comunità cristiane di base n. progr. 322 progr. n. ,

, La Condivisione della memoria Incontro per la inaugurazione dell’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto Firenze 6 novembre 2004

Atti

Notiziario della Comunita dell Isolotto N. 2 2005 settembre dell IsolottoNotiziario della Comunita N. Comune di Firenze1 - Q4 Commissione Cultura La foto di copertina propone il gesto simbolico con cui gli abitanti dell’Isolotto, al termine dell’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio, hanno voluto restituire al mondo, carica dei loro messaggi di solidarietà, la chiave degli alloggi del nuovo villaggio, ricevuta dal sindaco e dal card. il 6 novembre 1954.

2 Notiziario Comunità 2 della Comu cristiane 2005 nità dell’ settembre Isolotto di base n. progr. 322

La condivisione della memoria

Il 6 novembre 2004 è stato inaugurato l’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto con un incontro significativo. Di tale evento diamo conto nel presente Notiziario dopo che il n.3-2004 era stato dedicato alla Mostra fotografica-documetaria sulla storia dell’Isolotto, aperta anch’essa in occasione dell’Incontro del 6 novembre. Il tema della memoria ha molto a che fare con il significato di fondo della comunità cristiana di base e della eucaristia che ne è il fulcro. Ci troviamo insieme per condividere alcuni segni di vita: pane e vino, ma anche altri prodotti della natura, e condividiamo il segno della parola, della poesia e qualche volta anche della musica e del canto. Sono segni con cui vogliamo esprimere il desiderio di condividere la nostra vita con gli altri. Condividere oltre ogni confine: oltre il confine della porta di casa, oltre il confine delle relazioni di sangue, oltre il confine della proprietà, della nazionalità, della cultura e della religione. E crediamo che sia proprio questo condividere che genera sempre la comunità. Il nostro è poco più di un desiderio, la nostra eucaristia è poco più di un segno del desiderio di condividere e forse la nostra stessa comunità è poco più che un desiderio di comunità. Siamo molto limitati e pieni di contraddizioni. Ma forse è proprio questo “poco più” del puro desiderio, queste nostre piccole pratiche di condivisione, sono loro che danno un minimo di autenticità alla nostra eucaristia. Fra il segno, il rito, le parole e la pratica concreta c’è sempre una distanza. Siamo in bilico fra coerenza e incoerenza. La distanza cerchiamo di colmarla con le piccole cose che riusciamo a fare concretamente sia come singoli sia come comunità sia nelle rete di relazioni sociali. Il senso dei nostri incontri comunitari però è legato alla memoria e in particolare alla memoria di Gesù: “fate questo in memoria di me”.

3 Ma non solo di Gesù. La nostra è una pratica che resta legata al Vangelo e alla tradizione cristiana, non la rinnega, non se ne separa, la nostra pratica non vuol restare isolata. Ma vuole anche indicare e vivere una memoria più ampia. Creare un varco e seguire un sentiero di apertura. Rendere l’eucaristia una memoria di condivisione che include tanti altri aspetti della storia umana, della sapienza umana, con pari dignità. Eucaristia è una parola greca che vuol dire ringraziamento. Per noi è una pratica di gratitudine a tutti e a tutte coloro che hanno aperto sentieri di solidarietà e condivisione, oltre tutti i confini. L’eucaristia che facciamo è una pratica di gratitudine a quanti e a quante nella storia vicina e lontana hanno spezzato il pane dicendo “questo è corpo e sangue mio, è la mia vita”. Dunque eucaristia e memoria sono una cosa sola. Per questo, forse, possiamo considerare un momento eucaristico anche la raccolta delle orme, la cura dedicata ai documenti, cioè l’Archivio storico della Comunità.

L’Archivio: un sentiero stretto fra le ambiguità della memoria

Il percorso del nostro Archivio è però un sentiero stretto attraverso le ambiguità insite nella memoria, ambiguità che del resto sono presenti in ogni aspetto della realtà. Prima ambiguità: la memoria tende ad aprire la storia, gli dà continuità e spessore, offre l’orientamento, alimenta il senso della vita; al tempo stesso però la memoria tende a imbalsamare la storia e la vita, crea grandi monumenti che nutrono il sogno d’immortalità, mitizza fatti, persone, cose, sottraendole al flusso vitale e ipotecando attraverso i miti il futuro. Assolutizzare le tradizioni, imbalsamarle in dogmi senza storia, seppellirle in riti senza eventi, irrigidirle in norme morali spietate come il processo di putrefazione, non è altro che fare alleanza con la distruttività. Seconda ambiguità: la memoria traduce la storia nel linguaggio e nell’immaginario dell’oggi rendendola fruibile, ma al tempo stesso la tradisce perché dà per scontato che la sua traduzione sia una specie di resurrezione dei fatti mentre è sempre solo la loro rappresentazione. Terza ambiguità: la memoria ha sempre un contenuto di liberazione perché è solo ricordando che si può elaborare in positivo il lutto, si può superare la paura, si possono volgere in positivo i conflitti, si può dare senso e forza alla lotta per la pacificazione nella giustizia; mentre l’oblio offre solo illusioni, fascia le ferite rendendole invisibili, ma produce cancrene profonde. Al tempo stesso però la memoria ha in sé un limite che la rende facilmente

4 strumentalizzabile: non si ricorda mai tutto ma solo ciò che ci serve. E’ su questo limite che il sistema del dominio epoca per epoca seleziona la memoria sociale e anche personale piegandola alle proprie esigenze di potere, imponendo solo la trasmissione dei fatti funzionali al potere stesso. L’Archivio nostro oltre a dover affrontare le sfide poste da queste contraddizioni deve anche confrontarsi con le contraddizioni proprie della Comunità. Una fra tutte: la tensione fra creatività e conflitto. Tutti i processi di trasformazione profonda vivono una tale tensione. Il nuovo che nasce è sempre avvertito come destabilizzante per le abitudini consolidate, per i ritmi consueti, per le sicurezze acquisite. Produce reazioni di difesa. I sistemi di dominio si sentono minacciati e sfruttano paure e angosce alimentando e infuocando il conflitto, sia il conflitto personale, interiore, quello che viviamo dentro fra vecchio e nuovo, sia il conflitto sociale e politico. La realtà nuova è sottoposta a una grande tensione: può affrontare il conflitto arroccandosi in una reazione di fanatismo e al limite tentando di rispondere alla violenza con altrettanta violenza o al contrario arrendendosi e spengendosi. E la memoria è in pieno dentro tale tensione, pressata fra due poli: la mitizzazione del nuovo e l’oblio. Ambedue sono sbocchi distruttivi. Una terza possibilità è la gestione positiva del conflitto che porti al superamento delle paure e conduca a una serena accettazione del nuovo. La memoria è indispensabile anche per questa terza opzione. E’ significativa una affermazione di Paolo Prodi, professore di storia moderna all’Università di Bologna, in un Convegno sulla creatività che si è svolto qui a Firenze nel 2004: “La creatività della storia non consiste nella ricostruzione del passato ma nel liberarci dall’oppressione del presente, nel conoscere le molteplici e intricate strade che abbiamo percorso: questo ci aiuta a capire dove stiamo andando e almeno ci dimostra che domani saremo ancora diversi”. La memoria dunque come aiuto ad accettare il più serenamente possibile la trasformazione come condizione perenne, compresa la trasformazione estrema della finitezza della esistenza, quella che si chiama morte, sia quella personale sia quella delle costruzioni umane con le quali tentiamo e c’illudiamo di sopravvivere. Ma è un sentiero molto stretto e aspro. L’Archivio nostro è nato, si è sviluppato e vive nel tentativo di trovare un tale passaggio. Ci sembra che spunti di significato, difficoltà, contraddizioni ed esperienze legate all’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto possano interessare le comunità di base italiane e i destinatari del Notiziario.

5 6 L’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto

È stato partecipato da almeno duecento persone. Il locale, le “Baracche” di via degli Aceri, era corredato dai 38 grandi pannelli della Mostra fotografica-documentaria, rimasta aperta per due mesi. La Mostra è stata visitata da non meno di duemila persone, tanto che la, grande affluenza di visitatori ci ha obbligato a prolungarne l’apertura fino al 31 dicembre 2004 e a provvedere alla ristampa dei cataloghi. Va rilevato in particolare l’interesse mostrato dalle scuole. È stata visitata da quindici classi, elementari, medie, superiori, per un totale di circa 300 alunni. Molte di queste classi hanno impostato la ricerca storica sulla base della mostra e di altri documenti dell’Archivio storico oltre che con interviste dirette agli abitanti dell’Isolotto e con il contributo della sezione di storia locale della Biblioteca Comunale dell’Isolotto. È stato quasi unanime, anche da parte di storici, l’apprezzamento per l’elevato grado di completezza e obiettività della mostra nonostante la particolare complessità del contesto storico a cui essa si riferisce: un risultato che è stato raggiunto col contributo anche critico di molti. Resta comunque un documento aperto a ulteriori contributi. L’incontro si è aperto con la visione collettiva del video di Stefano Dei “Le Cascine fra le case”. Un documento anch’esso coinvolgente ma molto obiettivo: “non solo molto emozionante – lo ha definito il Presidente del Quartiere - ma anche molto significativo, leggero nel modo di porre le cose, intelligentemente leggero e significativamente leggero”. L’Incontro è stato un momento importante di sintesi della vita dell’Isolotto e in qualche modo anche di prospettiva. La partecipazione attiva, insieme all’associazionismo, di rappresentanti delle istituzioni civiche cittadine (il Presidente del Q4, l’Assessore alla Cultura del Comune, il Presidente del Consiglio comunale, Consiglieri comunali e di Quartiere, la Presidente del Distretto scolastico, e altri) ha testimoniato una caratteristica della storia e dell’identità dell’Isolotto: l’intreccio costante, fin dagli inizi, fra società civile e istituzioni, nella dialettica democratica fatta anche di conflittualità su temi specifici come, all’inizio, la mancanza di servizi essenziali. Un altro elemento di sintesi e di prospettiva è stata la convinta partecipazione del card. Silvano Piovanelli. La sua presenza, il riconoscimento del valore della esperienza della Comunità che ancora una volta egli ha offerto nel suo intervento, l’apprezzamento verso l’Archivio, la mostra e il video, sono testimonianza di una gestione positiva del conflitto intraecclesiale che ha coinvolto l’Isolotto. Si deve aggiungere a questo la presenza del parroco dell’Isolotto e di membri del Consiglio parrocchiale. Simonetta Soldani, Giovanni Contini, Paola Benigni, Iela Todros, Luca Brogioni, Grazia Asta, Paola Ricciardi, Andrea Aleardi, tutte persone impegnate a vario titolo nel campo della storia e della memoria, hanno testimoniato insieme ad altri il valore della gestione della memoria curata dall’Archivio storico della Comunità aprendo prospettive per il futuro. Insomma si è trattato di un evento culturale di rilievo il quale, insieme agli altri eventi per i cinquant’anni già realizzati o in cantiere, ha segnato positivamente la storia e l’identità dell’Isolotto. L’iniziativa è stata organizzata insieme allo SDIAF (Sistema Documentario Integrato dell’Area Fiorentina) che in occasione dell’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto ha promosso il giorno precedente 5 novembre, presso la Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, una giornata di studio, sul tema: “Archivi e memoria storica, politica, sociale: l’esperienza dei movimenti nell’ultimo cinquantennio”, come momento di riflessione sugli archivi che raccolgono la documentazione prodotta dai movimenti e dalle realtà di base e documentano la crescita della partecipazione attiva dei cittadini.

