AGOSTINO DEPRETIS

Leone Fortis, l'arguto giornalista a cui non sfuggivano i lati comici di uomini e cose, amava rievocare questo ricordo giovanile. Si era negli ultimi giorni di aprile del 1859; Cavour aveva chiesto e ottenuto in Parlamento i pieni poteri pel Go­ verno; esuli d'ogni parte d'Italia affluivano a Torino, giovani soprattutti, che si presentavano per volontari. In uno di quei giorni nello scendere dal treno Fortis ravvisa tra i viaggia­ tori Brofferio. Nel momento che questi muove i primi passi verso l'uscita, tra una calca di gente, accorre a lui Depretis:

Era più spettinato, più irsuto del solito; voce tetra. — Ebbene ? - gridò Brofferio. — Tutto è finito ! - rispose Depretis. Si strinsero la mano e si appaiarono. — Votati ? - insistè Brofferio. — Votati ! - replicò l'altro. — Povero paese ! - mormorarono tutti e due.

Quelli che erano più vicini ai due uomini politici credettero ad improvvise trattative con l'. «Ne fummo tutti sgo­ menti e sconvolti. Ora sa Lei che cosa deploravano così ? I pieni poteri accordati a Cavour per fare la guerra; mentre il paese ne aveva trasalito di gioia». Questo aneddoto non è solamente umoristico. Esso ci ap­ prende alcune cose importanti sulla psicologia degli uomini che componevano la Sinistra nel Parlamento subalpino e sui primordi della vita politica di Agostino Depretis. La Sinistra subalpina, specialmente dopo jl 1850 - cioè da quando , con Lanza e altri, se n'era distac­ cato per costituire il gruppo del Centro sinistro - corrispondeva piuttosto all'Estrema sinistra del posteriore Parlamento italiano. Sebbene non fosse l'espressione di un determinato partito, ma soprattutto di certe situazioni provinciali, era però tenuta in­ sieme da un comune spirito giacobino. In discreti rapporti col 172 MARIO VINCIGUERRA

movimento mazziniano - che amò avvolgere di romantico mi­ stero -, in realtà non fu mazziniana, appunto perchè giacobina e francesizzante. Non tutti i suoi membri inoltre accettavano il programma unitario di Mazzini; ne dissentiva uno dei capi più in vista, Brofferio. Quando, nel 1859, riscintillò sul cielo d'Italia la stella di Garibaldi, la Sinistra fu cordialmente gari­ baldina e poco dopo confluì in gran parte nel Partito d'azione. In tale mista compagnia si trovò l'ancor giovane Depretis fin da quando entrò la prima Volta nel Parlamento subalpino, nel lontano maggio del 1848, e ne risentì certamente l'influenza per lunghi anni. Noi abbiamo visto che ancora alla vigilia della guerra del 1859 egli appariva cordialmente legato all'indirizzo anticavou- riano impresso alla Sinistra specialmente da Brofferio. Eppure egli non sospettava che in quel preciso momento, che insieme con l'implacabile collega prendeva arie di profeta corrucciato, un pro­ fondo mutamento stava per operarsi nella sua carriera politica. A prepararlo lavoravano occultamente elementi nativi radi­ cati nel suo spirito. Depretis sedeva al Parlamento subalpino per effetto di una di quelle operazioni di grossolana chirurgia geografica con cui si chiu­ dono spesso le guerre. Per secoli il confine geografico tra Lombardia e Piemonte, a mezzodì, fu quello che è ritornato ad essere ora nel­ l'Italia unita, cioè spinto molto innanzi verso Vercelli, Alessandria e Tortona, in modo da includere dentro la regione lombarda i ter­ ritori di Mortara e Voghera: ciò per ubbidire alle ragioni etniche del paese, che è indiscutibilmente lombardo. Ma il trattato di Aquisgrana, dopo le lunghe guerre di predominio della prima metà del Settecento, fece passare questo paese di re di Sardegna, e que­ sto stato di cose durò fino alla guerra del 1859, che rimise le cose in sesto. Come tanti altri suoi compaesani, Depretis si trovò piemontese per volere di Sua maestà il Re di Sardegna, lombardo per tradizioni storiche, legami familiari e culturali, atteggiamenti spirituali. Ram­ pollo di media, agiata borghesia terriera di Stradella, presso il nuovo confine, quando venne il tempo di scegliersi uno stato, non andò ad addottorarsi in giurisprudenza all'università di Torino, sibbene a quella di Pavia, ed in. quell'ambiente acceso di spiriti liberali e così vibrante alle ispirazioni della prossima Milano, il giovane De­ pretis sentì il fascino delle idee rivoluzionarie lanciate da Mazzini. AGOSTINO DEPRETIS 173

