<<

8. L'espansione di Roma dalla conquista della penisola alle guerre puniche

10-14 marzo 2020 Giovanna Cicala Il territorio soggetto a Roma all’inizio della Repubblica

Secondo le fonti storiografiche in origine Roma estendeva il suo controllo dal Tevere alla regione Pontina. Secondo il primo trattato con Cartagine: “I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti (a Roma); nel caso di quelli non soggetti, si tengano lontani dalle loro città: ciò che prendano restituiscano ai Romani intatto” (Polibio, cfr. manuale pp. 64-65) La lega Latina Dalla fine del VI sec. all’inizio del V a.C. diverse città latine, inizialmente soggette a Roma, si raccolsero nella lega Latina. Poco si conosce di questa istituzione italica; appare chiaro che gli appartenenti si rifacevano a origini comuni, celebrazioni religiose –il santuario era ad Aricia-. Il loro esercito era guidato da un comandante supremo. Oggi si ritiene probabile che gli appartenenti godessero di ius connubii (diritto di contrarre matrimonio legittimo con altri latini) ius commercii (diritto di stipulare contratti con altri latini) ius migrationis (secondo cui ogni latino poteva godere di pieni diritti civici in una città diversa da quella natale, ponendovi la residenza) Il foedus Cassianum

La lega latina sfidò il potere di Roma, che la vinse sul lago Regillo. Nel 493 a.C. fu stipulato il foedus Cassianum (dal nome del magistrato, Spurio Cassio): i due contraenti si impegnavano a non combattere, ad appianare eventuali dispute commerciali, al reciproco soccorso in caso di attacco, a un’equa divisione dei bottini di guerra, si trattasse di territori o beni mobili. È ragionevole ipotizzare che i due contraenti mantenessero lo ius commercii, lo ius connubii e lo ius migrationis, già presupposto della lega latina L’alleanza con gli Ernici

Dieci anni dopo, nel 486, Roma stipulò una nuova alleanza con gli Ernici, una popolazione stanziata a Sud-Est di Roma tra gli Equi e i Volsci, ostili a Roma, un’iniziativa strategicamente importante. Roma, infatti, si ritrovò a essere minacciata da altre tre popolazioni: i Sabini, gli Equi e i Volsci, popolazioni osco-sabelliche dirette in migrazione verso il Lazio per motivi di sussistenza Il ver sacrum In questo quadro si inserisce la credenza del ver sacrum. Allo scopo di assicurarsi un sostegno divino, i raccolti venivano offerti alle divinità e bambini nati allora, raggiunta la maturità, avrebbero dovuto cercare una nuova patria seguendo l’indicazione di un totem animale. I Piceni, per esempio, avrebbero raggiunto il posto dove poi si stabilirono, seguendo un picus, e da questo animale presero il nome, e gli Irpini dal lupo, detto hirpos in osco. I conflitti con Equi e Volsci

Sappiamo dagli storiografi che il conflitto con gli Equi e i Volsci si protrasse per l’intero V secolo con esiti alterni. Equi e Volsci avanzarono insieme nell’area dei colli Albani conquistando l’area dei monti Prenestini e le città di Tibur (Tivoli) e Praeneste. I Romani e i loro alleati ne bloccarono l’avanzata a passo dell’Algido nel 458 a.C. In questo momento storico si inserisce la vicenda esemplare di Cincinnato. Sempre al passo dell’Algido, nel 431 i Romani registrarono un’altra importante vittoria. I rapporti con i Sabini

A Nord i Romani erano minacciati dai Sabini. Alcuni punti della tradizione mostrano l’apporto di questa popolazione all’affermazione di Roma. Roma si confrontò anche questo popolo, espandendo il proprio territorio nell’area compresa tra il Tevere e l’Aniene, dove creò due nuove tribù, la Claudia, nell’area in cui era stanziata in origine la gens omonima, e la Clustumina, così chiamata dal centro sabino di Crustumerium. Un episodio che va ricordato è l’incursione sul Campidoglio condotta nel 460 a.C. dal sabino Appio Erdonio, che secondo le fonti fu respinto con l’aiuto degli alleati di Tusculum Il confronto con Veio