Paola Ricciardi della Comunità dell’Isolotto ha introdotto l’incontro ricordando le emozioni che il filmato “Le Cascine fra le case” aveva trasmesso a quanti hanno vissuto l’esperienza di intensa partecipazione che ha caratterizzato il quartiere nei suoi cinquanta anni di vita. Paola ha presentato la giornata come un’occasione, oltre che per ricordare e fare festa, per conoscere l’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto, il quale ha

7 fornito la maggior parte dei materiali per la mostra documentaria allestita sui cinquanta anni dalla fondazione del quartiere INA-CASA. L’Archivio – ha detto Paola - è una realtà molto importante per la ricostruzione e la conservazione della memoria di una grande esperienza associativa, di rinnovamento sociale e religioso, che ha interessato non solo il quartiere, ma tutta la città. Ha annunciato che l’Archivio, dichiarato di notevole interesse storico dalla Sovrintendenza archivistica per la Toscana, sarebbe rimasto aperto alla consultazione degli studiosi e alle visite dei cittadini e delle scuole. Poi la coordinatrice dell’Incontro ha dato la parola per i saluti e le testimonianze, di cui riportiamo brevi sintesi, a: Giuseppe D’Eugenio, Presidente del Consiglio di Quartiere 4-Isolotto, Simone Siliani Assessore alla cultura del Comune di Firenze, Eros Cruccolini Presidente del Consiglio Comunale di Firenze.

Giuseppe d’Eugenio, dopo i ringraziamenti, ha affrontato il tema della memoria. “Ecco, perché questo lavoro- ha detto - perché questa cura nel mantenere la memoria, organizzare la memoria? Lo si fa perché c’è una crisi di fondo, c’è una crisi culturale di fondo: senza memoria non si va da nessuna parte, si perdono le radici. Noi curiamo le nostre radici non tanto come operazione nostalgica, perché vorrebbe dire tradirle, ma come supporto, come momento di riflessione per il presente e per il futuro”. Ha poi parlato dell’importanza nella gestione del conflitto. “È importante interpretare in maniera corretta il conflitto. Interpretarlo in modo corretto intanto vuol dire avere un presupposto di base, cioè rispettare l’altro comunque, indipendentemente da ciò che sente, da ciò che pensa, da ciò che manifesta. … L’altra cosa è l’incontro delle diversità. L’Isolotto, quando è nato, ha ospitato famiglie di diversissima origine, non direi sociale ma più culturale. Perché in qualche modo c’era uniformità di condizione socio-economica, poverissimi tutti, ma c’erano estrazioni e provenienze diverse, portati culturali, biografie diverse. L’Isolotto è cresciuto così perché queste diversità si sono incontrate, si sono scambiate in tanti modi, scambiarsi la ricetta con la vicina, non modi altissimi intellettualistici, no, modi anche banali, scambiarsi l’esperienza, l’esperienza quotidiana, il modo di fare, il modo di pensare. Ecco questo vuol dire arricchirsi valorizzando tutte le diversità. Ma come si è fatto cinquant’anni fa noi si è continuato a farlo in tutti i cinquant’anni e non solo nell’Isolotto ma in tutto il nostro territorio ed è esattamente quello che noi vogliamo continuare a fare, perché non è bello solo pensarlo per il passato. Appunto dicevo all’inizio: il passato ci serve se noi lo viviamo oggi, presente, e domani, futuro. E quindi noi siamo il quartiere che vuole vivere le diversità, vuole ospitarle, ma non semplicemente come elemento di sopportazione, no, le vuole metterle in relazione e non per omologarle ma per mantenerle nella loro diversità, perché ognuno di noi si arricchisce in queste diversità. Quindi conflitto, diversità non ci fanno paura, sono elementi di una dinamica importante che servono e sono utilissime e sono il sale dell’essere città, altrimenti ritorneremmo, e non è questo il nostro obbiettivo, a essere solo e soltanto case, cioè spazi funzionali vuoti. E’ uno scenario che non ci interessa. Questa dell’Isolotto – ha concluso D’Eugenio - è una esperienza eccezionalmente alta e lo è anche per me come persona. Noi dobbiamo e vogliamo continuare su questa strada”.

Simone Siliani ha inteso dare soprattutto una testimonianza personale. “La presenza di questa esperienza – ha detto l’Assessore - di questo insieme di esperienze che qui si sono concentrate dagli anni cinquanta ad oggi è una costante anche nella mia esperienza e anche nell’esperienza di molti della mia generazione, perché quei valori si sono attivati e rinnovati continuamente nella vita di questa città. Gli archivi storici di cui abbiamo parlato ieri e quello che inauguriamo oggi, diciamo simbolicamente perché in realtà attivo da tempo, servono anche a questo. Servono a capire non solo da dove veniamo ma soprattutto qual è il senso della direzione che prendiamo, quali sono i valori sui quali fondiamo il nostro fare comunità. Ed è significativo, a mio avviso, che una storia, come abbiamo visto nell’ultima parte del filmato, una storia che nasce da una separazione, da un momento di rottura, si sia trasformata e continui a vivere come una forma di contaminazione culturale continua in questa città. Una contaminazione positiva per la Chiesa viva di Firenze e del mondo. … E naturalmente è una storia che continua a parlare alle generazioni”. Infine Siliani ha voluto ricordare persone come Benito Incatasciato “che sul tema del ruolo dei quartieri, delle comunità locali hanno fatto davvero non solo riflessioni

8 ma anche azioni molto importanti”. Ed ha così terminato: “quello che siamo oggi molto dipende diciamo da quello che è avvenuto anche in questa parte della città cinquant’anni fa”.

Eros Cruccolini è partito dalla necessità di “riuscire un po’ a sviluppare il messaggio che viene da questa giornata, dalla documentazione, dalla memoria cui abbiamo fatto costantemente riferimento”. “Come possiamo, in qualche modo, definire questa esperienza? – si è domandato il Presidente del Consiglio Comunale - Ecco, quel messaggio che io dicevo ‘pensare globalmente, agire localmente’ è stato coniugato in questa parte di città”. “Il filmato – ha continuato Cruccolini - alla fine, lanciava una provocazione che io vorrei raccogliere: ‘ma la politica ha capito qualcosa?’. … Noi abbiamo una città, una realtà, un comprensorio, l’area metropolitana dove c’è chi quotidianamente vive una situazione di difficoltà e di povertà e chi invece vive nell’agiatezza. Riusciamo noi a far capire che in questo contesto chi ha le risorse deve metterle a disposizione di chi non le ha? Perché non è per come si nasce che uno deve avere un percorso stabilito, povero e povero sia, ricco e ricco sia. Qui ci deve essere una trasmissione, un collegamento. Se noi vogliamo fare un salto di qualità, se vogliamo dare un ruolo a questa Firenze che ha una sua storia, una sua tradizione, dobbiamo continuarla ma togliere le situazioni di egoismo, di conflittualità, di concorrenzialità”. E questo in collegamento con i grandi problemi del mondo e in particolare con quelli della giustizia sociale e della pace.

Alle precedenti testimonianze sono seguite le tre relazioni che pubblichiamo integralmente: di Sergio Gomiti della Comunità dell’Isolotto, il cui intervento è integrato con la relazione fatta da lui stesso nel Convegno dello SDIAF del giorno precedente; di Simonetta Soldani, docente presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Firenze; del Cardinale Silvano Piovanelli vescovo emerito di Firenze. Sono seguite infine alcune testimonianze programmate di cui diamo una breve panoramica nella parte finale del Notiziario.

9 Le foto propongono il gesto simbolico con cui gli abitanti dell’Isolotto, al termine dell’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio, hanno voluto restituire al mondo, carica dei loro messaggi di solidarietà, la chiave degli alloggi del nuovo villaggio, ricevuta dal sindaco Giorgio La Pira e dal card. Elia Dalla Costa il 6 novembre 1954.

10 La memoria dei senza storia

1. Genesi, significato e metodologia dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto di Firenze.

Relazione tenuta da Sergio Gomiti il 5 novembre 2004, al Convegno dello SDIAF: “Archivi e memoria storica politica sociale: l’esperienza dei movimenti nell’ultimo cinquantennio”.

Mi è stato affidato il compito di una presentazione dell’archivio Storico della Comunità dell’Isolotto del quale domani verrà fatta l’inaugurazione ufficiale. In data 28 maggio 2004, con Notifica n° 800, questo archivio è stato riconosciuto di interesse storico particolarmente importante dalla Sovrintendenza Archivistica della Toscana per i seguenti motivi contenuti nella Notifica: “La documentazione rappresenta una testimonianza preziosa ai fini della ricostruzione della storia sociale di Firenze e della Chiesa fiorentina a partire dalla metà degli anni ’50. Le vicende della Comunità dell’Isolotto, sorta nel 1954 all’interno della parrocchia della beata Vergine madre delle Grazie e dal 1968 al di fuori di essa ma sempre vivace e profondamente radicata nel quartiere, si intrecciano infatti strettamente con i movimenti che portano alla trasformazione di ogni aspetto della società culminata nel 1968".

È normale porsi nel caso due domande alle quali vorrei brevemente rispondere. Prima: come è nato questo materiale; seconda perché si è accumulato e conservato negli anni.

Come è nato questo materiale. E’ nato da una necessità dovuta al metodo di lavoro che aveva avuto inizio nella istituita nuova parrocchia nata insieme al nuovo quartiere dell’Isolotto. Un metodo di lavoro comunitario. Lavoro comunitario che non riguardava soltanto i preti ma comunitario nel senso che tendeva a coinvolgere non passivamente ma in modo corresponsabile i laici non tanto nella vita della parrocchia ma responsabili della vita della parrocchia. La corresponsabilità dei laici non poteva limitarsi a recitare l’”amen”, il “così è e così sia” ma era importante favorire il loro inserimento nelle decisioni che riguardavano tutta la vita della parrocchia in modo che la vita stessa del quartiere contaminasse positivamente la catechesi la liturgia la predicazione, la lettura continuata e comunitaria della Bibbia in modo da rendere la pastorale una pastorale viva, attuale. Le tematiche trattate, presentate, approfondite durante l’anno erano discusse, decise nelle riunioni generali dei catechisti, del gruppo misto di giovani e ragazze a cui partecipavano anche coppie sposate non solo giovani ma anche di età matura. Si trattava di un gruppo di persone impegnate, gruppo aperto a tutti, al quale tutti potevano partecipare in modo che intorno ai preti non si creasse il solito gruppo ristretto di praticanti che tendono a monopolizzare la parrocchia, ad escludere gli altri definiti lontani. Questo metodo di lavoro, nelle sue linee generali , non è stato abbandonato ma vige tuttora al presente nella vita della Comunità, e non potrebbe essere altrimenti poiché il coinvolgimento diretto, la partecipazione, l’attenzione al Vangelo e alla realtà dell’oggi, allo stesso modo della libertà e della democrazia non sono una volta per tutte. Il materiale che si è accumulato è vario: schede per la catechesi, ciclostilati, piccoli inserti, piccoli manuali in lingua italiana per rendere comprensibili sacramenti e sacramentali, per la partecipazione alla liturgia, resoconti delle assemblee di revisione e di programma, fogli mensili per la lettura continuata comunitaria ma anche personale della Bibbia, tracce e testi per la predicazione domenicale, inserti preparati dai vari gruppi che

11 preparano l’assemblea domenicale che si svolge nella piazza dell’Isolotto, resoconti di impegni sul sociale, notiziari, registrazioni di assemblee, fotografie della vita della comunità, incontri con altre realtà e comunità di base, articoli di riviste e di quotidiani interessati alla vicenda della Comunità. Ecco come tanto materiale si è ammucchiato nel corso degli anni sia di quelli trascorsi in parrocchia sia fuori di essa dopo il ’68 fino all’oggi per le vicende note e meno note della Comunità.