Non tanto però che si trasformassero le qualità radicali del suo carattere di borghese campagnuolo della « Bassa » padana. La sua vita, anche da giovane, è uguale e terrestre. Non conosce voli; ama consolidarsi su ciò che gli è dintorno ed è tangibile. È privo di fantasia; ma è ricco di una tenacia che ama non ostentare, per­ ché sa calcolare le sue mosse, e non gli è estranea una certa diffi­ denza contadinesca, temperata dalla lombarda urbanità scherzosa. Perché egli conosce d'istinto l'arte di sciogliere o almeno allonta­ nare una difficoltà od una ostilità con una barzelletta, di quel tipo lapalissiano che riduce tutto alla più semplice espressione, e finge di non comprendere il lato più grave di una questione. Pretto stile lombardo, che alcuni decenni dopo avrà la sua caratteristica espres­ sione in certe frasi di Ferravilla, rimaste proverbiali come alcune di Depretis. E qui mi sia lecito aprire una breve parentesi per tirare in ballo una prima volta Carducci. In un distico famoso, da lui lan­ ciato contro Depretis, alludendo ai motti di spirito di questo, parla di « celie allobroghe », ed è inesatto, perché, come ho detto, lo spirito depretisiano, come tutta la sua forma mentale, fu pretta­ mente lombardo. Per completare il suo ritratto interiore non si possono trascu­ rare le circostanze nelle quali prese moglie. Sposò tardi, nel 1876, quando era alle soglie del potere, una distinta e vivace signora di Pavia, Amalia Flarer, che aveva conosciuta e chiesta in moglie una ventina d'anni prima. La famiglia di lei, che era una giovinetta, non vide favorevolmente la cosa, e forse lei stessa non fu attratta da quello spilungone trasandato nelle vesti, spettinato e irsuto, come ce lo presenta Leone Fortis nel 1859. Poco dopo la fanciulla andò sposa ad altri. Agostino non fece lo*Jacopo Ortis; ma non cambiò parere. Rimase scapolo, tranquillamente. Gli eventi s'in­ caricarono di riaccendere le tede nuziali. Rimasta vedova donna Amalia, Depretis le chiese di nuovo la mano, semplicemente, come se non fosse passata tanta acqua sotto il ponte del Ticino. Donna Amalia non era più una fanciulla; dietro al senso positivo di donna matura spuntava qualche ambizione. I misteri della capitale e della politica esercitavano una pungente attrattiva. Imbarcarsi per questa tardiva avventura con il vecchio amico esperto ed au­ torevole la elevava ad una condizione privilegiata nella piccola mondanità provinciale. Accettò, e la coppia s'installò in una casa 174 MARIO VINCIGUERRA nuova della grande strada della Terza Roma, via Nazionale, là dove s'incrociava con la via che ora prende il nome appunto da Depretis. Ne marito, ne moglie, per altro, si fecero ubriacare dai fumi del successo e del potere. La loro vita privata si svolse agiata, pacata, modesta, negli stretti confini del bilancio domestico. La loro casa era in un rione nuovo, con qualche pretesa; ma era l'ap­ partamento all'ultimo piano; e il vecchio Presidente del Consiglio, afflitto dalla gotta, saliva talvolta dolorando i centoventi scalini per raggiungere la porta di casa. - Ci si abitua - diceva con un mezzo sorriso il povero vecchio, quando gli amici lo compassiona­ vano; e soggiungeva: - Abitando al quarto piano, pago trecento lire mensili, ed ho una bella casa, che potrei subaffittare per lo stesso prezzo il giorno che non fossi più ministro. Le scale sono parecchie; ma, io, che non faccio mai moto, trovo giovamento a stare in alto e all'aria buona. Questo l'unico romanzo della vita di Agostino Depretis. Ro­ manzo in pantofole, se vogliamo; ma che a torto si giudicherebbe indegno di ricordo nella biografia dell'uomo di Stato. Oltre che av­ volgere di una blanda luce casalinga i costumi politici del tempo, questi casi ci dicono molto sul carattere dell'uomo, e ci spiegano i suoi metodi d'azione preferiti anche nel campo politico. Coloro i quali lo ritennero un semplice opportunista, senza principi, si sba­ gliarono di grosso. Egli tenne fede costantemente ai grandi principi del liberalismo; rivendicò sempre le libertà civiche, ed io credo che poco di più esplicito sia stato detto nella nostra vita parlamentare di quello che, sulla libertà di stampa, Depretis disse al Parlamento subalpino nel lontano 1852:

