare neanche le cose più ordinarie».21 Sebbene la confessione l’avesse disturbata Ilse rifiutava di ammettere la gravità della situazione. Dopo aver consultato numerosi medici rassicurò il marito dicendogli che la memoria sarebbe tornata al termine della guerra. Nel frattempo, tra giugno e luglio, Monaco subì una serie di massicci raid che uccisero migliaia di persone e ne lasciarono centinaia di migliaia senza casa. Riflettendo sulla «distruzione della nostra cara, bellissima Monaco», Ilse si disse colpita dal fatto che Hitler, constatata la devastazione, fosse «apparso molto scosso di fronte alle macerie». Si chiese come poteva sopportare di non intervenire mentre «una dopo l’altra le cose che ha più a cuore vengono distrutte», in attesa del momento giusto per colpire e strappare una vittoria che Ilse credeva ancora possibile: «È il 1944 e non abbandoneremo mai la speranza».22 Quello stesso luglio Amburgo venne rasa al suolo: il 24 rimasero uccisi millecinquecento cittadini e, nello zoo della città, centoquaranta animali. Tre notti dopo 787 aerei sganciarono ordigni incendiari, creando uno spaventoso incendio che fece quarantamila vittime. Emmy era cresciuta ad Amburgo e perse familiari e amici, e nella conflagrazione morirono anche tre nipoti di suo marito. Anche la capitale era sotto attacco. Tra marzo e la fine dell’anno ci furono sedici grossi raid. Emmy era estremamente provata; si diceva «infelice e disperata», e «annichilita dalla stupidità di questa guerra». Per non abbandonarsi a sentimenti paralizzanti, fece il possibile per alleviare la sofferenza. Ogni volta che si trovava a Berlino visitava «i feriti in ospedale per portare loro sigarette, libri e altri generi di conforto».23 A coloro che erano rimasti senza una casa per via dei bombardamenti donò biancheria, vestiti e mobili presi dalla villetta degli ospiti di Carinhall. Il 24 novembre, durante un ennesimo attacco, una bomba colpì la residenza berlinese di Magda e Goebbels: «Il piano superiore è completamente bruciato. La casa è piena d’acqua […] e tutte le stanze sono impregnate di un odore pungente di fumo». Quando Magda arrivò in auto dalla casa di campagna per verificare i danni attraversò alcuni dei distretti più poveri della città, che avevano subìto i danni peggiori, con «effetti terribili».24 Dopo aver ispezionato le macerie bruciate, Magda e Goebbels trascorsero la notte nel bunker sotto l’edificio distrutto. Per combattere lo stress e la tensione di trovarsi costantemente sotto minaccia, affrontare la depressione e cancellare i presentimenti negativi, Magda si riavvicinò al buddismo, che per un po’ l’aveva incuriosita quand’era ragazza. Difficile dire se le sia servito ad andare avanti; di certo dovette fare ricorso a tutta la sua calma interiore quando Goebbels, a Natale di quell’anno, fece una scenata. Secondo Rudolf Semmler, assistente personale di Goebbels, la tradizionale proiezione del film di Natale, in quel caso un film americano, fu compromessa perché il grosso albero di Natale era stato collocato davanti al proiettore. Goebbels «perse completamente il controllo. Poi arrivò Frau Goebbels […] e potemmo sentire la lite che proseguiva dietro le porte chiuse».25 Magda non riuscì a placarlo e Goebbels si precipitò fuori di casa per trascorrere la festa da solo.

Mentre Magda e il marito litigavano, Emmy era impegnata a fare volontariato, spediva «vestiti e giochi alle migliaia di bambini delle numerose famiglie i cui padri erano stati uccisi durante la guerra»,26 allegando un biglietto firmato da lei e da Göring. Non si trattava di un’iniziativa straordinaria legata al periodo della guerra. A Natale le mogli dei leader nazisti donavano somme generose ai bisognosi sin dal 1933, quando Hitler aveva istituito il Winterhilfswerkdes Deutschen Volkes (“Fondazione pubblica di soccorso invernale del popolo tedesco”) per combattere «la fame e il freddo». La rete di agenzie diffusa su scala nazionale, con un personale di oltre un milione di volontari, accettava donazioni in contanti così come cibo, vestiti, coperte e stufe. Le feste natalizie erano il momento centrale della campagna: gli uomini delle SS e delle SA si travestivano da Babbo Natale e distribuivano regali ai bambini di strada; i membri di ciascuna organizzazione nazista – soprattutto i gruppi giovanili e femminili – sostavano agli incroci più trafficati con barattoli per l’elemosina, cantavano canti tradizionali, vendevano porta a porta spille a forma di decorazioni natalizie e regali fatti a mano nei mercati e nei festival stagionali. Inoltre, l’agenzia forniva centinaia di migliaia di alberi di Natale gratuiti. Emmy, Magda e le altre mogli partecipavano alla Giornata della solidarietà nazionale, la prima domenica di dicembre, allestendo dei banchetti in luoghi pubblici molto visibili e distribuendo regali e beni di prima necessità. Nel 1939 l’agenzia aveva raccolto quasi il doppio del denaro rispetto al 1933, ma la maggior parte derivava da una tassa obbligatoria del 10 per cento sul reddito dei lavoratori, che facevano sempre più fatica a far quadrare i conti. Nell’inverno del 1943 l’entusiasmo per la campagna di beneficenza era quasi scomparso; i bombardamenti avevano cancellato la gioia del Natale e circolava una battuta che dava consigli a chi era in cerca del regalo perfetto: “Sii concreto, regala una bara”.27 Göring aveva promesso ai tedeschi che non sarebbero mai stati bombardati, perciò era ritenuto responsabile per le città rase al suolo. Allo stesso tempo lo stile di vita lussuoso che lui ed Emmy conducevano era sempre meno popolare, considerato ormai un vero e proprio insulto. Il sovrappeso e il girovita di Göring non suscitavano più ilarità, ma rabbia, perché rappresentavano la sua avarizia, e anche il consumismo compulsivo di Emmy era fortemente disapprovato. Ad aprile un membro delle SS la criticò per aver invitato a merenda le mogli di ottanta generali offrendo uno spropositato quantitativo di cibo: «Il tavolo scricchiolava letteralmente sotto il peso delle prelibatezze».28 All’inizio del 1943 le razioni di cibo erano state ridotte di circa un terzo rispetto ai livelli stabiliti nel 1939, che erano di 2570 calorie al giorno per i civili ordinari, 3600 per i membri delle forze armate e 4652 per quelli coinvolti in lavori pesanti. Le tessere annonarie per i beni di prima necessità venivano rilasciate una volta al mese e garantivano 10 chili di pane, 2,4 chili di carne, 1,4 chili di condimenti, incluso il burro, e 320 grammi di formaggio. Sulla carta si trattava di quantità sufficienti, il problema però erano le scorte; c’era una grave carenza di carne, frutta fresca e ortaggi; lo zucchero scarseggiava e la dieta delle persone era sempre più limitata a pane – la cui qualità andava peggiorando – e patate. Come parte di un’iniziativa per combattere gli sprechi e i consumi superflui, Goebbels fece chiudere mezza dozzina di ristoranti di lusso a Berlino, incluso Horcher, il locale preferito di Emmy e Göring. Quest’ultimo, furioso, lottò per tenerlo aperto altri sei mesi, ma a novembre del 1943 Otto e il suo staff si trasferirono a Madrid, dove aprirono un nuovo ristorante. Prima della guerra sarebbe stato Goebbels a doversi piegare, ma le cose ormai erano cambiate. Göring era un uomo politicamente finito. La sua costante perdita di potere e di influenza – durante il 1943 aveva ceduto il controllo dell’economia di guerra ad Albert Speer – ebbe gravi conseguenze sui tentativi di Emmy di aiutare i suoi amici ebrei. Rose Korwan era un’attrice che Emmy aveva conosciuto negli anni venti, e insieme avevano recitato sia a Weimar sia a Berlino. Con l’aggravarsi della persecuzione degli ebrei tedeschi, Emmy aveva cercato «di non perderla di vista e di starle vicino proprio perché era ebrea». Quando a Rose non fu più consentito esibirsi, Emmy le diede un assegno settimanale e le consigliò di lasciare il paese, ma Rose si era innamorata di un uomo ebreo e rifiutò di andarsene. A marzo del 1943, mentre da Berlino partivano i convogli diretti ai campi di concentramento, Rose sposò il fidanzato e chiese a Emmy di proteggerli dopo che il marito era stato arrestato per aver discusso con un agente delle SS in seguito al rifiuto di indossare la stella gialla. Emmy chiamò Himmler, che si dimostrò riluttante a darle una mano: «Deve rendersi conto, Frau Göring […] che milioni di donne tedesche hanno i mariti al fronte e non sanno nulla di loro. Come può aspettarsi che io mi preoccupi per il destino di un’ebrea in particolare?». Emmy lo implorò di farle un «favore personale», e lui accettò di compiere qualche ricerca. Un’ora dopo le ritelefonò e le disse che il marito di Rose sarebbe stato mandato a Theresienstadt, «uno dei nostri campi migliori», e le garantì che lì sarebbe stato «benissimo». Quando Rose lo venne a sapere chiese a Emmy se poteva andare con lui. Non volendo tirare troppo la corda Emmy disse a Göring di chiamare Himmler e parlarne con lui. «Dopo qualche tentennamento Himmler accettò di mandare anche la donna al campo. “Andrà tutto bene”, ci rassicurò. Si sarebbe assicurato personalmente che la coppia avesse una stanza, e persino qualcuno che la pulisse. Quella promessa tranquillizzò entrambi.»29 Himmler però stava mentendo. Un’amica comune di Emmy e Rose andò alla stazione e vide la coppia partire, ma il loro treno si mosse nella direzione opposta a quella prevista. Allarmata dalla notizia Emmy chiese al marito di intervenire di nuovo, ma Himmler non rispose alla telefonata. Fece recapitare un biglietto che confermava che Rose e il marito erano arrivati sani e salvi a Theresienstadt. Con le mani legate, e riluttante a sfidare ulteriormente Himmler, Göring lasciò perdere; intanto Rose e suo marito erano diretti alle camere a gas.

Secondo uno dei prigionieri ebrei che lavoravano nella proprietà degli Heydrich a Praga, Lina «cavalcava come un’amazzone, con la frusta in mano», e «le piaceva il suono che faceva schioccandola contro gli stivali da equitazione. Dava l’impressione di essere crudele e arrogante». Lina sputava contro i suoi operai, li chiamava «porci ebrei» e, anche se non aggredì mai nessuno personalmente, quando pensava che qualcuno rallentasse il ritmo di lavoro lo faceva pestare dalle guardie delle SS: «Fece frustare il nostro compagno […] dal suo uomo delle SS […] finché non gli sanguinò la schiena» solo perché «non riusciva a correre con il carretto completamente carico». Lina faceva dormire i prigionieri nelle stalle, dov’erano «tutti ammassati in uno spazio piccolissimo», mentre «le cimici si assicuravano che non ci potessimo riposare neanche dopo 14-18 ore di duro lavoro ogni giorno. Il cibo era carente sotto tutti gli aspetti». Nessuno aveva dubbi su chi fosse responsabile della loro misera esistenza; il «trattamento disumano» e «la costante minaccia di deportazione ad Auschwitz se il lavoro non fosse stato soddisfacente» era «opera esclusiva di Lina Heydrich».30 A gennaio del 1944 i manovali ebrei di Lina vennero spediti nei campi, e furono rimpiazzati da quindici donne Testimoni di Geova provenienti da Ravensbrück. Nel 1933 il marito di Lina aveva annunciato che i Testimoni di Geova – in Germania erano venticinquemila – potevano essere presi in custodia dalla Gestapo, e nel 1935 furono la prima organizzazione religiosa vietata dai nazisti. Nel corso degli anni vennero imprigionati diecimila Testimoni di Geova, e più di mille uccisi; nei campi indossavano un triangolo viola ed erano trattati in modo particolarmente duro per via della testarda fedeltà al loro credo.

A luglio del 1943 Margarete si trovava a Berlino con la Croce rossa tedesca per supervisionare l’apertura di un ospedale gestito dalle SS e destinato «ai feriti dalle bombe sul fronte occidentale». A metà agosto ispezionò le strutture ferroviarie per i feriti in transito e le trovò in «perfette condizioni». Il 3 settembre, quattro giorni prima del suo cinquantesimo compleanno, Margarete era convinta che la Germania avrebbe vinto: «Il nostro paese non è destinato ad arrendersi, né può permetterselo». Era più preoccupata della sua situazione personale, e si chiedeva «chissà cosa mi succederà nel prossimo anno di vita. E non parlo della guerra».31 La relazione adultera di Himmler era un motivo costante di dolore, e Margarete si tormentava per l’impatto negativo che aveva su Gudrun: «Ha solo quattordici anni e non dovrebbe essere a conoscenza delle difficoltà della vita. Ha già sentito tante cose di cui non dovrebbe sapere niente».32 Sebbene le sue visite al lago Tegernsee non durassero mai più di tre giorni, Himmler compensava l’assenza aumentando il volume e la frequenza dei pacchi che inviava alla moglie e alla figlia. Il giorno della Festa della mamma c’erano fiori per Margarete. E poi arrivavano dolci, frutta candita, cioccolatini ripieni di brandy, latte condensato e confezioni di glucosio e di marzapane. Oltre a inviare delizie, Himmler cercò di rinvigorire lo scambio intellettuale che aveva caratterizzato la corrispondenza con Margarete finché non aveva incontrato Hedwig. Come in precedenza, i libri di storia erano il suo argomento preferito. Uno dei pacchi che Margarete ricevette dal marito conteneva le biografie dell’imperatrice Costanza, che era stata regina di Sicilia durante il Medioevo; del re dei Vandali, che conquistò Cartagine, e di Bismarck. Un’altra includeva un annuario delle SS su carta lucida con tanto di fotografie di soldati, operai e contadini impegnati in attività sportive e danze tradizionali, oltre a numerosi libri sul Giappone. Il 6 agosto, il compleanno di Gudrun, Himmler scrisse a Margarete una lettera malinconica che ricordava il giorno in cui, «quattordici anni prima», lei gli aveva dato «la nostra dolce figlioletta, con tanto dolore e a rischio della tua vita». Il ricordo lo portò a firmare «con affetto speciale e […] tanti baci».33 Questa effusione insolita, unita al flusso dei regali, suggerisce che Himmler potrebbe aver avuto qualche rimpianto rispetto alla situazione, forse rendendosi conto di avere più cose in comune con Margarete che con la giovane amante. O si sentiva solo in colpa, adesso che Hedwig stava aspettando il loro secondo figlio? Himmler era certamente preoccupato dell’isolamento di Hedwig nella sua casa nel bosco, e intendeva trovarle un posto in cui vivere a Obersalzberg. Tuttavia, aveva un problema di liquidità. Se le SS diventavano sempre più potenti, il suo guadagno personale rimaneva relativamente invariato, perciò si rivolse a Bormann – il tesoriere ufficiale del partito – per avere un prestito. Bormann era ben felice di avere uno dei suoi rivali come debitore, e gli prestò subito il denaro, con il quale Himmler comprò a Hedwig un modesto cottage nei pressi di Berchtesgaden, non lontano dalla riserva nazista. Il 3 luglio 1944, alla clinica Hohenlychen, Hedwig diede alla luce una figlia, assistita dalle cure premurose del professor Gebhardt. Purtroppo per lei Himmler non poté essere presente: era ospite d’onore di un matrimonio stravagante – la festa durò tre giorni – organizzato al Berghof. Uno dei pupilli di Himmler, Hermann Fegelein, affascinante ma sadico ufficiale di cavalleria delle SS, sposava la sorella minore di Eva, Gretl. Sei mesi dopo, mentre le truppe sovietiche si ammassavano ai confini del Reich, Fegelein abbandonò Gretl; si preparava a fuggire da Berlino con un’altra donna e alcuni lingotti d’oro rubati, quando fu catturato dalle SS e giustiziato.

Verso le 12.45 del 20 luglio una bomba nascosta in una valigetta collocata sotto un tavolo esplose durante una riunione al quartier generale di Hitler. Schiantò i vetri, facendo schizzare frammenti ovunque, e distrusse il tavolo, le cui schegge taglienti volarono per tutta la sala. Nel fumo e nella confusione Hitler rimase per un po’ di tempo intrappolato sotto alcune assi cadute. Racconterà in seguito: «Riuscii ad alzarmi e a camminare da solo. Ero solo un po’ frastornato e leggermente intontito».34 Tuttavia aveva una ferita aperta sulla fronte, i capelli sulla nuca erano bruciati, il polpaccio ustionato, il braccio destro era così gonfio che faticava a sollevarlo e le mani e le gambe erano ricoperte di bruciature e vesciche; la cosa più seria era la temporanea sordità che lo colpì a causa della perforazione di entrambi i timpani, e che ci mise un po’ a guarire. Il tentativo di colpo di stato era stato preparato da una congiura di ufficiali dell’esercito, agenti segreti del controspionaggio e civili preoccupati, ma risultò fatalmente compromesso dalla miracolosa sopravvivenza di Hitler; nel giro di ventiquattr’ore i leader della cospirazione erano stati uccisi o arrestati. Ciononostante, le conseguenze interessarono tutta l’élite nazista. Quando la bomba esplose Eva era via per una gita al lago Königsee. Appena venne a sapere cos’era successo scrisse una lettera a Hitler: «Tesoro, sono fuori di me. Sto morendo di paura. Sento che potrei impazzire […]. Ti ho sempre detto che morirò se ti succede qualcosa».35 Poco distante, a Obersalzberg, Gerda era profondamente sconvolta: «Come ha potuto quel tizio mettere la valigetta con la bomba lì dentro, come ha fatto a entrare nel quartier generale? Non riesco a smettere di pensarci».36 Nella sua tenuta di Praga, Lina non fu sorpresa dall’attacco, dal momento che suo marito era convinto che il corpo ufficiali fosse un nido di traditori capaci di qualsiasi cosa. Al lago Tegernsee Margarete invece era scioccata: «Che disgrazia. Ufficiali tedeschi che volevano far fuori il Führer […] nella storia della Germania non era mai successo niente di simile».37 Emmy – che non vedeva Hitler dal sesto compleanno di Edda, a inizio giugno – fu più cauta nella sua valutazione: «Non posso pronunciarmi su questi uomini, né rallegrarmi per le loro azioni»; mentre suo marito, demoralizzato, indolente e fatalista, «non disapprovò tanto l’attentato in sé, quanto il modo in cui era stato eseguito»,38 perché il giuramento di fedeltà che i cospiratori dell’esercito avevano fatto a Hitler era troppo sacro per essere infranto, a prescindere dalle circostanze. Hess dal Galles ascoltò la notizia alla radio. Secondo il suo inserviente diventò «estremamente loquace e cominciò a gesticolare in modo buffo. Sembrava contentissimo che il Führer fosse sfuggito all’assassinio».39 Quell’anno Hess aveva abbandonato tutte le speranze e aveva cercato senza convinzione di suicidarsi, pugnalandosi al torace con un coltello del pane e procurandosi una ferita superficiale che richiese un paio di punti e gli lasciò una minuscola cicatrice. Dopo aver rifiutato il cibo per otto giorni consecutivi, annunciò all’improvviso che la sua amnesia era di nuovo scomparsa. Adesso che Hitler era scampato alla morte Hess si sentiva più lucido, almeno per il momento. Il suo amico, il professor Haushofer, caduto da tempo in disgrazia, fu arrestato nella rappresaglia che seguì al tentativo di assassinio, insieme a centinaia di altri che furono imprigionati perché in passato avevano offeso Hitler. Il professore trascorse un mese a Dachau prima di essere liberato. Il 25 luglio suo figlio Albrecht riuscì a sfuggire alla Gestapo che era arrivata a bussare alla sua porta, e si nascose per quasi sei mesi prima di essere riacciuffato, il 7 dicembre. Due giorni dopo Albrecht fu trasferito da Monaco a Berlino e rinchiuso nella terribile prigione di Moabit.

