il Portolano A. XIII - Gennaio / Settembre 2007 PERIODICO TRIMESTRALE DI LETTERATURA N. 49/50 - € 8,00

SABAEDITORIALE tempo (si pensi a Soffici, Papini, Prezzolini, solo per citarne alcu- ni): “La cricca letteraria di Fi- SABA renze Ð scriverà nel gennaio 1905 Ð mi muove guerra ad ol- dai territori tranza; usando naturalmente di tutti i mezzi della mediocrità. Il si- della solitudine lenzio, le lodi peggiori di ogni (1883-1957) biasimo, la calunnia e via discor- f.g. rendo…”. E la sua rarefatta colla- borazione “vociana” (1912) sarà avvertita come “male accolta e ell’agosto 1957 Umberto con troppe riserve”. NSaba ci lasciava. Si spengeva A Firenze tornerà a 24 anni, una delle più autorevoli voci del- passandovi quasi un anno di “fer- la poesia italiana ed europea del ma” (pur alternandosi con ) Novecento. nel convento di Monteoliveto, da Il “Portolano” lo ha voluto ri- sempre “Sezione di Ospedale Mi- cordare, non solo per la coinci- litare” (per malattie particolari), denza cinquantenaria, ma anche rubricato nell’amministrazione del per le tracce fiorentine che con- Regio Esercito, quale “Deposito corsero alla sua riflessione esi- di Monte Uliveto”, un complesso stenziale e poetica. architettonico riconducibile alla Saba fu a Firenze fra il 1905 e paternità michelozziana. il 1908 (tra l’aprile e l’ottobre L’esperienza militare (consu- 1907 è a Monte Uliveto); poi nel mata da Saba in periodo di pace) 1911, poco dopo sposato, e nel coinciderà con la retorica del bel- 1915 è documentato in una foto licismo: con a San Felice a . Ema (fra il Poggio Imperiale e il “Qui andiamo sì, ma a tanta no- vicino Galluzzo); vi tornò dopo stra guerra l’8 settembre del ’43, costretto a manca il nemico che ci miri al SABA / GUAGNINI,DEDENARO,CARRAI, fuggire da Trieste per il timore cuore, PESCINI,TARANI,GRISANCICH,SODOMACO, delle recrudescenze naziste anti- manca la morte che il fuggiasco atterra, BRANDALISE,ALBISANI,SALIBRA,CRESCENTE, semite. manca la gloria per cui ben si E. GURRIERI Dei primi anni del secolo non muore”. riporterà ricordi positivi, come ebbe a rilevare Arrigo Stara, cu- (da i “Versi militari”). GATTO / VIGNOZZI ratore del “Meridiano” mondado- riano (1988). Firenze, visitata con Né, i suoi rapporti con l’am- e Virgilio Dopli- biente fiorentino miglioreranno LORIA / FIORETTI cher, apparirà una città “morta, dopo la sua pubblicazione (1912) di “Coi miei occhi” nella Libreria corrotta dai forestieri, dalla man- VERONESI / PELLEGRINI,GURRIERI canza d’industrie e di commer- della “Voce” (allora in piazza Da- vanzati). Firenze lo accoglierà per cio, nervi e sangue di un popo- BARTOLINI,BEVILACQUA,MANNUCCI,FAGIOLI, lo”. Né più tenero sarà l’approc- circa un anno, dopo il settembre BERNARDINI,ZANETTI,PINZUTI,PANCONESI,MORI cio con la società letteraria del (segue a pag. 2) 2 IL PORTOLANO - N. 49-50

SABA, DAI TERRITORI DELLA SOLITUDINE (1883-1957)

(segue da pag. 1)

’43: qui cambierà, certo anche per Ed aggiungerà: “Ma quell’e- ragioni di “sicurezza”, ben undici quilibrio, quella foga schietta, residenze; incontrerà , quell’accento di gioventù, sono Ottavio Cecchi, Mario Spinella, subito rotti e turbati. Sotto quella e altri. sensualità c’era, insidiosa, la nota Qui, forse e soprattutto nell’a- ebraica dolente, una pena di vec- bitazione di piazza Pitti, nasce- chio, una malinconia stanca; e l’u- ranno “Avevo”, “Teatro degli Ar- miltà con la quale accettava il suo tigianelli” (nella vicina Via de’ dolore era umiltà di disperato. Serragli, ov’è ancor oggi, abban- Molta parte della poesia degli donato), “Disoccupato”, “Vecchio anni che seguiranno sarà tutta de- camino”, “Dedica”. Ma anche terminata dall’ossessionante bi- questa stagione lascerà tracce sogno di questo sentimento e di amare nel poeta triestino se, ap- questo tormento”. pena un anno dopo, scriverà de “la spaventosa, arida Firenze; dove ol- *** tre al resto, è finita per me anche ogni speranza di guadagnare.” Nel convegno “Intellettuali di Sul molo, a Trieste. Ad oggi, non ho saputo trova- frontiera - triestini a Firenze re motivi e circostanze fiorentine (1900-1950)”, tenutosi al Gabi- Prima di lasciare Firenze (for- mortai da Fiesole, i tuoni dei che abbiano suggerito quell’“oltre netto Vieusseux nel marzo 1983 se nel dicembre ’44) Saba dedi- cannoni, effettivamente, accom- al resto”. Con la liberazione della (gli “Atti”, pubblicati da Olschki cherà alcuni versi al “Teatro degli pagnavano ancora l’allontanarsi città (agosto 1944) molte forze in- nell’85), è presente il contributo Artigianelli”; così gli ultimi versi: del fronte di guerra. tellettuali democratiche si ritro- di Ottavio Cecchi – “Saba a Fi- vano e si ricompongono e resta renze”, pp. 77-90 Ð, fondamen- “Questo è il Teatro degli Arti- *** difficile capire il permanere di un tale per ripercorrere la tipologia gianelli, isolamento o di una freddezza delle sue migrazioni, da via dei quale lo vide il poeta nel mille Questo numero monografico della società letteraria che andava Della Robbia a piazza Pitti (al n. novecentoquarantaquattro, un si riallaccia idealmente a quello giorno rapidamente riaggregandosi. 14, dalla Jachino) bianca di sole di “Solaria” del 1928: son pas- Quando, nel settembre 1966, di settembre, che a tratti estivo, nell’estate del ’44. Cecchi rombava ancora il cannone, e Fi- sati ottant’anni e l’attenzione per Enrico Falqui, raccoglie e presen- ci riferisce di una maledizione renze il poeta triestino si è consolida- ta “Tutte le poesie della ‘Voce’” pronunciata sul portone di quella taceva, assorta nelle sue rovine”. ta. Da Guagnini a Carrai, da Ta- (con Nuovedizioni Vallecchi) ri- casa a Pitti Ð “L’odierò sempre la rani alla Salibra e oltre, il poeta corderà che tua città, città maledetta!”. Del Nel settembre, in effetti, Fi- ne esce con una lettura più ricca resto, il rancore di Saba veniva renze aveva i suoi ponti sull’Ar- e sistematica. E ciò nonostante “il primo dei venti poeti ita- da lontano: dalle durezze di Pa- no distrutti (saltati il 4 agosto), l’inflessione “giapponese” di cui liani fu Umberto Saba, in data ma il fronte era ormai salito ver- ci ha parlato Paolo Mauri (su 7 novembre 1912, con una primi- pini (“…quei repugnanti triesti- zia della sua seconda raccolta: Coi ni…” e persino dal suo concitta- so Prato e Pistoia e verso il Mu- Repubblica), commentando la miei occhi, edita allora in Firenze dino Slataper che non pubblicava gello, da Vaglia a Scarperia, e plaquette curata da Maria Anto- dalla stessa Libreria della Voce. le sue poesie. Un rapporto con- giustamente se non si sentivano nietta Terzoli per l’Università di Ma Saba, aveva già collaborato flittuale, di incomprensione e di più i sibili e le deflagrazioni dei Parma. alla rivista con una nota sulle Poe- consolidata amarezza: solo più sie di tutti i giorni di Marino Mo- retti (18 maggio 1911) e con un tardi si attenuerà quella “repu- SILENZI articolo su Il Ghetto di Trieste gnanza”; nei versi del “Canzo- verso il 1860 (16 maggio 1912), e niere”, fra le “tre città”, c’è, ap- NELL’OFFICINA DEL VERSO vi ricollaborò più tardi con il rac- punto, “Firenze”. conto: Valeriano Rode (16 gen- naio 1913)”. Per abbracciare il poeta Montale Si avverte, profondo, il silenzio di Luzi, di Parron- – generosa è la sua tristezza – chi. E se pensi alla poesia devi volgerti ai più giovani, Peraltro, Saba era già stato og- sono getto di un saggio critico di Giu- nella città che mi fu cara. di cui, tuttavia, non senti ancora il calore, l’urto del- seppe De Robertis nel ’34 (ripub- é come la parola. Non cogli l’officina del verso e appena av- blicato poi in “Scrittori del Nove- se ogni pietra che il piede batte vertibile è il suono del loro smontaggio, della ripro- cento” con Le Monnier nel 1958). fosse il mio cuore, il mio male posizione e della ricomposizione disvelante. Il para- Nella nota derobertisiana, si di un tempo. Ma non ho rim- dosso è che, allora, solo in parte ti accorgevi che quel dirà che “Fra i quattro o cinque pianti. Nasce poeti nuovi d’oggi, Umberto Saba altra costellazione – un’altra età. laboratorio era aperto e vi potevi attingere. Ma presto è certo il poeta di più vena, anche suoneremo anche a questi nuovi diversi indirizzi. se non di tutta poesia”. *** IL PORTOLANO - N. 49-50 3 SABA E LA MODERNITË Qualche considerazione in merito al rapporto di Saba con la modernità

Elvio Guagnini

n aspetto rilevante della fisionomia complessiva di Saba Ucome scrittore, il suo rapporto particolare con la tradizione classica italiana (al quale, da un altro lato, corrisponde una serie di fattori ideologici legati alla contemporaneità, tra i quali il par- ticolare e complesso rapporto con la psicoanalisi) rischia di met- tere in ombra un rapporto vivo e costante con la modernità, i suoi segni, i suoi linguaggi. Mentre è un fatto che Saba ha sem- pre coltivato Ð invece Ð un interesse vivo con la realtà del suo tem- po, con le sue problematiche, con le sue espressioni. Non è un caso che, già nei primi anni del Novecento, in una lettera da Firenze ad Amedeo Tedeschi (20 marzo 1905), Saba rivelasse le proprie simpatie (era un riflesso, forse, del suo es- sere triestino) per città caratterizzate da attività industriali e commerciali (attività che, per lui, erano i nervi e il sangue di una città). Mentre non altrettanta simpatia avrebbe manifestato nei confronti di altre città accusate di vivere di rendita delle tradi- zioni del passato. Come quella Firenze della quale, peraltro, ne- gli anni Trenta, avrebbe subìto il fascino definendola città del suo «cuore cara al proprio ricordo»; e alla quale – più tardi Ð avrebbe espresso simpatia e riconoscenza per la generosa ospi- talità offertagli durante la clandestinità negli anni della secon- da guerra. Anche nei confronti di Trieste, del resto, Saba mostra un’at- tenzione che corrisponde a quella degli organismi in crescita, che non conoscono l’ozio, e la cui estetica ha da essere cercata nei segni delle metamorfosi del tessuto urbano. Si legga la poesia Ver- so casa (in Trieste e una donna), che segue la più nota Trieste e che - a mio avviso - aggiunge qualche precisazione ulteriore e im- portante al ritratto psicologico presentato nei versi precedenti: ÇTrieste,nova città,/ che tiene d’una maschia adolescenza,/ che di fra il mare e i duri colli senza/ forma e misura crebbe;/ dove l’ar- Trieste, Angolata del Palazzo del Lloyd. te o non ebbe/ ozi, o, se c’è, c’è in cuore/ degli abitanti, in que- sto suo colore/ di giovinezza, in questo vario motoÈ. E si ricordi verse: Italiani nativi della città, Slavi nativi del territorio, Tede- l’attenzione viva al commercio, alle attività economiche che un schi, Ebrei, Greci, Levantini, Turchi col fez rosso in testa e non tempo l’avevano incantato e gli avevano fatto sognare un futuro so quante altre. Nacque, come città moderna, dall’istituzione del di mercante e viaggiatore (Il molo: ÇVedo navi il cui nome è già portofranco, sugli scorci del secolo XVIII. Favorito da questa e un ricordo/ d’infanzia…/…/…quei sacchi/ su quella tolda, quel- da altre contingenze, il suo sviluppo fu, agli inizi così rapido che le casse a bordo/ di quel veliero, eran principio un giorno/ di si può paragonarlo a quello di cui sofferse, circa negli stessi anni gran ricchezze, onde stupita avrei/ l’accolta folla a un mio lieto ri- New York. Poi Ð non avendo dietro di sé l’immensa America Ð torno,/ di bei doni donati i fidi miei»); e che ancora gli ricorda- rallentò e si arrestò (il paragone, a chi consulti una raccolta di vano un passato prossimo di grandi sviluppi e prosperità diffusa stampe del primo Ottocento, non sembrerà esagerato)». Qualco- (La vetrina: ÇDel divino per me milleottocento/ amate figlie, qui sa del genere sarebbe stata possibile ancora (ma era difficile che dalla lontana/ Inghilterra venute, di voi dico,/ pinte tazzine, va- accadesse, pensava Saba) solo in una prospettiva di interessi co- sellame usato dagli avi miei più laboriosi,…/ Approdava ogni muni dei Paesi del suo hinterland, Çla comunanza di un compi- mese un bastimento/ a questo porto di traffici amico,/ con voi di to (che per Trieste non potrebbe essere che un compito commer- sì gran copia che il mendico/come il ricco ne aveva…»). ciale)È. Ma, a incantarlo, del passato prossimo e forse di un possibi- Al centro della poesia di Saba, si sa, c’è un continuo confronto le futuro della sua città era la capacità della città – finché non ave- tra due tensioni apparentemente inconciliabili eppure ossimori- vano fatto la loro comparsa i segni di deleteri nazionalismi Ð di camente presenti nelle sue pagine: tra il desiderio di immergersi favorire la compresenza pacifica di etnie, culture e costumi diversi nel flusso della vita («dentro la calda/ vita di tutti»), di vivere la (si legga Inferno e paradiso di Trieste, del 1946): ÇTrieste è sem- vita degli altri, di essere uno come tutti gli altri (Il borgo di Cuor pre stata un crogiuolo di razze. La città fu popolata da genti di- morituro), e Ð da un altro lato – la necessità di essere se stesso, di 4 IL PORTOLANO - N. 49-50 conservare la propria identità, di poter vedere “a distanza” la “nera foga della vita” (come l’aveva chiamata in Tre vie di Trieste e una donna) che pure lo attraeva. Non è un caso, dunque, che Saba ab- bia dedicato una particolare attenzione alle manifestazioni della società moderna, della stessa società di massa. Come il ci- nema. Da un lato, certo perché era stato coinvolto nella pubblicità del cinema “Italia” (in via Dante) di proprietà del co- gnato Enrico Wölfler. Qualche anno fa, una rivista di “ricer- ca e informazione sulla comunicazione di massa”, “Ciemme”, ha dedicato nel n. 121 (settembre 1997) un interessante ar- ticolo di Marco Vanelli sul tema Umber- to Saba e la film americana che – tra l’al- tro Ð pubblica anche il testo di uno dei fo- gliettiÐprogramma, che Saba redigeva verso la metà degli anni Venti, nei quali Çriassumeva il soggetto dei films, ag- giungendovi le sue note criticheÈ. Il fo- glietto, conservato da Aldo Fortuna, ri- guarda il film La tigre sacra (The Sacred Tiger of Agra). Un film di Lloyd B.Car- leton del 1915 o 1916:ÇLa tigre sacra:/ fresche venture/ stragi, paure,/ drammi d’amor./ La tigre sacra/ vien di lontano/ n’è americano,/ il creator./…/La tigre sa- cra/ teme ciascuno/ ma n’è ciascuno/ l’ammirator. (Miss Ruth Roland protago- nista)È. In seguito, Vanelli considera alcuni dei documenti già noti che testimoniano il rapporto di Saba con il cinema, dalla “scorciatoia” Film americana alla splen- dida poesia dedicata a Febbre dell’oro (pubblicata sulla “Fiera letteraria” il 10 San Giusto. aprile 1927, ma poi esclusa dal Canzo- niere) alla poesia Il canto dell’amore (Una domenica dopopranzo al cinematografo) di Cuor morituro nea l’importanza della “popolarità” di questo sport, del mito di (1925-1928). una gloria sia pure effimera, dell’entusiasmo della “folla” che tra- Molti gli spunti importanti: il personaggio di Charlot nel qua- bocca sul campo e gioisce intorno al vincitore. le si specchia laÇvecchia,/ la malinconica EuropaÈ; il côté comi- Un segno di particolare rilevanza dell’interesse di Saba per la co che si intreccia alla tristezza, al sogno, alla bontà, alla pena società di massa (e per le sue espressioni) è nell’interesse per i Li- (l’arte moderna – da Shakespeare, che tanto Saba ammirava, in bri gialli ai quali sono dedicate numerose “scorciatoie”: sia di poi – è fatta di contaminazioni); e, poi, l’interesse per la presen- quelle “triestine” (seconda metà degli anni Trenta) sia di quelle za della “folla” a quel rito di massa che è lo spettacolo cinema- “romane”, comprese poi nel volume mondadoriano del 1946. tografico; e – ancora – l’amore per la “folla domenicale”, la par- Avccanto a una celebre conferenza di Augusto De Angelis tecipazione alla passione Ð che accomuna la gente al cinema Ð per degli inizi anni Quaranta, alle note di Gadda a Novella seconda l’“ottimismo americano” (ÇAmo la folla qui domenicale,/ che in (poi Denira Classis) degli inizi anni Trenta, a qualche pagina di se stessa rigurgita, e se appena/ trova un posto, ammirata sta a go- Savinio su Simenon degli stessi anni, le Scorciatoie di Saba sui dersi/ un poco d’ottimismo americano// Sento per lei di non vivere “libri gialli” sono tra le analisi più incisive che la cultura italiana invano,/ di amare ancora gli uomini e la vita./…»). Sono tratti, tra le due guerre e dell’immediato secondo dopoguerra abbia questi, che ci mostrano uno scrittore lontano dal cliché del lette- prodotto sull’argomento. rato e dell’umanista attaccato ai valori e ai costumi tradizionali Di alcune “scorciatoie” degli anni Trenta, si hanno anche le come lo era anche qualche viaggiatore in America di quegli anni. rielaborazioni successive. Si veda una prima stesura: ÇLIBRI Del resto, pure l’attenzione di Saba per osterie, latterie, ritro- GIALLI Il delinquente è chi meno s’aspetta, e la prova è fornita vi minori della gente comune, va in questa direzione. E così an- da indizi che solo il poliziotto-psicoanalista può valutare. La fe- che la particolare passione sportiva rivelata dalle Cinque poesie licità del lettore nasce dall’illusione di non essere lui il colpevo- per il gioco del calcio di Parole (1933-1934) dove Saba sottoli- le. Invece lo è.”Anch’io avrei potuto commettere un delitto ma IL PORTOLANO - N. 49-50 5

data sull’idea della possibilità di un’ope- ra scritta per il largo pubblico e insieme “alta”. Che è il sogno di tutti gli scrittori che vorrebbero la popolarità senza rinun- ciare alla qualità. Ancora sulla scorta della primissima stesura della “scorciatoia” citata degli anni Trenta, Saba avrebbe sviluppato, nelle Scorciatoie in volume del 1946, al- tre osservazioni conseguenti. In primo luogo, relativamente alla congruenza tra metodologia della ricerca poliziesca (bi- sogna cercare la prova per incastrare il colpevole ancora a piede libero finché la prova non viene trovata) e disposizioni di legge inglesi (scorciatoia 56); in se- condo luogo, relativamente alla popola- rità del giallo, la Çsola letteratura con- temporanea Ð scrive Saba Ð che sia stata veramente una letteratura popolareÈ pie- na Çdi cose, di fatti, di episodi, estrema- mente divertenti (ma non dovrebbe esse- re sempre così in un romanzo?)» (scor- ciatoia 57). Un’altra idea conseguente è che il nazismo è stato come «un immen- so romanzo gialloÈ con il delinquente in libertà, libero a lungo con Çtutto il tempo che gli occorrevaÈ prima che Çgli inglesi si decidessero di intervenire, e a far in- tervenire gli altriÈ (scorciatoia 56). é interessante il fatto che Saba, come Gadda, guardi a Mussolini e a Hitler come esempi di una realtà di violenza e aggres- sività che vanno letti anche attraverso la psicanalisi, benché vi siano delle chiavi di lettura pure diverse. Questa idea (della psicanalisi che permette di leggere a fon- do le esperienze dei dittatori, la loro vita e Trieste. i loro atti, e del “giallo” come di strumen- to di lettura delle istituzioni sociali e del fondo oscuro che genera la violenza indi- fortunatamente…”. Le persone che hanno troppo senso di colpa viduale e collettiva Ð è anche in Gadda. E il “romanzesco” che Gad- Ð e vita Ð attraverso, ahimè! quali agonie – illibata, non possono da attribuisce Ð come ingrediente naturale Ð alla vita (spesso “ro- leggere libri gialli: si ammalano. Essi (i libri gialli) sono anche manzeschissima”) che lo scrittore deve rappresentare, potrebbe pieni di fatti curiosi, allegri, divertenti: la più franca letteratura essere confrontato con quella massa di cose di fatti e di episodi che amena dei nostri giorniÈ. - per Saba Ð dovrebbero contrassegnare il romanzo, un modo per Nelle Primissime scorciatoie recuperate da Saba presso Qua- interessare il grosso pubblico, un modo per arrivare al pubblico più rantotti Gambini e pubblicate sul “Tempo” di Roma il 18 agosto ampio ma anche a quello più raffinato. 1946, la sesta (LIBRI GIALLI) riproduceva il cuore della prima Nella scorciatoia 59, Saba considera la possibilità che, come stesura (da “La felicità del lettore” a “si ammalano”). Ma i passi Çdai romanzi di cavalleria sono nati l’ORLANDO FURIOSO e il tolti (quello iniziale e quello finale) sarebbero stati poi rielabora- DON CHISCIOTTE, è possibile che un giorno, un grande auto- ti e sviluppati nelle “scorciatoie” degli anni Quaranta. E riguar- re ricavi, dallo sterminato materiale greggio dei romanzi polizie- dano i seguenti concetti: in primo luogo, quello secondo cui, al schi, un’opera popolare e di stile». Era un’idea interessante e centro del processo della scoperta, c’è una figura ufficiale di pro- nuova, questa di Saba, che rivelava in lui un intellettuale lontano tettore-tutore della società, un vendicatore della verità, una sorta dai pregiudizi che altri letterati e scrittori del suo tempo avevano di cavaliere errante tradotto nella figura del poliziotto-psicanali- nei confronti della letteratura di massa, rispettoso del rodaggio e sta (scorciatoia 55); in secondo luogo, che il romanzo giallo è della sperimentazione che una letteratura “popolare” doveva fare come i romanzi di cavalleria: una “letteratura di consumo” dalla necessariamente per poter arrivare, poi, a esiti “alti” nati da que- quale potrebbe nascere una grande opera Çpopolare e di stileÈ sto lavoro preparatorio, rispettosi del suo valore. Ciò che ci mo- (che era un’idea non molto lontana da quella gaddiana, di una let- stra anche un Saba non solo attento alle manifestazioni della cul- teratura che Ð attraverso il pubblico”grosso” Ð avrebbe potuto rag- tura della società di massa ma anche a quelle – più in generale – giungere anche il pubblico”fino”) Una prospettiva di poetica fon- che rivelano le dinamiche e gli sviluppi della storia letteraria. 6 IL PORTOLANO - N. 49-50 COSA RESTA DI SABA Il patriottismo solare di Saba

Roberto Dedenaro

Trieste, primi del ’900.

li anniversari, si sa, sono delle scadenze dovute ma possono por- sono, come affermava Daniele Del Giudice a proposito del suo rappor- Gtare con sé occasioni utili, così il cinquantenario della morte di to con Bobi Bazlen, più semplici di quelli reali. Smentendo in parte una Umberto Saba può essere un ottima ragione per incontrare il poeta trie- simile affermazione, bisogna ammettere che nemmeno un rapporto im- stino e fare un po’ il punto dello stato dei lavori sulla sua ricezione e sul maginario con Umberto Saba risulta lineare. Un effetto a cerchi con- lavoro critico nei suo riguardi, senza rimanere sommersi in un’ondata centrici che s’allargano sempre più, qualcosa di spiazzante, in fondo, è agiograffica di maniera. la sensazione che si prova nel leggere Saba, un’ impressione che dove- Anche una domanda, forse un po’ scontata, se cioè, esista un’eredità va essere ancora più forte nei suoi interlocutori, in quelli che incontra- sabiana fra gli scrittori di poesia oggi a Trieste, può non essere banale rono Saba da vivo. al ffine di sottolineare la vitalità che Saba sembra mantenere, senza tra- Fra i tanti che hanno voluto lasciare una memoria scritta dei loro in- lasciare però di dire che questa domanda ne contiene al suo interno pa- contri con il poeta triestino, un posto particolare va riservato ad un recchie altre, in particolare alcune che riguardano Trieste. breve racconto intitolato Un poeta, forse non troppo conosciuto al di La nozione di letteratura triestina è una categoria da maneggiare con fuori della cerchia degli studiosi, di Eugenio Colorni, ove il disorien- le pinze, e, a questo proposito, se è lecito autocitarsi, negli anni passa- tamento, è palpabile assieme alla sensazione della grandezza del proprio ti ho compilato alcune antologie degli autori locali proprio nel tentati- interlocutore. Scrive Colorni: “La domanda [di Saba] era sta diretta e vo di rispondere a questa domanda attraverso una veriffica sul campo. Le precisa, non teorica. Non “A che cosa serve la ffilosoffia?”, ma “Perché due antologie dei poeti triestini forse sono, dopo qualche anno, già su- la pratichi tu”. Qui l’unità del reale, e del trascendentale,eirapporti perate da una realtà molto veloce ad evolversi, ma rifflettono tutta la dif- fra teoria e pratica, e il concetto, non c’entravano per niente. C’entravo fficoltà a ragionare in termini di luogo e cultura locale oggi, il che non io, coll’ i minuscola. Non mi restava che confessarmi o tacere. Tacqui, nega che alcune specificità indubbie emergano1. Peraltro incontrare ma dovetti cambiare mestiere. E da quel giorno mi sento più libero e mi Saba non è cosa semplice, anche se i rapporti immaginari solitamente sembra di capire di più”2. IL PORTOLANO - N. 49-50 7

L’incontro con Saba aveva indotto in Colorni, brillantefilosofo f an- da qualsiasi vuotezza e ridondanza, siamo quasi all’opposto della lingua, tifascista, giunto a Trieste quale insegnante dell’istituto magistrale, un perché tutto diventa qui vita popolare, quasi una ffiaba, quella dell’Ita- mutamento radicale che lo portava, queste sono le sue parole, a non ave- lia che si ritrova in una piazza fra delle bellissime luci d’ottobreeira- re più paura di dire “gli esseri umani” anziché “lo Spirito”. Dopo que- gazzi che schiamazzano quasi contrappuntando le fanfare, giovani en- sta scelta di abbandonare lafilosof f fia, Colorni divenne, come è noto, uno trambi. Insomma, vi si legge un’ attenzione quasi antropologica alle pre- dei maggiori intellettuali e dirigenti della Resistenza italiana,fino f alla senze sulla piazza a cui l’io del poeta si mischia, s’impasta. Una splen- sua tragicafine. f dida rafffigurazione di un patriottismo solare, su cui molto sarebbe da L’impressione, in altri termini, è che manchi ancora una attenzione dire. L’atmosfera Ð è inutile dirlo Ð è quella dei giovanili Versi milita- e una valutazione profonda e speciffica della statura di intellettuale civile, ri. Forse c’è qualcosa che unisce il Saba de La ritirata a quello di Se- non saprei come dire meglio, di Saba, mentre la sua fama di poeta è an- reni: una passione civile che continua a vivere anche a molti anni di di- data via via consolidandosi all’interno del canone del ’900 anche sot- stanza, e che lucidamente ritroviamo fra i versi e le righe sabiane. Pro- traendo spazio ad altri autori, come Quasimodo e Ungaretti, perlome- vo ancora a ritrovarne alcune tracce. Il 12 gennaio 1948 si pubblica sul no se ci muoviamo all’interno di un canone scolastico, che non è però “” un articolo dal titolo un po’ curioso Se fossi no- privo di una sua notevole signifficatività. La consacrazione deffinitiva del minato governatore di Trieste, che costò al poeta triestino una serie di Saba poeta, anche con la sua inevitabile retorica un po’ fastidiosa (non problemi, come è stato testimoniato dallafiglia f Linuccia, perché i fa- c’è occasione sportiva, ad esempio, che riguardi la squadra di calcio di scisti arrivano al punto di fermarlo per la strada e farlo oggetto di inti- Trieste che non veda qualche calciatore balbettare le poesie di Saba sul midazioni e insulti. L’articolo inizia dicendo “Ho posto la mia candi- calcio), ha finito con portare con sé una maggiore attenzione anche agli datura a governatore di Trieste. Ma nessuno, o quasi, l’ha presa sul se- altri Saba, lungo un percorso che ha visto nella pubblicazione del Me- rio. Né fra gli alleati, né fra gli italiani, né fra gli slavi. Meno di tutti ridiano Mondatori delle Prose3 un evento decisivo, non solo per aver Ð temo Ð i miei familiari.”7. Nel seguito dell’articolo, Saba cita una sua raccolto e reso nuovamente disponibili scritti che non lo erano più, ma poesia del 1912, Caffè Tergeste, come uno dei titoli di merito per aspi- anche per l’ introduzione rivoluzionaria di Mario Lavagetto, uno dei più rare a quella carica, e afferma di volere far approvare, fondamental- importanti studiosi sabiani degli ultimi vent’anni. Proviamo a dare mente, una sola legge che reciterebbe così: “Chiunque, con atti, scritti, qualche altra immagine del Saba che vorremmo far emergere. discorsi, incita all’odio di razza (particolarmente degli slavi contro gli Uno dei passi in assoluto più citati di Saba è senz’altro una delle ri- italiani, o degli italiani contro gli slavi) sarà immediatamente messo con- ghe di apertura di Storia e Cronistoria del Canzoniere: “Dal punto di vi- tro al muro e fucilato.”8. sta della cultura nascere a Trieste nel 1883 era come nascere altrove nel Apparentemente siamo di fronte ad una sorta di ingenuità politica. 1850”4. Non vi è forse affermazione più stringatamente effficace delle ca- Si sa che qualsiasi governatore di Trieste avrebbe avuto a che far con ratteristiche formali di tanta letteratura triestina d’inizio secolo, così una ingarbugliata serie di questioni e avrebbe dovuto produrre leggi e come del clima politico e sociale cittadino. Anche se Saba aveva dei norme in gran numero, ma allo stesso tempo sappiamo anche che la lot- concittadini molto illustri, come Slataper e Giani Stuparich, che avevano ta nazionale o etnica, come si preferirebbe dire oggi, è il nucleo della composto pagine bellissime descrivendo cosa era, dal punto di vista cul- questione triestina, del suo diffficile dopoguerra. Saba senza incertezze turale, Trieste, nessuno aveva affrontato la questione con una simile bru- individua la analoga negatività dei due nazionalismi. E senza dubbio ciante chiarezza, dimostrando una rara capacità di andare al cuore del- proporre in questi termini la questione all’indomani della fine della le cose, sostenuta da una limpidezza di stile quasi sconosciuta ad uno guerra, possedeva la forza di delineare “il domani non comune”, che ha scrittore triestino. forse pochi paragoni a Trieste. Saba non è stato ascoltato, non è diven- La straordinarietà della scrittura in prosa di Saba è d’altronde “mi- tato il governatore della città, e Linuccia, un po’ di tempo dopo, ha sot- racolosa”. Scrive a questo proposito Lavagetto che proprio quel ritardo tolineato come, a suo avviso, suo padre sarebbe stato in grado, invece, che l’autore mette alla base delle sue iniziali prove poetiche non è av- di svolgere benissimo quel compito; così come la storia ci dice oggi che vertibile nelle prose: “qui, nonostante alcuni arcaismi ortograffici non c’è sanare la frattura fra le storiche componenti della società triestina è sta- ombra di ritardi e Saba appare miracolosamente padrone dei propri to e sarà un lavoro di lungo periodo, una faccenda che solo all’indomani mezzi, senza eredità malferme da puntellare…”5. dellafine f della Jugoslavia comunista potrà dirsi compiuto in qualche Mi rendo conto che sto facendo un discorso che può apparire stram- senso, una storia di scontri e minacce non ancora sopite completamen- palato, in quanto sto sostenendo che per un poeta l’eredità di Saba che te, che ha condizionato le vicende della città nel corso del suo terribile più mi appare interessante è quella del prosatore. Innanzitutto, lo è, a novecento. mio giudizio, per la felicità con cui un “arretrato” triestino usa i suoi Rimando a una ulteriore rifflessione sabina, a quella che emerge an- mezzi espressivi, sostanzialmente “lirici”, per metterli al servizio del- cora in un sonetto intitolato Opicina 1947: “Risalii quest’estate a Opi- la prosa. Eppure, questa sorta di luminosa trasparenza, di “lievità gre- cina / Era con me un giovane comunista. / Tito sui muri s’iscriveva, in ve” che Saba sembra saper trasfondere alle parole usate nelle sue pro- vista, / sotto della mia bianca cittadina / […] Due vecchie ebree, testarde se è proprio quel qualcosa che a volte ho desiderato che la scrittura poe- villeggianti / io, quel ragazzo, parlavamo ancora / lassù l’italiano, tra i tica, almeno la mia, riuscisse a possedere. sassi e l’abete. / Dopo il nero fascista il nero prete; questa è l’Italia, e lo Nell’immaginario che lo riguarda c’è un’ immagine che ritorna pe- sai. / Perché allora Ð / diceva il mio compagno Ð aver rimpianti?”//9. riodicamente alla memoria, ed a cui è diffficile sottrarsi, ed è il famoso Diffficile pensare di essere scrittori a Trieste e sottrarsi a Saba, come ritratto contenuto in una notissima lirica di Sereni di un uomo che al- mi pare emerga anche da questo, frammentario ragionamento. l’indomani delle elezioni politiche del ’48 si lamenta a voce alta del ri- Diverso sarebbe ragionare sulla attualità della poesia di Saba da un sultato elettorale sfavorevole alle sinistre. Per lungo tempo l’ho pensa- punto di vista della forma, un tema vasto e complesso, sul quale “l’i- to come un ritratto lievemente forzato, poi, con un percorso forse un po’ nattualità” sabiana pesa forse davvero, e lo tiene un po’ distante dal se- involuto, ho cambiato idea. condo novecento, anche da quello solo modestamente triestino; cosa che In una lirica de La serena disperazione, intitolata La ritirata in non avviene per la prosa, come abbiamo detto, fra cui un posto di as- piazza Aldovrandi a Bologna, una poesia forse non tra le più note e let- soluto rilievo spetta al romanzo incompiuto, Ernesto, che è e resta uno te di Saba, si descrive una sera d’ottobre in cui i bersaglieri con tanto di dei testi più straordinari e rivoluzionari della nostra letteratura roman- fanfara eseguono la ritirata al calar della sera sulla piazza bolognese. La zesca e autobiograffica. lirica, cinque terzine d’ endecasillabi, si conclude con il verso “E tu sei Cosa resta di Saba nella poesia contemporanea triestina? é una tutta in questa piazza, o Italia.6”. Un verso non privo di quella retorica, questione intricata che comprende anche una valutazione sulla qualità con tanto di vocativofinale, f scritto alle soglie della entrata in guerra del- di chi scrive oggi, valutazione che è sempre diffficile da dare, perché l’Italia, che Saba così autocommenta in Storia e cronistoria del Can- comporta di capire le ragioni di poetiche che non sono ben delineate né zoniere: “Nella piazza […] Saba vede l’immagine perfetta dell’Italia di strutturate, né spesso hanno una lucidità così compiuta, come quella sa- allora, di quella che in tempi più imperiali, fu poi chiamata “Italietta”. biana. Un giovane poeta, critico e organizzatore di eventi, Luigi Nacci Si può forse dire che sia una poesia patriottica, ma siamo lontanissimi ha pubblicato una lunga e scrupolosa indagine sulla poesia triestina10. 8 IL PORTOLANO - N. 49-50

Trieste, Riva Carciotti. Trieste, Palazzo del Lloyd.

L’impressione è quella di trovarsi, dopo anni di sostanziale isolamen- Per quanto il web e internet e tante altre cose abbiano enormemen- to, davanti ad un momento di cambiamento: le nuove generazioni sem- te mutato la nostra percezione dei luoghi e delle appartenenze, non è brano spingere con abilità quasi sconosciuta precedentemente per un mutato il nostro bisogno di avere radici; e se anche le città rassomigliano loro inserimento nei circuiti nazionali della poesia, e ciò avviene con- sempre di più al mondo e il mondo ad una città, non sembra davvero testualmente ad un tentativo di creare un pubblico e degli autori “gio- inattuale il modo in cui Saba descriveva il proprio distacco dalla città na- vani”, parallelamente a quanto è avvenuto nella narrativa, forse rimet- tale: “Muta il destino lentamente, a un’ora / precipita. / Per lui dovrò la- tendoci qualcosa, come sottolinea Cristina Benussi nella prefazione al sciarti, / mia città così aspra e maliosa, / dove in fondo ad una bigia via volume: “non più barbara la sua lingua, non più scontrosa la sua grazia, è il celeste mare. / La tua scontrosa / grazia saluterò, già vecchi amici / la poesia degli ultimi cinquant’anni a Trieste sembra comunque guar- e pietre bacerò Ð cuore fedele Ð / come piange il fanciullo sopra il dare a modelli più convenzionali, sia per quanto riguarda le tematiche seno / amaro, a distaccarsene per sempre.”. che le forme espressive.”11. L’indagine di Nacci, che ha coinvolto trecentocinquanta autori, evi- denza una presenza piuttosto cauta di cultori del nostro Saba. Solo NOTE nove autori dichiarano di vederlo come un modello. Meno della metà di quanti si riconoscono nella poetica di Ungaretti (il che sinceramente 1 Poeti triestini contemporanei, Lint, Trieste, 2001 e Di sole di sale e altre parole, ztt, Trieste, 2004. sembra un dato piuttosto curioso) e si riscontra appena qualche citazione 2 E. Colorni, Un poeta e altri racconti, Il Melangolo, Genova, 2002, pag. 59. in più di Emily Dickinson e dei classici latini e greci. Naturalmente c’è 3 U. Saba, Tutteleprose, a cura di A. Stara, Mondadori, Milano, 2001. anche un certo gioco nel pavoneggiarsi a cercare radici illustri per il pro- 4 Op. cit., Milano, 2001, pag 115. prio poetare, ma resta il fatto che Saba sembra scivolare sullo sfondo, 5 Idem, XIV. insieme ad un interrogarsi, forse, sulla città, un esercizio che in certi anni 6 U. Saba, Tuttelepoesie, Mondadori, Milano, 1988. ha avuto momenti claustrofobici, ma che nel suo esatto contrario può an- 7 Op. cit., Milano, 2001, pag. 1019. che essere il simbolo di una non troppo velata decadenza. Eppure, se 8 Idem, pag. 1020. 9 Saba è stato il grande scrittore della città primonovecentesca, con una Op. cit., Milano, 1988, pag. 562. 10 L. Nacci, Trieste allo specchio, Battello editore, Trieste, data di pubblica- miracolosa capacità di mettere assieme particolare e generale, analisi in- zione non riportata, ma dovrebbe essere il 2006. teriore e sguardo sul mondo, è mancato un poeta che davvero raccon- 11 Op. cit.,XI. tasse questo secondo novecento, al pari, ad esempio, di quanto in pro- sa ha fatto uno scrittore come (sto pensando a Materada eaLa miglior vita in modo speciffico): vicende di piccole comunità, di borghi popolati da uomini comuni che assumono valori universali. Per- sa fra intimismi un po’ autoreferenziali e beat generation di maniera, la BEFFE FILOLOGICHE poesia triestina, con qualche rara eccezione, e lasciando al di fuori di questo discorso le diverse vicende degli scrittori di madre lingua slo- Bisognerà pur scriverla una “Storia delle beffe nella filolo- vena, sembra aver smarrito la possibilità di raccontare sé e il mondo do- gia dell’arte”. Potremmo ora cominciare dalla etrusco-me- lente che la circonda, nel corso di un lungo, complicatissimo secondo dievale Lupa Capitolina per finire ai “mammozzi” dei falsi novecento, come se il magma doloroso della storia che si andava com- Modigliani ( drammatico incidente occorso ad Argan, Bran- piendo fosse da dimenticare, assumendo ogni volta maschere diverse che incarnassero altrefigure, f ma, facendo così, quella Italia da sposare di e Durbè ). L’ultima, in questo inesauribile percorso di in- con il canto rimaneva obbligatoriamente lontana. C’era forse anche un cidenti, di gaffe e di impunite presunzioni, riguarda ap- problema di linguaggio, ma qui forse, come abbiamo sottolineato, la le- punto, la lupa del Campidoglio, simbolo della nascita di zione di Saba si faceva più diffficilmente percorribile. Roma che, a differenza di quanto si è sempre creduto non Il poeta più importante del secondo novecento triestino è stato sarebbe più una statua etrusca ma medievale. Deducendo senz’altro Fabio Doplicher, che ha trascorso gran parte della sua vita ciò dal fatto che l’opera sembrerebbe fusa con la tecnica “a lontano dalla città natale e quando a questa si è rivolto si riappropriato cera persa” in un sol getto… del dialetto della sua infanzia, iniziando a comporre quello che proba- Così, quando fra qualche anno scopriremo che la plastica bilmente sarebbe potuto essere il più importante canzoniere cittadino del romana e quella etrusca conoscevano la stessa tecnica, po- secondo novecento. Purtroppo questo lavoro è stato compiuto solo in tremo restituirla agli Etruschi o darne altra collocazione parte, per la immatura scomparsa del poeta, che comunque a Trieste temporale. È dunque l’occasione, forse, per una riflessione: aveva dedicato anche alcuni bellissimi versi in lingua. dalla filologia e dal documento derivano “verità” relative e Arrivati a questo punto mi rendo perfettamente conto di non aver ri- temporanee, mai assolute. Con buona pace per i sacri “mi- sposto alla domanda iniziale, ma forse di aver fatto intravvedere alcu- nistri” della storia dell’arte. * ni possibili percorsi suscettibili di ulteriori ricerche. IL PORTOLANO - N. 49-50 9 SABA E FIRENZE

Stefano Carrai

opo Trieste, la città più importante nella vita e nell’opera di DSaba è stata senz’altro Firenze. Vi si trasferì una prima vol- ta nel gennaio del 1905. C’era stato già due anni prima, di pas- saggio, per recarsi a ; ora, insieme con gli amici Giorgio Fano e Virgilio Doplicher, triestini anche loro, sceglieva di vivere a Fi- renze in quanto capitale linguistica e letteraria di quella Italia cui Trieste non era ancora riunita. Ci sarebbe rimasto per più di due anni, senza però riuscire ad ambientarsi e a sentirsi accettato dai letterati fiorentini come Papini e Prezzolini che qualche anno più tardi avrebbero fondato la ÇVoceÈ. Su questo punto fa testo il fi- nale del decimo sonetto dell’Autobiografia, dove fra l’altro Saba rievocava le pubbliche letture di sue poesie con lo pseudonimo di Umberto da Montereale e l’incontro con D’Annunzio alla Versi- liana:

Vivevo allora a Firenze, e una volta venivo ogni anno alla città natale. Più d’uno in suoi ricordi ancor m’ascolta dire, col nome di Montereale,

i miei versi agli amici, o ad un’accolta d’ignari dentro assai nobili sale. Plausi n’avevo, or n’ho vergogna molta; celarlo altrui, quand’io lo so non vale.

Gabriele D’Annunzio alla Versiglia vidi e conobbi; all’ospite fu assai egli cortese, altro per me non fece.

A Giovanni Papini, alla famiglia che fu poi della ÇVoceÈ, io appena o mai non piacqui. Ero fra lor di un’altra spece.