Io credo che importi sommamente di rendere robusto e virile il carat­ tere nazionale. Tutti sanno che la stampa trova sempre il modo di dire quello che vuole... Però gli scrittori che si avvezzano a parlare per reti­ cenze o per figure, a non chiamare le cose col loro nome... influiscono certa­ mente sul carattere nazionale; gli abiti della letteratura diventano molte volte abiti della nazione, e lo stesso rimprovero che si fa agli scrittori si viene dopo un certo tempo a fare al paese. Io tengo per fermissimo che la robustezza di carattere, di cui va tanto a ragione distinta la forte razza anglosassone... è dovuta al lungo esercizio del diritto di libera stampa... Ora dunque non dobbiamo toccare tanto leggermente a questo prezioso diritto, imperocché... abbiamo una gravissima ed inevitabile lotta da so­ stenere. Ed è la libertà di pensiero quel mezzo col quale si potrà dare tem­ pra robusta al carattere nazionale. AGOSTINO DEPRETIS 175

A queste cose egli credè sempre sinceramente, e, per rimanere nel campo specifico della stampa, non fu un caso che l'avvento della Sinistra al potere aprì il periodo forse più brillante del giornalismo italiano. È certo che ciò non sarebbe potuto avvenire, se colui che tenne più a lungo in mano il timone dello Stato lo avesse volto verso le costellazioni infauste alla vita del pensiero. Non fu un opportunista; ma è vero invece che fu un uomo che ebbe squisito il senso della opportunità e della tempestività - e questo si potè equivocare per malinteso o per malafede. Ed ebbe perciò la sapienza dell'attesa e la giusta valutazione delle proprie forze e di quelle dell'avversario, col quale fu sempre estremamente cortese, evitando con cura di portare le cose agli estremi, di ferire l'amor proprio altrui in maniera irrimediabile. Sui primi del '78 il deputato di opposizione De Renzis - che era un dilettante così di politica come di letteratura e di arte - in un discorso sul bilancio di politica estera, lo attaccò con virulenza. Quando rispose ai vari oratori, Depretis riservò a De Renzis questa battuta: « L'onorevole De Renzis è un artista, e quindi anche collega mio, perché in gioventù ho suonato il violino ». Scoppiò una generale ilarità, e lo stesso De Renzis abbozzò un sorriso, sebbene nel fondo della facezia ci fosse qualche aculeo. Qual'era l'altra faccia di questa figura ? Il suo temperamento flemmatico, metodico, abitudinario gli precludeva la via per le rapide intuizioni, per gli slanci arditi, per giocare di sorpresa con l'avversario, e questo dà la spiegazione della lenta carriera e della lenta evoluzione da un radicalismo piuttosto di maniera al libera­ lismo di sinistra. Tale evoluzione era già principiata dentro di lui - anche se tuttora nascosta a sé stesso dal velo delle vecchie abitudini mentali - quando, nella primavera del 1859 andava mestamente a braccetto di Brofferio, presagendo sciagure alla patria sotto la tirannia di Cavour. Gli avvenimenti nel loro rapido corso si incaricarono di affrettare la maturazione della evoluzione depretisiana. A questo punto, per rendersi conto del concatenamento dei fatti, è necessario chiarire succintamente i rapporti di Depretis con Rattazzi. Depretis lo aveva avuto suo vicino di settore, nella Sinistra, al suo primo ingresso nel Parlamento subalpino; ma, dopo Novara, Rattazzi s'era distaccato, per fondare, insieme con Lanza, il Centro 176 MARIO VINCIGUERRA