Un momento importante dell’espansione di Roma fu il lunghissimo conflitto che la oppose a Veio, potentissima e ricca città etrusca che sorgeva ad appena 15 km da Roma in un punto particolarmente strategico per il controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e le saline poste alla foce del fiume. Il confronto si protrasse per tutto il V sec. e sono state distinte tre guerre La prima guerra con Veio

Nella prima (483-474 a.C.) i Veienti riuscirono a occupare Fidene, mentre un contingente di circa 300 Romani, appartenenti alla gens Fabia, fu sgominato presso il fiume Crémera. Il numero dei caduti, che si dice appartenessero al clan dei Fabii, e l’epopea dell’episodio pare rifarsi al noto scontro delle Termopili. Pare che il clan dei Fabii fosse stanziato proprio in prossimità dell’area dalla battaglia, quindi forse più che di un sacrificio per proteggere Roma, si trattò di una difesa dei propri possedimenti La seconda e la terza guerra con Veio

Durante la seconda guerra contro Veio (437-426 a.C.) i Romani riconquistarono Fidene e la distrussero e Aulo Cornelio Cosso uccise il tiranno di Veio, noto come Lars Tolumnio. La terza guerra di Veio (405-396 a.C.) si spostò a Veio stessa che fu cinta d’assedio per ben 10 anni. Si può scorgere nel racconto un’eco della guerra di Troia. Protagonista il romano Marco Furio Camillo che ricorse all’evocatio per essere favorito nel conflitto, promettendo a Giunone un tempio e culto a Roma. Il particolarismo etrusco e l’impegno Romano La terza parte dello scontro tra Veio e Roma mostra il particolarismo delle città etrusche, che avrebbe contribuito al loro annientamento. Cere si schierò con Roma e gli unici aiuti che vennero a Veio provennero da e Falerii, entrate nell’orbita di Veio. Il lungo protrarsi della guerra contro Veio costrinse i Romani ad affrontare onerose spese militari; per questo pare che allora fu introdotto un tributum uguale per ciascuna centuria; è facilmente comprensibile come la somma divenisse più onerosa per le prime centurie, più facoltose, rispetto alle ultime La calata dei Galli

Dopo Veio, Roma affrontò la calata dei Galli nel centro Italia. Per quanto Polibio, infatti, collochi lo spostamento di queste popolazioni tra la fine del V e i primi anni del IV secolo a.C., oggi si tende a ritenere più credibile la datazione di Livio che lo colloca nel VI secolo, in base al confronto con la documentazione epigrafica ed archeologica riferibile a quel periodo. Gli ultimi a raggiungere l’Italia sarebbero stati i Galli Senoni di Brenno, che invasero l’Italia centrale, per una semplice razzia Il sacco di Roma

Una parte della storiografia romana tramanda una resistenza eroica sul Campidoglio, guidata da Manlio Capitolino. Raccolto l’oro richiesto per il riscatto dai Galli, Camillo avrebbe guidato la riscossa romana sugli invasori, ma il silenzio delle fonti greche su quest’ultima parte del racconto, induce a credere si tratti di un tentativo romano di edulcorare la cocente sconfitta subita. Va anche ricordato che sinora non sono state rinvenute evidenze archeologiche a riprova dell’incendio tramandato dalle fonti Le mura ‘serviane’ Al periodo successivo al sacco gallico è attribuita la costruzione delle prime mura urbiche in tufo, cosiddette serviane, in quanto la tradizione le attribuisce a Servio Tullio. Proprio la provenienza dei materiali ne ha fatto spostare la datazione: se Roma non avesse sconfitto Veio, non avrebbe avuto accesso alle cave e la disponibilità del materiale. Questa considerazione può trovare riscontro nella narrazione liviana che riferisce una nuova costruzione di mura difensive nel 378 a.C., che assolsero il compito di dissuadere dall’assedio importanti nemici di Roma, come Pirro e Annibale Il proseguimento delle lotte fra gli Equi e i Volsci In quegli anni anche gli Equi furono sconfitti, mentre i Volsci si allearono a loro volta con gli Érnici e alcune città latine che forse speravano che dopo l’attacco dei Galli fosse più facile liberarsi dal controllo di Roma. Nel 381 a.C. Tusculum, che pure si era schierata a fianco dei Volsci, fu annessa al territorio romano senza perdere le proprie istituzioni. La città mantenne la propria autonomia interna, ma i suoi abitanti furono assimilati ai cives romani per diritti e doveri, divenendo il primo municipio romano Nel 358 i Volsci cedettero la pianura Pontina, gli Ernici parte dei loro territori nella valle del Sacco e nei territori recuperati i Romani insediarono due nuove tribù. Nello stesso 358 fu rinnovato il foedus Cassianum. Nel 354 Tivoli e Preneste, due città latine ribelli, cessarono le loro ostilità. Anche le etrusche e Cere stipularono una tregua Il Sannio e i Sanniti