Durante l’attentato a Hitler, Magda si trovava nella clinica di Dresda in seguito a un intervento per un’infiammazione al trigemino, che le aveva paralizzato il lato destro del volto causandole un terribile dolore. Stava male da mesi e la terapia che seguiva non era stata efficace. Dopo ritardi e complicazioni – compreso il timore di Hitler che la chirurgia facciale potesse rovinarle l’aspetto – Magda fu operata in primavera. Come previsto, l’intervento riuscì solo in parte. I lineamenti erano ancora deturpati e provava un forte dolore; la aspettava un lungo periodo di convalescenza. Il fatto che Hitler avesse rischiato di morire, però, le diede una scossa improvvisa. Era chiaro che il destino lo aveva risparmiato per un motivo, e lei cominciò a credere che la vittoria, o quantomeno un risultato dignitoso, fosse possibile. Magda dava credito a tutti i discorsi sulle armi miracolose che avrebbero invertito il corso della guerra. Il regime era riuscito a sganciare i suoi missili V1 e V2 sull’Inghilterra sudorientale – seminando terrore, panico e morte – ma era una mossa ormai insufficiente e troppo tardiva, e la promessa di armi ancora più decisive appariva sempre più ingannevole. Un’altra falsa speranza a cui Magda volle aggrapparsi era la convinzione errata che la coalizione degli Alleati si sarebbe sgretolata; dopotutto, com’era possibile che il più grande paese capitalista del mondo, l’America, e quello che lo era stato prima di lui, il Regno Unito, riuscissero a mantenere un accordo amichevole con l’Unione Sovietica di Stalin? Questi convincimenti sostennero Magda per un po’, ma per una donna intelligente come lei la terribile realtà della situazione militare era impossibile da ignorare. Per quanto accecata dalla fede in Hitler, non era una sciocca. I sovietici avanzavano implacabili, impadronendosi di Varsavia e penetrando nei Balcani. Mussolini era caduto e gran parte dell’Italia era in mano agli Alleati, che dopo il D-Day erano finalmente riusciti a superare le zone costiere; l’esercito tedesco batteva precipitosamente in ritirata e Parigi era a un passo dalla liberazione. Ancora una volta il peso degli eventi compromise la sua salute fisica, emotiva e psicologica; Magda tornò in clinica, come se si stesse già preparando alla fine. 13 Senza via d’uscita

Durante l’estate del 1944 Gerda e i figli fecero una breve visita a Berchtesgaden per andare a trovare Hedwig che, sola con due bambini piccoli, apprezzò molto la compagnia. Gerda la trovò contenta della casa e del posto, e rimase colpita dalla «incredibile somiglianza» tra la figlia di Hedwig e le foto di Himmler da bambino che Hedwig le aveva mostrato.1 Dopo il tè la padrona di casa invitò tutti in soffitta a vedere una cosa speciale: mobili realizzati con parti del corpo umano. Il figlio maggiore di Gerda, Martin Adolf Bormann – a casa per le vacanze – avrebbe ricordato «la precisione anatomica» con cui Hedwig spiegava il processo alla base della costruzione di una sedia «il cui sedile era un bacino umano e le cui gambe erano umane, montate su piedi umani».2 Hedwig inoltre possedeva alcune copie del Mein Kampf rilegate in pelle umana, ricavata dalla schiena di alcuni prigionieri di Dachau. Martin Adolf e i fratelli se ne andarono «scioccati e inorriditi», insieme alla madre «ugualmente sconvolta». Gerda raccontò ai figli che, quando Himmler aveva cercato di dare a Bormann un’edizione del Mein Kampf come quella, lui aveva rifiutato, perché trovava «l’idea insostenibile».3 Gerda era vissuta in una bolla nazista sin dall’adolescenza, e nell’isolamento ascetico di Obersalzberg per circa un decennio. Fino a poco tempo prima la guerra le sembrava una realtà distante. Sebbene fosse ancora «assolutamente convinta della nostra vittoria», Gerda adesso era costretta a confrontarsi con la prospettiva della sconfitta. Considerava la guerra «una lotta tra la Luce e l’Oscurità» e «una battaglia del Bene contro il Male», simile a quelle dei miti e delle fiabe che l’avevano sempre affascinata. Bormann condivideva la sua visione apocalittica; la sconfitta avrebbe significato «lo sterminio della nostra razza e la distruzione della sua cultura e della sua civiltà». A una prospettiva così orribile Gerda opponeva un netto rifiuto – «il significato della Storia non può risolversi nel dominio della comunità ebraica sul mondo» – e sollecitava il marito affinché ogni bambino tedesco si rendesse conto che «l’ebreo è il Male assoluto».4

Ad agosto Margarete era a Berlino. Aveva meno da fare alla Croce rossa tedesca, perciò cercò di «portare un po’ di felicità» distribuendo vestiti alle vittime dei bombardamenti, anche se «stare in piedi negli scantinati gelidi per quattro ore al giorno non è facile per me».5 Al lago Tegernsee supervisionò la costruzione di un rifugio antiaereo; gli operai arrivavano da Dachau e Margarete si lamentò con gli ufficiali del campo per la scarsa qualità del lavoro. Gli scambi di lettere con suo marito proseguivano, e i pacchi per lei e Gudrun continuavano ad arrivare con beni preziosi e rari come sapone e cioccolato. A metà novembre Himmler era al lago, e parlò con Margarete delle difficoltà che la Germania si trovava a fronteggiare; entrambi le trovavano superabili e pensavano che «la guerra sarebbe finita in modo favorevole».6 Himmler ripartì dopo tre giorni ordinari, in cui non accadde nulla di speciale, promettendo che avrebbe cercato di tornare per Natale.

Il 3 dicembre Hitler onorò Magda e il marito con una visita. Non andava a trovarli a casa da oltre quattro anni. In quel momento, con l’avanzata inesorabile degli Alleati, il loro invito era un gesto dal forte valore simbolico, un modo per affermare che sarebbero rimasti con lui a prescindere da tutto. Hitler arrivò all’ora del tè. Rudolf Semmler, l’assistente personale di Goebbels, ricordò che «i bambini lo accolsero in corridoio con mazzi di fiori» e Goebbels «rimase sull’attenti facendo un iperbolico saluto nazista. I bambini fecero l’inchino e Hitler si disse molto sorpreso di quanto erano cresciuti». Il Führer regalò a Magda dei fiori – «un modesto mazzo di mughetti» – e «spiegò che non era riuscito a trovare di meglio», visto che Goebbels «aveva fatto chiudere tutti i negozi di fiori di Berlino». Hitler era accompagnato da una cameriera, un aiutante, sei ufficiali delle SS e una guardia del corpo. Si era portato il tè dentro un thermos e i pasticcini. Si fermò appena mezz’ora, ma disse di essersi «goduto l’atmosfera familiare» e la possibilità di sottrarsi alla propria «vita monastica per mezzo pomeriggio»; poi promise che sarebbe «tornato presto». Felicissima e piena di orgoglio, Magda si diceva che «dai Göring non sarebbe andato».7

Mentre la Germania moriva di fame, Emmy e la sua famiglia tennero un ultimo ricevimento a Carinhall per festeggiare il compleanno di Göring, il 12 gennaio 1945. Gli ospiti fecero fuori caviale russo, anatra e cacciagione delle foreste che circondavano la tenuta, salmone di Danzica e l’ultimo pâté de foie gras, il tutto innaffiato di vodka, Bordeaux, vino della Borgogna, champagne e brandy. A fine mese un carro armato sovietico penetrò nelle foreste attorno a Carinhall. Emmy, Edda e le altre donne partirono il pomeriggio successivo per raggiungere la relativa sicurezza di Obersalzberg, dove la casa aveva un rifugio sotterraneo con dodici stanze. Subito dopo le seguì la collezione di opere d’arte di Göring. Nel corso dei successivi due mesi e mezzo due treni speciali, otto carri merci e oltre una dozzina di altri vagoni sigillati trasportarono in incognito centinaia di preziose opere d’arte in varie località della Baviera e dell’Austria, dove le collezioni vennero nascoste. Nove vagoni merci finirono parcheggiati sui binari della stazione di Berchtesgaden. Göring ne estrasse due quadri della Madonna e quattro miniature di angeli a opera di Hans Memling, un artista tedesco del XV secolo, e li affidò a Emmy come ultima riserva, da vendere in caso di necessità. Con gli Alleati alle porte e senza nessuno a reclamarne la proprietà, gli abitanti del posto saccheggiarono il treno di Göring, portando via moquette, tappeti, arazzi e dipinti, e facendo piazza pulita di monete d’oro, zucchero, caffè, sigarette e liquori costosi.

All’inizio di gennaio del 1945 Himmler aveva ormai fatto di Hohenlychen quasi una base permanente. La clinica infatti non correva il rischio di essere bombardata perché sul tetto campeggiava un simbolo della Croce rossa, e il fedele professor Gebhardt era sempre a disposizione, così come il suo massaggiatore svedese; i costanti disturbi gastrici gli causavano forti dolori e aveva bisogno di riposo. Di conseguenza non riuscì ad andare al lago Tegernsee per Natale. Per farsi perdonare Himmler telefonò a Margarete, che notò che «aveva di nuovo il raffreddore […], era malato» e «la sua salute restava precaria».8 Himmler le scrisse anche una lettera affettuosa: «È la prima volta che non festeggiamo il Natale insieme; ma ieri ti ho pensata tanto».9 Le spedì anche un vassoio d’argento, alcune sciarpe di seta colorate – blu, nera e bianca – una borsa, della biancheria e delle calze: il 9 gennaio le fece recapitare caffè, biscotti al pan di zenzero, pâté di fegato e un libro sull’esercito prussiano. Nel diario Margarete cercava di mantenere una visione positiva; scriveva che il marito era «felice e in buona disposizione» quando parlavano al telefono, e lei era fiera che «tutti gli sguardi della Germania» fossero rivolti a lui. Si diceva anche sollevata che il figliastro difficile, Gerhard, avesse finalmente trovato la sua strada nell’ala militare delle SS: «è molto coraggioso e innamorato della divisa». Tuttavia, non si lasciava sedurre da false speranze: «La situazione della guerra è immutata e gravissima».10 Il 6 gennaio Lina ebbe un incontro privato di un’ora e quarantacinque minuti con Himmler a Berlino. Discussero della questione della sicurezza nel Protettorato e dei rischi che correva restando lì: poco tempo prima aveva infatti ricevuto una lettera minatoria e i partigiani comunisti erano sempre più pericolosi. Lina tuttavia fece ritorno nella tenuta, e alcune settimane dopo scrisse ai genitori spiegando i suoi progetti. Per il momento non avrebbe fatto niente: «Non so dove potrei essere più al sicuro di qui; fuggire, come fanno altre donne, per me è fuori discussione». Di fatto non aveva importanza dove fosse: al Protettorato o in Germania, per lei la sconfitta sarebbe stata la fine. «I russi sapranno dove trovarci per ucciderci», oppure «arriveranno gli inglesi e gli americani. E con loro gli ebrei. Dopo le leggi che abbiamo fatto non c’è via di scampo. Riusciranno ad arrivare a noi. È inutile illudersi.»11

Eva rimase a Berlino fino al 9 febbraio, poi ritornò in via definitiva il 7 marzo. Spiegò la decisione di restare con Hitler alla fedele segretaria Christa Schroeder: «Sono venuta perché tutto ciò che di meraviglioso c’è nella mia vita lo devo al Capo».12 Anche Bormann rimase a Berlino. Oltre al fatto che non aveva nessuna intenzione di abbandonare il suo Führer, continuava a gestire la macchina del partito con la consueta efficienza e produttività, deciso a non accettare l’inevitabile. Gerda lo vide a febbraio, poi tornò a Obersalzberg. Nonostante tutto continuava a credere che «un giorno sorgerà il Reich dei nostri sogni […] anche se noi non saremo sopravvissuti».13 Il 25 febbraio Magda chiese a uno dei medici di Hitler veleno sufficiente «per lei e per i suoi sei figli». Non era una richiesta semplice da formulare. Secondo Semmler «non poteva sopportare la prospettiva di mettere fine alla vita dei suoi figli»; il solo pensiero la faceva «impazzire di dolore e di sofferenza».14 Eppure Magda non vedeva un futuro. Sapeva che quello che era stato fatto nel nome di Hitler non sarebbe mai stato dimenticato né perdonato, ed era inverosimile aspettarsi pietà per la sua famiglia da parte dei sovietici. Il 4 marzo il marito informò Hitler che la coppia intendeva restare a Berlino «anche se sarà attaccata e circondata».15 Intuendo cosa ciò significasse, Hitler esitò prima di dare il suo consenso. Le pagine del diario di Goebbels di quel mese documentano una routine regolare. Gestiva ancora il ministero della Propaganda, e il 16 diede un ricevimento per l’intero staff. Il 21 stava studiando «le ultime statistiche sui film», che erano «molto buone nonostante le difficoltà. È sorprendente che il popolo tedesco abbia ancora voglia di andare al cinema». Magda compariva a malapena negli appunti di Goebbels, irritato quando lei ebbe «uno dei suoi mal di testa», l’8 marzo, e infastidito dal fatto che il 27 fosse andata a letto presto perché si sentiva poco bene, dopo aver «voluto strafare» organizzando il trasloco dalla loro tenuta di campagna a Berlino. Il 4 aprile erano sistemati nella capitale e trascorsero «una serata un po’ malinconica durante la quale si sono susseguite le brutte notizie. A volte ci si chiede disperatamente dove ci condurrà tutto questo».16

Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 1945 alcuni bombardieri Lancaster attaccarono Monaco e la casa di Ilse venne colpita. Mettendo in salvo quello che poteva, Ilse prese Wolf e si diresse verso le Alpi bavaresi, dove madre e figlio trovarono rifugio in un piccolo villaggio. Ilse avrebbe pazientemente assistito al resto della guerra da lì, in attesa che il pericolo fosse passato per poter tornare a dedicarsi al marito e al loro futuro insieme. In Galles intanto Hess era perso nel suo mondo, e passava il tempo a leggere romanzi di oscuri scrittori tedeschi del XVIII secolo e a meravigliarsi «dell’infinita varietà di forma e di stile nella resa dei personaggi e nella rappresentazione».17 Sapendo che in quel momento il marito non era in pericolo, Ilse poteva immaginare una vita nuova, anche se il regime fosse crollato e Hitler morto. Per Albrecht Haushofer non ci sarebbe stato futuro. Alle prime ore del 23 aprile Albrecht – che marciva in prigione dal dicembre precedente – e altri quindici prigionieri vennero radunati in cortile, dove ricevettero i loro effetti personali e un modulo da firmare. La speranza che tutto ciò potesse significare la libertà svanì rapidamente quando videro trentacinque uomini delle SS armati di mitragliatrici che aspettavano al di là del cancello. Un ufficiale delle SS li informò che stavano per essere trasferiti in un’altra struttura e che i suoi uomini li avrebbero scortati alla stazione. Quando si avvicinarono, Albrecht e i suoi compagni furono indirizzati verso una striscia di terra desolata, martoriata dai bombardamenti. Li fecero mettere contro un muro e li giustiziarono. Secondo il professor Haushofer, Albrecht fu colpito alla nuca.

A marzo Lina ebbe un ospite inatteso: Himmler si presentò a casa sua con l’aria stanca e trasandata, e le chiese di poter fare un bagno caldo e colazione. Dopo essersi ristorato chiacchierò con lei e giocò con i bambini. Quando Lina cercò di interrogarlo sullo stato della guerra e la prospettiva di respingere l’avanzata degli Alleati, Himmler si mostrò evasivo, il che la portò a supporre il peggio. Lina però non era affatto pronta a lasciare la proprietà a cui si era dedicata e in cui aveva investito tanto. Himmler tornò quasi di nascosto a Hohenlychen. Tutte le sue grandi aspirazioni, i sogni di promuovere una rinascita dello spirito tedesco e di formare una nuova aristocrazia per governare un paradiso della razza pura erano andati in pezzi. A fine marzo le truppe americane avevano accerchiato il suo castello fiabesco a Wewelsburg. Himmler fece evacuare il personale e il 31 arrivarono le squadre di demolizione, collocarono la dinamite nelle torri ovest e sud e incendiarono l’interno appiccando il fuoco alle tende e a tutto ciò che era infiammabile. Quando i demolitori se ne furono andati, gli abitanti del paese trascorsero due giorni a saccheggiare le macerie incenerite, svuotando le cantine e ripulendo il museo, che conteneva teschi, monete, coltelli, ceramiche antiche, spade vichinghe, elmi dell’età del bronzo, punte di freccia scitiche in bronzo e il fossile di un antico rettile marino, un ictiosauro lungo due metri e mezzo. Dopo essere stata da Himmler a Hohenlychen il 22 marzo, Hedwig tornò a Berchtesgaden. Lui le telefonò per l’ultima volta il 19 aprile. Parlarono di «faccende personali» e del fatto che la situazione era «ogni giorno più difficile». Himmler disse che l’avrebbe chiamata di nuovo, ma non lo fece mai. Terminò la conversazione augurandosi che «Dio proteggesse lei, i bambini e la Germania».18 Al lago Tegernsee Margarete ricevette un’ultima telefonata dal marito intorno a Pasqua. Ancora una volta l’argomento principale fu il suo stomaco: «sta di nuovo molto male, ha ancora problemi di digestione».19 Il 20 aprile Margarete, sua figlia, sua sorella Lydia, una zia e altre parenti salirono su un’auto e si lasciarono la casa alle spalle. L’autista era diretto in Sud Tirolo, una regione che, con le sue montagne e valli isolate, era stata preventivamente identificata come sicura. Mentre gli Alleati si avvicinavano a Berchtesgaden, Hedwig fuggiva anche lei in direzione sud, portando con sé i figli. All’inizio di aprile Karl Wolff – l’ex marito di Frieda – passò da Lina per avvisarla che le truppe sovietiche erano sempre più vicine e che la resistenza locale stava ingrossando le sue fila. Era il momento di andarsene. A metà mese Lina aveva fatto i bagagli, macellato il bestiame e comprato una roulotte per trasportare gli averi della famiglia e la bara del figlio morto. Tra i bagagli c’era anche la divisa macchiata di sangue che il marito indossava quando fu assassinato. Il giorno della partenza la signora del castello radunò tutto il personale, lo ringraziò e promise una piccola liquidazione a guerra finita. Con un gran numero di bagagli Lina, i tre figli e la governante partirono su due auto con la roulotte al seguito, diretti in Germania. Dopo pochi chilometri, però, il convoglio venne attaccato dall’aviazione sovietica. La roulotte finì fuori strada; Lina riuscì a recuperare la bara danneggiata del figlio e i resti vennero frettolosamente seppelliti nel bosco. Durante il tragitto lasciò l’altro figlio e la figlia più grande ad alcuni amici, che le promisero di portarli a Fehmarn quando fosse stato possibile. Poi con la figlia di tre anni Lina attraversò la Baviera fino al lago Tegernsee, dove si rifugiò a casa di Frieda Wolff – le due mogli delle SS di nuovo insieme – finché le truppe americane le costrinsero a fuggire all’inizio di maggio.

L’atmosfera durante la festa di compleanno di Hitler, il 20 aprile, era più pesante che mai. Un mese prima l’esercito sovietico aveva raggiunto le porte di Berlino. L’attacco era cominciato quattro giorni prima che i seguaci più fedeli di Hitler si riunissero per augurargli cento di questi giorni. Quel mattino l’artiglieria sovietica cominciò a bombardare il centro della città, arrivando molto vicino al bunker. La festa fu offuscata da un’atmosfera tetra e gran parte degli ospiti – tra cui Göring e Himmler – se ne andò in fretta. Hitler andò a letto presto. Eva tuttavia era decisa a divertirsi. Secondo una delle giovani segretarie di Hitler, «negli occhi le bruciava un fuoco inquieto»; Eva voleva «ballare, bere, dimenticare». Con indosso un vestito nuovo – «di broccato azzurro e argento» – camminava maestosa verso i suoi appartamenti nella Cancelleria del Reich chiamando a sé Bormann e tutti quelli che incontrava. In soggiorno stappò una bottiglia di champagne e tirò fuori il grammofono; trovò un disco – il famoso successo del tempo di guerra Blutrote Rosen – e lo fece suonare e risuonare «coinvolgendo tutti in un ballo sfrenato e triste».20 Mentre i cittadini terrorizzati cercavano di lasciare Berlino, una donna tentava disperatamente di entrarci. Hanna Reitsch era la donna pilota più famosa della Germania e una nazista devota; trovò un posto in cui atterrare nella capitale devastata e riuscì ad arrivare al bunker sana e salva il 26 aprile. Si offrì di portare via qualcuno sul suo aereo, ma Hitler ed Eva rifiutarono, e quest’ultima consegnò a Hanna una lettera per sua sorella Gretl, nella quale le chiedeva di distruggere tutti i suoi documenti privati e la corrispondenza con Hitler, e si diceva «felice di morire al fianco del Führer; ma più di ogni altra cosa, felice che l’orrore che sta per arrivare mi venga risparmiato. Cosa potrà ancora darmi la vita? È già stata perfetta».21 Anche Magda affidò a Hanna Reitsch una lettera; era indirizzata a Harald Quandt, il figlio avuto dal primo matrimonio, che aveva servito nella fanteria durante tutta la guerra e si trovava in un campo di prigionia inglese. Scritta pensando alla posterità, suona come un’ultima opera della propaganda, firmata dalla First Lady del Reich. Nella lettera Magda spiega le ragioni della sua scelta: «Per me non ci sono alternative. La nostra bellissima idea è stata distrutta, e con essa tutto ciò che nella vita c’era di bello, degno di ammirazione, nobile e buono. La vita non varrà la pena di essere vissuta nel mondo che verrà dopo Hitler e il nazionalsocialismo. Per questo motivo ho portato i bambini con me. Sono troppo preziosi per poter vivere la vita che verrà dopo di noi». Dopo aver decantato le loro virtù, Magda chiedeva a Dio di concederle la «forza di portare a termine il compito estremo e più difficile di tutti […], essere fedele fino alla morte a Hitler».22 Le parole di Magda riflettevano una posizione unica nella cerchia di Hitler, il legame speciale con lui e la vicinanza al potere. Le motivazioni di Magda tuttavia non erano molto diverse da quelle che spinsero altre donne a scegliere il suicidio durante gli ultimi giorni del governo nazista. Nel 1945 si uccisero 7000 persone, 3996 delle quali erano donne. Molte di loro temevano di essere stuprate dai soldati sovietici, e a ragione: almeno centomila donne subirono aggressioni sessuali, e gli abitanti di alcuni paesi e piccole cittadine scelsero il suicidio di massa per non dover affrontare la violenza che li aspettava. A Berlino le donne andavano in giro portando con sé il cianuro o una lametta nella borsa. Tra aprile e maggio in città si registrarono 5881 suicidi. In una altolocata zona residenziale di Berlino la moglie di un capitano dell’esercito uccise la figlia di otto anni e poi si suicidò. Aveva deciso di usare il veleno già a febbraio, dicendo al marito che temeva che lei e la bambina finissero «nelle mani dei russi» e che si sarebbe uccisa «prima che succedesse».23

A Obersalzberg Gerda ricevette le ultime lettere dal marito e alcuni dei primi acquerelli di Hitler. Quando Bormann riuscì a raggiungerla al telefono le disse di non preoccuparsi, perché aveva un’auto pronta a portarlo via da Berlino al primo segnale, e le assicurò che si sarebbero rivisti. Bormann aveva diretto la costruzione di una rete di rifugi sotterranei a Obersalzberg: i lavori erano cominciati nell’agosto del 1943 e tremila manovali, soprattutto italiani, avevano costruito sei chilometri di tunnel e bunker con mura spesse un metro e mezzo. E sebbene il rifugio sotto la sua casa fosse abbastanza grande da accogliere tutta la famiglia e il personale, niente fu lasciato al caso. Il piano di fuga di Gerda era stato escogitato in anticipo, la sua destinazione sarebbe stata il Sud Tirolo. Gerda aveva comprato uno scuolabus e fatto imprimere sul tetto il simbolo della Croce rossa. Oltre a otto dei nove figli – il maggiore stava tornando a casa da solo dal prestigioso collegio nazista e non sarebbe riuscito a raggiungerli – radunò altri sette bambini abbandonati. Lei, la cognata e l’equivalente di una classe d’asilo si misero in viaggio. La donna portava con sé il prezioso manoscritto delle Conversazioni a tavola di Hitler, che il marito aveva diligentemente compilato a partire dalle innumerevoli ore trascorse ad annotare ogni parola del Führer.