sinistro, col quale si avviò ài govèrno, tre anni dopo, trattando la famosa alleanza con Cavour. Depretis, che era rimasto immotile cori la Sinistra, deprecò Con questa il « connubio » Cavour-Rattazzi, e con questa, nel 1854, votò disciplinato anche contro la partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea - grosso errore politico, che discreditò la Sinistra. Senonchè la guerra di Crimea e le sue conseguenze ebbero ri­ percussioni anche sulla politica interna del Piemonte, e sullo schie­ ramento dei partiti. Verso il 1857 il «connubio» non teneva più: Rattazzi era attratto nell'orbita del partito di Corte, avverso a Cavour; Cavour mirava a prepararsi un più largo partito di governo, accentrato intorno alla sua persona. Questi movimenti durarono quattro anni circa. La prima fase si chiuse col grave scontro tra Vittorio Emanuele II e Cavour a Monzambano, la vigilia dell'armistizio di Villafranca; la seconda si chiuse - e chiuse fatalmente anche il ciclo storico - con la iriorte di Cavour. Questi quattro anni furono quelli che agirono in modo defini­ tivo sull'animo di Depretis, impririiendogli una^ fisionomia propria tra gli altri uomini di sinistra, ed avviandolo ai maggiori destini. Finché Rattazzi rimase stretto con Cavour, nel « connubio », Depretis, insieme con gli amici Brofferio, Biancheri, Saracco, Va­ lerio, si tenne distante da lui. Depretis, in quel periodo, era ancora un distinto gregario e non più. La sua personalità comincia a for­ marsi proprio dopo il 1856, quando la situazione parlamentare si rimette in movimento, e quasi lo strappa alla disciplina di gruppo, che lo impigliava e impigriva in certi abiti mentali che non gli ap­ partenevano. Il suo pragmatismo e la sua argutezza lombarda erano distanti da un astratto schematismo venato di settarismo giacobino, quale in un Brofferio. Depretis cominciò ad affidarsi al proprio giudizio, al suo istinto di uomo politico nato, che ha il senso delle cose, e comprende la differenza tra ciò che è sostanziale e ciò che è transeunte. Molti anni dopo egli riassunse quest'arte della combi­ nazione in una frase che si sarebbe potuta incidere sulla sua tomba: « Raccogliamoci intorno a quello su cui andiamo d'accordo; trala­ sciamo quello su cui discordiamo». Ma fin da quegli anni lontani della sua vera primavera politica egli cominciò a muoversi con questa nuova guida mentale. AGOSTINO DEPRETIS 177

Si riawicinò a Rattazzi; ma senza entrare, né allora né poi, nel suo gruppo; e, quando, in seguito al tempestoso episodio di Monzambano e alle dimissioni di Cavour, Vittorio Emanuele formò di propria iniziativa un ministero con presidente La Marmora e Rattazzi ministro degli interni, Depretis accettò da questo Puffi- ciò di commissario straordinario per . Circa sei mesi dopo quattro collegi di Lombardia lo elessero nelle elezioni del marzo 1860, nelle quali per la prima volta votarono le province lombarde. Era il saluto della regione nativa ad un suo figliuolo; ed egli dovè rimanere commosso. Optò per Stradella, che gli rimase fedele fino alla morte. Poco più di un mese dopo avveniva la partenza di Garibaldi da Quarto. INel giugno si risentirono a Torino i contraccolpi politici della grande impresa. Scoppiò il conflitto con Garibaldi e Crispi (cioè Mazzini) sugli sviluppi di essa, e sulle conseguenze di un even­ tuale sconfinamento negli Stati papali. La Farina, il fedele di Cavour, mandato commissario regio a Palermo, fu bruciato dentro poche settimane. Per suggerimento di Crispi, Garibaldi espresse le sue preferenze per Depretis. Per suggerimento di Cavour il Re esitò. Cavour non poteva dimenticare il passato politico di Depretis, troppo legato fino a tutto il 1859 con Brofferio ed altri simpatiz­ zanti col mazzinianesimo; non poteva dimenticare che nella famosa seduta del 23 aprile 1859 era stato proprio lui, Depretis, a proporre l'ordine del giorno della sospensiva alla votazione sui pieni poteri da dare al Governo. Gli avrebbe preferito Valerio, e così anche il Re; ma non stimarono opportuno impuntarsi, e aderirono al desi­ derio di Garibaldi. Cavour non manca però di mettere in guardia Persano (lettera 7 luglio 1860) nell'annunziargli la prossima par­ tenza di Depretis:

È un uomo indeciso, che mal sa affrontare l'impopolarità. Ha ingegno, ina difetta di studi politici, che valgono ad informare i giudici sull'oppor­ tunità di atti che sono di indole internazionale. Sarebbe un ottimo esecu­ tore sotto un capo deciso. Riuscirà un mediocrissimo direttore in un gran movimento politico. Giudizio duro, ma, in fondo, giustificato da parte di un uomo che non aveva intimità con lui, e lo giudicava dalla sua posi­ zione ancora di seconda fila dopo dieci anni di carriera politica. Invece la prima sorpresa Depretis doveva darla proprio in quella delicata missione. Crispi credeva di potersi valere fa-