Perché questo materiale si è accumulato e conservato negli anni. Questa mole di lavoro non indifferente necessariamente doveva essere conservato per evitare ripetizioni non necessarie, completare carenze, stabilire il collegamento con le attività a seguire in modo tale da evitare inevitabili strappi di percorso e prima di tutto per avere costantemente presente il tema generale verso cui venivano orientate e informate tutte le attività e gli impegni, il procedimento del percorso intrapreso, gli eventuali risultati positivi o negativi comprese appunto le carenze e gli errori commessi.. La vita di una comunità aperta al mondo non è né facile né semplice. Molti problemi antichi sono ancora irrisolti e a questi se ne aggiungono continuamente altri. C’è il rischio costante per la Comunità di chiudersi in se stessa o quello di perdere la propria identità. Abbiano ritenuto e riteniamo fondamentale fare riferimento a Gesù Cristo che parla oltre che nei Vangeli anche nella storia, perché se è verace la fine del capitolo 25 di Matteo è presente e quindi certamente parla nell’affamato, nell’ignudo, nel pellegrino, nel carcerato, nel malato. Ciò, all’infuori di una visione paternalistica, non trova sempre buona accoglienza ma spesso s’imbatte nell’accusa di orizzontalismo e di presentare Gesù Cristo come agitatore sociale. C’e poi tutta una parte anche ecclesiastica che vede tutto nero, tutto male, con una sfiducia quasi assoluta negli uomini. Il nuovo che nasce è pericoloso, infido. Giovanni XXIII la pensava in un modo un po’ diverso. Nella enciclica Pacem in terris al paragrafo 21, 22, 23 parla dei segni dei tempi, parla in senso positivo della crescita morale e della rivendicazione dei diritti, del mondo del lavoro, dell’ingresso della donna nella vita sociale e pubblica, della famiglia umana in cui i popoli non sopportano più di essere soggetti. Poi al paragrafo 24 della stessa Enciclica così diceva: “Gli esseri umani, in tutti i paesi e in tutti i continenti, o sono cittadini di uno stato autonomo e indipendente, o stanno per esserlo; nessuno ama sentirsi suddito di poteri politici provenienti dal di fuori della propria comunità umana o gruppo etnico. In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica”. Giovanni XXIII non parlava a caso. Sapeva bene che questi erano problemi per la società a anche per la Chiesa. Sono problemi tuttora irrisolti insieme al problema della democrazia compiuta, della partecipazione e dei diritti. Mettersi dalla parte dei poveri, degli esclusi, dei diversi, dar loro voce è un andar contro corrente e non sempre è condiviso e compreso. Su uno degli sportelli dell’Archivio ho appeso un foglio dieci righi che al momento non ricordo bene da dove li ho rilevati ma che mi sono sembrati efficaci e che spiegano il perché del nostro Archivio. “C’è una concezione dominante della storia basata sull’emergere dei fatti e dei personaggi. E’ la storia fatta di eroi o di martiri, di santi o di demoni, di vittorie o di sconfitte, di oppressioni o di rivoluzioni, di piramidi- obelischi-cupole-campanili-torri-necropoli. Non è l’unica prospettiva storica, però di norma pretende l’esclusività. In quanto esclusiva è profondamente carente. Ignora o sottovaluta i processi di trasformazione, frantuma il divenire storico, isola personaggi o avvenimenti, oscura il significato della quotidianità e svalorizza l’apporto delle persone comuni, dette appunto “i senza storia”.. Per questo, anzi per questi abbiamo voluto costituire l’archivio storico dei “senza storia”, proprio perché finche possibile fosse registrata la loro voce.

12 2. I contenuti dell’Archivio

Relazione tenuta da Sergio Gomiti il 6 novembre 2004 all’Incontro per l’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto.

Ieri, 5 novembre, alla Biblioteca Comunale Centrale in via s. Egidio, il Comune di Firenze ha organizzato un convegno dal titolo:”Archivi e memoria storica politica sociale: l’esperienza dei movimenti nell’ultimo cinquantennio”. Nell’intervento a quel Convegno ho cercato di far presente, di spiegare come era nato il materiale che costituisce oggi l’archivio storico della Comunità dell’Isolotto e anche il perché questo materiale si era consolidato e conservato nel tempo fino a diventare l’archivio storico della Comunità dell’Isolotto Oggi, giorno dell’inaugurazione ufficiale di questo Archivio, mi viene chiesto di presentare ciò che l’Archivio contiene.

La provenienza dei documenti

La provenienza prevalente dei documenti è materiale edito o prodotto dalla comunità o riguardante la comunità e appartiene a due periodi ben definiti. Dal 1954 al settembre 1968; dall’ottobre del 1968 ad oggi. I documenti finora catalogati ammontano a circa 5800. Nell’archivio sono presenti documenti che riguardano più specificamente il territorio. E non poteva essere altrimenti perché la vita della Comunità, fino dagli inizi, è sempre stata profondamente legata al territorio, presente agli avvenimenti che hanno segnato l’intero quartiere. Realtà religiosa e realtà sociale sono state strettamente collegate. Questi documenti al momento solo ordinati cronologicamente riguardano particolarmente i primi germi e il prender corpo del Comitato di quartiere Isolotto Monticelli (dicembre 1966), la nascita del Comitato Genitori Scuola nuova Isolotto (fine anni ’60), il collegamento con il mondo operaio, l’impegno per la pace, l’integrazione culturale contro ogni forma di razzismo. La raccolta di questo materiale necessita di essere ampliata e ne viene continuata la ricerca.

I settori di archiviazione

I vari settori in cui sono stati divisi i materiali di archivio e i loro rispettivi contenuti sono i seguenti.

I. Editoria minore del periodo parrocchiale.

Sono 724 documenti così suddivisi: Pastorale, Liturgia, Omiletica o Predicazione, Percorsi di rinnovamento della vita cristiana, Percorsi di catechesi, Veglie.

Pastorale: i documenti riguardano l’impostazione generale della pastorale con l’approfondimento dei temi quali la liturgia, la predicazione, la catechesi nel loro aspetto metodologico evidenziandone l’aspetto “missionario”. Vi sono contenute anche le lettere dei sacerdoti ai parrocchiani.

Liturgia: I documenti riguardano particolarmente: Didascalie, preghiere e una serie di “canoni” in italiano da recitarsi a voce alta da alcuni laici seguendo il sacerdote che, sottovoce, proseguiva con la celebrazione della messa in latino. Documenti riguardanti varie traduzioni in italiano delle messe delle domeniche dell’anno liturgico (dalla prima di avvento all’ultima domenica dopo pentecoste), del “proprio dei santi” e del “comune dei santi”.

13 Omiletica o Predicazione: I documenti riguardano la prima omelia di Enzo Mazzi nuovo parroco della nuova parrocchia dell’Isolotto del natale del 1954, quattro omelie del 1959 e tutte le omelie degli anni 1965- 66-67-68.

Percorsi di rinnovamento: vi sono Documenti dal 1959 al 1968 riguardanti lo studio e la lettura continuata della Bibbia con l’approfondimento di particolari temi biblici e di vari temi della vita cristiana in particolare dell’ amicizia e fraternità, meditazioni di ritiri spirituali, la discussione su problematiche parrocchiali ed ecclesiali quali la liturgia, la catechesi, la predicazione, la realtà conciliare, l’approfondimento dei temi sociali del momento.

Percorsi catechistici: Sono conservati i documenti riguardanti la catechesi ai ragazzi dal 1957 al 1970. Tali documenti sono composti da lettere dei sacerdoti o dei catechisti ai ragazzi della prima comunione o della cresima e ai loro genitori, dalle schede di catechismo dal 1963 al 1968. Si tratta delle schede che hanno dato origine alla pubblicazione della L.E.F. (Libreria Editrice Fiorentina) del libretto e delle schede dal titolo “Incontro a Gesù” nel 1969.

Veglie: Si tratta delle veglie fatte in parrocchia sul problema del razzismo e della pace nel 1964-65-66-67-68.

II. Pubblicazioni

Periodo: dal 1954-al presente. Sono i libri prodotti della Comunità o con sezioni di altri autori riguardanti la comunità, oltre alle pubblicazioni del territorio, del quartiere. Alcuni libri della Comunità sono stati tradotti in francese, tedesco e portoghese. L’archivio contiene anche i libri a firma di Enzo Mazzi: Firenze e Savonarola, Giordano Bruno, La forza dell’Esodo, Ernesto Balducci e il dissenso creativo. Libri prodotti dalla Comunità dell’Isolotto: “Incontro a Gesù”, L.E.F., 1969, Firenze; “Isolotto 1954/1969”, Laterza, 1969, Bari; “Isolotto sotto processo”, Laterza, 1971, Bari; “Liberarsi e liberare”, Nistri-Lischi, 1973, Pisa; “La Bibbia è del popolo”, suppl. a Com, n° 82, 17.03.,1974, Roma; “L ‘Isolotto legge la Bibbia”, Supp1. a Com - Nuovi Tempi n° 15.27.04.,1975, Roma; “Miti, Scienza, Vangelo” L.E.F.,1997, Firenze; “Oltre i confini”, L.E.F , 1995, Firenze; “Il mio 68”, Centro Libro, 2000, Scandicci (FI). “I racconti dei nonni. Le avventure di Pietruzzo” a cura di Luciana Angeloni su iniziativa di Consiglio di Quartiere 4, Commissione Sicurezza sociale Q4, Centro Educativo Popolare, Comunità Isolotto. I libri finora catalogati sono 82.

III. Quotidiani e i periodici, cioè giornali e riviste

Periodo: dal 1954-al presente Vi sono conservati gli articoli di quotidiani e periodici riguardanti la Comunità o a firma della Comunità o di Enzo Mazzi. Alcuni articoli di giornali prima del 1968 riguardano fatti del quartiere, della consacrazione della chiesa, dello sciopero per la costruzione della scuola in muratura, lo sciopero per i licenziamenti della Galileo, le elezioni amministrative del giugno 1966, l’alluvione del novembre 1966. La maggior parte degli articoli riguardano la vicenda dell’Isolotto dal 1968 ad oggi. Dal 1968 in poi gli articoli sia di cronaca nazionale o cittadina, oltre a quelli esteri, fotografano dall’esterno sia gli avvenimenti che hanno coinvolto la parrocchia nell’autunno del 1968 e poi tutta la vicenda della comunità dal 1969 in poi. Si tratta di circa 2.500 articoli di giornali o riviste.

14 IV. Lettere

Periodo: 1968-1998 Sono le lettere ricevute dalla Comunità da gruppi, singoli laici, sacerdoti, vescovi, lettera autografa di Paolo VI. Sono lettere riguardanti la vicenda Isolotto provenienti da ogni parte del mondo, non solo dall’Europa, fin dall’Australia, dal Sudamerica oltre che dagli Stati Uniti. Lettere che riguardano i rapporti della comunità con realtà comunitarie italiane e estere. Il numero maggiore delle lettere riguarda il periodo 1968-1971 e sono interessantissime. Sono lettere favorevoli e contrarie all’esperienza dell’Isolotto, altre paternalistiche. Interessanti poiché mostrano uno spaccato della divisione del mondo cristiano cattolico non solo a livello nazionale. Si tratta di uno spaccato rappresentativo sia di quella parte di popolo aperto ai cambiamenti, che si è trovato in difficoltà con la Chiesa, messo ai margini, che non ha ascolto, popolo senza potere e senza voce, sia di quella parte di cattolici per i quali nella Chiesa l’unica cosa che conta è l’obbedienza, una obbedienza assoluta e cieca da inferiori a superiori, da sudditi a capi. Meriterebbero una pubblicazione. Le lettere sono circa 1.500

V. Ciclostilati.

Periodo: 1968-ad oggi Si tratta di volantini e inserti riguardanti le attività della comunità. Contengono il lavoro svolto all’interno della Comunità, le varie attività, gli impegni, gli approfondimenti, le prese di posizione, le solidarietà, tracce e scalette oltre a documenti delle assemblee eucaristiche in piazza, preghiere per l’eucaristia, preghiere per il battesimo, per i defunti. Sono circa 700 documenti tra fogli singoli e soprattutto inserti.