Nel 354 il confine tra il territorio dei Romani e quello dei Sanniti fu fissato al fiume Liri. Il Samnium era una regione povera, il cui territorio era organizzato in pagi (cantoni) e vici (villaggi). Più pagi costituivano un touto, una tribù, ed erano retti da un meddix toutiks. Le tribù sannitiche erano 4: Carracini, Pentri, Caudini e Irpini Le premesse della prima guerra sannitica

Nel corso del V secolo alcune popolazioni sannite si stanziarono in Campania. Le ristrettezze indussero i Sanniti a guardare ad altri territori e il loro interesse per la Campania, li pose in contrasto pure con quanti, oriundi dal Sannio, vi si erano trasferiti. Nel 343 i Sanniti attaccarono Teanum, nella Campania settentrionale, dove erano stanziati i Sidicini, di origine osco-sabellica. Minacciata la cittadinanza di Teanum chiese aiuto a Capua, che a sua volta si rivolse a Roma. Bellum iustum?

L’intervento di Roma avrebbe comportato la violazione del trattato. Non si sarebbe trattato di bellum iustum. Livio ci ha tramandato che i Capuani si consegnarono a Roma con la procedura detta deditio in fidem, che consisteva nel consegnarsi alla mercé di un altro popolo. Questa narrazione suona funzionale alla giustificazione dell’iniziativa di Roma di condurre la guerra. La prima guerra Sannitica

Iniziò in questo modo la prima guerra sannitica (343-341 a.C.). I Romani costrinsero i Sanniti a cessare l’assedio di Capua. Si rinnovò così, per un breve periodo, l’accordo di alleanza del 354, che riconosceva a Roma potere sulla Campania e ai Sanniti su Teanum.

La ‘grande guerra latina’ (341-338 a.C.)

Lo scenario politico e le tensioni irrisolte, comportarono un nuovo scontro. Roma si trovò contro i vecchi alleati Latini, i Sidicini, i Campani, i Volsci e un’altra popolazione osco-sabellica, gli Aurunci, che per la loro posizione geografica - sulla costa tra Volsci e Campani - temevano sarebbero finiti comunque per soccombere e perdere la loro indipendenza, se si fossero venuti a trovare circondati dai Romani. Fu un conflitto estremamente duro da cui Roma uscì vittoriosa. Da questo momento che si cominciò a delineare quell’organizzazione amministrativa differenziata in crisi ai tempi della Guerra Sociale. La lega latina fu sciolta e alcune comunità furono incorporate nell’ager Romanus come municipia. Altre conservarono lo ius connubii, commercii e migrandi che avrebbero contraddistinto lo status delle colonie latine. Nuove colonie furono fondate con cittadini romani e latini, numericamente con contingenti decisamente più ingenti delle colonie Romane; in questi casi i cittadini romani perdevano il proprio status di civis, ottenendo magari il vantaggio di appezzamenti di terra più consistenti. Queste colonie avevano perso il diritto di associarsi con altre con lo stesso regime amministrativo, mentre di fatto il termine ‘latinus’ aveva perso il significato di etnico per designare un nuovo status giuridico. Città che si erano ribellate a Roma come Tivoli e Preneste persero anche lo ius connubii, migrandi e commercii per divenire semplici alleate di Roma, cioè socii. La deditio in fidem