12. 178 MARIO VINCIGUERRA

cilmente di Depretis per rimandare l'annessione al Piemonte, secondo il programma garibaldino-mazziniano, che mirava a Roma. Faceva probabilmente della persona di Depretis un giudizio non dissimile da quello di Cavour, e pensava di po­ terselo tirare dietro in nome della intransigenza di sinistra. Fu una grande delusione. Con tattica temporeggiatrice egli riuscì a dare, tempo che maturassero gli eventi sia nel Mez­ zogiorno continentale sia nell'Italia centrale. Quando ha l'im­ pressione che le truppe regolari stanno per marciare verso la frontiera pontificia, rompe gl'indugi e appoggia apertamente gli annessionisti. Poche settimane dopo (14 settembre) è costretto a dare le dimissioni da prodittatore per la Sicilia; ma ormai la spedizione garibaldina è contenuta dentro i confini del Regno di Napoli. Depretis ha saputo smentire i timori di Cavour; ha affron­ tato l'impopolarità, l'irruenza di Crispi, i giudizi severi di vecchi amici di sinistra, informando la sua azione proprio alle ragioni ed esigenze di carattere internazionale. Dopo la primavera del 1861, in seguito all'inopinata scom­ parsa di Cavour, e di fronte a tanti problemi da risolvere urgen­ temente, la situazione politica si complicava, sia per effetto delle stesse difficoltà sia per deficienze di uomini. L'amalgama me­ ditato da Cavour, per raccogliere una nuova maggioranza in­ torno al suo programma di governo, non si effettuò più; si de­ linearono varie tendenze intorno ad alcune personalità, nessuna delle quali capace di dominare la situazione. Attratti la massima parte dal brillante avvenimento del « connubio » del 1852 - il quale però fu un riuscito espediente di strategia parlamentare, e non la quintessenza della politica cavouriana - si pose un grande studio a ricalcare il « metodo del connubio », mentre la situa­ zione non era più quella; l'Italia unita, con dentro le caotiche Provincie meridionali, non era il Regno di Sardegna con la ultra­ montana Savoia. Fallirono per questo così i tentativi di « connubio » con direzione di Destra (Ricasoli), come - e peggio - quelli con dire­ zione di Sinistra (Rattazzi), e la Corona potè approfittarne per appoggiarsi a governi emananti da essa (ministero La Marmora, dopo i fatti di Torino del settembre 1864; ministeri Menabrea (1867-1869), dopo Mentana). AGOSTINO DEPRETIS 179