VI. Atti del processo

Periodo: 1968-1971 Descrizione: Atti riguardanti le incriminazioni, la deposizione degli imputati, la sentenza istruttoria con l’incriminazione di 438 persone, la deposizione di alcuni testimoni dell’ accusa, la difesa, la sentenza di assoluzione.

VII. Notiziari.

La pubblicazione del Notiziario risale al 1968. I primi 40 numeri sono usciti prima come Notiziario della parrocchia dell’Isolotto, poi come notiziario della Comunità parrocchiale dell’Isolotto fino a settembre del 1969, poi dall’ottobre del 69 come Notiziario della Comunità dell’Isolotto e vive tutt’ora. Ne esiste una copia rilegata fino al 2004. L’ultimo è quello della mostra, quello che vi è stato distribuito. Ne sono regolarmente spedite 650 copie sia in Italia che all’estero in Europa e non solo ma fino al Vietnam, all’Argentina e agli altri Paesi dell’America Latina. Sono inviati a persone che sono di norma passate per l’Isolotto, che hanno portato la loro solidarietà non solo a livello personale. I Notiziari della Comunità dell’Isolotto registrano la vita della Comunità e in parte anche del Movimento delle Comunità cristiane di base sia italiane che estere. Contengono approfondimenti, prese di posizione, rapporti con gruppi italiani e esteri, convegni e seminari delle Comunità cristiane di base. Tutto quello che al momento è sembrato importante è contenuto nei Notiziari. Sono conservati in Archivio rilegati in 9 volumi per complessive 4000 pagine. I numeri del Notiziario della Comunità dell’Isolotto sono ad oggi 320 oltre i primi 40 che vanno dal dicembre ‘68 al novembre ‘69.

15 VIII. Documenti più significativi

Il periodo è dal 1953-al presente Questi documenti vanno dalla Legge sulla costruzione delle nuove Chiese del 1952 e pubblicata su la Gazzetta Ufficiale del 1 gennaio 1953 alla costituzione della parrocchia ai rapporti vescovo- parrocchia, vescovo- comunità. Vi sono raccolte la lettera autografa di Paolo VI, le lettere del card. Florit all’Isolotto e le risposte dei preti al cardinale, lettere interessanti di sacerdoti della diocesi di Firenze e di alcuni vescovi. Vi è riposta tutta la documentazione più significativa della vicenda Isolotto. Sono 198.

IX. Bobine audio

Periodo: dal 1968-al presente. Sono 113 bobine riguardanti le assemblee della Comunità (duecentoventinove assemblee comprese le 14 udienze in tribunale per il processo all’Isolotto nel 1971 e una assemblea del 1967 che contiene il commento alla Populorum progressio fatto dal prof. Giorgio La Pira e dal prof. Piero Barucci nella chiesa dell’Isolotto). Delle centotredici bobine centotre sono della Comunità tenute sia alle Baracche che nella piazza dell’Isolotto per la celebrazione dell’eucaristia. Gli argomenti delle assemblee riguardano logicamente i fatti del momento e contengono anche interventi di moltissimi sacerdoti venuti da ogni parte del mondo a celebrare l’eucaristia nella piazza del quartiere o a portare il loro contributo nelle assemblee del mercoledì. Importantissima la registrazione del 4 gennaio 1969 riascoltata in tribunale poiché la traduzione rilevata dalla bobina in possesso della questura era stata tradotta in modo tale da costruire l’incriminazione per istigazione a delinquere di cinque sacerdoti e di tre laici dell’Isolotto Queste bobine, comprese quelle del processo sono state tutte riascoltate, completamente trascritte e rese utilizzabili anche su cartaceo per un totale di 2400 pagine.

X. Bobine audiovisive in VHS

Vi sono riportati dei cortometraggi amatoriali filmati nel periodo 1968-1969. Vi sono poi alcuni incontri e veglie realizzati nella piazza dell’Isolotto. In Archivio vi è anche un film girato negli anni ’71-’72 di circa 40 minuti girato negli anni ’70 da un cineamatore fiorentino. Il titolo del film è “Dalla parte del popolo”. Per i cinquanta anni del quartiere Isolotto si è pubblicato un video in Dvd e Vhs di 50 minuti dal Titolo “Le Cascine tra le case. Isolotto 1954-2004”.

XI. Fotografie.

L’archivio contiene un numero consistente di fotografie che riguardano in particolare la vita della comunità. Alcune sono di una importanza straordinaria: come si celebrava la messa in chiesa prima del 1968, alcune assemblee sempre in chiesa nel 1968, la presenza dei fascisti in chiesa nel fine dicembre 1968 e inizio 1969, il cardinale Florit che riapre la chiesa accompagnato dalla polizia il 31 agosto 1969, le assemblee e le messe in piazza dell’Isolotto, il lavoro di educazione alternativa svolta con i ragazzi. Incontri comunitari, attività della comunità, ecc. Vi sono foto riguardanti altre comunità Italiane come S.Giovanni di Imola, Lavello, Oregina di Genova, S.Anna di Gorizia, fotografie del Movimento sette novembre, dei convegni del Movimento Cristiani per il socialismo, convegni o seminari dei preti operai, una serie di foto di don Milani a Barbiana. Di tutto questo materiale fotografico assai consistente ne era stato scelto una piccola parte, quello ritenuto più interessante e collocato in tre appositi contenitori. In occasione della Mostra per i cinquant’anni dell’Isolotto si è cercato di rivedere tutto il materiale fotografico e si è cercato prima di tutto di datarlo.

16 Tutto questo materiale fotografico, già datato cronologicamente, necessita di un riordino generale e di una collocazione adatta per la sua conservazione. E’ in corso il lavoro per tale riordino. È conservata in archivio la mostra fotografica-documentaria allestita in occasione dei cinquanta anni dell’Isolotto. Consiste in 37 pannelli 70x100 ed ha per titolo: “Isolotto. La città oltre le mura. 50 anni verso il futuro”.

XII. Documenti riguardanti il territorio: in particolare il movimento per la scuola e il movimento di quartiere.

Contengono momenti della vita del quartiere ai quali hanno partecipato le diverse realtà del quartiere compresa la parrocchia fino al ’68 e la Comunità dopo il ’68. Tale materiale cartaceo è stato ordinato solo cronologicamente. Deve essere catalogato e quindi informatizzato.

XIII. Materiale documentario delle cdb (comunità cristiane di base) sia italiane che estere

Il materiale riguardante le comunità di base italiane è ordinato in ordine cronologico è da collazionare per poterlo poi informatizzare.

I documenti e ciclostilati di altre comunità (1969-1992) sono conservati in 8 faldoni. Vi sono poi articoli di quotidiani e periodici riguardanti altre comunità (1970-1982): 4 faldoni anch’essi solo in ordine cronologico. Vi sono pubblicazioni delle Comunità di base o su le Comunità di base, pubblicazioni ancora da catalogare insieme agli atti di Seminari o convegni nazionali delle Comunità.

Comunità o movimenti italiani a cui fa riferimento il materiale: Conversano di Bari, Coteto di Livorno, Favara, Gioiosa Jonica, Lavello, Oregina di Genova, Piazza Luogo Pio di Livorno, Pettorano sul Gizio, Resurrezione di Firenze, Voghera, S. Anna di Gorizia, S. Giovanni Battista di Imola, S. Paolo di Roma, S. Pietro in Sala-Piazza Wagner di Milano, S. Zeno di Arezzo, Cristiani per il socialismo, Preti operai, Movimento Sette Novembre.

XIV. Materiale riguardanti comunità spagnole, olandesi e francesi.

Su tale documentazione deve essere ancora iniziato il lavoro d’archivio.

Nota: L’archivio si è ultimamente arricchito di sei faldoni, contenenti documentazione riguardanti la Comunità, donati da un abitante dell’Isolotto Giampaolo Taurini. Intendiamo pubblicamente ringraziarlo. Restiamo in attesa, da parte di chi lo possedesse, di materiale riguardante altri aspetti del territorio che al presente è minimamente presente in questo Archivio e del quale ne avvertiamo la carenza.

17 Riflessioni su una scuola aperta al mondo

Relazione di Simonetta Soldani Docente di Storia contemporanea all’Università di Firenze

Nel filmato che abbiamo appena visto e che ci ha così colpito e coinvolto, è tutto un fiorire continuo di bambini e bambine di diversa età, col grembiule e senza grembiule, che entrano a scuola, che ne escono per sciamare nei giardini e nelle strade del quartiere: ma anche bambini e bambine che alzano cartelli, fanno manifestazioni, occupano la città e magari, come nel pannello che abbiamo qui davanti, fanno il girotondo in piazza della Signoria, accanto a genitori e a insegnanti uniti nel considerare la scuola come una società in miniatura impegnata a costruire un domani a misura d’uomo, come un pezzo del grande mondo e da esso inseparabile, ma anche come uno strumento formativo e affermativo dei diritti di cittadinanza sia del singolo sia della collettività. E proprio per questo ho scelto di incentrare il mio intervento sulla centralità delle scuole e dei bambini – seme di futuro, espressione concreta di un’idea di società - nel farsi del quartiere e della Comunità dell’Isolotto, a cui mi legano memorie ed eventi cruciali e di lunga durata. Dunque, del tema non parlerò tanto come professoressa dell’Università di Firenze, ma come persona i cui percorsi di vita si sono a più riprese intrecciati con quelli delle scuole dell’Isolotto, e che forse anche per questo ha maturato un interesse profondo per la scuola nelle sue molteplici valenze sociali, civili, politiche. L’Isolotto io lo ricordo da prima che venissero consegnate le prime case che venivano su come funghi nel bel mezzo dei campi che scandivano il paesaggio dietro casa, in quella via Mortuli dove sono nata e cresciuta. Ricordo bene che, vedendo costruire solo case, tutti si chiedevano dove mai avrebbero mandato a scuola i bambini che sarebbero ben presto arrivati, visto che i bambini di lì, all’epoca, facevano già i doppi turni alla “Niccolini” di via di Scandicci. Chissà: forse, i progettisti alle scuole non ci avevano pensato. Sta di fatto che per molti anni le sole scuole furono quelle che si chiamavano (e che si chiamano tuttora, benché impropriamente) “le Baracche”: anzi, come si diceva in ragione del colore della vernice in cui era dipinta la struttura in legno, le Baracche verdi. Qualche anno dopo, ci sarebbe andata a insegnare anche la mia mamma, passata poi alla Montagnola, dove sarebbe approdata come maestra elementare anche una mia giovane sorella, che lì insegna tuttora, e dove avrebbero fatto tutto il loro apprendistato scolastico anche i miei due figli, tra il 1966 e il 1985. Se dico queste cose è appunto per ribadire che non sono qui soltanto perché interessata ai temi della formazione scolastica, ma perché le scuole dell’Isolotto sono state un elemento importante di “educazione civica” anche per me: mi hanno insegnato ad aprirmi alla diversità, a stimarla, a sentire non in teoria, ma nella pratica della quotidianità, il confronto come una ricchezza; ed è forse per effetto di questo percorso personale che sono convinta che quest’area abitativa, che poteva tranquillamente configurarsi come uno dei tanti quartieri-dormitorio della periferia fiorentina, si sia venuta rapidamente affermando come una comunità dal volto ben definito, intorno a valori di democrazia partecipata e di responsabilità solidale facendo leva su tre polarità: la parrocchia, la casa del popolo, e la scuola, appunto. Ciò che più conta però, è che questi tre perni hanno operato in sinergia, come si direbbe oggi: insomma, hanno agito facendo rete, ciascuno con le proprie peculiarità e posizioni, ma tendenzialmente senza pregiudizi e senza contrapposizioni aprioristiche. Ancora un lampo di memoria: ricordo don Mazzi che, nel 1968 quando il mio primo figlio entrò in prima elementare, ancora insegnava religione, così come ricordo il pieno di energia e di desiderio di rinnovamento che la scuola esprimeva in ogni sua manifestazione. Credo che riflettere sul ruolo che hanno avuto questi tre centri di aggregazione e di formazione sia in