Il 20 aprile, dopo il compleanno di Hitler, Göring andò dritto a Obersalzberg. Il giorno prima aveva detto addio a Carinhall: tutte le opere d’arte troppo grandi per essere trasportate furono seppellite sottoterra, le squadre di demolizione minarono l’edificio e lo fecero saltare. Il mattino seguente Göring raggiunse Emmy e Edda nel rifugio in montagna. L’egocentrismo di Göring, ignaro di ciò che stava accadendo a Berlino, lo portò a interpretare il silenzio e la mancanza di notizie dal bunker come la prova del fatto che Hitler fosse morto, facendo di lui il nuovo Führer. Il 23 spedì dunque un telegramma a Hitler: in quanto suo successore designato avrebbe dovuto assumere il controllo? Se il Führer era vivo, tuttavia, Göring sperava che decidesse di «lasciare Berlino e venire qui». Emmy non commentò mai il tentativo disperato del marito di accaparrarsi il potere, futile quanto ridicolo. Non avendo avuto notizie entro le diciotto, Göring tornò alla carica: «Considerata la sua decisione di restare a Berlino, è d’accordo che io assuma il comando immediato e totale del Reich? Con piena libertà di azione all’interno e all’estero».24 Hitler non aveva dato peso al primo telegramma di Göring; nella confusione, fu un errore di valutazione comprensibile. Ma il secondo messaggio lo fece infuriare. Ferito e offeso, ordinò l’arresto di Göring, e Bormann riuscì ad allertare l’unità delle SS di stanza a Obersalzberg. La casa di Göring fu subito circondata. Emmy e Edda furono chiuse in una stanza, con una guardia a controllarle fuori dalla porta. Prima della separazione Göring disse a Emmy che si trattava di un errore che si sarebbe risolto subito. Ma il mattino successivo, mercoledì 25 aprile alle nove e mezzo, 359 bombardieri Lancaster e 16 Mosquito polverizzarono Obersalzberg. A Emmy, Göring, Edda, la sorella di Emmy e il personale domestico – una cameriera, una bambinaia, una governante e un assistente – fu concesso di nascondersi nel rifugio sottostante la casa, sotto la sorveglianza dei carcerieri. Durante un momento di tregua dal bombardamento vennero tutti trasferiti nel bunker di Obersalzberg, dov’erano già radunati i residenti del Berghof. Mezz’ora dopo arrivò la seconda ondata. Quando Christa Schroeder uscì dal nascondiglio vide che il Nido dell’Aquila era stato distrutto e il Berghof «gravemente danneggiato». Le mura erano ancora in piedi, ma il tetto «cadeva a pezzi», e «le porte e le finestre erano scomparse. Dentro l’edificio il pavimento era ricoperto di macerie e gran parte dei mobili era andata distrutta. Tutti gli edifici secondari erano crollati, i sentieri coperti di calcinacci, gli alberi abbattuti. Non c’era più vegetazione, il pae saggio era un cratere».25 Per quanto spaventata, Emmy si rese conto che si trattava di un momento cruciale; consapevole di camminare su un filo si rivolse all’ufficiale in comando delle SS e si esibì in un’interpretazione virtuosistica, ricordando un patto che lei e Hitler avevano stipulato il giorno del suo matrimonio, quando lui le promise che avrebbe «esaudito un suo desiderio». Se per qualche motivo Hitler avesse ritenuto necessario giustiziare il marito, accettava che «nello stesso momento sparassero» anche a lei e a Edda.26 L’ufficiale si trovò di fronte a un bel grattacapo. Aveva effettivamente ricevuto una comunicazione da Bormann che gli ordinava di uccidere i traditori, ma fu colto dal panico. Raggiunsero un compromesso: la sua unità avrebbe accompagnato Göring e la famiglia nel loro castello in Austria, a duecento chilometri da lì. Il convoglio di mezzi arrivò a destinazione dopo un travagliato viaggio di trentasei ore attraverso strade intasate. La casa dei Göring a Obersalzberg era stata rasa al suolo dal bombardamento. Un soldato americano vide che una parte del tetto era crollata dentro la piscina e due cadaveri galleggiavano sulla superficie. Sul fondo della vasca scorse qualcosa che luccicava al sole. Si tuffò e recuperò una spada da gladiatore forgiata dall’armiere personale di Napoleone; il soldato la vendette nel 1978 a un collezionista privato per una cifra che non fu mai resa nota. Anche la casa dei Bormann era stata colpita; nel rifugio sotterraneo furono ritrovati intonsi mille acquerelli di Rudolf von Alt, il prolifico pittore paesaggista che aveva ispirato Hitler. I dipinti di von Alt erano destinati alle gallerie di un grandioso museo che Hitler pianificava di costruire a Linz. Oltre trecentocinquanta di queste opere recuperate scomparvero nel nulla. Al Berghof le truppe francesi e americane si spartirono le copiose riserve di alcolici, le opere d’arte e tutto ciò che era siglato con le iniziali di Hitler; carta da lettere, argenteria, porcellane, bicchieri e calici di cristallo. Tempo dopo un colonnello americano ispezionò il luogo: non restavano altro che il camino e il gabinetto.

Anche i dintorni di Berchtesgaden vennero coinvolti dal raid, e il cottage di Hedwig fu gravemente danneggiato. I saccheggiatori razziarono l’arredamento della camera da letto, un lampadario, una scrivania e un piccolo arazzo, ma non toccarono la biblioteca di Himmler. Dopo il compleanno di Hitler, Himmler era tornato direttamente a Hohenlychen per riprendere le trattative di pace in cui era impegnato sin dall’inizio dell’anno. Aveva preso contatti con la Croce rossa internazionale tramite alcuni intermediari svedesi, nella vana convinzione che gli Alleati occidentali e i nazisti potessero unirsi per combattere insieme i bolscevichi. Per provare le sue buone intenzioni Himmler autorizzò il rilascio di alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento, che erano sempre di meno, decimati dalle marce spietate cui li costringevano per trasferirli da un luogo all’altro e nelle quali morirono a centinaia. Il 28 aprile l’agenzia di stampa Reuters denunciò il doppiogioco di Himmler. Il tradimento di Göring aveva deluso Hitler, ma non era stato una vera sorpresa; l’uomo che aveva ammirato e stimato e di cui si fidava aveva smesso di esistere da molto tempo ed era soltanto l’affetto tenace per il vecchio compagno che gli aveva impedito di liberarsi di lui. Il comportamento di Himmler invece fu un vero shock, una batosta che causò a Hitler una furia apocalittica, tanto che decise di mandarlo sulla forca. Tuttavia, a quel punto le possibilità di inviare un ordine che raggiungesse qualcuno in grado di mettere in pratica una condanna a morte erano di fatto pari a zero. Per il momento Himmler era sano e salvo a Hohenlychen, in attesa che gli Alleati gli offrissero un ruolo nell’imminente battaglia contro Stalin. Il 29 aprile Hitler ed Eva diventarono marito e moglie. Con una firma su un foglio di carta l’amante segreta – che era rimasta un mistero per la maggior parte dei tedeschi – si garantì un posto nella Storia e una forma di immortalità. Nelle ore precedenti il matrimonio Hitler aveva scritto il suo testamento: «Adesso, prima di mettere fine a questa esperienza terrena, ho deciso di prendere in sposa la ragazza che, dopo anni di fedele amicizia, è tornata volontariamente nella città assediata per condividere il suo destino con il mio. È suo desiderio unirsi a me nella morte come mia moglie».27 Durante la cerimonia, cui presero parte Magda, Goebbels, Bormann e pochi membri scelti dello staff, Eva indossava un abito di taffetà di seta e i suoi gioielli più eleganti. Sebbene il bunker fosse scosso da colpi di mortaio che facevano tremare le pareti, secondo l’autista di Hitler l’atmosfera era «festosa». C’erano champagne e panini, e «la conversazione riandava alle esperienze di un tempo», dal momento che tutti «pensavano con nostalgia al passato».28 Il 30 aprile, a pranzo, Hitler parlava del futuro. Eva si congedò da Magda: le due rivali erano unite dalla decisione di morire insieme al loro adorato Hitler. Dopodiché Magda ebbe un incontro privato con lui, e avrebbe raccontato quegli ultimi istanti passati insieme al cameriere personale del Führer: «Mi sono inginocchiata e l’ho pregato di non uccidersi. Mi ha dolcemente aiutata ad alzarmi e mi ha spiegato con calma che non aveva scelta».29 Alle 15.15 Hitler ed Eva si ritirarono nell’appartamento che condividevano. Il cameriere e Bormann attesero fuori il momento giusto per entrare. Quando vide Hitler ed Eva morti sul divano, Bormann «diventò bianco come un lenzuolo». Hitler aveva bevuto del veleno – acido cianidrico, un liquido chiaro che odora di mandorle amare – poi si era sparato alla tempia con una 7.65 millimetri, caduta ai suoi piedi sul pavimento. Eva era accasciata accanto a lui, con le gambe piegate sotto il corpo. Indossava un «vestito nero leggero». Secondo il cameriere, il veleno aveva lasciato tracce visibili: «il suo viso sfigurato rivelava com’era morta».30 Aveva trentaquattro anni. Dopo aver avvolto i corpi in un tappeto, Bormann, il cameriere, l’autista e due guardie del corpo delle SS li trasportarono fuori, nel giardino della Cancelleria del Reich. Della benzina travasata dai serbatoi delle auto che stazionavano nel garage del bunker venne versata sopra i corpi di Hitler ed Eva mentre le granate dell’artiglieria sovietica esplodevano al suolo e un vento intenso sibilava attorno ai cadaveri. Dopo ripetuti tentativi falliti di accendere un fiammifero, Bormann diede fuoco a un foglio di carta e lo gettò nella fossa. I presenti diedero l’ultimo saluto e si affrettarono a rientrare. Cinque ore e mezza dopo le ossa annerite di Hitler ed Eva furono seppellite nel cratere aperto da una granata. Nelle successive ventiquattr’ore i sopravvissuti agirono come in trance, confusi e frastornati. Magda si abbandonò a un profondo sconforto; suo marito, Bormann e ciò che restava dei dirigenti del partito provvedevano al da farsi in modo meccanico; la richiesta di un negoziato di pace con i sovietici venne respinta. Nominarono il successore di Hitler, l’ammiraglio Donitz, capo della marina, e formarono un gabinetto di emergenza. Quando la commedia fu terminata e Goebbels ebbe scritto ancora qualche appunto sul diario, Magda si preparò all’ultimo atto. Ai bambini fu fatta bere della cioccolata cui era stato aggiunto un potente sedativo, e si addormentarono quasi istantaneamente. È impossibile sapere con esattezza cosa accadde in seguito. Nessuno dei presenti al momento in cui i bambini morirono sopravvisse per raccontarlo. Dai ricordi di quelli che erano vicini alla scena emergono varie versioni. In generale, tutti concordano nel dire che il medico delle SS, il dottor Stumpfegger, fu coinvolto nell’assassinio dei piccoli, ma ci sono versioni discordanti sul ruolo di Magda. Secondo alcuni era presente e potrebbe persino aver somministrato il veleno di persona. Ma sembra improbabile: Magda potrebbe davvero aver infilato il cianuro nelle bocche dei suoi figli? Da quando si era trasferita al bunker era quasi incapace di averli accanto. Secondo una delle giovani segretarie di Hitler, «Magda aveva a malapena la forza di mantenere la compostezza davanti ai bambini. Ogni volta che li aveva davanti si sentiva così male che scoppiava in lacrime».31 Per quanto fosse una donna determinata, ormai era l’ombra di se stessa: non riusciva a fare i conti con la realtà orribile della decisione che aveva preso. E perché avrebbe dovuto farlo in prima persona, avendo a disposizione un esperto professionista che poteva compiere per lei il gesto finale? Il cameriere di Hitler raccontò di averla vista aspettare «nervosamente» fuori dalla stanza «finché la porta si aprì e ne uscì il medico. I loro sguardi si incontrarono, Magda Goebbels si alzò tremando, senza parlare. Quando il dottore annuì in silenzio, con aria provata, Magda crollò».32 Dopodiché si presume che sia andata a sedersi in camera sua, pallidissima, a giocare al solitario e fumare una sigaretta dopo l’altra. Alle 20.40 la pira funeraria per lei e Goebbels era pronta. Con indosso le insegne d’oro del partito i due uscirono sottobraccio dal bunker ed entrarono nel giardino. Magda morse la sua capsula. Suo marito le sparò un colpo in testa, ingoiò il veleno e si sparò a sua volta. I cadaveri furono calati in una fossa poco profonda e cosparsi di benzina. L’aria era abbastanza ferma per accendere un fiammifero. Magda e Goebbels furono avvolti dalle fiamme; il fuoco bruciò per tutta la notte. Bormann faceva parte di uno dei due gruppi che decisero di scappare. Lasciarono il bunker malridotto e scomparvero nella città devastata, con la morte in agguato a ogni angolo. Bormann tuttavia aveva in mente un solo pensiero: sopravvivere. QUARTA PARTE Resistere 14 Prigionieri

Alcune settimane dopo la fine della guerra Hess scrisse a Ilse una lettera in cui rifletteva in toni ottimistici sulla caduta del nazismo. Gli ideali che avevano perseguito negli ultimi venticinque anni sarebbero tornati: «La Storia non è finita. Prima o poi ritroverà i fili che sembravano spezzati per sempre, e tornerà a intesserli in un nuovo motivo». Quanto a Hitler, il tempo che avevano condiviso con lui era stato «ricco di meravigliose esperienze umane», ed era un privilegio aver preso parte «sin dall’inizio alla crescita di una personalità unica».1 Hess stava per comparire, insieme a Göring e a una manciata di altre figure di spicco del partito, al processo per crimini di guerra davanti al tribunale internazionale di Norimberga. Il fantasma era Bormann, processato in absentia. Le autorità alleate non credevano ai numerosi testimoni che garantivano di averlo visto morire a Berlino. Dopo aver lasciato il bunker di Hitler, Bormann aveva cercato una via di fuga attraverso la città sfigurata dalla battaglia – dove imperversavano ancora gli scontri – insieme al medico delle SS che aveva avvelenato i figli di Magda. Durante la fuga si imbatterono in tre panzer e si unirono ai soldati; raggiunti anche dal cameriere e dall’autista di Hitler, intrapresero una marcia lenta ma efficace che li portò fino a una barriera anticarro sovietica. Secondo il racconto dell’autista di Hitler, «i russi cominciarono a sparare con tutte le armi che avevano. Un attimo dopo esplose una lingua di fuoco infernale»2 e il cameriere di Hitler vide Bormann e il medico «scagliati in aria come due bambole dalla deflagrazione».3 Nella fretta di fuggire, nessuno dei fedeli di Hitler si fermò a controllare se Bormann fosse vivo. Poco dopo Arthur Axmann, uno dei leader della Gioventù hitleriana, «si imbatté nei cadaveri di Martin Bormann e del suo compagno». Axmann disse agli americani che i due «erano distesi l’uno accanto all’altro, immobili». Sulle prime pensò «che fossero svenuti o stessero dormendo», ma quando si chinò per esaminarli notò che «non respiravano». In assenza di ferite visibili, Axmann dedusse che Bormann «si fosse avvelenato».4 L’irreperibilità del cadavere tuttavia alimentò dubbi e speculazioni, e in breve si diffuse la convinzione generale che Bormann fosse in qualche modo sopravvissuto e fuggito. Gli investigatori erano impazienti di parlare con Gerda per indagare sui luoghi in cui poteva nascondersi. Gerda però non aveva idea di dove si trovasse il marito, né se fosse vivo o morto. Aveva attraversato le Alpi e raggiunto il Sud Tirolo, dove era stata accolta dal leader nazista della regione, che aveva predisposto un nascondiglio per il materiale compromettente in possesso di Gerda e le aveva trovato una casa in una valle a una cinquantina di chilometri da Bolzano. Benché per il momento fosse al sicuro, Gerda soffriva terribilmente. Sua cognata, che aveva condiviso il viaggio con lei, si accorse che «stava sempre peggio. Di solito era una persona che non si lamentava mai […] invece non riusciva a nascondere il dolore».5 Insieme trovarono un medico italiano che riconobbe subito la gravità della situazione: Gerda aveva un tumore alle ovaie in stadio avanzato e doveva essere operata il prima possibile. Gli Alleati erano già sulle sue tracce. Una donna di Monaco, sconvolta, era andata dalle autorità per informarle che Gerda aveva rapito suo figlio e lo aveva portato in Tirolo. Due agenti del controspionaggio la rintracciarono e informarono l’unità inglese attiva nell’area. Dopo aver consultato il medico che aveva visitato Gerda, un maggiore dell’esercito inglese – che considerava Gerda «una donna molto simpatica»6 – si presentò alla sua porta. Temendo che volessero portarla in un campo di concentramento, Gerda fu colta dal panico, ma il maggiore le assicurò che non correva rischi. La ricoverarono in un ospedale per prigionieri di guerra a Merano, dove venne operata, ma invano. Davanti alla morte imminente Gerda cercò conforto nella religione e si convertì al cattolicesimo. Morì il 23 marzo 1946, a pochi mesi dal suo trentasettesimo compleanno. Fatta eccezione per la corrispondenza tra lei e il marito, che copre gli anni tra il 1943 e il 1945 (ritrovata a Berlino, smentisce nettamente la visione generale di una donna dall’animo gentile e introverso), Gerda non lasciò tracce di sé. L’unico vero oggetto di valore tra i suoi averi era la copia di Bormann delle Conversazioni a tavola di Hitler, che aveva portato con sé da Obersalzberg. L’ufficiale italiano incaricato di liquidare gli averi della donna vendette il manoscritto a François Genoud, finanziere svizzero-francese e spia nazista che durante la guerra riciclava denaro per il partito. Genoud tradusse il documento in francese – probabilmente modificando qua e là il testo –, e la sua versione fu acquistata da un editore britannico che la pubblicò in inglese nel 1953. Al di là dei numerosi dubbi sull’autenticità e l’accuratezza di questa presunta testimonianza rigorosa dei monologhi di Hitler, Bormann riuscì nell’impresa di restituire la voce del suo maestro, e di consegnare alle future generazioni una traccia dell’esperienza di trovarsi al Berghof ad ascoltare le prediche noiose e prolisse di Hitler sui suoi argomenti preferiti. Seguendo le istruzioni di Gerda i figli vennero affidati alle cure del reverendo Theodor Schmitz, un cappellano cattolico dell’esercito tedesco. Alcuni di loro morirono in giovane età, mentre gli altri vennero dati in affidamento a famiglie italiane. Il più grande, Martin Adolf – che era riuscito a riunirsi con i fratelli dopo essere stato nascosto da un allevatore e sua moglie – divenne un prete gesuita. Il padre di Gerda, Walter Buch, che aveva indirizzato la figlia verso il nazismo, fu prelevato dagli Alleati alla fine di aprile del 1945. A causa della lunga frequentazione con Hitler lo trattarono come una figura importante, ma lui negava il peso della propria influenza, dichiarando che l’odio di suo genero lo aveva privato del potere e di qualsiasi autorità. Si mostrò reticente anche a proposito della propria devozione a Hitler, rifiutando di rilasciare dichiarazioni personali sulla sua lealtà; secondo Buch, Hitler ce l’aveva fatta grazie al suo «potere persuasivo e all’amore per il popolo tedesco», ricambiato dal «bisogno [del popolo] di avere un leader». Nel corso dei numerosi interrogatori Buch si ostinava a dichiararsi «un uomo che per diciassette anni è stato costretto, contro la propria volontà, a fare un lavoro che non gli piaceva. Continuavo a chiedere di essere sollevato dalle mie responsabilità e di poter tornare alla mia posizione di ufficiale effettivo dell’esercito».7 Tuttavia, gli Alleati non gli credettero, e lo tennero in prigione fino al novembre del 1949. A sessantasette anni, senza più niente per cui valesse la pena vivere, l’ex soldato scelse quello che considerava un modo onorevole di uscire di scena: poco dopo essere stato rilasciato, il padre di Gerda si tagliò le vene e si gettò in un fiume. Il marito di Gerda invece continuava a vivere, almeno nella testa di coloro che cercavano di rintracciarlo. Dopo Norimberga ci furono presunti avvistamenti di Bormann nel Nord della Germania, in Danimarca, in Italia e in Spagna. Poi, dal 1952 circa, l’attenzione si spostò verso il Sudamerica e girava voce che fosse stato in Argentina, Cile e Perù. La CIA aveva aperto un fascicolo su di lui, scriveva rapporti costanti, seguiva piste, teneva i tabulati di misteriosi informatori e rintracciava chiunque potesse avere avuto contatti con Bormann dal tempo della guerra. Il ritrovamento di Adolf Eichmann – il cervello della logistica della Soluzione finale – in Argentina, il suo sequestro per mano dei servizi segreti israeliani e il conseguente processo a Gerusalemme attirarono l’attenzione sulla diaspora nazista in Sudamerica, che riguardava anche il medico di Auschwitz, il dottor Joseph Mengele, e alimentarono le voci che circolavano sul marito di Gerda. Alla fine degli anni sessanta numerosi scrittori e giornalisti investigativi andarono alla ricerca di Bormann, mettendo insieme qualsiasi indizio potesse indicare la direzione da seguire; alcuni sostenevano di aver trovato prove inconfutabili della sua esistenza, qualcuno dichiarò addirittura di essere stato faccia a faccia con lui. Questi autori contribuirono a promuovere l’idea che Bormann fosse a capo di una potente organizzazione segreta – una rete globale di nazisti – che tramava per costruire il Quarto Reich, un’idea che all’epoca ispirò un gran numero di romanzi di successo. A dicembre del 1972 i muratori di un cantiere di Berlino trovarono due scheletri dai teschi intatti nei pressi del luogo in cui Bormann era stato visto per l’ultima volta. Le impronte dentali e la ricostruzione facciale confermarono che le ossa appartenevano a lui. Ulteriori ricerche chiarirono anche le circostanze della morte. Pare che lo sbarramento sovietico lo avesse bloccato – forse seppellendolo sotto le macerie – e che, incapace di muoversi, Bormann abbia preso il cianuro per non essere catturato dai soldati sovietici. Il mistero che avvolgeva il destino di Bormann fu risolto e lo spettro del marito di Gerda poté finalmente riposare in pace.