In questo secondo periodo della sua vita politica Depretis si tenne in una posizione insieme riservata ed eclettica. Era uscito ormai definitivamente dalla Sinistra intransigente - ed infatti non fece parte del Partito d'azione, germinato da quella; era diventato un uomo di Centro sinistro, ed entrò infatti nel ministero Rattazzi del 1862, come ministro dei Lavori pubblici; ma evitò di entrare formalmente nel gruppo, ed anzi, quando Hicasoli formò il suo secondo ministero, nel giugno 1866, alla vigilia della guerra, accettò l'offerta del portafogli della Marina dove, in una situazione da tempo compromessa per imprepara­ zione e dissidi personali, dovè assistere impotente al precipi­ tare degli eventi verso la disfatta. Chiusa la guerra passò al ministero delle Finanze; poi non partecipò più ad altre combi­ nazioni ministeriali. Pareva un isolato, forse logorato, per quella sua aria stanca e cascante - e non aveva ancora calcata la soglia della sua vera carriera politica. Il 1873 morì Urbano Rattazzi. Dopo l'ultima infelicissima prova del ministero del 1867, egli era oramai un sorpassato. Anche la sua salute rapidamente declinante lo aveva messo fuori della competizione politica, nei nuovi aspetti che si andavano deli­ neando dopo la presa di Roma. In una situazione politica più chiara e più salda, dentro e fuori il Parlamento, gli avvenimenti del 1870, conclusivi di un'era, potevano essere il principio di una revisione generale delle po­ sizioni rispettive. Questo sentì vagamente la classe politica al governo, e cercò di soddisfare una tale esigenza; errando però nell'attuazione. Essa credeva di potersi identificare con un par­ tito, detto anche dagli storici molto approssimativamente Destra; onde l'illusione di rinnovarsi e rinsaldarsi col dare al partito una organizzazione più rigida, una più irta intransigenza. Fu il tempo in cui , che era ostico a parecchi dei suoi stessi amici, e che per vari anni era rimasto in penombra, riapparì alla ribalta, come ministro dei Lavori pubblici nel mi­ nistero Minghetti del 1873, ultimo della Destra, influendo for­ temente nel darvi un carattere intransigente ed esclusivista. Questi uomini, i quali si gloriavano di essere successori e quasi depositari del pensiero cavouriano, non si accorgevano di aver percorso un cammino inverso a quello di Cavour, il quale, uscito 180 MARIO VINCIGUERRA intorno al 1850 dalla ristretta cerchia di un gruppo politico, era arrivato, alla vigilia della morte, alla concezione di un largo partito di governo, dalle numerose sfumature, e che non coin­ cidesse più con questo o quel partito politico dentro il Parla­ mento, ma più in generale con la classe politica predominante nel Paese. Non risponderebbe alla natura di questo scritterello adden­ trarsi in una discussione teorica sui dati di fatto accennati or ora; personalmente io credo che l'indirizzo dato da Cavour nell'ultimo periodo della sua vita, come uno dei mezzi per risolvere l'enorme problema dell'assorbimento di tutta la variegata società italiana, che di colpo veniva ad addossarsi al piccolo Piemonte; che quel­ l'indirizzo, dico, sia stato saviamente concepito; e che la inca­ pacità d'intenderne le profonde ragioni, e quindi di proseguirlo con conoscenza di causa, sia stata una delle principali ragioni della ritardata unificazione nazionale. In seguito a ciò era fatale che a un certo momento Governo e Paese non s'intendessero più. Ma anche l'opposizione dell'Estrema sinistra rimaneva chiusa in formule astratte, invecchiate, che erano l'antitesi delle formule della Destra e dell'appartata società clericale del tempo; ma non costituivano elementi per fondare un governo nuovo appoggiato a larghi consensi di opinione. Qualche cosa di questo genere pensò di fare quella parte della vecchia Sinistra subalpina, la quale si avvicinò ai nuovi elementi provenienti dalle altre regioni d'Italia nell'intento di costituire un più largo Centro sinistro, abbandonando la pregiu­ diziale del regime. Anche di questo nuovo Centro Rattazzi ambì di farsi capo, col solo effetto di ritardare la fusione di quelle varie correnti con le sue ambagi e il suo particolarismo; sicché, alla morte di lui, il Centro sinistro era formato da tanti gruppetti raccolti intorno ad alcuni capitani, che, con le armi al piede, circondavano la fortezza della Destra, aspettando ormai la resa. Depretis, che era entrato in quest'ordine d'idee, questa volta smentì la fama di lentezza e di eccessiva prudenza. In se­ guito ai risultati favorevoli all'opposizione, nelle elezioni del 1874, fu lui questa volta a muoversi, in vista della suc­ cessione. La prima mossa fu verso i compagni di settore — visto che questo non costituiva una vera unità. I suoi passi si rivolsero AGOSTINO DEPRETIS 181 verso Nicotera e - ironie della vita politica - verso Crispi, il Serissimo antagonista di Palermo, nella