Nelle poesie di quegli anni fiorentini resta nitido il ricordo F.G., Dettaglio fiorentino. delle passeggiate lungo le spallette del fiume (A mamma, vv. 13- 14 ÇPasseggiano i borghesi in riva all’Arno / torbido con violacee ombre di pontiÈ) e delle statue di piazza della Signoria (Sereno,vv. Italiana, e Con i miei occhi nel 1912, per la Libreria della Voce. 4-6 Çle chiare / forme onde in Piazza Signoria ammirato / sosto a Pur dopo la recensione limitativa del concittadino lungo, e commosso»). Non è difficile credere che agli occhi degli a Poesie uscita sulla rivista e dopo l’episodio del rifiuto da parte incendiari che animavano allora riviste come ÇLeonardoÈ e ÇIl Re- della redazione di pubblicare l’articolo Quello che resta da fare ai gnoÈ il malinconico dannunziano calato da Trieste apparisse un poeti, Saba collaborò alla «Voce» fra il ’12 e il ’13 con qualche sognatore poco in sintonia con il loro modernismo. poesia, qualche novella, qualche articolo, ma sentendosi sempre Nonostante tutto, Saba sarebbe tornato a Firenze parecchie tenuto a una certa distanza. All’ulteriore deterioramento dei rap- volte ancora. Richiamato per il servizio di leva nell’esercito regio, porti contribuì del resto il debito contratto dal poeta con la Libre- tra il 19 aprile e il 9 ottobre del 1907 sarebbe stato internato pro- ria per la stampa a sue spese di Con i miei occhi, che Saba aveva prio presso l’ospedale militare fiorentino di Monte Oliveto. Tra il difficoltà a estinguere. Ma con Papini i rapporti in qualche modo 1909 e il 1910 avrebbe fatto altri viaggi a Firenze anche per far vi- si ricucirono, tanto che nelle note in calce a Figure e canti, del ’26, sita all’amico e poeta triestino Virgilio Giotti, il quale nel frat- Saba volle chiosare il pronunciamento del sonetto dell’Autobio- tempo si era stabilito con la famiglia in una soffitta vicino al Pon- grafia così: ÇDevo aggiungere, per amore della verità e per non te Vecchio. In quegli anni riallacciò i contatti con alcuni scrittori sembrare un ingrato che l’atteggiamento(e spero anche l’animo) della ÇVoce» e a Firenze stampò i suoi primi due libretti: Poesie di Giovanni Papini è andato verso di me cangiando negli ultimi nel novembre del 1910 (ma con data 1911), per la Casa Editrice anni, e che quest’uomo singolare dal quale tutto, eticamente ed ar- 10 IL PORTOLANO - N. 49-50 tisticamente, mi divide è oggi uno dei pochi amici che mi sono ri- banti) e i giovani intellettuali come o Bruno masti della mia generazioneÈ. Schacherl. Con altri intellettuali era entrato in contatto frequen- La memoria frustrante del mancato idillio con la cultura fio- tando Le giubbe rosse, fra gli altri Montale col quale strinse una rentina, poté attenuarsi di lì a poco dopo che il successo ottenuto profonda amicizia. Di lì a poco sarà uno dei protagonisti della li- con Figure e canti aprì a Saba le porte di «Solaria», che nel mag- berazione della città, contribuendo, fra l’altro, ad organizzare il gio del ’28 gli dedicò addirittura un numero unico e poi stampò grande sciopero del 3 marzo 1944. nelle proprie edizioni la plaquette di Preludio e fughe. Nella pri- Dapprima i Saba vagarono mutando indirizzo (gli Çundici vol- ma metà del decennio successivo attenzione e ospitalità avrebbe te cambiati domiciliiÈ di cui Saba parla in Storia e cronistoria del ricevuto, rispettivamente, sulle pagine di ÇPanÈ e di ÇLetteraturaÈ, Canzoniere). Dalla Pensione Pendini in via Strozzi passarono al- e avrebbe approfondito l’amicizia con Montale al punto da recar- l’appartamento in via Carducci di Ranuccio Bianchi Bandinelli, a si a Firenze dichiaratamente per incontrarlo, come dice la breve quello di Vittorini in via Pacini, a quello di Montale in viale Duca poesia intitolata a Firenze nella sezione Parole: di Genova (oggi viale Amendola), all’altro nei pressi del Merca- to Vecchio dove Montale, commemorando la Lina all’indomani Per abbracciare il poeta Montale della sua morte sul «Corriere d’informazione» dell’1-2 dicembre – generosa è la sua tristezza – sono 1956, avrebbe ricordato di aver fatto visita ogni giorno ai Saba (Çin nella città che mi fu cara. È come quell’anno, fin che fu possibile, io non mancai mai all’appunta- se ogni pietra che il piede batte fosse mento quotidiano con Umberto e con Lina SabaÈ). Il penultimo ri- il mio cuore, il mio male fugio fu in via Della Robbia, nella casa presa in affitto da Mario di un tempo. Ma non ho rimpianti. Nasce Spinella e preparata per accoglierli con l’aiuto di Maria Luigia – altra costellazione – un’altra età. Guaita, figure di spicco entrambi della Resistenza a Firenze. Quando Spinella nel febbraio del ’44 cadde nelle mani del fami- Fu anche in virtù di una certa rete di amicizie che quando, al- gerato torturatore fascista Mario Carità e dei suoi compari, es- l’indomani dell’8 settembre del ’43, Saba dovette fuggire da Trie- sendo divenuto il nascondiglio non più sicuro, fu per il tramite di ste per scampare ai rastrellamenti nazifascisti scelse di rifugiarsi Bruno Sanguinetti e della madre dell’allora giovanissima Teresa proprio a Firenze. Non mi risulta sia ancora emerso però che uno Mattei - compagna di lotta più tardi diventata la sua seconda mo- dei motivi, se non il principale, dovette essere la presenza del glie Ð che Saba e le Line trovarono rifugio nel vasto appartamen- suo giovane amico Bruno Sanguinetti, al quale non a caso è de- to, in piazza Pitti 14, ultimo piano, di Anna Maria Ichino: an- dicata la poesia La visita che conclude il Canzoniere nella nuova ch’essa impegnata nella Resistenza fiorentina, tant’è che sarebbe redazione preparata da Saba dopo il passaggio del fronte e stam- divenuta la segretaria di redazione del quotidiano ÇLa Nazione del pata da Einaudi nella Roma liberata. Sulla figura di Sanguinetti, PopoloÈ, organo del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. scomparso prematuramente nel 1950 e oggi quasi dimenticato, fa La cronaca dei giorni di clausura in via Della Robbia è stata luce il bel libro Storia di Bruno scritto dalla figlia Paola (Milano, raccontata con dovizia di particolari da Ottavio Cecchi, anch’egli Vangelista, 1997). Triestino, figlio del proprietario della maggio- giovanissimo rifugiato sotto lo stesso tetto (L’aspro vino di Saba, re industria conserviera italiana dell’epoca, l’Arrigoni, Sanguinetti Roma, Editori Riuniti, 1988), e da Mario Spinella (Firenze ’44. si era avvicinato ai Saba dapprima per Linuccia, suo primo amo- Saba, Montale, ÇalfabetaÈ, dicembre 1983). La paura della dela- re. La confidenza e la stima reciproca col padre di lei erano venute zione, l’ansia per le notizie che giungevano dal fronte, la nevrosi cementandosi sia nell’esecrazione dell’assassinio di Matteotti sia e gli umori di Saba, il fumo della sua pipa, le conversazioni d’ar- nell’ammirazione di Bruno per la poesia di Saba. Spesso il ragazzo gomento letterario e politico, le visite quotidiane di Montale e la andava a trovarlo nella sua Libreria Antica e Moderna e il poeta gli sua voce baritonale che intona qualche aria d’opera sono gli in- regalava o gli consigliava qualche libro per poi discuterne. Saba lo gredienti principali dei loro ricordi. Nella grande appartamento af- chiamerà per tutta la vita affettuosamente Brunetto. facciato su Palazzo Pitti, poi, Saba trovò la compagnia di Carlo Trasferitosi a Bruxelles sul finire degli anni Venti per frequen- Levi, conosciuto fuggevolmente in casa di Giacomo Debenedetti tare l’università, Sanguinetti entrò in contatto con il movimento a Torino nel 1922 e anch’egli nascosto presso la Ichino. La vici- degli antifascisti italiani esuli in Belgio e aderì a quelle convinzioni nanza con la casa del pittore triestino Giorgio Settala, al 54 di via politiche. Rientrato in Italia per proseguire gli studi a Roma, nel- Romana, favorì inoltre l’intensificarsi della frequentazione di lui l’estate del 1940 fu arrestato per la sua attività antifascista e spe- e della moglie di lui Elena. dito al confino a Leonessa. Dopo poco più di un anno, per inter- Fu in piazza Pitti che Saba avviò la stesura di Storia e croni- cessione del padre Giorgio amico personale di vari gerarchi, il Mi- storia e che riprese in mano il Canzoniere per dargli una siste- nistero dell’Interno dispose il suo trasferimento a Firenze perché mazione definitiva. La partecipazione, sia pure solo in animo, al Bruno potesse terminare gli studi universitari e nel contempo si clima trepidante ed eroico della liberazione di Firenze e dei gior- rendesse utile all’azienda di famiglia che aveva una importante ni immediatamente successivi fece nascere le cinque nuove poe- fabbrica a Sesto Fiorentino. sie rubricate nel Canzoniere sotto il titolo complessivo 1944. Alla Il rapporto con Saba non si interruppe mai, se non altro in via prima, Avevo, segnata in esordio proprio dalle allusioni a Çquesta epistolare. Fu anche perché sapevano di poter contare sul suo casa ospitaleÈ e a ÇPalazzo Pitti» visto dalla finestra, e marcata an- aiuto che Saba, Lina e Linuccia nel ’43, scappati da Trieste in pre- cor di più dal ritornello che bolla Çil fascista abiettoÈ o ÇinettoÈ e da alla disperazione sull’automobile del fratello di Lina, Enrico Çil tedesco lurcoÈ i quali hanno espropriato il poeta di tutto ciò che Wölfler, si diressero verso Firenze. Qui nel frattempo Bruno, sot- aveva di più caro, risponde l’ultima, Dedica, composta, sulla fal- to la copertura dello stabilimento Arrigoni di Sesto, aveva ripreso sariga della ballatetta dell’esilio di Cavalcanti, per consacrare a Fi- l’attività politica entrando nel Partito Comunista clandestino, fi- renze la breve serie. Inizialmente Saba vi lamentava la nostalgia nanziandolo, adoperandosi su incarico del direttivo romano per di Trieste e ripercorreva l’intero arco dei suoi rapporti con la città estendere la rete dei militanti tra gli operai di Sesto, gli studenti toscana: (specie quelli della Facoltà di Lettere riuniti intorno ad Aldo Brai- IL PORTOLANO - N. 49-50 11

Perch’io non spero di tornar giammai ziale, dal momento che la stella a cinque punte nella fattispecie era fra gli amici a Trieste, a te Firenze non quella d’Italia, bensì quella sovietica connessa a falce e mar- questi canti consacro e questi lai. tello emblemi del comunismo: ma ormai il verso era nato così e il poeta preferì non cambiarlo. Peraltro l’adesione a quelle istanze Come t’amavo in giovanezza! Folli politiche risulta palese, così come la simpatia per il vivace perso- che abitavano te, t’han fatta poi naggio che recita il prologo dopo aver salutato col pugno chiuso difforme a tutti i miei pensieri, ostile. e poi si allontana alludendo sarcasticamente alla ritirata dell’e- sercito tedesco. Ma di giovani tuoi vidi gentile Avevo e Teatro degli Artigianelli furono le prime poesie pub- sangue un Agosto rosseggiar per via. blicate da Saba dopo il periodo della clandestinità: uscirono sul- Si rifece per te l’anima pura. la ÇNazione del PopoloÈ del 9 ottobre 1944. Dal 20 settembre ave- vano ripreso le trasmissioni di Radio Firenze ed egli vi tenne due M’hai celato nei dì della sventura. letture di poesie: nella prima versi di Heine (nella versione di Bernardino Zendrini a lui cara), di Foscolo e di altri poeti, nella se- L’accenno al sangue versato dai partigiani nelle strade di Fi- conda il Ça Ira di Carducci. renze tra il 21 e il 31 di agosto, prima che tedeschi e repubblichi- Bastano le straordinarie poesie di 1944 a far rubricare Saba fra ni abbandonassero la città, fa il paio con l’accenno ai giovani i maggiori poeti della Resistenza. Ma esse non furono le sole che partigiani in corsa sui tetti delle case presente nella terza strofa di scrisse fra le mura della casa di piazza Pitti. Nel dicembre, insie- Vecchio camino, poesia collocata in posizione immediatamente me a Linuccia, andò a trovare Bruno Sanguinetti e sua moglie Ma- precedente. A questa poetica solidarietà certo non furono estranei ria Sanna nel villino che abitavano con i loro figlioletti in via del- né i giovani comunisti che in quei mesi lo avevano aiutato a na- l’Erta Canina, e lì rivide un quadro dipinto dal defunto amico scondersi né la consuetudine con Carlo Levi, impegnato proprio triestino Vittorio Bolaffio che un tempo era stato di sua proprietà allora nella stesura di Cristo si è fermato a Eboli e reduce dalla e del quale avevano parlato insieme molti anni prima a Trieste. scrittura dei saggi raccolti in Paura della libertà, la cui analisi del A Bruno e Maria dedicò la poesia già menzionata che si ispira a nazifascismo era singolarmente in linea con le idee parallela- quell’episodio – intitolata dapprima Si fa notte, infine semplice- mente esposte da Erich Fromm nel suo Fear of freedom. Il rinno- mente La visita Ð composta appositamente per figurare quale vato impegno civile e politico di Saba si esprimeva senza schermi chiusa del nuovo Canzoniere, come dimostra l’eloquente esordio: nella seconda poesia della serie, dedicata al Teatro degli Artigia- ÇHo scritto fine al mio lavoro; messo, / diligente scolaro, in bella, nelli, in via dei Serragli, dove in settembre vide una recita ama- pagina / dopo paginaÈ. toriale: Negli ultimi tempi in piazza Pitti Saba, oppresso dalla sua ne- vrosi ossessiva, annichilito dal timore che nazismo e fascismo Falce martello e la stella d’Italia fossero un cancro inestirpabile, aveva vagheggiato più volte il sui- ornano nuovi la sala. Ma quanto cidio; ma aveva nonostante tutto lavorato indefessamente sia alla dolore per quel segno su quel muro! messa in pulito del Canzoniere sia alla stesura di Storia e croni- storia. Con quei preziosi manoscritti chiusi nella valigia, uno Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo. dei primi giorni del gennaio 1945 partì da Firenze su una ca- Saluta al pugno; dice sue parole mionetta diretta a Roma, lasciandosi alle spalle una città che or- perché le donne ridano e i fanciulli mai per lui sarebbe rimasta legata al ricordo del terrore e della se- che affollano la povera platea. gregazione. Dice, timido ancora, dell’idea che gli animi affratella; chiude: ÇE adesso faccio come i tedeschi: mi ritiroÈ. Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in giro rosseggia parco ai bicchieri l’amico dell’uomo, cui rimargina ferite, gli chiude solchi dolorosi; alcuno il Portolano venuto qui da spaventosi esigli, si scalda a lui come chi ha freddo al sole. INDICI / 1995-2004 - nn. 1-40 Questo è il Teatro degli Artigianelli, a cura di Giuseppe Giari quale lo vide il poeta nel mille novecentoquarantaquattro, un giorno di Settembre, che a tratti Indice generale rombava ancora il cannone, e Firenze Indice delle illustrazioni taceva, assorta nelle sue rovine. Indice alfabetico degli autori Nell’autocommento di Storia e cronistoria Saba raccontò com’era nata la poesia, ovvero che egli Çsi commosse assistendo, Richiedere all’Editore dopo la lunga orribile prigionia, ad una rappresentazione popola- o consultare sul sito re dentro la cornice di uno di quei teatrini suburbani sempre cari www.polistampa.com alla sua MusaÈ. A seguito l’autore dichiarava inoltre di aver letto subito il testo a Levi e che questi lo aveva avvertito dell’errore ini- 12 IL PORTOLANO - N. 49-50 La materna Roma di Umberto Saba Un momento di complicata felicità1

Massimiliano Pescini

a scrittura in prosa occupa nella vita di Umberto Saba uno spa- Lzio temporale molto ampio ma altrettanto discontinuo; a pe- riodi piuttosto brevi di fecondità (se una parola come questa può es- sere utilizzata per un autore dalla scrittura così lenta e laboriosa) si alternano silenzi prolungati, a loro volta momentaneamente inter- rotti da tentativi sporadici e subito abortiti2; è il caso delle scor- ciatoie scritte a Trieste in pieno fascismo e rielaborate, tagliate, cambiate di segno nella Roma liberata3. Saba giunge a Roma nel gennaio del 1945, nel tentativo di su- perare la grave crisi che lo aveva colpito a Firenze negli ultimi mesi del 19444, trovando finalmente un po’ di requie al suo dolore, af- fascinato dalla bellezza della città e dalla vitalità che vi si respira. Poche settimane dopo il suo arrivo, inizia a lavorare sull’idea di comporre una serie di nuovi aforismi, in grado di esprimere e con- densare la mole di esperienze, di considerazioni, di sentimenti ac- cumulata fino a quel momento. Saba trova subito un settimanale, “La Nuova Europa”5, disponibile a stampare (e, cosa fondamenta- le per l’indigente Saba, a pagare) le prime scorciatoie scritte nel mese di febbraio: la collaborazione si protrarrà fino al luglio, e por- terà Saba a pubblicare sulla rivista, in sei puntate, centotrenta- quattro scorciatoie e tre raccontini.

Avevo Roma e la felicità. Una godevo apertamente e l’altra tacevo per scaramanzia. Ma tutto Mi voleva beato a tutte l’ore: e il mio pensiero era un dio creatore.6 Aprés Sironi.

Ebbri canti e bestemmie si levano nell’osteria suburbana. Qui pure soldi che ho; quando non ne avrò più dovrò lasciare Roma per la penso – è il Mediterraneo. E il mio pensiero spaventosa, arida Firenze; dove, oltre al resto, è finita per me anche all’azzurro s’inebria di quel nome. ogni speranza di guadagnare”. La “madre negra”9 non potrà essere adottiva, non potrà co- Materna calma imprendibile è Roma.7 munque rappresentare l’approdo definitivo in nessun caso. Il pas- sato, le origini, con la forza dei loro legami, non si attraversano im- La Ð quasi miracolosa Ð stagione romana, quando Saba si sen- punemente. te per la prima volta ebbro di felicità, non durerà a lungo; i momenti “Che Linuccia legga Scorciatoie; si divertirà”10. Saba comuni- più angoscianti per il poeta sono proprio quelli in cui percepisce la ca alle sue donne la prossima uscita in rivista di quelle che si chia- possibile fine del sogno8. A Roma e ancor di più dopo il trasferi- meranno Prime scorciatoie, contento in quel momento soprattut- mento a Milano Saba sarà continuamente assillato da problemi di to perché già gli sono state pagate (“Mi hanno dato 3000 lire”11) e natura economica, “armato solo della […] poesia”, come si defi- non hanno subito travagli e blocchi nella scrittura (“venti giorni, per nisce in una lettera del 25 marzo 1945 alla moglie Lina. In febbraio, me, di lavoro”12); il compito gli pare forse più gravoso quando una mentre le descrive Roma come un “brillante che manda luce da tut- settimana dopo, in una lettera alle Line del 16 marzo 1945, Saba te le parti”, si preoccupa dell’“incubo dei soldi”, e il 16 marzo la può farle partecipi del primo successo della pubblicazione: “Alla ri- situazione non è migliorata: “Vedo con terrore diminuire i pochi vista vorrebbero già la seconda serie, alla quale sto lavorando”13; IL PORTOLANO - N. 49-50 13

“Avrei già tre editori che vorrebbero farne un volumetto. Difficile sposizione”27; questa definizione, che nella trasformazione letteraria è scriverle; non sempre riesco a concentrarmi, benché abbia defi- appare come una frase scherzosa, un affettuoso buffetto sulla guan- nitivamente rinunciato a inviti, anche se accompagnati dalla pro- cia di una figlia affezionata, nasce probabilmente da un momento messa della macchina all’andata e al ritorno”14. di contrasto tra Linuccia e il padre: la lettera28 in cui Saba trascri- Il meccanismo psicologico sabiano è debole di fronte al dove- ve la scorciatoia e la dedica alla figlia è un esempio di serrata giu- re di incanalare l’ispirazione in un tempo definito; la sua capacità stificazione da parte del poeta sulle ragioni del prolungarsi del creativa fatica a reggere il passo con i normali ritmi editoriali: suo solitario soggiorno romano, in risposta evidentemente o a una “Non è che non sia un lavoratore; ma lavoro così lentamente, che serie di esplicite accuse che la figlia gli aveva rivolto o, molto più non posso pensare a vivere della letteratura”15. Il lavoro a cottimo probabilmente, di un silenzio epistolare piuttosto lungo che il poe- gli costerà sempre un surplus di sacrifici e angosce, periodica- ta avverte come un implicito rimprovero. La figlia capisce (fin da mente riportati nelle lettere alla famiglia: “Sto lavorando 12 ore al piccola) che da un uomo siffatto non si possono pretendere le si- giorno all’introduzione al libro di Barni16, che dovrei consegnare a curezze e neanche le affettuosità della normalità, ma slanci inter- Mondadori, il 2 o 3 Gennaio”; “Adesso, per 4 giorni, la Banca17 è mittenti, chiusure ed egolatrie alternate a improvvisi momenti di chiusa […]; il mio salottino è sempre a mia disposizione (anche i reale interesse, di volontà educativa e di ansie possessive tipiche di giorni di festa) ma la Banca, in quei maledetti giorni, non è riscal- un canonico rapporto tra padre e figlia. Rosanna Saccani e Gian- data. Come passerò le feste? Speravo di lavorare […]”18; “Adesso franca Lavezzi, le curatrici delle Lettere famigliari, citano nell’in- devo finire il saggio sulla mia poesia […] e poi incominciare lo stu- troduzione al volume uno scritto autobiografico composto da Li- dio su Tolstoi. Ma sono pentito di aver accettato questo lavoro: non nuccia nel 1983: mi sento di vivere, in questo momento, in compagnia di quel co- losso russo. Tuttavia dovrò farlo”19. Nonostante questa sua refrat- Passava in silenzio attraverso le stanze della nostra casa, né lo tarietà alla catena di montaggio culturale, le Scorciatoie e alcuni perdevo di vista: era un uomo che ignorava il reale, del tutto as- Raccontini saranno presenti con cadenza piuttosto regolare su “La sente. Ricordo che da bambina mi faceva l’effetto di un’ombra Nuova Europa”, dalla prima apparizione nel numero del 18 marzo […]. Tentavo di stabilire un contatto […] mi rispondeva a mo- 1945 a pagina 5 (Alcune scorciatoie di Umberto Saba) fino all’ul- nosillabi, con un leggero tremito di collera nella voce […]. Ri- tima, il 29 luglio dello stesso anno (Ultime scorciatoie e un rac- cordo che durante tutta la mia infanzia e adolescenza la domeni- contino)20. Il primo a stupirsene sembra proprio l’autore: “Tenute, ca pomeriggio come divertimento mi propinava la lettura di una per quindici e più anni, nel segreto rifugio della memoria; scritte in tragedia greca […]. Avrei preferito uscire per fare una passeg- giata. Ma Saba mi implorava di restare a casa ad ascoltarlo […]. cinque mesi (pochi per l’estrema lentezza dei miei movimenti)”21; Il mio matrimonio [con Lionello Giorni] fece molto arrabbiare che Saba non consideri un’impresa improba portare avanti il suo mio Padre, che non desiderava, né aveva mai desiderato che io mi progetto lo si deduce anche dal tono del suo rammaricarsi con le sposassi. Mi fa piacere pensare che non amava separarsi da me Line: non fa cenno a lacerazioni interiori, incomprensioni, incom- […]. “L’ho fatta, allevata, educata, è l’unica cosa che rallegri la patibilità, si limita a questioni pratiche, a lamentarsi Ð e, perché no, casa, perché me ne devo privare?29. anche a compiacersi – dell’eccessiva vita mondana che gli tocca condurre, nel ruolo di guest star dotata pure di autista personale. Il Saba non sempre riesce a trasportare nella vita familiare un poeta si sente oltremisura coccolato: “Una gentile giovane attrice comportamento ispirato ai lucidi insegnamenti che ama elargire, in dice che mi porterebbe il caffè a letto, ed anche, ed anche, se lo de- veste di saggio maestro, ai giovani amici. Le dimostrazioni di at- siderassi, il caffè e la cena; che sarebbe tanto contenta di avermi a taccamento morboso alla figlia si scontrano ad esempio con le pa- casa sua, ecc. ecc.”22. Pensando alle traversie, alle angherie, alle cate e ironiche raccomandazioni in chiave freudiana del poeta a umiliazioni che ha dovuto subire, all’angoscia che lo ha accom- Nora Baldi: pagnato negli anni della guerra e della clandestinità fiorentina, ci troveremo forse a comprendere meglio la sua esplosione vitale e sa- Non vorrei che la malattia di tua madre si fosse trasformata in remo più indulgenti nel giudicare il suo orgoglio di uomo e poeta te in “senso di colpa”; sentimento questo spiacevole, quanto ra- al centro dell’attenzione, riconosciuto e osannato (è indicativo che zionalmente ingiustificato, e che prende diverse forme, così che lo stesso Saba se ne renda conto e lo scriva): non sempre il soggetto l’avverte nella sua vera natura. Ma tutta la nostra struttura psichica è modellata sulla nostra infanzia; e quin- Ieri sera è venuto a trovarmi Mario Spinella23. Era tutto sba- di sui rapporti con i genitori. Ora questi ‘mostri’ non solo ci ren- lordito, perché un suo amico scrittore (di cui non gli chiesi – chi dono il servizio di metterci al mondo senza chiederci prima il sa perché? – il nome) del quale lui ha grande stima, gli telefonò per permesso (ed è una grave mancanza d’educazione), ma ci obbli- dirgli che Saba è non solo il primo poeta d’Italia, ma il maggiore gano poi anche ad assistere al loro declino, alle loro malattie ecc. di tutti i poeti viventi […], cosa che mi sembra veramente esage- ecc. pretendono perfino di essere curati, consolati e via discor- rata24. rendo. Ora, cara Nora, tu fai bene ad assistere tua madre (per lei e per te), ma cerca di non lasciarti contagiare30. La parola chiave di questo periodo, l’abbiamo già sottolineato, è felicità: uno stato d’animo sollevato, una curiosità nuova di sco- Il contagio, la paura di una nuova dolorosa contaminazione con prire, di osservare, di conoscere, di farsi conoscere: come Ð quasi il passato: il Saba del carteggio romano e milanese è figlio ribel- Ð sempre, la sintesi più efficace gliela regala Giacomo Debene- le, bizzosamente triste e giocoso, piuttosto che marito o padre af- detti25: “come un bambino va a funghi, io vado per Roma a gloria fettuosamente preoccupato; la parte che si ostina a recitare non e a Scorciatoie”26. A chi esamini lo scambio epistolare con le Line, può durare a lungo, così come momentanea si rivela l’illusione che sapendole a Firenze in condizioni economiche e morali disastrose, la distanza fisica dalla famiglia possa liberarlo dalle scorie del pas- i lunghi excursus in cui il poeta mostra senza troppo pudore il suo sato, di ogni passato, anche dal richiamo più forte e pericoloso: stato di grazia romano potranno sembrare segno di indelicatezza o “E poi sto male per Trieste. Il mio attaccamento a Trieste tu non peggio di egoismo: Saba sicuramente non è uomo pronto per la lo puoi capire”31. La sua città sta cambiando pelle, è così infero- beatificazione, ma piuttosto, secondo la definizione di Linuccia tra- cita negli odi di razza e così immersa nella sua disperata deca- sposta nelle Scorciatoie “è un bambino con molti mezzi a sua di- denza da non farsi quasi più riconoscere, non è che lo squallido in- 14 IL PORTOLANO - N. 49-50

Roma, Ponte e Castel Sant’Angelo (fine XIX secolo). volucro della Trieste di trent’anni prima, al culmine del suo splen- Alla fine dei giochi, degli interludi più o meno ariosi, le illusioni dore culturale ed economico; quella del rifiuto totale sembra essere saranno definitivamente perdute e l’identificazione con Trieste to- per Saba la via più lineare da seguire, da proclamare: “Quello che tale; la madre vera lo attrae inevitabilmente a sé, e lo riporta al- in nessun caso ti posso promettere è di stabilirmi – per mia vo- l’orgoglioso status di tutta un’esistenza poetica (Io ero fra lor di lontà Ð a Trieste. Tutti i ponti sentimentali tra me e Trieste sono un’altra spece, aveva scritto all’inizio del secolo il giovane Saba rotti, e spero per sempre”32. Con la figlia è ancora più deciso, più dopo i contatti con gli intellettuali della “Voce”): un triestino non tragicamente duro: “Ho il terrore di Trieste, che mamma mi chia- può abbandonare la sua condizione di ‘periferico’, se non vuole ri- mi laggiù. Sarebbe come andare in Germania, al tempo di Hi- schiare di perdere la sua stessa identità. tler”33. Una violenza linguistica assoluta, innaturale, tanto ecces- siva da destare il sospetto di essere falsamente, fallacemente li- La contemporaneità dà quello che può, e l’Italia non ha mai ca- beratoria. Impossibile non correggersi, non doversi correggere; pita Trieste. Gli italiani sono neri o rossi […] e Trieste (cioè la mia quando scrive a un giovane amico triestino, sente il bisogno di fre- poesia) era azzurra35. narsi, di precisarsi: L’azzurro è il colore degli spazi aperti, infiniti e in Saba rap- Non pensare a Trieste. Io ho il terrore di doverci ritornare presenta visivamente la sensazione di libertà che rende possibile […]. Che città! Che gente! Che barbe! Perché ci è venuto in men- l’espressione poetica: te di nascere laggiù? Ma non siamo, figlio mio, ingrati: molti dei L’Italia culturalmente – chi non lo sa? – è un grande, grandis- nostri “splendori” li dobbiamo proprio al cielo e al mare di Trie- simo paese, e Trieste appena una città; culturalmente fu anche una ste. E ad averli nel sangue34. città arretrata, barbara, primitiva. Ma quel grande paese era – come IL PORTOLANO - N. 49-50 15

si è visto – nero o rosso, raramente azzurro. Trieste invece era az- 20 Riportiamo, per comodità del lettore, le altre date di apparizione in rivista: 8 apri- zurra. Bastava arrivarci dal Veneto per avere l’impressione di un le (sotto il titolo Altre scorciatoie), 29 aprile (Terze scorciatoie), 27 maggio (Quarte orizzonte che si apriva.36 scorciatoie e un raccontino), 24 giugno (Quinte scorciatoie e un raccontino), 29 lu- glio (Ultime scorciatoie e un raccontino). 21 Scorciatoia n. 161, in T. Pr., p. 78. Questa scorciatoia, numerata 161 nella pub- L’azzurro è anche il colore del Mediterraneo nella poesia Ebbri blicazione in volume, chiudeva invece la serie di Scorciatoie apparse su “La Nuova Eu- canti, poco sopra citata. Trieste ha il colore del mare: ropa”; Saba, pur anticipandone la posizione, non ne corresse la forma, tipica di un ren- diconto conclusivo. 22 Da una lettera alle Line del 25 marzo 1945, riportata nell’introduzione ad Atro- UN UOMO (profondamente influenzato dalla madre) andò ce paese che amo cit., p. XVIII. Le curatrici del volume informano in nota che la “gen- da un chiromante. Questi gli disse che il suo destino era sul mare. tile giovane attrice” è Elsa De Giorgi, che frequentava in quel periodo gli ambienti in- L’uomo […] stupì; si credette frodato. Aveva ragione il chiro- tellettuali comunisti vicini a Saba. Una curiosità: la De Giorgi avrà negli anni cinquanta mante. La vita ricorda le sue origini; ricorda di essere nata dalle una lunga storia d’amore con : cfr. I. Calvino, Lettere, Milano, Mon- acque; e – per l’inconscio – mare = ma(d)re.37 dadori, 1999. 23 Intellettuale comunista amico di Saba dai tempi della clandestinità, è protago- nista di due Scorciatoie, la n. 87 e la n. 89; cfr. T. Pr., pp. 43-44. Il nesso tra la città e l’origine della propria poesia è per Saba un 24 Atroce paese che amo, cit., p. 9. limite invalicabile; la sua è un’ammissione dolorosa, sofferta fino 25 Giacomo Debenedetti (1901-1967), amico ed estimatore di Saba, è stato uno dei quasi al vittimismo, ma è anche una resa incondizionata: più grandi critici letterari del Novecento. 26 Atroce paese che amo, p. 13. 27 “PAPÀ – diceva una giovanetta a una giovanetta sua uguale – è un bambino con Nessuno capirà mai nulla di me; l’Italia mi ha perduto come ha molti mezzi a sua disposizione”: è il testo integrale della Scorciatoia n. 78, la prima perduto Trieste. Perché, se la mia poesia è – come ogni poesia – delle Quarte scorciatoie (T. Pr., p. 40). un’interpretazione totale del mondo, questo mondo è veduto da 28 Ne riportiamo degli stralci, da Atroce paese che amo, cit., p. 19, per consentire al lettore una sua consapevole interpretazione: “Linuccia mia. Scusami il tono irrita- Trieste, non da Cesena o da Predappio, o da Firenze. E nemmeno to di questa lettera. Ti assicuro che lo si sarebbe per molto meno! Non saper nulla di 38 da Roma. voi è grave per me. Non posso muovermi da Roma, perché aspetto di giorno in gior- no le seconde bozze del primo volume (del Canzoniere edizione Einaudi ndr.). Se non fosse per questo, avrei già iniziate le lunghe pratiche per venire a vedervi a Firenze, NOTE benché per me Firenze e la morte sieno sinonimi. E nessuno fuori di me può fare que- sto lavoro. A Firenze non le avrei avute mai più […]. Nel dubbio che vi sia nato qual- cosa, che una di voi due o magari tutt’e due stiate male, non so cosa scrivervi”. 1 Per i testi citati con maggiore frequenza nell’articolo verranno utilizzate in nota 29 Queste note autobiografiche di Linuccia Saba sono apparse per la prima volta le seguenti sigle e abbreviazioni:U. Saba, Tutte le prose, a cura di A. Stara, con un sag- in “Linea d’ombra”, 2, speciale estate 1983. Le troviamo riportate in Atroce paese che gio introduttivo di M. Lavagetto, Milano, Mondadori, 2001 verrà sempre citato come amo, cit., introduzione di Gianfranca Lavezzi e Rosanna Saccani, pp. XIII-XIV. T. Pr.; U. Saba, Tutte le poesie, a cura di A. Stara, introduzione di M. Lavagetto, Mi- 30 N. Baldi, Il paradiso di Saba, cit., p. 39 (la lettera è datata 15 maggio 1953). lano, Mondadori, 1988 sarà sempre siglato come T. Po. 31 Atroce paese che amo, cit., p. 18 (lettera del maggio o del giugno 1945 a Li- 2 La lotta di Saba con la scrittura in prosa è documentata nell’epistolario. Saba non nuccia). nutre dubbi sulla sua grandezza poetica, la considera un dato di fatto: si mostra ferito 32 Ivi, p. 36 (lettera da Milano del 29 gennaio 1946 a Lina, che intanto è ritornata e incompreso quando questa viene misconosciuta da alcuni critici, e si sfoga spesso per a Trieste). quelle che ritiene vere e proprie ingiustizie. Molto più contrastato il giudizio sulle pro- 33 Ivi, p. 39 (lettera del 10 marzo 1946 a Linuccia). prie qualità di prosatore: una lettera ad Ettore Serra del I agosto 1931, durante il lun- 34 U. Saba - P.A. Quarantotti Gambini, Il vecchio e il giovane. Carteggio 1930- go letargo creativo tra le due guerre, testimonia uno dei numerosi momenti di sfidu- 57, Milano, Mondadori, 1965, p. 37. cia (attenuata forse dall’autoironia), di rinuncia a misurarsi con un genere che Saba sen- 35 Lettera alla figlia Linuccia del 25 marzo 1947, dalla Cronologia di T. Pr., te più ostico: “Avevo incominciato un libro di prosa; ma pare che la forma narrativa p. LXXII. non sia cosa per me; quello che finora ho fatto (due o tre pagine) non ha soddisfatto 36 Storia e cronistoria del Canzoniere, in T. Pr., p. 349. né me né i miei amici. L’unica persona alla quale sono piaciute è … mia moglie”; in 37 Scorciatoia n. 86, in T. Pr., p. 43. E. Serra, Il tascapane di Ungaretti Ð Il mio vero Saba e altri saggi, Roma, Edizioni 38 Il corsivo è nostro. Anche questa lettera a Linuccia è tratta dalla Cronologia di di storia e letteratura, 1983, pp. 79-80. T. Pr., p. LXXII. 3 Il 31 maggio 1946 Saba scrive alla figlia Linuccia: “Quarantotti mi ha rimanda- te, a mia richiesta, le prime Scorciatoie, quelle triestine […] Alcune sono state per me, a rileggerle, una sorpresa. Cattive sono! Nate, voglio dire, sotto la stella dell’aggres- sione. (L’opposto di quelle romane)”, in U. Saba, Atroce paese che amo, Lettere fa- migliari (1945-1953), Milano, Bompiani, 1987, p. 63. 4 Il 31 dicembre, in una lettera disperata, chiede alla moglie e alla figlia il permesso COSA ATTENDERSI ‘di mettere fine a questa atrocità del destino’” (Cronologia, in T. Pr., p. LXIX). DALLA CRITICA 5 Rivista settimanale di politica, arte, cultura fondata da Luigi Salvatorelli nel- l’immediato dopoguerra. 6 Da Gratitudine (vv. 1-7), contenuta nella raccolta Mediterranee, T. Po., p. 546. 7 Da Ebbri Canti (vv. 1-5) in Mediterranee, T. Po., p. 543. “Le Monde des livres” indaga sul tema “Cosa vi 8 Cronologia, in T. Pr, p. LXIX. aspettate dalla critica?”. Rispondono uno scrittore, un 9 Scorciatoia n.69, in T. Pr., p. 36: “ROMA – m’hanno detto – è come una madre negra. Piena di abbominevoli difetti. Ma le madri negre – aggiungo io – sono le più lettore, un libraio, un editore. Il risultato non è mal- amorose – e quindi le migliori – del mondo”. vagio : tema azzardato si dice, che tuttavia pone alla 10 U. Saba, Atroce paese che amo cit., p. 3 (Lettera alle Line del 9 marzo 1945). critica la responsabilità di rifugio, di strumento di 11 Ibidem. 12 Ibidem. salvezza, di rimessa in discussione (remise en cause) 13 Ivi, p. 5. del quadro mentale, dando allo stesso tempo il gusto 14 Ivi, p. 6. 15 Ivi, p. 9. della complessità del mondo. Ed ancora – e prima di 16 Ora in T. Pr., pp.898-951 con il titolo Di questo libro e di un altro mondo. tutto – è da perseguire l’impegno a difendere non 17 Saba si riferisce alla sede della Banca Commerciale Italiana, di cui era presidente solo la lettura engagée, ma anche la lingua vivente. Raffaele Mattioli, ‘novello mecenate’ per tanti scrittori e progetti letterari del secon- do dopoguerra italiano. A Raffaele Mattioli, in segno di gratitudine, Saba dedicherà la Abbandonare la letteratura della “torre d’avorio” e prima edizione di Scorciatoie e Raccontini. impegnarsi per averla e prospettarla in “prima 18 Ivi, p. 28 (la lettera è scritta da Milano il 22 dicembre 1945). 19 Ivi, p. 36 (lettera da Milano del 29 gennaio 1946). Il saggio su Tolstoi creò non pagina”. Dissodare e decifrare, con un po’ di distanza poche difficoltà a Saba, che lo lasciò incompiuto, fortemente insoddisfatto del suo la- e molta pazienza (dall’editore e dallo scrittore). E dif- voro. Il saggio è riportato in T. Pr., pp. 952-55 con il titolo Introduzione al diario del- la moglie di Tolstoi (prima, sommaria stesura); le fasi della scrittura vengono rico- fidare delle accelerate focalizzazioni sugli avveni- struite da Arrigo Stara sul base del carteggio di Saba con Alberto Mondadori in T. Pr., menti mediatici. pp. 1433-34. 16 IL PORTOLANO - N. 49-50 Il fanciullo e gli uccelli