Il caso innescato dai Sidicini, riporta alle città che si affidarono a Roma tramite la deditio; in questo caso, il rapporto tra Roma e la cittadinanza che ricorreva a questo atto si configurava come qualcosa di intermedio tra l’amicitia e la clientela e non implicava né la perdita di autonomia di governo e amministrazione delle comunità che ne facevano richiesta, né un obbligo di difesa da parte di Roma, né che fossero inglobate nel territorio di Roma I nuovi territori dominati da Roma

Al termine della prima guerra Sabina, Roma aveva dunque esteso il suo controllo su un territorio ben più ampio, delimitato a Nord dalla sponda sinistra del Tevere, a Ovest dal Tirreno, a Est dalla catena montuosa degli Appennini e a Sud dal golfo di Napoli.

La seconda guerra sannitica (1 di 2)

Al termine del primo conflitto con i Sanniti, Roma dispose la creazione di due nuove colonie di diritto latino a scopo strategico e difensivo: Cales, in quello che fu il territorio degli Aurunci, e Fregellae, a Est del fiume Sacco, in un’area che i Sabini consideravano soggetta al proprio controllo. La causa scatenante della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) è da ricercarsi nelle divisioni interne della città di Napoli tra le masse popolari, che sostenevano gli Osci, e le classi più agiate che appoggiavano i Romani. La seconda guerra sannitica (2 di 2) I Romani sconfissero i Sabini insediati a Napoli e conquistarono la città sotto la guida di Publilio Filone, console nel 327 a.C., che si vide prolungare all’anno successivo, per la prima volta nella storia di Roma, il comando attraverso il proconsolato. Il conflitto è passato alla storia per la notissima sconfitta dei Romani presso le forche Caudine, percepita come particolarmente umiliante. Pare che un contingente romano diretto a Luceria (Puglia) per coinvolgere le comunità in un’alleanza contro i Sanniti fu circondato al passo delle Forche caudine e costretto alla resa.

La terza guerra sannitica (298-293 a.C.) La lotta tra Romani e Sanniti si riaccese quando i Sanniti attaccarono comunità lucane con cui confinavano a Sud. Il comandante supremo sannita, Gellio Egnazio, aveva formato un’ampia coalizione in funzione antiromana con gli Etruschi, i Galli e gli . I Romani, guidati dai consoli Q. Fabio Rulliano e P. Decio Mure vinsero lo scontro definitivo a Sentinum nel 295 a.C. I Sanniti rischiarono tutto nella battaglia decisiva di Aquilonia (293a.C.); schierarono la legio linteata, cosiddetta per il giuramento di estremo sacrificio pronunciato in un recinto coperto da drappi di lino (linteum). Anche stavolta furono vinti dai Romani. Il caso di

Il rapporto che Roma ebbe con Volsinii è emblematico del ruolo che alla città-stato fu riconosciuto dagli stessi italici. A Volsinii l’aristocrazia fu deposta dai ceti meno abbienti. I maggiorenti richiesero l’intervento di Roma che espugnò la città e la distrusse nel 265 a.C. Roma fondò poi nuovamente la città, popolandola di elementi filoromani. L’intervento di Roma in area adriatica

In Adriatico, dopo la sconfitta di Sabini e Pretuzzi fu fondata la colonia latina di Hatria (Atri); ad altri abitanti del territorio venne concessa la cittadinanza sine suffragio. A Nord i Romani annessero l’ager Gallicus, dove Stanziarono la colonia romana di Sena Gallica (Senigallia) e nel 268 a.C. la colonia latina di Ariminum (Rimini), fondazioni ad alto profilo strategico l’una avamposto sulla pianura padana, l’altra argine per eventuali incursioni dei Galli L’intervento di Roma nel Piceno

Nel 269 a.C. i Piceni, temendo per la loro indipendenza, iniziarono un conflitto che li vide sconfitti. Per pacificare il territorio, Roma deportò parte della popolazione Picena a Salerno con lo status di civitas sine suffragio. Ascoli e Ancona rimasero autonome e nel 264 a.C. fu fondata a Fermo, una colonia di diritto latino. Dopo la battaglia di Sentinum, il territorio a Nord di Roma si era considerevolmente allargato, dall’Arno a Rimini