estate del 1860. Perchè egli preferì questi due irruenti parlamentari, tanto lontani dai suoi modi di condurre gli affari politici ? Per la ra­ gione molto semplice che esisteva ancora un profondo distacco fra Settentrione e Mezzogiorno, ed egli comprese che un uomo politico del Settentrione il quale si preparava a prendere il go­ verno per la prima volta non avrebbe avuto nessun risultato apprezzabile ad agire nel Mezzogiorno direttamente. Era neces­ sario piegarsi ad una necessità non priva di ombre, ed era di associarsi questo o quello dei colleghi meridionali e isolani di maggiore seguito, e mettere il Paese nelle loro mani pro­ consolari. Questo metodo, che dette il maggiore motivo alle più implaca­ bili accuse, lanciate a Depretis, di corruttore della vita pubblica italiana, non fu inventato da Depretis. La Destra ebbe non meno le sue baronie elettorali nel Mezzogiorno; solo che male organizzate, cioè vere baronie, troppo numerose, sparpagliate, incastellate. Depretis, col suo spirito organizzatore e metodico di lombardo, dette un'organizzazione alla macchina elettorale meridionale. Quel meccanismo, così impiantato, ha poi funzionato su per più eguale per oltre quarant'anni. Ai primi di questo secolo, Giolitti non gli dette che alcuni ritocchi per aggiornarlo ai tempi nuovi. Solo il suffragio universale e i grandi spostamenti sociali dopo la Prima guerra mondiale cambiarono in parte l'ambiente politico. Non bisogna dare giudizi affrettati o generici in una materia così complessa. Si consideri che sia pure in forma anormale - con­ seguenza di tutta una situazione arretrata e decadente — con l'av­ vento della Sinistra la questione meridionale entrò - per la scala di servizio - nella politica italiana. Parallelamente alle alleanze meridionali Depretis condusse altre intese fuori dei gruppi di sinistra: col vecchio amico conter­ raneo Correnti, il quale primeggiava al centro destro, e coi toscani di destra, malcontenti e straniati dal partito a causa della politica statalista di Spaventa, che minacciava il voluminoso capitale to­ scano investito in azioni ferroviarie. Con queste alleanze la Sinistra poteva dare battaglia in Par­ lamento a colpo sicuro. In ottobre del 1875, alla vigilia della nuova sessione parlamentare, Depretis parlò a Pavia, ad un banchetto MARIO VINCIGUERRA offertogli dai suoi elettori di Stradella. Il discorso fu come il pro­ clama alle truppe. Esso per altro non aveva niente di sconvolgente. Un partito conservatore che non fosse diventato chiuso ed ombroso, come allora la Destra, poteva accettarlo nelle sue linee generali. Su di un punto però la Destra in ogni caso non avrebbe potuto seguirlo,- ed era la promessa di un allargamento del suffragio elet­ torale. Che una simile riforma, la quale prevedeva un corpo elet­ torale di non più di un paio di milioni, sia potuta essere causa di gravissime preoccupazioni e di un conflitto politico, può fare sor­ ridere noi con la nostra mentalità da suffragio universale; ma, ri­ portandoci alle condizioni dei tempi, non si esagera nel chiamare ardita la riforma elettorale promossa da Depretis. Si tenga presente che nel seno degli stessi gruppi di sinistra più d'uno era tutt'altro che convinto, almeno, della tempestività del progetto - tra i più autorevoli Zanardelli; e Depretis trovava appoggi piuttosto al centro destro, in un drappello di giovani parlamentari - Sonnino, Villari e qualche altro - che si richiamavano all'esempio inglese. La famosa seduta del 18 marzo 1876 era dunque una specie di manovra avvolgente preparata con cura dal flemmatico capitano, ed attesa da tutti. Non ci fu sorpresa in quel giorno; ma piuttosto nei giorni posteriori delle consultazioni per la formazione del nuovo ministero. La caduta del ministero Minghetti era stata determinata dal voto di una coalizione. A rigore, questa avrebbe dovuto succedere nel governo. Tale era anche l'intima idea di Depretis, il quale, il 18 marzo, a Minghetti, che invocava i grandi principi, rispondeva escludendo le posizioni antitetiche: « Qui non si tratta di mutare alcun grande principio, ma di dare un indirizzo al governo che calmi il malcontento che esiste nel paese ». Aperta la crisi, Depretis intendeva risolverla includendo Cor­ renti e un rappresentante della Destra dissidente toscana. Qnanto alla sistemazione di Nicotera, conoscendone il carattere e i metodi, pensava di tenerlo lontano dal ministero degli Interni, dove avrebbe preferito Crispi. Ma era proprio là che intendeva di andare Ni­ cotera. L'ex cospiratore mazziniano aveva conservato degli anni giovanili l'arte e il gusto del complotto, e s'era fatte le sue entra­ ture presso il partito di Corte. Quando Depretis espose al Re le sue ripugnanze nei riguardi di Nicotera, e lo pregò di indurlo a ri­ tirare quella specie di ipoteca che aveva messa sul ministero degli AGOSTINO DEPRETIS 183