Tommaso Tarani

crivendo ad Alfredo Rizzardi nel 1951, Saba inviava una gli occhietti tondi e cerchiati del medesimo oro fino del beccoÈ, SÇpoesia in tre statiÈ alle cui prime due stesure corrispon- preparando così l’immagine della Favoletta (ÇUn merlo avevo, denti alle elaborazioni della nota Favola leopardiana L’Uccel- coi suoi occhi d’oro […]/ cui di pinoli e di vermetti in serbo / lo se ne aggiungeva, ÇsacrilegamenteÈ rimaneggiata dal poeta nascondevo un tesoroÈ) e inscrivendola nel quadro di recupe- triestino, una terza, il cui tema (l’apertura della «dipinta gab- ro infantile che caratterizzava il racconto del ’13. Ma non di- biaÈ in cui Çera educato un tenero / e feroce uccellettoÈ e la mentichiamo il merlo-occasione di Eleonora, «la poesia più an- conseguente fuga di questo per «amore di libertà») non era gosciata dell’angosciato Cuor morituroÈ in cui contemplando, nuovo alla poesia crepuscolare né a quella sabiana. Ci sovvie- in un’osteria, la grazia d’una fanciulla (uno dei tanti ÇangeliÈ ne, in particolare, d’un sonetto di Corazzini, La gabbia,da di Saba) il poeta Çsi solleva (aiutato in ciò anche dalla vista di cui gli uccelli (Çi cari a Leonardo cantoriÈ) Çfuggiron via pei un merlo […]); per giungere poi […] ad un canto di liberazio- cieli ampi e sonori, / desiosi di più limpidi maggiÈ lasciando la ne e gratitudineÈ e, soprattutto, i versi d’Infanzia nel Piccolo gabbia-anima Çtriste e pur fidente» d’un ritorno (ÇOr fatta Berto, in cui l’accostamento merlo-fanciullo esplicitamente si muta de’ suoi canti onde era / superba, […] / la gabbia triste e palesa: ÇAl merlo austero m’identificavo; / uno stornello era il pur fidente sta: / come l’anima mia che più non spera / e con- fanciul vivace […] / E ora addio, / ma non per sempre, amata tinuamente si martira / in un desio di giocondità»). Con la infanzia […]». stessa immagine, com’è noto, s’apre, nella Favoletta alla mia Ancora nella Favoletta, in forza di un inciso di profonda in- bambina, il sipario di Cose leggere e vaganti, in questo caso nel tensità semantica che, con tutta probabilità, avrebbe ispirato nome d’un merlo (ÇUn merlo avevo coi suoi becchi d’oro / cer- tempo dopo l’Ungaretti del Dolore (nel componimento di Saba chiati, col palato e il becco d’oroÈ) che un giorno, improvvi- leggiamo Çtutto era perdutoÈ, mentre il libro ungarettiano del samente, «fuggì». Gli ultimi versi esprimono il dolore del poe- ’47 esordiva con l’epigrafico Çtutto ho perduto dell’infanziaÈ) ta per la fuga del volatile: assistiamo nella prima parte della lirica alla fuga di Pimpo-bim- bo (ÇQuel che ho sofferto non puoi bimba tu / saperlo […]») […] di tetto in tetto errando, salvo poi nel distico conclusivo sorprendere, inaspettata quan- più sempre in vista piccolo e lontano, to involontaria, la possibilità del ritorno («l’alato amico ri- irridere pareva al grande mio tornò egli solo / alla sua casa, all’esca d’un pinolo», immagi- dolore, al disperato dolor mio. ne che si ripresenterà identica nel Dialogo di Quasi un rac- Quel che ho sofferto non puoi bimba tu conto). E proprio questo, dei moti del cuore ridestati dagli uc- saperlo; tutto era perduto; e quando celli, della significazione e del tempo perduto ritrovati, costi- io non piangevo, io non speravo più, tuisce un singolare e appassionante capitolo del Çromanzo poe- ticoÈ di Saba, preparato fin dai primi libri del Canzoniere e l’alato amico ritornò egli solo giunto a compimento nelle ultime raccolte, Uccelli e Quasi un alla sua casa, all’esca d’un pinolo. racconto. Nella Storia e cronistoria, l’autore autoantologizza un componimento giovanile, il Notturnino (si chiamava, nel Se, come espresso dall’automitografo Saba-Carimandrei primo Canzoniere, A Lina) che esprime con chiarezza, memo- nella Storia e cronistoria del Canzoniere, il filo che lega le do- re de L’Infinito leopardiano (Çmi risovvenneÈ), l’«occasione or- dici poesie di Cose leggere e vaganti è rappresentato dallo sta- nitologicaÈ in Saba: ÇPrimieramente udii nella solenne / notte to d’animo che «inclinava il poeta ad amare le cose che, per la un richiamo: il chiù. / Dell’amore che fu, Lina, mi risovvenne. loro leggerezza, vagano […] sopra e attraverso le pesantezze / […] Strinse il cuore un rimpianto / di te; ti chiesi dell’oblio della vitaÈ, il leggero merlo, in antitesi al principio temporale, perdonoÈ. logorante del ÇdoloreÈ che ÇtrasmutaÈ la vita lasciandosi alle L’elemento ornitologico (il canto del chiù) ha qui il compi- spalle il Çfanciullo bennatoÈ e che ritorna in Sopra un ritratto to di ricondurre, sanando la lacerazione temporale, l’amore di me bambino, assurge a chiara figura dell’infanzia repressa Çche fuÈ, ora sepolto dall’oblio che ha portato il poeta, nel tem- dalla maturità. È infatti una costante, nell’opera di Saba, l’uti- po, a dimenticare il giovanile amore per Lina. L’occasione del lizzo del simbolo ornitologico (nella fattispecie il merlo) qua- ritorno, del tutto casuale, ha come effetto di stringere il cuore. le correlativo oggettivo ÇagenteÈ della fanciullezza. Prima di ri- In sostanziale accordo con questa Çepifania giovanileÈ suone- comparire Çentro spaziosa gabbiaÈ nella cameretta di Erne- ranno i versi (dal poeta ritenuti Çparticolarmente cariÈ) di Que- sto, il merlo Pimpo (Bimbo sonorizzando le bilabiali), «l’ala- st’anno in Uccelli: «Quest’anno la partenza delle rondini / mi to amico della mia infanziaÈ nella Scorciatoia 118, faceva ca- stringerà, per un pensiero, il cuore […] Alla mia solitudine le polino nel negozio d’animali in cui, nel racconto La gallina,si rondini / mancheranno, e ai miei dì tardi l’amoreÈ. A segni in- recava il protagonista Odone Guasti nel tentativo (destinato a vertiti: nel Notturnino,Çstrinse il cuoreÈ un rimpianto fallire) di regressione così ben descritto da Lavagetto nel suo li- dell’«amore che fu», in Quest’anno a Çstringere il cuore» è la bro. Il ÇdesiderioÈ di Odone, prima di soffermarsi sulla galli- partenza delle rondini, apportatrici d’amore in vecchiaia. L’in- na, «si posò sopra un merlo […] nel cui becco d’oro si divin- teresse di Saba verso i volatili (lo aveva notato, in una breve colava una mezza dozzina di vermetti […] socchiudendo […] nota a Uccelli, Vittorio Sereni) è sempre rivolto alla loro ca- IL PORTOLANO - N. 49-50 17 pacità d’irrompere, nima, il merlo, parte di sciogliendo il ghiaccio quel mondo infantile del dolore, nel tempo, al quale Çin sogno ri- apportando una pausa torno ancoraÈ, le ron- liberatrice e regressiva dini (Cielo e Que- capace di porre in con- st’anno), i Çpasseri tatto l’uomo col fan- cinguettantiÈ, uccelli ciullo. In contrapposi- perlopiù allusivi d’un zione alla terra, all’ac- tempo perduto che non qua e ad ogni simbolo sempre al poeta è dato allusivo di temporalità riacciuffare (molte li- e divenire, l’uccello di riche, da Il fanciullo e Saba è dotato d’una l’averla a L’ornitolo- Çverticalità» che lo ac- go pietoso ripropongo- comuna alle tante no infatti, debitamen- Çpiccole cose leggereÈ te variato, il tema del- in cui s’oggettiva, in la ÇfugaÈ di cui la Fa- misura sempre cre- voletta è archetipo). scente nel corso del Ma è solo nel libro Canzoniere, quel pas- successivo che Saba si sato che Çritorna da riappropria, racco- ogni parteÈ, attestan- gliendo il materiale dosi inoltre come sim- disseminato per tutto il bolo sospensivo, atem- Canzoniere, dell’«in- porale, avverso alla termittenza ornitologi- morte. Del resto, il caÈ come avviene in poeta non avrebbe in- Momento (che ripren- serito, nella Scorcia- de, tra l’altro, il tema toia 147, una quartina di una Canzonetta,le della montaliana Lin- Çpersiane chiuseÈ): dau se non per rendere ÇGli uccelli alla fine- più esplicita, nell’in- stra, le persiane / soc- terpretazione, la corri- chiuse: un’aria d’in- spondenza uccello- fanzia e d’estate / che amore contrapposta al- mi consola. Veramente l’acqua-divenire-Mor- ho gli anni / che so di te: ÇLa rondine vi por- F.G., Oiseaux. avere? O solo dieci? ta fili d’erba, non vuo- […]». Ma ancor più le che la vita passi. / chiara è la poesia A un Ma tra gli argini a notte l’acqua morta / logora i sassiÈ. Saba giovane comunista: ÇHo in casa Ð come vedi Ð un canarino. commenta: ÇLa rondine (che non vuole che la vita passi) è /[…] Torno, in sua cara compagnia, bambino». Mai così inna- l’amore; l’acqua morta […] l’istinto di MorteÈ, rafforzando (lo morato delle creature, nella sua ultima stagione poetica Saba ri- abbiamo visto in Notturnino e in Quest’anno) il binomio ron- torna al francescanesimo inconsapevole che aveva ispirato la dine-amore nell’interruzione temporale («non vuole che la vita poesia A mia moglie (in Quasi un racconto Lina è vista nella passi») opposto al principio acquatico-mortuario («l’acqua Çcanarina azzurraÈ, come Carletto nel canarino), scorgendo mortaÈ) che, nella Storia e cronistoria, veniva addotto nell’a- dietro agli uccelli, Çcreature di Dio e del soleÈ persino il ri- nalisi de Il torrente a proposito dell’«acqua fuggitivaÈ, sugge- cordo della Çbalia adorataÈ (in Risveglio). Si tratta infine, come rendo un significativo confronto tra «[…] la vita nostra e quel- espresso dal poeta nella Storia e cronistoria, dell’amore del la della correnteÈ. fanciullo per gli animali che, «per la semplicità e nudità della Ma una delle poesie in cui meglio s’esprime l’alternativa al loro vitaÈ avvicinano a Dio, Çalle verità […] che si possono “dolore” rappresentata dai volatili e la loro Çverticalità» è Con- leggere nel libro aperto della creazioneÈ. fine, una delle «più umane e, per il soggetto, familiari di SabaÈ. In essa, orchestrata su di un ritmo binario in cui vediamo op- posti terra e cielo, leggerezza e gravità, l’immagine d’un pas- sero incarna il desiderio di trascendenza del poeta, inverso al “Poeta è colui che, al di sopra suo «dolore d’uomo»: ÇParla a lungo con me la mia compagna / di cose tristi, gravi, che sul cuore / pesano come una pietra del frastuono snervante del ritmo […] / Un passero / della casa di faccia sulla gronda / posa un quotidiano, sa ascoltare una foglia attimo, al sol brilla, ritorna / al cielo azzurro che gli è sopra. che cade. Ne è testimone e la O lui / tra i beati beato! Ha l’ali, ignora / la mia pena secreta, il mio dolore […]». raccoglie in nome dell’uomo assente” Tutti questi temi e simboli trovano, adeguatamente sistemati negli ultimi due libri del Canzoniere (Uccelli e Quasi un rac- (, 1978) conto) una degna consacrazione: ritroviamo, nella lirica omo- 18 IL PORTOLANO - N. 49-50 “Meglio Ð cantava – dire addio all’amore, se nell’amore è l’infelicità”

Claudio Grisancich a Umberto Saba diciassette anni non amavo andare a scuola, studiare; amavo piut- Atosto essere innamorato, correr dietro alle ragazze. E per avere qualche soldo da spendere per offrir loro il cinema o la consumazione persi dentro in qualche caffeuccio dell’Acquedotto, un paio di volte alla settimana facevo il cameriere in un circolo sportivo dalle parti di piaz- za Sant’Antonio dove di sera si ballava. Cosa che facevo anche d’esta- te per lo stesso circolo in un campetto all’aperto dove principia il Bo- schetto nel rione di San Giovanni. Ma d’estate, rinunciando di andare al mare a Barcola, per tirar su qualcosa di più che non gli spiccioli del- le percentuali sulle consumazioni e delle mance, andavo “in piazza” la mattina presto per farmi prendere a giornata come scaricatore in porto. Là sì che i soldi fioccavano tanti, si sgobbava, ma era un bel tornare a casa la sera con in tasca fogli addirittura da diecimila lire (ed era il 1957!). Ma non solo per i soldi andavo al porto` là facevo esperienze che a scuola non mi sarebbe capitato di fare. Stavo con la gente del por- to: i portuali. Gente di tutte le età, anche ragazzi come me, forse qual- che anno più vecchi, ma che avevano già messo su casa con moglie e fi- Trieste. gli. “Studia – mi dicevano – a noi toccherà far sempre `sta vita, studia, non far come noi che non avevamo voglia”. Uno, avrà avuto poco più di vent’anni, mi prese a ben volere, mi voleva sempre con lui in squa- co per la stiva cominciò a cantare. Una canzone che da bambino senti- dra. Stavamo insieme in locanda, non voleva che tirassi fuori mai una vo cantare da mia madre: “La mia piccola rondine è fuggita, senza la- lira (“tu sei studente – diceva), pagava sempre lui. Era sposato con sciarmi un bacio, senza un addio partì. Non ti scordar di me, la vita mia una bella ragazza, operaia in una fabbrica in porto, ma dopo il matri- legata a te…”. monio aveva voluto che lei lasciasse il posto e rimanesse a casa. La vi- La canzone era triste e più triste ancora sentirla cantare da lui con ras- ziava comprandole quello che voleva: tutti i tipi di elettrodomestici e ra- segnata disperazione. Faceva impressione guardarlo: stava in piedi, in dioline a transistor, eppoi i regalini: gli ori, i giri di catenine, orecchi- alto sul vagone, la figura contro la sagoma scura della nave e sopra ave- ni, anellini… per non dire del ciarpame inutile di soprammobili, orolo- va il cielo blu che andava scurendo col tramonto. Cantava voltato verso gi, ninnoli, quadretti, pupotti, bamboline… Lui era felice, non parlava fuori, senza badare a nessuno. Era un’invocazione, una preghiera. La gio- che di lei, del bene che le voleva e di come stavano bene a far l’amore… vane moglie si era stancata di tutti quei “balocchi” casalinghi e se n’era Il mio amico era sempre allegro, ma capitò un giorno che venne in por- andata di casa con un graduato di marina. Faceva pena il dolore di quel- to scuro in viso, serio, non rideva né aveva voglia di parlare, e il gior- l’uomo. Il suo canto dava voce agli amori infelici passati e a venire di tut- no dopo idem, ma verso sera agganciando un’ultima imbragata di cari- to il mondo… Molto tempo dopo tra le poesie della raccolta “Preludi e canzonette” (1922-1923) mi capitò di “vedere” descritta da Umberto Saba la stessa scena. Nella poesia Il canto di un mattino il poeta dice di A “SAVONAROLA” PER un giovane marinaio che mentre toglie la gomena dalla bitta canta:

LUCIANO MARTINI Da te cuor mio, l’ultimo canto aspetto,/e mi diletto a pensarlo fra me.// Del mare sulla riva solatia,/ non so se in sogno o vegliando, ho ve- C’erano ben venti celebranti alla messa funebre per duto,/quasi ancor giovanetto, un marinaio/ La gomena toglieva alla colonna/ dell’approdo, e oscillava in mar la conscia/ nave, pronta a sal- Luciano Martini. Tanta gente, della comunità di Padre pare./ E l’udivo cantare,/ per se stesso, ma sì che la città/ n’era inten- Balducci, della Madonna della Tosse, dell’Università, ta, ed i colli e la marina,/ e sopra tutte le cose il mio cuore:/ “Meglio di Seano ov’è ancora lo “studio” di scultore di suo Ð cantava – dire addio all’amore,/ se nell’amore è l’infelicità.”/ Lieto ap- padre Quinto. pariva il suo bel volto; intorno / era la pace, era il silenzio; alcuno/ né C’era un clima dolce, fraterno, che non sapeva di vicino scorgevo né lontano;/ brillava il sole nel cielo, sul piano/ vasto del mare, nel nascente giorno.// Egli è solo, pensavo or dove mai/ vuole ap- morte, come ormai capita raramente: per un momento, prodar la sua piccola barca?/ “Così, piccina mia, così non va”/ diceva quasi una comunità cristiana, come Luciano aveva il canto, il canto che per via/ ti segue; alla taverna, come donna/ di tut- teorizzato e invocato tante volte. Alla fine, nessuno ti, l’hai vicino. /Ma in quel chiaro mattino/ altro ammoniva quella voce; voleva andar via da quel marciapiede di piazza Savo- e questo/ lo sai tu, cuore mio, che strane cose/ ti chiedevi ascoltando: or narola, che raccoglieva testimonianza di quanto la vita se lontana/ andrà la nave, or se la pena vana/ non fosse, ed una colpa di Luciano fosse stata umilmente pervasiva di valori il mio esser mesto./ Sempre cantando, si affrettava il mozzo/ alla par- tenza; ed io pensavo: È un rozzo/ uomo di mare? O è forse un semidio?// positivi. Teresa, sua moglie, vicina da sempre, inca- Si tacque a un tratto, balzò nella nave;/ chiara soave rimembranza in me. pace di allontanarsi. E davvero tanti, tanti amici. Que- sto aprirsi dell’anno è stato impietoso: Parronchi, Maz- Delle poesie di Saba questa Ð e nel Canzoniere tantissime vi sono zoni, ora Luciano. certamente più belle e che di più ammiro – sento ancora oggi essere la più mia. IL PORTOLANO - N. 49-50 19 Storia di Ernesto S.

Gianfranco Sodomaco

Atto unico di Gianfranco Sodomaco e Claudio Grisancich, dal romanzo Ernesto di Umberto Saba

unico romanzo, incompiuto, di Umberto Saba, Ernesto, viene L’ pubblicato, postumo, nel 1975 per le edizioni Einaudi. Son pas- sati ventidue anni dalla sua stesura, tanti ha impiegato la figlia Linuc- cia per interpretare l’autentica volontà del padre che comunque aveva scritto, in una lettera all’amico Bruno Pincherle, di un’opera “impub- blicabile” (“non per i fatti narrati ma per il linguaggio”). Linuccia, che vive a Roma, fa leggere il manoscritto agli ‘intimi’ dell’ambiente ar- tistico della capitale (ma da tempo molti addetti ai lavori ne parlano, sta diventando una sorta di leggenda letterario-metropolitana) tra cui , che già aveva sentito passi del romanzo dalla viva voce del poeta ed è proprio il giudizio da sempre entusiastico della scrittrice per quelle pagine (insieme, forse, a qualche considerazione di carattere commerciale) a convincerla perché si stampi. La Morante, infatti, scri- Trieste, Sant’Antonio. ve la quarta di copertina della prima edizione del volume e parla di Saba, per la “purezza assoluta” dell’opera, come di un “santo”. La pri- ma edizione contiene una significativa Appendice: “Tredici lettere di Eppure Saba, per quanto ‘la bolla’ possa durare (da qui la sua in- Umberto Saba in cui si parla di Ernesto, con una nota di Sergio Mi- compiutezza: “se continuasse perderebbe quella gioia, quell’‘aria mo- niassi”. Miniussi è un poeta triestino (monfalconese per la precisione, nellesca’, in nessun caso grave”… – lettera a Linuccia del luglio 1953), trapiantato pure lui a Roma Ð ha lavorato come programmista alla compie il ‘miracolo’: ‘omosessualmente’, parto ed erezione coincido- RAI, dove è morto nel ‘91) che è sempre stato, tra i pochi, sinceramente no, il romanzo, soprattutto attraverso i dialoghi e per le atmosfere che vicino a Saba (tra Saba e Trieste e viceversa vi è stato da sempre, per essi creano, è impregnato di poesia, della musicalità di cui si diceva, motivi su cui non è possibile soffermarsi, un rapporto di ‘amore-odio’) della ‘purezza’ di cui aveva parlato Elsa Morante. e, con ogni probabilità, Linuccia lo ha ritenuto la persona più giusta per Lo spettacolo cerca dunque di cogliere quel momento, quel perio- ‘spiegare’, forse ‘giustificare’ (evidentemente lo ritiene necessario), at- do (praticamente l’estate del ’53) in cui Saba si trova a vivere questi traverso il commento a quelle lettere, il romanzo. Da qui, dal com- sentimenti contrastanti, la gioia restituita dalla pagina scritta, il dolo- mento a quelle lettere ‘in cui si parla di “Ernesto”’, è nata l’idea, a me re del ricordo vivo, passato e presente: perché crede che solo la scrit- e a Claudio Grisancich (il poeta dialettale più importante della città, au- tura è terapeutica, sa dargli pace, lo riconcilia con se stesso e con la tentico erede di Virgilio Giotti), di scrivere e mettere in scena “Storia realtà, e ciò non senza qualche problema (si veda la puntuale inter- di Ernesto S.”, da quelle lettere e, per un effetto trascinamento, da al- pretazione di Anna Maria Pavanello Accerboni, docente di Filosofia tri libri che approfondivano, in vari modi e da punti di vista diversi, il e studiosa di Storia della psicanalisi presso l’Università di Trieste, tema fondamentale sotteso ad “Ernesto”, lo stesso del “Canzoniere”: purtroppo deceduta alcuni mesi fa, in “Rivista di Psicanalisi”: Il ‘mito l’autobiografia, l’indissolubilità tra vita ed opere, dichiarata esplicita- personale’ di Umberto Saba tra poesia e psicanalisi, 1984) nel suo en- mente, teorizzata, ma anche l’incapacità ad uscirne (per citarne solo al- tusiasmo per la psicanalisi, nel suo rapporto ‘analitico’ con il dottor cuni: Stara, Tutte le prose Ð Lavagetto, Per conoscere Saba Ð Marco- Edoardo Weiss, uno dei pionieri della psicanalisi in Italia. Sicché vecchio, La spada d’amore Ð Baldi, Il paradiso di Saba Ð Voghera, Gli sulla scena, sottolineate da luci e recitazioni diverse, si animano due anni della psicanalisi, ecc.). Il romanzo, infatti, è un capolavoro pro- ‘sottoscene’, quella della vita (e dell’epistolario), del ‘backstage’ sa- prio per la capacità di Saba, a settant’anni giusti, nelle pause del disa- biano mentre scrive “Ernesto”, tradotta nei personaggi di Saba, di gio nevrotico che non lo abbandonerà mai, stanco di scrivere poesia Nora Baldi (l’amica che gli fu vicina fino alla morte) e di Linuccia, e (vedremo subito perché), di ritrovare la gioia, il piacere della scrittu- quella dell’‘arte’ che accoglie, con una fedeltà pressoché assoluta al ra, con la maturità stilistica e linguistica della maturità ma al tempo testo, i protagonisti del romanzo: Ernesto, l’‘uomo’ (così chiama sem- stesso con la naturalezza, la spontaneità, quasi ingenuità del ragazzo di plicemente Saba la persona con cui Ernesto ha il suo primo rapporto sedici anni protagonista, Ernesto, che altro non è che una maschera (fat- sessuale), Celestina, la madre di Ernesto, Tanda, la prostituta, con cui ta più per giocare che nascondere, per sdrammatizzare, rendere tutto sente il bisogno di avere il secondo, Ilio, il coetaneo di cui si innamora ‘leggero’) di Saba stesso, del Saba sedicenne, rivisitato, rivissuto. e su cui, necessariamente (perché poi accadrebbero, sono accaduti, fat- E quale miglior lingua, per rievocare, riscrivere la sua iniziazione ses- ti gravi…), chiude: per continuare dovrebbe esserci (lettera a Nello suale ‘diversa’, di un dialetto triestino purificato e semplificato fino alla Stock) “nel ricordo, ma anche nella realtà, l’atmosfera lieta della ado- sua musicalizzazione, fino a farne quasi una cantilena, una nenia come lescenza…, invece è tutt’altro, in mezzo a sensi di colpa”… e (lette- le nenie della sua balia adorata. ra a Quarantotti Gambini) “oltre a una maggior pace…troppa cru- Sicché, leggendo il libro, si entra in una atmosfera, come dire, ma- deltà”. terna, femminile e, non a caso, scrivendo al “caro e bravo amico Qua- Lo spettacolo si chiude, sotto forma di monologo, sotto una luce rantotti Gambini”, Saba confessa di star scrivendo quel romanzo “su ali rossa, tanto irreale quanto vitalissima, con la lettura di quella ‘spiaz- di colomba, in gara tra lui e la morte, in una crisi di maternità…, un ro- zante’ lettera che Saba ‘fa scrivere’ ad Ernesto, indirizzata ad uno dei manzo è un parto, una poesia è una erezione, ma è difficile spiegarsi suoi vecchi estimatori, il prof. Mogno. In questa lettera, come è noto, per lettera”… Perché la poesia come ‘maschio’ e il romanzo ‘femmi- Saba continua a giocare nel rivelarsi, a scindersi, fingendo una amici- na’? Perché in quel momento, appunto, a Saba interessa meno l’esta- zia tra Ernesto e il signor Saba, confondendo la realtà del romanzo con si creativa, l’attimo ‘alto’, generativo, della produzione poetica quan- il romanzo della realtà, facendo dire ad Ernesto che il signor Saba ha to piuttosto ‘tirare le somme’, la ricostruzione concreta, certamente predestinato per lui un futuro da poeta, non da violinista come egli ha ‘travagliata’, in forma di dialettica biografico-narrativa, della sua in- sempre voluto… Ma, a ben pensare, la lettera è spiazzante fino ad un fanzia/adolescenza da dove tutto, psicanaliticamente, è partito, che in certo punto: è troppo forte il bisogno di Saba di dire che quella storia buona parte spiega la sua vita, prossima, inevitabilmente, alla morte. è semplicemente la sua storia, ed è meglio dirlo giocandoci sopra! 20 IL PORTOLANO - N. 49-50

ra si tratta del 1936; cfr. Prose 1364), per collocare l’iniziale progetto del “libretto di aforismi” al termine della stagione creativa di Parole, I SILENZI di che rappresenta la sua ultima riserva di letizia (lettera del 2 maggio 1935 ad Angelo Barile), cui seguirà un silenzio poetico quasi assoluto. “SCORCIATOIE E RACCONTINI” La prima serie di Scorciatoie è la sola possibile scappatoia al silenzio, con quelle caratteristiche di inattualità, quelle “punte” e spezzature che Elena Salibra le serie successive non mostreranno. Il rovescio della medaglia è una sfi- ducia totale nella poesia, considerata “un’illusione dell’umanità nella sua infanzia […] un condensato di bugie” (lettera ad Ettore Serra del set- “Da quando la mia bocca è quasi muta”: tembre 1936, Poesie 1059), mentre l’anno successivo a Sandro Penna, i silenzi di Scorciatoie e raccontini. amico protagonista di molte Scorciatoie, scrive che egli vede la poesia come “un giocattolo non (più) necessario: aggrapparsi ad essa mi pare sia come aggrapparsi ad una malattia per poter usare la morfina” (Poe- 1. La prima edizione di Scorciatoie e raccontini risale al gennaio sie 1060). 1946; esce da Mondadori nella collezione “I quaderni dello Specchio”. Nella introduzione alle Primissime Scorciatoie (1934-35), da lui re- L’opera ha una struttura macrotestuale ben determinata; due parti, di datta per il settimanale TEMPO di Roma in occasione della loro pub- cui la seconda, Raccontini, deriva per gemmazione spontanea dalla pri- blicazione dieci anni dopo (18 agosto 1946), Saba racconta per grandi li- ma, come avverte l’autore: nee la storia dell’opera in rapporto agli avvenimenti cruciali di quegli anni (l’armistizio, l’invasione dell’Italia da parte dei tedeschi). Fa rife- RACCONTINI Sono nati dalle SCORCIATOIE; sono appena delle rimento al dattiloscritto originale, lasciato in consegna all’amico Qua- SCORCIATOIE più lunghe. La cosa andò così. rantotti Gambini, (il “centogambe” come era chiamato dai suoi “nemi- Leggevo al mio amico Giacomo Debenedetti la terza serie di SCOR- ci” a causa della lunghezza del nome), al momento della fuga dalla città CIATOIE. Egli ascoltò fino alla fine; poi «Sono belle – mi disse – ma non so se te ne sei accorto; alcune di esse hanno già cambiato ritmo: per le persecuzioni razziali, dopo aver distrutto tutte quelle più esplici- Sono piuttosto dei raccontiniÈ. tamente politiche. Si tratta di testi che egli definisce impubblicabili e in quanto tali confessa di averli tenuti nascosti dentro un libro invendibile Scorciatoie è divisa in cinque sezioni: Prime Scorciatoie (con testi in fondo a uno scaffale della sua Libreria Antiquaria di via San Nicolò. numerati da 1 a 26) Seconde Scorciatoie (27-49), Terze Scorciatoie Scorciatoie e libro sono accomunati dalla stessa sorte di impossibile di- (50-77), Quarte Scorciatoie e un raccontino (78-116), Quinte Scor- vulgazione, perché scomodi, perché non graditi al pubblico medio di ben- ciatoie (117-165) Nella prima edizione, oltre a una breve presentazio- pensanti. Il fascicolo, restituito a Saba dall’amico su sua richiesta (lettera ne dell’autore, si trova una Nota Informativa sul volume, dove si leg- del 10/5/1946 “vorrei avere quel dattiloscritto […] perché forse posso ca- ge tra l’altro: varne un po’di soldi, dato che sono piuttosto in miseria”) dopo dieci anni e dopo l’edizione Mondadori dello Specchio, contiene ormai solo qua- Di Saba […] era celebrata sinora altrettanto della sua opera di poe- rantuno testi inediti, che ora egli affida alle stampe attraverso il setti- ta, ma in ristretti gruppi letterari, l’irripetibile genialità della conversa- manale romano. “Di inedite ne sono rimaste 41. – scrive a Linuccia il 31 zione. Qualcosa di essa, sebbene senza l’incanto della spontaneità di- maggio 1946 Ð Alcune sono state per me, a rileggerle, una sorpresa. Cat- scorsiva e delle folgoranti intuizioni espresse istantaneamente con squil- tive sono! Nate, voglio dire, sotto la stella dell’aggressione. (L’opposto lante chiarezza lirica, è fermato per sempre in Scorciatoie e raccontini, di quelle romane)”. che riveleranno così, quasi nella viva voce di lui, proprio quella parte della personalità di Saba il cui ricordo si temeva non restasse affidato al tempo”. 3. Ciascuna sezione è cadenzata da una serie di testi brevi contras- (Prose 1195) segnati da un numero arabo progressivo, da tre asterischi che indicano l’incipit e da una data in fondo che indica il luogo della scrittura, Roma, In questo passo si mette in luce di Saba l’irripetibile genialità della e il tempo della scrittura, da febbraio a maggio. Le sequenze si configu- conversazione, quasi a voler dare l’idea che l’opera sia una sorta di re- rano come isole che affiorano alla superficie ma che nel profondo sono gistrazione istantanea dalla viva voce dell’au- tore. La stessa impressione ritorna in una del- la ultime Scorciatoie (la n. 139), intitolata ÇIL POETA SANDRO PENNA legge SCOR- CIATOIE», dove è riportato il giudizio del- l’amico attraverso l’espediente del discorso di- retto: ÇSapevo Ð mi disse Ð che eri grande. Non per le tue poesie; che in quelle IO TI SU- PERO. Ma per le cose che dicevi agli amici già molti anni fa; e delle quali hai fatto adesso le tue SCORCIATOIEÈ. È come se l’autore triestino avesse tenuto in serbo il resoconto di varie conversazioni tra ami- ci e l’avesse poi affidato alla scrittura. La gesta- zione dell’opera passa attraverso la memoria, che non è rifugio passivo delle idee ma luogo privilegiato, dove avviene il salto dal ricordo alla creazione artistica. La durata dell’archivia- zione è molto lunga rispetto al tempo velocissi- mo della stesura, come rivela l’autore in una delle ultime Scorciatoie (la n. 161): “Tenute, per quindici anni, nel segreto rifugio della me- moria; scritte in cinque mesi (pochi per l’estre- ma lentezza dei miei movimenti) adesso Ð al- meno per qualche tempo – …basta”.

2. La data 1934-35 è la più accreditata da parte dell’autore (in realtà secondo Arrigo Sta- Trieste. IL PORTOLANO - N. 49-50 21

tinerario astruso del pensiero che l’autore così descrive:

ACCADE a chi voglia cercare la causa di un qualsiasi avvenimento, come a chi cam- mina in alta montagna; che, varcato un mon- te, un altro se ne presenta, e poi un altro e un altro ancora. Una foglia non cade per una causa sola per un complesso di cause; delle quali alcune ci sono chiare; altre (stellari, cosmiche, più oltre) rimangono (e forse ri- marranno sempre) fuori della nostra co- scienza. (n. 144)

4. La tecnica delle Scorciatoie più che sul- lo stupore lessicale si basa sul disorientamen- to concettuale, che provoca una sorta di spae- samento nel lettore, dato dall’impatto con un pensiero paradossale e un conseguente rove- sciamento delle aspettative. In questa direzio- ne Saba dimostra in più punti dell’opera la de- cisiva influenza di Nietzsche. Nella Scorcia- toia 150 un interlocutore anonimo, nella spon- taneità del discorso diretto, si fa portavoce del- l’opinione più accreditata in quei difficili anni riguardo al filosofo tedesco: “Ma se è uno dei responsabili del nazismo?” Egli non è neppu- Trieste, Piazza Grande. re l’ideatore della volontà di potenza (che ri- duttivamente viene attribuita ad un merlo nel- la n. 118) ma ÇMolte cose ha capite, altre pre- collegate tra loro, appartengono alla stessa piattaforma d’abisso. Ci sono sentite, quell’uomo […] Quello che egli appena intuì – l’immenso rea- delle connessioni intertestuali che rimandano ai sotterranei del testo, lo me dell’inconscio – esplorava primo un povero, modesto, piccolo bor- rendono univoco e progressivo, con tutte le caratteristiche di un itinera- ghese ebreo viennese” (n. 150). Nietzsche precursore dunque non di Hi- rio narrativo di non immediata percezione. Si ritrovano spesso delle pa- tler ma di Freud. role-chiave, delle immagini, delle figure o dei personaggi che hanno una La difficile arte di affilar sentenze (Nietzsche) si intreccia ad uno sti- funzione trainante nella struttura generale, aggregano testi contigui, le frammentario e privo di ogni presunzione dottrinaria, che procede a tap- creano delle costellazioni semantiche, perseguono un ordine che lo scrit- pe attraverso intuizioni provvisorie aperte a possibili ripensamenti. La ri- tore si prefigge nella sua mente. Nel risvolto di copertina della prima edi- flessione sull’umano, il troppo umano, secondo il filosofo tedesco, ovvero, zione si legge tra l’altro: per dirla con un’espressione più dotta, l’osservazione psicologica fa par- te dei «mezzi attraverso i quali ci si può alleviare il peso della vita» per- Rapide note sorridenti o amare; scorciatoie verso il segreto delle ché “dai momenti più spinosi e tristi della vita si possono trarre sentenze cose, poemetti in prosa. Il mondo – arte, politica, sensibilità, caratteri – e così rasserenarsi un po’» (UTU 539). Il linguaggio della conoscenza è visto da Saba, per questi rapidi tocchi, con una visuale davvero nuova, deve rifuggire da qualsiasi enfasi e mirare ad Çuna forte concentrazione con la maggiore bontà. (Prose 1195) di tutte le parole», a «severa riflessione, stringatezza, freddezza, sobrietà, portate anche volutamente fino al limite, e in genere controllo del senti- Saba è cosciente della straordinaria modernità dell’opera: «È più mento e taciturnità» (595). Di queste osservazioni sicuramente fa tesoro che un bel libro; è il libro del Novecento come Candide fu il libro nel Saba e forse anche di quell’assunto nietzschano in difesa della brevità, quale si assomma il Settecento. Pochi, assai pochi lo capiranno. Ma perché «una cosa detta succintamente può essere il frutto e il raccolto di l’opera è vitale…». La novità nasce dalla classificazione variegata del- un lungo pensare» anche se il lettore “«in ogni cosa detta con brevità vede le sue componenti e dal rapporto conflittuale tra parole e silenzio. Ciò che un certo che di embrionale», una sorta di «vivanda […] non finita di cre- non è esplicito ha una forza maggiore di incantamento di ciò che è scere, non matura» (UTU 739). L’autore triestino nella Scorciatoia in- espresso. La logica che guida il testo non è quella deduttiva ma quella troduttiva precisa: «Non so più dire senza abbreviare e non potevo ab- analogica che stringe il ragionamento in una morsa di immagini, una breviare altrimentiÈ e in una delle ultime afferma: ÇMi sono sempre pia- strettoria di ritmi, di colori e di suoni. ciute le frasi […] brevi e nette. Compendiano – fin dove è possibile – una Per quanto rimane nell’oscurità del profondo, il libro ha un paratesto situazione. Ci vuole a volte Ð per farne una Ð il travaglio di una vitaÈ molto curato nella scansione delle parti, nella costruzione delle sequen- (n. 115). A proposito della brevità in poesia egli traspone in un oggetto ze, negli spazi bianchi che circondano ciascun aforisma, nella dedica, LA MACCHINA DA SCRIVERE “anticipatrice dello stampato” “un’in- nella nota al Lettore che apre i Raccontini. fluenza benefica, corrosiva del superfluo”. “Era bello batter a macchina In nome di quell’ordine che c’è ma non appare l’opera inizia con due una poesia di guerra di Ungaretti”. Poi conclude con un’interrogativa so- aforismi metapoetici, il primo dei quali, dal titolo GRAFIA DI SCOR- spesa che provoca un effetto arguto di sorpresa attraverso un implicito ro- CIATOIE, è isolato tra due serie di asterischi per la sua natura mera- vesciamento: “Ma una lunga poesia sentimentale?” (n. 38). mente introduttiva; in esso l’autore vuole giustificare di fronte al proto L’aforisma di Nietzsche contiguo a Contro chi biasima la brevità si e al lettore i tanti strumenti tipografici presenti nel testo che sono fun- intitola Contro i miopi; qui il filosofo si chiede «Pensate che debba es- zionali allo stile del dire breve. Con atteggiamento scientifico, come un sere opera frammentaria, perché ve la si dà (ve la si deve dare) a pezzi?» matematico alle prese con la sua teoria, Saba prima di tutto chiarisce la (UTU 739). Il bello del frammento è la sua istantaneità, il suo essere un serie di simboli e gli accorgimenti formali che costituiscono il linguag- lampo del pensiero che illumina verità nascoste in modo giocoso e leg- gio dell’opera. Nel secondo aforisma presenta la definizione del termi- gero, senza sistematicità. L’aforisma di Saba ha in sé una sorta di fun- ne scorciatoie presa di peso dal dizionario (“Sono Ð dice il Dizionario- zione terapeutica, per portare alla luce della coscienza quegli inconsci vie più brevi per andare da un luogo ad un altro”), e metaforicamente conflitti e provarne “un grande, un indicibile sollievo” e “quelli si risol- messa in opposizione alle “strade, lunghe, diritte, piane, provinciali”. verebbero – scoppierebbero – in aria, come bolle di sapone” (n. 116). La Viene in mente la strada impervia del viandante Zarathustra di Nietzsche dimensione ludica prevale e preconizza una eventuale deflagrazione e in parallelo l’asperità del sentiero per capre del pellegrino Saba. È l’i- atona e ovattata, come un dissolversi sfumato di umori e colori. La tec- 22 IL PORTOLANO - N. 49-50

“fu fino a ieri la nostra cosmografia”. Anche Laura “si comporta in tutto e per tutto come una tenera madre col suo amato, e un po’indiscreto, bam- bino” (n. 12); poi si precisa che “se Laura […] gli si fosse data […] sa- rebbe accaduto al Petrarca quello che accadde al Baudelaire con la bella signora Sabatier, e che non gli accadeva con la sua triste mulatta”: Nella Scorciatoia contigua il movimento è triadico e sillogistico: la prima pro- posizione (Laura è la madre) è sottintesa, espresse invece la seconda (Laura è la poesia), e la terza (dunque la poesia è la madre). Altrove ancora per condensazione e conseguente slittamento si afferma: “La vita ricorda le sue origini: ricorda di essere nata dalle acque; e – per l’incon- scio – mare = ma(d)re”. Qui il gioco verbale svela l’equivalenza nasco- sta che è fonica e psichica insieme, affiora dall’inconscio e provoca quel corto circuito, tipico del Witz ovvero del motto di spirito freudiano, come rileva Lorenzo Polato. Del resto è proprio della funzione poetica, secon- do quanto insegna Jakobson, la proiezione del principio di similarità dal- l’asse paradigmatico all’asse sintagmatico e dunque la messa in discus- sione della verità saussuriana dell’ arbitraire du signe. A proposito di poe- sia e psicanalisi Saba in Poesia, Filosofia, Psicanalisi afferma:

Poesia e psicanalisi sono fra di loro quasi incompatibili. Una perso- na che, attraverso un’esperienza psicanalitica condotta fino in fondo e completamente riuscita, avesse superati in se stessa tutti i propri Çcom- plessi» e, con quelli, la propria infanzia, non scriverebbe più poesie, nem- meno se avesse sortito dalla natura il genio poetico di Dante.

(Prose 966)

In Storia e Cronistoria del Canzoniere Saba definisce Scorciatoie e Raccontini le sue Operette morali e ricorda: “Scritto a Roma, nel 1945; e subito dopo la liberazione, sarà però un libro alquanto diverso da quel- lo che sarebbe stato se Saba lo avesse scritto dieci anni prima. Meno aspro, meno tutto punte. Nel libro, quale lo si può leggere oggi, c’entra molto il senso della liberazione, la distensione dei nervi seguita ad un in- Ponte sul Tevere e Castel Sant’Angelo. “Scorciatoie e Raccontini” fu scritto a Roma, nel 1945. cubo che fu, per il Nostro, particolarmente spaventoso” (Prose 272). Poi egli ricorda che degli otto anni che gli erano serviti per scrivere Ultime nica di Saba si pone come strumento per indagare la realtà variegata e cose sette erano passati sotto la minaccia razziale. é questa la prima con- complessa dell’uomo contemporaneo inteso come persona morale e po- dizione del suo parlar breve, tutto giocato sull’opposizione tra un mes- litica. La ricerca è condotta sempre all’ombra del grande filosofo tede- saggio manifesto e un significato latente, pieno di reticenze, di silenzi, di sco a cui Saba ha dedicato la poesia che chiude Uccelli: tensioni. La prima poesia concepita dopo i famosi provvedimenti, come egli Intorno a una grandezza solitaria ricorda in Storia e cronistoria del Canzoniere è Da quando: Non volano gli uccelli, né quei vaghi Gli fanno, accanto, il nido. Altro non odi Da quando la mia bocca è quasi muta Che il silenzio, non vedi altro che l’aria. amo le vite che quasi non parlano. Un albero; ed appena Ð sosta dove é un omaggio alla forza titanica del suo pensiero, la cui grandezza io sosto, la mia via riprende lieto Ð non è insidiata da voli e da nidi d’uccelli, ma è solo circondata dal suo- il docile animale che mi segue. no più puro, il silenzio, e dal mezzo più invisibile, l’aria. Nietzsche è an- Al giogo che gli è imposto si rassegna. che un personaggio di Scorciatoie familiare e umano “Nietzsche, il mio Una supplice occhiata, al più, mi manda. Nietzsche, il mio buon Nietzsche” lo apostrofa l’autore nella n. 59. Nic- Eterne verità, tacendo, insegna. ce è la trascrizione fonetica del nome nelle parole di Linuccia: “A te, bab- bo, piace Nicce, vero?” (n. 121. Con una domanda ella risponde alla do- é il suggello del silenzio forzato, che accomuna il poeta agli esseri manda del padre: “Ti piace Pimpiricchio?”, «lo straordinario bambino di che quasi non parlano. In quel quasi c’è l’incanto e la tortura del non det- un libro per bambini». Ma la trasfigurazione fanciullesca non è casuale to che fa da presupposto all’espressione di ciascuna eterna verità. Il pri- perché per Saba la nostalgia degli uomini verso l’infanzia e la conse- mo essere che non parla appartiene alla vita vegetale, è semplicemente guente liberazione da quella parte della psiche che rimane fissata ai pro- un albero. pri sei anni di età rappresenta il primo passo per ogni possibile guari- é il silenzio forzato dunque il motivo propulsore dello stile aforisti- gione. Così molti personaggi di Scorciatoie sono retrocessi all’infanzia. co. Il suo movimento si identifica con l’avanzare del docile animale che La motivazione sta nella Scorciatoia 8, quando si parla DELL’ETÀ si conforma alle soste e alle riprese dell’io lirico. Lo stato d’animo è quel- DELL’UOMO. Premesso che l’età dell’uomo oggi sia fra i cinque e i sei lo della rassegnazione passiva, a volte intensificato da una supplice oc- anni, esca cioè appena dalla prima infanzia, l’autore afferma: chiata. La condizione per manifestare l’eterna verità è il tacere.

[…] la crisi attuale è una crisi di crescenza, ed una delle più ardue ad essere superate. L’uomo è sul punto della sua storia naturale al quale si NOTA BIBLIOGRAFICA trova il bambino quando Ð e non senza pena Ð egli deve allontanarsi per la prima volta dalla cerchia famigliare (dalle sottane della madre), per an- Opere di Umberto Saba dare coi suoi compagni Ð buoni e cattivi Ð a scuola. (n. 8) Poesie (seguito dal numero della pagina da cui la citazione è tratta) = U. Saba, Tutte le poesie, con un saggio introduttivo di Mario Lavagetto, a cura di L’uomo e la storia sono interpretati attraverso il microcosmo della vi- A. Stara, Milano, Mondadori, 1988. sione infantile. E si evoca la cosmografia, che così è spiegata in parente- Prose = U. Saba, Tutte le prose, con un saggio introduttivo di Mario Lavagetto, si, lo spazio dove si concentra la voce dell’autore: “(vera cosmografia da a cura di A. Stara, Milano, Mondadori, 2001. piccoli bambini, per i quali il mondo termina alla loro casa e al prato sul Le citazioni da F. Nietzsche sono tratte da Umano troppo umano (UTU) in Id., quale sono condotti a giocare)”. E si conclude che quella cosmografia Opere 1870/1881, Roma, Newton Compton, 1993. IL PORTOLANO - N. 49-50 23 “SOLARIA” PER SABA “SOLARIA”, ANNO III, n. 5, maggio 1928, Firenze

el ’28, Solaria dedica un Nnumero monografico a Umberto Saba (che aveva 35 anni), con testimonianze di Sil- vio Benco, Raffaello Franchi, Piero Gadda Conti, Eugenio Montale, , Giaco- mo Debenedetti. Quasi come “pro memoria”, ne riportiamo alcuni passaggi.

(Benco)

“… si rifiutava allo sbarazzismo. Gli piacevano la riverenza verso i vecchi, la gentilezza verso i debo- li, la riconoscenza verso i bene- voli”.

(Franchi)

“… Saba ha scelto il più impalpa- bile degl’illusionismi; un illusio- nismo che, nella storia della poe- sia moderna, ci sembra quasi sol- tanto suo…”.

(Gadda Conti)

“… la poesia di Saba è la testi- monianza esemplare, in questa stagione delle nostre lettere, della perenne verità del motto beetho- veniano, che è forse il motto stes- so dell’arte: durch Leiden Freud”.

