Emigranti Def 16 Maggio.Indd
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CAPITOLO II L’emigrazione italiana. Il dibattito politico e la fenomenologia sociale 2.1 Il dibattito politico dall’Unità alla prima guerra mondiale Nel XIX secolo l’emigrazione temporanea non destava nessun proble- ma al mantenimento di sfruttamento del lavoro contadino. Era vista con preoccupazione l’emigrazione permanente verso la fine degli anni 60, espressione dell’opposizione popolare al nuovo governo a seguito del- l’introduzione di tre odiati provvedimenti: una nuova tassa sul macinato, la politica internazionale di libero scambio e il servizio di leva obbligato- rio. I primi ad avvertire la consistenza del fenomeno furono gli agrari per- ché l’esodo contadino minacciava il rapporto tra patti agrari e salari con evidente aumento degli ultimi, lievitando il costo della manodopera. Nella giovane classe dirigente dell’Italia unita emersero contraddizio- ni tra chi chiedeva al Governo un freno dell’emigrazione e chi era favo- revole alla liberalizzazione dell’esodo. I difensori dell’emigrazione consideravano il fenomeno per lo Stato e per la Nazione positivo quando determinato principalmente dal sover- chio crescere della popolazione, negativo quando l’emigrazione assume proporzioni di un esodo di massa con tutti caratteri di una vera e propria mania contagiosa, tale da costituire un pericolo più o meno grave per l’avvenire della nazione. Queste osservazioni espresse Vincenzo Grossi nel 1899 nella introduzione ad uno studio dal titolo “La politica dell’emi- grazione in Italia nell’ultimo trentennio 1868-1898” apparso sulla rivista Marittima e ristampato dalla tipografia del Senato. 37 Nell’ambito del dibattito ottocentesco, fu il settore agrario dei grandi proprietari di latifondi ad avere la meglio in Parlamento, infatti, proprio in gennaio 1868, uscì la circolare del Ministro dell’Interno Raffaele Cadorna che raccomandava ai prefetti di non lasciar partire per l’Ameri- ca e l’Algeria i lavoratori italiani che non dimostrassero di avere “occu- pazione ben assicurata e mezzi sufficienti di sussistenza”1. Egli infatti riteneva che gli uomini sotto padrone fossero protetti e appartenessero a una emigrazione coordinata che avrebbe riportato gli uomini in patria, rafforzando le risorse nazionali anziché esaurirle (Atti della Giunta Parlamentare per l’inchiesta agraria, cit. vol. I pag.III). Paolo Mantegazza futuro deputato del Regno nonché eminente scien- ziato che di lì a poco sarebbe diventato uno dei massimi rappresentanti dell’antropologia positivista ed evoluzionista d’Italia, se non d’Europa, fornisce uno dei primi contributi sull’emigrazione in ambito socio-antro- pologico, contenuti nel volume del 1867 “Rio de la Plata e Tenerife. Viaggi e studi”: per Mantegazza l’emigrazione deve essere considerata positiva in quanto essa rappresenta un meccanismo di autoregolazione delle società, una valvola di sfogo che consente di espellere l’esubero della popolazione. “In quel paese - scrive Mantegazza a proposito dell’emigrazione ita- liana diretta in Argentina - vi è un grande avvenire per tutti quelli che fra noi nacquero nei bassi fondi della povertà o che nel mezzo della vita furono schiantati da una bufera economica o morale. Il cambiar clima guarisce molti mali, così come l’emigrazione purga e guarisce molte nazioni”2. Secondo Mantegazza l’emigrazione espleta una funzione vitale per la sopravvivenza e il benessere di una nazione in quanto consente di espel- lere la popolazione più turbolenta “Povero quel paese – ribadisce – che non abbia una terra lontana e quasi sua, dove possano trapiantarsi i vio- lenti e gli impazienti; dove possano errare le comete della società civile; dove possano guarirvi gli ammalati nel sangue o nel cervello. Quando l’emigrazione non è fuga, né vendetta sociale, né fame, è un divellente che mantien vigoroso ed agile l’organismo delle nazioni”. 1 E. Sori, L’Emigrazione…, cit., pag. 73. 2 P. Mantegazza, Rio de la Plata e Tenerife. Viaggi e studi, Brigola, Milano 1867, pag. 11. 38 L’approccio di Mantegazza si può definire nazional-funzionali- sta ed è l’espressione di una tendenza generale di carattere politico. L’emigrazione è valutata positivamente, quindi legittimata, in quanto essa assicura la fuoriuscita di elementi patogeni che potrebbero compro- mettere l’indennità dell’organismo. L’emigrazione, dice Mantegazza, è “purga” per le nazioni. Due anni dopo la pubblicazione del volume in argomento, dopo che allo stesso Mantegazza veniva conferito il massimo riconoscimento accademico: la prima cattedra di Antropologia in Italia, l’Ufficio della Direzione della Statistica Generali maturava il bisogno, in seguito alla rilevanza che aveva assunto il fenomeno, di dare vita alle prime rileva- zioni sui flussi migratori. Dalle elaborazioni compiute da Leone Carpi