Interni, Vittorio Emanuele promise che avrebbe fatto; mai poi dichiarò a Nicotera che non divideva l'opinione di Depretis. Fu un fatto che ebbe gravissime conseguenze. Centro destro e Destra dissidente rimasero fuori; Depretis dovè rinunziare al suo disegno, non avendo più sufficienti forze per imporlo, in seno alla stessa Sinistra, e Nicotera prese possesso del ministero degli Interni come di una fortezza. Si presentò alla Camera un ministero di minoranza, con un ministro degli Interni deciso a farla diventare maggioranza con qualsiasi mezzo. Le elezioni del novembre suc­ cessivo, specialmente nel Mezzogiorno, furono uno sterminio per gli avversari. Tutto il Mezzogiorno continentale non diede che quattro deputati di Destra; la Sicilia cinque. Triste vittoria. La Sinistra, rimpinzata di uomini nuovi, po­ litici improvvisati, divenne caotica e si frantumò sempre più; e già nel 1877 Francesco de Sanctis ammoniva: « Oramai siamo a questo, che non ci sono partiti solidamente costituiti, se non quelli fondati sulla regione e sulla clientela, le due piaghe d'Italia ». Lo spirito fazioso aveva fatto fallire la prima prova della Si­ nistra al potere, neutralizzando lo spirito conciliativo del Presidente. Sorse il gruppo Cairoli a contendergli il potere, che portò incespi­ cando, finché lo scacco di Tunisi lo mise fuori competizione. Tornò Depretis, immutato nei suoi propositi, secondo la sua natura, ma libero ormai dagli impegni del 1876. Sinistra e Destra s'erano disintegrate; il problema che si era affacciato alla mente di Cavour, al momento in cui il Parlamento subalpino spirava per dar vita al Parlamento italiano, si ripresentava ora che chiudeva il suo ciclo la classe politica del Risorgimento, e si affacciava in­ certa e senza guida la nuova generazione. Bisognava dare ad essa una direttiva, una organizzazione, una esperienza di governo e di amministrazione, per cui fosse possibile attuare un programma di riforme indispensabili e di consolidamento finanziario. Depretis questa volta non si fece sviare. Ripreso il potere nel maggio 1881, condusse in porto finalmente la legge elettorale, e nell'autunno dell'anno appresso fece votare due milioni di elettori, di 600 mila che erano. Dopo di che gettò le basi di una maggioranza di governo, offrendo la mano al vecchio avversario sconfìtto, Min- ghetti, e stringendo alleanza col suo gruppo. Con assiduo paziente lavoro il parlamentare veterano aveva raggiunto il suo vero fine, riallacciandosi all'ultima fase dell'opera 184 MARIO VINCIGUERRA cavouriana. Già nel discorso di Stradella dell'ottobre 1876 egli aveva chiaramente esposto le sue idee in proposito: Io spero che le mie parole potranno facilitare quella concordia, quella feconda trasformazione dei partiti, quella unificazione delle parti liberali della Camera, che varranno a costituire quella tanto invocata e salda maggio­ ranza, la quale, ai nomi storici tante volte abusati e forse improvvidamente scelti dalla topografia dell'aula parlamentare, sostituisca per proprio segna­ colo una idea comprensiva, popolare, vecchia come il moto, come il moto sempre nuova: il progresso. Noi siamo, o signori, un ministero di progressisti. Sotto questa formula Depretis fu come il tutore e il precettore della nuova classe politica italiana, la generazione democratica che durò fino alla Prima guerra mondiale: grande fatto storico, il cui compimento è sufficiente per la gloria di un uomo. Per uno di quegli spiegabili, ma pur strani fenomeni d'incom­ prensione per passione di parte, egli mietè larga messe di vituperio, soprattutto nel mondo intellettuale, e la sua opera fu chiamata a di­ spregio col termine di « », nel senso di premeditata di­ struzione dei partiti: i quali erano sopravvissuti ad un'epoca storica ormai chiusa, e quindi erano destinati a morire di consunzione. Depretis ebbe, per tutt'altra ragione, la cattiva sorte di papa Adriano VI, il quale fu ostico a tutti i letterati d'Italia, che lo vilipesero. I due maggiori letterati del tempo, De Sanctis e Car­ ducci, che poco s'intendevano così in letteratura come in politica, si trovarono d'accordo nel colpire duramente il « freddo vecchio », « irto, spettrale », il desultor, confermando coi loro severi autore­ voli giudizi la fama di cinismo suscitata dalla rabbiosa opposizione di INicotera, che dal ritorno di Depretis fino alla vigilia della sua precoce morte rimase fuori del governo a consumarsi dentro di se come Filippo Argenti. Meno male che Carducci, prima di scagliare le sue frecce, nel discorso agli elettorali di Pisa del maggio 1886, dà un saluto cavalleresco all'avversario: « Dichiaro anzitutto che io nell'onorevole Depretis rispetto la onestà della vita e la benemerenza dei lunghi servigi alla patria». Di tutta la sua diatriba sono queste le parole che hanno mag­ giore giustezza storica e giustizia umana, ed avevano valore per quegli estremi anni pesanti di cure come per gli anni alati di spe­ ranze del lontano 1848, che trasvolava talvolta nella memoria del vegliardo avvolto nelle familiari brume del Po.

MARIO VINCIGUERRA