(Montale)

“Riflettendo sulla fortuna troppo inferiore al merito ch’è toccata fi- nora all’opera poetica di Saba, m’è accaduto più di una volta di ricercare le cause di questa limi- tata risonanza, più in ragioni ac- cessorie Ð isolamento del poeta, un poncif’ (disegno preparato- omaggio se abbiamo indicato an- descrittive, di divagazioni. Proba- insensibilità e cocciutaggine di rio), e se è inevitabile, infatti, che cora una volta, e sia pure con bilmente succede sempre così: che molti critici Ð che nei motivi se- ogni vera creazione di poesia fi- tanta insufficienza, quali ci sem- quanto più una poesia è ideale ed greti dell’arte sua: quei motivi che nisca col lasciar dietro di sé un brano essere i lineamenti sempre effettiva, tanto più le idee che essa il tempo da una parte, con la sua insieme di schemi e di figure ri- più chiari di un’opera che abbia- suggerisce sono spoglie e preci- prospettiva, e lo sviluppo del Saba conoscibili, le formule e gli stam- mo affidata con sicurezza al tem- se;‘idee secche’, direbbe Stendhal”. dall’altra, contribuiscono senza pi in cui sembra sia stata per la po”. “In queste schiarite dell’anima, dubbio a chiarire”. prima volta colata la pura mate- in questi brevi istanti durante i ria poetica, si sarebbe detto ad quali l’anima, ancor sospesa nel- (Debenedetti) un primo momento che l’opera di la sua qualità immateriale, arriva (Solmi) Saba facesse eccezione a questa “… la forza della poesia di Saba si a commentare quasi senza inter- “…se, come diceva Baudelaire, regola”. prova anche in questo: ch’essa dis- mediari, sono da cercare i più alti la maggior preoccupazione di un “ A noi non sembrerà di aver ol- suade il critico da ogni velleità di risultati dell’ultima poesia di artista deve esser quella di ‘créer trepassato i limiti di questo lirismi marginali, di decorazioni Saba”. 24 IL PORTOLANO - N. 49-50 ÇE la sua voce pareva cantareÈ Saba e Trieste negli articoli ticinesi di Gerti Tolazzi

Vincenzo Crescente

rieste tra poco inizierà storico, letterato e giornalista, due mondi, rende gli spiriti pen- l’ambiente e per rivedere me e “Tla sua nuova vita: non ‘uno degli osservatori più intel- sosi ed inquieti”5. é il momento le cose di allora”8. L’occasione una barriera vorrebbe essere, ligenti e ad un tempo più ap- per Gerti di invocare la pace e fa scaturire il ricordo degli am- ma una città industriosa e paci- passionati e fedeli che abbia la di trovare motivi di consolazio- bienti triestini in cui ha potuto fica dinanzi alla quale l’Oriente vita italiana’. Umberto Saba, sa- ne, di attendere “piccoli segni conoscere molti intellettuali e si plachi e tenda la mano al- piente e fine poeta che porta benevoli” di ricostruzione. La artisti che hanno contribuito la l’Occidente”1. Sul finire dell’a- una voce accorata nella moder- prima mostra campionaria del- sua formazione: “Ci si incon- gosto del 1947, Gerti Tolazzi na poesia; Giani Stuparich, che l’ottobre del 1947 diventa quin- trava con tanta gente, lì o al apre così il suo Panorama di tutti conoscono e amano, l’au- di una rassicurante “rappresen- caffè Garibaldi: il pittore Bolaf- Trieste sulle pagine della ÇGaz- tore di Ritorneranno,di Pietà tazione di vitalità operosa e di fio e Italo Svevo e Stuparich e zetta TicineseÈ di Lugano. Ger- del sole, di Ginestre, dell’Iso- tranquillo commercio”: “Pace Montale e James Joyce con la ti Frankl nasce a Graz nel 1902, la”2. La rinascita della città pas- vorremmo; e troppe voci abbia- moglie e il pittore Nathan e la da padre austriaco e madre un- sa attraverso la valorizzazione mo inteso nella nostra povera pittrice Leonora Fini e lo scul- gherese. Studia nella città nata- del suo patrimonio culturale, vita così breve, che ci promet- tore Ravan e Tümmel e Bobi, le, ma completa gli studi supe- con la stagione di musica da ca- tevano la felicità; e di troppe vi- che era un po’ il genio malefico riori a Vienna. Donna piena di mera e lirica, le sue gallerie sioni malvagie si è nutrita la no- della compagnia e si compiace- interessi (diplomata in pia- d’arte e la sua poesia, rappre- stra esperienza umana, che vor- va di esperienze psicoanaliti- noforte, appassionata di lettera- sentata dalla “voce accorata” di remmo dimenticare”6. che”9. Preannunciato dalla sug- tura, cinema, ballo e fotografia), Saba. Gerti sente il bisogno di di- gestiva atmosfera degli “antichi dopo il matrimonio del 1925 “Alle 24 del giorno 15 (ora menticare le numerose e indele- libri” nella “luce fosca” della con l’ingegnere Carlo Tolazzi di Greenwich) è entrato in vi- bili immagini di violenza e di- sua libreria, ecco apparire il viene a vivere a Trieste, dove gore il trattato di pace con l’Ita- struzione che hanno segnato gli poeta: “Umberto Saba, quando frequenta Bazlen (già amico di lia che dà esistenza al territorio ultimi anni della sua vita. Nasce lo abbiamo ritrovato a casa Carlo), Svevo, Montale (a cui libero di Trieste”3. é questo il in lei il desiderio di ritrovare i dove eravamo andati per saluta- ispira il celebre Carnevale,ma laconico esordio con cui Gerti luoghi della sua giovinezza, i re la Linuccia sua figlia e la non solo), Saba, Stuparich, inizia il racconto del “dolore di salotti e i caffè degli amici di moglie, lo abbiamo incontrato Benco e molti altri intellettuali Trieste” sulla ÇGazzettaÈ del 17 Carlo e di Bobi, le conversazio- così come lo immaginavamo, dell’epoca. Dopo la fine del settembre; nella descrizione ni a casa Schmitz o nella libre- con l’aria di patriarca biblico e rapporto con il marito, comin- dell’evento, carica di paure per ria di Umberto Saba. Il 2 di- la voce cantante nelle cose bre- ciano gli anni difficili del se- l’avvenire, scandita dai rintoc- cembre pubblica sulla ÇGazzet- vi che diceva”10. Prima di una condo conflitto mondiale. Gerti, chi funebri della campana di ta TicineseÈ l’articolo Umberto personale e appassionata lettura di origine ebraica, perde en- San Giusto, ancora si eleva il Saba poeta triestino: “Benché delle liriche sabiane, c’è spazio trambi i genitori in seguito alla canto della folla che intona l’in- da molti anni lo conoscessi, lui per un accenno alla loro breve deportazione e vive tra Trieste, no nazionale: “La folla canta e la famiglia, mi ero preparata conversazione, seguita dal con- Milano e la frontiera svizzera l’Inno di Mameli, a voce bassa, all’incontro rileggendo il Can- gedo del poeta: “È entrato in fino al 1945, quando si ristabi- come se presentisse già adesso zoniere e le Mediterranee ed una stanza vicina di cui abbia- lisce nella sua Trieste. Nel 1947 che potrebbe venire il tempo in ero tutta compresa della cele- mo intravisto un letto e libri pubblica alcuni articoli, riguar- cui l’inno e il grido: l’Italia, Ita- brità conferitagli da un recente ammucchiati. Ð Addio Gerti Ð danti proprio la sua città adotti- lia cara! avrà sapore di cosa premio letterario e dalle pubbli- mi ha detto; e la moglie ha sus- va, sulla ÇGazzetta TicineseÈ. proibita e da tenere nel cuore”4. cazioni di Einaudi e Mondado- surrato: Ð Adesso legge”11. A pochi giorni dall’entrata in Ma il dolore non è solo quello ri”7. E l’incontro con Saba di- Anche se i versi di Saba, se- vigore del trattato di pace, che del piccolo territorio triestino, venta soprattutto un incontro condo Gerti, sembrano perdere sancisce la nascita del Territorio ma di tutto il “mondo implaca- con la giovane Gerti, immagine in alcuni momenti il loro carat- libero di Trieste, la Tolazzi de- to”: “Ma più che gli avveni- allo specchio sospesa nel tempo tere poetico (assumendo le vesti dica ampia parte del suo Pano- menti esteriori e visibili, che della memoria. Così il “panora- di “annotazioni e psicologici rama all’“esame dell’attività sono in fondo piccole cose di ma di Trieste” acquista le sfu- documenti di un vissuto pere- culturale e spirituale” della una piccola città e di un piccolo mature di una discreta e nostal- grinare”)12, la Tolazzi riconosce città, svolgendo una puntuale territorio in confronto della gica nota autobiografica: “Ero che la voce dello scrittore trie- rassegna dei suoi principali in- somma di dolore che è nel mon- stata prima nella sua libreria, stino trascende quasi sempre tellettuali e scrittori: “Degli do implacato, più che i conflit- dopo tanti anni; e non per in- l’occasione contingente, per di- scrittori triestini più noti citere- ti e i contrasti locali, è l’incer- contrarlo tra gli antichi libri e venire profondo canto della fra- mo: Silvio Benco, recentemen- tezza, è l’ansia, è il timore, è la nella luce fosca che dà alla sce- gilità umana, a indicare “la no- te accolto nell’Accademia dei paura dell’ignoto che serpeggia na l’apparenza di un quadro di stra vicinanza alle cose e alle Lincei, giudicato da Pietro Pan- nel mondo, che in questo lembo Rembrandt; anzi con l’idea di creature nell’eternità della vita crazi, per la sua vasta attività di di territorio, posto al confine di non trovarlo; ma per rivedere che scorre indifferente o nemi- IL PORTOLANO - N. 49-50 25 ca”13. Per dimenticare le “visio- ni malvagie”14 che la vita, “in- differente o nemica”, le ha mes- so davanti, Gerti si lascia avvol- gere dal canto armonioso di Saba, “patriarca biblico” che parla alle creature e al loro do- lore, come nella poesia La ca- pra, integralmente riportata dal- la scrittrice nell’articolo dedi- cato al poeta. E l’atmosfera degli “antichi biblici tempi” riecheggia, nella lettura della Tolazzi, anche nelle immagini degli animali di A mia moglie (“i sereni animali che avvicina- no a Dio”): “L’avvicendarsi di immagini inaspettate che gli amici esseri animali portano forse da un mondo lontano alla commozione recente, danno al canto moderno risonanze di an- tichi biblici tempi”15. La “sobria armonia” della lirica di Saba esprime tutto il “tranquillo ras- segnato dolore” dell’uomo, nel- la consapevolezza della vita come “breve dono di cui ci si Trieste, Il Teatro Comunale. rallegra nell’errante cammino”16. L’“errante cammino” di Ger- NOTE cosa di positivo, di cui far tesoro nella ni dell’Archivio» dedicati alle mostre ti non conosce soste e volge al miseria e nell’avvilimento presenti”. È sulla vita della Tolazzi: Gerti (1902- futuro: preannuncia l’opera del- 1 G. Tolazzi, Panorama di Trieste, possibile leggere l’opera di Stuparich 1989), mostra documentaria, Trieste, l’amico Giani Stuparich, an- in ÇGazzetta TicineseÈ, a. 147, n. 197, anche nella recente edizione del 2004, Sala delle Esposizioni della Biblioteca ch’egli intento a frugare nel Lugano, 30 agosto 1947, p. 1. nella collana ÇArchivi della memoriaÈ Statale del Popolo, 8 - 21 maggio 1995; 2 passato, per trovarvi “qualche Ivi, p. 2. del Ramo d’Oro Editore di Trieste. Il viaggio di Gerti. Gerti Frankl Tolazzi, 3 G. Tolazzi, Il dolore di Trieste, in 18 La lettera appartiene alla sezione mostra documentaria, Trieste, Sala delle cosa di positivo, di cui far teso- ÇGazzetta TicineseÈ, a. 147, n. 212, Lu- Corrispondenza a Gerti del fondo Gerti Esposizioni della Biblioteca Statale, 14 ro nella miseria e nell’avvili- gano, 17 settembre 1947, p. 3. Frankl Tolazzi (conservato presso l’Ar- dicembre 2005 - 12 gennaio 2006 (cata- mento presenti”17. Negli anni 4 Ibidem. chivio e Centro di Documentazione Re- logo a cura di W. Fischer, con scritti di 5 G. Tolazzi, Trieste città tra Oc- successivi al 1947 Gerti Tolaz- gionale di Trieste). Vorrei esprimere un W. Fischer ed E. Guagnini). Ringrazio zi continua a scrivere, a tradur- cidente e Oriente, in ÇGazzetta Ticine- seÈ, a. 147, n. 242, Lugano, 22 ottobre particolare ringraziamento a Elvio Gua- inoltre il personale dell’Archivio di Sta- re, a viaggiare. Ma torna sem- 1947, p. 1. gnini e Archimede Crozzoli, per avermi to di Bellinzona, dove ho svolto lo spo- pre nella sua Trieste, come ne- 6 Ibidem. permesso di consultare il materiale cu- glio della ÇGazzetta TicineseÈ e di altri gli anni passati, quando i suoi 7 G. Tolazzi, Umberto Saba poeta stodito nel fondo. Cfr. anche ÇI Quader- giornali e riviste locali. numerosi spostamenti non riu- triestino, in ÇGazzetta TicineseÈ, a. 147, scivano ad allontanarla troppo a n. 276, Lugano, 2 dicembre 1947, p. 1. Il “recente premio letterario” è il Pre- lungo dalla città: testimonian- mio Viareggio, conferito a Umberto JEAN BAUDRILLARD za di un percorso di formazione Saba nell’estate del 1946. E “L’EFFETTO BAUDRILLARD” segnato dai drammatici eventi 8 Ibidem. 1929-2007 triestini, ma anche dall’“incan- 9 Ibidem. 10 Ibidem. tamento” dei versi dell’amico Nato nel ’29 e morto nel marzo scorso, Bau- 11 Ibidem. drillard è stato uno dei maître à penser della poeta, protagonista di un’irri- 12 Ibidem. critica francese; di notorietà internazionale, petibile stagione culturale. In 13 Ibidem. presente nel territorio del pensiero fin dagli una breve lettera non datata, Li- 14 G. Tolazzi, Trieste città tra Oc- anni ’60, ebbe fortuna e attenzione nel mondo nuccia Saba scrive all’amica, cidente e Oriente, in ÇGazzetta Ticine- degli artisti. Nel ’96 pubblica “Le complot de l’art”, riscaldando seÈ, a. 147, n. 242, Lugano, 22 ottobre raccontandole dei suoi momen- l’ambiente dei critici, denunciando gli effetti perversi (e la vio- 1947, p. 1. lenza) della mondializzazione, indicata come sostanziale respon- ti di svago e delle sue lezioni 15 Ead., Umberto Saba poeta triesti- sabile della cancellazione dei valori e dell’annichilimento di ogni di ballo. Linuccia aspetta il ri- no, in ÇGazzetta TicineseÈ, a. 147, n. “singolarità”. torno di Gerti, sa che presto 276, Lugano, 2 dicembre 1947, p. 1. 16 Secondo Baudrillard, infatti, si era ormai innestato un processo sentirà il bisogno di rivedere Ibidem. 17 G. Stuparich, Prefazione a Id., inarrestabile di banalizzazione a cui nulla sarebbe più sfuggito: Trieste: “Sono molto contenta Trieste nei miei ricordi, Milano, Gar- non la politica, non l’economia, non il sesso, né tanto meno la che tu abbia passato bene questi zanti, 1948, p. V: “Fu in questi tempi di creazione artistica. Così, insomma, non ci sarebbe stato più spa- mesi che ti facevano tanta pau- disperata umiliazione che, potendo ri- zio per alcun fondato giudizio critico. L’intossicazione filosofica ra. Finito questo periodo cosa volgere l’animo al futuro, io mi volsi al avrebbe fatto il resto. Baudrillard, in definitiva, ha lavorato per far esplodere le con- pensi di fare? Verrai a Trieste? passato, non come chi cerchi di conso- larsi d’un passato felice, ma come uno traddizioni del nostro tempo, soprattutto nell’àmbito dell’arte con- Credo che in ogni caso per che frughi in anni considerati perduti, temporanea. qualche tempo verrai qui”18. per vedere se non fosse rimasto qualche 26 IL PORTOLANO - N. 49-50 SABA poeta della biologia Elena Gurrieri

ell’ultima stagione dell’esi- sua opera e costruirne l’architet- Nstenza e della lunga attività tura segreta e decisiva”, l’ acco- poetica che quella vita ha saputo stamento che abbiamo appena ten- trasformare in tempo fecondo, co- tato non sembrerà peregrino o im- stellato da un otium felicemente motivato, dal momento che se ne prolifico che ha lasciato dopo di trova ricorrente l’attestazione nel- sé ben duratura traccia, Umberto le diverse figure animali durante Saba ha saputo sigillare in una tutto il percorso del Canzoniere, poesia dal titolo emblematico, dalle raccolte giovanili a quelle L’uomo e gli animali1, il senso del della maturità, fino alla stagione primato che egli attribuisce al pia- senile: la terzultima raccolta del no della biologia, nella scala dei 1948 ha ancora per titolo, appunto, valori offerti dalla vita e dal suo Uccelli. universo. Tale poesia recita infat- é proprio questo nodo temati- ti: “Uomo, la tua sventura è senza sull’erba / pettoruta e superba. / È pazza’. / È come te ragazza”. L’af- co, l’intreccio significativo di bio- fondo. / Sei troppo e troppo poco. migliore del maschio. / é come finità passa qui per la modalità del- grafia, storia delle emozioni di una Con invidia / (tu pensi invece con sono tutte / le femmine di tutti / i la simbiosi: la donna assume ora le vita e di tante altre vite connesse disprezzo) guardi / gli animali, sereni animali / che avvicinano a virtù, ora le debolezze dell’anima- con quella stessa del poeta triesti- che immuni di riguardi / e di pu- Dio. […] Tu sei come una gravida le, mentre la capacità di amare pro- no, e del resto le diverse e ricche dori, dicono la vita / e le sue leggi. giovenca […]. Tu sei come una pria dell’essere umano si traduce implicazioni psicoanalitiche che (Ne dicono il fondo)”. lunga / cagna, che sempre tanta / nelle forme tipiche che gli stessi certo arricchiscono il testo lirico Si tratta di un paradigma che dolcezza ha negli occhi e ferocia animali hanno di percepire ed o narrativo di Saba, a richiamare a dice molto: gli animali Ð quindi il nel cuore. / […] Tu sei come la esprimere l’amore. D’altronde la mio parere con forza, ma anche piano biologico della nostra esi- pavida / coniglia. […] Tu sei come stessa sfera sessuale si configura nel contempo senza alcuno sfor- stenza Ð possono, assai meglio de- la rondine / che torna in primave- sul piano espressivo proprio attra- zo, la nostra attenzione di lettori gli esseri umani, esprimere “la vita ra […]. Tu sei come la provvida / verso il linguaggio animale, che contemporanei per dirci che la no- e le sue leggi” cioè tutto quanto formica. […] E così nella pec- appartiene in una forma più sim- vità e la freschezza della poesia e davvero conta. Gli animali insom- chia / ti ritrovo, ed in tutte le fem- bolica e allusiva all’intera opera della narrativa sabiane, non solo mine di tutti / i sereni animali / ma sanno porsi sul piano della giu- sabiana in versi, ossia al Canzo- non si sono mai appannate, spente che avvicinano a Dio; / e in nes- sta o possiamo dire aurea misura, a niere, mentre occupa maggiore o esaurite, ma anzi sanno suscita- sun’altra donna”. differenza degli uomini che spesso spazio ed è connotato da una più re sempre nuovo l’interesse per Commentare Saba non serve, travalicano il limite dell’equili- diretta evidenza nell’esercizio nar- una materia che non conosce de- suonerebbe come inutile orpello brio, in eccesso o per difetto. rativo di un romanzo breve sinto- clino. Non passa mai di moda, ad un ascolto che risulta essere ne- Tentiamo di fare adesso un matico come Ernesto (1953), edito anzi resta sempre attuale l’interes- cessario quanto facile e proficuo passo indietro per vedere, proce- postumo dalla figlia Linuccia nel se a capire e ad abitare una di- da praticare in proprio, nell’inti- 1975. mensione centrale per l’essere dendo per così dire a ritroso, e in mo ciascun di sé: occorre porsi Com’è noto, in Saba si può in- umano come quella che dobbiamo ogni caso attraverso un sondaggio semplicemente in ascolto delle pa- contrare il massimo di consistenza a Saba per averla cantata, massimo mirato, come Saba rappresenta nel role che narrano amabilmente l’e- di quella che oggi si dice essere tra i classici del Novecento lette- corso del Canzoniere, di volta in sperienza vissuta dal poeta nel te- una materia di squisita pertinenza rario italiano, come la “calda vita”. volta, la figura animale. pore del suo proprio milieu fami- psicoanalitica: in prospettiva, ma- Già nella seconda delle Poesie liare, da sentire, percepire e da cui, dell’adolescenza e giovanili gari aggiornando il repertorio al- se possibile, farsi proprio cullare. NOTE (1900-1907), La casa della mia La quarta poesia in sequenza l’attuale cinquantenario della mor- te del poeta triestino (1957-2007), nutrice, “… posa / tacita in faccia progressiva, ancora in Casa e 1 é la prima delle Sei poesie della alla Cappella antica, / e par pen- campagna, è addirittura un tòpos: pare qui appropriato segnalare la vecchiaia (1953-1954) nel Canzoniere, sosa, / da una collina alle capret- La capra. Saba vi elabora l’imma- presenza di un preciso anello di in Umberto Saba, Tutte le poesie, a cura te amica”. gine simbolica per eccellenza scel- congiunzione, nonché il carattere di Arrigo Stara, introduzione di Mario In un’altra poesia di grande si- ta come chiave del dolore umano di perfetta naturalezza esistente Lavagetto, Milano, Mondadori (“I Meri- nel rapporto tra la biologia, ovve- diani”), c. 1988. gnificatività per l’intero universo ed è, insieme, la sintesi o la chiave 2 ro la presenza di figure animali Mario Lavagetto, Introduzione sabiano come A mia moglie, inse- per comprendere il profilo di “ogni a Umberto Saba, Tutte le poesie, cit., p. rita nella raccolta Casa e campa- altra vita” segnata, ci sentiamo di nell’opera di Saba, la sfera della LXIX. M. Lavagetto è l’autore della fon- gna (1909-1910), la donna amata affermare, dalla differenza. sessualità e l’universo della psi- damentale monografia sabiana La galli- viene apprezzata e riconosciuta in Passiamo ora a vedere gli esiti coanalisi come ingrediente natu- na di Saba, Torino, Einaudi, 1974; la base alla sua affinità pienamente compresi nella raccolta di Trieste e raliter sabiano. Se come ricorda gallina risponde all’animale totem che è identificante ora con l’uno, ora con una donna (1910-1912), dove tro- Mario Lavagetto2, il miglior ese- sinonimo per eccellenza della figura ma- l’altro animale: “Tu sei come una viamo La gatta: “Ai miei occhi è geta e attentissimo critico di tutto terna nell’universo simbolico sabiano. 3 “circa trent’an- giovane, / una bianca pollastra. / perfetta / come te questa tua sel- Saba dopo Giacomo Debenedetti e ni prima di Ernesto […] aveva definito, Le si arruffano al vento / le piume, vaggia gatta, / ma come te ragaz- Gianfranco Contini, “il ‘destino’ con una formula limpida e divenuta fa- il collo china / per bere, e in terra za / e innamorata, che sempre cer- si è compiuto quando ‘psicoanali- mosa, Saba ‘psicoanalitico prima della raspa; / ma, nell’andare, ha il len- cavi, / che senza pace qua e là tico dopo la psicoanalisi’3, Saba si psicoanalisi’”, in M. Lavagetto, Intro- to / tuo passo di regina, ed incede t’aggiravi, che tutti dicevano: ‘È è servito di Freud per leggere la duzione, Ibidem. IL PORTOLANO - N. 49-50 27 IL RITO MANCATO Su corpo e scrittura in una lettera di Saba

Adone Brandalise

he il carteggio di Saba con Altrettanto evidente è la rifles- problematici anche oggi tutt’altro particolarmente esteso. La com- CJoachim Flescher (Umberto sione sul rapporto cruciale tra psi- che obsoleti. plessità degli incroci tematici so- Saba, Lettere sulla psicoanalisi, coanalisi ed ebraismo in cui si in- spende dolorosamente lo scrivere Carteggio con Joachim Flescher tersecano di continuo il flusso del- “Scrivere è il mio mestie- autoriale e fa sentire il poeta di- 1946-1949, SE, Milano 1991) co- l’autobiografia e quello di una sor- re, e in questo senso Ð per le soccupato. In effetti, tutto quanto stituisca un luogo in cui le linee ta di filosofia della storia. buone ragioni che le ho seguirà nella lettera, identifica una forza che disegnano la fisionomia In questo doppio scenario vi è detto Ð sono un disoccupato. materia per la quale Saba non di- intellettuale ed esistenziale del il segno di un’immagine “d’epo- Così mi sfogo qualche volta a spone di ordini di discorso ospita- poeta si manifestano sotto il segno ca” del fenomeno analitico e di al- scrivere agli amicî” (Lettere li e legittimati. Tutto ciò di cui di una sofferta tensione tra gli ele- trettanto datati correlati ideologici, sulla psicoanalisi, p. 34). scriverà è anche ciò di cui ritiene menti della sua cultura, è circo- ma è anche innegabile che, spesso, di non poter scrivere o, meglio an- stanza nota e valorizzata in sede la sensibilità del poeta punti con Esordendo in questa lettera a cora, con la sua sofferta insistenza, critica. indubbia intensità verso nuclei Flescher, Saba sa che lo sfogo sarà gli impedisce di praticare compiu-

Trieste, La Camera di Commercio. 28 IL PORTOLANO - N. 49-50 tamente il suo “mestiere”. Insom- rente allo stereotipo all’epoca vul- menti umoristici di sorta, come av- come una castrazione (se mi ma, la lettera sta sotto l’indicazio- gato, ma anche capace di far vi- viene per tutta la saga della yddi- sbagliavo, non mi sbagliavo ne tonale dell’angoscia e il senti- brare alcune corde del suo stru- sch mama nelle sue declinazioni di molto)” (Ibidem, p. 39). mento della castrazione costitui- mento filosofico in frequenze che letterarie, propone l’immagine del- sce il fondo sul quale il disegno stagioni più recenti della critica la madre come severa negatrice di Quindi, la circoncisione e la dei temi prende rilievo. sottolineeranno con particolare ogni accesso al godimento per il religione ebraica che la impone Significativamente, i toni più energia e vastità di esiti comples- Saba bambino, implacabile nel trovano il nome che le interpreta mossi e addirittura esasperati che sivi. vietare alla nutrice cristiana i pia- nella castrazione. é allora sulla ca- alterano l’andamento tra il risenti- ceri spettacolari (incenso e belle strazione come evirazione, muti- to e il depresso, in genere predo- “Mi viene in mente una immagini) della chiesa dei goim. lazione senza risarcimento, che si minante, si producono a ridosso frase di Nietzsche; quasi le pa- Madre, quindi, quasi da manuale costruisce l’ordine cui si sotto- della connessione, allora tutt’altro role più alte che sieno state per disegnare il tema psicoanaliti- mette la vita. Risentiamo qui la che inusuale e, anzi, di senso co- pronunciate fino ad oggi: COL- co della madre castratrice. L’altro, musica familiare, sonata con di- mune nel contesto analitico, tra LA MENZOGNA DELLA RI- quello della ostinazione ebraica versa perizia, ma con tratti costan- COMPENSA E DEL CASTI- circoncisione e castrazione, dove nel custodire la propria separatez- ti, dalla messa in opera filosofica GO SI é AVVELENATO IL za e con questa, per sé e per tutti moderna della figura dell’ebreo. l’incrocio tra psicoanalisi ed ebrai- FONDO DELLE COSE” (Ivi, gli altri, il senso schiacciante del- In Hegel degli Scritti teologici gio- smo è coinvolto in misura acuta. maiuscolo nel testo). la colpa cui è dovuta l’implacabi- vanili, il popolo delle regole, e quindi dell’eteronomia, resta al di “Insomma se dipendesse Che la menzogna in questione le osservanza dei comandamenti da me, non farei nessun male della Torah. Materializzati dai te- qua della cristiana legge dell’a- riceva dal senso di colpa la sua agli ebrei. Punirei solo con film, essi perpetuano una dolorosa more e si presta a rappresentare il massima promozione è sottinteso l’immediata fucilazione nella mancanza costantemente rinnova- limite di un dominio intellettuali- ma, subito dopo, Saba propone schiena tutti quelli che prati- ta dalla lettera di un’antica “lin- stico e artificioso sulla vita, che le Nietzsche come lettura obbligato- cano e fanno praticare la cir- gua morta che nessuno di loro ca- istanze romantiche e idealistiche ria per quanti vogliano in futuro concisione” (Ivi, p. 41). pisce” (Ivi). intenderebbero superare. esercitare la psicoanalisi. La madre che vieta fa tutt’uno Più interessante è notare come A Flescher, sostenitore, illu- con la resistenza degli ebrei a scio- Saba anticipi bruscamente una ministico e liberale di un supera- “Egli insegnerebbe loro possibile obbiezione. Uno psicoa- non la tecnica, ma LA VO- gliersi nel mondo rinunciando a mento delle diverse religioni, nel- custodire la propria sofferta e mu- nalista potrebbe sottoporre a un l’orizzonte condiviso prodotto da LUTTÀ del guarire” (Ivi, vaglio severo la sua interpretazio- maiuscolo nel testo). tilante elezione. Non a caso, Saba un’analisi esaustiva delle loro ra- auspica la proibizione dei loro riti ne. Eppure la coincidenza di cir- gioni storico-psicologiche, il poe- concisione e castrazione regge. Certo, la voluttà del guarire e lo scioglimento forzoso delle ta risponde con una, seppur con- Regge soprattutto se quanto la sembra presentarsi come una sor- loro comunità, ovvero, la definiti- torta, rivendicazione dell’irriduci- ispira si risolve nell’immagine (e, ta di riscatto dell’analisi da quel va cancellazione di un segno iden- bilità dell’istanza religiosa all’esi- contravvenendo per un istante alla tanto di ebraismo che le è imposto titario che coincide con il profilo to di una quieta Versöhnung. Ed è impotentia scribendi, in esercizio dalla sua consanguineità con il di- minaccioso dell’ebreo. Tale segno proprio l’ostinata resistenza del- stilistico) del Ragazzo che prega, sagio, emancipazione nietzschea- si imprime sulla “vita”, quella del l’ebreo alla dissoluzione della sua nota statua greca in bronzo, il cui na dell’ebreo dall’ebreo. Eppure poeta e quella che costituisce una fisionomia nel più ampio mare di atteggiamento orante sta però in nella voluttà sembra trasparire an- delle parole chiave del liberatorio una generica umanità che relega totale opposizione a quello subito che un godimento non risolto nel- lessico nietzscheano, appunto la nel mondo dei sogni il progetto di dopo evocato degli ebrei in pre- la filiera della gioiosa felicità li- circoncisione. “unificare le religioni”. Gli ebrei ghiera: berata che apre in direzione di un Non a caso, dopo aver propo- sembrano sopravvivere nella loro mestiere che Saba ritiene in que- sto la fucilazione alla schiena dei separatezza, così come resta evi- “Rappresenta un ragazzo st’epoca di non poter più fare. La praticanti la circoncisione, si of- dente ed operante il graffio in cui in piedi e con le braccia alza- voluttà del guarire riguarda forse, fre una sintesi efficace dei motivi si riassume il loro incancellabile te verso il cielo; le palme sono nella psicoanalisi, quella felicità che convergono su questo punto: contributo alla vicenda dell’uma- aperte. una meraviglia; psico- che convive con la riuscita di una logicamente una delle cose nità intera: soggettivazione. Qualcosa in cui “(non la sola, ma certamente, più liete e commoventi che una delle cause per cui gli la psicoanalisi tocca quanto sta al abbia mai viste. Si sente che “Un punto sul quale lei ebrei si sposano solo fra di quel ragazzo è felice di essere dev’essere d’accordo con me, di là di essa, se la “cura” riesce. loro: un ragazzo ogni poco ti- Si potrebbe dire che Nietzsche nato, di avere Ð sebbene non è che gli ebrei sono stati i mido si vergogna di mostrare ci pensi – un bel pipì, un bel maggiori apportatori nel mon- si stagli come figura di immagi- quella ridicola mutilazione a culetto, delle braccia e delle do del ‘senso di colpa’, cioè nabile redenzione sullo sfondo una donna che non sia della mani fatte per tendere l’arco e della sola effettiva colpa che dell’impotentia scribendi nella sua razza)” (Ivi, p. 41). uccidere Ð quando sarebbe esista (il resto riguarda i rap- quale Saba ritiene di trovarsi: sin- stato grande Ð i nemici della porti sociali ed esula dall’ar- tomo di radicale disagio che si as- La circoncisione quindi fa sua bella e, nel suo caso, giu- gomento” (Ibidem). socia alla decisiva prestazione teo- massa con quanto associa all’e- stamente amata patria” (Ibi- logica della tradizione ebraica: breo la vergogna del corpo e la dem, pp. 39-40). Si è qui al cuore di quello che mediazione sacrificale nel rappor- Saba stesso definisce “il mio anti- “IO SO CHE COSA to con la vita. Al piccolo Saba vie- Sin troppo a vista, per essere semitismo”, intessuto di elementi SONO E COSA SIGNIFICA- ne minacciato di “farlo ebreo”, qui commentate, alcune spie signi- tipici di tale fenomeno culturale NO GLI EBREI” (Ibidem, p. come sanzione per le sue infantili ficative: il corpo che si disegna nelle sue forme più risapute, ma 40, maiuscolo nel testo). disobbedienze. Farlo ebreo, cioè splendidamente unito in un gesto anche propenso a torcerle in dire- imporgli la circoncisione, frattu- in cui convivono innalzamento e zioni che ne compromettono il più L’enfasi sulla prima persona ra, solco irrimarginabile che incide apertura. Il compiacimento della ovvio funzionamento retorico ed rafforza con una sottolineatura au- il flusso vitale. salute che fa tutt’uno col senti- ideologico. Così, come sviluppo tobiografica una dolorosa cifra in- L’autointerpretazione del poe- mento dell’unità del corpo e che diretto dell’affermazione appena terpretativa. Non a caso qui con- ta va direttamente alla questione: consente di immaginare nel giovi- citata, per spontanea ed eloquente vergono due registri che si intrec- netto un godimento per il “pipì” e associazione mentale, viene evo- ciano nella tessitura della lettera. Il “è molto probabile che io in- il “culetto, non filtrato da quella cata l’immagine di Nietzsche, ade- primo è quello che, senza risarci- terpretassi la circoncisione diversa considerazione che i com- IL PORTOLANO - N. 49-50 29 portamenti civili impongono per le stione del rapporto tra ebraismo e a confronto di tutti quei sessi di mettersi in gioco elaborando, a parti “intime” del corpo. Assenza psicoanalisi. La foga con la quale maschili della Magna Grecia volte, creativamente e poetica- di pudore, che il poeta rivive come Saba rifiuta la complicazione, che che gli antiquari, con la scusa mente un rapporto con tutto quan- propria goduta trasgressione. pure egli avverte possibile, nel che sono analista, mi portano to fungerà da causa del suo desi- Ma ciò che più interessa è che nesso circoncisione-castrazione è a carrettate Ð e a domicilio Ð e derio. Quindi, la circoncisione qui che la mia segretaria restitui- in tutta la sua raffigurazione il gio- anche quella che protegge, dalla sce loro, sicché io li vedo ri- diviene, con una sottolineatura che vinetto appare come il non circon- psicoanalisi, il sintomo che lo ren- partire, nel cortile, carichi di discende dal compiacimento laca- ciso che, non a caso potrà da adul- de più che mai scrittore, ma “di- una valigia piena di quei sessi, niano per il paradosso, rito che rin- to prendere le armi (cosa vietata soccupato”, agito dal desiderio, dei quali devo dire che la fi- via ad un’iniziazione della scrit- per secoli agli ebrei), per difende- ma anche dominato dalle resisten- mosi vi è sempre accentuata tura. re una patria in cui il suo corpo ze che il desiderio oppone a sé in un modo particolarmente Saba stesso fa convivere l’in- ben riuscito si lega alla bellezza stesso. disgustoso. Nella pratica della tuizione di qualcosa di simile con di un contesto umano. La patria Anche in questa sospensione circoncisione c’è qualcosa di lo scenario delle sue ossessioni insomma, e non l’erranza, per vi è un godimento che alimenta la salubre dal punto di vista este- quando la scrittura tende a recu- quanto nobilmente risolta in co- qualità di questa scrittura nella tico” (Ivi). perare intensità e ambizione arti- smopolitismo. quale ci si lagna per l’impossibilità stica: Come si vede, il pregiudizio A ciò si aggiunga che l’imma- di scrivere. Ma si può osservare estetico di Saba si rovescia e la gine ridesta l’entusiasmo e con ciò che tale godimento deve sostener- “C’è in questo senso un circoncisione appare garantire as- anche una sorta di vena poetica. si su immagini di gioiosa unità, di apologo che dovrebbe addirit- sai più felicemente l’esito plastico Il ragazzo offre il suo corpo come non separazione, giocate tra no- tura essere incorniciato in tut- che concretizza quello slancio e immagine altrettanto sciolta e to- stalgia e attesa quasi messianica. ti i gabinetti dove si pratica la quella felice riuscita che il poeta nica di quello che dovrebbe essere Ciò che sembra non agire è psicoanalisi. é quello del gio- considerava con tanta partecipa- vane pastore al quale, nel son- il godimento della scrittura. Quin- proprio quel ruolo di limite che la zione. Ma soprattutto, Lacan è in- no, era entrato un serpente di l’ebreo sta nell’esistenza di psicoanalisi riconosce alla castra- teressato a cogliere nel rito della nella bocca. Il pastore, che si Saba come quanto impedisce una zione e che introduce al mondo circoncisione quella distinzione sente soffocare, fa, senza riu- scrittura felice. La circoncisione delle pratiche, compresa quella che consente di separare il fallo da scirci, degli sforzi enormi per (antiestetico intervento sul bel della scrittura, dove lo slancio vi- tutto il resto: liberarsi. Zarathustra, preso da “pipì”, parente dopotutto del “fa- tale e la plasticità che il poeta im- raccapriccio, sdegno, pietà, gli pipì” del piccolo Hans) strozza magina come non-castrazione, può grida di mordere, di mordere “Io sono la piaga e il col- con tutte le sue forze e di stac- come una diga importuna il corso riaffermarsi solo valendosi di co- tello, dice da qualche parte care coi denti la testa del ser- di quello che diviene così un do- strizione e di percorsi obbligati, Baudelaire. Ebbene, perché pente. Il pastore, con un ulti- loroso “voler dire”: da lui associati alla circoncisione. considerare come situazione mo disperato sforzo, riesce a normale l’essere al contempo farlo, e si leva su con un sor- “e soffro, non per aver nulla o “Penso che anche voi non il dardo e il fodero? La pratica riso. “Amici miei – aggiunge poco, da dire, ma perché trop- abbiate potuto fare a meno di rituale della circoncisione non Zarathustra Ð da quel giorno pe sono le cose che vorrei notare, e da molto tempo, la può che generare una riparti- io sono ammalato di quel sor- dire, e che non posso (questa straordinaria baraonda, il pa- zione salubre per quanto ri- riso, lo cerco e non lo trovo, lettera informi) dire pubblica- sticcio che si produce a mette- guarda la divisione dei ruoli” nel volto degli uomini’. Non mente. E così muoio – alla let- re la circoncisione in riferi- (Ibidem, p. 88). le pare che l’apologo (ogni tera – strangolato” (Ibidem, mento alla castrazione” (J. La- simbologia a parte) sia come p. 42). can, Seminario X, L’angoscia, È esattamente quell’accesso al 1962-1963, Einaudi, Torino l’immagine di “un’analisi in- simbolico che, secondo lo psicoa- 2007, p. 87). teramente riuscita?” (Lettere Non è forse un’inammissibile nalista, consente al soggetto di ar- sulla psicoanalisi, p. 42). e troppo facile lacanismo notare Così Jacques Lacan in una se- ticolarsi nel linguaggio, dove pe- come qui il flusso dello scrivere raltro occorrerà arte e tempestività (Adone Brandalise, è docente sia strozzato, “alla lettera”, ovvero quenza che sembra pensata per in- filare virtuosisticamente su di un perché esso trovi la sua giusta po- di Teoria della letteratura all’Uni- all’altezza di un’assunzione del- sizione, quella che gli consentirà versità di Padova). l’ordine del linguaggio in ciò che unico spiedo tutte le figure messe esso ha di non immediatamente in gioco nella pagina sabiana che naturale: l’immagine angosciante stiamo analizzando. Non solo, lo L’ERA DELLA di una perdita che può solo esser psicoanalista francese evidenzia ribadita. come tale confusione stia nel sin- “PLUME ELECTRONIQUE” In questa luce la psicoanalisi tomo proprio di una nevrosi rela- tiva al complesso di castrazione. compare in una doppia prospetti- Se, come diceva Sartre, “la funzione dello scrittore è di fare va. Per un verso è una forza libe- Ovvero al ragazzo “dal bel pipì” questo collegamento non dovreb- in modo che nessuno possa ignorare il mondo e che nessuno ratrice, il cui trionfo pare destina- possa dirsi innocente”, non ci si può accontentare di spar- be turbare i sonni (mentre può tur- to a coincidere con una svolta de- gere luoghi comuni o approcci obsoleti per descrivere la per- barli a chi, come il poeta, proietti cisiva nella vicenda dell’umanità cezione del mondo. Né si possono espungere le scoperte su di esso il proprio narcisismo, (non a caso il Nietzsche che inter- scientifiche e il progresso tecnologico. Così lo scrittore ha ovvero il proprio desiderio di es- viene qui sembra quasi anticiparne dovuto allontanarsi dal sistema narrativo del XIX secolo e sere un fallo glorioso per l’ammi- l’esito: nel proprio stile intellet- adattare la sua “plume”, diventata elettronica, ai nuovi razione e la gioia dell’Altro). Ma tuale “liberato”, nella filosofia col codici di comunicazione. Senza spingere fino all’adozione di soprattutto, Lacan rivendica la na- martello, ma anche e soprattutto uno stile SMS, non poche frasi – per non parlare di stile – tura protettiva della circoncisione nelle metafore della “grande salu- subiscono l’influenza di costruzioni proprie a quelle infor- rispetto a quanto angoscia nel- te” e dell’ “oltreuomo”); dall’al- matiche, mediatiche, pubblicitarie e di altri idiomi profes- tra essa appare, per il poeta, come l’immagine della castrazione: sionali. Ma per non soggiacere all’impoverimento seman- parzialmente condizionata da quel tico, bisogna modellare il proprio idioletto fondendo la cul- suo sentimento di impotenza che “Non c’è niente di meno castratore della circoncisione. tura del romanzo e i diversi aspetti spesso segregativi del- essa non riesce compiutamente a Quando è ben fatta, non pos- l’acculturazione contemporanea. La letteratura non ha mai dissolvere. È come se l’incombere siamo negare che il risultato conosciuto tanta profusione di neologismi, né altrettanta angoscioso dell’ebreo intervenisse sia poco elegante. Soprattutto complessità semiologica. * a porre, senza articolarla, la que- 30 IL PORTOLANO - N. 49-50 Gli “F.P.” di Saba e Betocchi Che significa F.P.? Si tratta di un’abbreviazione per Felici Pochi. E chi sono i Felici Pochi? Spiegarlo non è facile, perché i Felici Pochi sono indescrivibili.