nell’anno 1869, risulta- no 119.806 emigranti italiani che lasciano la Patria per i paesi europei o extra europei, che diventeranno 122.479 nel 1871 e 151.781 nel 18733. E sono proprio i dati del 1873 a turbare il mondo politico che senza esi- tazione diede avvio ad una serie di azioni con le quali intendeva vietare, bloccare l’emigrazione. Era la prima volta che la questione dell’emigrazione entrava nelle aule del Parlamento, accendendo il dibattito tra chi era contrario agli espatri e favorevole a risolvere il problema attraverso una politica meramente poliziesca e repressiva e chi criticava il Governo accusandolo di non far niente da un punto di vista pratico. Lo stesso presidente del Consiglio Luigi Menabrea affermava che il Governo non poteva “impedire che i cittadini italiani emigrassero all’estero”, invitando proprietari terrieri e industriali a “dare alla gente del popolo una condizione conveniente, (…) che quella povera gente e coi mezzi di trasporto resi così facili, e colle promesse dalle quali sono allettati, si decidesse di emigrare”4. 3 Questi dati sono tratti da MAIC (Ministero dell’Agricoltura, industria e commercio), Direzione della statistica della emigrazione italiana all’estero nel 1881 confrontata con quella degli anni precedenti, Roma 1882, pag. V. 4 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Discussioni, tornata del 30 gennaio 1868, in Ciuffoletti, Degl’Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia…, cit.,vol.I pagg.7-13. 39 Ma, poiché l’emigrazione continuava incessantemente a crescere, si giunse, il 18 luglio 1873, all’emissione della circolare Lanza ai prefetti, con la quale si invitavano le autorità di governo nelle province ad impe- dire l’emigrazione clandestina e a frenare con ogni mezzo quella lecita e spontanea. Il documento negava il nulla osta all’espatrio ai giovani che ancora dovevano prestare il servizio militare, ai militari senza congedo assoluto, agli inabili e soprattutto a chi era sfornito di mezzi vale a dire di capitali, colpendo direttamente chi emigrava, perché, appunto, non aveva capitali, favorendo così l’usura e l’espatrio clandestino. Era infine richiesto ai prefetti di pubblicare sui giornali articoli relativi alla cattiva sorte degli emigrati italiani nel tentativo di “(…) distogliere dall’emigra- zione i cittadini (…)”5. Il divieto di natura legislativa traeva vigore e trovava legittimazio- ne proprio sul fronte delle teorizzazioni scientifiche. Se nelle aule del Parlamento si discuteva esclusivamente di come bloccare l’emigrazione, nelle aule universitarie gli studiosi aprivano il dibattito su temi legati ai possibili effetti positivi, solo raramente di carattere economico (legati agli scambi commerciali con i paesi di destinazione) e molto più spes- so di carattere sociale (allontanamento di masse “turbolenti”). Le teo- rizzazioni degli studiosi contenevano elementi di valutazione negativa dell’emigrazione che giustificavano le decisioni politiche e che andava ben aldilà del presunto “spopolamento della nazione”, addotto dai parla- mentari. È evidente che tra il mondo politico e quello accademico si venne a creare una frattura, che fu tuttavia più apparente che reale; una sorta di “frattura relativa” che nascondeva una scienza asservita ad un potere. Il primo studio organico e sistematico sull’emigrazione fu condotto dall’ex deputato prof. Carpi che, nel 1874, diede alla stampa in 4 volumi, per un totale di 2.500 pagine, il suo lavoro dal titolo Delle colonie e dell’Emi- grazione d’Italiani all’Estero sotto l’aspetto dell’Industria, Commercio, Agricoltura e con Trattazioni d’Importanti Questioni sociali, vincitore del concorso promosso nel 1871 dalla Società di Economia Politica, di concerto con il Ministero dell’Istruzione Pubblica, dal titolo “Delle colo- nie moderne d’Italiani all’Estero nei loro rapporti con la Madre-Patria e 5 Idem, vol I, pagg. 30-31. 40 dell’Economia comparata civile e sociale – politica in vista dell’incre- mento degli interessi italiani”. Carpi ribadisce gli aspetti positivi di carattere sociale relativi all’espul- sione della “numerosa caterva di malviventi e degli spostati, tormento e flagello di ogni consorzio civile” come già asserito da Mantegazza e si sofferma su quelli negativi che in seguito diventeranno l’emblema delle rivendicazioni e restrizioni volute dai proprietari terrieri, confluiti poi nei programmi legislativi della Destra Storica. Scrive Carpi: “potrà a buon diritto ritenersi assolutamente dannosa (l’emigrazione), quando fa deserti i nostri contadi e le nostre ricche pia- nure”. Nelle aule universitarie, come in quelle del Parlamento, circolava la paura dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini e l’angoscia della lievitazione dei salari causati dalla carenza di manodopera. Era necessario mascherare tale paura e per bloccare l’emigrazio-