All’inizio dell’estate del 1945 Ilse venne presa in custodia dalle truppe francesi per quattordici giorni durante i quali venne trattata bene, prima di essere trasferita in una località vicina a Norimberga. Le autorità alleate speravano fosse in grado di abbattere il muro che circondava suo marito, la cui amnesia era tornata più potente che mai. La memoria a breve e a lungo termine di Hess si era dissolta, o almeno così sembrava. Sul banco degli imputati teneva un comportamento bizzarro: leggeva romanzi, mormorava tra sé o dormiva, mentre quand’era in cella rifiutava il cibo ed esplodeva in violenti attacchi di rabbia. La squadra di psichiatri che lo aveva in cura era incline a credergli – uno di loro definì la condizione di Hess «amnesia isterica» – ma non poteva esserci una certezza totale. Tra i più scettici c’era il colonnello americano Burton Andrus, responsabile dei prigionieri: «Dal momento in cui l’uomo col vecchio soprabito e gli stivali da aviatore cominciò a parlare della cioccolata», che Hess pensava fosse stata avvelenata, «capii che la sua pazzia era finta».8 Gli Alleati non avevano comunque altra scelta che prendere sul serio l’amnesia di Hess. Ilse avvertì un ufficiale americano che il modo migliore per scuoterlo era concentrarsi sulla sua vita personale piuttosto che sulle attività politiche. Consegnò all’ufficiale ottanta fotografie di famiglia, incluse alcune immagini recenti di Wolf, e gli consigliò «l’utilizzo della musica classica come possibile terapia»,9 preferibilmente il Flauto magico di Mozart o Il barbiere di Siviglia di Rossini. Gli Alleati non seguirono il consiglio, ma non avevano più tempo né idee. Il progetto di fargli incontrare Ilse e Wolf saltò a causa del netto rifiuto di Hess di vedere la sua famiglia. Non sapendo più che cosa fare, gli Alleati ricorsero a una forma di terapia d’urto, mettendo Hess in una stanza con una serie di persone che avrebbero dovuto essergli familiari. Il primo fu Göring. Alla vista del vecchio compagno di partito la reazione confusa di Hess fu: «E lei chi è?». Göring lo prese come un insulto e rispose: «Dovrebbe saperlo. Ci conosciamo da anni». Hess ammise che il nome di Göring gli diceva qualcosa, ma nient’altro. Esasperato, Göring incalzava: «Non ricorda che venivo a trovare la sua famiglia e sua moglie? Ho visto lei e sua moglie molte volte. Anche lei è venuto a trovare la mia famiglia con sua moglie». Hess scosse la testa, impotente, dando la colpa all’amnesia, «una nebbia dietro cui è scomparso tutto quanto».10 Non riuscirono nell’intento di fargli ritrovare la memoria nemmeno due delle segretarie di Hess. Persino il professor Haushofer fece un buco nell’acqua. Il professore era noto agli Alleati, venne prelevato dalla sua fattoria e portato a Norimberga. Giurò di fare tutto il possibile per fare breccia nel suo vecchio amico. «Sono pronto a vederlo anche nello stato critico in cui versa adesso […] Sono pronto […] ad andare di fronte al Diavolo e a parlare con lui».11 Invece di affrontare Hess in modo diretto, come aveva fatto Göring, Haushofer cercò di convincerlo a uscire dal guscio; gli mostrò una foto di Ilse – che Hess riconobbe – e gli disse che lei gli aveva mostrato tutte le sue lettere, il che significava che era «rimasto in contatto» con «la vita spirituale e […] i sentimenti»12 di Hess, e gli parlò della madre. Ma quando Haushofer accennò alla casa di Monaco, Hess negò di aver vissuto là. La nebbia lo aveva inghiottito di nuovo. L’incontro disturbò profondamente il professore, che aveva già alcuni problemi di salute. Pochi giorni prima del confronto con Hess aveva avuto un lieve malore, e gli interrogatori erano stati molto duri. Gli Alleati volevano che Haushofer ammettesse che le sue teorie erano state alla base dell’imperialismo genocida di Hitler. Haushofer rispose che le accuse erano assurde, dal momento che Hitler e «i suoi discepoli» non conoscevano «quasi niente dei fatti del mondo». Al contempo il professore era «felicemente sposato da cinquant’anni con una donna non-ariana»; dopo la partenza di Hess aveva vissuto sotto costante minaccia. Gli accusatori non erano convinti e accennarono a una colpevolezza per associazione, mostrando al professore uno dei suoi periodici, con articoli che definivano gli Stati Uniti la casa «dei plutocrati ebrei». L’effetto fu immediato; chi lo interrogava riferì che «quando lesse [la pagina], Haushofer ebbe un crollo emotivo, scoppiò in lacrime e riuscì a malapena a parlare».13 Alla fine, il professor Haushofer fu rilasciato, ma con la consapevolezza di poter essere di nuovo arrestato da un momento all’altro. Aveva settantasei anni. Suo figlio Albrecht era stato brutalmente assassinato, e adesso il figlio elettivo – che lo aveva prima protetto e poi esposto a gravi pericoli – sembrava essere un’anima perduta, avvolta dall’oscurità. Un giorno di marzo del 1946 il professore e la moglie fecero una passeggiata nel bosco. A meno di un chilometro da casa si fermarono sotto un salice. Ingerirono entrambi del veleno, poi Haushofer impiccò Martha a un ramo e morì ai suoi piedi. I loro corpi furono trovati il giorno dopo.

Il 30 novembre 1945 Hess si destò all’improvviso e comunicò alla corte stupefatta che la sua amnesia era falsa – «simulata» per motivi «tattici». La sua «memoria» era «di nuovo a disposizione del mondo». Come se non bastasse, si assunse «la piena responsabilità» di tutto ciò che aveva «fatto», «firmato», «co-firmato».14 Sembrava che Hess avesse ingannato tutti, compresa Ilse. Ma la fatica di portare avanti quella farsa per un periodo di tempo così lungo, nel tentativo di convincere il gruppo di esperti intenti a metterlo continuamente alla prova che l’amnesia era genuina, ebbe delle conseguenze sulla sua salute mentale. Per ingannare i carcerieri doveva ingannare se stesso, il che era un gioco pericoloso, e in una lettera a Ilse ammetteva: «quand’ero in Inghilterra, recitando la parte di un uomo colpito da amnesia imparai molte cose a memoria per cercare di salvarmi dal destino che stavo accuratamente fingendo mi fosse toccato».15 Il suo comportamento durante la prigionia suggerisce tuttavia che la finzione lo abbia sopraffatto al punto di renderlo vittima della condizione che stava simulando. A poche settimane dalla sua teatrale dichiarazione in tribunale, la mente di Hess era di nuovo avvolta dall’oscurità. Il 1º ottobre 1946 fu condannato all’ergastolo. Il fatto che fosse volato in Inghilterra prima che iniziasse davvero il genocidio degli ebrei gli salvò la vita. Göring e altri otto furono condannati a morte per impiccagione. Negli ultimi giorni di guerra, dopo che Emmy e il marito ebbero raggiunto il castello in Austria e senza più la scorta delle SS a proteggerli, Göring fu prelevato dagli americani. Mentre Emmy lo guardava allontanarsi, il suo nervo sciatico si infiammò: «Quando cominciai a spazzolarmi i capelli, il braccio destro cadde all’improvviso inerte, e io avvertii un dolore violento. Era l’inizio di una paralisi. Ci vollero due anni prima che fossi in grado di tornare a usare il braccio correttamente». Poco tempo dopo Emmy e la figlia Edda, che aveva sette anni, furono mandate al castello di Göring in Baviera, e scoprirono che era stato saccheggiato dalle truppe americane. «La casa era in condizioni spaventose! Completamente vuota! Non avevano lasciato nemmeno una lampadina. In seguito, seppi che gli americani avevano portato via dodici autocarri carichi di mobili».16 Per aggiungere il danno alla beffa, un giudice le sottrasse alcuni smeraldi in cambio della promessa che il marito sarebbe stato liberato. Il 19 novembre 1945 uno degli psichiatri di Norimberga le portò una lettera di Göring, la prima che avesse ricevuto da quando lo avevano portato via. Suo marito non era allarmato dalla situazione, piuttosto sembrava preoccupato per lei: «Mi fa disperare pensare a quello che devi patire per colpa mia, solo perché sei mia moglie. L’unica cosa che mi angoscia e mi opprime è il pensiero di te».17 Cinque giorni dopo Emmy, la sorella e la nipote vennero sbattute in una prigione di Straubing, in una cella con un materasso di paglia e un lavabo. Edda arrivò tre giorni dopo, con il suo orsacchiotto e la febbre alta. Ci mise un paio di settimane per riprendersi. A cavallo di Capodanno il gruppo venne ospitato da alcune suore cattoliche, poi si trasferì in uno chalet nel bosco con una cameriera, sebbene la costruzione fosse poco più che una capanna senza elettricità né acqua corrente. Le condizioni erano disagevoli, ma a far soffrire di più Emmy era la lontananza dal marito. Non vedendo alternative, scrisse una lettera appassionata al colonnello Andrus, pregandolo di permetterle di andare a trovare Göring: «Non vedo mio marito da oltre un anno e mi manca moltissimo. Non so più che cosa fare, mi serve la forza per andare avanti senza di lui. Mi aiuterebbe immensamente passare qualche minuto con lui e potergli tenere la mano».18 La sua richiesta fu respinta. Le autorità di Norimberga non volevano che l’umore di Göring migliorasse ulteriormente; durante la prigionia era stato costretto a interrompere all’improvviso gli antidolorifici, con il risultato che, superata la dipendenza, aveva perso peso e riconquistato lo spirito battagliero. Nei lunghi interrogatori e controinterrogatori in tribunale non si mostrava debole, anzi era spavaldo, metteva in discussione la legittimità del tribunale e sosteneva che le accuse di crimini di guerra erano assurde perché fare una guerra è inevitabilmente un crimine. Inoltre, era diventato il leader degli altri prigionieri di alto profilo – fatta eccezione per Albert Speer, che aveva scelto di rinnegare Hitler e tutto ciò che rappresentava – e cercava di coordinare un fronte unitario. Emmy era orgogliosa della ribellione del marito e disse a un altro psichiatra di Norimberga che Göring voleva dimostrare al mondo che non aveva niente di cui vergognarsi e non avrebbe «fatto marcia indietro come un codardo». Quando le fu chiesto della Soluzione finale, Emmy si limitò a dichiarare che «Hitler doveva essere pazzo».19 Nonostante i suoi modi spavaldi, le prove contro Göring erano schiaccianti e provavano senza ombra di dubbio il suo coinvolgimento nello sterminio degli ebrei. L’imputato si dimostrò particolarmente a disagio di fronte alle rivelazioni sugli esperimenti raccapriccianti subiti dai prigionieri dei campi a beneficio della Luftwaffe. Emmy e Edda ottennero finalmente il permesso di vedere Göring il 12 settembre 1946, e trascorsero mezz’ora con lui, incatenato a una guardia. Erano separati da una parete di vetro; Emmy e suo marito chiacchierarono del più e del meno. Edda gli lesse le poesie che aveva scritto. Nelle settimane successive tornarono a trovarlo otto volte. Il loro ultimo incontro risale al 7 ottobre. Emmy si mostrò coraggiosa e disse a Göring che adesso poteva «affrontare la morte con la coscienza pulita», dopo aver fatto tutto quello che poteva «a Norimberga» per i suoi compagni e «per la Germania».20 Fuori dalla prigione, però, Emmy lasciò cadere la maschera; il pensiero del suo amato appeso come un pezzo di carne la devastava. Un’altra donna andata a trovare il marito ricordò che «i suoi occhi grigio- verdi erano pieni di lacrime. Le rigavano il viso. Aveva l’aria completamente distrutta e inconsolabile».21 Eppure, le ultime parole che le aveva detto Göring erano state: «Non mi impiccheranno». L’idea di morire in quel modo lo oltraggiava. Aveva chiesto di essere giustiziato da un plotone d’esecuzione, ma invano. Perciò la sera prima di salire sul patibolo, verso le ventidue del 15 ottobre, Göring ingerì del cianuro. Non sapremo mai come fece a procurarselo. Nel biglietto che lasciò, scrisse di averlo avuto con sé sin dal momento dell’arresto, nascosto addosso. È tuttavia improbabile, considerato il numero di perquisizioni a cui fu sottoposto prima di entrare nella cella di Norimberga. Probabilmente glielo procurò una delle guardie americane con cui aveva fatto amicizia. Quando Emmy disse a Edda cos’era successo, la bambina spiegò la sua teoria: «Un angelo è sceso dal soffitto della cella e gli ha dato il veleno».22 Le ceneri di Göring vennero disperse in un posto segreto fuori Norimberga. Riflettendo sul modo in cui era morto, Emmy non si capacitava che «un uomo del genere» – che «aveva sempre dato così tanto agli altri, ed era pieno di comprensione», «l’incarnazione della devozione e della bontà», «un modello di compassione e di fedeltà» – fosse stato trattato così duramente.23

Emotivamente distrutta e fisicamente logorata, Emmy ricevette assistenza medica durante i mesi che seguirono Norimberga. Il 29 marzo 1947 fu considerata abbastanza in salute da poter essere trasferita insieme a un altro migliaio di donne – incluse altre mogli di SS, prostitute e donne dello staff dei campi di concentramento – ad Augsburg-Göttingen, in un ex campo di lavoro per donne sovietiche che una recinzione di filo spinato separava da migliaia di prigionieri uomini. La struttura era organizzata in cinque casermoni, e imponeva alle detenute riflettori, sirene e appelli nel cuore della notte. All’inizio Emmy stava nella clinica, ma poi venne trasferita in una baracca con dentro «due topi enormi». Una delle sue coinquiline era Henriette Hoffmann, il cui marito, Baldur von Schirach, era sfuggito alla pena di morte a Norimberga. Durante la guerra Henriette era caduta in disgrazia per essersi opposta a Hitler dopo aver assistito, durante un viaggio in Olanda, a episodi di maltrattamento degli ebrei. Hitler non gradì le sue lamentele, e Henriette smise di essere la benvenuta: la bimba prodigio aveva deluso lo «zio Adolf». Secondo Henriette, Emmy era una delle poche donne a preoccuparsi per il proprio aspetto, ed era l’unica detenuta a mantenersi «bellissima, come una famosa attrice che impersonasse la Gretchen del Faust in prigione». Emmy aveva con sé una camicia da notte – che assomigliava a «un abito da sera» – e poiché era «fissata con la pulizia», «la lavava almeno tre volte alla settimana, anche se era un lavoro complicato. Non si fidava di nessuno alla lavanderia e lo faceva di persona, in una graziosa bacinella liscia come l’argento».24 Alcune settimane dopo l’insediamento di Emmy ad Augsburg-Göttingen arrivò anche Ilse; Henriette ricordò che «portava i capelli lunghi e sembrava una predicatrice itinerante».25 Ilse condivideva una baracca con altre sedici prigioniere – a suo dire tutte «magnifiche»26 – ed era particolarmente affezionata a un’anziana che aveva lavorato come addetta alle pulizie nel quartier generale del partito gestito da Hess a Monaco. Il suo umore migliorò quando le fu concesso di avere con sé il figlio Wolf, e poco tempo dopo Emmy si ricongiunse a Edda. Nel frattempo, il 18 luglio 1947, alle quattro di notte, Hess fu trasferito nella prigione di Spandau, a Berlino, con altri sei prigionieri. La prigione copriva otto acri, aveva due anelli esterni di recinzioni elettrificate, nove torrette di guardia in cemento e un muro interno alto otto metri. Hess occupava una cella di quattro metri quadrati, dipinta di fresco, dotata di un letto di metallo, un materasso, una sedia e un tavolino, un lavabo, una saponetta, un asciugamano su una mensola e una finestra sbarrata. Hess e Ilse continuarono a scriversi, entrambi mantenendo un tono leggero; Ilse gli disse di aver conservato il suo «senso dell’umorismo» e di aver formato uno «splendido circolo di studi letterari» con alcune delle altre donne, insieme alle quali stava affrontando l’opera del poeta Rilke. Il tempo tuttavia scorreva lentamente. A Natale del 1947 il confinamento non accennava a concludersi. Ilse però era più preoccupata del benessere di Emmy che del proprio; non solo era «malata», ma «negli ultimi due anni» aveva dovuto «sopportare molto più di me».27 Ilse aveva ragione; Emmy faticava a tollerare una detenzione così lunga e a ottobre aveva scritto a un ministro del governo una lettera indignata sull’ingiustizia della sua situazione: «Sono completamente apolitica […]. La mia unica colpa è essere la moglie di Hermann Göring. Non potete punire una donna per aver amato suo marito ed essere stata felicemente sposata con lui».28 Sia Emmy sia Ilse erano in attesa di comparire davanti ai tribunali di denazificazione. Mentre gli Alleati si concentravano sui processi contro le figure di spicco del movimento e contro coloro che avevano avuto un ruolo nella Soluzione finale, la magistratura della Germania occidentale si occupava delle centinaia di migliaia di persone che avevano collaborato con il regime. Ogni sospettato era classificato secondo cinque categorie di colpevolezza, la più grave delle quali, la Categoria I, indicava i criminali importanti. Di solito i tribunali erano piuttosto clementi. Dal momento che era impossibile reclutare personale totalmente nuovo, molti dei giudici coinvolti erano stati simpatizzanti nazisti – a settembre del 1950, quando il processo cominciò lentamente a esaurirsi, erano state processate 950 000 persone, 270 000 delle quali graziate. A marzo del 1948 Ilse comparve finalmente davanti a un tribunale di denazificazione e venne completamente assolta: il volo di Hess e le sue conseguenze gli avevano già salvato la vita; adesso risparmiavano a Ilse ulteriori castighi per gli anni di ferma dedizione a Hitler. Emmy fu processata due mesi dopo Ilse. Il procedimento durò due giorni. Sedici testimoni parlarono in suo favore; gli amici ebrei che aveva aiutato, i residenti della casa di riposo per attori da lei fondata, famose attrici cinematografiche e persino il suo vecchio partner Gustav Gründgens. Emmy però era una figura dal profilo troppo alto per essere liquidata con una bacchettata sulle mani. Secondo il giudice «non solo condivideva i privilegi personali, ma anche lo stile di vita eccessivamente lussuoso di suo marito».29 Venne classificata nella Categoria II – attivisti, militanti, profittatori o persone incriminate – e condannata a un anno di carcere, che aveva già scontato. Il 30 per cento dei suoi beni e delle sue proprietà venne confiscato e fu bandita dai palcoscenici per cinque anni. La notizia del verdetto fu accolta con shock e sgomento dal popolo tedesco. Com’era possibile che Emmy Göring, che aveva ostentato il suo potere per tanti anni, se la fosse cavata così? A Stoccarda trecento donne manifestarono per esprimere la loro rabbia e il loro disgusto. 15 Ricordare e dimenticare