Sauro Albisani Elsa Morante “Il mondo salvato dai ragazzini”

eglio chiarire immedia- mondo, appunto come una im- me per entrambi nell’accetta- viator, al pagus terreno, alla Mtamente titolo ed epigra- pollinazione che darà il suo zione del dato reale come im- creazione del mondo, alla sua fe, ad avvio di discorso, con miele. Disperdere il proprio do- prescindibile termine di con- legislazione morale) che fonda un’altra citazione per indicare lore nel mondo, dimenticarlo fronto per l’introspezione, per la disperata rivendicazione del senza mezzi termini il percorso in mezzo alla gente è ancora un l’auscultazione, talvolta quasi proprio approdo alla felicità. lungo il quale vorrebbe indiriz- atto della carità, un atto di fede esasperata (specialmente in Mai raggiunta né da Saba né da zarsi questa mia riflessione su in quella religione della vita Saba) delle proprie vicissitudi- Betocchi, tanto che ambedue due tra i poeti che ho amato di che è il comune terreno con- ni interiori. Ma la realtà è lì, si continuano a far poesia sul fil di più fin da giovanissimo. Dice fessionale entro il quale sareb- erge di fronte al poeta ad am- lama che suscita dall’errore di loro Sapegno nella sua “Sto- bero disposti a sedersi entram- monirlo dal rischio di un sog- l’orrore delle sue conseguenze, ria della letteratura italiana”: bi, come fece Saba nella cucina gettivismo che finirebbe per in- e tuttavia mai rinnegata innan- “(…) il Saba è stato – col Be- fiorentina di Betocchi quaran- ficiare quella prima persona zitutto nella sua duplice natura tocchi Ð uno dei rarissimi poe- tenne, inforcando la sedia a ro- plurale che sta sotto l’io lirico e di diritto/dovere. Forse in Saba ti che siano al di là delle bar- vescio, coi gomiti poggiati sul- ne è perciò la sostanza. Il No- è più presente l’urgenza di ri- riere convenzionali e abbiano lo schienale, con un gesto che vecento ha riconosciuto il pro- vendicarne il diritto, e ciò tanto potuto addirittura parlare di ‘fe- l’amico ottuagenario ancora prio canone in un poetare chiu- spesso produce la fascinazione licità’ “. L’accusa è scandalosa mimava commosso per mo- so che pone il poeta agli arresti del sé quanto spesso in Betoc- e, detta così, sembrerebbe sug- strarlo a un giovanotto biso- domiciliari sotto la vigilanza chi ne troviamo l’ablazione. In gerire che i due imputati ri- gnoso d’incoraggiamento, della scepsi o della parola che Saba spesso il popolo si identi- schiano un verdetto preannun- quello stesso che ora scrive parla soltanto di se stessa: Saba fica con l’io che lo canta; in Be- ciato. Nel Novecento si è scrit- queste riflessioni. e Betocchi sono davvero poeti tocchi altrettanto spesso l’io si to della noia, della nausea e del Mi pare sostenibile l’ipotesi antinovecenteschi perché han- identifica (come nelle “Alle- nulla, come hanno fatto roman- di accomunare Saba e Betoc- no il coraggio di operare que- grezze dei poveri a Tegoleto”) zieri e filosofi; ma nessun poe- chi nell’azzardo della felicità, st’azzardo chirurgico su di sé: col popolo che canta. ta avrebbe potuto né dovuto so- nell’eresia così poco novecen- fanno ancora poesia a cielo Saba attinge l’esperienza gnarsi, per decenza, di solfeg- tesca della felicità perché leg- aperto. della felicità per catabasi, ri- giare le note dell’inno alla gendo entrambi riconosciamo Mi piace citare la bella no- conciliandosi infine con gli in- gioia. È così? questo comune denominatore: tazione di Giancarlo Pontiggia feri della coscienza, illuminan- Secondo quanto è possibile che fanno un discorso in prima che osserva come tanto Saba doli (ben al di là delle lanterne ricavare o anche solo intuire persona, e assolutamente per- quanto Betocchi affidino l’inci- della psicoanalisi che pure dalle vicende di vita di Saba e sonale, eppure parlano nello pit del proprio canzoniere al- provò ad accendere) con la luce di Betocchi, non si sbaglia nel- stesso tempo ancora a nome di l’immagine del cielo. Dalla vo- della poesia; Betocchi attinge l’affermare che siamo di fronte un popolo; c’è senz’altro un di- ragine del cielo irrompe sulla l’esperienza della felicità per a due uomini di pena. E tutta- scorso unanime che si fa senti- pagina il mistero manifesto e anabasi, un’ascesa, una fuga via, seppure attraverso il dolo- re attraverso la loro voce, e da insieme imperscrutabile di ciò fuori dalla esclusiva gabbia del- re, entrambi appaiono capaci di questa comunione prende so- che chiamiamo mondo, la sua l’ego per esperire il grembo ricavare autenticamente dal stanza il sentimento della feli- sacralità indecifrabile come in- provvido e materno (materno polline della propria sofferenza cità. Non cronologicamente ma decifrabile è il male che la at- anche laddove parla il suo l’alimento che nutre un loro miracolosamente siamo prima tende in agguato. Questo susci- “cuore di padre”) dell’io che rapporto di simbiosi con la di quello iato storico rappre- ta certe presenze ricorrenti nel- nulla esclude. Nell’uno e nel- realtà. È la disarmata letizia di sentato dall’uomo solo piran- l’uno e nell’altro poeta, come l’altro c’è comunque un senti- Betocchi; è la disperata sere- delliano. Saba e Betocchi sono gli uccelli (Betocchi dice di mento paradossale e salvifico nità di Saba. In entrambi c’è ancora uomini tra gli uomini, e Saba che ebbe il dono bellissi- di maternità: per Saba il poeta una città, c’è una donna, c’è un per questo la loro città ha qual- mo di possederne il canto); gli fa l’uovo; per Betocchi il poeta popolo. C’è insomma, impre- cosa di universale e il loro oggetti Ð specie quelli che ac- entra nel mistero della gesta- scindibile e ineluttabile, l’ap- amore e il loro colloquio con compagnano l’umana fatica Ð zione della vita, entra dentro prodo al rapporto con l’altro da la donna amata quasi costrin- amorosamente animati; quel l’essere per dargli voce in for- sé. La catarsi che i due poeti gono il lettore a identificarsi in sentimento di gratitudine paga- ma di pigolìo interiore, per ve- assolvono sul proprio dolore è quel canto. La responsabilità na (nel senso del riconoscimen- stirlo di piume amorose. un effetto di dispersione del morale del poeta nei confronti to del dovere di appartenenza, Forse per entrambi (sicura- medesimo per le strade del della comunità umana si espri- come civis piuttosto che come mente per Betocchi) di fronte IL PORTOLANO - N. 49-50 31 alla celebre equazione ‘lettera- cora e oltre l’interesse e l’inna- accade questa rivelazione? Si di Saba”, in Carlo Betocchi, tura come vita’, quello che è da moramento per la poesia ver- potrebbero fare, probabilmen- Confessioni minori, Firenze, abolire è il ‘come’: per loro la bale. te, per Betocchi le stesse con- Sansoni, 1985, p. 302). letteratura è vita, neanche tra- In questa dimensione fat- siderazioni che egli fa per In conclusione, e in breve: scrizione o rielaborazione o de- tuale si assiste nella loro poesia Saba: “C’era (…) nel suo fra- penso possa valere per tutti e cantazione della vita vissuta, a uno scandalo quanto mai de- seggiare così fresco di ore, di due i poeti la definizione sabia- ma vita; testimonianza del co- sueto di fronte al negativismo e luoghi e di occasioni umane, na di “poesia onesta”, come pa- stante, precario, arrischiato di- al nichilismo novecenteschi: la qualcosa che, senza perdere il rola guadagnata alla felicità a venir creatura da parte della felicità ritorna ad essere pro- contatto con la vita quotidia- prezzo del dolore, e quella be- creatura stessa, che non è mai nunciabile e la poesia per boc- na, pareva riflettere, nel suo tocchiana di poesia come storia tale una volta per tutte ma si ca del poeta si confessa e si movimento variato, e rendere morale (“Canto una storia mo- immola nel sacrificio del’esi- professa figlia dell’allegria. comprensibile, una più vasta, rale / nel più basso dei linguag- stere comune, dell’essere per Un’amorosa fedeltà induce i originale, salda unità. Era, pen- gi”, prima epigrafe delle “Poe- gli altri e con gli altri. Saba e due amici, dopo le razzìe della so,il senso amoroso della crea- sie del sabato”). Davanti a que- Betocchi chiedono alla parola storia (ripenso ai versi di “Tea- zione: ma chissà in che modo ste due voci il lettore sente che di agire, di intervenire nella tro degli Artigianelli” e a quel- la sua più antica coscienza tor- si instaura anche dentro di lui realtà. Betocchi si spinge più li di “1946”) e le delusioni pri- nava di là, alla chetichella, e un rapporto eucaristico col oltre, anche per occasioni pro- vate, a rialzare gli occhi al cie- fattasi altro, divenuto spirito tempo: la coscienza è chiamata fessionali, assetato e innamo- lo. Come dubitare d’altronde comunicante col tempo, ed a cibarsi del tempo e a nutrirsi rato di poesia attuale, cioè fatta che per l’immaginario collet- anzi tutto tempo in amore e do- Ð quotidianamente, con urgen- di atti, secondo quel misericor- tivo nel cielo si identifichi la lore, riportava a noi, nella sua za e insieme con pazienza Ð de prodigarsi di cui si nutre la topografia (o l’illusione) della poesia, qualche cosa dell’anti- della sua laica e nondimeno buona volontà, prima, più an- felicità? E in quale linguaggio co miracolo.” (da “L’esempio vera transustanziazione. 32 IL PORTOLANO - N. 49-50

Nel sangue ho sempre avuto questa smania del plasticare e del dipingere, e pure so bene che cosa significhi fare una statua o fare un quadro. Occorre salvare l’a- nima, e spesso con le mani più impazienti da ricondurre al segno. Non so OMAGGIO A come: ma l’anima per un soffio almeno, riesco a prenderla per i capelli, nel momento in cui chiedo al colore di dirmi e di dire qualcosa, di non lasciarmi avvilito con tutto quello che non so fare. Mi sembra di chiamare le cose. Che la mia “pittura” sia solo questa salvezza di credere agli occhi? Ad occhi chiusi, nel segno, continua la nostra meraviglia del vedere. Altro non so dire: dedichiamo tutto all’orizzonte, scommettiamo sullo spazio della mente quel che il tempo, ogni giorno, ci porta via. Che rapporto ha la mia “pittura” con la mia poesia? La domanda mi sarà GATTO posta o se la porrà il mio lettore chiamato a essere l’appassionato spettatore f.g. dei quadri miei. Voglio aiutarlo nel dirgli che è insito, nel mio discorso pitto- rico, “processo di sviluppo nel dato memoriale”, come ha riconosciuto Lici- l Dipartimento di Italianistica, con la direzione scientifica di Anna Dolfi e la sco Magagnato in uno scritto che mi ha dedicato. Il mio punto di partenza è nel Icura di Leonardo Manigrasso, ha ricordato , con un convegno colore, nel chiamare i paesi, le cose, a “essere” in una realtà della memoria e un catalogo che ne ripercorre la feconda presenza fiorentina. che ha tutta addosso la sua presenza, il suo valore di significazione: quel Una circostanziata intervista a Piero Vignozzi apre il volume, restituendoci cielo, quei paesi, quelle figure, quell’architettura di spazio e tempo, di luce, un uomo intensamente presente al suo tempo, partecipe della vita culturale e quelli soli e non altri, quasi indicati, e direi “dimostrati” col mio occhio. È la artistica, pubblicista, pungente, rispettoso e vivo nelle amicizie. “Era un pittore stessa incontentabile natura della poesia: l’ineffabile, pago di sé, che pure deve molto maldestro – ci dice Vignozzi, in un passaggio dell’intervista rilasciata a comunicare, e affidarsi ai mezzi più impervi e più ostili – quella parola, del Leonardo Manigrasso Ð, eppure aveva una forza, un senso del colore che tra- segno, del colore – qualificati sino a far propria la trepidante emozione del pit- smetteva sempre all’opera una grande vitalità”. tore e del poeta, nel suo essere e nel suo “vedere”. Non so se sono stato Il catalogo, organizzato in più sezioni, raccoglie “dediche fiorentine” chiaro, ma ho cercato di esserlo, senza rinunciare a quel che mi sfugge tra le (Betocchi, Bonsanti, Rosai, De Robertis, Macrì, Parronchi, Santi, Fallacara, dita (sensibilità, apprensione, delicatezza) e che è l’aria permanente del mio Cassola, Tentori e altri), “Gatto al Vieusseux”, “Gatto pittore”, “Ventiquattro respiro. cataloghi fiorentini” (che riassumono l’intensa attività critico-artistica di Gatto). Un’altra cosa voglio dire, e a proposito. La pittura, quella che riesco a In quanto a Gatto pittore riportiamo un suo scritto, “Del perché dipingo”, fare, m’è diletto e fatica insieme e non saprò mai perciò riconoscermi dilet- che, in definitiva dà conto della sua poetica: tante o professionista dell’opera mia. Di certo so di non essere un “domeni- cante”, un “nativo” o un “popolaresco”, e non per superbia. So che tra loro “Perché dipingo? Non so rispondere, ma almeno posso tentare. In casa mia, ci sono stati e continueranno ad esserci geni nuovi e imprevedibili. Ma credo non c’erano poeti, ma scultori molti, tanti quanti i marinai che dallo Stretto pre- che essi, sia pure nei modi più alti, siano occupati a raccontare, a proporre sero il largo per le proprie avventure, scultori buoni, fra i quali un Carmelo che una storia del visibile e dell’invisibile, laddove io parto dalla prima stesura del morì giovane e un Saverio che a tutt’oggi, dopo Gemito e prima di Perez, è il più colore, dal primo segno, così come parto dal primo verso, per imbrogliarmi meritevole scultore di Napoli. Anche Zio Saverio, a mezza età prese a dipingere. e sbrogliarmi da me”.

dei morti vedono”. (“e allora i santi lassù/piangono per gli uomini/gli oc- chi dei morti lo vedono” Stanze, 1946) Ecco dunque l’ostacolo per aderire, sia pure in misura vaga a quanto il breve racconto acconciamente richiederebbe. Un partecipare minuto e fa- Con Alfonso miliare dei giorni trascorsi con Gatto e anche con l’allora piccolo Leone. Ma è come suggerire una trama tenue e negata. Si potrebbe incominciare da quando conobbi Gatto. Stava, per così Pero Vignozzi dire, ritornando in maniera ferma a Firenze. Aveva trovato lavoro al “Gior- nale del Mattino”, dove anch’io qualche tempo dopo capitai. Potrei andare avanti di questo passo e dire che siamo stati insieme qua- si ogni giorno, legati dal lavoro e dai “comuni affanni”, in più alcune gite in allora sarei andato con la bicicletta fin laggiù, mi sarei seduto davanti auto (la potente Morris verde) lo stadio alla domenica (Fiorentina e per Eal fiume, al margine del declivio più basso, e là avrei subito le mie stro- lui), e le cene al vecchio Pinocchio in via della Scala con Graziana, Leone fe ignote. ancora e Mary. Inoltre le lunghe notturne partite a carte nella casa del Listri. Probabilmente per questa ragione la vita è una sorta di sottosuolo fur- E i vecchi e grandi amici che non ci sono più: Bilenchi, Capocchini, Macri, tivo, ci stiamo attaccati. È interessante, tuttavia, osservare l’abilità con cui Luzi, Caponi, Pratolini e via fino a Righi. si riesce lesti a rubare. Comunque, scaltro lettore, mi è sempre sembrato un Non ho alternative, nel bene e nel male per quanto mi riguarda posso af- ottimo pezzo di storia segreta, e inoltre una qualsiasi spiegazione, a ben ve- fermare che debbo tutto a quel periodo, lo stesso stipendio oramai pensio- dere, non c’entra. È soltanto il sottobosco di un servo di scena. ne della scuola viene da lì. A questo livello l’unica cosa che conta rimane l’azione, il gesto (Rive- é facile rivedere allora la bella casa che Gatto abitava in via Masac- ra o Giotto è lo stesso) di un uomo che si presume sappia tutto dell’ozio e cio 181, e poco dopo quella di viale Volta. Le due grandi terrazze so- del dolore. Anche se la prudenza non è mai troppa finalmente si può rico- vrapposte in alto sui tetti e Firenze distesa allo sguardo. E ancora poter ri- noscere che questa è tanto meno un integrazione che prevede l’andamen- cordare di quando il piccolo Leone, alunno della scuola elementare, nel- to di ciò che uno sta per dire. lo svolgimento di un tema in classe scrisse: che la persona a cui voleva più E c’è ancora da dire che i dettagli sono il senso della vita. Anche se ora- bene dopo il babbo e la mamma era il pittore Piero Vignozzi che fuma- mai sembra tutto uguale, ovunque … la gente non fa che correre verso la- va la pipa. vori senza senso. Giorno dopo giorno, e non si fermano mai. “Far fronte alle Ma sto appoggiandomi a qualcosa che non può sostenere. Al solito ho spese” è tutto quello che viene fatto. Cibo, abiti decorosi, affitto, gas ed elet- mirato bersagli che mi hanno fatto deviare. Conviene ammettere allora l’in- tricità. Mesi e mesi di “buste paga”. grata incapacità di farsi un fuoco. Ma c’è ancora da dire che all’Università degli Studi di Firenze (Dipar- Ma forse è anche vero che non si può descrivere un racconto di Tolstoj. timento d’Italianistica) ci sono state due lunghe giornate di conversazioni Meglio affidarsi alla leggera nostalgia della memoria e continuare a credere serie su “Alfonso Gatto a Firenze”. Idea e tesi di spinta venuta dal giova- che Gatto amò soprattutto il bambino infelice che era stato: il piccolo bam- ne studente Leonardo Manigrasso. E insieme ai discorsi, al nutrito catalo- bino di “Morto ai paesi” e che se lo tenne stretto al cuore. go, anche una mostra attenta, quasi privata del poeta salernitano a Firenze Ma c’è ancora da dire di lasciare aperta la finestra sulla campagna. Mal- appunto. grado tutto è una sera umida e fresca di questo fine maggio 2007. E oltre la Mi sono trattenuto ai bordi lontani della grande aula e dal grande tavo- siepe al limite dell’orto s’intravedono i neri tronchi dei faggi. lo di fondo dove si parlava. Ero triste perché non avevo motivi per giusti- C’è un posto che vale la pena di vedere, ma è molto costoso. A dire il ficare. E c’è ancora da dire che il passato si chiude così al suo significato pri- vero, e cerco di essere sincero su queste faccende: Firenze grande e morta vato. L’ombra gotica del suo processo solitario: pro e contro del vero di una / nella sera e nel fiume, / una lapide effimera sia vento / al dolce nome, al ripetuta cronaca. grigio della porta. E in ogni caso mi sentivo depresso ed esausto, ma nello stesso tempo an- E non vorrei neanche scriverlo fino a domani, ma il grande amico del- che solo a guardare, tutta quella gente mi riempiva di sensazioni grandio- le notti di Gatto a Firenze e giù fino a Salerno è sempre rimasto Lelio Schia- se. La vita non è abbastanza e Allen Ginsberg ha forse ragione “Gli occhi vone. Ma ormai questo faceva parte del passato. Questo e tutto il resto. IL PORTOLANO - N. 49-50 33

Alfonso Gatto, Vignozzi che riposa.

A questa critica l’autore unisce la denuncia radicale dei movimenti totalitari del Novecento, “il comunismo (fino al 1989), il fascismo e il LE RADICI DI UNA nazismo”. Nei capitoli successivi l’analisi si sposta dai principi generali alle vicende della Cassa Rurale, dalla nascita nel 1914, “tra i venti della CASSA RURALE guerra”, al ruolo profondamente progressista di sacerdoti come Don Primo Mazzolari e Monsignor Orazio Ceccarelli, autentici “testimoni della dottrina sociale della Chiesa”, sempre impegnati nella lotta a difesa Marco Fagioli dei contadini, artigiani e operai (p. 31). In particolare l’autore individua proprio nelle idee di Ceccarelli, sacerdote della Diocesi di Pistoia, il vero e proprio “manifesto costitu- tivo delle Casse Rurali e Artigiane” nel 1906: “Cotesti poveri contadini non hanno bisogno che uno gli presti cento lire per tre mesi, ma hanno ra le linee di tendenza della storiografia contemporanea, quella che bisogno di duecento, cinquecento di più lire per cinque anni, rimettendo Triguarda la storia economica è una delle più diffuse. Secondo un’ac- gradatamente il loro debito. E la Cassa Rurale può fare, come ha già cezione ampia ogni storia è storia economica, ma appunto per questo esi- fatto, tutto questo” (p. 34). stono molti modi per intendere il rapporto tra la storia e l’economia. Nel capitolo terzo, l’autore segnala il rapporto tra l’origine della Giovanni Pallanti, con questo libro, si pone nel solco della tradizione Cassa e il culto della Madonna dell’Impruneta, antica protettrice della storiografica italiana precedente: l’impiego dei modelli matematici e Repubblica fiorentina; Pallanti indica a sostegno di questo rapporto statistici ai fenomeni dell’economia, privilegiando l’approccio classico, quanto documentato da Franco Cardini sul culto della Madonna del- che considera la storia economica come parte della storia generale della l’Impruneta nella Firenze del Trecento (pp. 48-49). società in tutte le sue connessioni sociali e culturali. La fondazione della Cassa Rurale dell’Impruneta il 2 agosto 1914 La storia dell’origine e dello sviluppo della Cassa Rurale dell’Im- costituiva dunque un evento importante nella storia della politica eco- pruneta non è tuttavia né un esempio di microstoria, né un saggio di eco- nomica, un evento di segno profondamente democratico come appare nel nomia applicata: è invece un libro che analizza le vicende di un piccolo manifesto programmatico che affermava: “La Cassa Rurale deve essere istituto bancario secondo l’ottica della storia civile e spirituale della fondata, deve vivere a vantaggio della classe di lavoratori, deve venire comunità in cui è sorto. in aiuto dei contadini, dei piccoli affittuari e possidenti, degli esercenti, Il programma del libro è dichiarato sin dal titolo: le Radici cristiane degli umili artisti, deve venire in aiuto in una parola alla piccole energie della Cassa Rurale (prefazione del cardinale Antonelli, ed. Bandecchi e che sono trascurate dal gran credito e sfruttate barbaramente da una Vivaldi), e tutto lo svolgimento della ricerca, sempre documentata ma schiavitù condannabile – lo strozzinaggio – che sfugge troppo facil- mai pedante, si svolge appunto assumendo come punto cardine il pen- mente alla legge umana, calpestando la divina” (p. 58). siero spirituale e sociale del Cristianesimo nella specifica forma assunta Pallanti segue poi la storia della Cassa dalla sua trasformazione in nella cultura cattolica moderna. Nel primo capitolo Pallanti svolge con Banca di Credito Cooperativo nel 1993 e agli eventi più recenti, fino al estrema chiarezza l’idea generale che sta alla base del suo modello di 2004, nel contesto generale dello sviluppo economico del secondo dopo- interpretazione: la funzione del magistero della Chiesa “contro l’usura e guerra e le crisi che ne segnarono la storia. Il libro si chiude con una cita- per la solidarietà e la cooperazione tra lavoro e capitale”. zione da uno scritto di Carlo Bo che riafferma il valore profondamente L’autore indica così i capisaldi di questo pensiero nel loro sviluppo democratico delle Casse come “Banche dell’Anima”, secondo il signi- storico, dalle origini, il Padre della Chiesa San Basilio Magno, ai Concili ficato più profondo dello spirito cristiano in una società che, di fatto, ne Ecumenici che hanno deliberato contro l’usura, dal Niceno I (325) a nega i valori umani di solidarietà più profondi (p. 93). quello di Vienna (1312), fino alle Encicliche sociali: la “VIX Pervenit” Non spetta a me esprimere un giudizio sul valore di questo libro nel- (1745) di Benedetto XIV, la “Rerum Novarum” (1891) di Leone XIII – la l’ambito della storia economica, ma si può segnalare il suo valore per grande enciclica da cui pare derivare gran parte del pensiero sociale quanto riguarda il rapporto tra questa stroria e quella più ampia della cul- moderno della chiesa – e infine la “Quadrigesimo Anno” (1931) di Pio XI. tura politica del Novecento. Pallanti testimonia nel suo libro quella Alcuni punti della riflessione di Pallanti investono temi fondamentali, visione democratica e popolare cara alla tradizione del cattolicesimo fio- come l’interpretazione della “Rerum Novarum” che – come ricorda rentino moderno, che ha avuto in La Pira il suo esponente più alto, di cui l’autore – secondo Giorgio Candeloro e Norberto Bobbio conteneva ancor oggi si avverte l’eco. idee antisociali e antimoderne, mentre nell’interpretazione più recente di Certo in un’epoca in cui, come ebbe a scrivere un maestro del pen- Piero Barucci e Antonio Magliulo (1996), recepiva una visione più siero sociologico moderno, Emile Durkheim, “i fatti sociali devono moderna del capitalismo, quasi ad anticipare Sombart e Max Weber, essere studiati come cose”, e in cui “l’oggetto dell’economia politica, nonostante il giudizio severo verso il cosiddetto “capitalismo liberale”. così compresa, non è una realtà che possa essere indicata col dito, ma Il punto di vista di Pallanti corrisponde dunque a quello che egli semplici, possibili, puri concetti della mente” (E. Durkheim, Le regole chiama il Magistero della Chiesa, in particolare riferendosi alla “Qua- del metodo sociologico, Roma, 1996, pp. 8 e 41), non è facile accettare drigesimo Anno”, che “denunciava come fonte di ogni sperequazione il l’idea che a muovere l’economia possano essere le leggi della coscienza capitalismo estremo privo di ogni coscienza sociale che, con le sue e dello spirito. ingiustizie, o favorisce i capitalisti senza scrupoli o i più violenti nella Giovanni Pallanti, con coraggio, ha testimoniato proprio questa idea lotta e i meno amanti della coscienza” (p .23). di un primato della coscienza sulla società. 34 IL PORTOLANO - N. 49-50 LORIA e gli spettri

Daniele Fioretti

ome è noto Tzvetan Todorov, nel suo celebre studio La letteratura fantastica dà una Cdefinizione piuttosto restrittiva della categoria del fantastico; nella sua classifica- zione egli tende infatti a escludere tutta la narrativa che fa riferimento al “soprannatu- rale” propriamente detto, e si rivolge piuttosto a quella stretta zona liminare di testi nei quali il lettore si trova spaesato ed è costretto a decidere autonomamente se gli elementi “strani” presenti nel racconto siano o meno da ascrivere a leggi che violano la nostra percezione del reale. Il mondo narrativo descritto dalla letteratura fantastica è infatti co- struito in modo mimetico-realistico ma, a un certo punto della narrazione, si verifica un evento che è inspiegabile seguendo la logica razionale su cui tale mondo si regge. Come ha scritto Roger Callois, «Il fantastico è […] la rottura dell’ordine riconosciuto, irru- zione dell’inammissibile all’interno della inalterabile legalità quotidiana, e non sosti- tuzione totale di un universo esclusivamente prodigioso all’universo reale» (R. CALLOIS, Nel cuore del fantastico [1965], Milano, Feltrinelli, 1984, p. 92). La caratteristica principale del fantastico, in questa accezione, è dunque che il testo non inclina espli- citamente né allo “strano” (o soprannaturale spiegato, come nei romanzi di Ann Rad- Arturo Loria in un disegno di Eugenio Montale cliffe) né al “meraviglioso” (o soprannaturale accettato, come nelle opere di Horace (cortese concessione dell’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux) Walpole), sebbene l’interpretazione non realistica sia decisamente la più probabile dal punto di vista dell’intreccio. gliata. La funzione della morte per Teresa è dunque quella di sottrarre agli “altri” La ripartizione todoroviana è stata accettata da molti critici, ma ha anche suscita- qualsiasi valenza minacciosa e per questo motivo, agli occhi della protagonista, anche to numerose perplessità in coloro che utilizzano in senso molto più ampio la categoria il fratello che non è più in condizioni di nuocerle si mostra nel sogno benigno e ami- del fantastico. Non è nostra intenzione naturalmente prendere posizione per l’uno o l’al- chevole. tro di questi atteggiamenti: la definizione di un genere è sempre parzialmente arbitra- Quello de L’appuntamento è però forse l’unico caso, all’interno della narrativa di ria e, più che considerarne la sua validità in senso assoluto è interessante applicarla ai Loria, nel quale la presenza di un fantasma ha una valenza rassicurante per il personag- singoli testi, “farla lavorare” per verificare se questa apporta o meno un contributo alla gio. Più spesso l’apparizione di spettri si riconnette, secondo un topos della narrativa fan- migliore comprensione dell’opera in oggetto. Ciò che in prima istanza possiamo af- tastica, a un senso di colpa presente nella psiche del protagonista. Tale è per esempio la fermare è che buona parte della narrativa di Arturo Loria rientra a buon titolo nel funzione delle entità che infestano la villa di Peter Schmoll nel racconto Arriva l’impe- campo della letteratura fantastica secondo la tassonomia todoroviana. Esaminando la ratore. Peter, ex capitano dei lanzichenecchi, era stato cacciato per aver fatto uccidere produzione novellistica di Loria troviamo numerosi racconti che si adattano perfetta- in un momento di ubriachezza degli ostaggi importanti. Le oscure presenze, in questo mente al canone di Todorov, e quasi sempre al loro interno compaiono inquietanti pre- caso, appaiono come la materializzazione del senso di colpa del protagonista: Çgli senze spettrali. A parte il giovanile L’egoismo dei morti (scritto nel 1924 ma rimasto ostaggi trucidati avevano emigrato dalle loro tombe, s’erano impiantati nella sua casa, inedito e pubblicato solo nel 1989 in A. LORIA, Memorie di fatti inventati, a cura di presenti come oggetti di prova, pronti nella sua fantasia per essere mostrati all’Impera- Franca Celli Olivagnoli, Firenze, Ponte alle Grazie, 1989, pp. 258-273) che può esse- tore. Nelle stanze disabitate ch’egli solo apriva e percorreva, là, negli angoli più bui e più re situato senza esitazione nel campo del soprannaturale, spesso gli spettri presenti nel- remoti, stavano grandi figure paurosamente avvolte in veli neri, curve come in atto la narrativa loriana appaiono legati a un immaginario visionario di tipo onirico, che su- di contrizioneÈ (LORIA, Il cieco e la bellona [1928], Milano, Mondadori, 1959, p. 154). scita nel lettore il ben noto sentimento di “esitazione”, il dubbio cioè se l’apparizione L’unico possibile intervento dei vivi sui morti, anche stavolta, assume la forma di un rito sia dovuta a sogni, allucinazioni o a cause soprannaturali. Per esempio nel racconto propiziatorio ed esorcistico, che però non ottiene il risultato sperato. I “cavalli carnivo- L’appuntamento (incluso nella prima raccolta di Loria, Il cieco e la Bellona) la prota- ri” da adoperare in battaglia, grazie ai quali Peter spera di tornare nelle grazie dell’Im- gonista, Teresa, vive da anni ai margini della realtà, rifugiandosi in un suo mondo al- peratore sono soltanto un’illusione, frutto di una beffa giocatagli dal cavallaro Erman- lucinato nel quale lo stato onirico prevale rispetto a quello di veglia. In questa dimen- no, e quindi il protagonista resta prigioniero del suo angoscioso senso di colpa, vittima sione alternativa Teresa viene spesso visitata dai morti, e solo in loro compagnia ella e carnefice insieme in una sua personale e interiore “stanza della tortura”. Allo stesso trova rimedio ai torti subiti nell’esistenza reale. Gli ectoplasmi che popolano i sogni di modo in un altro racconto inedito scritto nel 1938, intitolato Il canale, due amanti as- Teresa, al contrario di quanto avveniva ne L’egoismo dei morti rivestono, agli occhi del- sassinati appaiono al protagonista, complice del delitto, pallidi e con aria vendicativa ri- la protagonista, una funzione essenzialmente consolatoria, se si esclude l’orribile ap- flessi nelle acque del canale presso il quale sono stati uccisi. Anche stavolta il tentativo parizione della gamba del malvagio fratello Pietro, tagliata anni prima a causa di una di esorcizzare il senso di colpa attraverso il rito penitenziale per eccellenza (la preghie- cancrena. La valenza rassicurante di questi spettri, rifugio di una mente ormai preda del- ra) è totalmente inefficace (LORIA, Memorie di fatti inventati, cit., p. 375). la follia, è dimostrata dal fatto che la protagonista, in seguito all’improvvisa sparizio- Come si è visto, nelle novelle di Loria l’apparizione di presenze spettrali è molto ne di queste visite notturne inizia a desiderare appassionatamente la morte del fratello, spesso collegata al senso di colpa di un personaggio, e quindi alla sua interiorità psi- che nei suoi intendimenti dovrebbe rappresentare una sorta di vittima sacrificale gra- chica. Più in generale si può affermare che il senso di mistero, che è l’elemento carat- zie alla quale ristabilire un contatto con il mondo degli spiriti. Ci troviamo qui al co- terizzante della letteratura fantastica, ha stretti legami con la psicologia del profondo. spetto di un elemento ricorrente nella narrativa “fantastica” di Loria: la messa in atto Non a caso Freud, per illustrare il suo concetto di “perturbante” (unheimlich), prende di un rito, a volte penitenziale, altre volte palesemente esorcistico, volto a placare i de- come spunto il racconto di E.T.A. Hoffmann Der Sandmann analizzandolo con il me- funti o a propiziarseli. E infatti, dopo la scomparsa del fratello Teresa ricomincia a so- todo psicoanalitico e giunge alla conclusione che l’effetto perturbante che tale raccon- gnare i fantasmi e le appare anche lo stesso Pietro, ricongiunto nel sogno alla gamba ta- to comunica al lettore deve essere ricondotto al meccanismo della “coazione a ripete- IL PORTOLANO - N. 49-50 35 re”, in base al quale un contenuto psichico represso si ripresenta mascherato sotto dal mondo essi permangono, come dei revenant; non sono dunque soggetti a un diver- nuove forme, e quando si ripresenta suscita proprio una sensazione strana e angoscio- so statuto esistenziale, ma presentano piuttosto una profonda affinità con le altre grot- sa (S. FREUD, Il perturbante [1919], ora in Opere vol. IX, Torino, Bollati Boringhieri, tesche figure che popolano i racconti di Loria; possiamo anzi considerarli, sempre se- 2003, p. 99). Applicando alla narrativa di Loria il concetto di unheimlich potremmo dun- condo Ernestina Pellegrini, «la punta più alta della gerarchia dei personaggi eccentri- que ipotizzare che l’elemento fantastico e “perturbante” di certi racconti abbia una stret- ci e fuori posto, nella resa iperbolica delle figure del contro, dei reprobi, dei personaggi ta attinenza con il “ritorno del rimosso”, ovvero con il ripresentarsi in forma masche- al nero di Loria, di tutta quella popolazione di mendicanti, gobbi, ladri, evasi, maghi che rata di un trauma psichico. Non di rado nell’opera di Loria troviamo ad esempio trac- infesta poeticamente il ventre umido dei suoi racconti più belli» (PELLEGRINI, La riserva cia di un conflitto latente con la figura paterna; il caso forse più evidente, nel quale tra ebraica, cit., p. 127). Seguendo questa interpretazione dunque gli spettri loriani non ci l’altro questo tema si lega alla presenza di uno spettro, è dato dal racconto Il quadro in- appaiono più dei personaggi diversi dai viventi ma risultano anzi ancora strettamente compiuto nel quale il protagonista, pittore fallito e inetto, continua a vivere e lavorare legati alla vita: una schiera di morti-vivi come le apparizioni presenti nella Lettera su- nello studio ereditato dal padre morto. Il permanere in questo luogo del ricordo oppri- gli spettri (1954) o nei già citati racconti L’appuntamento e Arriva l’imperatore. A que- mente di questa figura impedisce di fatto, nel figlio, la maturazione di una propria ma- sti morti-vivi fanno da contraltare molti vivi-morti, scarti posti ai margini della società, niera artistica originale, tanto che quest’ultimo si è ridotto a campare della vendita dei resi evanescenti dalla loro stessa inessenzialità. Il protagonista del racconto L’alber- quadri del padre. Ma questa presenza così ingombrante del defunto si concretizza in im- gatore malato ad esempio, ormai soppiantato dal figlio, viene definito dai clienti come magine spettrale solo nel momento in cui il figlio, su richiesta di un mercante d’arte, “il fantasma dell’albergo”, ovvero un uomo finito, senza più fede o tradizioni da cu- pone mano a un quadro incompiuto: «a un tratto, m’è parso che accanto alla tela sor- stodire o rivitalizzare. E anche Gerolamo, “compagno dormente” del racconto omoni- gesse una figura pallida, ossuta, a scacciarmi da quell’indagine, a rimandarmi al mio più mo, ha nel sonno “qualcosa di malato”, appare solitario e indifeso. Questa figure emar- astratto lavoro per vedere se n’ero contento, ormai, se mi bastava. Ho compreso ch’e- ginate, inermi e prive di forze sono l’esatto contrario (o forse l’altra faccia) dei perso- gli occupava ancora il suo studioÈ (LORIA, Il compagno dormente, Milano, Mondado- naggi “vitalistici” come Squitti o il falco; in questi racconti Loria espone una sua vera ri, 1960, p. 134). E poche pagine più avanti l’opposizione paterna prende quasi consi- e propria “religione della morte”, che è poi in realtà una specie di etica della rinuncia stenza fisica: «m’è sembrato che la mano di lui, gelida, mi allontanasse dal quadro e dal- alla vita; un elemento che gradualmente prende sempre più forza nella prosa narrativa lo studio. Per un attimo ho avuto l’istinto di fuggire; poi, col sentimento di aver subi- di Loria. é forse a partire da queste considerazioni che possiamo notare una forte con- to un terrore prevedibile in tale mio sforzo di iniziazione, ho ricollocato il quadro alla sonanza autobiografica fra alcuni personaggi e la figura dell’autore. Lo spettro appare, parete e sono uscito in strada, lungi dalle immagini sue e dalle mieÈ (LORIA, Il com- in questa luce, quasi una figura paradossalmente emblematica della crisi dell’individuo, pagno dormente, cit., p. 137). Soltanto l’identificazione col padre, la risoluzione di as- della sua mancanza di vitalità; e il tema della vecchiaia, ovvero della precoce senescenza sumere la sua maniera pittorica per portare a termine il quadro sanciscono la fine del del protagonista del Diario senile, diviene allegoria di un personaggio (autobiografico) conflitto con la figura genitoriale e l’ingresso di quest’ultimo nell’età matura, simbo- che si sente ormai superato, sopravvissuto a se stesso (cfr. L. BALDACCI, I racconti di leggiato dalla vendita del suo primo dipinto. È da notare comunque che tale “matura- Loria in L’opera di Arturo Loria. Atti del Convegno di Firenze 21-23 febbraio 1991, zione” del protagonista è solo apparente e che si risolve in realtà, in ultima analisi, in a cura di Rita Guerricchio, Firenze, Festina Lente, 1993, p. 15). una sorta di “resa” al potere immanente del padre. é difficile dire quale sia la causa, o la serie di cause, che innescano la crisi espres- Il tema del conflitto con la figura paterna torna frequentemente nella narrativa di siva di Loria. Nel 1933, anno cruciale, egli vince il Premio Fracchia, ideale suggello del- Loria, anche in racconti che non presentano nuclei tematici riconducibili al fantastico; la sua carriera fino a quel momento. Ma il 1933 è anche l’anno della morte per tuber- ad esempio ne La casa ritinta si assiste al tentativo (stavolta fallimentare) da parte del colosi della pittrice polacca Polia, conosciuta a Parigi nel 1928 e amata da Loria. I mor- protagonista, di liberarsi dall’opprimente ricordo del padre, al quale è succeduto nella ti entrano, da questo momento, nelle “carte liberatorie” dell’autore e diventano i suoi direzione di una casa di riposo. Stavolta però il rito teso a esorcizzare la memoria del interlocutori privilegiati, come ricorda Franca Celli Olivagnoli, citando le Memorie inu- padre è fin da subito evidentemente inadeguato: far ridipingere in rosa la grigia facciata tili: «[I morti] sono i miei veri compagni […] i soli che sarebbero in grado di capirmi» della casa paterna Çquasi sfogasse un rancoreÈ non fa che sottolineare, nel finale del rac- (cfr. CELLI OLIVAGNOLI, Avventure personali. Biografia di Arturo Loria attraverso gli conto, il fallimento del figlio, la sua incapacità di portare a termine un’azione di con- scritti, Firenze, Ponte alle Grazie, pp. 91-92). E, in un blocco “Memento” inedito Lo- tenuto e non semplicemente “di facciata”: «La casa era quasi finita ed egli si trovava ria scrive: «Io vi rivedo tutti [i morti] come il popolo tra cui vorrei vivere. C’è tra voi impreparato a viverci, vecchio uomo della casa buia, grigia e sporca come la custodi- chi sa un rimorso e potrebbe perdonarmi e darmi paceÈ (cfr. CELLI OLIVAGNOLI, Av- va suo padre. S’accorse, osservando come i ricoverati godevano dell’aria di novità crea- venture personali, cit., p. 102). Non sarà dunque azzardato considerare gli spettri del- ta nell’Ospizio dai festoni e dalle bandiere, che niente sapeva cambiar per lui, che nien- le novelle di Loria come una allegoria di questa crisi della vitalità, di questo “soprav- te sarebbe cambiatoÈ (LORIA, La scuola di ballo [1932], Firenze, Vallecchi, 1986, p. vivere a se stessi”. Del resto gran parte della narrativa di Loria, secondo Giorgio Bár- 52). Dietro alcuni racconti di Loria potrebbe dunque nascondersi un conflitto fra l’au- beri Squarotti, tende all’allegoria: un’allegoria assoluta che vale sempre e dovunque, ai tore e la figura paterna; questa almeno è l’opinione di Michel David, che nota che «il fini della quale «non conta la precisione dei luoghi e l’esattezza dei tempi: conta l’e- padre, poco evocato nei testi intimi, […] è invece onnipresente, come imago protago- semplarità dei personaggi e dei fatti» (G. BÁRBERI SQUAROTTI, Tecnica e ragioni del nista più o meno schiacciante di ogni trama di novelle» (M. DAVID, Loria e la malin- racconto di Loria in La zona dolente, cit., p. 53). Questa nuova chiave di lettura ci con- conia in La zona dolente. Studi su Arturo Loria, a cura di Marco Marchi, Firenze, Giun- sente allora di proporre una diversa interpretazione del racconto Il quadro incompiuto. ti, 1996, p. 111). Molto spesso si tratta di figure investite di poteri coercitivi che im- Il contrasto fra la figura del figlio e lo spettro del padre potrebbe essere visto non tan- pediscono l’affermazione del figlio, come nel racconto La casa ritinta; David giunge to (o non soltanto) come rappresentazione del “ritorno del rimosso”, quanto come un perfino a definire, nel caso de Il quadro incompiuto, “impotenza artistica” l’impossi- confronto, una specie di ritratto sdoppiato dell’autore fra la prima maniera degli anni bilità da parte del protagonista di superare il padre. Si tratta evidentemente di una ipo- solariani e la seguente crisi espressiva. La creatività bloccata del figlio rappresenterebbe tesi estremamente suggestiva e forse verificabile nel testo ma che rischia di scadere nel- dunque il senso di crisi di uno scrittore che si sente ormai quasi erede di se stesso. lo psicologismo, nella tentazione di psicanalizzare un autore attraverso le sue opere; una In conclusione possiamo dunque affermare che il “fantastico” di Loria può essere ipotesi che è inoltre molto difficile da dimostrare confrontandola con la biografia del- interpretato in luce prevalentemente allegorica e questo sottolinea l’originalità di que- l’autore, vista l’estrema riservatezza di Loria in merito alla propria vita privata, ele- sto scrittore che, partendo dall’esempio dei narratori ottocenteschi del fantastico, rive- mento che è stato a più riprese sottolineato anche da Montale, nella doppia veste di ami- la una profonda, anche se dissimulata, vena autobiografica e esistenziale, portando avan- co e di recensore. ti una riflessione approfondita sul destino dell’uomo grazie alla quale l’autore supera Un’altra interpretazione, altrettanto interessante e forse più fondata, è quella che i limiti naturali del genere fantastico per avvicinarsi invece ad un pessimismo di chia- vede gli spettri di Loria non tanto come rappresentazione di elementi perturbanti o sen- ra matrice leopardiana. Valga per tutti l’esempio del racconto Gli evasi. L’immagine dei si di colpa ma piuttosto in funzione allegorica. Per capire fino in fondo il senso di que- prigionieri in fuga “sotto un cielo nemico” appare così emblematica di una condizione ste apparizioni dobbiamo anzitutto notare l’assenza di una netta demarcazione, nei esistenziale nella quale la sconfitta è inevitabile; solo a partire da questa consapevolezza racconti, fra vivi e morti che deriva secondo Ernestina Pellegrini dalla radice ebraica del dolore come destino ineluttabile può nascere una effimera, disperata solidarietà che della cultura di Loria, focalizzata più sul concetto di male fisico che su quello di male per un istante vince l’egoismo: «Cominciò la disperata corsa. Via via che la nave s’in- metafisico: «tutto è iscritto irrimediabilmente nell’aldiqua. Perché Loria ha della mor- grandiva la loro forza s’esasperava e più che da una speranza di salvezza, eran mossi te un’immagine sedentaria, incavicchiata nella terra. […] I morti di Loria scendono, non dall’atroce volontà di rendersi malati e sfiniti, di diventar ciechi e sordi di stanchezza salgono. E l’aldilà è una specie di Sheol, di buio ipogeoÈ (E. PELLEGRINI, La riserva per non sentire il tocco feroce di chi li avrebbe riagguantati, l’ingiuria e lo scherno de- ebraica. Il mondo fantastico di Arturo Loria, Reggio Emilia, Diabasis, 1998, p. 126). gli inseguitori fortunati. Orlando cadde per primo, esausto. Zambrino lasciò i remi e in- Questa mancanza di una “topografia alternativa” per le anime dei defunti ha una con- crociò le braccia. Dal fondo della barca Orlando lo fissava con occhi attoniti, già ingrati; seguenza importante nell’universo narrativo di Loria: fa sì che i morti non godano di pure egli seppe dire: “Mi dispiace per te, che sei giovane”» (Loria, Fannias Ventosca uno statuto particolare. In assenza di qualsiasi prospettiva trascendente anziché uscire [1929], Milano, Mondadori, 1961). 36 IL PORTOLANO - N. 49-50 Caos Calmo di