18 quanto entità singole, sia in quanto “luogo collettivo” di iniziative e di movimenti, nel costituirsi di una comunità civica ancora oggi ricca di umori particolari e di specifici tratti identitari sia utile per tutti, anche come contributo ad una analisi critica di un presente teso solo alla valorizzazione dell’individualismo più sfrenato (e più disperato). E non c’è dubbio che la scuola dell’Isolotto abbia svolto un ruolo di primo piano proprio in quanto luogo e strumento ideale per sperimentare nuove forme di incontro, di valorizzazione delle convinzioni e delle capacità di ciascuno, di educazione ad una cittadinanza consapevole e “multipla”, dove l’attenzione al microcosmo del quartiere faceva tutt’uno con l’attenzione ai drammi e ai problemi del mondo, dando vita a una scuola in cui la sperimentazione pedagogica e didattica era sempre intrisa di senso civico e di “politicità”. Ma subito dopo è opportuno ricordare che dire “scuola dell’Isolotto” tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta significava fare riferimento a una triade di persone assai diverse fra loro ma unite da una gran voglia di fare e di cambiare la realtà circostante a partire dalla scuola, in modo da dar voce, speranza e potere alla “gente comune”, secondo un’idea (o un’utopia) a cui si è finito per guardare con sommaria e colpevole sufficienza. I loro nomi li conosciamo tutti, ma vanno ricordati, perché Quercioli, Sbordoni e Gori in qualche modo finirono, con le loro iniziative e con i loro sogni, per imprimere agli edifici scolastici una fisionomia riconoscibile, e per così dire un’anima: un termine che non uso a caso, e che vuole sottolineare il fatto che le scuole non sono semplici aggregati, o meglio: che possono none esserlo. Una scuola che funziona, infatti, è a suo modo una comunità – una comunità di scambio, di crescita, di costruzione collaborativa del futuro. Se penso alle scuole diverse con cui ho interagito – come allieva, come insegnante, come studiosa – non posso fare a meno di avvertirle come “individualità collettive”, irriducibili a un modello astratto e neutro. Senza dubbio, questo non può dirsi di ogni scuola, e tanto più in tempi di rovinose quanto caotiche innovazioni come quelli che stiamo vivendo. Ma chi va a insegnare in una scuola dotata di una propria “storia” si inserisce in un corpo vivente, sa che da lui ci si aspetta qualcosa. E la stessa cosa vale per chi ci manda non passivamente un figlio: può darsi che le esperienze dell’uno e dell’altro non siano sempre né assimilabili a quella storia, né capaci di corrispondervi e desiderose di farlo. Ma è innegabile che una scuola che ha vissuto davvero il suo tempo, che ha cercato di dire una parola, di lasciare un segno di sé, finisce per acquisire una fisionomia un po’ speciale e un proprio modo d’essere, che muta nel tempo, ma muta seguendo caratteri e parametri riconoscibili. Forzando un po’ la mano, si potrebbe dire che la sua fisionomia è come il volto di ciascuno di noi, che muta sì nel tempo e con le situazioni, ma mantenendo ben fermi alcuni inequivocabili tratti identitari: un termine – questo – che non uso volentieri perché allude a una dimensione pericolosamente rigida e monolitica, ma che rende il senso di quel che vorrei suggerire. Perché le scuole dell’Isolotto - dal più al meno, e certamente con tutte le diversità e le libertà che appartengono ai tempi e agli individui – hanno ricevuto nella loro giovinezza un imprinting che in qualche modo si è perpetuato nel tempo, e che si esprime in una marcata apertura alle innovazioni, alla valorizzazione delle differenze, al rispetto delle diverse culture, a una consapevole - non ingenua né banale fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore e attento ai bisogni dei più. Un segno –minimo, ma non irrilevante – lo possiamo riconoscere anche nella precoce conquista dell’insegnamento delle lingue straniere – negli anni Settanta e Ottanta francese, inglese, tedesco – e di quella lingua universale per eccellenza che è la musica: conquiste almeno in parte smarrite con l’impoverirsi delle possibilità di intervento degli enti locali, ma anch’esse ricche di risonanze nei genitori della mia generazione e nei loro figli. In questa tendenza a insegnare anche ai bambini a non chiudersi nel particolare, a non concepire i rapporti come una gara per arrivare primi non si sa dove, a guardare avanti facendo tesoro del passato, io vedo una grande ricchezza, che appare oggi tanto più importante segnalare perché la direzione di marcia sembra essere piuttosto quella di una pedagogia della paura, del terrore, dell’isolamento. Da ogni parte si moltiplicano gli inviti a chiudersi nel proprio particolare, a stare attenti, a imprigionarsi nelle

19 case e nel privato, a star legati alle piccole certezze di ciascuno: fondamentalmente, a concepire il mondo come un insieme di monadi che interagiscono solo per profittare delle reciproche debolezze. E invece, sono convinta che non si dà democrazia se non si promuove il senso della disponibilità, della disponibilità ad ascoltare le ragioni dell’altro, a dialogare con lui: e anche per questo le scuole dell’Isolotto sono state (e mi pare che siano ancora) una quotidiana scuola di democrazia, figlia di una sperimentazione didattica che era anche una sperimentazione sociale. Ai bambini si è insegnato ad aprirsi, ad andare fuori, a vedere nella scuola una protagonista delle dinamiche culturali e politiche del proprio tempo, a concepirla non come una istituzione statica e pre-stabilita una volta per tutte, ma come un corpo vivente interpretabile e modificabile: una lezione basilare per imparare a non muoverci nella vita come automi che ripetono schemi fissi, così comodi e allettanti nella loro ripetitività che permette di non pensare, di non impegnarsi, di non cercare altro rispetto a quello che c’è. A coloro che curano l’Archivio, ma anche a coloro che continuano ad operare nelle scuole di questa zona, vorrei raccomandare di aver cura per questo prezioso lascito. La scuola qui non è mai stata soltanto una istituzione. E’ stata anche costruzione di alternative, volontà di dimostrare nei fatti che la scuola poteva essere altro da ciò che realmente era, intrecciando l’impegno nelle istituzioni a quello nel movimento, magari per creare nuove forme istituzionali e associative. Mantenere una memoria attiva di questo fecondo interscambio tra il dentro e il fuori della scuola, mi pare fondamentale anche per ricordare di quale substrato si alimentasse il “movimento dei doposcuola” e delle scuole serali, che ci sono stati ovunque ma che qui a mio parere avevano una marcia in più proprio grazie al dialogo continuo con l’istituzione scuola e con i diversi nuclei di vita associata su cui potevano contare. Le scuole – sia attraverso le rappresentanze degli insegnanti, sia attraverso la presenza organizzata dei piccoli allievi - erano sempre in prima fila non solo quando si facevano scioperi e dimostrazioni che le riguardavano direttamente , ma anche quando si manifestava per il lavoro, la salute, la pace, e più in generale ogni volta che si cercava di far leva sulla comunità dei cittadini per ottenere attenzione dai media e dalle istituzioni. Molti di noi ricordano le bellissime marce fatte anche qui, per le strade dell’Isolotto, sempre con il mondo della scuola in prima fila, nella convinzione che quella presenza fosse al tempo stesso una scommessa e un impegno a costruire insieme un futuro migliore e più giusto per tutti. Non so se tutti avessimo allora piena consapevolezza della eccezionalità delle esperienze di pedagogia sociale e civile che stavamo vivendo. In queste caratteristiche io vedo un altro tratto comune ai tre diversi “poli di socialità” che hanno contribuito a foggiare l’immagine di un Isolotto legato ad una ipotesi di “democrazia partecipata” che in parte è un’invenzione (o meglio: una indebita generalizzazione), ma che finisce per produrre anche comportamenti e scelte capaci di incidere nella realtà cittadina, e non solo. Capaci, soprattutto, di lasciare tracce, perché esplicitamente impegnate a farlo ritornando sulla propria storia, raccogliendone i documenti, ricostruendone i momenti salienti e le anonime quotidianità, valorizzando la durata nel tempo di alcune grandi e difficili scelte. In fondo, è questo che colpisce anche nel documentario che abbiamo visto, e da cui sono partite queste mie considerazioni: la forza di non cedere alla stanchezza e la cura della memoria, la consapevolezza che la battaglia non può essere quella di un giorno e l’impegno a tramandarne le ragioni, i fili conduttori, gli obiettivi di fondo.

20 La memoria come gestione positiva del conflitto “La porta è, deve essere aperta”

Intervento del card. Silvano Piovanelli

Celebrare la consegna delle chiavi del primo lotto di alloggi e quindi la nascita del villaggio Isolotto a Firenze proprio il 6 di novembre, il giorno preciso della consegna cinquant’anni fa, celebrarlo nell’anno centenario di Giorgio La Pira, allora sindaco della città, mentre in Italia, nelle sedi istituzionali e in molti altri luoghi con iniziative spontanee, si ricorda la figura di questo uomo straordinario, celebrarlo dopo ieri sera nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, il cardinale Arcivescovo di Firenze Antonelli, vescovi della Toscana lo hanno ricordato nella liturgia eucaristica, in occasione del ventisettesimo anniversario della morte, ecco è per me significativo ed emozionante. Perché, come qualche volta succede nella storia, il ricordo non ci ancora al passato - si è già detto stamani in tutti gli interventi ed è stata proprio la finale della professoressa - non costituisce una palla al piede ma ci stimola a muoversi verso il futuro aprendoci alla speranza. Sono riconoscente a Enzo Mazzi e Sergio Gomiti che presentandomi l’iniziativa del Quartiere e raccontandomi il loro impegno in questa celebrazione, hanno gentilmente insistito perché anch’io fossi presente alle Baracche verdi all’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto. Dunque ci sono anch’io pur essendo da quattro anni emerito e quindi non più responsabile della diocesi fiorentina ma intanto vengo portandovi anche il saluto del Cardinale Arcivescovo che proprio ieri sera me lo ripeteva dopo avermene scritto. E insieme con me c’è don Elio Agostani, il quale è parroco non ancora emerito e quindi effettivo della parrocchia dell’Isolotto. Nella bozza di programma che con grande precisione – Sergio in queste cose è proprio attento, brava! è pignolo. Nel programma che mi è stato inviato mi si chiede di attualizzare il messaggio del cardinale Elia Dalla Costa e di parlare della memoria come gestione positiva del conflitto. In certo modo ritrovo il messaggio del cardinale Elia Dalla Costa più nella sua presenza consenziente e benedicente che in parole pronunciate. Egli come vescovo benediceva il nuovo villaggio e le famiglie che emozionantissime – lo abbiamo visto anche nel film – ricevevano la chiave. Le benediceva soprattutto con l’invio all’Isolotto di don Mazzi e don Gomiti che ancor oggi ricordano con affetto la paterna vicinanza del vecchio cardinale il quale, come del resto il papa Giovanni vigesimoterzo, era così autenticamente al passato da aprirsi con coraggio e speranza al futuro. Egli, come vescovo, consentiva al discorso fatto dal sindaco La Pira e che in “Storie del Quartiere” di Daniela Poli viene giustamente definito ispirato e sognatore. Io l’ho sotto gli occhi, così come è stato raccolto dalla Fondazione Giorgio La Pira nel Primo volume dei Discorsi e delle lettere: “Discorso ufficiale in occasione della consegna dei primi mille appartamenti agli inquilini dell’Isolotto 6 novembre 1954". Perché non immaginare di vedere questo piccolo uomo, tutto vibrante, il quale si rivolgeva alle persone raccolte attorno a lui dicendo: “Ed ora una parola a voi fiorentini, consegnatari e membri di questa città nuova. Desidero dirvi tre cose. La prima concerne la città, la seconda concerne le vostre case domicilio delle vostre famiglie, la terza concerne voi tutti. La prima è questa: amatela questa città, come parte integrante, per così dire, della vostra personalità. Voi siete piantati in essa, in essa avete piantato le generazioni future che avranno da voi radice. È un patrimonio prezioso che voi siete tenuti a tramandare intatto, anzi migliorato ed accresciuto alle generazioni che verranno. Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero. Voi lo sapete: ognuna di esse è da Dio custodita con un angelo custode, come avviene per ciascuna persona umana. Ognuna di esse è nel tempo una immagine lontana ma vera della città eterna.