Il 13 maggio 1945 gli Alleati scovarono in Tirolo Margarete e la figlia Gudrun e le presero in custodia. Dopo aver trascorso due notti in un albergo americano vicino a Bolzano e una notte a Verona, le due donne volarono a Firenze e conclusero il viaggio in un centro interrogatori gestito dagli inglesi nei pressi di Roma, uniche prigioniere donne in un campo maschile. Margarete rimase all’oscuro della sorte del marito fino al 20 agosto, durante un’intervista con Ann Stringer, una giornalista americana della United Press. Quando divenne chiaro che gli Alleati non avrebbero stretto accordi con lui, Himmler aveva cercato di confondersi tra le migliaia di fuggitivi diretti a ovest, ma era stato arrestato dai soldati inglesi e il 23 maggio, proprio mentre i suoi carcerieri cominciavano a intuire chi avevano davanti, aveva ingerito del cianuro. Margarete rimase impassibile. Nel momento in cui Stringer la informò che «Himmler era seppellito in una tomba senza nome», la donna «non mostrò sorpresa, né interesse. Non avevo mai visto una dimostrazione così gelida della capacità di controllare i sentimenti». Quello che non poteva capire era che Margarete avrebbe considerato un oltraggio alla propria dignità mostrare le sue emozioni di fronte a una giornalista americana. Margarete aveva seguito le notizie sui campi di sterminio, e sapeva che il marito sarebbe stato incolpato. Davanti alla prospettiva di dover spiegare le azioni di Himmler, scelse di dichiararsi all’oscuro di tutto e disse a Stringer di essere «solo una donna» che «non capiva niente di politica».1 Da Roma lei e Gudrun furono trasferite a Norimberga. All’arrivo Margarete venne perquisita e «nell’imbottitura della spalla del cappotto trovarono una fialetta di cianuro di potassio». Margarete e la figlia vennero chiuse in una cella spoglia con due panche a fare da letti. Consapevole che il carcere di Norimberga non era esattamente il posto ideale per un’adolescente, il colonnello Andrus cercò di rendere i giorni di Gudrun più normali: «Ero deciso a fare in modo che l’educazione della ragazzina non si interrompesse. Andammo a fare compere a Norimberga […] per trovare libri scolastici e acquerelli. Mi dimostrò la sua riconoscenza mandandomi un disegno di fiori gialli e azzurri».2 Ciononostante, Gudrun venne interrogata il 22 settembre 1945; le chiesero dell’ultimo incontro con il padre e se durante la guerra avesse viaggiato molto. Gudrun rispose che aveva trascorso «gli ultimi cinque anni […] a casa o a scuola». Accennò alla visita alla piantagione di Dachau, e quando le chiesero se i suoi genitori avessero mai parlato dei loro progetti per dopo la guerra o di qualcos’altro di significativo, la sua risposta fu inequivocabile: «Mia madre non mi ha mai detto niente».3 Quattro giorni dopo fu il turno di Margarete. Com’era prevedibile, chi la interrogava era interessato soprattutto al ruolo del marito nella gestione della Soluzione finale e a sapere quanto lei fosse consapevole di ciò che stava succedendo. Sulle prime Margarete rispose che Himmler non le aveva mai parlato dei campi di sterminio, ma incalzata confessò che sapeva «dell’esistenza» di alcuni di essi, seppure non riusciva a ricordare chi gliene avesse parlato – «forse» Himmler, non ne era sicura. Sotto pressione ammise di aver visitato Ravensbrück – «ho visto coi miei occhi il campo di concentramento femminile» –, ma non disse quando né perché ci andò; il terreno di Ravensbrück includeva un orto di erbe officinali, sebbene più piccolo di quello di Dachau, e vi lavoravano le infermiere della Croce rossa tedesca. Margarete non accennava a Ravensbrück nel diario, ma è probabile che abbia ispezionato il campo durante uno dei suoi viaggi ufficiali, andando in Polonia nel 1940 o in Lituania nel 1942. Quanto al fatto che il marito fosse la mente del programma di annientamento degli ebrei, Margarete incolpò Hitler: «Penso che queste cose fossero decise dal Führer». Inoltre, ci tenne a sottolineare che la sua separazione da Himmler implicava averlo visto «quindici o venti volte» durante tutto il periodo della guerra, e soltanto per tre giorni alla volta. Quando si trattò di Hedwig, tuttavia, si dimostrò riluttante a entrare nei dettagli. Finse di non ricordare il suo nome o quanti figli avesse, anche se ammise che Himmler non era un marito «fedele».4 Hedwig era arrivata in Austria alla fine della guerra, ma trovarla non fu difficile. Venne interrogata il 22 maggio 1945, e descrisse Himmler come «un idealista con una profonda fede nella Germania e nel Führer». Per gli inquirenti Hedwig era «una donna attraente sulla trentina», che appariva «semplice, non forte o calcolatrice».5 Considerata una figura priva di importanza, Hedwig fu rilasciata. Non dovette fronteggiare un processo di denazificazione e si stabilì in Baviera, dove si tenne in contatto con alcuni ex colleghi di Himmler e con i membri della sua famiglia. Nel 1953 decise di tagliare tutti i ponti con il passato, si trasferì a Baden-Baden, si sposò e trovò lavoro come segretaria, felice di essere dimenticata. Rilasciò un’intervista prima di morire nel 1994, in cui continuava a dichiararsi all’oscuro di ciò che faceva Himmler durante la guerra; non accennò mai ai mobili realizzati con parti anatomiche presenti nella soffitta della sua casa di Berchtesgaden.

Lina e la figlia più piccola vivevano da Frieda Wolff al lago Tegernsee quando la guerra finì, e furono prontamente allontanate dalle truppe americane, che volevano requisire la casa di Frieda. Per un po’ Lina e sua figlia dormirono in auto, prima di trovare un letto in un ospedale della zona. Dopo aver affidato la piccola ad alcuni amici per tenerla al sicuro, Lina si imbarcò per il lungo viaggio che l’avrebbe riportata a Fehmarn; viaggiò in treno da Tegernsee a Monaco, in bicicletta fino ad Augusta, fece l’autostop fino a Stoccarda e infine prese un altro treno da Hannover alla costa baltica. Arrivò a casa dei genitori il 7 settembre 1945 e si presentò alle autorità inglesi che amministravano la regione. Circa un anno dopo Lina ebbe una notizia inquietante: era ricercata dalle autorità di Praga per crimini contro l’umanità. Temendo che gli inglesi potessero consegnarla, Lina si procurò dei documenti falsi e si diresse a sud, fermandosi a Monaco prima di attraversare il confine con l’Austria, dove cominciò a lavorare come mungitrice in una fattoria. Dopo aver sofferto ogni minuto di quell’esperienza, rinunciò e fece ritorno a Fehmarn. Il 19 ottobre 1947 il Tribunale speciale del popolo di Praga – che aveva raccolto le testimonianze di alcuni manovali della proprietà di Lina in Cecoslovacchia – la condannò all’ergastolo con vent’anni di lavori forzati per aver ridotto alla fame un gruppo di prigionieri e averli fatti picchiare dalle sue guardie delle SS. Le autorità cecoslovacche chiesero l’estradizione di Lina, ma gli inglesi rifiutarono e si incaricarono personalmente dell’arresto. Il processo di denazificazione a Lina ebbe luogo il 29 giugno 1949; le fu attribuita la Categoria IV – quella dei seguaci o simpatizzanti – e fu rilasciata senza condanne a pene detentive. Forse l’assassinio del marito venne considerato un castigo sufficiente. Persino per gli standard dei tribunali di denazificazione era un giudizio stranamente generoso, considerata l’accusa contro di lei a Praga e il ruolo di Heydrich nell’ideare e gestire la Soluzione finale, meticolosamente ricostruito durante i processi del 1947-48 ai leader sopravvissuti degli Einsatzgruppen. Anche Lina fu sorpresa dalla clemenza della corte: «Diventai una delle poche naziste a non essere mai stata in prigione, e un po’ mi dispiacque».6 Lina tuttavia fece appello, e a gennaio del 1951 fu retrocessa alla Categoria V – persone esonerate o non incriminate – e autorizzata a mantenere i suoi averi, inclusa la villa di Fehmarn; la convertì in una pensione con ristorante. Molti dei visitatori erano veterani delle SS, grazie ai quali conobbe un’organizzazione di beneficenza di nome Stille Hilfe (“Assistenza silenziosa”) costituita nel novembre del 1951 da una trentina di membri per «dare sostegno a tutti coloro che, a causa della guerra e delle condizioni del dopoguerra, hanno perso la libertà attraverso la prigionia, l’internamento o circostanze simili».7 Fondata da Helene Elisabeth von Isenburg, nevrotica e devota cattolica il cui defunto marito era stato un fervente nazista e professore di sociologia della famiglia a Monaco, Stille Hilfe raccoglieva denaro in favore di ex componenti delle SS – personale semplice dei campi di concentramento così come ufficiali di grado elevato – rinchiusi in carcere, pagava le spese della loro rappresentanza legale, tormentava le autorità riguardo al loro trattamento e li aiutava a reintegrarsi nella vita civile dopo la scarcerazione. Sebbene Lina abbia certamente riconosciuto le facce e i nomi delle SS che soggiornarono nella pensione, tra loro non c’erano i suoi amici di Berlino. Schellenberg si era reinventato come informatore del controspionaggio internazionale e assisteva gli agenti americani nel loro tentativo di acciuffare nazisti in fuga. L’esperto di eutanasia Max de Crinis e la moglie Lili si avvelenarono il 2 maggio 1945. Herbert Backe – incaricato della produzione e distribuzione del cibo durante la guerra e responsabile della morte per fame di milioni di persone – si impiccò nella sua cella di Norimberga il 6 aprile 1947. La moglie Ursula fu l’unica della cerchia di Lina a rimanere in contatto con lei e all’inizio degli anni cinquanta ospitò suo figlio Heider mentre studiava ingegneria all’università di Hannover. Il ragazzo si laureò e cominciò a lavorare per la compagnia aeronautica tedesca Dornier. La figlia minore di Lina, Marte, sposò un agricoltore e aprì un negozio di abbigliamento a Fehmarn. L’altra figlia, Silke, divenne una modella, visse per un po’ in Messico e poi tornò a Fehmarn, dove si stabilì. Sempre preoccupata delle sue finanze, Lina intraprese una serie di azioni legali per ricevere la pensione che spettava alla vedova di un generale tedesco ucciso in azione, equivalente alla somma percepita dalla vedova di un ministro. Nonostante le prove dettagliate esposte in tribunale sul ruolo avuto da Heydrich nell’Olo causto, Lina vinse la causa. Sin dal 1949, quando rilasciò un’intervista a un giornalista del “Der Spiegel”, Lina non si lasciava sfuggire l’opportunità di parlare del marito. Nel 1951 fu contattata da Jean Vaughan, scrittore simpatizzante nazista, che desiderava lavorare con lei a un libro su Heydrich. Si scrissero per mesi e in alcuni dei loro scambi Lina rispondeva a domande specifiche o forniva informazioni dettagliate insieme a riflessioni più complesse. Inizialmente i racconti di Lina erano esitanti e i suoi pensieri confusi, soprattutto quando si trattava della Soluzione finale. La sua posizione di partenza era la negazione: il marito era innocente rispetto a quel crimine in particolare, e il fatto che il programma di sterminio avesse avuto inizio dopo il suo assassinio ne era la dimostrazione. «Quanto agli ebrei in Russia, per quel che ne so l’ordine di sterminarli partì dai gradi più alti, e non so se fu emesso mentre mio marito erano ancora vivo. Ma più ci penso, più ne dubito.» In tal senso Lina era contenta che Heydrich fosse «morto nel 1942», perché così fu «in grado di mantenere la fede e l’ideale». Lina inoltre sottolineò che Heydrich non aveva alcuna autorità sul sistema dei campi, controllato da Himmler e gestito da un reparto specifico delle SS. Heydrich poteva aver fatto incarcerare delle persone, ma dal momento in cui varcavano i cancelli dei campi il suo potere su di loro finiva; come disse Lina, «non si considera responsabile un giudice per le condizioni di una prigione». E tuttavia la donna non riusciva a liberarsi della sensazione inquietante che il marito dovesse sapere della missione di Himmler e fosse coinvolto nelle fasi della pianificazione. Ma anche se Heydrich era al corrente degli orrori che stavano per accadere, non li condivise con lei: «Manteneva un silenzio assoluto, e se sapeva cosa stava per succedere, di certo è riuscito a tenercelo nascosto».8 Rivangare il passato turbò Lina, che interruppe la corrispondenza con Vaughan. Gli eventi erano ancora troppo recenti, le emozioni troppo intense per essere elaborate, e lei aveva bisogno di tempo e di distanza prima di poter erigere un monumento al marito.

Dopo Norimberga Margarete e la figlia Gudrun rimasero in un campo di prigionia femminile fino al novembre del 1946; malate, depresse e disadattate, vennero entrambe ricoverate insieme a duemilacinquecento epilettici e ottocento altri pazienti in un istituto di igiene mentale amministrato dalla Chiesa cattolica, in attesa che Margarete fosse chiamata a deporre al processo di denazificazione. Tra il 1948 e l’inizio del 1953 Margarete affrontò tre diversi processi dagli esiti differenti. Nel 1948 le assegnarono la Categoria III, incriminati minori; nel 1952, in seguito a un appello, il verdetto fu ridimensionato alla Categoria IV, quella dei seguaci o simpatizzanti. La riclassificazione venne accolta tra le proteste – dopotutto era la moglie di Himmler – e Margarete risalì alla Categoria II, persone incriminate, il che significava subire la confisca di qualsiasi proprietà o bene collegati al marito e perdere il diritto di voto. Margarete non accettò la decisione e per molti anni si batté per ottenere la pensione statale e quella da vedova che era convinta le spettassero. All’epoca si era trasferita in un piccolo appartamento di Monaco; voleva una vita tranquilla e fu contenta di scomparire. I vecchi amici e colleghi erano morti. Ernst-Robert Grawitz, il suo capo alla Croce rossa tedesca, aveva usato una granata per uccidere sé e la sua famiglia. Il professor Gebhardt della clinica Hohenlychen era stato arrestato per gli esperimenti raccapriccianti sui prigionieri dei campi e nell’autunno del 1946, insieme ad altri medici – incluso Karl Brandt, la cui moglie era stata una cara amica di Eva – fu giudicato a Norimberga in quello che passò alla storia come il “processo ai dottori”. Fu condannato a morte e giustiziato il 2 giugno 1948. Più rincuorante per Margarete fu il ritorno del figliastro Gerhard dopo quasi dieci anni in Unione Sovietica. Gerhard – entrato nell’ala militare delle SS durante gli ultimi mesi della guerra – era stato catturato dalle truppe sovietiche e rinchiuso in un campo di lavoro forzato. Le autorità sovietiche, consapevoli del suo legame con Himmler, lo condannarono a venticinque anni di reclusione. Dopo la morte di Stalin cominciò il lento processo di dismissione dei campi e Gerhard venne liberato nel 1955. Andò a Monaco e visse un anno con Margarete. Dopodiché si sposò, cominciò a lavorare come camionista e rimase in contatto sia con la madre affidataria sia con la sorella. Il rapporto tra Gudrun e Margarete era teso; a differenza della madre, la ragazza non era pronta a seppellire il passato. Dopo il diploma andò via di casa e studiò da sarta. Ma costruirsi un’esistenza indipendente non era facile. Quando datori di lavoro e colleghi scoprivano chi era, Gudrun perdeva il posto. Faticando a far quadrare i conti tornò a vivere con la madre e la sua salute cominciò a peggiorare in modo inesorabile. Gudrun tuttavia trovò un senso alla propria vita tra le fila di Stille Hilfe, e per oltre quarant’anni lavorò instancabile per conto dell’associazione di assistenza ai superstiti delle SS. Ne faceva parte sin dalla fondazione e gli altri membri la trattavano con un rispetto e un’ammirazione che sfioravano la riverenza. Gudrun contribuì inoltre a mettere in piedi Wiking-Jugend, un gruppo neonazista ai limiti della legalità rivolto alla sua generazione. Nel 1958 partecipò come ospite d’onore a un raduno di veterani e simpatizzanti delle SS in Austria nei pressi di un antico sito celtico nel cuore delle foreste boeme. L’evento sarebbe diventato una celebrazione a cadenza annuale delle imprese di Himmler; Gudrun considerava «il suo compito nella vita» mostrare Himmler «sotto una luce diversa». Sebbene fosse stato «bollato come il maggiore genocida di tutti i tempi», Gudrun voleva in ogni modo «tentare di correggere questa immagine» e «chiarire quello che [suo padre] pensava e quello che fece».9 Margarete morì il 25 agosto 1967 a settantaquattro anni. Il suo silenzio sul marito e sulla loro vita insieme contribuì all’oblio a cui la condannarono gli storici, convinti che il matrimonio fosse di fatto finito nel 1935. Solo in tempi più recenti, dopo che la corrispondenza con Himmler e frammenti del suo diario divennero di dominio pubblico, è stato possibile penetrare in parte la mente di questa donna-sfinge, decisa a portare i suoi segreti con sé.

Fatta eccezione per il breve matrimonio di convenienza con un regista teatrale finlandese, durato soltanto tre anni, Heydrich fu l’unico uomo nella vita di Lina. Nel 1967 confessò a una rivista femminile: «ancora oggi sogno mio marito quasi ogni notte. Vuole separarsi da me. Vuole lasciarmi. Lo accuso di avermi abbandonata. È così quasi ogni notte».10 Nel 1969 la pensione di Lina a Fehmarn fu distrutta da un incendio divampato dal tetto di paglia, ma grazie ai soldi dell’assicurazione Lina acquistò una nuova proprietà, più piccola, e riprese l’attività. Il suo primo pensiero tuttavia era salvaguardare l’eredità di Heydrich. Era ossessionata dall’idea che il marito subisse un ingiusto trattamento postumo. In una lettera a uno storico olandese, Lina si lamentava del fatto che Heydrich fosse giudicato in modo così inflessibile per aver commesso azioni che lui stesso considerava «una necessità politica inevitabile», e concludeva: «oggi che tutto è più facile si fa presto a condannare le decisioni di allora».11 Per contribuire all’elaborazione di un giudizio più equilibrato, Lina parlò con moltissimi storici. Dal momento che intendeva essere presa sul serio, accettò di collaborare soltanto con candidati da lei approvati in quanto scrupolosi, obiettivi e interessati alla verità. Il suo incontro più spiazzante fu con Shlomo Aronson, un accademico israeliano di Tel Aviv. Dopo essersi occupato del processo a Adolf Eichmann, Aronson aveva deciso di studiare il nazismo in modo approfondito ed era andato a vivere in Germania, dove si era iscritto alla Freie Universität di Berlino e aveva discusso una tesi sugli albori dell’SD e della Gestapo a Monaco. Aronson mise da parte i sentimenti di ostilità che avrebbe potuto covare verso la vedova di Heydrich e cercò Lina, la quale nonostante il suo antisemitismo fu pronta a soddisfare le richieste dello studioso e gli concesse molte ore del suo tempo. Lina parlò anche con Heinz Höhne, che aveva cominciato a interessarsi alle SS scrivendo una serie di articoli per “Der Spiegel” sugli ex membri dell’organizzazione che avevano evitato i processi di denazificazione e mantenuto posizioni di spicco nella società della Germania Ovest. Questa indagine ispirò a Höhne la decisione di imbarcarsi in quello che sarebbe diventato uno studio monumentale, innovatore e definitivo sulle SS; Lina si offrì di concedergli un’intervista e gli fornì una serie di aneddoti brutalmente sinceri su Margarete e Himmler. All’inizio degli anni settanta, inoltre, si esibì in un’altra sontuosa performance per lo scrittore americano John Toland, impegnato a scrivere una biografia di Hitler. Lina tuttavia continuava a non essere soddisfatta del modo in cui suo marito era rappresentato. Accanto agli studi accademici c’era una serie di libri su Heydrich che lo descrivevano come il boia di Hitler, l’uomo più spietato del Terzo Reich, un sadico e gelido macellaio, il supernazista. Lina era incapace di tollerare tutto questo senza combattere, perciò scrisse anche lei un libro. Candido e onesto fino a essere disarmante – scritto come se davvero stesse presentando la verità nuda e cruda – il resoconto della sua vita con Heydrich non prevedeva sensi di colpa, dubbi o rimpianti. Lina non mostrava rammarico per le convinzioni ideologiche sue e del marito ed era senza vergogna riguardo al loro razzismo e antisemitismo; al contempo minimizzava il coinvolgimento diretto di Heydrich nella Soluzione finale. In definitiva, Lina voleva che il lettore riconoscesse in Heydrich un individuo dotato di un talento straordinario. C’erano la sua abilità di musicista – «se le cose fossero andate diversamente non sarei la vedova di un criminale di guerra, ma senza dubbio la moglie di un brillante violinista» –,12 le prodezze atletiche, il coraggio, la diligenza e l’etica del lavoro, l’intelligenza, la razionalità, il patriottismo; in fin dei conti servire la Germania era la sua priorità. In breve, era un grande uomo. Gli appelli di Lina caddero nel vuoto. Il suo libro – La mia vita con Reinhard – pubblicato nel 1976 da un piccolo editore tedesco, non ebbe un grande impatto e non fu mai tradotto in inglese. Lina non si scoraggiò e continuò a parlare con chiunque volesse ascoltarla. Morì il 14 agosto 1985, a settantaquattro anni. Poco tempo prima aveva rilasciato una breve intervista televisiva. Seduta impettita e immobile in uno studio pieno di libri, calma e distinta negli abiti classici ma eleganti, guardava dritto davanti a sé con aria distaccata e rispondeva alle domande in tono freddo e impassibile, mostrando ancora una volta al mondo l’orgoglio di essere Lina Heydrich. 16 Ultimi metri