Ernestina Pellegrini

andro Veronesi è fra gli scrittori più originali e direi “moderni” del- condo me, proprio dalla fuga, dalle strategie di fuga da ogni profondità. Sla sua generazione. Me ne accorsi, non tanto mentre leggevo con gu- Il caos c’è e si accumula alle nostre spalle, quelle di Pietro Paladini e sto i suoi primi romanzi, ma quando ebbi fra le mani un libretto del 1999 quelle del lettore, mentre tutto scivola sulla superficie inclinata e iride- che si intitolava Nel caldo cuore del mondo. Lettere sull’Italia, in cui dia- scente, e calma, di un eterno presente. A un certo punto si dice, con una logava con Alfonso Berardinelli, su questioni come “Il moralismo degli delle tante frasi-insegne che prima segnalavo: “Siamo accidenti in atte- italiani” o sul fatto che “Nella nostra società opulenta non abbiamo di- sa di accadere”. Tutto, in Caos calmo, è collocato in primo piano, come ritto all’infelicità”. Erano dei vivaci microcosmi di pensiero in forma di in un bassorilievo, come nei grandi capolavori dell’epica antica. E come corrispondenza ed erano carichi di un’acutezza e spregiudicatezza scon- nell’epica antica, dalla storia principale si aprono infinite ramificazioni, certanti, in cui si metteva a nudo e si faceva affondare ciò che lo scrit- storie dentro la storia, digressioni e parentesi allineate con un effetto stu- tore stesso definiva la “zavorra etica”. Erano pagine tanto più efficaci diato di simultaneità. quanto più lo scrittore usciva fuori da tutti gli schemi dei moralismi po- Voglio dire che non si può capire la forza e il succo profondo di un sticci e di maniera. Ero davanti a un moralista ex lege di stampo pasoli- romanzo come Caos Calmo, vincitore dell’ultimo premio Strega, un niano, uno scrittore saggista che avevo ammirato anche alcuni anni pri- romanzo senza dubbio apprezzabile immediatamente per la sua pro- ma leggendo le sue quattro storie sulla pena di morte, raccolte in un li- rompente forza narrativa, senza leggerlo alla luce di scritti come quelli bro intitolato Occhio per occhio, un libro del 1992, che era stato scritto appena ricordati, alla luce di quell’illuminismo postmoderno che fa di lui Ð come si capisce solo dal risvolto di copertina Ð per un interlocutore uno scrittore totalmente, irriducibilmente diurno (anche se lo scrittore, da davvero eccezionale, perché era stato inteso, nientedimeno, che come una qualche parte, ha detto che un giorno fece un viaggio a Praga e portò con lettera al Papa. In tutto fermentava, lo sentivo bene, il tessuto robusto di sé una pagina del romanzo che stava scrivendo per strusciarla sulla tom- un irriducibile illuminismo, quello che appartiene in modo esplicito al ba di Kafka). Veronesi è uno scrittore diurno, dicevo, con una categoria Veronesi saggista, e che è, secondo me, il nutrimento fondamentale an- un po’ vistosa e grossolana, anche perché, fra le righe dell’avvincente che del suo ultimo romanzo. Solo che qui, in Caos calmo, le radici filo- macchina del racconto che parla con lo stesso tono della vita e di ciò che sofiche di partenza sono state mandate a farsi benedire, e il lettore vie- quella vita minaccia, la prospettiva unica e decisa prescelta è quella di ne affascinato e travolto da una narrazione epica senza doppi fondi, una spavalda elementarietà. Nel romanzo si parla da un punto di vista senza derive prospettiche, senza ombre, anzi il divertimento nasce, se- particolare che è il punto di vista della fine, e parlando di tutto e del con-

Bruno Innocenti, Studio di nudo. IL PORTOLANO - N. 49-50 37 trario di tutto si finisce col parlare soprattutto di morte, della capacità di vivere e di elaborare o non elaborare il lutto, si parla di rimozione del do- lore e della morte in una società sempre più votata alla produttività e al successo, che ha fatto della morte il supremo tabù, e si parla, in toni lu- cidi e spietati, con la giusta dose di piombo, dell’Italia contemporanea, delle sue radicali, penose, rapidissime mutazioni antropologiche. Ma tut- to è risolto con sapienza in spavalda elementarità. Forse per questo, un critico recensore ha addirittura scritto per approssimazione: “questo ro- manzo è un cartoon” (Francesco Longo sul “Riformista del 5 ottobre 2005). C’è chi considera Veronesi l’erede di Moravia, e c’è chi vede in lui, invece, il portavoce di certe visioni pasoliniane di apocalisse culturale e di mutazione antropologica, di una Italia che da decenni - come si leg- geva in quei vivaci dialoghi con Berardinelli - “non smette mai di fini- re”. E certo la linfa profonda di questo scrittore cosmopolita, di questo abile traduttore di scrittori americani, che hanno dato un’impronta for- te alla sua pagina (John Fante, ma anche Pynchon e Wallace), uno scrit- tore che ha lavorato per il cinema e per i giornali, che ha fondato una casa editrice coraggiosa e internazionale come Fandango, uno scrittore tra- dotto in più di dieci lingue straniere che alle volte dice di voler diventa- re un venditore di automobili, e per fortuna non lo fa, e che comunque non recita mai nessun copione dell’intellettuale di professione, ecco la linfa profonda di questo scrittore molto originale e propulsivo, giovani- le nell’anima, lontanissimo dagli scrittori “notturni”, o dai neomistici estetizzanti dei nostri giorni (per intenderci dagli scrittori palombari amanti degli abissi di marca mitteleuropea), viene anche da lì, dalla mi- Calusca, Nudo. litanza nella agguerrita rivista “Nuovi Argomenti”, da ciò che chiamerò “l’eredità dell’impegno” di Moravia, di Pasolini, di (anzi, co. Ma tutta la realtà intorno a lui gli manda segnali di dolore e di mor- credo persino che nel cognome della moglie del protagonista del ro- te. È come se fosse costretto a lavorare coi rottami della realtà. Una goc- manzo, Lara Siciliano, ci sia un omaggio all’amico scomparso). cia di sangue sul volto di una donna (la cui vista lo fa svenire), una mac- Noi, studiosi di letteratura, abbiamo molto spesso dei vizi profes- china incidentata che nessuno viene mai a ritirare. Tutto entra dentro la sionali che ci fanno assomigliare a quei bambini che rompono i giocat- sua bolla di quiete, tutto si proietta in una garrula e indiretta lamentazione toli che più gli piacciono per capire come sono fatti. Così, mi sono mes- corale. Ci sono personaggi che sono lo specchio evidente di questo non sa a smontare il romanzo, a mettere in relazione alcuni suoi passi con al- voler sapere, non poter sapere del personaggio principale, della sua au- cune dichiarazioni di intenzioni che lo scrittore stesso ha fatto in sede di toimposta, simulata paralisi esistenziale: la finta paraplegica che Pietro interviste, per trovare le ragioni di un successo editoriale e di pubblico aveva incontrato sull’aereo, che di notte si alza e va da sola in bagno; il che le numerose recensioni a caldo non riuscivano, secondo me, del tut- bambino down trascinato della madre a fare la terapia che, ogni giorno, to a centrare. Non starò certo qui a annoiarvi con i miei vetrini di labo- prova gioia al lampeggiare dei fari della macchina di Pietro; il cane ratorio critico. Vuol dire che consegnerò a Sandro Veronesi come un re- Nebbia (nome non casuale) che una bella ragazza porta quotidianamen- galo particolare della Facoltà di Lettere questo mio studio critico più lun- te a giardino pubblico; il padre di Pietro perduto in una rassicurante e go e analitico di quello qui presentato, uno studio che poi pubblichere- progressiva smemoratezza. Il protagonista, sigillato nella condizione mo, se Francesco Gurrieri e Maria Fancelli sono d’accordo, sulla nostra limbica del proprio lutto bianco, percepisce e registra solo i rottami rivista “Il Portolano” (dove è già uscita, sull’ultimo numero, una bella re- della realtà, e in quei rottami ritrova la propria inconsistenza. censione di Francesco Gurrieri). Ma permettemi almeno di indicarvi Quante volte, ognuno di noi, travolto dagli impegni e da ritmi che ci due o tre elementi costitutivi della narrazione, una narrazione che sem- impediscono di vivere, ha pensato: e se mi fermassi, cosa succederebbe? bra animata da forze centrifughe, che sembra mimare e rincorrere i pen- Ecco, il romanzo racconta cosa può succedere se uno decide di fermar- sieri che attraversano in turbolento disordine una calotta cranica, e invece si, di porsi fuori dalla attivistica e efficientissima mobilitazione genera- poi, a guardar bene, si rivela fatta di blocchi nascostamente interrelati e le. E Il romanzo, allora può essere letto come la registrazione minuta, venata da simmetrie profonde. precisissima di una anestesia sentimentale e emotiva, di un uomo che non Innanzitutto, vediamo la trovata narrativa attorno a cui si sviluppa la riesce a soffrire come si aspetterebbe, come pensa che dovrebbe succe- macchina degli eventi rappresentati, con un piglio naturalmente cine- dere, e che blocca la sua vita, ponendosi in una posizione di passiva con- matografico (cinematografico, nel senso che al centro c’è sempre e solo templazione totale. E così, mentre sta ad aspettare qualsiasi cosa accada, l’immagine, con la sua evidenza di piatta superficie, senza retromondi che non vada al di là dell’ombra proiettata dalla propria persona, impa- astratti). La trovata narrativa, dicevo, è questa: un uomo, Pietro Paladi- lato come una sentinella sotto la scuola della figlia, si mette a osservare ni, dopo la morte improvvisa della moglie, si accorge che non riesce a la vita che gli gira intorno, a ripensare il proprio passato, e a stendere in- provare dolore. In realtà potremmo usare per lui la felice e spaventosa e ventari inutili, inventari delle cose più svariate: tutte le donne che ha ba- ambiguissima formula che Dickens racchiuse, in Hard Time, nel dialo- ciato; le compagnie aeree con cui ha volato; le case da cui ha trasloca- go fra la figlia e la madre morente, in cui il pensiero di morte viene enun- to. Ma giorno dopo giorno, durante il suo calvario senza dolore, appa- ciato in maniera dissociata dal soggetto che lo pensa, mettendo in rilie- rentemente senza dolore (perché in realtà non c’è nulla di più terrifican- vo lo spostamento impersonale e neutro, spaventosamente neutro del si- te di quel caos calmo; è un po’ come sentirsi al centro di un occhio del gnificato, per un effetto evidente di rimozione. Luoisa chiede alla signora ciclone), giorno dopo giorno, dicevo, in un’estate che sembra senza fine Gradgrind: “Are you in pain, dear mother?”; e questa risponde: “I think (perché anche il tempo sembra essersi bloccato) Pietro vede arrivare i there is a pain somewhere in the room, but I couldn’t positively say that suoi amici, i suoi parenti e i suoi colleghi. Vanno a trovarlo, tutti, per ca- I have got it”. pire, per smuoverlo, magari per proporgli nuove cariche di lavoro ai ver- Pietro sta in attesa di un dolore che non arriva e che non riesce a pro- tici dell’azienda, per avere da lui consigli, come se da quella posizione vare. Si apposta ogni giorno davanti alla scuola della figlia, dall’inizio al estrema, di chi si è tirato fuori, Pietro avesse diritto a una sorta di enig- termine delle lezioni, si lascia vegetare. Non si reca più al lavoro, pur es- matica e vuota trascendenza. Accade quello che accadeva a Perelà, l’uo- sendo un alto dirigente di una rete televisiva nazionale, e si abbandona mo di fumo di Palazzeschi, che rispondeva solo “Io sono leggero, tanto alla rassicurante atmosfera di una vita circoscritta, che si ripete, immu- leggero”. Uno stralunato, eloquente pellegrinaggio. Uomini e donne ri- tata, ogni giorno: una ragazza che porta fuori il cane, un bambino down mangono a parlare con Pietro, rovesciando su di lui, mezzo indifferen- che va a fare la sua terapia, un vecchio vedovo impegnato in un traslo- te, i loro semisommersi ingorghi intimi: la cognata Marta che ha dissi- 38 IL PORTOLANO - N. 49-50 pato la propria bellezza di show-girl televisiva e si trova per l’ennesima do il resto del mondo nella sofferenza vera”. Non è questo, del resto, mi volta incinta, dopo aver generato tre figli da tre uomini diversi; il fratel- chiedo, il senso della scelta di uno dei colleghi manager d Pietro, di quel- lo Carlo, stilista famoso e oppiomane, un inguaribile Peter Pan, con lo che molla tutto e va a fare il volontario in Africa? E non viene da qui alle spalle il trauma di un’amante suicida; i colleghi di lavoro, travolti anche la scelta di ambientare la storia a Milano, nella città più occiden- dalla complessa e spietata fusione della mega-azienda italiana con una tale d’Italia? La storia di Pietro, del suo dolore differito o rimosso, in- multinazionale francese; il ritorno della donna salvata dal protagonista somma, è un pretesto, riuscitissimo e avvincente quanto si vuole, per mentre stava annegando nel mare in tempesta, con la quale si consumerà, mettere in scena sulla pagina il mondo della globalizzazione, delle lot- verso la fine del romanzo, un violento incontro erotico. Il paradigma vit- te di potere transnazionali, lotte dal sapore shakespeariano ma calate nel- timario – come lo chiama René Girard - è rovesciato. Le parti si inver- le strutture di vetro dei grattacieli metropolitani o all’interno di macchi- tono, quasi comicamente, e tutto, venendo visto dall’angolo visuale ir- ne futuribili, macchine-feticci diventate nidi tecnologici per un’umanità rimediabilmente esterno in cui Pietro si è situato, sembra grottesco e in- autistica e incapace di comunicare veramente (per questo, in questo ro- sensato. Pagina dopo pagina, Veronesi, disegna un invisibile grafico manzo, ogni abbraccio, ogni amplesso erotico, può essere solo l’espli- che mostra un ironico dislivello: il dislivello fra la parte che ognuno pen- citazione di una violenza). sa di recitare nella vita e quella che egli recita veramente, dentro di sé. Lo sguardo o il pensiero di Pietro – perché non si deve dimenticare Sono le vite degli altri che si specchiano nell’immobile, paziente e ine- che il romanzo è un ininterrotto monologo di 400 pagine – lo sguardo di sorabile occhio di Pietro, incapace di venire ai ferri corti col proprio lut- Pietro, dicevo, diventa lo specchio di un mondo parossisticamente votato to interno. Le vite degli altri, osservate da una distanza ravvicinata, fat- al successo, dove una bambina di 10 anni, rimasta orfana da pochi gior- te spesso di dettagli, dettagli captati con un distacco a volte vertiginoso, ni, scrive nel suo diario: “Voglio essere dura, sexy e cattiva”, mentre è con lo scrupolo asettico di un entomologo, le vite degli altri diventano le ossessionata dai palindromi imparati a scuola, nell’illusione che tutto, an- superfici riflettenti la generale insensatezza e la casualità della vita. Im- che il tempo, possa assoggettarsi a quella legge di reversibilità totale che possibile estrarre dalla lutulenta banalità della vita, delle vite, qualche nega l’evidenza dei drammi reali. Un mondo, tutto sommato, disumano, frammento luminoso. Le vite degli altri, sono viste da chi ha deciso di ri- superficialmente disumano, il cui destino, magari, può essere rintracciato nunciare, in qualche modo, alla propria: tanti caos calmi in cerca di una nelle canzoni elettroniche dei Radiohead, o nelle vaticinazioni di una via d’uscita. L’antieroe senza qualità, che fugge da ogni profondità, at- maga di periferia. Tutto, però, è epurato qui da ogni moralismo postic- traverso il cui sguardo e la cui immaginazione tutto viene proposto e ri- cio. E questa lezione di disincantato pragmatismo, che è Caos calmo, si muginato, abita un vero e proprio fuoricampo della scena, restando sul- concretizza e fissa in alcune frasi che hanno la funzione di insegne lu- la superficie di tutto, galleggiando sulle tempeste della vita, come quan- minose, frasi quasi aforismatiche, come quella del bambino che, per do sul surf affrontava, a inizio dell’intera storia – efficace metafora - le reagire alla prepotenza della cuginetta che gli strappa tutti i giocattoli di onde travolgenti del mare. “Non posso continuare. Continuerò” – dice la mano, dice: “Stai attenta, sai, perché io sono buono”; o è racchiuso, que- frase di Beckett, posta in apertura di storia di questo estremo straniero sto disincantato pragmatismo, nell’epigrafe di quarta di copertina che esistenziale, per il quale perfino la metafora della stranieritudine è di- dice: “La gente pensa a noi infinitamente meno di quanto crediamo”. Ed ventata una ridicola e vuota retorica ideologica, quella di uno straniero è questo disincantato e brutale e dolorosissimo pragmatismo senza vero fra tutti stranieri, che potrebbe avere, certo, nel Mersault di Albert Ca- dolore la forza del romanzo, che resta un romanzo e basta, in cui il pen- mus, che sa vivere solo al grado zero delle sensazioni, un autorevole pro- siero filosofico di partenza che lo ha generato si è ritirato, è stato costretto genitore, così come lo può avere nel cinematografico e del resto citato a ritirarsi, come la marea dalla battigia di una spiaggia. Perché Verone- Chance di Oltre il giardino. Ma ci sono anche tanti altri antenati di Pie- si è – come ha scritto acutamente Massimo Onofri – uno scrittore “me- tro Paladini che vengono indicati dallo scrittore stesso, in una intervista: ravigliosamente denotativo”, uno scrittore denotativo che può permet- e sono Cosimo del Barone rampante o il Marcovaldo di Calvino. tersi, allora, un titolo molto metaforico, Caos Calmo, che ricorda il titolo Ecco, allora, che le nostre letture dei lavori di Veronesi che prima ri- di un grande scrittore americano, Wallace Stegner, che io tradussi per cordavo ci vengono in aiuto. E posso dire che lo scrittore ha finito col Vallecchi negli anni Ottanta, un titolo tratto dal lessico dell’ingegneria, prestare al suo protagonista alcune sue intenzioni esplicitate, autobio- Angle of Repose, l’angolo di riposo, che è la posizione estrema di un graficamente, a Berardinelli nelle interessanti conversazioni del 1999. masso, durante una frana, quando rimane sospeso in attesa della caduta Cito un passo che potrebbe essere visto come uno dei semi da cui è sca- decisiva. turita l’ideazione del personaggio Pietro Paladini: Il romanzo, allora, diventa e ingloba tante cose, come un masso che cade e si porta dietro tutto, detriti, piante, cose, persone, sentimenti, Caro Berardinelli, pare che siamo arrivati alla fine della nostra cor- emozioni. Ma questa storia epica, che è insieme storia di un ritorno e di rispondenza. A me è servita. Mi ha fatto tenere accesa, nel cervello, la una fuga, può essere letta in mille modi, perché è, come tutti i veri ro- parte che normalmente tengo spenta più che posso, quella che sta tra la manzi, un inesauribile pozzo di San Patrizio. Così c’è chi ha letto Caos percezione del mondo e la sua rielaborazione, quella che si occupa del- calmo come un outing generazionale, come la testimonianza di chi è sta- la decifrazione. […] [Uno dei risultati] è stato trovare conforto alla de- to giovane negli anni Settanta, e si interroga sulle differenze di cosa si- cisione presa qualche anno fa di spegnerla, quella parte del cervello, e gnifichi essere ribelle o sovversivo, o sulla impossibilità di diventare pie- sforzarmi ostinatamente di non capire, di non interpretare, tagliando fuori la componente per così dire filosofica della mia vita. Ho avuto con- namente adulti, o sull’essere padre, o sul subire la psicanalisi passiva, ferma di aver fatto bene, se davvero intendo Ð come pare Ð vivere una cioè quella degli altri, così come si subisce il fumo passivo, arrivando a vita il più possibile serena, e tirar su i miei figli con un minimo di pace. porsi l’obiettivo – come lo scrittore ha confessato a un giornalista – di Rinunciando il più possibile - ed ecco la parola su cui vorrei impostare provare a scrivere una specie di Coscienza di Zeno 2. Ma il romanzo par- la nostra ultima conversazione Ð alla sofferenza. la anche del day-after della famiglia, della logica squinternata e geniale dei bambini, costretti talvolta a prendersi carico della crisi dei genitori “Rinunciare il più possibile alla sofferenza”. Una professione espli- (sarà, infatti, la figlia Claudia, a smascherare e a risolvere il disagio del cita di antidolorismo letterario. Del resto, anche oggi, in un’intervista su padre, che con l’alibi di proteggere lei proteggeva se stesso). “Vanity Fair”, Veronesi sostiene che “a lui il dolore rovina le pagine”. Insomma, a libro chiuso, si capisce che la vita di Pietro è la mancanza Non solo, ma il dolore, la rappresentazione del dolore, potrebbe farlo ca- della sua vita, una nostalgia un po’ stupita per un’esistenza che non c’è dere – come dice di temere – “nelle grinfie di Michelstaedter”, il filosofo mai stata, per una pienezza di senso e di felicità che il bambino soltan- Goriziano morto suicida della Persuasione e la Rettorica. Ecco, Vero- to attendeva e l’adulto forse rimpiange. Una vita vera, che a cercarla non nesi ha spento quella parte del cervello del suo protagonista che fa sof- c’è, e che il pensare di viverla è – come diceva Ibsen – una faccenda da frire, quella parte che probabilmente è impossibile spegnere del tutto nel- megalomani. Nessun retromondo, nessuno spiffero di trascendenza, nes- la sua ipercritica calotta cranica, ha amputato la componente filosofica del sun riscatto consolatorio può salvare la realtà da essere semplicemente suo personaggio, e ha cercato di anestetizzarlo nei confronti della sof- realtà. Niente, nella visione pragmatisticamente disincantata di Verone- ferenza, come se fosse un frutto tardivo e forse prevedibile di quella che si, può scindere il fluire della calda vita dalla discontinuità dei suoi mo- in un altro punto della conversazione egli definisce “l’oscena sofferen- menti casuali e isolati, orfani di ogni universalità. E in fondo il roman- za virtuale dell’Occidente”, una sofferenza a cui non si dovrebbe avere zo traccia un’equazione, l’equazione di vita e amoralità. Ma come ogni diritto, noi occidentali, e per nutrire la quale – dice - “stiamo trattenen- buon libro scritto contro la vita costituisce anche una seduzione a viverla. IL PORTOLANO - N. 49-50 39 Sandro Veronesi, “BRUCIA TROIA” Un romanzo sulla marginalità sociale

Francesco Gurrieri

aramente ho attraversato un percorso narrativo così ininterrotta- to da solo. Solo, bisognava saperlo accendere, e per accenderlo ci vole- Rmente fastidioso e avvincente nello stesso tempo, come in questo ul- va una miccia. timo libro di Veronesi. A licenziare questo romanzo, Veronesi ha impie- – Miccina – spiegò – perché sono sempre stato un po’ basso”. gato vent’anni (1987-2007): ma i fatti a cui la materia narrativa fa riferi- mento va spostata indietro di altri vent’anni, alla fine degli anni ’60. Su questo scenario di fondo si innestano, con una rapsodia cruda e Quando la città dei “Cherubini”, di “Miccina”, del “Pampa” e degli altri, drammatica insieme, i due segmenti narrativi che, dalla prima all’ultima era presente alle cronache per la sua inarrestabile capacità produttiva, il pagina, implementano la quotidianità dei disperati del “Cantiere” (un an- suo irraggiungibile tasso di esportazione, il suo invidiabile Pil, la stessa golo urbano residuale, a criminalità latente) e la realtà ragionevolmen- te equivoca e talvolta morbosa della Missione di padre Spartaco, suor Er- capacità di assorbimento di immigrati meridionali che vantava Torino. nesta e dei “Cherubini”. Una vicenda incredibile quest’ultima, consu- Così, la marginalità sociale che costituisce la filigrana di questo “ro- matasi nell’irresponsabile indifferenza delle autorità (religiose e civili), manzo” si pone anche, in lettura seconda – perlocutoria –, come inevi- come altre ne accaddero nell’Italia di quegli anni. Veronesi non poté vi- tabile area residuale, alternativa ai ritmi del boom degli anni ’60; in una vere direttamente quella vicenda (giudiziariamente esplosa fra il ’65 e il realtà intensamente industrializzata – Prato –, ove, nonostante processi ’67) perché era alle prime classi delle elementari: semmai, al massimo, di integrazione sociale più facili che altrove, gl’immigrati meridionali re- poteva ricordare quei passaggi urbani di bambini allineati, con la veste stavano a lungo rubricati come “marrocchini”. celeste (i “Celestini”) guidati da un prete altero e follemente ispirato (che La prosa di Veronesi, fra le più scorrevoli e piacevoli della sua ge- si scoprirà poi, mai consacrato) o da monache diligenti (che si scopri- nerazione, in questo “Brucia Troia” si fa ancora più distillata. Il roman- ranno poi delle aguzzine torturatrici, appartenenti a un ordine religioso zo ruota intorno a uno scenario sociale, produttivo e umano, la cui sin- mai riconosciuto). Ma gli svolgimenti giudiziari di quella vicenda, con tesi lasciamo all’Autore in una sua pagina: risvolti inevitabilmente anche politici (in consiglio comunale a Prato, ci fu chi paragonò le angherie su questi ragazzini a quelli internati a Tre- “C’era molta gente coi soldi, spiegò, che metteva su delle fabbriche blinka) durarono a lungo e, certamente, rimasero impressi in Sandro Ve- per guadagnarne ancora di più, ma certe volte le fabbriche gli si rivol- ronesi, che seppe sedimentarli per due decenni, riversandoli poi nella ma- tavano contro e i soldi glieli facevano rimettere. Allora, per non trovar- si col culo per terra, conveniva che sparisse la fabbrica, insieme a tutta teria narrativa di questo romanzo. la roba che il padrone non riusciva a vendere, così che le Assicurazioni Dunque, un’insolita e avvincente massa di potenziale scrittura che, in gliela ripagavano per nuova ed era quasi come se l’avesse venduta. Non genere, pertiene all’editoria dell’instant book, che qui, invece, nelle pa- è che questa gente ci guadagnasse, in quel modo, ma nemmeno ci ri- gine di Veronesi, si costituisce in un nuovo singolare modulo, che po- metteva il collo. E per distruggere una fabbrica, per distruggere qualsiasi tremmo definire di attualizzazione sedimentale: simmetricamente lontano cosa, il modo migliore era il fuoco, perché una volta acceso faceva tut- dal romanzo storico e dal libro–inchiesta sulla contemporaneità.

VERONESI E VICTOR HUGO

Lascio ai legittimi dispareri le ragioni del “pungiglione” del- Hugo e la cultura del restauro nell’Ottocento”? Cosa si rim- l’Imenottero di domenica 7 gennaio (“A Veronesi piace legge- provera a un lavoro che non si conosce, preparato per diciot- re, ma non tagliare”, “Il sole-24 Ore”); soprattutto per quan- to mesi nell’Archivio di Maison Hugo a Parigi ? Delle due l’u- to concerne i richiami alle citate lamentazioni di La Capria, al na: o non si ricorda che Mérimée, Vitet, Hugo, col Comité des contenuto dell’intervista di Giovanna Zucconi, al “grasso” Arts et Monuments, contribuirono a contenere l’indifferen- delle 451 pagine di Caos calmo di Veronesi. Ciò che invece mi ziata demolizione Ð innovazione di Parigi, anticipando (con sorprende per sommarietà e mal riposta ironia è il richiamo Ruskin) la parte fondativa di ogni teoria della conservazione alla tesi di Sandro Veronesi, sostenuta nell’anno accademico (si veda “Guerre aux démolisseurs”) Ð ma voglio escluderlo Ð, 1984-’85, col massimo dei voti. Le ragioni della sorpresa sono oppure si vuol fare dell’inutile e mal riposta provocazione. almeno tre. La prima concerne l’accostamento della tesi agli Che Veronesi non abbia fatto l’architetto non è una fortuna “anni ruggenti”, i quali erano terminati nel 1977, quando Ve- ma, a mio parere, una sfortuna, perché sarebbe stato bravis- ronesi era ancora al liceo; anni, comunque, che non hanno mai simo come aveva dimostrato nei suoi esami di specifica pro- ruggito nel Dipartimento di Restauro dei Monumenti a Fi- gettazione. Ma che strana polemica, caro Imenottero ! Quasi renze, come ben sa chi appena conosce la storia dei nostri ate- che, con buona pace di Gadda, di Betocchi e di Quasimodo nei. La seconda concerne il fatto che, notoriamente, tutti i (per citarne solo alcuni) non si possa esser bravi tecnici e allo corsi di laurea, da medicina a lettere, da agraria ad economia, stesso tempo bravissimi narratori e poeti! Forse, in questo hanno differenti indirizzi di laurea. Guarda caso, ad “Archi- eccesso di vis polemica con Sandro Veronesi (di cui mi sfug- tettura”, c’è quello di “Restauro” (ove sono discipline di Dia- gono e non mi interessano i motivi sorgivi), il pungiglione, gnostica, di Restauro Architettonico, di Tipologie storico- per questo aspetto, sembra proprio aver sbagliato obbiettivo. strutturali, di Consolidamento, di Teoria e Storia del Restau- ro). Dunque qual è la sorpresa di una tesi dal titolo “Victor f.g. 40 IL PORTOLANO - N. 49-50 LE “LACUNE” di Jole Zanetti

Ernestina Pellegrini

da poco uscito per Garzanti un libro di Jole Zanetti, Lacune, con una ébella introduzione di Claudio Magris, intitolata in modo quasi in- terlocutorio con l’autrice e in modo gentilmente prescrittivo con il lettore, Non colmare le lacune. é un libro di prose fulminee, abitate da una scrit- tura malinconica e strappata, una specie di diario in frantumi che insie- me a Enza Biagini cercai di interpretare in occasione di una presenta- zione pubblica al Lyceum fiorentino, il 3 ottobre del 2006. Avevo saputo del libro, che allora era in bozze, alcuni mesi prima, mentre mi trovavo in macchina con Claudio, Jole, Maria e Mario Caciagli, per andare a una cena da Beppino Bevilacqua. E il titolo che mi venne detto allora era un altro altrettanto bello e calzante. Non era ancora Lacune, era Sottopelle. Alla mia domanda se si trattasse di un romanzo, fu risposto negativa- mente. Chiesi se si potesse definire come un’autobiografia. Mi fu rispo- sto, per liquidare la mia curiosità: “neanche quello”. Allora, mi chiesi: che cosa è Lacune? Ora, davanti al libro stampato in un’elegante edizione cartonata, posso tentare di rispondere. Non è, in effetti, una autobiografia, ma ap- partiene a ciò che Starobinskj definisce “lo spazio autobiografico”; sem- mai è un diario scritto a sprazzi, un diario discontinuo, una specie di tac- F.G., Undercarriage. cuino di viaggio, solo che il viaggio, al di là di quattro o cinque prose che riguardano reali spostamenti geografici e visite a luoghi più o meno esotici, è un viaggio dentro il proprio habitat (la propria casa, la propria L’editore ha messo il sottotitolo “romanzo” (ormai lo mettono qua- stanza) e soprattutto è un viaggio dentro di sé, anzi, per essere precisi, si sempre per ragioni di mercato), ma è ovvio che Lacune è tutto tranne nelle parti più straniere del sé, in quelle crepe o lacune del sé, dove più che un romanzo, e forse la definizione appropriata potrebbe suggerirce- che riconoscersi ci si perde. E si deve precisare anche che questo viag- la una studiosa della scrittura delle donne africane e della scrittura di gio dentro di sé non appartiene a profondità abissali ma a quel sottopel- quelle donne europee che hanno vissuto in Africa (quelle donne che le dell’io e del corpo dove il familiare e il perturbante si convertono in come la toscana Amalia Nizzoli, solo per fare un nome, hanno seguito emozione effimera, in spaesamento momentaneo, in epifanie banali il padre o il marito nel continente nero, sviluppando e rendendo una vi- quanto angoscianti, crepe subito ringoiate dall’indistinto. sione letteraria dei luoghi e della gente totalmente diversa e anticonfor- Ambedue i titoli sono molto belli e indicano efficacemente due mista). Forse la definizione appropriata, dicevo, potrebbe fornircela la aspetti distinti e non proprio coincidenti della rappresentazione. Siamo studiosa Itala Vivant, quando parla di Fuorilegge del testo, mettendo in davanti a un libro di lacune, di black-out, un libro che parla di vuoti, che evidenza i meccanismi attraverso i quali la memoria della singola don- dà al lettore una sensazione simile a quella che si prova, volando in ae- na entra nel corpo vivo della oralità collettiva, senza avere il taglio nar- reo, quando si incontra un vuoto d’aria e si perde quota in un istante; e cisistico, o addirittura solipsistico, di certa scrittura femminile europea, quindi è un libro che inanella trentaquattro frammenti di “prosa forata” né l’imprinting femminista che percorre un importante filone della scrit- – chiamiamola così – come se si intrecciasse una fune (l’insieme quin- tura femminile euroamericana. Voglio dire che nel testo e nella perso- di c’è e tiene, ma i singoli anelli ruotano singolarmente e collettivamente nalità di Jole Zanetti, di questa fuorilegge del testo, per l’appunto, rimane intorno a un centro che volontariamente o involontariamente non esiste). l’impronta forte della esperienza africana (evidente anche nella sua ri- In biologia, come sanno quasi tutti, per lacuna si intende una cavità petuta nostalgia per quella dimensione temporale-naturale, dilatata e sprovvista di pareti proprie istologicamente differenziate. Trovo questa lenta, tipica del mondo subsahariano, una dimensione scandita dalla definizione scientifica molto suggestiva metaforicamente e azzeccata per luce del giorno e dal buio della notte) e si afferma una dimensione del- approssimarsi alla natura o non natura letteraria di questo strano libretto, la scrittura plurale e centrifuga esattamente opposta a quella del mini- creato da una donna che non è una scrittrice di professione (se esiste la malismo postmoderno. Voglio anche dire che non c’è nessun compiaci- professione per queste cose la cui natura è – come scrive Meneghello – mento narcisistico in questa spietata e libera esposizione di sé (e se la “una virtù senza nome”), è una donna che si è dedicata molto al volon- spietatezza è uno degli ingredienti presenti nella memoria, questa è spie- tariato nell’assistenza sanitaria in diversi paesi africani, di cui ci ha dato tatezza esclusivamente nei propri confronti), e questa spietatezza ha un interessante e originale resoconto in un diario, Diario africano, una forza involontaria di denuncia e di critica sociale che equivale non uscito sulla “Nuova Antologia”, qualche anno fa, un microdiario, que- a un “senza-pietà” quanto piuttosto a una “pietà distrutta” (il diario, in sto, dal quale mi sarebbe piaciuto citare qualche pezzo (ma non ho tro- questa luce, assomiglia a una stanza della tortura). E voglio pure dire che vato nel caos della mia biblioteca), perché è un diario della felicità, che non c’è nessuna intelaiatura di ideologia femminista sul fondo di questa appartiene alla solarità e alla giovinezza dell’autrice, così come quello esposizione spietata e libera del sé (e la cosa dona un piglio anticonfor- di Lacune, invece, è pervaso dalla malinconia e da un senso di perdita. mistico alla scrittura di questa fuorilegge del testo, che lo è, fuorilegge, Lacune è un diario d’ombra, chiamiamolo così, anche se qua e là si in- senza nessuna intenzione di esserlo). contrano squarci di luce e di ottimismo e tracce quasi incredule di un Ma la più precisa e affascinante definizione ce la dà Claudio Magris, nuovo grande amore, e si incontra il sentimento pungente e delicato di quando nella sua introduzione parla di “scrittura notturna” e invita a Non una rinascita (dopo tutto per rinascere si deve fare il vuoto). Così que- colmare le lacune, e parla di “singolare semisommerso romanzo di for- sto diario estremo quanto puntiforme e svagato è un po’ un morire e un mazione alla rovescia, più per svuotamento che per accumulo di espe- ritornare in vita. rienze”. Un diario che cerca di dire “la zona più struggente e appanna- IL PORTOLANO - N. 49-50 41 ta” della nostra vita (non è un caso che uno degli aggettivi più usati sia “forse”, quasi a sottolineare la qualità fluida e onesta di un autoritratto in- “opaco” e che dentro i numerosi e fulminei squarci paesaggistici com- certo e provvisorio, poco esemplare e forse inevitabilmente bugiardo, au- paia una cortina di nebbia o un cielo ottuso e pesante che incombe a chiu- toritratti così ironici talvolta nello smascherare i melodrammi della po- dere le prospettive già claustrofobiche della veduta). Perché in questo li- litica sessuale e sentimentale (ricordo solo l’esilarante dialogo di Grazia bro ci sono anche delle vedute, e sono i frammenti più belli; sono vedu- Livi e Francesca Pasini in Donne senza cuore) da tirare il collo in un te di città, di aeroporti, di stazioni, di alberghi, di oceani e perfino di un istante a tutta la magniloquente e stucchevole retorica dei buoni senti- luogo che si chiama La fin del Mundo, che è la città più a Sud della Ter- menti; autoritratti impegnati a fare stragi di stereotipi di genere, e magari ra del Fuoco, Ushuaia. Si accampano scenari dove dilaga l’irrealtà, di- a indulgere nel fare mucchio in quella strepitosa onda d’urto generazio- laga – come scrive Magris – “come l’acqua da un tubo che perde”. Ep- nale di scrittura femminile che ha inondato le case editrici e le librerie, pure, fra tanta desolazione e disincanto (che apre vie di fuga in un do- una scrittura di donne, che – come ho cercato di mostrare nell’Autodi- loroso e ingorgato cupio dissolvi, che fa venire in mente al lettore la don- zionario delle scrittrici del Novecento in Toscana, in un ambito circo- na di un romanzo di Ingeborg Bachman, Malina,che scompare in una scritto e regionale – hanno capovolto la condanna all’intimismo e alla crepa del muro), si intravedono qua e là epifanie di gioia e di sprizzan- clausura in una prassi generosamente esibizionistica e non poco provo- te vitalità giovanile, pause di felicità e spensieratezza che, come pa- catoria, mostrando che al di là di tutti i trionfalismi femministi, si vive nel gliuzze d’oro in una miniera di sassi, pagliuzze di incanto e di idillio, di concreto un momento di perdita della bussola, fra senso di onnipotenza, rottura di una impenetrabile corazza di solitudine e di insicurezza, si le- risentimento vittimistico, voglia di dare una spallata al millenario e me- gano a piccoli gong di riconoscimento, un riconoscimento non verbale, tamorfico patriarcato, mentre ci si accorge, nel bene e nel male, che il ma tattile: con il nipotino che con la piccola mano trasmette delle piccole concetto di femminile è diventato una coperta troppo corta che se la tiri strette che comunicano una specie di alfabeto Morse, con l’uomo ama- troppo da una parte lascia scoperto qualcosa d’altro. Scrive Nancy Mil- to, che le accarezza, silenzioso un braccio, una spalla, sulla spiaggia del ler, in un saggio dove si fa portavoce di alcune strategie di negoziazio- mare. Perché, almeno sembra, Jole Zanetti, con questo libro, mostra ne dell’io individuate e spiate all’interno di autobiografie, di diari, e di una specie di diffidenza per le parole, e di diffidenza per facili e vili mi- memorie femminili: “Invento tutte queste cose perché queste inventino steri, così per gli intrecci prefabbricati, e allora costruisce o decostruisce me”. Ecco, anche Lacune di Jole Zanetti si inserisce, naturalmente, sen- il proprio diario discontinuo e forato, attraverso un atto che, se non ve- za volerlo, e in modo decisivo, davvero calzante, in questa temperie del- nissi fraintesa, definirei di “decretazione”, vale a dire un diario, una la scrittura femminile di “un io senza garanzie”. Un io senza garanzie, scrittura autobiografica che deve essere sentito come un liberarsi di co- appunto, come scriveva Ingeborg Bachman, in un saggio inserito dentro struzioni del sé esaurite, un atto analogo alla concezione maschile del- un altro saggio più grande intitolato L’io che scrive, una espressione av- lo strip tease, in questo caso uno strip tease della propria personalità in- venturosa e avventuriera, quella di un io senza garanzie di tante donne teriore, della propria anima, e delle proprie logore certezze, uno strip tea- che sono sole o che si sentono comunque sole. Una formula, questa se che rivela e riduce allo stesso tempo. Se usassi una metafora culina- dell’ io senza garanzie, che abbiamo scelto e usato come titolo di un sag- ria direi che non è la verità della noce, di cui si arriva rompendo il gu- gio scritto a quattro mani, sulla storia dell’ autobiografia femminile, io e scio al dolce gheriglio, e nemmeno quella del carciofo, che comunque da la mia amica più cara che ora non c’è più, Sandra Contini, che mi ha in- tutto lo sfogliare salva l’amaro cuore, ma è la verità della cipolla per cui, segnato a vivere, con consapevolezza, leggerezza e anche con la neces- leva leva, gli strati ci sono, ma il centro dove è? Il centro c’è e non c’è, saria paura, in quella dimensione inevitabile della vita che chiamerei, un perché è in tutti gli strati. Ecco, Lacune, il suo succo è presente in ogni po’ enigmaticamente, una situazione di “allarmante potenziale meta- suo strato e simultaneamente in tutti i suoi strati, tanto che ogni singolo morfico”, una condizione che è la cifra, il tono basso di fondo rintrac- frammento è speculare e integrativo e strutturalmente intercambiabile ciabile anche in ogni singolo frammento di prosa di Jole Zanetti. Perché con qualsiasi altro. Così, al lettore, arrivato alla fine del libro, non resta la vita, al di là di tutte le meraviglie che ci dona, è anche una inevitabi- altro che riflettere sullo spazio, uno spazio che vorrei descrivere e cir- le, incontenibile minaccia, reca cioè al suo interno i semi della propria di- coscrivere citando alcune frasi di Foucault, prese dagli Scritti letterari: struzione. Lacune, dunque, anche come tracce di un pieno che non c’è “individuare lo spazio – scrive Foucault – lasciato vuoto dall’autore più. Vita anche come mancanza di vita. Vorrei chiudere con una citazione scomparso, seguire con lo sguardo la ripartizione delle lacune e delle cre- dalla introduzione di Claudio Magris a Lacune, che ha saputo entrare, con pe e scrutare i luoghi e le funzioni liberi che tale scomparsa ha reso vi- finezza e tagliente interpretazione, nel mondo di una sensibilità femmi- sibile”. nile, uno scrittore che del resto nel suo ultimo suo splendido testo teatrale Detto questo, mi sembra sia più chiara l’idea che mi sono fatta di que- Ð Lei dunque capirà – si è identificato con una voce femminile, quella di sto libro, che non è affatto una storia, una narrazione, ma un insieme di una risentita e fiera Euridice che, chiusa in un ospizio per vecchi, di- corpuscoli autonomi e centrifughi ruotanti intorno al “non detto”, al pre- strugge l’ideale posticcio e infinitizzante della passione, e celebra spie- verbale, al corporeo, al mondo impressionistico e impapabile e inquie- tatamente le ambiguità e i confini labili dell’amore e del disamore, fa pre- tante della percezione sottopelle, un mondo di 34 corpuscoli, sottodivi- valere le ragioni della ragione e della vita sulla poeticità dell’assenza e sibile in sezioni, se proprio volete (ma non ha molto senso trovare a tut- della morte, intonando un aspro canto al mito di un’eterna fedeltà e al ti i costi una macchina strutturale, anzi è fuorviante), che potrebbero es- contromito di un definitivo, inevitabile congedo. é alla mia amica San- sere catalogati in serie (come la serie dei colori: rosso, verde, lilla; o quel- dra, amica indimenticabile di quaranta anni di vita condivisa, che se ne la del luoghi veri: Spagna, Polonia, Zaglav, etc; o quella degli spazi di è andata dall’altra parte troppo presto, permettendomi di condividere spaesamento: cimitero, stazione, caos, voragine, etc), corpuscoli che anche il tempo della sua malattia e dell’addio, alla mia amica estrosa e in- sono tracce di un io-tutto-corpo che sente, ne sono certa, l’io che scrive telligentissima, è insomma alla studiosa sapiente e divertita di tanta let- come una specie di autore parassita o di appendice posticcia; corpusco- teratura e testimonianza storica della soggettività femminile, che vorrei li che testimoniano un enigma, un buco nel racconto, che sta nel non-det- dedicare, se me lo permettete, in chiusura, alcune frasi della introduzio- to, che io ho però scoperto, e che consiste, è questa la mia interpretazio- ne di Magris al libro che oggi presentiamo: ne, nella tensione alla rinascita, una tensione abbastanza incredula quan- to determinata dell’io che scrive e che registra abbastanza macchinal- “Lacune – direbbe Wittgenstein – è un libro scritto più con la mano- mente le proprie sensazioni e la propria aridità o la propria primavera sen- che non sempre sa quali ghirigori sta tracciando Ð che con la testa, e que- timentale come un ragno (il ragno di Roland Barthes, l’autore parassita) sta è una buona garanzia per uno scrittore, la premessa per una radicale che attende, che aspetta che nella sua ragnatela restino impigliate prede libertà, ingenua in senso schilleriano, e per una disadorna capacità di no- – in questo caso prede di sé, di parti di sé – per cibarsene e digerirle, e ma- minare le cose in presa diretta, dati che Ð fatte le debite proporzioni di gari rinascere alla vita e alla scrittura, secondo quella felice intuizione sul- grandezza e salvate le ovvie stellari distanze Ð possono ricordare le in- la scrittura autobiografica descritta da Aldo Gargani come “una seconda commensurabili prose brevi di Robert Walzer. Jole Zanetti non le co- nascita”, come un partorire se stessi secondo le modalità del possibile e nosce, ma sa avvertire la grande ironia delle cose e delle vicende, la di- del desiderio, che sono la sostanza fantastica e la legittimazione lettera- sparità e i falsi in bilancio del destino. Lacune è il libro di una donna che ria di ogni testo non banalmente autobiografico. Getting Personal, come ha imparato a guardare in quelle voragini che si spalancano sotto i pie- recita il titolo di un importante testo di critica sulla scrittura autobiogra- di anche quando si va in ufficio o a fare la spesa, ma anche a schivarle fica delle donne: un resoconto esistenziale molto spesso ricco di “se” e di con allegria, come i bambini saltano fra le pozzanghere. 42 IL PORTOLANO - N. 49-50 Qualcosa è cambiato

