5/5/2017 , il re di Torino | L'Ultimo Uomo

CALCIO Jean-Philippe Leclaire · 25 aprile 2017 · 16' Immagine di copertina

Michel Platini, il re di Torino

Un estratto del libro “Le Roi”, di Jean-Philippe Leclaire, edito da 66thand2nd, dedicato alla leggenda francese della Juventus.

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Il 23 febbraio 1982, sul maxischermo della villa Frescot, che domina la città di Torino, Giovanni Agnelli sta seguendo con particolare interesse l’amichevole tra la Francia e l’Italia. L’Avvocato se ne infischia della sconfitta degli azzurri. La prestazione dell’autore della prima rete francese lo ha decisamente entusiasmato. «Quel Platini è un distributore di gioco come pochi. Farebbe faville nella Juventus. Peraltro credo che la sua famiglia sia originaria del Piemonte» fa notare una settimana dopo a Edouard Seidler, il direttore dell’«Équipe», che lo sta intervistando. Il 7 aprile, Agnelli richiama Seidler. «Si ricorda, abbiamo parlato di Platini qualche settimana fa. Vorrei mettermi in contatto con lui. Può organizzare la cosa?». Tre settimane e due giorni più tardi, alle 10 di mattina del 30 aprile, un piccolo Cessna

http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 1/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo atterra sulla pista dell’aeroporto di Caselle. Michel Platini è venuto a firmare il contratto con la Juventus.

Tornando a posare i piedi sulla terra dei primi Platini, il nipote di Francesco non ha la minima idea di che cosa lo aspetti. Agnelli, l’irresistibile capitano d’industria che ha alzato di persona la cornetta per allacciare i primi contatti? «Avevo a malapena sentito parlare di lui…» racconterà parecchio tempo dopo il lorenese dalle radici italiane seppellite molto in profondità. Eppure, sull’altro versante delle Alpi, Giovanni Agnelli gode di un prestigio che gli invidiano i ministri, il presidente della Repubblica e persino il papa. Soprannominato l’Avvocato, benché non abbia mai perorato nessuna causa a parte la propria, il gran capo della Fiat e della Juventus si dedica a far rispettare il motto di famiglia, definito una volta per tutte dal padre Edoardo: «Una cosa fatta bene può essere fatta meglio».

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SPONSORIZZATO SCOPRI DI PIÙ Quell’esigenza fieramente proclamata è però coperta da una spessa patina di glamour. Il profilo un po’ severo, da rapace, del bel Gianni è ingentilito da uno sguardo dolce e da un sorriso squillante. Ha sedotto tanto le folle quanto le attrici più belle. Da Anita Ekberg a Rita Hayworth a Danielle Darrieux, gli hanno attribuito ogni genere di conquista. Lui si limita a rispondere: «Mi capita di parlare con le donne, ma di donne preferisco non parlare». Ora che ha passato i sessanta, il

http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 2/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo Kennedy italiano (un altro dei suoi soprannomi) ha smesso di deliziare i paparazzi con le scappatelle extraconiugali, ma con o senza la principessa Marella, sua moglie da più di quarant’anni, per rompere la monotonia di una giornata di lavoro gli basta saltare su uno dei quattro apparecchi della flotta personale (un Mystère 20, un Grumman Gulfstream e due elicotteri) per visitare una galleria d’arte londinese, quando non preferisce farsi un tuffetto nelle acque limpide del Mediterraneo. Patron gaudente, magnate edonista, Gianni Agnelli sa trovare la felicità anche all’angolo della strada – o per meglio dire, a qualche isolato dal quartier generale della Fiat. Addossate al viale che porta il nome di suo nonno, corso Giovanni Agnelli, le tribune dello stadio Comunale forniscono al rampollo di nobile famiglia l’occasione di vibrare insieme alla sua gente. «Le persone vanno allo stadio per divertirsi. Io mi ci diverto come tutti!» spiega, lui che considera il calcio un’arte e non un mestiere.