Dopo il periodo trascorso nel campo di Augsburg-Göttingen, Ilse si trasferì a Monaco, dove riprese i contatti con vecchi amici e conoscenti come Winifred Wagner. La regina del Bayreuth non era stata arrestata, ma dovette comunque presenziare a due processi di denazificazione. In occasione del primo, nel 1947, Winifred fu collocata nella Categoria II come persona incriminata; quando nel 1948 fu riprocessata ottenne un giudizio meno severo, passando alla Categoria III, quella degli incriminati minori. La reputazione di Winifred tuttavia era macchiata, e dovette rinunciare alla direzione del festival. Intorno alla sua cerchia sociale gravitavano anche Edda ed Emmy – quest’ultima la ammirava moltissimo: «mia figlia e io amiamo e rispettiamo questa donna meravigliosa con tutto il nostro cuore»1 – ma di fatto Winifred era più legata a Ilse. A differenza di Emmy, le due donne avevano condiviso i primi tempi del movimento, e per entrambe gli anni venti erano un periodo innocente e spensierato durante il quale Hitler era più tollerante e accessibile, prima che i suoi sogni diventassero una realtà spaventosa. Sebbene col passare degli anni Ilse e Winifred si vedessero meno, si tenevano in contatto per lettera, scambiandosi pettegolezzi sui sopravvissuti della cerchia di Hitler, criticando le autobiografie che via via pubblicavano, e discutendo ogni anno del programma del Festival di Bayreuth. Nel 1975, cinque anni prima della sua morte, Winifred rilasciò un’intervista sconsiderata in cui decantava le virtù di Hitler e sostanzialmente dichiarava il suo amore per lui. Il 14 dicembre 1955 “Der Spiegel” pubblicò un breve annuncio: Ilse apriva una pensione le cui stanze erano disponibili a cifre ragionevoli. Aveva ristrutturato una vecchia fattoria sulle Alpi bavaresi con una vista stupenda e una stanza riservata al marito: conteneva i suoi libri, i manoscritti e i documenti, una radio e alcuni giocattoli con cui lui e Wolf giocavano insieme. Ilse aveva tenuto questo spazio per Hess perché era convinta che un giorno avrebbe potuto lasciare Spandau. Tuttavia, non si aspettava che gli Alleati ritornassero sulla sua condanna all’ergastolo, a meno che non vi fossero costretti. Per dare risalto alla causa, nel 1952 Ilse pubblicò England – Nürnberg – Spandau. Ein Schicksal in Briefen, primo volume di una raccolta della corrispondenza con il marito. Secondo uno dei detenuti, quando Hess seppe del libro «fu travolto da un entusiasmo febbrile», felice di essere pubblicato prima degli altri prigionieri di Spandau. A una lettura superficiale delle lettere di Hess a Ilse – nel primo volume e in quelli successivi – si potrebbe pensare che a Hess piacesse la vita in carcere; l’organizzazione monastica del lavoro di cura del giardino di Spandau gli si addiceva, apprezzava la musica classica suonata occasionalmente da qualche detenuto all’organo della cappella e leggeva voracemente, consumando le pile di libri che Ilse continuava a spedirgli: una volta arrivò a chiederne sessanta. Hess era appassionato di biografie di musicisti, faceva approfondite ricerche di storia, architettura, astronomia e fisica nucleare, e intanto si teneva aggiornato sugli eventi contemporanei. Ma questa era solo una faccia della medaglia. Dal 1950 in poi fu problematico e turbolento com’era stato in Gran Bretagna e a Norimberga. Si rifiutava di dormire; non voleva lavorare né mangiare. Di notte teneva tutti svegli con gemiti e lamenti. L’amnesia si ripresentava regolarmente, come un vicino fastidioso di cui non ci si può liberare. Ancora una volta i carcerieri dovevano stabilire se si trattava di una simulazione. Albert Speer – condannato a vent’anni di reclusione – era convinto che lo fosse: il 1º luglio 1956 Speer annotò sul diario che Hess era uscito dalla sua cella con l’aria «rilassata e allegra», ma appena si rese conto che Speer lo stava guardando, «la sua espressione mutò immediatamente. A un tratto mi trovai davanti un uomo tormentato e sofferente. Persino la sua andatura cambiò repentinamente. Il passo spedito si fece rigido e incerto».2 Le cose precipitarono quando un altro detenuto fu rilasciato prima del tempo per motivi di salute. Durante il mese di novembre 1957 circolava la voce che Hess stesse ingerendo piccole quantità di detersivo per provocarsi crampi addominali. Verso la fine del mese, mentre faceva giardinaggio, Hess cercò di suicidarsi e fu trovato coperto di sangue nella sua cella, sdraiato sotto le lenzuola. Il personale sanitario lo medicò e lui il giorno dopo raccontò a Speer cos’era accaduto: «Nei dintorni non c’erano guardie, ho rotto i miei occhiali e usato un pezzo di vetro per tagliarmi le vene di un polso. Per tre ore nessuno si è accorto di niente. Mi sono steso nella mia cella, avrei avuto tutto il tempo per dissanguarmi e liberarmi per sempre del mio dolore».3 Fuori intanto Ilse tentava il possibile per farlo rilasciare. Nel 1956 fece appello alle Nazioni unite e nel 1957 alla Commissione europea dei diritti dell’uomo. La tesi era semplice: Hess aveva rischiato tutto per farsi ambasciatore di pace e i sedici anni trascorsi in prigione erano senza dubbio un castigo sufficiente per la sua complicità col nazismo, per non parlare degli effetti che avevano avuto sulla sua salute. Il 1º ottobre 1966 Hess divenne l’unico detenuto di Spandau: Speer e Baldur von Schirach lasciarono la prigione dopo aver scontato la pena. Speer tornò dalla moglie Margarete e divenne un autore di bestseller. Von Schirach non ebbe la stessa fortuna. Henriette aveva ottenuto il divorzio nel 1950; dopo essersi risposata, trascorse il resto di una vita esuberante urtando le persone con le sue opinioni provocatorie. Ilse e il figlio Wolf – che si era laureato in ingegneria ed era sposato con figli – compresero di trovarsi in un momento cruciale della battaglia per il rilascio di Hess. L’isolamento mise in risalto la sua difficile situazione e attirò l’attenzione dei media. Il 10 ottobre Ilse e Wolf rilasciarono una «Dichiarazione a tutte le persone ragionevoli del mondo» che denunciava la «crudele» reclusione di Hess, «fino a oggi un caso unico negli annali della legge moderna».4 La inviarono al papa, alla Commissione delle nazioni unite per i diritti umani e al Consiglio ecumenico delle chiese. All’inizio del 1967 Ilse fondò l’Associazione di sostegno alla libertà di Rudolf Hess e pubblicò una petizione per il rilascio che raccolse oltre quarantamila firme da quaranta Stati diversi, supportata da manifestazioni che contavano una presenza media di cinquecento partecipanti. Ilse nel frattempo continuava a scrivere lettere a politici, intellettuali, vescovi, giornalisti e storici per chiedere il loro sostegno. In molti dichiararono pubblicamente di essere dalla sua parte. Nel novembre del 1969 Hess soffrì di un’ulcera perforata e l’8 dicembre fu trasferito all’Ospedale militare britannico di Berlino. Le sue condizioni erano gravi. Di fronte alla prospettiva concreta della morte, Hess scrisse al direttore di Spandau chiedendo di poter vedere Ilse e Wolf; dopo ventotto anni desiderava ricongiungersi alla moglie e al figlio. Il 24 dicembre 1969 Ilse e Wolf arrivarono all’ospedale. Ad attenderli c’erano quaranta tra giornalisti e fotografi. Ilse indossava un cappotto di cammello marrone chiaro e portava un foulard attorno alla testa. Dopo essere entrata si sfilò il cappotto e rivelò un tailleur e una camicetta con il colletto bianco. Lei e il figlio presero l’ascensore fino al terzo piano. Ilse aveva portato al marito un grosso mazzo di fiori invernali, ma non le fu permesso di darglieli. Durante la mezz’ora che seguì Ilse, Wolf e Hess furono sorvegliati a vista da quattro amministratori della prigione e da una guardia. Quando Ilse e il figlio entrarono nella stanza, Hess si alzò subito per salutarli, poi si ricordò che non avevano il permesso di toccarsi e fece il gesto di baciare loro le mani. Per un istante l’atmosfera fu carica di emozione e Wolf si accorse che la madre era «sull’orlo delle lacrime»,5 ma Ilse tenne a bada i sentimenti e cominciarono a parlare della salute di Hess, della carriera di Wolf e di altri componenti della famiglia. Tutto accadde rapidamente; secondo Ilse «il tempo passò in un lampo, e prima che la conversazione cominciasse davvero a entrare nel vivo l’orario della visita era finito». Quando se ne andarono Ilse affidò al direttore di Spandau i regali di Natale per il marito; una scatola di legno di sandalo con dentro del sapone Mouson alla lavanda, un pigiama di cotone azzurro e un disco di Schubert. Hess si riprese e tornò a Spandau contro il parere delle potenze occidentali – Gran Bretagna, America e Francia – che condividevano con i sovietici la sua custodia. I tre governi avevano deciso che non era più necessario tenerlo in prigione, ma i sovietici la pensavano diversamente. Erano convinti che Hess fosse colpevole quanto gli altri imputati di Norimberga, considerato il numero di anni durante i quali aveva servito Hitler e l’influenza esercitata sul movimento e sulla sua ideologia. Erano furiosi che fosse sfuggito alla pena di morte, e convinti che avesse intrapreso la sua cosiddetta missione di pace soltanto perché Hitler incontrasse meno resistenza nel tentativo di annientare l’Unione Sovietica. I sovietici inoltre sottolineavano – a ragione – che Hess restava un nazista irriducibile. Le molte note prolisse scritte in prigione trasudano disprezzo per la democrazia liberale, che Hess considerava debole e corrotta, per il capitalismo americano, senz’anima e culturalmente sterile, e per il comunismo, il nemico di sempre. Il suo antisemitismo era sopravvissuto, e Hess era fermamente convinto che in futuro il nazismo avrebbe riconquistato i cuori e le menti; commentando la prospettiva di convertire i giovani, si dichiarava fiducioso che «quando saranno abbastanza distaccati dagli eventi del passato e torneranno tempi normali, riprenderanno un atteggiamento simile al nostro».6 Su queste basi i sovietici respinsero la richiesta di rilasciarlo. Come concessione minore, consentirono che ricevesse una visita al mese della durata di un’ora. Imperterrita, Ilse continuò la sua battaglia. Nel 1973 inviò alla Commissione europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo una denuncia in cui affermava che il governo britannico aveva violato l’articolo III della Carta dei diritti. Il suo appello fu respinto a maggio del 1975. Il 2 febbraio 1977 Hess cercò di recidersi un’arteria con un coltello. Il 28 dicembre 1978 un ictus lo rese quasi cieco. Ormai stremato e convinto che gli restasse «poco tempo», il 4 gennaio 1979 Hess scrisse alle autorità di Spandau chiedendo di essere rilasciato «per le mie gravi condizioni di salute e perché vorrei poter vedere i miei nipoti».7 La sua richiesta fu respinta.

All’inizio degli anni cinquanta Emmy comprò un modesto appartamento che condivideva con la figlia Edda e in cui poteva godersi un’esistenza serena allietata dai ricordi: «Gli anni sono passati. Io e Edda adoriamo Monaco. Il destino mi ha dato tanto dolore, ma anche una gioia incomparabile. Il mio matrimonio è stato un dono del Cielo e mia figlia è tutta la mia vita».8 E tuttavia Emmy non era completamente pacificata. Da quando le truppe americane avevano saccheggiato i castelli e i depositi del marito, pensava con rammarico all’esproprio dell’immensa collezione d’arte di Göring; gli Alleati trovarono un totale di 1375 dipinti, 250 sculture, 108 arazzi, 75 vetrate istoriate e altri 175 oggetti d’arte. Ma non era tutto. Numerosi pezzi non furono mai ritrovati; il bastone con pomo d’argento appartenente a Göring; una spada con l’impugnatura d’oro regalata a Emmy il giorno delle nozze; alcuni preziosissimi pugnali adornati di diamanti; infine i quadri di Memling che Göring aveva scaricato dal treno e dato a Emmy. Ciò che la faceva soffrire di più era la perdita della Madonna col bambino di Cranach il Vecchio che la città di Colonia aveva donato a Edda il giorno della sua nascita e rivoluto indietro dopo la guerra. Emmy si mobilitò inutilmente per riaverlo fino a che un giorno anche Edda si gettò nella mischia. Aveva passato l’Abitur e studiava legge all’università di Monaco. Nel 1964 provò a impiegare le sue competenze per convincere il tribunale a ridarle il dipinto, avviando una disputa di quattro anni con le autorità di Colonia, che alla fine vinsero la causa. Il bene più prezioso di Edda era scomparso per sempre. Emmy morì l’8 giugno 1973 all’età di ottant’anni e fu seppellita nel cimitero Waldfriedhof di Monaco. Ebbe un funerale dimesso e discreto, coerente con la vita che aveva vissuto da quando era tornata a Monaco dopo il processo di denazificazione. Dopo la morte di Emmy, Edda prese a frequentare ambienti neonazisti. La sua unica relazione degna di nota fu con un ricco giornalista e simpatizzante nazista che aveva acquistato lo yacht Carin II. In occasione delle sue frequenti apparizioni televisive – rilasciò un’intervista di tre ore alla TV svedese – Edda si ostinava sempre a difendere il padre e continuò a adorarlo fino alla morte, nel 2018: «Gli ero legatissima, ed era ovvio quanto mi volesse bene. Di lui ho solo ricordi bellissimi. Non potrei vederlo in un altro modo».9 Come la figlia, Emmy non negò mai l’amore per Göring, e il pensiero che fosse considerato un mostro la angosciava; per come la vedeva lei, suo marito non era colpevole di tanti dei crimini di cui lo si accusava. Per mettere le cose in chiaro, nel 1967 scrisse un libro – An der Seite meines Mannes – che tentava di dare un’immagine più lusinghiera dell’uomo che adorava, fornendo il suo punto di vista sulle azioni del marito. Emmy non accennava mai al ruolo decisivo di Göring nell’ascesa al potere di Hitler, allo sviluppo della Luftwaffe come strumento di terrore contro i civili o alla gestione dell’economia di guerra; «una donna innamorata pensa solo al successo del suo compagno, e per lei non conta il modo in cui lo ottiene». Non si soffermava nemmeno sulle dipendenze di Göring o sulla sua inestinguibile brama di ricchezze. Lo descrisse invece come un padre e un marito perfetto il cui unico crimine fu essere fedele a Hitler. Un crimine da imputare al suo carattere nobile, che lo faceva sentire in dovere di seguire gli ordini del Führer, per quanto sbagliati; del resto, cercare di far cambiare idea a Hitler era come «abbaiare alla luna». Nel testo tuttavia si avverte un certo disagio, un senso di incertezza e di incomprensione rispetto a quello che fecero i nazisti e alle responsabilità sue e di suo marito. Emmy ammetteva che «non si può mai sapere se si è agito nel modo giusto o sbagliato», ed era tormentata dal pensiero disturbante di essere in parte colpevole: «oggi mi chiedo spesso se non avremmo dovuto […] essere un po’ più vigili, e quando ci accorgevamo delle ingiustizie forse avremmo dovuto opporre una resistenza maggiore, soprattutto sulla questione ebraica».10

Il 24 febbraio 1981 un tribunale federale annullò un’azione legale intrapresa nel 1977 dagli avvocati di Ilse contro il governo della Germania Ovest per denunciare come incostituzionale la detenzione di Hess. Un’altra porta sbattuta in faccia a Ilse. A ottobre di quell’anno vide il marito per l’ultima volta e le sue pessime condizioni di salute dovettero spezzarle il cuore: Hess aveva la pleurite, problemi cardiaci, eruzioni cutanee e disturbi gastrici. Nel 1984 Ilse scrisse l’introduzione a un libro di Wolf sulla complicata situazione del padre. Dichiarava che lei e il marito erano sempre stati bendisposti verso gli inglesi, tanto che Hess credeva di poter avere un’udienza imparziale e non «il trattamento disumano»11 che invece gli avevano riservato: Ilse sperava sinceramente che infine si rendessero conto dell’errore commesso. Le autorità britanniche erano già dalla sua parte, e insieme a francesi e americani fecero un altro tentativo con i sovietici per concedere la libertà a Hess sulla base della sua età avanzata e delle gravi condizioni di salute. L’Unione Sovietica, inamovibile, respinse la proposta. Ilse era ormai sull’ottantina, e la fatica di anni di lotte vane la stava deteriorando. Quando fece un passo indietro fu Wolf a prendere il testimone della campagna, organizzando veglie e proteste davanti a Spandau, durante le quali un neonazista particolarmente risentito lanciò una bomba molotov dentro la prigione. Quando il nuovo primo ministro sovietico Michail Gorbačëv manifestò il desiderio di riformare il regime comunista si riaccese la speranza che l’Unione Sovietica potesse riconsiderare la sua posizione inflessibile. Alla fine, però fu Hess a decidere del proprio destino. Il 17 agosto 1987 stava curando il giardino di Spandau e chiese alla guardia di poter andare a prendere qualcosa nel capanno degli attrezzi. La guardia acconsentì. Sette minuti dopo andò a cercarlo e lo trovò accasciato sul pavimento del capanno, circondato dagli attrezzi in disordine. Era morto. A quanto pare Hess si era appoggiato con la schiena al muro, aveva afferrato una prolunga e l’aveva legata alla maniglia della finestra, si era fatto passare l’altra estremità attorno al collo ed era scivolato lentamente verso il basso con le gambe distese, mentre il nodo si stringeva sempre di più fino a soffocarlo. Ilse e Wolf gridarono al complotto: com’era possibile che un novantatreenne malato fosse riuscito a suicidarsi? Ilse chiese una seconda autopsia e accusò le autorità britanniche di aver ucciso suo marito. Hess però aveva già cercato di uccidersi in altre quattro occasioni, e non esistono prove concrete che questo non fosse il suo quinto tentativo. L’autopsia ufficiale venne resa pubblica il 19 agosto e confermò che Hess si era ucciso. Il caso fu chiuso e Spandau demolita. Il corpo di Hess venne trasportato in aereo a nord di Norimberga, dove fu consegnato a Wolf, che lo portò subito a Monaco per una seconda autopsia; l’esame fu effettuato il 21 agosto e non trovò risposte alternative. Il 22 agosto Wolf incontrò Ilse per organizzare un funerale segreto; le autorità di Wunsiedel, dove gli Hess possedevano una tomba di famiglia, rifiutarono di accogliere la salma. Il giorno seguente Wolf ebbe un attacco cardiaco. Alla fine, fu la polizia a occuparsi della sepoltura, e nel giro di tre notti depositò il corpo di Hess in una località segreta. A marzo del 1988 le autorità cedettero alle richieste di Ilse e il corpo di Hess fu esumato e riseppellito nella tomba di famiglia a Wunsiedel. Il dolore e il trauma legati al modo in cui era morto suo marito logorarono Ilse, che all’inizio degli anni novanta entrò in una casa di cura. Wolf non si riprese mai completamente dall’infarto e morì nel 2001 a soli sessantatré anni. Il 7 settembre 1995 anche Ilse morì. Aveva novantasei anni. La cerimonia del suo funerale fu celebrata da Martin Adolf Bormann, il figlio maggiore di Gerda, prete gesuita che aveva trascorso tutta la vita adulta cercando di rimediare al dolore causato da suo padre, organizzando incontri per le vittime e i responsabili della persecuzione nazista. Tra i presenti c’era Gudrun Himmler, sempre fedele al padre e ancora profondamente compromessa con organizzazioni neonaziste. Gudrun morì nel 2018, aggrappata alla convinzione che Himmler non avesse fatto niente di male. Ilse fu seppellita accanto al marito a Wunsiedel. Il 21 luglio 2011 vennero separati di nuovo: la loro tomba era diventata un santuario neonazista che attirava un flusso costante di visitatori. Stanco di averli nella sua città a rendere omaggio ai loro eroi caduti, il sindaco decise di prendere provvedimenti. La tomba fu rimossa; i resti di Hess furono esumati e cremati, le ceneri disperse in mare. Conclusione