Jole Zanetti

uidava intontita dagli odori grevi che emanavano i campi arsi Gdalla calura estiva; il giallo nelle sue molteplici sfumature do- minava il colore del mondo; fieno secco a mucchi, campi arsi, maz- zi di spighe, terra sbiadita. Colore inquietante che offuscava la tra- sparenza dell’orizzonte in onde calde palpabili come i ricordi d’in- fanzia: corse a piedi nudi in prati pungenti, giochi sfrenati con i fra- telli, salti nei covoni profumati, gerle traboccanti fieno legato con corde e portato da contadine curve dal peso. Si era fermata in un villaggio per scuotersi dal torpore e dallo struggimento, una donna che passava le aveva venduto un fascio di lavanda, desiderio di aria verde, azzurra, viola. Il profumo nell’abi- tacolo, divenuto ossessivo, ora la innervosiva quasi la soffocava e la mano lasciato il volante era andata involontariamente al seno sinistro e con crudeltà torceva il piccolo nodulo duro, indolore. Tutto era cambiato in poco tempo, le contadine in canottiera e pantaloncini manovravano il trattore per trasportare balle di fieno tutte uguali, due generazioni per annullare il passato. La piccola cellula infetta dila- tava solo per lei il correre delle ore e generava una disarmonia dif- Bruno Innocenti, Figura. fusa, pericolosa, tossica, respirava male. Lo aveva sentito per caso una sera, poche settimane prima, al ritorno dalla spiaggia, sotto la doccia. Allo specchio, con gli occhi Avrebbe deciso la sua gestione, non voleva una guerra che avrebbe ancora ciechi dal riverbero meridiano, non aveva visto nulla, ma trascinato tante persone nella sua strategia. Occhi ansiosi, sorrisi aveva avuto la certezza della sua esistenza. I gerani sul davanzale si impacciati, suggerimenti vacui di parenti e amici l’ avrebbero tor- consumavano in fiori rossi e carnosi, senza boccioli; l’estate aveva mentata inutilmente e avvolta in un bozzolo di apatia. Non avrebbe travolto nella sua pienezza piante insetti odori, tutto prolificava sopportato il suo sguardo ansioso, le sue telefonate in cerca di incontrollabile. Seduta sul balcone, era stata aggredita dal vomito; il conforto e aiuto a conoscenti e amiche. La sofferenza sarebbe stata sugo di pomodoro e aglio che la vicina cucinava nell’appartamento soltanto sua Pericoloso aprire un varco, indugiare e arrendersi: era accanto era una puzza nauseabonda. Si era chiusa in casa, nonostante andata a dormire, quella sera, anche perché lui avvertiva la menzo- il caldo, e si era preparata per affrontare una serata normale. gna della partenza improvvisa. Non sapeva quanto avrebbe dovuto attenderlo, aveva sempre tanto Quindici giorni, di esami e false telefonate a tutti, in quella piccola lavoro. Nel poggiolo l’odore del sugo si era ammorbidito, aveva cer- ma efficiente clinica di provincia decantata da una amica e dove non cato di trovare una spiegazione credibile per una fuga, prima neces- aveva mai messo piede, per ottenere il verdetto inderogabile, meta- sità impellente. Il sole, fulgida divinità in agonia, faceva brillare stasi. Una strana calma l’aveva guidata, decidere subito, entrare nel come fili d’argento le ragnatele che intrecciavano i rami degli alberi. tunnel senza uscita in un percorso faticoso di cure limitanti o vivere Troppi ricordi in uno spazio di tempo breve: tenendolo per mano, era sei mesi integra, ben conscia del salto finale alla fine del percorso. Sì, scesa dalla barca e seguendolo per la piccola isola disabitata, si era aveva provato a ritornare, senza credervi veramente. Quella terrazza inoltrata fra pini e cespugli di mirto. Enormi e magiche ragnatele si del ristorante, durante il viaggio di ritorno, dove aveva mangiato con stagliavano nell’azzurro del cielo incatenando rami e tronchi, si chi- falsa avidità, gli alberi neri e tetri, sul lungomare, in un cielo che li nava per non danneggiarle: la corazza evanescente era una protezione, stava annullando sempre più velocemente, tentazione di lasciarsi era diventata invulnerabile. Adesso le davano ripugnanza quei fili, andare, perdersi nella magia delle cose improvvisamente opachi, custodivano cadaveri di insetti, trovare uno Era ritornata, abbandono, felicità, amore, ma non era felice, lo stecco, romperli, annullare il maleficio di quella tortura. Non era stava distruggendo perché lui, ignaro, fantasticava sogni senza avve- semplice liberarsi dalla ragnatela, più cercava di togliersela più con nire. Si era impossessata di una felicità che non la riguardava più, ora disgusto si invischiava sul suo braccio, era sporca, infetta, imprigio- doveva tagliare il passato e, ancora più difficile, il presente, distrug- nata nella rete e aveva brividi, uno strano freddo perché l’epidermide gere l’amore, non lasciare rimpianti. Era ancora viva e agiva consa- accaldata bruciava lasciando gelido solo il cuore. pevole del colpo che avrebbe arrecato, sempre più piccolo dello Era dall’inizio dell’estate che aveva cominciato a svegliarsi strappo imminente senza deroghe, rappezzare un buco significava improvvisamente di notte sentendo che doveva accadere qualcosa; creare smagliature nei bordi e allargare il danno. appuntamento oscuro e minaccioso che avrebbe potuto colpire a Era partita, stavolta definitivamente, senza saluti, senza lettere casaccio e distruggere il gioco di equilibri che creava la normale quo- sdolcinate, era certa della sua ira prima e del seguente smarrimento: tidianità, conquistata con fatica. Poi, pochi giorni dopo quella sera, avrebbe cercato conforto, coccolando un dolore senza nostalgie. bevendo avidamente l’acqua gelida del frigo, di colpo ebbe una Lei ora era libera di decidere, terribile esistere solo come una paren- consapevolezza assurda e fiera, lo smarrimento era passato, quello tesi amara ma orgogliosa di avergli dato l’opportunità di vivere che prolificava nel suo corpo riguardava, questa volta, lei sola. ancora. IL PORTOLANO - N. 49-50 43 Il profondo di KAFKA

Emiliano Panconesi

Kierling

Ma ricordare forse è giusto non i soffi rochi e la paura negli occhi smisurati, non il tanfo d’alcool ed il bicchiere infranto per terra,

ma solo le rose di Pentecoste delicate e l’aglaia sfrontata, l’avorniello dorato e il rosso spino, e freschi come un fresco mattino i lillà tutti gettati nel sole.

passato un anno circa dalla pubblicazione e il mio amico Beppino éBevilacqua, il noto germanista italiano, ha ascoltato da Ernestina Pellegrini e da Claudio Magris la presentazione di un suo libretto di poesie1 e sta aggiungendo qualche commento e qualche lettura. Un mese prima me ne ha mandato una copia che ho letto con emozione: solo ora però ricordo che quella stanza piena di fiori, più o meno rari, Copertina disegnata da O. Starke (1916). e di angoscia è quella del Kierling Sanatorium in Klosterneuburg dove il 3 giugno 1924 muore Franz Kafka. Ha vicino l’amico medico Robert Klopstock che sta preparando per lui un’ultima iniezione di morfina. Il paziente dermatologico si sente infatti spesso più o meno tra- Beppino mi ha raccontato l’occasione in cui sono nati i versi so- sformato fino a una sorta di intollerabile metamorfosi. L’arte descrit- prariportati, ÇUn mattino di molti anni fa insieme a Giuliano Baioni tiva del giovane Franz Kafka non manca, nel prosieguo del racconto, entrai in quella stanza. Ci aveva condotti lì Wolfgang Kraus, l’allora di darci altri dettagli di nostro specifico interesse: “un leggero pruri- presidente della Oesterreichische Gesellschaft für Literatur. Entran- to nella parte più alta del ventre […] il punto che pizzicava era tutto do, avevo in mente la tristissima cronaca degli ultimi giorni e delle ul- coperto di puntini bianchi, di cui non sapeva che pensare; si provò a time ore di vita. Ma la stanza era tutt’altro che triste. Da una grande toccarlo con una gamba, ma subito la ritrasse perché al primo con- porta-finestra che dà a levante entrava a fiotti il sole estivo e ovunque tatto lo aveva percorso un brivido.” Prova a rispondere alla madre che erano fiori: peonie (Pfingstrosen), e tanti altri, diversi. Mi parve che lo sollecita ad alzarsi ma sente che alla sua voce si mischia un “pigolìo questo volesse dirmi la viva perennità dell’opera creata da Franz incontenibile, doloroso che lasciava comprendere le parole soltanto Kafka, da ricordare ben al di là della sua miseria di povero uomo mo- in un primo momento, ma che le confondeva poi talmente nell’eco da rente.È far dubitare di averle intese.” Si sente poi e si vede “inverosimilmente Sono passati cinque anni da quando ponevo qualche quesito su largo”, una constatazione non insolita da parte dei nostri pazienti, e Kafka al mio amico, essendo in procinto di inaugurare a Praga un con- coperto da una sorta di “zampine che senza interruzione si agitavano gresso medico internazionale, con un tema, psicologico-letterario, in ogni senso e che, inoltre, egli non sapeva comandare” ecc. ecc. che avevo basato su due racconti del grande scrittore, ebreo di Praga Tenta di muoversi, non ci riesce, batte contro il fondo del letto e pro- che scriveva in tedesco. va un “dolore cocente”. Cerca di rimaner calmo a tutti i costi. La schiena è divenuta dura; sente arrivare un suo superiore, il procuratore “Metamorfosi” del suo ufficio che non l’ha visto arrivare in orario. Si lancia fuori dal Nel primo “Gregor Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agi- letto, batte la testa. Sollecitato non accetta di aprire la porta; dal tap- tati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immon- peto dove giace ascolta gli altri, sente piangere la sorella, è sollecita- do.” Bastano queste due righe per identificare il celebre racconto2, due to dal procuratore, ma rimane chiuso; urla di non star bene… che an- righe che rappresentano la più significativa breve definizione di Self drà più tardi… Al procuratore anche di là dalla parete la voce di Gre- and Body Images, immagini di Sé e del Corpo, di un qualche nostro gorio sembra quella di un animale. Vede che da una zampina esce una paziente dermatologico portata agli estremi fra decorso e diffusione materia vischiosa, riesce a girare la chiave con la bocca e anche da lì clinica totalizzante in una invenzione letteraria. Non a caso apre, e esce una sorta di liquido bruno… sembra contenere e concludere tutto un famoso racconto, la META- Di fronte, dalla finestra coll’aumentare della luce mattutina, si MORFOSI (DIE VERWANDLUNG), del più famoso scrittore praghese dei vede la parete grigio scura di un sanatorio (luogo che tante volte nostri tempi, Franz Kafka. Il medico, in particolare se dermatologo e Kafka avrà dovuto e dovrà frequentare per la sua tubercolosi polmo- di lunga esperienza, se riflette, troverà qui combinati in una globalità nare) e dall’uscio di casa aperto si vede il pianerottolo e la scala ir- esasperante, frammenti di percezioni di sensazioni e di auto-osserva- raggiungibili. Promette, non oltrepassando la porta, che andrà, appe- zione emozionalmente, esistenzialmente delirante e dismorfofobica di na può, al suo non facile lavoro (il commesso viaggiatore); la madre non pochi pazienti. lo vede e urla aiuto scappando dall’indietro; il procuratore, a cui Gre- 44 IL PORTOLANO - N. 49-50 gorio ha tentato di avvicinarsi, ha già raggiunto, fuggendo, le scale; il facesse pensare che fosse falso!) del campanello notturno […] non c’è padre cerca di ricacciare quel Gregorio di ora, che mal riesce a retro- più rimedio.” cedere, aiutandosi addirittura con un bastone, selvaggiamente. La porta della camera è ora troppo stretta per lui e si scortica tutto un fian- Non si perde mai in questa orrenda atmosfera gotica la precisio- co lasciando “brutte macchie” sulla porta. L’ultimo colpo del padre lo ne linguistica: le descrizioni sono perfette e pieni di dettagli. Come spinge sanguinante nella camera, che viene chiusa col bastone (quan- ci ricordano nei commenti tanti critici, illustri studiosi del grande ti parenti del paziente incontrollabile e indecente abbiamo pensato scrittore, a cui si aggiungono esperti di altri settori culturali suscita- agissero quasi così?). ti da quelle storie. La narrativa di Kafka, nella sua originalità di con- Così il primo capitolo. Nel secondo (e poi nel terzo) capitolo, tenuto e di forme non rassomiglia a quella di nessun altro: non appare dopo un sonno che è quasi un deliquio, la povera creatura si sveglia al né impressionista né espressionista. Lo potremmo definire un reali- buio, sdraiato per terra e più che vedere ha la sensazione che al fian- sta visionario, e questi due racconti appoggiano proprio questa de- co sinistro ci sia una lunga cicatrice (che non potrebbe essersi forma- finizione. ta in così breve tempo!) che tira la sua pelle dolorosamente. Tutto sem- bra stabilizzarsi in breve, senza evoluzione e senza provvedimenti. Ciò L’uomo e la vita può ricordarci quanto, nella realtà, è sperimentato, vissuto dal pa- Franz nacque a Praga il 3 luglio 1883, nel palazzo Zum Turm che ziente, dermatologico o di altro tipo, che si è visto e sentito stretta- si trova sull’Altstädter Ring all’angolo con Maiselgasse e Karpfen- mente avvolto dalla malattia che lo ha colpito. gasse al confine col ghetto ebraico, lo JOSEPH HOF (Josefov). La fa- Il racconto ha il suo terribile sviluppo che non ricorderemo qui in- miglia comprendeva: il padre Hermann, un bottegaio che vendeva vitandovi alla lettura/rilettura. merceria e ferramenta, la madre, Julie Löwy, lui e tre sorelle minori di cui la più piccola, Ottla, nacque nel 1892 e fu la sua preferita. “Un medico di campagna” Franz Kafka fece tutti gli studi a Praga, prima alla scuola elementare Un’altra, fra le tante possibili, citazione d’obbligo è, sempre nei al Fleischmarkt, poi allo Staats-Gymnasium (1893-1901) al Palazzo RACCONTI, UN MEDICO DI CAMPAGNA (EIN LANDARZT, scritto fra il Kinsky, e infine alla Deutsche Universität (1901-1906) dove studiò ’16 e il ’17, di cui riportiamo brani dello stesso traduttore di ME- prima chimica, poi lingua e letteratura tedesca e poi giurisprudenza, TAMORFOSI3). Lungi da una descrizione bozzettistica tratta da me- laureandosi in quest’ultima materia. morie (lo zio Siegfried Löwy era medico condotto in Moravia), que- Il 23 ottobre del 1902 fece la conoscenza di Max Brod, che di- sto è un racconto più breve ma altrettanto allucinante. Il protagoni- venne il grande amico della sua vita. Si conobbero in occasione di una sta costretto a una visita urgente, riesce a procurarsi con difficoltà i conferenze di Brod su Schopenhauer e Nietzsche. cavalli per la sua carrozza e in mezzo a un fitto nevischio, lascian- Kafka scrisse la prima stesura del suo primo racconto DESCRIZIO- do la sua giovane e desiderabile domestica Rosa in balia del vicino NE DI UNA BATTAGLIA (BESCHREIBUNG EINES KAMPFES) nel 1904- stalliere, un tipo poco promettente che gli ha prestato i cavalli. Stra- 1905. Nel 1907 fu assunto come ausiliario nella Società Generale namente, dopo pochi chilometri è già arrivato, non nevica più: in- delle Assicurazioni di Praga, e nel 1908 si trasferi all’Istituto per le torno alla casa colonica raggiunta c’è il chiaro di luna… L’aria del- Assicurazioni del Regno di Boemia. Poi, molto in breve: visse la sua la camera in cui viene introdotto è irrespirabile; il giovanissimo pa- prima esperienza amorosa mentre era nel sanatorio Zuckmantel (Sch- ziente, magro con gli occhi spenti, dal letto gli si “attacca al collo” lesien), viaggiò in Italia, e visitò Lugano, Parigi e Berlino, lesse Flau- e sussurra: “Dottore, lasciami morire.” I cavalli, dal di fuori, apro- bert (fra i suoi scrittori preferiti), e si interessò molto sia della cultu- no con dei colpi di testa le finestre e sembrano voler guardare den- ra Yiddish sia della psicoanalisi. tro: il dottore pensa tormentosamente a Rosa che ha lasciato nelle Il giorno 13 agosto del 1912 Franz conobbe Felice Bauer; se grinfie di quello stalliere… Come tornare a salvarla? Ha tutta la fa- n’innamorò, quasi a prima vista (benché, come vedremo, la descri- miglia intorno (“la sorella agita un pesante asciugamano intriso di vesse come brutta), e si fidanzarono circa due anni dopo. Kafka sangue”). Visita finalmente il ragazzo e vede che “sul fianco destro, scrisse IL PROCESSO in una sola notte nel 1912, ma lo pubblicò più all’anca, è aperta una ferita grande come il palmo di una mano: di tardi con una dedica a Felice. Il primo incontro con lei fu meticolo- color rosa in diverse gradazioni, scura in fondo, più chiara verso gli samente annotato nel diario di Franz (i suoi TAGEBÜCHER Ð che ri- orli, leggermente granulosa, col sangue raggrumato a chiazze, aper- portiamo nella traduzione di Ervino Pocar4), con, perfino, un titolo ta come la bocca di una miniera. Vista da lontano è così. Ma da vi- per il paragrafo: FRAÜLEIN FELICE BAUER. “Quando il 13 agosto ar- cino appare ancor più grave. E come guardarla senza ansar lieve- rivai da Brod ella era seduta a tavola, eppure mi parve una dome- mente? Dei vermi lunghi e grossi come il mio dito mignolo, rosei di stica. Non avevo alcuna curiosità di sapere chi fosse, ma mi am- suo, spruzzati anche di sangue, brulicano, trattenuti nell’interno bientai subito. Viso ossuto e vuoto che mostrava apertamente il vuo- della ferita, colle testine bianche e le numerose zampine tendenti to. Collo libero. Camicetta trascurata. Pareva vestita alla casalinga, verso la luce.” Una terribile, ossessivamente precisa descrizione, non benché, come si vide in seguito, non lo fosse. (Le riesco un po’ estra- importa se con qualche dettaglio improbabile, presente, non di rado, neo perché la osservo da cosi vicino.) Capelli biondi, un po’ lisci, nel suo stile. senza attrattiva, mento robusto. Mentre mi mettevo a sedere la guar- Segue il suo commento (del medico), “povero ragazzo, nessuno ti dai per la prima volta più attentamente, quando fui seduto avevo già può aiutare”, e la considerazione che questa gente ha perduta la vec- un giudizio incrollabile.” chia fede e tutto è preteso dal medico che “deve provvedere a tutto” Sarà un amore lungo, benché bizzarro e con strani sviluppi, prin- anche se è un vecchio medico condotto [sic!] in più privato della sua cipalmente per posta, con incontri rari: non vissero mai insieme. Nel domestica. E poi, quasi in una immaginaria visione medioevale si sen- maggio 1914 si fidanzarono formalmente a Berlino, ma già a luglio te un coro di scolari col maestro che cantano: “Spogliatelo e sanerà/ Franz ruppe il fidanzamento. Nel 1915 si ripristinò il rapporto a Bo- Se non lo fa, ammazzatelo. Non è che un medico, non è che un medi- denback ed erano insieme a Marienbad nel 1916. Nel 1917 si fidan- co” E tutto questo inizia: il medico viene spogliato, messo nel letto, fra zarono di nuovo… in tutto cinque anni soprattutto di corrispondenza il malato e il muro, dalla parte della ferita… con il silenzio che so- con incredibilmente pochi e brevi incontri. praggiunge. Il paziente all’orecchio gli dice della sua scarsa fiducia, Dopo una pausa Kafka aveva ripreso a scrivere proprio nel 1917 dice di esser venuto al mondo con quella ferita, ma il dottore lo smen- mentre viveva con la sorella Ottla nella piccola casa di lei sulla Al- tisce: la ferita è prodotta da due colpi di accetta ad angolo acuto, nel chimistengasse a Praga. Quello stesso anno soffrì di un grave episo- bosco, forse senza che il ragazzo se ne fosse reso conto. dio di emottisi che confermò la diagnosi di tubercolosi polmonare. Il racconto procede verso la conclusione. Il Dottore riesce a scap- Continuò a vivere con Ottla, ma a Zürau. Nel 1918 imparò l’ebraico. pare, i vestiti in mano, forse non farà mai ritorno a casa, ha perso tut- Nel 1919 ebbe una relazione con Julie Wohryzek, e programmarono to e ora c’è la neve dappertutto: “in una carrozza che realmente esi- di sposarsi. Scrisse la LETTERA AL PADRE (a suo padre) nel 1919, e nel steva, tirata da cavalli irreali […] Erro di qua e di la, povero vec- 1920 si recò a Murano per farsi curare. Poi, quello stesso anno, a Pra- chio[…] Nessuno si presta ad aiutare[…]”. E finisce dicendo “quan- ga, fece la conoscenza di Milena Jesenská, con la quale ebbe una re- do si è risposto ad un falso allarme (ma non c’era niente in realtà che lazione amorosa, strana anche questa (appassionata, ma di nuovo pre- IL PORTOLANO - N. 49-50 45 valentemente epistolare; si erano conosciuti perché lei voleva tradur- re i suoi scritti in ceco! Lei abitava a Vienna con il marito “torturato- re”, e Franz, come con Felice, era terrorizzato dall’idea di convivere o, perfino, di stare vicino a chiunque non facesse parte della sua fa- miglia originaria. Alla fine dell’anno fu internato nel Matliary Sanatorium sugli Alti LA SVEGLIA Tatra dove conobbe il ventunenne studente di medicina Robert Klo- pstock che diverrà suo grande amico. Nel 1923 a Müritz, sulla costa del Baltico, conobbe Dora Dymant: si trasferirono insieme a Berlino racconto di Umberto Mannucci e fecero progetti di trasferirsi in Palestina. Sembrava felice. Nel 1924 al Wiener Wald Sanatorium di Ortmann in Austria a Kafka fu diagnosticata la tubercolosi della laringe; passò poi un bre- ve periodo nella clinica del Dr. Hayek a Vienna, seguito da una per- manenza terribile di malattia nel sanatorio Hoffmann a Kierling pres- ppena Stefano aprì la porta della casa sentì un leggero odore di so Klosterneuburg, ancora in Austria. Durante quest’ultimo periodo, Arinchiuso e di muffa. Era il modesto appartamento al secondo Kafka non poteva parlare e comunicava con Dora e con Klopstock tra- piano di via Strozzi che la madre gli aveva lasciato alla sua morte, av- mite biglietti scritti. Scrisse ai genitori di non venire a trovarlo. Morì venuta improvvisamente otto mesi prima. Mise piede nel corridoio ed il giorno 3 giugno a mezzogiorno, con Klopstock ad assisterlo. Klo- entrò subito in cucina, che restava a sinistra. Era quasi al buio per la pstock si era spostato, per preparare un’ennesima iniezione di morfi- poca luce che entrava dalla finestra chiusa con gli scuretti serrati ap- na per Franz che ne chiedeva in continuazione e che lo aveva prega- pena. Aprì i vetri e la persiana e lo investì un leggero soffio di vento to di non andarsene. Klopstock lo rassicurò, dicendo “Non vado via.” che gli fece respirare una boccata d’aria leggera e familiare. a cui Franz rispose: “Ma… me ne vado io.” Furono le sue ultime pa- Nel frattempo passò il treno che partito dalla vicina stazione di role. [Venti anni prima a Badenweiler in Germania Anton Cechov ave- Porta al Serraglio viaggiava a velocità ridotta. Quello sferragliare gli va detto: “Ich sterbe.” (“Muoio”), morendo anche lui di tubercolosi e riportò improvvisamente alla schiena il brivido del rumore del basto- anche lui poco dopo i quarant’anni.] Franz Kafka fu sepolto mercoledì, ne di ferro che le guardie carcerarie facevano scorrere, a certe ore, l’11 giugno 1924 nel cimitero ebraico di Stranice – Praga. sulle sbarre delle celle per accertarsi della loro integrità. Rimase immobile e poi si guardò intorno con la sensazione di tro- Mente-corpo e Medicina “psicosomatica” varsi fuori del tempo. Si riprese e piano piano cominciò a percepire gli Nonostante la tortura delle recidive di quella terribile, special- odori ed i rumori della cucina di quando, da ragazzo, passava diver- mente allora così comune, malattia infettiva cronica che lo affligeva, se ore della giornata in quella stanza con la mamma. Il brodo che bol- Franz Kafka pensava al rapporto fra le due parti dell’indivisibile in- liva nella pentola smaltata d’ azzurro, il soffio profumato del berlin- sieme mente-corpo (la psicosomatica). In una delle sue tante lettere a gozzo che arrivava dal forno di terracotta quando veniva alzato il Max Brod, scritta da Zürau nel 1917, scrisse: “[…] la camera è otti- coperchio per controllare la cottura, lo sfrigolio del soffritto, l’alito ma [ …] ariosa, calda e quasi del tutto tranquilla; intorno a me c’è in acidulo del cetriolo sbucciato e tagliato a fette, il gorgoglio dell’acqua abbondanza tutto ciò che devo mangiare salvo che le mie labbra vi si che scorreva nello scarico dell’acquaio quando la mamma vuotava il oppongono convulse, ma cosi mi capita sempre nei primi giorni dopo catino dopo aver lavato i piatti. un mutamento e la libertà, la libertà sopratutto. E lì c’è il solito mettitutto laccato di bianco con i vetri decorati di Certo c’è ancora la ferita5, della quale la lesione ai polmoni è sol- fiori e di foglie: proprio lì vicino ai fornelli. Diviso in due piani, nel- tanto un simbolo… oggi ho verso la tubercolosi l’atteggiamento che la parte superiore contiene ancora il servizio bianco da caffellatte; sot- ha il bambino verso le pieghe della gonna materna alle quali si ag- to, le tazzine da caffè sui piattini: sono di forma cilindrica con disegni grappa. Se la malattia l’ho presa da mia madre, ciò si accorda ancora di blu porcellana. Dallo spessore della tavola di legno del ripiano pen- meglio e nelle sue cure infinite, molto al di sotto della sua compren- de la trina incisa sulla carta velina rosa, appesa con l’intenzione di sione, mia madre mi avrebbe fatto anche questo servizio. Cerco con- dare un tocco di ricercatezza al mobile; ma sembra un po’ sbiadita. Sul tinuamente di spiegarmi la malattia, perché certo non sono andato io vano dell’alzata, su un centrino bianco ricamato, c’è la fruttiera a for- a cercarla. Talvolta ho l’impressione che il cervello e i polmoni si sia- ma di calice, con dentro un mazzetto di chiavi. no messi d’accordo a mia insaputa. «Cosi non si può andare avanti» Sul muro di fianco c’è attaccato ad un chiodino il Calendario di ha detto il cervello, e dopo cinque anni i polmoni si sono dichiarati di- Frate Indovino: è aperto alla pagina del mese d’aprile. Non l’aveva sposti a dare il loro aiuto.”6 mai visto prima, si vede che nei quasi cinque anni passati in prigione In altre lettere, ne cito alcune indirizzate a Milena, (“la spiegazione è venuta fuori anche questa piccola novità. Ma al di fuori di ciò la cu- fantastica della genesi del male [… ] il sicuro intuito di una lettura cina è la stessa; la tavola col piano di marmo bianco a venature gri- psicosomatica) […] queste trattative tra il cervello e i polmoni, che si giastre. Anche il pavimento di graniglia è sempre un po’ mal ridotto, svolgevano a mia insaputa, devono essere state spaventevoli.” E inol- specialmente vicino alle zampe della tavola e di fronte all’acquaio. tre, “Sono malato di mente, la malattia polmonare è soltanto uno Certo la mamma quando restò sola, dopo che il babbo morì nel straripare della malattia mentale.”7: cantiere e il suo arresto per quella maledetta storia di droga che co- stò la vita ad uno studente, non ha cambiato nulla in casa. Quando an- dava a trovarlo era sempre più avvilita ed invecchiata. Era meglio si NOTE facesse vedere più di rado. Tornò nel corridoio e dette un’occhiata di sfuggita al salotto, poi 1 Giuseppe Bevilacqua, Un pennino di stagno (2005, Rovigo, Il Ponte del aprì la porta della camera dei genitori che si trovava in penombra ed Sale) presentato a Firenze il pomeriggio dell’11 aprile 2006 al Gabinetto Scienti- entrò. Sentì un’emozione come se fosse entrato in un luogo consacra- fico Letterario Vieussieux (Incontri del Portolano). La poesia Kierling è a pag. 79. to. Appoggiò le mani sulla spalliera del letto matrimoniale e dopo un 2 La metamorfosi (DIE VERWANDLUNG), del 1912, traduzione di Rodolfo Paoli in: Franz Kafka - Racconti (a cura di Ervino Pocar), 1970, Milano, po’ di dolente vuoto interiore si avvicinò alla parte dove dormiva la Mondadori. mamma. 3 Franz Kafka - Racconti (a cura di Ervino Pocar), 1970, Milano, Monda- Sul comodino c’era la vecchia sveglia a soneria. La prese in mano, dori; traduzioni di Rodolfo Paoli. ci soffiò il velo di polvere che la ricopriva e timoroso ma deciso co- 4 Franz Kafka - Confessioni e Diari (a cura di Ervino Pocar), 1972, Mila- minciò a girare la chiavetta della carica. Aveva l’impressione che stes- no, Mondadori; traduzioni di Ervino Pocar. se decidendo qualcosa d’importante nel dare nuova vita alle lancette 5 aveva anche scritto a Max stesso in una lettera di poco precedente: … “lo pre- che segnano il tempo. Gli sembrava di dominare, con quel movimento, vedevo. Ricordi la ferita sanguinante nel Medico di campagna?” 6 Nota tradotta da Ervino Pocar in Franz Kafka, lettere (a cura di F. Ma- i pensieri ed i passi da percorrere. Mentre il congegno si risvegliò e co- sini), 1988, Milano, Mondadori. minciò il ticchettio dei secondi ebbe la sensazione che la casa si riani- 7 da “Introduzione” di Ferruccio Masini, ibidem masse: finalmente stava respirando con calma e sicurezza. 46 IL PORTOLANO - N. 49-50 LETTURA SERALE

Giuseppe Bevilacqua

ide l’auto rossa traballare sulla strada sterrata in discesa, poi Vsparire dietro la curva; all’ultimo qualcuno aveva ancora sa- lutato allungando una mano fuori del finestrino; aveva risposto agitando il braccio che teneva alzato. Non rientrò subito. Stava in mezzo al cortile selciato su cui scorrevano piccoli rivoli della piog- gia caduta durante quel pomeriggio. Adesso era spiovuto. L’aria era restata marcia. Nuvole stracciate di un biancore pesantissimo scen- devano la vallata come per forza di gravità. Per il resto il cielo era tutto un’alta cappa color piombo. Ma da ponente, come da una fes- sura sotto la porta, prorompeva una luce gialla e quasi innaturale che aderiva ai muri delle case: la sua, e poi, lontano, le altre, spar- se sulle colline. La giornata finiva. Era stata rapida nel passare, tra discorsi ora animati ora cercati lentamente, mentre sulla grande tavola della cu- cina i cibi caldi e i vini venivano uno dopo l’altro, e si commenta- vano e si consumavano con piacere di tutti. Ogni tanto una pioggia grossa e improvvisa come se si fosse in estate si era imposta col suo rumore, battendo il tetto. Le luci erano state accese tutto il tempo, e i vetri sempre appannati. Ora la giornata finiva. Ma sentì come un peso le ore che aveva ancora dinanzi. Che fare? Da ponente se- le. Le parti liriche che rievocavano i primi tempi del felice matri- guitava a sgorgare quel chiarore ma sarebbe stato per poco. Restò monio si alternavano a crude descrizioni delle ore trascorse in un bel pezzo lì immobile, respirando l’aria fredda e bagnata e adulterio. Il noto autore confermava le sue qualità. Scriveva senza guardando tutto attorno. Pareva che il tempo sfuggendo facesse mai andare a capo. Alcuni personaggi parlavano in romanesco e di- stranamente tutt’uno con le cose che non si saziava di contempla- cevano parole che cinquanta anni prima non sarebbero mai e poi re con un indistinto dolore. Oltre i prati zuppi d’acqua si alzavano mai comparse in un romanzo. I personaggi vivevano dilemmi ter- verso il monte i tratti di macchia e i querceti. Dalla parte opposta ribili, vi erano molte discussioni e molte scene amorose con tutti i un lembo della città lontana appariva impreciso attraverso striscie particolari. Lesse quattro capitoli. Restavano altri sette. Guardò il di foschia. libro che teneva fra le mani nel cono di luce della lampada. L’edi- Finalmente rientrò in casa. Andò nello studio. Le imposte era- tore, il massimo del Paese, aveva fatto una copertina bellissima. no ancora richiuse dal giorno avanti. Non le aprì per avere l’ultimo Al centro era riprodotto un particolare di un capolavoro della pit- chiaro e si trovò così subito nella luce notturna delle lampade. La tura moderna; e questo particolare aveva un vago rapporto con il stretta dell’incertezza si fece più forte. Ma perché? Aveva due o tre contenuto del romanzo. lavori avviati; sul tavolo le carte i libri gli appunti erano disposti con Ma, restando lì seduto con il libro in mano, sentì crescere un ordine. Lo studio era ampio, silenzioso nella casa solitaria. Cam- senso di completa estraneità. Si accorse che quel po’ d’interesse che minò a lungo rasente gli scaffali, ogni tanto prese un libro e vi les- aveva provato fino a quel momento non aveva niente a che fare con se qualcosa, ma come uno che guarda sovrappensiero l’orologio e l’oscuro elemento che dominava la sua giornata ed era per lui subito dopo non sa che ora sia. qualcosa d’essenziale. Con enorme fatica si levò dalla poltrona, ac- Alfine si risolse. Aveva una pila di romanzi da leggere come cese altre luci e rimise le mani nel mucchio di libri. Ne sfogliò al- membro di una giuria letteraria. Erano uno sopra l’altro sulla mo- cuni, esitante. Ma gli bastava leggere una qualsiasi frase per ave- quette. Rovesciò quella catasta, vi frugò un poco, poi prese il libro re l’impressione di una sproporzione immensa, non sapeva neppure di un autore fra i più noti. Guardò il termometro appeso al muro: lui bene tra che cosa, e quelle parole. Gli facevano l’effetto di al- 17 gradi. Raccattò un plaid ammucchiato su un angolo del divano cunché d’insipido e duro che dovesse prendere in bocca: non riu- e prima di lasciarsi cadere nella solita poltrona se lo girò due vol- sciva a masticarlo né a ricavarne un qualsiasi sapore. Per cui, quan- te attorno alle gambe. Aveva spento tutte le lampade tranne quella do si distolse dal mucchio di libri e si rialzò faticosamente, gli ven- che allungava il suo braccio sopra la poltrona. Buona parte del ne da fare un gesto come di sputare. grande studio era adesso in una penombra come quella del teatro Di nuovo fece semibuia la stanza. Altre volte, quando si era tro- quando comincia la rappresentazione; e per un attimo ebbe la sen- vato in una simile angoscia, aveva ascoltato musica, della grande sazione che lì qualcuno si aspettasse qualcosa da lui. Invece era lui musica. Gli pareva che venisse dal solo luogo al mondo dove quel- stesso in uno stato di attesa passiva, ma inquieta. la terribile incertezza era stata vinta. Ma stavolta non volle farlo. Il romanzo narrava di due amori, l’eroe era diviso tra l’amore Si vedeva assorto nell’ascolto, nella poltrona lì accanto, ad aspet- per la moglie e quello per una giovanissima dissipata e un po’ fol- tare che passasse. E gli parve una vigliaccheria. Non volle farlo. IL PORTOLANO - N. 49-50 47 La specularità e il rimorso di TABUCCHI