Eppure, nonostante la Juventus abbia conquistato tre scudetti (1977-1978-1981) negli ultimi cinque anni, oltre al primo trofeo europeo della sua storia (la Coppa Uefa 1977), Gianni Agnelli al Comunale si diverte sempre meno. Quella squadra che gioca e vince «alla tedesca» (solida dietro, efficace davanti) non soddisfa la sua voglia di bel gioco. Alle tre S (Semplicità, Serietà, Sobrietà) che definiscono lo stile Juve, il patron-esteta, grande collezionista di quadri di Balthus e Francis Bacon, vorrebbe aggiungere la F di Fantasia o la G di Genio.

Il desiderio di ingaggiare Platini, l’Avvocato lo condivide con il più devoto dei suoi servitori, che del patron è anche l’esatto contrario. Nato il 4 luglio 1928 a Barengo, un austero borgo della provincia di Novara, a soli quindici chilometri da Conturbia, la culla piemontese della famiglia Platini, è stato l’attaccante più prolifico della Juventus (178 reti segnate in 444 partite), prima di diventarne il temuto presidente. Viso tagliato con l’accetta, collo da torello e sorriso da predatore, Boniperti ha ereditato dai suoi antenati contadini un miscuglio di durezza primitiva e di eleganza azzimata.

È lui ad accogliere Michel Platini alla Sisport, la società sportiva della Fiat. Il francese trova Boniperti «piccolo, nervoso, con un sorriso un po’ stereotipato, ma sempre amabile». Insomma, quasi sempre amabile… Perché appena il presidente della Juventus scopre che il suo potenziale acquisto è sbarcato con il proprio uomo d’affari Bernard Genestar, con il presidente del sindacato dei calciatori francesi Philippe Piat e con due avvocati milanesi, quella palla di nervi dai capelli sale e pepe perde qualunque forma di cordialità. Con una logorrea di imprecazioni, Boniperti http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 3/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo rispedisce a casa i due uomini di legge, e in tono appena più cortese chiede a Philippe Piat di attendere nella stanza accanto.

Di fronte a Platini e Genestar, l’uomo di fiducia di Gianni Agnelli ritrova la calma e sfodera di nuovo il sorriso. Le trattative possono cominciare, sì, ma in che lingua? Con sua grande sorpresa, il figlio di Barengo si rende conto che il nipote di Conturbia parla male l’italiano quanto lui il francese. È dunque in un miscuglio di grammelot transalpino e inglese non propriamente shakespeariano che i vicini novaresi trovano abbastanza in fretta (appena due ore) un accordo di massima sul contratto. Il francese guadagnerà quattrocento milioni di lire (due milioni di franchi) il primo anno, quattrocentoquaranta il secondo, vale a dire due volte più che a Saint- étienne, e senza il pericolo che un «piccolo giudice» italiano venga a ficcare il naso nei conti dell’intoccabile Juventus.

Raggiante, Boniperti stappa una bottiglia di Asti. Poi si offre di riaccompagnare i suoi «amici francesi» all’aeroporto di Caselle. Il presidente in persona si mette al volante e chiede all’autista di accomodarsi sul sedile posteriore, tra Genestar e Piat. Quest’ultimo, dopo qualche chilometro, si sporge verso Platini e con discrezione gli fa notare che il dipendente porta alla cintura una magnifica Holster… Seduto davanti, sul lato del passeggero, il futuro numero 10 bianconero vorrebbe prendere un po’ d’aria. «Mi spiace, Michel, ma non si possono abbassare i finestrini di una macchina blindata…» lo rassicura Boniperti prima di schiacciare di nuovo il pedale sull’acceleratore.

Piazze porticate, larghi viali ombreggiati, lunghi tram arancioni che scaricano qualche raro passeggero… Tre mesi e una Coppa del Mondo dopo la sua prima «gita» in una limousine blindata, Michel Platini ritrova Torino avvolta nell’afa di un giorno d’estate. Questa volta, il paesaggio non scorre più dietro i vetri oscurati di un veicolo superprotetto. È lo stesso Platini a guidare la sua Range Rover verde, ancora provvista della targa 42 della Loira. Al suo fianco, la moglie Christèle. Sul sedile posteriore, l’altro acquisto della Juventus, il polacco Zbigniew Boniek, che cova con gli occhi la consorte Wieslawa.