Sulla carta era Gertrud Scholtz-Klink la donna più potente nella Germania di Hitler. Nata nel 1902, diplomata come infermiera, nel 1930 si iscrisse al Partito nazista e diede tutto il suo sostegno ai progetti dedicati alle donne. Nel 1934 divenne la leader delle donne del Reich e della Lega femminile nazionalsocialista; negli anni successivi fu a capo dell’Ufficio delle donne – creato per convincerle a lavorare – e fondò la Società delle madri tedesche, che inculcava alle donne il senso del dovere e della responsabilità materni. Queste organizzazioni nacquero per irreggimentare le vite di milioni di donne, e Scholtz-Klink affrontò il compito con zelo straordinario. Progettò poster e inventò slogan, scrisse dozzine di libri e opuscoli, tenne centinaia di discorsi in occasione di incontri e raduni, girò la Germania per letture e trasmissioni alla radio e parlò con i giornalisti stranieri. E tuttavia non fu mai in lizza per diventare la First Lady del Reich. Ai ricevimenti o agli eventi pubblici di alto profilo non era mai in mostra. Non conquistò mai la posizione eminente di altre donne influenti. Le mogli dell’élite nazista la ignoravano; non ci sono prove che abbia mai ricevuto un loro invito. Cosa ancora più importante, Hitler non la sopportava. Le mogli naziste più in vista potevano godere di molti privilegi e di uno stile di vita dorato su concessione di Hitler. Il suo interesse nei loro confronti era legato al bisogno di poter contare su una famiglia allargata – sceglieva con cura i regali di Natale e di compleanno per le mogli e i figli dei leader nazisti – e al fatto che fosse più rilassato e a suo agio in compagnia delle donne, a patto che lo adorassero in modo palese e incondizionato, non parlassero di politica e si adeguassero agli stereotipi che lui trovava attraenti. Il potere concesso alle mogli naziste era del tutto dipendente dalla benevolenza del Führer. Un passo falso era sufficiente a rovinarle; Hitler poteva distruggerle con un gesto. Ilse seppe cosa significava incorrere nel suo disappunto, così come Emmy nelle ultime settimane della guerra, mentre Magda subì le conseguenze della sua rabbia durante la separazione da Goebbels. Ciascuna delle donne raccontate in questo libro aveva un legame diverso con Hitler, con la sua ideologia e con il regime nazista. Durante i dodici anni di governo nazista, Magda fu costantemente descritta come la Signora del Reich. Le grottesche e tragiche ultime ore di vita, cariche di immagini terribili e sanguinose, confermarono la sua reputazione di archetipo della moglie nazista. Le sue azioni però non furono determinate dalla devozione alla filosofia di Hitler – sottoscrisse le idee principali ma cominciò a metterle in discussione già nel 1936 – e con l’inizio della guerra, fatta eccezione per alcuni inquietanti momenti di euforia davanti alla prospettiva di una vittoria, il suo atteggiamento fu perlopiù negativo. Anche obbedire ai desideri del marito non era una sua priorità; compiacere Goebbels non fu l’unico movente di Magda, che in varie occasioni avrebbe voluto poter divorziare. Alla fine, fu il legame emotivo e psicologico con Hitler a indirizzare il suo comportamento. Ciò che rese Magda diversa dalle altre donne fu la natura del rapporto con lui. Un rapporto che sin dall’inizio anche per il Führer era unico. Sembravano una coppia perfetta, e l’idea acquisì ancora più fascino di fronte alla consapevolezza che non sarebbero mai stati insieme. Una fantasia seducente che intrappolò Magda nell’abbraccio mortale di Hitler. Accanto a Magda c’è Carin Göring, il cui rapporto con Hitler era sia personale sia politico. Anche se non si suicidò, Carin sembra aver scelto il martirio con altrettanta lucidità. Considerati i gravi problemi di salute, una morte prematura era una prospettiva tutt’altro che improbabile. Carin avrebbe potuto condurre una vita di riposo, un’esistenza tranquilla con lunghe vacanze in zone dal clima mite e tersa aria di montagna. Ma scelse una strada diversa e spese tutte le sue energie nella battaglia, trascinando il marito in un viaggio di andata e ritorno all’inferno per contribuire alla rivoluzione di Hitler. Fu un impegno troppo gravoso per lei. Ma il sacrificio di Carin non venne dimenticato; fu santificata dal regime nazista e considerata un fulgido esempio da seguire per le donne tedesche. Sebbene Carin e Magda siano diventate delle icone, era Gerda la più vicina all’idea nazista della femminilità: rappresentava alla perfezione l’immagine creata dalla macchina della propaganda. Suo marito una volta le ricordò che «da bambina» era già una «fanatica nazista».1 E aveva ragione: Gerda era entrata in contatto con Hitler da adolescente, cresciuta da un padre nazista invasato, sposata con un macho nazista e isolata dal resto del mondo. Visse e respirò l’ideologia di Hitler. Era nella sua natura, e la morte prematura fece in modo che le sue convinzioni non fossero mai intaccate dal compromesso. Lina incontrò Hitler soltanto una volta, in occasione di un ricevimento all’inizio degli anni quaranta, e scambiò poche parole con lui. La sua dedizione alla missione nazista tuttavia fu totale e incrollabile. Gli unici dubbi erano legati alle tensioni matrimoniali, e le critiche erano dirette a coloro che secondo lei non stavano compiendo il proprio dovere. Non c’è dubbio che se Lina avesse avuto un vero potere lo avrebbe usato senza esitazioni né rimorsi, come una guerriera spietata pronta a cancellare i nemici dalla faccia della terra. A dispetto di tutte le differenze, Lina e Margarete avevano qualcosa in comune: erano entrambe snob che guardavano dall’alto in basso gran parte del genere umano. Margarete però apparteneva a un’altra generazione, con un carattere plasmato nell’epoca imperiale e dall’esperienza della prima guerra mondiale. Benché in apparenza appoggiasse le idee del marito, era raro che esprimesse le proprie opinioni. Quando lo faceva, in genere si trattava di una lamentela insignificante su un individuo in particolare. Il radicato pessimismo di Margarete non le permise mai di condividere le visioni utopistiche di Himmler. Nella sua mente stava sempre cercando di fare la cosa giusta, comportarsi bene e agire in maniera moralmente corretta. Eppure, era sostanzialmente incapace di percepire la sofferenza degli altri e priva dell’immaginazione necessaria a comprendere davvero la portata di ciò che suo marito inflisse a milioni di persone. Emmy era la meno interessata al nazismo e avrebbe continuato a recitare se non si fosse innamorata di Göring. La sua ostinata cecità rispetto al significato del regime non fu un’eccezione: era l’atteggiamento tipico di molti tedeschi favoriti dal nazismo, che preferirono ignorare gli eccessi brutali e distogliere lo sguardo, cercando di giustificare razionalmente la propria incapacità di opporre resistenza e la complicità passiva. Sebbene Emmy disapprovasse fermamente il radicale antisemitismo nazista, quando la persecuzione si intensificò si arrese, ingannando se stessa su ciò che stava accadendo a Est. Si giustificava col fatto di essere una donna di teatro, parte di una comunità eletta e separata che esisteva a prescindere da tutti gli altri, per la quale le preoccupazioni del «mondo reale» erano irrilevanti. Anche Ilse si considerava parte di un gruppo unico: era un’idealista. La sua identità coincideva interamente con le sue convinzioni; era la patrona del movimento, colei che aveva mantenuto fede ai propri princìpi distorti anche negli anni delle sofferenze e dei tormenti. Non pensò mai di potersi sbagliare. Pochi anni prima della sua morte una troupe cinematografica andò a trovarla nella casa di cura in cui soggiornava, nella speranza di intervistare la Vecchia signora del nazismo. La trovarono seduta in una stanza affollata e riuscirono a girare un filmato di qualche minuto. Osservandola eludere abilmente le domande con risposte evasive e monosillabi, con un luccichio negli occhi e il sorriso sulle labbra, è difficile liberarsi della sensazione che, nonostante tutto, Ilse pensasse che ne fosse valsa la pena. Ringraziamenti

Ringrazio la mia agente, Sonia Land della Sheil Land Associates Ltd per la sua dedizione incondizionata e il suo appoggio, e Gaia Banks e la squadra dei diritti esteri per aver portato questo libro nel mondo. Grazie anche a Laura Perehinec di The History Press per il suo entusiasmo e impegno, ad Alex Waite per avermi aiutato a trasformare il mio manoscritto in un libro e a tutta la squadra della The History Press per il lavoro eccellente. Infine, vorrei ringraziare i miei amici e la mia famiglia: senza la loro lealtà e generosità questo libro non sarebbe stato possibile. Note

Introduzione

1. B. Fromm, Blood and Banquets: A Berlin Social Diary, Carol Publishing Group, 1990, p. 248.

1. Prime reclute

1. W. Hess, My Father Rudolf Hess, WH Allen, 1984, p. 30. 2. I. Hess, Prisoner of Peace, Institute for Historical Review, 1954, p. 81. 3. H.B. Görtemaker, Eva Braun: Life with Hitler, Penguin, 2011, p. 74. 4. E. Reiche, The Development of the SA in Nürnberg 1922-1934, Cambridge University Press, 1986, p. 26. 5. M. Bormann, The Bormann Letters. The Private Correspondence between Martin Bormann and his Wife from January 1943-April 1945, Weidenfeld and Nicolson, 1954, p. 34. 6. D. Irving, Goering: A Biography, Focal Point, 1989, p. 47. 7. Ivi, p. 55.

2. Fuggitivi e prigionieri

1. E. Reiche, Development of the SA in Nürnberg, cit., p. 48. 2. L. Mosley, The Reich Marshal. A Biography of Hermann Goering, Pan, 1977, p. 118. 3. J. Toland, Hitler, Wordsworth Edition, 1976-1997, p. 199. 4. G. Knopp, Hitler’s Henchmen, Sutton, 2000, p. 184. 5. NA: IMT – RG 59:73088690. 6. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 93. 7. D. Irving, Goering, cit., p. 70. 8. Ivi, p. 88.

3. Il gioco delle coppie

1. J. Toland, Hitler, cit., p. 950. 2. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess: The Deputy, Quartet, 1988, p. 78. 3. R. Manvell, H. Fraenkl, Hess, MacGibbon & Kee, 1971, p. 38. 4. F. Wagner, Heritage of Fire, Harper & Brothers, 1945, p. 31. 5. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess, cit., p. 78. 6. H. Hoffmann, Hitler Was My Friend, Burke Publishing, 1955, p. 148. 7. H. von Schirach, The Price of Glory.The Memoirs of Henriette von Schirach, Muller, 1960, pp. 178-179. 8. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, NDE Publishing, 2000, p. 132. 9. K. Himmler, M. Wildt (a cura di), The Private Heinrich Himmler. Letters of a Mass Murderer, St Martin’s Press, 2014, p. 30. 10. Ivi, p. 49; P. Longerich, Heinrich Himmler, Oxford University Press, 2012, p. 106. 11. K. Himmler, The Himmler Brothers: A German Story, Macmillan, 2007, p. 79. 12. Ivi, pp. 66 e 83. 13. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit. p. 107. 14. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., pp. 69 e 71. 15. D. Irving, Goering, cit., p. 93. 16. C. Whiting, The Hunt for Martin Bormann: The Truth, Pen&Sword, 1973, p. 50. 17. J. von Lang, Bormann: The Man Who Manipulated Hitler, Book Club Associates, 1979, p. 36; C. Whiting, The Hunt for Martin Bormann, cit., p. 45. 18. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 112. 19. Ivi, p. 118.

4. Arrivi e partenze

1. J. Wyllie, Goering and Goering: Hitler’s Henchman and his Anti-Nazi Brother, The History Press, 2010, p. 37. 2. L. Heydrich, Mein Leben mit Reinhard: Die Persönliche Biographie, Druffel & Vowinckel, 2012, p. 23. 3. G. Knopp, The SS. A Warning from History, The History Press, 2008, p. 120. 4. A. Read, The Devil’s Disciples: The Lives and Times of Hitler’s Inner Circle, Pimlico, 2003, p. 216. 5. O. Wagener, Hitler: Memoirs of a Confidant, Yale University Press, 1985, pp. 241, 255 e 258. 6. V. Ullrich, Hitler: A Biography – Volume 1: Ascent 1889-1939, Vintage, 2016, p. 284. 7. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 132. 8. J. Toland, Hitler, cit., pp. 229-230. 9. L. Mosley, The Reich Marshal, cit., p. 164.

5. La svolta

1. E. Göring, My Life with Goering, David Bruce & Watson, 1972, pp. 11-12 e 14. 2. Ivi, pp. 52 e 54. 3. Ivi, pp. 8 e 12. 4. M. Dederichs, Heydrich: The Face of Evil, Greenhill, 2009, p. 52. 5. Ivi, p. 57. 6. F. D’Almeida, High Society in the Third Reich, Polity, 2008, p. 37. 7. H. Göring, Germany Reborn, Elkin Mathews and Marrot, 1934, p. 129. 8. R. Gerwath, Hitler’s Hangman: The Life of Heydrich, Yale University Press, 2011, p. 68. 9. L. Riefenstahl, A Memoir, St Martin’s Press, 1967, pp. 124 e 168. 10. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 58.

6. First Lady del Reich

1. E. Göring, My Life with Goering, cit., pp. 28 e 46. 2. B. Fromm, Blood and Banquets, cit., p. 197. 3. R.G. Reuth, Goebbels, Constable, 1993, p. 183. 4. I. Guenther, Nazi Chic? Fashioning Women in the Third Reich, Bloomsbury, 2004, p. 151. 5. Ivi, p. 132. 6. Ivi, p. 172. 7. Ibid. 8. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, cit., p. 23. 9. J. Wyllie, Goering and Goering, cit., p. 101. 10. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 56. 11. F. Hillenbrand, Underground Humour in Nazi Germany 1933-1945, Routledge, 1995, p. 25. 12. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 78. 13. H. von Schirach, The Price of Glory: The Memoirs of Henriette von Schirach, Muller, 1960, p. 87. 14. B. Fromm, Blood and Banquets, cit., p. 66. 15. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 83. 16. H. Hoffmann, Hitler Was My Friend, Burke Publishing, 1955, p. 141. 17. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, cit., pp. 158-159; G. Knopp, Hitler’s Women, Sutton, 2003, p. 19; H.B. Görtemaker, Eva Braun, cit., p. 92. 18. H.B. Görtemaker, Eva Braun, cit., p. 98. 19. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur: The Memoirs of Erich Kempka, Frontline, 2012, p. 13. 20. A. Klabunde, Magda Goebbels, Little Brown, 2001, p. 233. 21. H. Hoffmann, Hitler Was My Friend, cit., p. 165. 22. F. Wagner, Heritage of Fire, cit., p. 141. 23. D. Mosley, A Life of Contrasts: The Autobiography, Gibson Square Books, 2009, p. 130. 24. Ibid. 25. F. Hillenbrand, Underground Humour in Nazi Germany, cit., p. 28. 26. K. Lüdecke, I Knew Hitler, Jarrolds, 1938, p. 378. 27. C. Romani, Tainted Goddesses: Female Film Stars of the Third Reich, Sarpedon Publishers, 1992, p. 159.

7. A sud

1. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess, cit., p. 90. 2. C. Schroeder, He Was My Chief: The Memoirs of Adolf Hitler’s Secretary, Frontline, 2012, p. 8. 3. Ibid. 4. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 39. 5. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., pp. 9-10. 6. J. von Lang, Bormann, cit., p. 52. 7. H. Linge, With Hitler to the End: The Memoirs of Adolf Hitler’s Valet, Frontline, 2013, p. 93. 8. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 35. 9. F. Wagner, Heritage of Fire, cit., pp. 85-87. 10. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 129. 11. R. Manvell, H. Fraenkl, Doctor Goebbels: His Life and Death, Frontline, 1960, p. 59. 12. NA: IMT – RG 238: 57322925. 13. H.B. Görtemaker, Eva Braun, cit., p. 100. 14. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., p. 19. 15. MC: US/MISC/14; Brandt, “The Brandt Interview”, p. 22. 16. J. von Lang, Bormann, cit., p. 96. 17. H. Hoffmann, Hitler Was My Friend, cit., p. 202. 18. J. von Lang, Bormann, cit., p. 116. 19. J. Toland, Hitler, cit., p. 415. 20. R. Manvell, H. Fraenkl, Doctor Goebbels, cit., p. 47. 21. R. Semmler, Goebbels: The Man Next to Hitler, Westhouse, 1947, p. 36. 22. L. Riefenstahl, A Memoir, cit., p. 163. 23. D. Irving, Hess. The Missing Years 1941-1945, Macmillan, 1987, p. 57; W. Schwärzwaller, Rudolf Hess. The Deputy, Quartet, 1988, pp. 143-144. 24. Ivi, p. 108. 25. D. Pryce-Jones, Unity Mitford: A Quest, Weidenfeld & Nicolson, 1976, pp. 138-139. 26. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 144. 27. Ivi, p. 22. 28. H. von Schirach, The Price of Glory, cit., p. 155. 29. A. Speer, Inside the Third Reich, Phoenix, 1995, p. 179. 30. E. Ernst, “Rudolf Hess (Hitler’s Deputy) on Alternative Medicine”, disponibile all’indirizzo [edzardernst.com?2015?01?rudolf-hess-hitlers-deputy-on-alternative- medicine]. 31. R. Semmler, Goebbels, cit., p. 35. 32. M. Taylor, A. Timm, R. Hern (a cura di), Not Straight from Germany: Sexual Politics and Sexual Citizenship Since Magnus Hirschfeld, University of Michigan Press, 2017, p. 319. 33. R. Semmler, Goebbels, cit., p. 35.

8. Il club delle mogli delle ss

1. USHMM: Doc: 1999. A.0092; Frau Marga Himmler Diaries 1937-1945 (trans), p. 10. 2. H. Höhne, The Order of the Death’s Head: The Story of Hitler’s SS, Penguin, 1969, p. 164. 3. H. von Schirach, The Price of Glory, cit., p. 61. 4. D. Pryce-Jones, Unity Mitford, cit., p. 157. 5. L. Heydrich, J. Vaughan, Correspondence, 7 marzo 1951 in “The Vaughan Papers”, Real History, disponibile all’indirizzo [www.fp.co.uk]; H. Höhne, The Order of the Death’s Head, cit., p. 165. 6. Ivi, p. 166. 7. USHMM: M. Himmler, pp. 11-12. 8. H. Höhne, The Order of the Death’s Head, cit., pp. 128-129. 9. L. Heydrich, J. Vaughan, Correspondence, cit., 12 dicembre 1951; M. Williams, Heydrich: The Dark Shadow of the SS, Fonthill, 2018, p. 69. 10. W. Schellenberg, The Schellenberg Memoirs: A Record of the Nazi Secret Service, Andre Deutsch, 1956, p. 34. 11. L. Heydrich, J. Vaughan, Correspondence, cit., 12 dicembre 1951. 12. Ibid. 13. R. Bassett, Hitler’s Spy Chief: The Wilhelm Canaris Story, Cassell, 2005, p. 99. 14. USHMM: M. Himmler, p. 9. 15. Ibid. 16. L. Heydrich, J. Vaughan, Correspondence, cit., 7 marzo 1951. 17. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit., p. 233. 18. F. McDonough, The Gestapo: The Myth and Reality of Hitler’s Secret Police, Coronet, 2016, p. 180. 19. R. Gerwath, Hitler’s Hangman, cit., p. 112. 20. C. MacDonald, The Killing of SS Obergruppenführer Reinhard Heydrich, Papermac, 1989, p. 14. 21. Ibid. 22. W. Schellenberg, The Schellenberg Memoirs, cit., pp. 35-36. 23. Ibid. 24. USHMM: M. Himmler, p. 11. 25. Ivi, pp. 2 e 5. 26. A. Lambert, The Lost Life of Eva Braun, Arrow, 2007, p. 346. 27. USHMM: M. Himmler, p. 14.

9. Un salto nel buio

1. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 92. 2. H. Meissner, Magda Goebbels: First Lady of the Third Reich, Nelson Canada Ltd, 1980, p. 140. 3. A. Read, The Devil’s Disciples, cit., p. 491. 4. F. Wagner, Heritage of Fire, cit., p. 203. 5. USHMM: M. Himmler, pp. 15-16. 6. V. Ullrich, Hitler: A Biography, cit., p. 609. 7. H. Döhring, W.H. Krause, A. Plaim, Living with Hitler: Accounts of Hitler’s Household Staff, Greenhill, 2018, p. 126. 8. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 81. 9. L. Heydrich, Mein Leben mit Reynard, cit., pp. 71 e 81; G. Knopp, The SS: A Warning from History, The History Press, 2008, p. 131. 10. S. Friedländer, Nazi Germany and the Jews 1933-1945, Phoenix, 2009, p. 115. 11. V. Ullrich, Hitler: A Biography, cit., p. 632. 12. J. von Lang, Bormann, cit., p. 116. 13. H. Linge, With Hitler to the End, cit., p. 94. 14. USHMM: M. Himmler, pp. 17-18. 15. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 189. 16. Ibid. 17. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 244. 18. USHMM: M. Himmler, p. 19. 19. Cfr. [www.history.com/this-day-in-history]. 20. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, F. Taylor (a cura di), Sphere, 1982, pp. 4 e 14. 21. A. Speer, Inside the Third Reich, cit., p. 220. 22. USHMM: M. Himmler, p. 21. 23. R. Gerwath, Hitler’s Hangman, cit., p. 139. 24. USHMM: M. Himmler, p. 23. 25. E. Göring, My Life with Goering, cit., pp. 2-3. 26. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 15. 27. D. Irving, Hess, cit., p. 57. 28. D. Mosley, A Life of Contrasts, cit., p. 145. 29. D. Pryce-Jones, Unity Mitford, cit., p. 235. 30. D. Mosley, A Life of Contrasts, cit., p. 142. 31. Ibid. 10. Guerra e pace

1. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, cit., p. 109. 2. J. Fox, Everyday Heroines: Nazi Visions of Motherhood in Mutterliebe (1939) and Annelie (1943), in “Historical Reflections”, 35(2009), n. 2, p. 28. 3. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, cit., p. 79. 4. USHMM: M. Himmler, p. 24. 5. Ivi, p. 23. 6. Ivi, p. 24. 7. M. Bryant, Confronting the “Good Death”: Nazi Euthanasia on Trial 1945-1953, University of Colorado Press, 2005, p. 38. 8. M. Kater, Doctors Under Hitler, Chapel Hill, 1989, p. 129. 9. J. Stephenson, Women in Nazi Germany, Longman/Pearson Education Ltd, 2001, p. 34. 10. W. Schellenberg, The Schellenberg Memoirs, cit., p. 86. 11. Ivi, p. 265. 12. L. Mosley, The Reich Marshal, cit., p. 312. 13. USHMM: M. Himmler, p. 24. 14. Ivi, p. 25. 15. Ivi, pp. 25 e 27. 16. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., pp. 160-161. 17. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, cit., p. 157. 18. Ivi, p. 171. 19. USHMM: M. Himmler, p. 26. 20. Ivi, p. 30. 21. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., pp. 12 e 19-24. 22. Ivi, p. 25. 23. J. Toland, Hitler, cit., p. 665. 24. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 14. 25. Ivi, p. 27. 26. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, cit., pp. 364 e 367. 27. F. Hillenbrand, Underground Humour in Nazi Germany, cit., p. 39. 28. J.B. Hutton, Hess: The Man and his Mission, David Bruce & Watson, 1970, p. 110.

