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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI Dottorato di ricerca in Lettere - XXIX ciclo Curriculum in Dialettologia italiana, Geografia linguistica e Sociolinguistica LA VARIETÀ DI MONASTERO DI LANZO: UNA PARLATA DI CONFINE Tesi di dottorato presentata da: PAOLO BENEDETTO MAS Tutor: PROF. RICCARDO REGIS SSD: L-FIL-LET/12 Anno Accademico 2016/2017 !4 a Francesca che c’è e a Matteo che prima non c’era e adesso c’è - Dovrò considerare pari a me questo scudiero, Gurdulú, che non sa neppure se c’è o se non c’è? - Imparerà anche lui… Neppure noi sapevamo d’essere al mondo. Anche ad essere si impara. Italo Calvino - Il cavaliere inesistente !5 I. INTRODUZIONE I. INTRODUZIONE La presente ricerca intende descrivere, nel suo complesso, la parlata di un comune delle Valli di Lanzo: Monastero di Lanzo. L’analisi di un singolo dialetto, ridotto oramai ad avere poche centinaia di parlanti, può avere una rilevanza e un interesse molto discutibili, ma è proprio dallo studio approfondito e globale di una (piccola) realtà che, penso, si possano ottenere dati e materiali interessanti per leggere e comprendere anche altre dinamiche linguistiche. Questo progetto ha subito, nel corso degli anni di dottorato, interruzioni, ripartenze, cambi di rotta e di metodologia anche se l’ambito della ricerca ha sempre ruotato attorno alla descrizione delle varietà francoprovenzali del Piemonte. Inizialmente intendevo svolgere un’indagine di tipo quantitativo, nell’ambito della sociologia del linguaggio, che investigasse, attraverso un questionario auto- valutativo, aspetti come il numero di parlanti, la strutturazione del repertorio e i domini d’uso di tutte le varietà francoprovenzali del Piemonte con un’attenzione alle nuove tendenze identitarie che stanno coinvolgendo le lingue minoritarie. Tuttavia, oltre alle difficoltà di carattere logistico e metodologico (campionamento statistico, rete dei punti molto ampia…) mi sono reso conto che lo strumento di indagine scelto rischiava di non essere aderente e funzionale all’obiettivo di descrivere la situazione sociolinguistica dell’area francoprovenzalofona del Piemonte. Ho così deciso di ripartire non da dati quantitativi, ma dallo studio dei singoli fenomeni linguistici, della loro evoluzione nel tempo e della loro collocazione all’interno del panorama linguistico del Piemonte e del resto del dominio francoprovenzale. Però, poiché la bibliografia sull’area francoprovenzale del Piemonte è decisamente ridotta rispetto ad altre realtà minoritarie, ho ritenuto necessario ricominciare dalla ricerca di campo, strumento base e principio teorico della dialettologia, ma anche mezzo per conoscere e osservare una comunità linguistica, oltre che una lingua. Il “campo” scelto, in realtà, riguarda una comunità !8 I. INTRODUZIONE ai margini dell’area francoprovenzale, collocata nella cosiddetta “zona grigia”1 , le cui varietà sono spesso punto di osservazione privilegiata per comprendere i meccanismi del contatto linguistico: Monastero di Lanzo, piccolo comune della Città Metropolitana di Torino. Le motivazioni di questa scelta sono dettate, oltre che dalla buona conoscenza della parlata e del territorio derivate da precedenti ricerche (Benedetto Mas 2010 e 2012), anche (e soprattutto) da ragioni personali e affettive dovute ai rapporti di parentela e amicizia che mi legano a Monastero di Lanzo. Concentrarmi su una singola parlata mi ha, però, permesso di avere un grado adeguato di dettaglio nell’analisi e di dedicarmi con attenzione anche alla variabilità linguistica interna alla comunità, aspetto non secondario quando si parla di varietà dialettali. Il dialetto di Monastero di Lanzo si trova a cavallo tra il dominio francoprovenzale e quello galloitalico piemontese, in quanto geograficamente fa parte delle Valli di Lanzo, di parlata galloromanza, ma linguisticamente presenta un numero troppo elevato di caratteristiche piemontesi per essere considerato una varietà francoprovenzale e un numero troppo elevato di caratteristiche francoprovenzali per essere considerato una varietà piemontese (Benedetto Mas/ Regis, in stampa). In questo senso per poter leggere e comprendere la situazione (socio)linguistica di MdL ho dovuto confrontarmi continuamente con le realtà circostanti. Tuttavia, se da un lato il piemontese, principale concorrente delle varietà francoprovenzali della regione, è ampiamente descritto da studi e grammatiche, per l’area francoprovenzale ho dovuto prima tracciare un quadro che restituisse l’evidente frammentazione dialettale dell’area, dando conto anche dei recenti fenomeni di ricollocazione sociolinguistica di queste parlate (Berruto 2002) e poi recuperare i dati linguistici dalle limitate fonti disponibili per il territorio piemontese 1 L’espressione “zona grigia” è attestata per la prima volta nel Vocabolario Moderno di Alfredo Panzini (1905) riferita alle «terre di confine ove i popoli di varia razza si confondono». In seguito è stata usata da Primo Levi ne “I sommersi e i salvati” per indicare quei prigionieri che, all’interno del campo di concentramento, collaboravano con i nazisti per garantirsi un qualche privilegio. La frase è oramai entrata nel linguaggio corrente (non senza travisamenti rispetto all’accezione di Levi) e anche in linguistica è diventata un’espressione comune per indicare quelle varietà di transizione o di dubbia collocazione in cui coesistono elementi provenienti da più sistemi linguistici. !9 I. INTRODUZIONE (cfr. § II). Questo è stato necessario in quanto la scarsità di documentazione e la marginalità socio-economica dei territori in questione hanno verosimilmente frenato sia la ricerca di nuovi dati, sia la riflessione su quelli già esistenti e, a parte alcune eccezioni (cfr. § 2.3), la conoscenza delle peculiarità linguistiche delle parlate francoprovenzali del Piemonte è limitata ai dati provenienti dagli atlanti. Osservando, perciò, la composita situazione del francoprovenzale, lingua che «n’existe nulle part à l’état pure» (Tuaillon 1987: 7), ho cercato di presentare gli aspetti significativi delle diverse varietà che lo compongono a partire dalla prima definizione ascoliana di fine Ottocento fino al giorno d’oggi (§ 2.2). Dopo uno sguardo alle realtà francoprovenzalofone d’oltralpe (Francia e Svizzera) e d’Italia (Valle d’Aosta e Puglia), mi sono concentrato sulle varietà parlate in Piemonte, soffermandomi in particolare sulle spinose controversie legate alla delimitazione dell’area e al numero dei parlanti (§ 2.3). Con un dettaglio maggiore mi sono occupato della situazione linguistica e socio-economica delle Valli di Lanzo (§ 2.4), provando poi a tracciare un quadro riassuntivo di tutta l’area francoprovenzale del Piemonte che tenesse in considerazione sia le questioni linguistiche, sia le tendenze extra-linguistiche, fornendo così uno sguardo globale su di una realtà ancora poco studiata nella sua totalità (§ 2.5). Ho poi esposto le modalità con cui ho condotto la ricerca, la scelta dei metodi e degli strumenti più adatti per raccogliere i materiali analizzati (§ III). Spesso il rischio per le grammatiche dialettali è di rappresentare la lingua come un’entità omogenea e invariabile non prendendo in considerazione le diverse dimensioni della variazione; in questo lavoro ho cercato di descrivere la realtà di Monastero di Lanzo evidenziando le forme in competizione (principalmente in diacronia e in diatopia) e mostrando i rapporti tra le diverse varietà anche tramite l’uso di modalità di raccolta differenti (§ 3.1). La codifica di una lingua orale, infatti, dovrebbe sfuggire alla «tentation de la loi» (Calvet 2007: 30), cioè alla volontà di generalizzare delle tendenze, se vuole restituire un’immagine quanto più veritiera della realtà indagata. La situazione linguistica di Monastero di Lanzo, così come quella di qualunque località, non può e non deve essere scissa dai fattori geografici, storici e sociali che la !10 I. INTRODUZIONE caratterizzano. Ho scelto così di includere nell’analisi, prima della trattazione dei fenomeni linguistici, anche l’insieme degli elementi umani che hanno giocato un ruolo più o meno significativo nella definizione della parlata locale. In questo senso la conformazione del territorio, le diverse vicende storiche, gli aspetti demografici e antropologici sono elementi indispensabili per delineare un quadro il più possibile organico della specificità linguistica di Monastero di Lanzo (§ IV). Le profonde divisioni culturali tra le varie borgate si riflettono, infatti, in un’evidente differenziazione diatopica interna tra le parlate delle frazioni basse e quelle delle frazioni alte (§ 4.4), così come le dinamiche sociali e i rapporti con i territori confinanti hanno influenzato la conservazione, la scomparsa o il mutamento di tratti linguistici specifici del dialetto di Monastero di Lanzo. Per completare la presentazione della realtà monasterese ho deciso di utilizzare la griglia valutativa approntata dal gruppo di ricerca Unesco sulle lingue in via di estinzione (Brenzinger et alii 2003) per valutare il grado di indebolimento di una lingua (§ 4.5). Al di là dei risultati numerici ottenuti, questo strumento è utile per esaminare e discutere il profilo sociolinguistico di una parlata a partire da parametri centrali come la trasmissione intergenerazionale o la strutturazione del repertorio fino a categorie che, in ambito dialettale, stanno acquisendo un peso sempre maggiore come, ad esempio, le risposte ai nuovi domini d’uso o gli atteggiamenti delle istituzioni e della comunità nei confronti della lingua. L’analisi linguistica