Platini e Boniek si apprestano a unirsi per la prima volta ai loro nuovi compagni di squadra, dopodiché tutta la truppa partirà per il ritiro pre-stagionale di Villar Perosa, quaranta chilometri a sud di Torino. Stressati, tesi come scolari il primo giorno di scuola, i nuovi assi stranieri della Juventus attraversano una città che sembra http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 4/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo abbandonata dai suoi abitanti, fuggiti a dorarsi sulle spiagge dell’Adriatico, le stesse frequentate da bambino da Michel. I corsi Vittorio Emanuele II, Castelfidardo e Re Umberto I sfilano così, praticamente deserti, prima che i quattro passeggeri scorgano ai piedi dello stadio Comunale un assembramento di almeno cinquemila persone. «Deve esserci una manifestazione» suggerisce Boniek. Ma vedendo quegli strani «manifestanti», in bianconero dalla testa ai piedi, precipitarsi urlando verso di loro, le coppie Boniek e Platini si rendono conto della trappola in cui si sono ficcati. «I tifosi hanno cominciato a scuotere la macchina. Sembravano amichevoli, gridavano “Platini! Platini!” o “Boniek! Boniek!”. Ciò non toglie che uscendo dall’auto per raggiungere il pullman Michel e io siamo stati presi dal panico» ricorda il malcapitato Zibì. Per loro fortuna, accorre a proteggere i nuovi compagni dall’allegra follia dei tifosi. Nella ressa, Platini deve comunque sacrificare il pullover di cachemire. Lui che ha sempre detestato i bagni di folla si siede sul pullman, il volto pallido, sotto gli sguardi beffardi degli altri giocatori.

A Villar Perosa, culla storica della famiglia Agnelli, il francese ritrova la calma e fa conoscenza con i suoi colleghi. Sei di loro (Zoff, Cabrini, Scirea, Tardelli, Gentile e Rossi) si sono appena laureati campioni del mondo con l’Italia. Agli eroi di Spagna, si aggiungono altri due pilastri della Juventus. L’attaccante Roberto Bettega, trentadue anni, alias Bobby Gol o Penna Bianca per via dei capelli prematuramente incanutiti. In seno al club già da dodici anni, ha dovuto rinunciare al Mundial a causa di un brutto infortunio al ginocchio. E Beppe Furino, trentasei anni, alla Juventus da diciassette, indistruttibile siciliano dalla tecnica grezza, diventato tuttavia il capitano della squadra, infaticabile, intransigente, uno dei giocatori preferiti di Giampiero Boniperti.

Ma a Villar Perosa, il novellino Michel Platini incontra anche e soprattutto sua maestà Gianni I. Depositato come al solito la mat- tina molto presto da uno dei suoi due elicotteri, il patron della Fiat ha chiesto di incontrare tre giocatori: Bettega, Boniek e Platini. Il suo discorso è tanto conciso quanto chiaro: «Quest’anno, la Juventus deve vincere tutto».

Purtroppo per l’Avvocato, la stagione non inizia nel migliore dei modi. Una sconfitta all’esordio in campionato, 1-0 contro la neopromossa Sampdoria, fa sorgere i primi dubbi. Malgrado una rosa da sogno, la Juventus si fa rapidamente staccare in classifica. All’entusiasmo che ha preceduto la partenza verso Villar Perosa subentrano la diffidenza e gli interrogativi. Davanti al Comunale, Platini può ormai http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 5/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo parcheggiare la sua Range Rover in tutta tranquillità. Solo qualche raro tifoso lo gratifica con un’amichevole pacca sulla schiena. Nemmeno i compagni di squadra si scapicollano più per salutarlo. Quando Tardelli si degna di parlare del francese, è per chiamarlo «quello là»… «La squadra non andava bene, allora inconsciamente i giocatori pensavano: “Siamo campioni del mondo, e siamo diventati campioni d’Italia senza di lui. Perciò tocca a Platini tirarci fuori dalla merda”» spiega Enzo D’Orsi, che segue la Juventus sul «Corriere dello Sport».