21 Avete sentito poc’anzi le parole del grande poeta Peguy da me citate: felici coloro che edificano la città dell’uomo perché essi sono il principio e il corpo e la prova della città di Dio. Amatela dunque come si ama la casa comune destinata a noi e ai nostri figli. Custoditene le piazze, i giardini, le strade, le scuole, curatene con amore sempre infiorandoli e illuminandoli i tabernacoli della Madonna che saranno in essa costruiti. Fate che il volto di questa vostra città sia sempre sereno e pulito. Fate soprattutto di essa lo strumento efficace della vostra vita associata. Sentitevi attraverso di essa membri di una stessa famiglia. Non vi siano tra voi divisioni essenziali che turbino la pace e l’amicizia ma la pace, l’amicizia, la cristiana fraternità fioriscano in questa città vostra come fiorisce l’ulivo a primavera”. Mi pare che La Pira dall’alto dei cieli, dove sicuramente è, guardi sorridendo a tanti aspetti della vostra città. “La seconda cosa da dirvi è questa: ogni vostra casa sia, come dice il proverbio, come una badia, sia come un giardino che ha terreno buono e produce fiori e frutti. Siano i fiori e i frutti delle virtù familiari religiose e civili. Un vivaio di grazia, di purezza, di affetto, di pace amorevole ove i germogli nuovi, i bambini – ora si è parlato della scuola e mi sembra che appunto realmente questo abbia concretizzato questo augurio di La Pira – saranno custoditi come la pupilla dei vostri occhi, come la ricchezza suprema della città intera, dove gli anziani trovino conforto sereno, amoroso tramonto. Queste vostre case, fiorentini, non conoscano, è l’augurio che vi faccio dal profondo del cuore, l’angoscia della disoccupazione e della indigenza” – appunto quanto ha detto Eros Cruccolini mi pare che proprio richiami proprio questo aspetto – “ma siano, oggi e sempre, case di operosi lavoratori che guadagnano col loro sudore il pane santificato di ogni giorno. La terza cosa da dirvi è infine questa: concerne ciascuno di voi. Il sindaco vi dice rivolto specialmente ai giovani, ai più ricchi di sogni e di ideali: meditate le sublimi grandezze di civiltà cristiana di cui è ricca per tutte le nazioni del mondo la vostra città madre Firenze. Ebbene, create anche voi in questa città satellite un focolaio di civiltà. Ponete a servizio dei più alti ideali dell’uomo, ideali di santità, di lavoro, di arte, di poesia i talenti di cui voi siete ricchi. Fate che in questa città satellite sia coltivato per le generazioni future un seme fecondo di bene e di civiltà, una civiltà che sia il riflesso della civiltà di cui si orna la città madre Firenze, civiltà cristiana, vertice di bellezza pura, capace di attrarre a sé lo sguardo di ogni altra civiltà non solo in Italia ma in Europa e nel mondo. Dite giovani: che è un sogno? Sia pure, ma la vera vita è quella di coloro che sanno sognare i più alti ideali, che sanno poi tradurre nella realtà del tempo le cose intraviste nello splendore dell’idea”. È quello che, mi pare, stamani molti di voi hanno già espresso chiaramente ma che dice anche la vostra presenza: mi sembra che traduca bene questa aspirazione e questo indirizzo di Giorgio La Pira. In quel tempo La Pira così parlò. E le ultime parole di La Pira mi permettono di riflettere a voce alta, senza pretese di nessun genere, sull’altro argomento che mi era stato richiesto cioè la memoria come gestione positiva del conflitto. La Pira dunque conclude: “la vera vita è quella di coloro che sanno sognare i più alti ideali, che sanno poi tradurre nella realtà del tempo le cose intraviste nello splendore dell’idea”. Sognarono alti ideali i preti dell’Isolotto? Certamente, come appare dalla lettera che proprio con la data di oggi - 6 novembre 1968 – 108 sacerdoti diocesani inviarono all’Arcivescovo una lettera riservata lasciando al medesimo la possibilità di pubblicarla, a suo giudizio di opportunità. Quella lettera fu sottoscritta anche da me, allora parroco a Castelfiorentino. Vi si diceva: la preoccupazione di una insanabile rottura ci proibisce di assistere passivamente all’evento. Fu dunque deciso di intervenire in due modi: presso don Mazzi con una lettera privata, breve e affettuosa che egli potesse leggere e meditare prima di assumere posizioni definitive nell’assemblea, presso il Vescovo con un documento privato mirante a presentare all’analisi della situazione pastorale di fondo su cui il caso Mazzi ha potuto verificarsi. Nella lettera a don Mazzi c’era il tentativo di offrire una mano fraterna e amica perché, confortato dall’affetto e dalla stima dei confratelli, volesse mantenere fecondo il bene indubbiamente da lui operato col mantenerlo nella comunione ecclesiale. Nella lettera al vescovo si enunciavano i temi emersi nel caso Mazzi. Primo: il Concilio Vaticano secondo ha fatto ciascun membro della Chiesa corresponsabile delle sorti e delle attività della Chiesa stessa pur nella diversità degli uffici e dei carismi. Così vescovi, sacerdoti e laici tutti sono portatori di responsabilità

22 e tutti hanno il dovere e insieme il diritto di proporre le loro scelte. Secondo: da ciò la necessità di un dialogo all’interno della Chiesa stessa fra sacerdoti, vescovi, laici, promuovendo mutua stima, rispetto e concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, senza paura perché sono più forti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono. Terzo: è dovere di tutto il Popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta. Quarto: allo scopo di instaurare una vita ecclesiale che non sia mossa solo dal binomio autorità-obbedienza ma in cui autorità e obbedienza siano il punto di arrivo di corresponsabilità e dialogo occorre una adeguata maturazione nei pastori e nei laici, compito di chi nella Chiesa ha le responsabilità della formazione, e la creazione immediata delle strutture indispensabili previste dal Concilio. Questo il contenuto concreto della lettera dei 108 sacerdoti della Diocesi. Le cose non andarono come in fondo tutti desideravano: i preti dell’Isolotto, i 108 sottoscrittori della lettera, lo stesso Arcivescovo. Ognuno di fronte a Dio ne porta la propria responsabilità, responsabilità di cui solo Dio è giudice. Io stesso non me ne tiro fuori perché ogni volta che un fratello ti lascia e si allontana c’è sempre una mancanza di amore di cui devi sentirti colpevole. Il papa Giovanni Paolo secondo, nella lettera apostolica “Tertio millennio ineunte” ha scritto: “Tra i peccati che esigono un maggior impegno di penitenza e di conversione devono essere annoverati quelli che hanno pregiudicato l’unità voluta da Dio per il suo Popolo. Nel corso dei mille anni che si stanno concludendo, ancor più che nel primo millennio, la comunione ecclesiale, talora senza colpa di uomini di entrambe le parti, ha conosciuto dolorose lacerazioni che contraddicono apertamente alla volontà di Cristo e sono di scandalo al mondo. Tali peccati fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente”. Fine della citazione del papa Giovanni Paolo secondo. Nella Chiesa si può verificare quanto padre Dalmazio Mongillo domenicano rilevava nel suo libro “Eucaristia, Comunione e Comunità” dell’84. Le parole sono: “Quando l’obbedienza al comando di difendere la verità senza compromessi si esaurisce nella condanna delle falsificazioni e non si esprime nell’obbligo di chiarire l’errore, i contesti e le situazioni che l’occasionano, le aspirazioni buone che lo legittimano si finisce col falsare la diaconia della verità e si ostacola la crescita e la missione della Comunità”. “Il problema – ci dice un bravo prete milanese che è morto non da molto tempo – il problema rappresenta una delle maggiori difficoltà esistenziali e sofferte della fede”. Non si può quindi fare questo discorso come facile. Occorre supporlo sempre ma oggi soprattutto come obbiettivamente difficile. Stare nella Chiesa è un atto di fede e sarebbe da riscoprire perché stiamo nella Chiesa per un atto di fede. Non basta dire che va da sé apologeticamente ma bisogna dirlo esplicitamente e farlo emergere. Occorre chiarire che si sta nella Chiesa anche se è difficile o perché ci si sta magari rendendo difficile lo starci. Ambedue le posizioni sono reali. Esiste infatti una conservazione che è il simmetrico della contestazione. Leonardo Boff, nel suo “Chiesa, carisma e potere” scrive una parola che è come un lampo di luce: “Soltanto un amore concreto ed evangelico e perciò stesso critico e libero può accogliere la Chiesa con le sue limitazioni ed errori perché soltanto amandola ci convertiamo noi stessi e comincia a svelarsi l’affascinante bellezza della sposa di Cristo e della madre di tutti gli uomini”. Io non so se è possibile trarre una conclusione. Io trovo la conclusione alle mie povere parole, e davvero non so come ringraziarvi di averle ascoltate con attenzione, nella finale di un libro uscito nel settembre 2004: “Uno psicologo nei lager” di Victor Frank. Le parole sono queste: “In un modo o nell’altro viene il giorno in cui ogni ex internato ripensando alle esperienze del lager prova una strana sensazione. Egli stesso non comprende come abbia potuto superare tutto ciò che la vita del lager ha preteso da lui. E se vi fu nella sua vita un giorno, il giorno della liberazione, nel quale tutto gli apparve come un bel sogno, certamente arriva anche il giorno in cui tutto ciò che ha vissuto nel lager gli appare come un brutto sogno. Questa esperienza dell’uomo tornato a casa sarà coronata dalla splendida sensazione che, dopo quanto ha sofferto, non dovrà temere più nulla dal mondo tranne il suo Dio”. E’ la finale del libro.

23 Dopo l’esperienza di questi cinquant’anni, con tante cose che ricordate come un bel sogno, con tante cose che ricordate come un brutto sogno, ora non avete a temere più nulla dal mondo, dalla Chiesa, tranne il nostro Dio. Come dice Fraçois Mouriac alla fine della sua “Vita di Gesù”: “L’Ascensione di Gesù non è una partenza definitiva. Già egli è imboscato alla svolta della strada che va da Gerusalemme a Damasco e spia Saulo, il suo diletto persecutore. D’ora innanzi nel destino di ciascun uomo vi sarà questo Dio in agguato”. E’ la finale del libro. Questo Dio è in agguato anche in questa svolta dei cinquant’anni dell’inaugurazione dell’Isolotto. Ognuno, proprio ognuno senza eccezione, ha da scoprire che cosa Dio gli richiede perché la memoria vinca lo sbocco negativo del conflitto e della distanza e si realizzi la promessa fatta dal profeta Osea. “Trasformerò la valle di Acor, la valle della disobbedienza, della sconfitta, della punizione, della morte, trasformerò la valle di Acor in porta di speranza”. “Il giorno dell’inaugurazione del Villaggio dell’Isolotto (scrive La Nazione Italiana, 7 novembre 1954), dopo le parole dei relatori, gli assegnatari, seguendo con ansia il responsabile di condominio, sciamarono verso il fabbricato assegnato. Il responsabile aveva in mano un sacchetto pieno di chiavi; e mentre i ‘suoi’ gli stavano intorno impazienti, ne ha tirate fuori una e poi un’altra, e poi tante altre e le ha provate: la serratura non si apriva. Era sbagliata la chiave? O era forse guasta la serratura? Niente affatto: era la mano che tremava. E l’emozione di poter entrare in una nuova casa tutta propria, dopo anni di camera ammobiliata o mesi passati al centro sfrattati, non faceva tremare soltanto quella mano”. La delicata osservazione di cronaca mi ha suggerito questo pensiero: anch’io, con mano tremante, ho tentato di aprire stamani la porta della comunità dell’Isolotto; se parrà che non si apra, voglio pensare e voglio dire che mi confonde l’emozione, perché la porta – quella che Dio vede – è già aperta, in attesa che venga spalancata da qualcuno o dal vento dello Spirito.