Elena Pinzuti

a domanda di Anna Dolfi sul rapporto tra letteratura, morte, not- ÇLte e insonnia è difficilissima, ha bisogno di una sigaretta. Dun- que…»1. Così rispondeva Tabucchi a una domanda di Anna Dolfi, rin- tracciabile, guarda caso, a revés. Quel che ne segue, nelle pagine di allora, è, citando Ornhan Pamuk, la risposta dell’“autore implicito”, cioè dell’autore che legge se stesso nel- la metalessi delle sue intenzioni: dunque, sostanzialmente, nello sdop- piamento proprio di ogni critica d’autore. Diversa è, ovviamente, la fun- zione del critico e dello sguardo critico, a cui è demandata invece la messa a fuoco di un discorso trans-esperenziale che riporti nelle soglie del “canonico” la produzione scrittoria. Nell’ultimo libro che Anna Dolfi de- dica a Tabucchi (a cui hanno fatto seguito, nel giro di pochi mesi, altri tre eccellenti interventi frutto di relazioni a convegni internazionali2) la stu- diosa affronta (e risponde in proprio) quella «difficilissima domanda» e quel che ne scaturisce è un libro denso, coltissimo, che legge Tabucchi da un’ottica bivalve, dove i lemmi la specularità e il rimorso vanno a inda- gare la infinita complessità della scrittura tabucchiana fino a congiungersi in una ermeneutica efficacissima, illuminante e, per certi versi, esaustiva. Già Ferroni, in alcune righe dedicate a Tabucchi, definiva la narrativa del- lo scrittore «[…] un fittissimo intreccio di richiami letterari, di citazioni, di spunti tratti dalle realtà e dagli autori più lontani»3. Da allora molti sono stati gli studi dedicati a Tabucchi, ma certo il Re- bus4 di una scrittura che vede decostruire il soggetto Tempo, che si gio- ca su partiture molteplici, su universi paralleli, su loci invisibili e sulle so- glie del Notturno, pare esistere in re proprio a confermare l’impossibilità della reductio ad unum, l’insussistenza di qualsiasi presa ortologica, l’a- (che proprio perché sfuggenti al tempo e all’attenzione, assumono après sindotico esercizio dell’intelligenza che, decrittando una realtà sfuggen- coup le tinte cupe del Destino e dell’Irreversibile) sono la forma di ri-fles- te, pare volta a una forma perenne di sconfitta. A questa resa (implicita nel sione scelta come elemento probante di ogni specularità. La decrittazio- tessuto), ai tentativi (volentes aut nolentes) di depistaggio, lo studio di ne dei temi serve dunque al regesto dei possibili narrativi per ri-ordinare Anna Dolfi si sottrae, dimostrando come sia possibile invece, seguendo in modo diverso la materia narrativa e le funzioni del racconto. le non tracce lasciate sul perimetro della scrittura, ricostruire le archeo- Lo studio segue inizialmente, in questo primo capitolo, Tabucchi fra logie della narrativa di Tabucchi, citando per immagini anche le coperti- I canoni dell’ipotetico (qui si citano solo alcuni dei titoli dei paragrafi), Le ne dei libri, riprodotte a sostegno della tesi secondo la quale anche le so- correzioni del definitivo e I testi paralleli per fermare il gioco dello sdop- glie, i paratesti, evocano il gioco dei rovesci. Lo studio si pone dunque in piamento, fissarlo come fotografia critica (e il tema della fotografia, stu- auscultazione della voce della prosa, eliminando i rumori di sottofondo, diato anche da Nives Trentin gode di decine di occorrenze nel corpus nar- inseguendo gli eco, per scovare quelle chiavi (le due chiavi) che sono gli rativo di Tabucchi e viene affrontato qui in una nota Ð pp. 39-40 Ð, tau- antigrafi evidenti della filiazione narrativa, gli archetipi di cui le pagine tologicamente degna di nota) e mostrare come per Tabucchi «[…] l’uni- trattengono l’orma oramai invisibile e contaminata: la specularità e il ri- verso nascosto che ci circonda […] costituisce delle cose la cifra più pro- morso. pria e essenziale» (p. 30). Ma l’universo nascosto «[…] equivale poi a ri- Se l’individuazione di un termine come quello della “specularità” condurre tutto verso il sogno […] e l’insonnia, mentre ogni storia si col- permette alla studiosa di compendiare e poi di sciogliere le funzioni del loca ai limiti della morte, sul filo del suo notturno […]» (p. 31). doppio, dell’alterità, del binomio a cui può ridursi qualsiasi forma di lo- Se il notturno è dunque ciò che rimane in ombra, ciò che perturba, ciò gica, nel libro due sono i capitoli volti a indagarne le implicazioni: Vir- che si sottrae, l’indagine non può che andare a confrontarsi con uno dei tualità e alonature del possibile e ÇNotturno indianoÈ. Appare chiaro testi più intriganti di Tabucchi (fatto com’è di stralci di storie, di generi come nel primo dei capitoli l’interprete si trovi ad affrontare le motiva- che si sovrappongono, dalla detective’s story alla letteratura di viaggio) zioni che muovono la scrittura tabucchiana. L’esergo posto in limine in- cioè Notturno indiano, capitolo suddiviso a sua volta, quasi pitagorica- fatti ha pertinenza assoluta con il/uno dei sensi che lo scrittore atribuisce mente, in tre paragrafi: Una partitura alla Chopin, Sulle tracce Ð per alla letteratura, ed è tratto da Sostiene Pereira: «[…] la letteratura sem- frammenti – del «juego del réves», ÇHors cadreÈ. Pretesti brevi in forma bra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità». La citazione di dizionario. serve all’indagine per mettere a punto il concetto di «umanizzazione del La studiosa rintraccia il segno sovrasegmentale di Notturno indiano fantasticoÈ (p. 14) e dunque per riportare il fantastico nel suo alveo uma- attraverso la cifra tonale del periodare: un pianissimo alla Chopin, al se- no e storico riconducendo così la letteratura all’interno di quel «sogno col- guito del suono della voce narrante. Le fonti che Anna Dolfi mette in lettivo» (p. 30) che ne garantisce la pertinenza con l’esperienza umana “campo” (alla Bourdieu) sono numerosissime e ficcanti: fra le altre, Pa- (e la sottrae dunque, e contrario, alla forma metafisica dell’inconoscibi- solini, Moravia, Manganelli. Ma gli ipotesti, le filiazioni, servono al di- le tout court). I giochi dell’altrove, i piccoli equivoci senza importanza scorso critico solo «[…] per offrire materiale di lavoro e per marcare qual- 48 IL PORTOLANO - N. 49-50 che necessaria differenza.È (p.78) Infatti se la memoria testuale ha fun- tica rispetto a quella classica) proprio a contatto con l’inesplicabilità, zioni di volontarietà e involontarietà (quindi di citazione o di occasione), l’inconoscibilità stessa della colpa non regala neppure, attraverso il ri- l’indagine del regesto citazionale non è mera funzione alla Linneo, ben- morso, la norma dell’espiazione. La funzione girardiana del “capro espia- sì scarto spitzeriano. torio” dunque non può godere della struttura narrativa del “ritorno alla Del resto «L’India di Tabucchi […] è, rispetto a quella di Moravia, di normalità” tramite la funzione dell’ ostrakon: non c’è perdono, e la sua Pasolini, di Manganelli, meno prevedibile, più astratta e simbolica.» (ivi) immanenza dilaniante si spande in tutto il tessuto narrativo, vi aleggia con È dunque proprio sulla im-prevedibilità, sull’ineffabile che si innestano una immanenza che è non solo metafisica, ma propria della fisica del do- le categorie-topoi dell’astratto e del simbolico. La casualità, l’hasard lore. Il capitolo si sviluppa in tre paragrafi: Il puzzle del rimorso. ÇVoci (da qui l’esergo di Hugo) si traduce in simbolo di sé: l’astratto diviene portate da qualcosa, impossibile dire cosaÈ, L’«Angelo nero» e gli ani- funzione del segno, a indicare come tutto sia fluttuante, mobile, e come mali inquietanti, Una scrittura della voce. Conviene soffermarsi sull’ul- il Tempo, con frizione alla filosofia induista, non sia che un inganno timo dei paragrafi, per rintracciare il significato di quest’utlimo capitolo. come gli altri. Al flatus vocis è demandato il compito di una “musa inquietante”. La voce Per questo il tema del viaggio viene letto in sinossi con quello del- è qualcosa di perituro, di istantaneo e fragile, demandata com’è a uno spa- l’alterità: il viaggio come sospensione delle abitudini, come attraversa- zio precario: quello del suono. Dice la studiosa: ÇFlatus vocis tutto quan- mento dello spazio-tempo e come duplicazione dell’identità che, da no- to ci circonda e di cui non rimane che un eco che è compito dello scrit- body (Carlo Nobody de Il filo dell’orizzonte) diviene, in modo pertur- tore ridestare: lo scrittore come un trascrittore, insomma, […] Ma appunto bante, Legione (per citare Jankélévitch) e dunque molteplicità (si pensi a trascrittore di cosa se non dell’imprendibile, di quella scansione lenta che Un baule pieno di gente, o agli infiniti eteronomi dei testi tabucchiani), avvolge le cose e le conduce alla fine?» (p. 250); se «[…] non c’è in- non è che la rappresentazione tematica dell’Altro. Il reale si fa doppio, l’a- somma niente di più romanzesco e suscettibile di storia del soi diçant rea- mico scomparso di Notturno indiano preleva dalla grammatica testuale i le […] la vocalità […] è divenuta, in un universo babelico e frammenta- tratti dell’io in un inquietante gioco di specchi e rifrazioni, dove «[…] un to, un dato portante della nuova costruzione ontologica del mondoÈ pericolo indeterminato, genericamente umano […]» (p. 43) aleggia sul- (p. 182). Proprio tramite l’uso della vocalità si rintracciano i giochi del- la ricerca impossibile, sulle triangolazioni del reale, incrinando «[…] le colpe rimosse, dei passati perduti e non ritrovati se non in forma fram- l’ipotesi semplificante della risoluzione della tematica dell’identità […]» mentaria (ben lontani dal platonismo proustiano, e più vicini all’allego- (p. 49). Sub rosa di Epimenide di Creta (almeno secondo le indicazioni ria dell’ ipermadelaine di cui Tabucchi parla in un racconto de Si sta fa- del poeta – creatore, che, come si sa, è un fingitore anche in senso fattuale cendo sempre più tardi). Il turbamento diviene allora Çpeccato per difet- ed etimologico) Notturno indiano è una sciarada, per dirla con l’autrice to Ð tipico peccato intellettuale, per eccesso di intelligenza e di timore del dello studio, che sfiora l’insolubilia: eppure la studiosa, decrittandone sa- cuoreÈ (pp. 198-199). pientemente e magistralmente le crepe, le incongruenze, arriva a descri- La studiosa qui scioglie altre sciarade narrative seguendo i dettati verne i tratti, i giacimenti, le sotterranee venature, il senso: ÇIn sostanza, sfumati dei dialoghi mancati (per citare Tabucchi), dei ricordi demanda- per arrivare alla verità, il prigioniero deve riuscire a percorrere in senso ti ad altri io, analizzando il racconto ÇVoci portate da qualcosa, impos- inverso il processo attraverso il quale gli arriva la rispostaÈ (p. 63). Pro- sibile dire cosaÈ in frizione con Requiem per leggere gli enigmi trans-te- prio per questo bisogna interrogarsi sulla scrittura di secondo grado, sul stuali sub spaecie rimorso. L’evocazione avviene per simboli, tramite le libro nel libro: la guida di viaggio India. A travel survival kit, con le sue leggi del futuro anteriore, nell’incubo onirico di una realtà che sfida le leg- coordinate cartesiane e oggettive si fa riflesso invece di un percorso la- gi della tridimensionalità attraverso le funzioni molteplici del rivissuto, del birintico e indefinito, diviene medium della realtà diretta, dell’inesperienza ricordo, dell’errore del ricordo. In quel ricordo aleggiano gli animali in- dell’esperienza. Oltrettutto, l’aggettivo survival è fortemente inquietan- quietanti de L’ÇAngelo neroÈ con la loro «inquietante estranietà» (p. 213) te: come a dire che senza il libro guida non si sopravvive. e ad essere in gioco, nella silloge dei racconti, dice la studiosa, è «[…] più Ma si sopravvive con il libro? O non si cerca, tramite il filo del testo che l’identità, la sua distorsione» (p. 214). Come in un radiodramma in cui (che appunto diventa di secondo grado per l’io narrante e di terzo per il i fruscii, la cattiva registrazione, il difetto dello strumento, rompano e lettore), Una composizione di Çmorceaux choisisÈ, per citare il titolo di spezzino per sempre la seduta spiritica e dunque la possibilità di interlo- un paragrafo dello studio? I frammenti, i lacerti, i pezzi sciolti, si fissano quire finanche con gli spiriti: già perduta la dimensione ontica dei corpi. nella narrazione in dialoghi mancati o interrotti, in fughe e agnizioni, in «In ogni caso, tra le tante, solo una delle voci è capace di consapevolez- riflessi immobili e silenti che hanno del fermo immagine. za e di ascolto» (p. 192), dice l’autrice dello studio, che la rintraccia nel- Per questo Anna Dolfi non tralascia la scrittura filmica di Notturno in- la funzione dell’autore/copista, di colui che resta in attesa, di chi continua diano, affrontando un’ulteriore forma di traduzione, di comparazione a tendere l’orecchio, una forma forse di precaria salvezza. L’ascolto (del- fra linguaggi. Del resto già per Piazza d’Italia Tabucchi aveva parlato del lo scrittore, del critico, dell’essere), quell’unico ascolto, sfida le sogle del- montaggio come di una funzione straordinariamente feconda anche per la l’inesprimibile e ci si fa prossimo e compagno nella decrittazione di una narrazione (citando Ejzensˆtejn) e dunque l’analisi del “linguaggio filmi- ipotetica realtà. co” serve a rintracciare i percorsi narratologici (e anti-narratologici) del Lo studio si chiude dunque dopo aver dato un contributo d’ora in gioco autoriale: se tutto è caso, il montaggio prevede comunque una for- avanti ineludibile alla critica dello scrittore, fissando i contorni entro i qua- ma di vettorialità temporale, di scelta subita o meno, ma attuata. li si gioca tutta la narrazione di Tabucchi, sul Çtrionfo delle voci ideali Ciò che rimane al di là del montato, dello scritto, del continuo lasciar […], e il gioco necessario del sogno e del rovescio, della memoria e del- cadere indizi per smentirli, quello induce allo studio di una cancellatura: la finzione.» la cancellatura che interviene nel sonno, nella atemporalità dell’inco- scienza, di cui l’insonnia è funzione drenante e simbolica. La studiosa va NOTE dunque a indagare Le ragioni di un sema, quello del notturno, e quelle del- l’insonnia, fra Hugo e le autopsicografie di Pessoa, quasi a lasciar inten- 1 Cfr. . Come nasce una storia, in Scrittori a confronto. Incon- dere, fra pagine dottissime e ficcanti, che proprio nel sonno/sogno si na- tri con Aldo Busi, Maria Corti, Claudio Magris, Giuliana Morandini, Roberto Pazzi, sconde l’arte di narrare una realtà che non c’è. Edoardo Sanguineti, , Antonio Tabucchi, a cura di Anna Dolfi e é proprio su questo punto, al termine di pagine pregnanti e stimolan- Maria Carla Papini, Roma, Bulzoni, 1998, [pp. 181-201] p. 189. 2 Si vedano a tal proposito La scrittura e gli oggetti della saudade, in AA.VV., An- ti che l’autrice dello studio inscena la triconomia della sua intenzione cri- tonio Tabucchi narratore. Atti della giornata di studi (17 novembre 2006) a cura di Sil- tica. Se la realtà non c’è, e quella che vediamo è molteplice, inquietante, via Contarini e Paolo Grossi, Paris, Quaderni dell’Hôtel Galliffet, 2007, pp. 11-24; Lo citazionale, letteraria, fatta della materia del sogno e di una realtà specu- spleen di Parigi e il senso di colpa, in «Italies» [numero monografico dedicato a lare, quel che ne scaturisce non può che essere quel che si è perduto, o Echi di Tabucchi / Echos de Tabucchi. Actes du colloque international d’Aix-en-Pro- quel che si crede, senza averne la certezza, perduto: la saudade diviene vence 12-13 gennaio 2007], 2007, pp. 29-45.; “Le temps pressé”e “Le voloir écrire” funzione conoscitiva. di Tristano, in http://www.univ-paris3.fr/recherche/chroniquesitaliennes. 3 Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Torino, Einau- Nell’ultimo dei capitoli che compongono il libro, Rimorso e rimosso, di, 1991, p. 725. si affronta infatti il difficile tema del rimorso, rendendo binario il lemma 4 Rebus è il titolo, come si sa, di uno dei racconti di Tabucchi. Cfr. Antonio Ta- che campeggia in copertina. Poiché la funzione del rimorso, e quindi del- bucchi, Rebus, in Piccoli equivoci senza importanza, ora in Racconti, Milano, Feltri- la colpa, assume tragicità post-moderna (dunque con funzione anticatar- nelli, 2006, p. 147. IL PORTOLANO - N. 49-50 49

Gruppo Logomotives, che Miccini svolge a livello OMAGGIO AD internazionale un’attività espositiva e performativa. Pochi mesi fa ero con Julien Blaine (di una ventina d’anni più giovane di Eugenio) al festival interna- zionale di poesia in azione ‘A+Voci’ e mi ricordava EUGENIO MICCINI le molte avventure poetiche comuni, compreso quella, alla quale avevo assistito, della storica mostra MAESTRO DELLA POESIA VISIVA a Palazzo Strozzi. Dagli anni ’80 in poi Miccini è invitato a nume- Massimo Mori rose esposizioni nelle più prestigiose istituzioni internazionali, dalla Biennale di Venezia allo Ste- delijk Museum di Amsterdam, dalla Quadriennale di a tempo conoscevamo le cattive condizioni di che noi tentiamo di grammaticalizzare immagini di Roma al Moma di New York al parigino Pompidou DEugenio Miccini, amico e Maestro della Poesia diversa estrazione sensibile in nome di una struttura ecc.. Visiva recentemente mancato, ma quando pochi anni che non possiamo, a rigore, chiamare linguistica, Siamo in attesa da tempo, ma Eugenio non potrà fa ad un ennesimo incontro al Caffé storico lettera- ma semantica (…)Impegno civile. Impegno anche essere con noi, che le Istituzioni fiorentine realizzino rio delle fiorentine Giubbe Rosse gli chiesi come democratico perché trasforma un’operazione una sua auspicabile antologica. andava, mi rispose ‘Io male ma la Poesia Visiva archeologica o paleografica, adatta per quei palati Anche le attività di insegnamento a Firenze, bene’. Come a dire ‘questo è ciò che importa’. Sì, che un grazioso eufemismo chiama fini, in un’ope- Ravenna e Verona contribuiscono a fare del nostro razione fondata sopra l’universo di esperienza questo è ciò che conta e che pone Miccini fuori del- un Maestro del ’900. comune alla quale nessuno oggi può vantare di sot- l’arco temporale della sua esistenza per inserirlo tra Ma come inquadrare oggi, oltre la singola pro- trarsi. La poesia non produce per la conservazione, gli autori ‘classici’. Lui stesso peraltro, con la schiet- duzione di Miccini, la Poesia Visiva? Essa non è ma per il consumo”. tezza che lo caratterizzava dichiarava ‘non sono un unicamente un momento ed un movimento legato Per chiarire quegli intenti iniziali della Poesia poeta sperimentale, io sono un classico’. agli anni ’60, è divenuta un genere a sé stante ben La sua prima formazione è in linea con questa Visiva molti anni dopo, nel 1985, Pignotti e Ori si diverso dai postulati della prima ora, è divenuta, distinzione, infatti dai giovanili studi Seminariali si esprimevano didatticamente in due articoli (rispetti- come diceva Pignotti nel già citato articolo, un uni- dedica alla filosofia greca, alla letteratura latina ed vamente ‘Poesia Visiva: dall’enciclopedia agli uni- verso parallelo. Si può a buon diritto sostenere che alla formazione umanistica fino alla laurea in Peda- versi paralleli’ e ‘Piccola nota sulla poesia visiva ad la produzione di questo universo non sia poesia gogia. Solo più avanti questi interessi confluiranno uso del visitatore e per chi ad altri fosse necessa- visiva, ma questo termine si è ormai imposto nel- negli studi semiotici e semiologici. ria’), che introducevano la mostra ‘Fuoritesto’ che l’uso dell’indicazione. Terminologia che è entrata é nel clima di guerriglia semiologica degli anni con gli amici di Ottovolante organizzavo al fioren- nelle enciclopedie, nei libri scolastici, nel pozzo ’60 che prende a definirsi il percorso della Poesia tino Palazzo Gaddi. senza fondo della rete ecc. Così è divenuta un terri- Visiva e dei suoi iniziatori, tra i quali Eugenio Mic- Nel primo si sosteneva che la Poesia Visiva non torio che letterati e artisti di differenti pratiche si cini ha un ruolo primario. era stata unicamente un momento e un movimento sono vantati di aver frequentato. La Poesia Visiva ha Ancor prima la sua ‘militanza poetica’ era ini- legato agli anni ’60, ma era divenuta un genere a sé assunto le caratteristiche di genere con inclusioni ziata con la collaborazione alle riviste fiorentine stante ben diverso dai postulati della prima ora, ben differenti anche in termini espressivi, di moti- ‘Quartiere’, ‘Letteratura’, ‘Il Menabò’; attività poe- com’era divenuta in altre parole un universo paral- vazioni fattuali e di indicazioni terminologiche; tica riconosciuta con l’assegnazione del premio di lelo. poesia Città di Firenze nel ’61. Nel secondo Ori ricordava pedagogicamente le come quelle di poesia visuale, arte scrittura ecc.. Per Questa data, in cui si ha l’affermazione di una tre caratteristiche specifiche della Poesia Visiva: il questa via dagli anni ’60 è continuata una produ- scrittura ‘lineare’ di Miccini, può essere indicata legame osmotico con i prodotti dei mass-media come zione che comunque si collega alla dizione poesia come giro di boa del suo percorso. Infatti sono del- punto di partenza della sua creazione; il suo privile- visiva, mentre da altre esperienze, come quelle del- l’anno seguente quelle che, per consapevole pro- giare l’aspetto iconico su quello grafico e tipografico; l’arte concettuale o della pop art, non è derivata getto, possono essere definite le prime poesie visive il tendere a raggiungere un risultato visivo nell’ottica una continua produzione, segno che l’impegno dei e la fondazione del Gruppo 70 con Lamberto delle arti figurative. Così l’Autore chiariva che la Maestri della Poesia Visiva ha aperto nuovi territori Pignotti, Luciano Ori e Lucia Marcucci. Poesia Visiva delle origini non apparteneva allo spe- che altri autori possono frequentare con personali Per inciso, è uno sconcerto che nel volgere di cifico della poesia, e tanto meno della letteratura, e la caratteristiche non epigonali. pochi mesi nell’ambiente Fiorentino ed in quello poneva come fenomeno a sé stante che rifiutava Nel giorno dell’ultimo saluto è stata distribuita internazionale siano scomparsi, con Eugenio, altri genealogie troppo facili, come quelle riconducibili al questa poesia del Maestro: due autori di statura mondiale come Ori e Giuseppe Futurismo, al Cubismo, a Schwitters, ad Apollinaire, Chiari. La città stenta a rendersene conto. a Mallarmé ecc. Se faccio che le idee abbiano corpo Ma ritornando al ’61 ritengo quello un anno di Nel ’69 Eugenio Miccini fonda Tèchne, rivista è con esse che mi riconosco svolta anche perché usciva il periodico Protocolli di cultura contemporanea, alla quale si affianca il o negli atti o nei fini dell’umana che nasceva dall’impossibilità di un discorso Centro Tèchne come luogo di attività creativa col- operosità: noi che lavoriamo il mondo comune e tanto meno unificante sulla poesia e lettiva in cui produrre un’operazione estetica come oggettivo, noi che lavoriamo attorno ad essa all’interno della redazione di Quar- mezzo di comunicazione. In questo periodico si rea- le sue menzogne. Che una scepsi perversa tiere. lizzarono le premesse maturate nel Gruppo 70. Di Ðnostra o di chi?- riaccompagni Protocolli si proponeva come laboratorio di ela- Tèchne uscirono 19 numeri tra il ’69 e il ’76, affian- i simboli alle cose, agli eventi. borazione metodologica e critica di nuove ipotesi cati da alcune decine di quaderni di vario conte- Che il nome dia luogo alla proposizione. antropologiche, filosofiche, estetiche e linguistiche. nuto. Alle attività della rivista e del Centro seguirono Se è una tecnica dell’esistenza, l’arte Protocolli usciva come inserto della rivista Lettera- molte realizzazioni tra le quali: ‘Esposizione inter- occupa il vano della febbre, dove tura di Bonsanti. nazionale di poesia visuale’ nel ’69 curata da Mic- giocano i cavalli di ritorno Dopo poco tempo dall’inizio del percorso della cini e Sarenco. Tèchne era in quel periodo in prima delle mistiche o delle pragmatiche. Poesia Visiva anche all’interno di Protocolli vi linea nelle proposizioni culturali e poetiche nazio- Qui mi colloco con le mie provviste furono, per incompatibilità degli obiettivi culturali, nali. artista che dà luogo all’immanenza, due differenti spazi di pubblicazione: Dopotutto di Eugenio Miccini è stato un movimentista la cui o spera, dei segni, Pignotti e Miccini e L’Oggidì di Salvi e Ramat. operatività culturale era sempre aperta al consumo di che crede, o si augura, Nel maggio del ’63 Dopotutto pubblicava gli poesia e di creatività e quindi aperta a tutti coloro che la simbologia ci rassicuri atti del Convegno costitutivo del Gruppo 70 (Euge- che mettevano in discussione critica le strutture del- della sua ambigua rappresentazione. nio diceva di far parte del gruppo 142: Gruppo dei l’esistente; aperta ed attenta ai giovani più promet- Noi che non siamo altrove, noi che dove nove, Gruppo70 e Gruppo ‘63) chiarendo la conti- tenti, così come dimostrato dall’aver assegnato la siamo non v’è barbarie o innocenza. nuità e la differenziazione con l’esperienze de il prosecuzione della nuova rivista Tèchne a Paolo Chissà quante volte sono stato Verri e Il Menabò di Vittorini per quanto era atti- Albani, o ad aver seguito negli anni da vicino la colpito, fatto bersaglio di ordigni nente ai rapporti tra letteratura-società-industria. In produzione di Anna Guillot, di Giovanni Fontana, di vacui, avvelenati, quelli che quel periodo così fervido e propositivo che faceva di Gian Paolo Roffi ed altri, o ad accorgersi per primo, han superato la guardiola. Anch’io, Firenze un riferimento geopoetico e geopolitico fon- come nel caso di un’opera del sottoscritto, del poema dunque, simulacro, segno illuso.* dante, scrivevano tra altri su Dopotutto: Dorfles, concreto Codex, ora esposto al prestigioso ‘Archivio Scalia, Eco, Barilli, Anceschi… Sul periodico così si della Poesia del ‘900’ del Comune di Mantova fon- esprimeva esemplarmente Miccini: “Dopo lunghi dato dallo stesso Miccini e da Alberto Cappi. Caro Maestro è preferibile essere con te nel vano secoli di tradizione letteraria petrarchista, dopo La sua attività ha sempre avuto un forte impegno della febbre, nell’illusione del segno, purché se ne perfino una ribellione avanguardistica tutta intenta civile; negli anni ’70 dirige con Sarenco la rivista sia, come te, consapevoli. a mutuare ancora dalla letteratura nuove ragioni Lotta Poetica, ma è all’inizio degli anni ottanta for- é preferibile, ancora una volta, la malattia del- letterarie, nuove giustificazioni estetologiche, ecco mando con Arias-Misson, Bory, Blaine, e De Vree il l’arte alla falsa salute della tecnica. 50 IL PORTOLANO - N. 49-50 Negli Horti di via Guerrazzi

Maria Bernardini

n po’ alla latina – in amore di classicità – un po’ per la via quasi pe- Uriferica verzicante siepi e alberi dai cancelli. Al numero 10, la casa con giardino, di Giovanni Papini. Lì abitava con il distacco del saggio e l’indulgenza della sensibilità. Tra gli ospiti domenicali, scendeva da Pog- gio a Caiano l’amico di sempre: Ardengo Soffici, da lui ribattezzato scher- zosamente “Il Peggio a Caiano!” suo complice delle prime ambizioni let- terarie, quando la gloria non si lasciava scalfire dalle loro lusinghe giova- nili. La signora Giacinta – dal profilo perfetto ancora bellissimo – gli fa- ceva festa come a un fratello d’anima che riportasse il suo Giovanni a tem- pi migliori, quando spensierati e illusi avevano giurato odio all’eterno fem- minino. Lei sola conosceva veramente il suo compagno. Sapeva cosa avesse- ro significato in gioventù quelle impennate furibonde, quelle stroncature su tutto e su tutti. Prima su se stesso. Mitigava il più burrascoso cipiglio di lui con un sorriso indulgente, anche quando sorridere costò silenzio e la- crime. A lei sola, a fine giornata, l’antico Gianfalco, affidava la mano pri- ma di dormire. A quel villino dal piccolo portico e il grande ippocastano, scendeva da Greve Domenico Giuliotti: l’uomo selvatico. Da via Maso Finiguerra, Giovanni Paszkowsky, Papini e Soffici al Forte dei Marmi, 1954. dove lo lasciava la corriera, eccolo attraversare il Centro: da via Palazzuolo, su per Borgo la Croce, fino a Piazza Beccaria, dove intravedeva i vigili. Era va gli ospiti e li salutava con un gesto ampio della mano, invitandoli a en- un passo, ormai. trare. Solo la visita Ð in vero rarissima Ð di Padre Morlion, superiore del- Camminava spedito come in un viottolo di campagna. Aveva il volto l’Ordine domenicano a livello internazionale, lo costringeva ad alzarsi fa- segnato dagli anni e dal sole, due occhi fanciulleschi pieni di meraviglia. ticosamente, brandendo il bastone come uno scettro. Quella figura impo- Sedeva con cautela sul bordo di una poltrona, diffidando di tutto quel vel- nente, un po’ pantagruelica che l’ampio mantello e il lungo abito non riu- luto, abituato com’era ai cigli della strada che conservavano a lungo il ca- scivano a nascondere lo imponeva. Sull’esempio del padrone di casa, al- lore del sole e la morbidezza dell’erba. I suoi racconti che spesso leggeva lora: tutti in piedi. quasi trepidando, profumavano di terra, di pane fresco, di buone ispira- Tolta questa eccezione, le domeniche in via Guerrazzi non avevano zioni, come di chi ascolti prima di tutto il cuore e non se ne vergogni. niente di ufficiale. Le mezze stagioni offrivano la frescura della bibliote- La signora Zina, la moglie, l’aspettava fino a sera tra l’orto e la vigna, ca foderata di scaffali fino al soffitto. Non di rado la porta-finestra che dava quasi le tardasse il suo ritorno. Sembrava dirgli: “Dove vuoi stare, meglio sul giardino s’apriva a maggior respiro. E d’estate – prima delle vacanze, di qua?”. quando Papini trasmigrava a Forte dei Marmi Ð proprio il giardino diven- Anche lo psichiatra scrittore era ospite assiduo in via Guerrazzi. Con tava protagonista di quella giornata di libertà. All’ombra dell’ippocastano, occhio vigile e introspettivo scrutava gli amici. Era il più taciturno, Cor- nel prato tra le siepi d’alloro e le spalliere di rose, la padrona di casa offriva rado Tumiati, anche se i suoi “Tetti rossi” erano stati premiati da Rèpaci il tè pilotando il rustico carrello con tazze, zuccheriera e tartine tra sedie a Viareggio. La lunga figura sembrava incedere a fatica, quasi anche il pas- di vimini, poltroncine di ferro e la panchina di legno verde, a ogni cambio so fosse invito alla meditazione. di stagione sempre più stinta. In clima di vacanza mentale gli amici ab- Il volto chiaro e sorridente di Gilberto Rossi: “Mezzo contadino” si era bandonavano le feriali preoccupazioni Ð e, se ne avevano! Ð per tornare tut- definito nel titolo di un suo libro, vincitore del premio Marzotto, al con- ti un po’ ragazzi. Si davano a coniugar verbi secondo i cognomi di perso- trario era aristocratico nella pacatezza di scienziato. ne conosciute, solo un po’ snobbate: “Io Calamandrei, tu Levasti, egli Enrico Sacchetti Ð disegnatore principe Ð polemico e satirico, guai a Calò…” Piero Bargellini, familiare in via Guerrazzi e molto amato, sullo contraddirlo. Un giorno ci si provò – pare con ragione – Piero Bernardi- storico esempio di un tal Filippo era “Piero il Bello”. Pietro Parigi, dal pro- ni, che pure nella sua arte lo riconosceva un maestro. L’auditorio taceva filo essenziale come le sue xilografie, semplicemente “Pietrino”. Mentre nell’incertezza della conclusione, quando Sacchetti accortosi d’aver per- “Pietro il Grande” designava Annigoni che – forse per l’aulico rispetto – so terreno, tagliò corto: “E poi sai, Bernardini…! Io sono più intelligente non ha mai frequentato gli Horti di via Guerrazzi. di te!” L’altro, per smorzare la tensione, guardandolo al di sopra degli oc- Nemmeno la cultura ufficiale era indenne dai loro estemporanei di- chiali, bonariamente rispose “Bada lì! E tu ti suderai!” Tutti risero. Era tor- vertissements, dove diventava “Il Vasari da notte” e Ma- nato il sereno. rio Salmi “Il Salmone responsoriale”. Bruno Cicognani una sera d’inverno lesse in quel salotto la sua trage- Per Diego Valeri Papini in persona aveva siglato questo epigramma: dia Yo el Rey, ispirata a Filippo II di Spagna. Così firmava i suoi decreti “Valeri, poeta d’amore, Ð spesso di morte – “Io, il Re!” Il silenzio era assoluto, la stanza affolla- ai suoi bei dì, tissima. Alla prossima estate, Don Ruggini, fondatore del Teatro dram- ebbe un solo gran dolore: matico di San Miniato, meglio conosciuto come “Il dramma popolare” vol- non avere l’accento sulla ì!” le rappresentarlo sul sacrato della sua chiesa. Come era tradizione. La pro- Da tempo gli Horti di via Guerrazzi sono interrati. La ruspa e le gru tagonista femminile fu Elena Zareschi. Molti ospiti degli Horti di via hanno demolito il villino a terrazze e il grande ippocastano, per spianarci Guerrazzi salirono, nella notte estiva, a San Miniato al Tedesco. un sedicente prato all’inglese dove giganteggiano geometrici blocchi da La residenza invernale era il salotto dalla finestra sul giardino e la por- condominio. ta affacciata al corridoio. Dalla poltrona Ð senza alzarsi Ð Papini scorge- Non solo gli uomini muoiono. IL PORTOLANO - N. 49-50 51 BETOCCHI/SOLMI e il valore dell’«opera comune»1

Francesca Bartolini

econdo Solmi la poesia nasce in Çun momento di disattenzioneÈ, SÇimprovvisaÈ, Çnon cercataÈ. E con la concretezza di un oggetto, «trepida cosa tra le cose», è prodotta da un respiro, appena sussurra- ta, o è plasmata da una mano indolente, spinta dall’urgente bisogno di collocarsi Çin questa calda, screziata, precisa esistenzaÈ. é parola so- spirata, attesa, invocata2. Per Betocchi, invece, la poesia è legata alla sfera dei suoni, in presenza o in assenza, priva della concretezza sol- miana che ce la rende tattile e si dissolve in un aereo silenzio parlan- te. é un dire, un sentire che sussurra, nuda parola ontologicamente uti- le, muta modalità per snidare in se stesso l’Altrui. Da queste due posizioni differenti, però, si innesca un meccanismo dialettico e i due poeti, fin dall’inizio del loro rapporto, riescono a creare un dialogo a distanza nel pacificante silenzio delle reciproche letture commentate puntualmente nelle lettere3. Un rapporto epistola- re prezioso, che contiene molto spesso tracce di temi, di sintagmi, di F.G., Betocchi. immagini poi confluiti in poesia, con una fitta rete di rimandi adesso svelati dalla pubblicazione del volume delle Lettere a Sergio Solini (Roma, Bulzoni, 2006) curato da Michela Baldini, arricchito da un una specie di destinatario all’infinito”). Alla ricerca di pace e di quie- prezioso contributo di Anna Dolfi. Si può pertanto, con l’ausilio di te, motivo ricorrente dei primi anni nell’epistolario a Solmi, si sosti- questo nuovo strumento, provare a costruire un percorso lungo le tuisce un’ossessiva riflessione sul dolore, legata soprattutto alla ma- connessioni che uniscono lettere e poesie. lattia della moglie Emilia. E si parlerà allora di «vita affaticata e si- 9 Il libro riporta infatti le missive inviate da Betocchi a Solmi dal- lenziosaÈ divisa tra il lavoro e le visite in ospedale a una malata che 10 l’inizio degli anni Cinquanta fino alla morte dell’amico, avvenuta «non si sa se potrà recuperare» . La perdita della voce e dei movi- nei primi anni Ottanta. Si ripercorre pertanto il nascere e il consoli- menti a causa della malattia sarà motivo, nelle poesie, di una rabbio- 11 darsi di un’amicizia, nata intorno alle pagine dell’«Approdo lettera- sa invettiva verso un Dio vendicativo . La guerra con il destino, rio». Solmi, nell’epistolario, appare come un compagno silenzioso con smozzicata imprecazione in Prime e ultimissime (ÇMa se il destino il quale si condivide la fede in “un’opera comune” come accade con credesse di aver vinto…»), diviene, nelle lettere, amara constatazio- l’anonimo destinatario della poesia incipitaria de L’estate di San Mar- ne di impotenza (Çla malasorte mi sta maledettamente maltrattan- 12 tino (ÇTra noi che vale, se ti mando in dono / questi miei versi e tu par- doÈ ). L’anima si ribella all’idea di qualsiasi sottomissione («Io non 13 li di me / che vale ricordarci quanti sono / i debiti che abbiamo l’un sono in mano al destino. Non mi avrà sua preda» ), ma si tratta di un con l’altro / ogni dedica è scritta e non ce n’è / di migliori né un lascito atto eroico inutile perché l’uomo può solo dibattersi tra Dio e l’Av- più scaltro / di quel che scrisse il reciproco amore / del fare insieme, versario, come una marionetta che assiste impotente al dileguarsi del senza chieder conto / di nulla che a quell’opera maggiore / ch’era non passato, terrorizzata in attesa dell’avvenire. L’unica possibilità è si sa come, amore insieme, / operante che gode del suo vivere / e noi quella di accettare in silenzio un peso difficile che si materializza in siam nulla, l’abolito seme…/ È l’opera comune che ha valore»4). La Dio nella poesia (Çla sua figura ignota o che volevo / ignorare prese poesia dell’amico, per essere meglio compresa, deve venire assimila- corpo Ð non seppi mai / se era Dio che lo permise, ma chi / amavo se 14 ta, introiettata, inghiottita. Betocchi si ciberà, metaforicamente, di non lui, con chi dolermi Ð / piombò col suo peso sui miei giorni» ), poesia (ÇTi ringrazio dunque per avermi fatto conoscere questo tuo mentre, nelle lettere, assume la consistenza di anni gravidi di dolore prezioso recupero che metterò nello stesso volume dove si trova la («e come all’erta questa tua, poesia, vera come gli anni che ci sono ca- 15 canzone di Pandolfo per cibarmene ogni tanto…»5), ma, sempre al- duti addosso, col dolore non smentito che addosso si portanoÈ ). Si l’interno della stessa area semantica, la poesia si «ciberà» di lui, tan- trova ancora, nell’epistolario, una traccia criptata di questo itinerario to che potrà affermare di essere stato letteralmente fagocitato dagli di disperazione: in una lettera dell’ottobre 1977 Betocchi ringrazia scritti di Rimbaud6. L’Io vorrebbe sconfinare nell’Altro, operazione Solmi per l’invio di alcune traduzioni di Machado pubblicate su «Pa- che riesce solo in poesia, visto che un Çpeccato infantileÈ impedisce ragoneÈ. Dice di aver cercato gli originali nel volume Poesie tradot- che questo si realizzi anche altrove (ÇE se leggo Dalla torre Eiffel vi te e introdotte da Macrí e di essersi imbattuto, durante la lettura, in ritrovo un uomo quale io vorrei essere, perché quei sentimenti sono i una quartina «stupenda» che ha deciso di far premettere all’«Oscar» miei, ma io compio il peccato infantile di sfondarli senza badarci per delle sue poesie perché rappresenta «la soluzione, risoluta e convin- vedere quello che c’è dopo»7). taÈ a cui dice di essere giunto anche lui. La lettera non aggiunge Betocchi, mentre non manca di commentare con puntualità le rac- nessun’altra notizia, ma si può leggere, nelle note di Michela Baldi- colte dell’amico, parla poco della sua poesia e pertanto le brevi an- ni e nel commento di Anna Dolfi, il testo a cui Betocchi fa riferimento notazioni sono per noi ancora più preziose. Accennando all’origine e che rivela il suo stato d’animo: del Vetturiale di Cosenza, poesie di un viaggio, nate in viaggio, Çap- Signore mi strappasti quanto avevo di più caro. / Odi ancora, Dio punti scritti a bruciapelo, in treno, facendo un giro di conferenzeÈ8, in- mio, questo mio cuore che chiama. / Signore, il tuo volere operò con- siste sull’importanza della dedica, «soglia» genettiana da oltrepassa- tro il mio. / Signore ormai siam soli il mio cuore e il mare. re (non si intitola appunto Dediche una sezione de L’estate di San Pietà per chi crede e per chi non crede, chiederà nelle Poesie del Martino?), e sulla necessità di un destinatario per la sua poesia (“[…] sabato, vedendo tutta l’umanità vittima di quella strana «carità del esce un libretto e si vorrebbe scriverci sopra: è per te, ma non per dar- vero /che non ignora in se stessa appaiati / ad una stessa sorte il bene ti l’impiccio di rispondermi. È come una lettera senza risposta. Tu sei e il male / dalla sua stessa implacabile necessità»16. L’unica alterna- 52 IL PORTOLANO - N. 49-50

tiva al dolore gli sembrerà essere il nulla, che non placa ma sempli- 5 Cfr. la lettera a S. Solmi del 28 marzo 1974 (in C. Betocchi, Lettere a Sergio cemente trasforma la rivolta in un «convincimento latente […] della Solmi cit., p. 113). nullità»17: 6 C. Betocchi, lettera a Sergio Solmi, Firenze, 4 luglio 1974 (ivi, p.124). 7 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 21 gennaio 1957 (ivi, p. 46). Non c’è nulla che mi rallegri tanto come sentir battere questi rin- 8 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 10 aprile 1959 (ivi, p. 57). 9 ÇLa vita mia e della mia Silvia si svolge affaticata e silenziosa fra il lavoro e tocchi di campane che ci rimandano al nulla, al dominante e soavis- le quotidiane visite in ospedale per dar da mangiare, tra l’altro, alla nostra malata che 18 simo nulla da cui la vita sembra a me riprendere tanto slancio . non si sa se potrà mai recuperare l’uso della parola e l’uso degli arti parziali» (C. Be- Betocchi Ð ce lo mostrano bene le lettere, e opportunamente vi in- tocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 15 marzo 1972, ivi, pp. 72-73). sistono Michela Baldini e Anna Dolfi Ð ogni volta che finisce di leg- 10 Ibidem. gere le poesie di Solmi, invia all’amico alcune righe di commento. 11 «Si è vendicato! Mi ha colto / di soppiatto, in lei che amavo, / l’ha travolta Sottolinea sempre gli elementi comuni, valorizzando gli spunti che in un letto di spedale, / dove le ha tolto la parola e il gesto, / laciandole il saperloÈ, ogni lettura gli regala. La realtà, dice Solmi, è un «imperturbato enig- (C. Betocchi, II, in Prime e ultimissime, con un’introduzione di Carlo Bo, Milano, Mondadori, 1974). maÈ e la nostra vita Çla semiconsunta puntina di un esistere che stri- 12 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 25 settembre 1972, in C. Betocchi, 19 de rauca, nel microsolcoÈ . Betocchi, non a caso, sosterrà, in una let- Lettere a Sergio Solmi cit., p. 97. tera del 1974, di amare una poesia come Scuola serale, Çlapidario te- 13 C. Betocchi, I, in Prime e ultimissime cit. stamento, reso universale dalla sua verità e umiltà»20, lucida presa di 14 C. Betocchi, III, ivi. coscienza dell’esistenza di una trama sovrapposta al reale che lo ren- 15 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 25 agosto 1973, in Lettere a Sergio de ogni giorno più indecifrabile. Solmi, con estrema pacatezza, de- Solmi cit., p. 99. nuncia l’inutilità e l’impossibilità di qualsiasi preparazione agli even- 16 C. Betocchi, Pietà, in Poesie del sabato, prefazione di Sauro Albisani, Mi- lano, Mondadori, 1980. ti della vita: certo i manuali non servono per un interrogatorio che co- 17 Mario Luzi, Anche quando il logos si oscura, in ÇIl ClanDestinoÈ, 1993, p. 20. glie sempre di sorpresa, tanto da far maturare come certezza solo la so- 18 C. Betocchi, lettera, Firenze, 28 marzo 1974, in Carlo Betocchi, Lettere a cratica consapevolezza di non sapere (Çil fine dello studio consiste es- Sergio Solmi cit., p. 154. senzialmente nel riconoscere la nostra insufficienzaÈ)21. Al posto del- 19 Ivi. l’Angelo Bianco invocato di giorno, scenderà durante la notte l’An- 20 C. Betocchi, lettera, Firenze, 19 aprile 1974 (ivi, p. 115). gelo Nero, conclusione ÇinattesaÈ22 ma comprensiva di tutto e so- 21 Sergio Solmi, La scuola serale, in Dal Balcone. 22 prattutto Çsenza speranzaÈ23. C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 19 aprile 1974, in C. Betocchi, Let- tere a Sergio Solmi, cit., p. 115. I libri di Solmi Ð dice Betocchi nelle lettere Ð, sono il risultato di 23 Ibidem. 24 una vita tutta spesa alla Çricerca del fiore della sapienzaÈ che non 24 Ibidem. 25 è altro che la «ricerca del senso che ha la vita» . Betocchi sente che 25 Ibidem (ma su questo punto, e per una focalizzazione sulla figura di Solmi, si Çnel nostro esistere e al nostro esistere manca qualcosaÈ26 e che il no- vedano le belle pagine introduttive di Anna Dolfi). stro animo, in cerca di «singolari verità» corre «dietro alla nostra stes- 26 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, 19 aprile 1974, in C. Betocchi, Lettere a Ser- sa ombra che ha bisogno di essere chiaritaÈ27. é la medesima ombra gio Solmi, cit., p. 116. che in Prime e Ultimissime gioca con l’Io confondendosi con esso, 27 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 4 luglio 1976 (ivi, p. 137). 28 «O forse il tempo dirà / – o lascerà apparire – che non era vero, e che fu la mia tanto da arrivare a illudere anche il poeta lasciandogli credere di es- ombra soltanto / a lasciarsi credere corpo, e che solo / il dolore era corpo vivente, e sere corpo finché il dolore, vero «corpo vivente», non sparpaglia in- un arcano disegno il vero sofferente, / un vero sepolto nella mia carne / che gettava torno quell’ombra che il poeta chiama se stesso28. Betocchi, nel dia- quell’ombra d’intorno / e io chiamavo me stesso, e dolore e destino» (C. Betocchi, logo con Solmi, parla di una ragione che Çaccoglie, nello spazio del- III, in Prime e ultimissime cit). la mente del poeta, la indefinita spazialità del mistero e della sorte e 29 C. Betocchi, lettera a S. Solmi, 21 luglio 1978, in Lettere a Sergio Solmi cit., dà loro forma e parola umana»29, in equilibrio perfetto tra «l’età gio- p. 154. vane che avverte il mistero che la circonda e l’età anziana che l’ha 30 Ibidem. 31 «Alla nostra età la fuga degli anni si accelera» (C. Betocchi, lettera a S. Sol- vissuto e consapevolmente illuminato con la sua saggezzaÈ30. L’im- mi, Firenze, 31 dicembre 1973, ivi, p. 67). magine si ripete in Su un detto di Eistein con il vecchio e il bambi- 32 «…offrendo il nostro dolore per il tuo bene e dei tuoi e di quanti ci sono cari. no divenuti pari emblemi di vita, «frazioni dell’eterno cammino», di- Anche questa è una religione oltre l’altra (o dentro all’altra) che mi conforta» (ivi, stinti solo per il maggior margine di consapevolezza che grava sul- p. 68). l’afasia della vecchiaia. Betocchi sente l’irrefrenabile fuga31 degli anni e la combustione delle particelle di vita, che, divenute cenere, ri- sorgono in ricordi. é quanto gli resta Ð conclude con amara consa- pevolezza in una lettera a Solmi Ð insieme al suo dolore. Nella sua re- il Portolano ligione alternativa non c’è altra merce di scambio che permetta di ot- periodico trimestrale di letteratura tenere un po’ di bene da regalare agli amici, dando anche a lui un po’ Anno XIII - n. 49/50 di conforto32. Gennaio-Settembre 2007 Direttore responsabile - Francesco Gurrieri Fondato da - Arnaldo Pini, Francesco Gurrieri, Piergiovanni Permoli NOTE Comitato di direzione - Francesco Gurrieri, Maria Fancelli Caciagli, Ernestina Pellegrini 1 Carlo Betocchi, L’opera comune, in L’estate di San Martino, Milano, Mon- Direzione, redazione e amministrazione datori, 1961. Pubblicità e Abbonamenti 2 «Sospirata parola, che alla fine / mi sei giunta, m’hai colto in un momento di 50142 Firenze - Via Livorno, 8/32 Tel. 055.737871 (15 linee) disattenzione, / e che ti vuoi improvvisa, non cercata, / sfuggente al gesto raro, alla [email protected] - www.polistampa.com misura/ esorbitante. D’una riga t’orli / di mare, gonfi in una nube, ti dibatti / come Sede legale: 50125 Firenze - Via S. Maria, 27/r colomba, sorgi in cima al semplice / respiro della voce, all’indolente mano che ti Editore scandisce, e urgi Ð trepida / cosa tra le cose Ð a collocarti in questa / calda screzia- Polistampa - Via Livorno, 8/31 - 50142 Firenze ta esistenzaÈ (Sergio Solmi, Arte poetica, in Dal Balcone, Milano, Mondadori, 1968). Abbonamenti 4 numeri 3 ÇCi ho passato insieme la prima sera che sono tornato da Milano. Non avevo Italia e paesi della Comunità: voglia di leggere altro. Sapevo che ci avrei trovato la più garbata delle conversa- Ordinario € 16,00 zioni… avevo bisogno di quei discorsi discreti, calmi e giusti che pochi come te san- Sostenitore € 26,00 € no fareÈ, Carlo Betocchi, lettera, Firenze, 4 gennaio 1960 e ancora Çe me la sono pas- Numero doppio 8,00 Numero singolo € 4,00 sata, come in conversazione con te, ieri sera, leggendomelo: fatte andare le mie due donne a letto, moglie e bambina, gustandomelo all’ultimo caldo di sera, in un can- Lettere, articoli, fotografie, disegni anche se non pubblicati non si restituiscono. Si collabora soltanto per invito. tuccioÈ (C. Betocchi, lettera a S. Solmi, Firenze, 14 gennaio 1959 in C. Betocchi, La Direzione si riserva la decisione della pubblicazione degli scritti pervenuti. Lettere a Sergio Solmi, a cura di Michela Baldini. Introduzione di Anna Dolfi, Le collaborazioni sono gratuite. Roma, Bulzoni, 2006, p. 48). 4 C. Betocchi, L’opera comune cit. Registrazione del Trib. di Firenze N. 4406 del 12.08.1994.