Tentando di ambientarsi nonostante la freddezza dell’accoglienza torinese, «quello là» prova dunque la sgradevole sensazione di essere tornato indietro di tre anni. Come al suo arrivo a Saint-étienne, si sente preso di mira dai nuovi compagni, che lo considerano «il cocco del presidente». Platini non reagisce più da «bambino viziato» ma da uomo ferito che vorrebbe apparire vaccinato. «In realtà, alle rogne ti abitui. Prima non sopportavo l’idea di non essere amato. E poi sono arrivato a un punto in cui più le persone mi detestavano, più ero contento. Voleva dire che almeno per loro contavo. Ecco dove mi aveva condotto il calcio e il bisogno di proteggermi…». Cinismo di superficie, malessere in profondità: Michel Platini para i colpi. Il suo primo interrogatorio con i poliziotti della polizia giudiziaria, la diffidenza dei compagni di squadra a Saint-étienne, in nazionale e ora a Torino, hanno reso il suo sguardo meno vivace e i discorsi sempre più sprezzanti. Eppure, sarebbe eccessivo affermare che siano solo gli inconvenienti della fama ad aver forgiato quel «nuovo Platini». Persino ai bei tempi di rue Saint-Exupéry o del liceo Papillon, il simpatico piccolo diavolo possedeva già una certa durezza capace di trasformarsi da un momento all’altro in crudeltà. Con una sorprendente miscela di compiacenza e lucidità, poco prima del Mundial Platini si era lasciato andare a una seduta piuttosto inedita di autoanalisi.

«È vero, come dicono, che lei è una persona complicata e lunatica?» gli chiede Gérard Ernault dell’«Équipe», uno dei suoi confessori preferiti.

«Sono abbastanza lunatico, è vero. Difficilmente accessibile, anche. Ma non perché guardi gli altri dall’alto in basso per la sola ragione che sono Platini. Sono sempre stato così. Prima non esprimevo la mia irritazione, la facevo sentire. Adesso sono onesto, metto davvero il muso, dico di no. Non c’entra fare la star, è una questione di carattere». Con un carattere più trattabile, Platini avrebbe comunque avuto successo? «Se non prendi le palle che ti passo, comincio a tirartele in faccia» prometteva il più grande giocatore di basket della storia, Michael Jordan, al http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 6/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo compagno Bill Cartwright. Oltre al talento, quasi tutti i campioni possiedono innata quella volontà impietosa che ha permesso loro, secondo l’espressione comune, di «sopravvivere», migliori tra i migliori, al termine di una spietata competizione. Dal 1980 al 1985, la psicanalista torinese Angela Ramello, ex atleta (è stata campionessa italiana dei 1500 e degli 800), ha intervistato ventiquattro sportivi di alto livello, tra cui Michel Platini. Con dieci anni di studi e i modelli freudiani, l’autrice di Campione, perché. Infanzia dei grandi atleti del nostro tempo è arrivata più o meno alle stesse conclusioni dei Bragard e del loro buon senso lorenese. «Michel Platini è un essere interiormente freddo, determinato, un vincitore naturale che già con gli altri bambini voleva essere il migliore, il più in vista. Non ha dovuto abituarsi alla sua condizione di campione. È nato così». Quel desiderio di sfondare non è sempre facile da gestire. «I grandi campioni sono il più delle volte degli esseri soli, insoddisfatti, in uno stato di perenne insicurezza». Come se la gloria e il denaro non facessero altro che isolare quei mostri di volontà ed egocentrismo, rafforzando così il complesso «io contro gli altri» indispensabile per superarsi. «Spesso, la paranoia è un mezzo per fare appello e raccogliere le energie in caso di bisogno» analizza un altro psicologo, l’americano Mihály Csíkszentmihályi, che ha studiato in particolare il caso Michael Jordan.

Davanti a quelle presunte aggressioni dall’esterno, il Platini che debutta a Torino oppone un volto chiuso, e reprime i propri sentimenti. «Mi piace camuffarmi» riconosce il campione, meno camaleontico di un blocco di marmo. Silenzioso, fissandosi la punta delle scarpe, attraversa come un’ombra, tra due file di tifosi, la stradina che separa gli spogliatoi dal campo di allenamento.