24 Testimonianze

Alle tre relazioni sono seguiti gli interventi programmati di cui diamo brevi sintesi.

Iela Todros della Sovrintendenza Archivistica per la Toscana ha illustrato il Provvedimento di Notifica col quale “la Sovrintendenza Archivistica ha riconosciuto l’interesse storico particolarmente importante del materiale raccolto nell’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto, e questo – ha detto Iela Todros -rappresenta l’inizio di un cammino da percorrere. L’Archivio infatti sarà aperto, e si pongono problemi di conservazione, di ordinamento e valorizzazione. Ci sono materiali da pubblicare, da rendere fruibili in rete, su cd, ad un pubblico molto vasto, e documenti su supporto non cartaceo come i cd, come le bobine, i video che avranno bisogno di riversamenti e cure particolari. Occorre quindi promuovere il recupero e la valorizzazione dell’Archivio che rappresenta non solo per la Comunità, ma per la città e il mondo degli studiosi, una testimonianza preziosa che dovrà essere mantenuta tale e valorizzata”.

Luciana Angeloni della Comunità dell’Isolotto ha voluto “cominciare con un riferimento ad una frase del cardinal Piovanelli – ha detto Luciana - che mi è piaciuta molto quando dice: a cinquant’anni ricordiamo i sogni brutti e i sogni belli e ci liberiamo e quindi non abbiamo più nulla da perdere e da temere e quindi possiamo continuare o ricominciare un cammino. Mi sembra che questa sia una buona premessa che ci dà carica per ricominciare di nuovo sempre”. Ha poi parlato “dell’archivio vivente, non solo dell’archivio cartaceo o dell’archivio di documentazione o dei film, un archivio vivente che sono le persone, che siamo noi. … Noi sempre, nella nostra esperienza, abbiamo avuto come obbiettivo quello di comunicare i nostri pensieri, i nostri valori, le nostre elaborazioni attraverso delle prassi, delle esperienze pratiche. Abbiamo cominciato negli anni cinquanta con le esperienze di pratica di catechesi alternativa che fosse comunicazione e comunione con i bambini e quindi che fosse non dottrina ma percorso di consapevolezza e abbiamo avuto molte esperienze con i bambini, con i giovani. … Una esperienza recente che noi abbiamo fatto è stata la comunicazione ai bambini dell’esperienza dei nonni attraverso una serie di incontri organizzati in collaborazione con le scuole, la Biblioteca comunale, il Consiglio di Quartiere 4. … Abbiamo avuto incontri con molte scuole e con oltre mille bambini. Per i più piccini era la memoria delle ninnananne, dei canti dei nonni di quando erano piccolini, per i bambini più grandicelli era la memoria dei giochi di quando eravamo piccolini noi, ai nostri tempi come si giocava, eccetera. Poi c’è stato l’argomento dei vissuti nelle famiglie, le famiglie patriarcali, cosa mangiavamo, come ci vestivamo eccetera. Un altro tema è stata la memoria del Quartiere, come è nato, come è stata la nostra esperienza nel Quartiere. Un altro tema era la memoria dei trascorsi riguardo alla guerra, la resistenza, il fascismo, tutte memorie che ancora in mezzo a noi sono vive perché esistono ancora persone che hanno vissuto queste esperienze. Questa esperienza di memoria viva è stata interessantissima, è stata molto apprezzata anche dagli insegnanti, molto dai bambini. Si è creata una relazione, un grosso feeling fra nonni e bambini per cui, quando si esce per il Quartiere, i bambini che ci incontrano ci riconoscono e dicono: ah! quello è il nonno delle Baracche. Siamo diventati i nonni delle Baracche con cui loro hanno una relazione, ci salutano, ci abbracciano”. Poi Luciana ha presentato la pubblicazione “I racconti dei nonni”, frutto della esperienza descritta.

Giovanni Contini della Sovrintendenza Archivistica per la Toscana ha portato la sua esperienza di partecipazione al lavoro dell’Archivio della Comunità dell’Isolotto. “E’ sicuramente importante - ha detto - trasmette la memoria di un quartiere che sembrava avere destini da Corea, da quartiere disgregato per tutte le provenienze molto diversificate e che invece ha trovato una serie di circostanze virtuose che lo hanno trasformato forse in uno dei quartieri più organici, più vivi che abbiamo a Firenze. La disgregazione a cui sembrava destinato l’Isolotto ha invece colpito i quartieri storici; infatti in questi fenomeni non esiste soltanto una determinante meccanicistica, ma va considerata l’influenza di una capacità di intervento che qui è stata molto

25 forte. Il problema della memoria e della identità non è così semplice come forse è sembrato oggi essere. La memoria collettiva é un filtro, un’ interpretazione, qualcosa che lascia passare alcuni elementi del passato e ne taglia fuori altri. In realtà l’identità di questo quartiere è fortemente minacciata dal mondo, dal fatto che il quartiere é fatto anche di unità immobiliari, che vengono comprate e vendute e potrebbe determinarsi una situazione in cui non vengono più condivisi i valori e gli obbiettivi per i quali qui si è vissuto e combattuto. Quindi tutto è sempre molto in discussione e non esiste un’automatica trasmissione della memoria e dell’identità”.

Stefano Dei autore del video su l’Isolotto “Cascine fra le case” ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del documentario e a quelli che lo hanno visto e apprezzato. Si è augurato che il video possa avere un seguito oltre il ’68 che è il periodo storico a cui principalmente fa riferimento.

Pierluigi Ontanetti, coautore della mostra fotografica-documentaria sull’Isolotto ha parlato del lavoro compiuto da un gruppo di persone per la realizzazione della mostra. “Il problema grosso – ha detto fra l’altro - è stato dover scegliere la documentazione fotografica dai negativi, dalle fotografie, dalle immagini, dai giornali: sono una montagna. Personalmente sono entrato nell’ottica proprio del fotografo che in qualche modo è al di sopra di tutto e di tutti e guarda soltanto da un punto di vista tecnico ciò che può essere stampabile”. Poi Pierluigi ha spiegato che “la mostra anche sul piano storico non pretende di essere esaustiva, ma solo un primo passo affinché essa continui….perché se noi ci fermassimo all’esperienza che abbiamo vissuta è come se avessimo la pretesa di fermare la storia”. Infine ha parlato di due immagini che ha evocato in lui come persona la mostra: la trasformazione delle ferite in feritoie, in nuove aperture, e la decisione di stare dentro le contraddizioni di mettersi nel mezzo e starci comunque anche se fa male, per creare ponti laddove si rompe il dialogo.

Luca Brogioni, coordinatore del Sistema documentario integrato dell’Area fiorentina ha spiegato che tale sistema, SDIASF, riunisce biblioteche ed archivi dell’area per due obbiettivi. Il primo obbiettivo è facilitare l’accesso all’informazione collegando le biblioteche e gli archivi sia delle Istituzioni pubbliche sia delle associazioni private. Secondo l’UNESCO, l’informazione è uno dei momenti essenziali della democrazia. Può esistere la democrazia perché siamo informati, perché possiamo accedere all’informazione. In particolare gli archivi fino adesso sono stati un qualcosa riservato ai ricercatori, agli specialisti, ad alcuni che hanno possibilità di accedervi. “Noi – ha detto nella sostanza Luca - vogliamo che gli archivi siano molteplici e aperti a tutti”. Ed ha fatto riferimento al Convegno organizzato il giorno precedente dallo SDIAF come esempio di apertura e pluralismo. “Abbiamo messo insieme allo stesso tavolo – ha concluso Brogioni - la responsabile dell’Archivio di Stato, uno dei responsabili della Biblioteca Nazionale e i responsabili dell’Archivio Franco Segantini di Pisa, anarchico e libertario, però il più grande archivio dei movimenti della Toscana. Ecco questi dialogavano e dialogavano insieme per che cosa? Per la democrazia. La democrazia che si costruisce attraverso la nostra memoria, la possibilità di accedere a forme di memoria plurale, perché la vita dei cittadini è stata molteplice nelle sue attività e non solo singola, una vita colorata, colorata come la bandiera della pace, per costruire un qualcosa che è la dinamica della democrazia. Sono anche commosso perché molte cose sono state anche vissute insieme a voi in alcune veglie di Natale e con altri gruppi e credo che questo sia una sfida molto importante che le stesse Amministrazioni locali hanno intrapreso”.

Grazia Asta responsabile della Biblioteca comunale dell’Isolotto ha innanzitutto ringraziato i curatori della mostra di aver inserito anche un pannello della Biblioteca Comunale dell’Isolotto. Questo, secondo Asta, significa e conferma l’unione, la collaborazione, la partecipazione che c’è tra realtà istituzionali come la Biblioteca Comunale e realtà sociali e storiche come la Comunità dell’Isolotto. “In particolare – ha detto Grazia Asta - tra la Biblioteca dell’Isolotto e la Comunità si è sviluppata negli anni quella collaborazione anche legata alla ricchezza documentaria dell’una e delle altre. Da una parte la Biblioteca dell’Isolotto che ha accolto fino dal ’90 la documentazione della Comunità con la raccolta degli atti, degli articoli che hanno segnato il cammino delle esperienze dell’Isolotto, dall’altra la Biblioteca, grazie proprio anche allo stimolo della Comunità

26 dell’Isolotto, ha avviato la sezione locale, di storia locale che si compone di una nutrita raccolta di testi, di libri che sono quelli che negli anni sono stati pubblicati sulla storia dell’Isolotto, che sono circa seicento libri e sulla storia di Firenze”. La responsabile della Biblioteca ha infine comunicato che l’obbiettivo prossimo del cammino per i cinquant’anni dell’Isolotto sarà quello di inaugurare una raccolta della cartografia storica inerente proprio questo territorio. Già ora in Biblioteca si possono consultare delle mappe del 1600-1700 che sono state copiate, cioè fotografate dagli Archivi storici e prestigiosi di Firenze. Sarà “un tassello in più – ha concluso Asta - che va a riempire questo pasol che è appunto costituito da tanti soggetti, tanti elementi che però insieme possono offrire una lettura del territorio, una lettura della storia che l’ha caratterizzato”.

L’Incontro si è concluso che la testimonianza di Daniela Poli, urbanista, autrice di un recente volume sull’Isolotto, “Storie di Quartiere”, realizzato come servizio alla memoria viva del territorio e al suo futuro, e con l’intervento di Giampaolo Taurini del Q4-Isolotto, partecipe attivo della storia e della vita dell’Isolotto, che ha annunciato l’impegno del Quartiere e del Comitato per i 50 anni di documentare il lavoro fin qui fatto con la pubblicazione dei materiali prodotti intanto in queste due prime circostanze: il Convegno di aprile 2004 sull’urbanistica della “città nella città” e l’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità.