11. Vittime

1. H. Döhring, W.H. Krause, A. Plaim, Living with Hitler, cit., pp. 140-141. 2. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., p. 112. 3. J.B. Hutton, Hess, cit., p. 100. 4. S. McGinty, Camp Z: How British Intelligence Broke Hitler’s Deputy, Quercus, 2011, p. 181. 5. W. Schellenberg, The Schellenberg Memoirs, cit., p. 203. 6. E. Kurlander, Hitler’s Monsters: A Supernatural History of the Third Reich, Yale University Press, 2017, p. 120. 7. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1939-1941, cit., p. 408. 8. R. Gerwath, Hitler’s Hangman, cit., pp. 189-190. 9. M. Williams, Heydrich, cit., p. 101. 10. G. Deschner, Heydrich: The Pursuit of Total Power, Orbis, 1981, p. 191. 11. W. Schellenberg, The Schellenberg Memoirs, cit., p. 239. 12. USHMM: M. Himmler, p. 29. 13. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 199. 14. USHMM: M. Himmler, p. 30; K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 211. 15. USHMM: M. Himmler, p. 30. 16. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 218. 17. Ivi, pp. 233-234. 18. Ivi, p. 232. 19. USHMM: M. Himmler, pp. 30 e 32. 20. G. Knopp, The SS, cit., p. 160. 21. M. Williams, Heydrich, cit., p. 160. 22. Ivi, p. 176. 23. S. McGinty, Camp Z, cit., p. 299. 24. Ivi, p. 300. 25. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 43. 26. Ivi, p. 46. 27. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess, cit., p. 190. 28. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 43. 29. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1942-1943, traduzione e cura di L. Lochner, Doubleday, 1948, pp. 175 e 218. 30. H. Meissner, Magda Goebbels, cit., p. 213. 31. R. Gerwath, Hitler’s Hangman, cit., p. 270. 32. M. Williams, Heydrich, cit., p. 189. 33. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 145. 34. R. Gerwath, Hitler’s Hangman, cit., p. 199. 35. Ivi, p. 279. 36. USHMM: M. Himmler, p. 32. 37. Ivi, p. 33.

12. Sotto pressione

1. J. Stephenson, Women in Nazi Germany, cit., pp. 56-57. 2. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1942-1943, cit., p. 260. 3. Ivi, p. 309. 4. Ivi, p. 138. 5. A. Klabunde, Magda Goebbels, cit., p. 301; H. Meissner, Magda Goebbels, cit., pp. 224- 225. 6. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess, cit., p. 179. 7. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., pp. 44-45. 8. Ivi, p. 46. 9. Ibid. 10. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., pp. 37-38. 11. Ivi, p. 6. 12. Ivi, pp. 8-9. 13. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 43. 14. NA: IMT – RG 238:57318818. 15. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 249. 16. G. Knopp, Hitler’s Hitmen, Sutton, 2002, p. 158. 17. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 39. 18. Ivi, pp. 42 e 45. 19. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 167. 20. Ivi, p. 163. 21. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 47. 22. H.B. Görtemaker, Eva Braun, cit., p. 219. 23. E. Goering, My Life with Goering, cit., p. 106. 24. J. Goebbels, The Goebbels Diaries 1942-1943, cit., p. 524. 25. R. Semmler, Goebbels, cit., p. 115. 26. E. Goering, My Life with Goering, cit., p. 146. 27. J. Perry, Nazifying Christmas: Political Culture and Popular Celebration in the Third Reich, in “Central European History”, 38(2005), n. 4, p. 604. 28. D. Irving, Goering, cit., p. 518. 29. L. Mosley, The Reich Marshal, cit., p. 365. 30. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 164. 31. USHMM: M. Himmler, p. 34. 32. Ivi, p. 35. 33. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 259. 34. N. Ohler, Blitzed: Drugs in Nazi Germany, Penguin, 2017, p. 192. 35. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, cit., pp. 174-175. 36. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 66. 37. USHMM: M. Himmler, pp. 35-36. 38. E. Goering, My Life with Goering, cit., p. 112. 39. D. Irving, Hess, cit., p. 395.

13. Senza via d’uscita

1. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., pp. 119-120. 2. G. Knopp, Hitler’s Hitmen, cit., p. 146. 3. S. Lebert, N. Lebert, My Father’s Keeper: The Children of the Nazi Leaders – An Intimate History of Damage and Denial, Little Brown, 2001, p. 113. 4. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., pp. 67, 37, 173 e 104-106. 5. USHMM: M. Himmler, p. 36. 6. NA: IMT – RG 238: 57323277. 7. R. Semmler, Goebbels, cit., pp. 174-175. 8. NA: IMT – RG 238: 57323277. 9. K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 277. 10. USHMM: M. Himmler, p. 36. 11. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 167. 12. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., p. 146. 13. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 177. 14. R. Semmler, Goebbels, cit., pp. 185-186. 15. J. Goebbels, The Diaries of Joseph Goebbels: Final Entries 1945, H. Trevor-Roper (a cura di), G.P. Putnam’s Sons, 1978, p. 45. 16. Ivi, pp. 192, 83, 254 e 317-318. 17. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 48. 18. NA: IMT – RG 238: 6242149. 19. NA: IMT – RG 238: 57323277. 20. T. Junge, Until the Final Hour: Hitler’s Last Secretary, Phoenix, 2005, pp. 159-160. 21. DNTC: IMT – Vol. 004 – Subdivison 8/Hitler Section 8.15. 22. Ibid. 23. C. Goeschel, Suicide at the End of the Third Reich, in “Journal of Contemporary History”, 41(2006), n. 1, p. 164. 24. L. Mosley, The Reich Marshal, cit., p. 378. 25. C. Schroeder, He Was My Chief, cit., p. 188. 26. L. Mosley, The Reich Marshal, cit., p. 382. 27. NA: RG 242: 6883511. 28. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 70. 29. Ivi, pp. 89-90. 30. H. Linge, With Hitler to the End, cit., p. 199; E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 78. 31. T. Junge, Until the Final Hour, cit., p. 174. 32. H. Linge, With Hitler to the End, cit., p. 207.

14. Prigionieri

1. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 49. 2. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 95. 3. H. Linge, With Hitler to the End, cit., p. 210. 4. E. Kempka, I Was Hitler’s Chauffeur, cit., p. 152. 5. C. Whiting, The Hunt for Martin Bormann, cit., p. 35. 6. L. Farago, Aftermath: Bormann and the Fourth Reich, Hodder and Stoughton, 1975, p. 163. 7. NA: IMT – RG 238: 573188178. 8. B. Andrus, The Infamous at Nuremberg, Leslie & Frewin, 1969, p. 73. 9. NA: IMT – RG 238: 57323137. 10. Ibid. 11. NA: IMT – RG 238: 57322925. 12. NA: IMT – RG 238: 57323137. 13. NA: IMT – RG 59: 73088690; RG 238: 57322925. 14. D. Irving, Hess, cit., pp. 496-497. 15. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 38. 16. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 135. 17. DNTC: IMT – Vol. 014 Subdivision 35/Goering Section 35.03. 18. B. Andrus, The Infamous at Nuremberg, cit., p. 161. 19. J. Persico, Nuremberg: Infamy on Trial, Penguin, 1994, p. 297. 20. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, cit., p. 63. 21. H. Von Schirach, The Price of Glory, cit., p. 87. 22. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 159. 23. Ibid. 24. H. Von Schirach, The Price of Glory, cit., pp. 134 e 137. 25. Ivi, p. 138. 26. I. Hess, Prisoner of Peace, cit., p. 89. 27. Ivi, p. 96. 28. A.M. Sigmund, Women of the Third Reich, cit., p. 64. 29. Ibid.

15. Ricordare e dimenticare

1. T. Crasnianski, The Children of the Nazis: The Sons and Daughters of Himmler, Göring, Höss, Mengele and others – Living with a Father’s Monstrous Legacy, Arcade Publishing, 2018, p. 16; K. Himmler, The Himmler Brothers, cit., p. 287. 2. B. Andrus, The Infamous at Nuremberg, cit., pp. 69 e 139. 3. NA: IMT – RG 238: 57323267. 4. NA: IMT – RG 238: 57323277. 5. NA: IMT – RG 238: 6242149. 6. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 171. 7. G. Knopp, The SS, cit., p. 336. 8. L. Heydrich, J. Vaughan, Correspondence, 7 marzo 1951, Real History, disponibile all’indirizzo [www.fp.co.uk]. 9. S. Lebert, N. Lebert, My Father’s Keeper, cit., p. 106. 10. M. Dederichs, Heydrich, cit., p. 175. 11. Ivi, p. 174. 12. G. Knopp, The SS, cit., p. 120.

16. Ultimi metri 1. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 87. 2. A. Speer, Spandau: The Secret Diaries, Macmillan, 1976, pp. 216 e 291. 3. Ivi, p. 343. 4. G. Posner, Hitler’s Children: Inside the Families of the Third Reich, Heinemann, 1991, p. 62. 5. Ivi, p. 65; W. Hess, My Father Rudolf Hess, cit., p. 288. 6. W. Schwärzwaller, Rudolf Hess, cit., p. 16. 7. G. Posner, Hitler’s Children, cit., p. 69. 8. E. Göring, My Life with Goering, cit., p. 168. 9. G. Posner, Hitler’s Children, cit., pp. 212-213. 10. E. Göring, My Life with Goering, pp. 15 e 95. 11. W. Hess, My Father Rudolf Hess, cit.

Conclusione

1. M. Bormann, The Bormann Letters, cit., p. 49. Bibliografia

Fonti d’archivio

Donovan Nuremberg Trials Collection, Cornell University Library (DNTC). Institute for Contemporary History, Monaco (ICH). Musmanno Collection, Gumberg Library, DuQuesne University (MC). National Archives, Washington DC (NA). Swiss Federal Archives, Berna (SFA). United States Holocaust Memorial Museum (USHMM).

Libri

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America Anschluss Aronson, Shlomo astrologia Auschwitz

Baarová, Lída Backe, Herbert Backe, Ursula Balbo, Italo Bayreuth, Festival di Behrens, Manja Berghof (chalet di Hitler) birreria, Putsch della (1923) Bormann, Albert Bormann, Gerda (nata Buch) durante la guerra e Hitler matrimonio con Bormann Bormann, Martin dopo la guerra durante la guerra relazioni extraconiugali Bormann, Martin Adolf Brandt, Anna Brandt, Karl Braun, Eva durante la guerra Braun, Gretl Breker, Arno Buch, Walter

Canaris, Erika Canaris, Wilhelm Cecoslovacchia Chamberlain, Neville “Colloqui riservati di Adolf Hitler” annotati da Martin Bormann Cramm, Gottfried von

Dachau Darré, Charlotte Darré, Walther De Crinis, Lilli De Crinis, Max donne e il nazismo

Eichmann, Adolf Eppenstein, von Ritter

Francia/truppe francesi Fromm, Bella

Gebhardt, Karl Gestapo giochi olimpici Goebbels, Helga Goebbels, Joseph durante la guerra e Hitler interessi culturali relazioni extraconiugali Goebbels, Magda (già Quandt) durante la guerra e Hitler matrimonio con Goebbels relazioni extraconiugali salute Göring, Albert Göring, Carin (nata Von Fock) Göring, Edda Göring, Emmy (nata Sonnemann) dopo la guerra durante la guerra e Hitler matrimonio con Göring Göring, Hermann dipendenze dopo la guerra durante la guerra e Carin Göring interessi artistici primo ministro della Prussia salute Grawitz, Ernst-Robert Gründgens, Gustav

Hanke, Karl Haushofer, Albrecht Haushofer, professor Karl Hess, Ilse (nata Pröhl) dopo la guerra durante la guerra e Hitler Hess, Rudolf detenzione di durante la guerra passione per il volo Hess, Wolf Rüdiger Heydrich, Heider Heydrich, Klaus Heydrich, Lina (nata von Osten) durante la guerra e Margarete Himmler matrimonio con Heydrich Heydrich, Marte Heydrich, Reinhard durante la guerra hobby Heydrich, Silke Himmler, Gerhard Himmler, Gudrun Himmler, Heinrich durante la guerra e le SS interessi problemi gastrici relazioni extraconiugali Himmler, Margarete (nata Boden) dopo la guerra durante la guerra e Lina Heydrich matrimonio con Himmler Hindenburg, Paul Von Hitler, Adolf ascesa al potere declino di durante la guerra e Emmy Göring e Eva Braun e Geli Raubal e Gerda Bormann e Ilse Hess e Joseph Goebbels e la questione ebraica e le sorelle Mitford e Magda Goebbels e Rudolf Hess interessi artistici Putsch alla birreria (1923) Hoffmann, Heinrich Hoffmann, Henriette Höhne, Heinz Hölderlin, Friedrich Hoppe, Marianne Horcher, Otto Höss, Rudolf

Inghilterra/truppe inglesi

Kadow, Walter Kantzow, Nils von Korwan, Rose Kristallnacht (“Notte dei cristalli”)

Leander, Zarah Lüdecke, Kurt Luftwaffe

Maurice, Emil Mein Kampf misticismo Mitford, Diana Mitford, Unity Monaco, conferenza di Mosley, Oswald Müller, Heinrich Mussolini, Benito

Nido dell’Aquila (chalet di Hitler) Norimberga, processi di Notte dei lunghi coltelli paganesimo Phipps, Eric Polonia Porten, Henny Potthast, Hedwig prima guerra mondiale

Quandt, Ello Quandt, Gunther Quandt, Harald

Raubal, Geli Ravensbrück Reitsch, Hanna Ribbentrop, Anneliese von Ribbentrop, Joachim von Riefenstahl, Leni Röhm, Ernst Rosenberg, Alfred

Schellenberg, Irene Schellenberg, Walter Schirach, Baldur von Schmidt, Wilhelm Scholtz-Klink, Gertrud Schrimpf, Georg Schroeder, Christa Semmler, Rudolf sessualità Soluzione finale Speer, Albert Speer, Margarete Stalin, Josef Stille Hilfe Strathaus, Ernst Schultz Stringer, Ann

Toland, John

Uhlig, Anneliese Unione Sovietica/truppe sovietiche vegetarianismo Versailles, trattato di

Wagener, Otto Wagner, Friedelind Wagner, Siegfried Wagner, Winifred Weimar, Repubblica di Willrich, Wolgang Windsor, duca e duchessa di Wolff, Frieda Wolff, Karl Ultimi volumi pubblicati

ERRICO BUONANNO, Falso Natale. Bufale, storie e leggende della festa più importante dell’anno STEVE BRUSATTE, Ascesa e caduta dei dinosauri. La vera storia di un mondo perduto (3a ediz.) FABIO TONACCI, GIULIANO FOSCHINI, Jihadisti Italiani. Le storie, le intercettazioni, i documenti segreti dell’isis in Italia PASQUALE CHESSA, Il romanzo di Benito. La vera storia dei falsi Mussolini ANDREA DE BENEDETTI, CARLO PESTELLI, La lingua feliz. Curiosità, bizzarrie e segreti: tutto quello che avreste voluto sapere sulla lingua spagnola VITTORIO DAN SEGRE, Storia di un ebreo fortunato AA. VV., Rompere le regole. Creatività e cambiamento NELLO TROCCHIA, Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma ANDREA CARANDINI, EMANUELE PAPI, Adriano. Roma e Atene (2a ediz.) DHARSHINI DAVID, Il mondo in un dollaro. Il viaggio di una banconota dal Texas alla Cina, dalla Nigeria all’Iraq, per capire l’economia globale DAVID ALLEGRANTI, Come si diventa leghisti. Viaggio in un paese che si credeva rosso e si è svegliato verde FRANCIS FUKUYAMA, Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi (3a ediz.) NICK POLSON, JAMES SCOTT, Numeri intelligenti. La matematica che fa funzionare l’intelligenza artificiale di Google, Facebook, Apple & Co. BEATRICE VENEZI, Allegro con fuoco. Innamorarsi della musica classica (2a ediz.) JUAN CARLOS KREIMER, Bici zen. Ciclismo urbano come meditazione ANTONIO PERAZZI, Il paradiso è un giardino selvatico. Storie ed esperimenti di botanica per artisti LIA CELI, ANDREA SANTANGELO, Le due vite di Lucrezia Borgia. La cattiva ragazza che andò in Paradiso MONA CHOLLET, Streghe. Storie di donne indomabili dai roghi medievali a #MeToo DIEGO FUSARO, La notte del mondo. Marx, Heidegger e il tecnocapitalismo (2a ediz.) GIOVANNI NEGRI, Il mistero del Barolo. Ma è il Nebbiolo che conquisterà il mondo AMEDEO BALBI, L’ultimo orizzonte. Cosa sappiamo dell’Universo SUE PRIDEAUX, Io sono dinamite. Vita di Friedrich Nietzsche ARRIGO PETACCO, L’archivio segreto di Mussolini TIM PARKS, Ma che cosa ho in testa. Viaggio di un ignorante tra i misteri della mente ROSANNA PANELLI MARVULLI, Abbagnano, una vita per la filosofia. Opere, documenti, ricordi DANIELE ZOVI, Italia selvatica. Storie di orsi, sciacalli dorati, lupi, gatti selvatici, cinghiali, linci, lontre e un castoro (2a ediz.) PAOLO NORI, I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991 (4a ediz.) VALENTINA FARINACCIO, Quel giorno. Racconti dell’attimo che ha cambiato tutto (2a ediz.) ERRICO BUONANNO, Sarà vero. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la storia ALAIN MINC, Diavolo di un Keynes. Una vita di John Maynard Keynes PAUL HAZARD, La crisi della coscienza europea STEFANO FELTRI, 7 scomode verità che nessuno vuole guardare in faccia sull’economia italiana (3a ediz.) ALBERTO SAIBENE, Il paese più bello del mondo. Il FAI e la sfida per un’Italia migliore (2a ediz.) ALDO AGOSTI, GIOVANNI DE LUNA, Juventus. Storia di una passione italiana. Dalle origini ai giorni nostri (3a ediz.) GIGI DI FIORE, Napoletanità. Dai Borbone a Pino Daniele viaggio nell’anima di un popolo VITTORIO LINGIARDI, Io, tu, noi. Vivere con se stessi, l’altro, gli altri (4a ediz.) L’INTERNO DEL MINISTRO, L’insostenibile leggerezza del governo del cambiamento KASSIA ST CLAIR, La trama del mondo. I tessuti che hanno fatto la storia MATTHEW STURGIS, Oscar. Vita di Oscar Wilde VITTORIO SABADIN, Elisabetta, l’ultima regina (nuova edizione aggiornata) FRANCO CARDINI, SIMONETTA CERRINI, La storia dei templari in otto oggetti ENZO SORESI (CON PIERANGELO GARZIA), Come ringiovanire invecchiando. I segreti di medici, fisioterapisti, nutrizionisti e studiosi per una vita più lunga e più sana GIANFRANCO PASQUINO, Minima politica. Sei lezioni di democrazia MICHAEL D. GERSHON, Il secondo cervello. Gli straordinari poteri dell’intestino (2a ediz.) MARCO MAGNANI, Fatti non foste a viver come robot. Crescita, lavoro, sostenibilità: sopravvivere alla rivoluzione tecnologica CARLO GREPPI, La storia ci salverà. Una dichiarazione d’amore FRANCIS FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo MATTEO LANCINI, Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti GIOVANNI FORNERO, Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria ARMAND D’ANGOUR, Socrate innamorato. La giovinezza perduta del padre della filosofia occidentale PER J. ANDERSSON, Storia meravigliosa dei viaggi in treno. Sui binari del mondo dall’Orient Express all’Interrail, dalla conquista del West al futuro GIOVANNI DIAMANTI, I segreti dell’urna. Storie, strategie e passi falsi delle campagne elettorali LIA CELI, Quella sporca donnina. Dodici seduttrici che hanno cambiato il mondo PIERO RUZZANTE (CON ANTONIO MARTINI), Eppure il vento soffia ancora. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer MARTIN ANGIONI, Le 101 ragioni per cui vado in bicicletta (nuova edizione aggiornata) JIM HOLT, Perché il mondo esiste. Una detective-story filosofica (2a ediz.) MALCOLM GLADWELL, Il dilemma dello sconosciuto. Perché è così difficile capire chi non conosciamo FEDERICO FALOPPA, #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole GIANLUCA DIEGOLI, Svuota il carrello. Il marketing spiegato benissimo STEVEN HELLER, Storia universale della svastica. Come un simbolo millenario è diventato emblema del male assoluto FRANCESCO BORGONOVO, La malattia del mondo. In cerca della cura per il nostro tempo GIAMPIERO CALAPÀ, A un passo da Provenzano. Una storia nascosta nella trattativa Stato-mafia HANS ULRICH OBRIST, Fare una mostra (2a ediz.) ROBERTO COTRONEO, Il sogno di scrivere. Perché lo abbiamo tutti, perché è giusto coltivarlo (2a ediz.) MARIA LUISA IAVARONE, NELLO TROCCHIA, Il coraggio delle cicatrici. Storia di mio figlio Arturo e della nostra lotta GIGI DI FIORE, Pandemia 1836. La guerra dei Borbone contro il colera