Fortunatamente, una semplice riunione permetterà di sradicare il male alla radice: «Prima di Natale, Boniperti ha convocato me e Boniek» racconta Platini. «Il presidente ha cominciato a urlare, e gli ho subito chiesto di calmarsi. Presidente, ci ha preso per le nostre qualità, giusto? E allora perché non ci lascia giocare nei nostri veri ruoli?». In poche parole, gli ultimi acquisti del calciomercato ritengono che il pallone passi un po’ troppo spesso sopra le loro teste. Il famoso realismo juventino che ha finito per annoiare addirittura Agnelli consiste infatti in lunghi palloni scaraventati in avanti dai difensori, ignorando i centrocampisti. Boniek racconta il seguito della conversazione tra Platini e Boniperti. «Michel ha detto: per dare il meglio di me, ho bisogno di agire come distributore di gioco, ruolo già occupato da un altro giocatore». Cioè Beppe Furino, il cocco di Boniperti.

http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 7/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo Sarà una frase di Gianni Agnelli a mettere tutti d’accordo. Il 16 gennaio 1983, prima giornata del girone di ritorno, l’Avvocato se ne va molto contrariato dalla partita Juventus-Sampdoria, terminata con un pareggio per 1-1. Sul punto di salire sulla sua macchina blindata, Gianni I si premura di proferire una delle battute che i cronisti amano tanto dissezionare e dare in pasto al popolo agnelliano. «Non sono venuto allo stadio per vedere il gioco passare per i piedi di Furino» si adira il patron della Fiat. Una settimana più tardi, contro il Cesena, Beppe Furino non è più tra i titolari. Sotto 2-0 dopo soli venti minuti di gioco, la Juventus accorcia le distanze e poi pareggia grazie a Platini. La riconquista della squadra può finalmente cominciare. A inizio febbraio i bianconeri annientano 3-0 la Fiorentina, con uno «splendido regista» che riceve un 7,5 in pagella dalla «Gazzetta dello Sport». Ma i veri fuochi d’artificio esplodono nel ritorno dei quarti di finale della Coppa dei Campioni contro gli inglesi dell’Aston Villa. Platini segna due delle tre reti bianconere, guadagnandosi titoli ditirambici sui giornali dell’indomani: PLATINI FAVOLOSO, JUVENTUS SUPERSTAR! annuncia per esempio «Tuttosport». L’omaggio più bello, però, l’ex snobbato ora incensato lo riceve dal suo tifoso più fedele. «Il mio cuore operato ringrazia Platini» dichiara Gianni Agnelli, che si è appena sottoposto a un delicato intervento cardiochirurgico.

Il palpitante cuore dell’Avvocato avrà meno occasioni per entusiasmarsi nell’ultima parte della stagione. Contrariamente alle sue richieste nel ritiro di Villar Perosa, i bianconeri conquistano solo la , ossia quasi nulla. Cedono lo scudetto alla Roma e soprattutto falliscono il loro obiettivo principale: la prima vittoria in Coppa dei Campioni. Il 25 maggio 1983, a Atene, i torinesi perdono la finale per 1-0 contro i tedeschi dell’Amburgo. Dapprima imbavagliato dalla sua guardia del corpo, il giovane mediano Wolfgang Rolff, Platini si trasforma in centravanti per l’ultima mezz’ora di gioco. Problema: non riceve più un pallone perché nessuno è in grado di sostituirlo in cabina di regia. Ovvero la dimostrazione per assurdo che la Juventus non può più fare a meno del suo numero 10.

Platoche dovrà attendere ancora prima di poter diventare il secondo francese della storia (dopo Raymond Kopa) a vincere una coppa europea. In pochi mesi ha conquistato però un titolo certamente onorifico ma ancora più importante: quello di giocatore preferito di Sua Maestà Gianni Agnelli. In qualità di osservatore privilegiato, Boniperti riassume con uno slogan i legami che uniscono il vecchio piemontese al giovane lorenese: «Se l’Avvocato fosse stato un calciatore, avrebbe voluto giocare come Michel». http://www.ultimouomo.com/michel­platini­il­re­di­torino/ 8/13 5/5/2017 Michel Platini, il re di Torino | L'Ultimo Uomo

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Tags : juventus platini

Autore di diversi libri, caporedattore dell’«Équipe magazine», già collaboratore di «GQ», «So Foot», «Le Grand Mag» e produttore esecutivo di La Quotidienne du cinéma e Rencontres de cinéma, Jean-Philippe Leclaire è uno dei più influenti e apprezzati giornalisti sportivi di Francia.

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