27 Rassegna stampa

L’evento della inaugurazione dell’Archivio storico è stato seguito dalla stampa e dalle Tv regionali. Pubblichiamo integralmente l’ottimo servizio di ADISTA, bisettimanale d’informazione edito a Roma, che oltre la cronaca puntuale riporta anche una intervista a Paola Ricciardi, e l’articolo di Franco Quercioli sull’Unità che riferisce opportunamente il collegamento emerso nel Convegno dello SDIAF fra l’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto e la rete degli archivi dell’area fiorentina. Di altri servizi giornalistici si dà solo notizia attraverso un collage di titoli.

Adista 20 novembre 2004

UN QUARTIERE CHE SI FA CITTÀ, SI FA CHIESA, SI FA MONDO. L’ISOLOTTO DI FIRENZE FESTEGGIA I SUOI 50 ANNI

32600. FIRENZE-ADISTA. Provare a raccontare la storia di un quartiere, riproporne la memoria storica, politica, sociale ed ecclesiale. Non si tratta di una storia qualunque, ma è quella di un quartiere che ha rappresentato e continua a rappresentare una terra di “frontiera” per la politica e la Chiesa, che è stato il primo vero luogo di incontro tra il cattolicesimo democratico (quello di Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Giulio Facibeni, Luigi Rosadoni, Giuseppe Vannucci, Lorenzo Milani e, tra i laici, Mario Gozzini e Gian Paolo Meucci) e la cultura marxista, il laboratorio da cui ebbe origine la grande stagione del dialogo tra cattolici e comunisti, della sperimentazione di forme di partecipazione democratica e popolare dentro la Chiesa e la società. È la storia del quartiere dell’Isolotto di Firenze, che ha celebrato, il 6 novembre scorso, i suoi primi 50 anni di vita. A provare a raccontarla, attraverso una “memoria creativa”, come l’ha definita don Enzo Mazzi sulla “Nazione” (6/11), cioè una memoria “viva e vitale”, è stato l’Archivio storico della Comunità, inaugurato ufficialmente, insieme ad una ricchissima mostra fotografica, la mattina del 6 novembre, in via degli Aceri (sede storica della Comunità dell’isolotto). L’archivio, che ha ricevuto un riconoscimento scientifico della stessa Soprintendenza ai Beni Storici della Toscana, è stato presentato dall’assessore alla cultura Simone Siliani, dal presidente del Quartiere 4 (Isolotto-Legnaia) Giuseppe D’Eugenio, dal presidente del Consiglio Comunale, Eros Cruccolini, e illustrato da tre relazioni: quella di don Sergio Gomiti, viceparroco della parrocchia dell’Isolotto quando Mazzi era parroco, che ha illustrato l’Archivio; quella di Simonetta Soldani (docente di storia), che ha parlato del rapporto fra memoria e scuola; e, infine, quella del card. Silvano Piovanelli, che ha dato una testimonianza della memoria come gestione positiva del conflitto. La presenza del cardinale alle celebrazioni dell’anniversario dell’Isolotto non stupisce più di tanto. Appena divenuto vescovo, nel 1983, tra i suoi primi atti ci furono la visita alla tomba di don Milani, a Barbiana, e la visita all’Isolotto. Un modo per riprendere un dialogo con la comunità che la gerarchia ecclesiastica aveva bruscamente interrotto (nel 1968 il suo predecessore, il card. Ermenegildo Florit, che era succeduto a Della Costa, cacciò Mazzi e don Paolo Caciolli dalla parrocchia dell’Isolotto e fu sordo alle richieste della comunità parrocchiale: i parrocchiani dell’Isolotto furono emarginati dalla diocesi e subirono addirittura un processo per aver occupato la loro parrocchia, mentre la Chiesa dell’epoca additava La Pira come un marxista, esiliava Rosadoni, Turoldo e Vannucci, emarginava Milani e Balducci, portati in tribunale per aver difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare). Piovanelli stesso racconta che, ai tempi della frattura tra la comunità parrocchiale dell’Isolotto e la gerarchia ecclesiastica, era

28 parroco a Castelfiorentino: “insieme ad altri 107 sacerdoti della diocesi firmai due lettere private. Una la mandammo a don Mazzi, scongiurandolo di evitare una rottura, l’altra la spedimmo al cardinale con lo stesso obiettivo, pregandolo di rispettare lo spirito di dialogo del Concilio Vaticano II e di non muoversi solo nel binomio autorità-obbedienza. Le cose non andarono come tutti in fondo desideravano, compreso l’arcivescovo. E ognuno di fronte a Dio ne porta la propria responsabilità. Nemmeno io me ne tiro fuori”. Ma oggi Piovanelli, nell’intervenire ai lavori, ha potuto portare agli abitanti dell’Isolotto, oltre che i suoi saluti, anche quelli dell’attuale vescovo di Firenze, il card. . Durante la mattinata del 6 è stato anche proiettato e distribuito un video che raccoglie le testimonianze di persone che hanno vissuto all’Isolotto fin dal primo momento (gli “archivi storici viventi”). Poi è stata inaugurata una mostra fotografica allestita dall’Archivio stesso nei locali di via degli Aceri: pannelli che ricordano la vita dell’Isolotto, anno per anno, da quando nel quartiere non c’erano né negozi, né scuole, e si organizzavano le prime mobilitazioni popolari davanti al Palazzo Vecchio per chiedere servizi e una qualità della vita accettabile; fino al lungo processo che portò alla nascita della Comunità di base, all’esigenza di una Chiesa vissuta e costruita da soggetti ecclesiali adulti e responsabili che non si sentivano, né volevano essere più “sudditi”. Era la stagione in cui poteva accadere che gli operai della “Galileo”, di fronte al licenziamento di centinaia di lavoratori, occupassero la fabbrica con la solidarietà del sindaco La Pira e del card. Elia Della Costa e che la chiesa dell’Isolotto, col consenso del vescovo, si aprisse a un’assemblea popolare gestita dagli stessi operai, molti dei quali abitavano proprio all’Isolotto, mentre la parrocchia di Rifredi, nei pressi della quale si trovava la fabbrica occupata, celebrava una liturgia di solidarietà (cui prese parte padre Ernesto Balducci). Pannello dopo pannello, dalle manifestazioni, le lotte e le messe in piazza che rompevano con la ritualità separata e passiva per i laici, si arriva alle nuove forme di militanza politica ed ecclesiale degli anni recenti: come la scuola popolare e i comitati di quartiere spontanei; come il progetto “i nonni raccontano”, per la trasmissione orale alle nuove generazioni del patrimonio di giochi, filastrocche, fiabe e storie del passato; o la cooperativa “Kimeta”, nata dalla collaborazione tra donne dell’Isolotto e donne di altre culture, in particolare rom, per favorire l’integrazione degli immigrati, nel rispetto dei diritti e delle identità. Nel pomeriggio del 6, nel vicino viale dei Bambini, è stata lanciata una mongolfiera, piena di messaggi di pace e solidarietà, che conteneva una grande chiave: un modo per rievocare quel 6 novembre del 1954, quando Giorgio La Pira e il card. Della Costa consegnarono le chiavi dei loro appartamenti alle prime 1000 famiglie intestatarie che provenivano da situazioni di grande disagio abitativo. Pochi mesi dopo, all’inizio del ’55, piccolissima, arrivò all’Isolotto anche Paola Ricciardi, membro della comunità di base e tra gli organizzatori delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Isolotto. Adista le ha posto alcune domande.

Come nasce l’idea di questo archivio? In realtà l’archivio già esisteva, ma è da poco che ha avuto, per così dire, una investitura ufficiale. Un anno fa circa, infatti, la sovrintendenza archivistica della regione toscana, che pure conosceva l’esistenza del nostro archivio, ma non aveva mai preso visione diretta dei materiali raccolti, dopo averlo studiato, lo ha dichiarato di notevole interesse storico. Così, in occasione delle celebrazioni del 50.mo, abbiamo pensato fosse opportuno pubblicizzarne l’esistenza, presentando ufficialmente il nostro archivio alla cittadinanza. Il 6 novembre, all’inaugurazione, c’era una parte consistente del nostro quartiere. Credo che la presenza sia stata così massiccia perché le persone hanno condiviso il nostro tentativo di riflessione sulla realtà sociale, politica ed ecclesiale che il nostro quartiere ha vissuto in questi 50 anni. Ma, soprattutto, perché gli abitanti dell’Isolotto si percepiscono parte attiva della storia del quartiere, protagonisti in prima persona della crescita, delle lotte, delle esperienze dell’Isolotto, artefici dei forti legami sociali che hanno saldato la nostra comunità.

29 E infatti, insieme alla raccolta di documenti, state portando avanti anche progetti sulla storia orale del quartiere… In questo senso, ci sono state diverse esperienze significative negli ultimi anni. Alcuni “veterani” dell’Isolotto hanno attivato contatti con le scuole e organizzato incontri in cui si narravano esperienze individuali legate alla guerra, alle lotte sociali, ai conflitti sui luoghi di lavoro. Si tratta di attività che danno ai bambini delle elementari e delle medie la possibilità di entrare a contatto diretto con protagonisti di vicende di cui si parla nella loro scuola. Poi, per ricollegarci al lavoro dell’archivio, ci occupiamo anche della raccolta di testimonianze orali. Facendo riferimento al Centro educativo popolare, direttamente collegato alla Comunità, nell’ambito di un progetto della Regione, sono state intervistate circa 50 persone scelte tra gli abitanti del quartiere. Persone che avevano origini e storie molto diverse: venivano dalle campagne toscane, dal Mugello e dal Casentino, sfrattati e sfollati di altri quartieri di Firenze; e poi dell’Istria, della Dalmazia, del sud Italia… Tutte le registrazioni sono state “sbobinate” e trascritte con la collaborazione della biblioteca di quartiere. Un modo per ricostruire lo stretto legame fra storia, memoria e vita attuale, nella fedeltà ai fatti storici, ma anche attraverso la valorizzazione delle memorie quotidiane, dei senza storia, di quelle persone cioè di solito ignorate dalla storiografia ufficiale.

Cos’è che, a tuo giudizio, distingue in modo particolare l’esperienza dell’Isolotto? Non mi è stato chiaro all’epoca (l’ho messo a fuoco solo con il tempo), ma l’originalità dell’Isolotto è stata per noi la possibilità di vivere in un quartiere nuovo dal punto di vista urbanistico, in case riconducibili tutte ad uno stesso progetto urbanistico. L’abitare in un’area che non era il risultato di stratificazioni successive, ma che nasceva con noi, ci ha aiutato a formare una forte identità collettiva collegata strettamente al nostro tessuto urbanistico. Certo, nei primi anni la nostra “diversità” la vivevamo soprattutto in senso negativo: non avevamo servizi sociali, la nostra era indubbiamente una realtà degradata, mentre il resto della città ci avvertiva come un ghetto. Poi, grazie anche a esperienze significative come il rapporto con la parrocchia, e alle lotte che abbiamo condotto, abbiamo maturato un certo orgoglio, e questo ha contribuito a creare legami sociali molto forti.

30 31 32 33 Sommario

La condivisione della memoria...... 3

L’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto Paola Ricciardi – Giuseppe d’Eugenio Simone Siliani – Eros Cruccolini ...... 7

La memoria dei senza storia relazioni di Sergio Gomiti ...... 11

Riflessioni su una scuola aperta al mondo relazione di Simonetta Soldani...... 18

La memoria come gestione positiva del conflitto relazione del card. Silvano Piovanelli ...... 21

Testimonianze Iela Todros -Luciana Angeloni – Giovanni Contini Stefano Dei - Pierluigi Ontanetti - Luca Brogioni Grazia Asta – Daniela Poli – Giampaolo Taurini ...... 25

Rassegna stampa ...... 28

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