Di Roccia, Di Ghiaccio, Di Vento, Di Luce: Etnografia Dei Paesaggi Verticali

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Di Roccia, Di Ghiaccio, Di Vento, Di Luce: Etnografia Dei Paesaggi Verticali Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in: Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica Tesi di Laurea Di roccia, di ghiaccio, di vento, di luce: etnografia dei paesaggi verticali. Pratiche del rischio nell‟alpinismo. Relatore Correlatori Ch. Prof. Gianluca Ligi Ch. Prof. Francesco Vallerani Ch. Prof. Antonio Paolillo Laureando Lucia Montefiori Matricola 834152 Anno Accademico 2011 / 2012 2 A Chiara e Irene: sorelle non per nascita, ma per scelta. 3 4 INDICE INTRODUZIONE 11 L’ALPINISMO È... 11 L’ESPERIENZA DI RICERCA 12 INSEGNANTI, MENTORI ED INTERLOCUTORI 26 TEMI E STRUTTURA DELLA RICERCA 28 1 – ELEMENTI DI STORIA DELL’ARRAMPICATA 39 1.1 – NASCITA DELL’ALPINISMO: IL MODO NUOVO DI SALIRE LE MONTAGNE 39 1.2 – LA STAGIONE DEGLI EROI. L’EPICA DELL’ALPINISMO 44 1.2.1 – OCCIDENTALISTI E ORIENTALISTI: LE DUE SCUOLE DELLE ALPI 48 1.4 – GLI ULTIMI TRE PROBLEMI DELLE ALPI 50 1.4.1 – IL CERVINO (4478 M) 50 1.4.2 – L‟EIGER (3970 M) 51 1.4.3 – LE GRANDES JORASSES (4208 M) 52 1.5 – NUOVE SFIDE E CRESCITA DELLE DIFFICOLTÀ: DIRETTISSIME, INVERNALI E SOLITARIE. 54 1.6 – LE POLEMICHE SULLA FERRAGLIA. L’ETICA DELL’ALPINISMO 57 1.7 – TERRITORÎ NUOVI: HIMALAYA E KARAKORUM, ANDE, MONTAGNE ROCCIOSE 60 1.8 – YOSEMITE: LA STAGIONE HIPPIE DELL’ARRAMPICATA 63 1.9 – ANNI ’80 E ’90: LA NASCITA DELL’ARRAMPICATA SPORTIVA E LA RIBALTA DELLO SPIT 66 1.10 – SPAZÎ ED ETICHE DEL NUOVO MILLENNIO: BOULDERING, BUILDERING, FREESOLO, DEEPWATERSOLO, FREEBASE, VELOCISTI. 69 2 – L’ALPINISMO COME COMMENTO E CRITICA SOCIALE 73 2.1 – ACCENNI DI STORIA DEL PENSIERO ALPINISTICO 74 2.2 – CONVERSANDO CON GLI ALPINISTI 82 2.3 – I PERCHÉ DELL’ALPINISMO 89 5 3 – PAESAGGI VERTICALI: L’IMMENSO E LA PAURA 93 3.1 – TIPI DI PARETE E CONFORMAZIONI 94 3.2 – ARRAMPICATA E ALPINISMO 110 3.3 – NOTE DI GEOMORFOLOGIA 113 3.4 – CAMMINO, QUINDI ARRAMPICO 129 3.4.1 – PRESE E APPOGGI 132 3.4.2 – TECNICHE DI PROGRESSIONE 136 3.4.3 – SLACKLINING E ROPEJUMPING 141 3.5 – LANDSCAPE E TASKSCAPE 143 3.6 – MAPPE: DISTANZE, TEMPO E DISLIVELLI 148 3.7 – LINEE 152 3.8 – L’IMMENSO E LA PAURA 158 4 – ALPINISMO. UN GIOCO PROFONDO 165 4.1 – I PERICOLI DELLA MONTAGNA 167 4.2 – IL VALORE MORALE DEL RISCHIO 175 4.3 – EDGEWORK 186 4.4 – GIOCO PROFONDO 195 CONCLUSIONI 199 APPENDICE 1 – GLOSSARIO DEI TERMINI 207 APPENDICE 2 – I MATERIALI DELL’ALPINISMO 209 MATERIALI PER L’ARRAMPICATA 211 APPENDICE 3 – I GRADI DI DIFFICOLTÀ DELL’ARRAMPICATA 223 DIFFICOLTÀ TECNICHE DELL’ARRAMPICATA 223 DIFFICOLTÀ TECNICHE DEL BOULDER 224 DIFFICOLTÀ ALPINISTICHE AMBIENTALI 224 DIFFICOLTÀ TECNICA SU GHIACCIO DI CASCATA 225 6 DIFFICOLTÀ AMBIENTALE SU GHIACCIO 225 TERRENO D’AZIONE SU GHIACCIO 226 DIFFICOLTÀ DELL’ARRAMPICATA ARTIFICIALE CLASSICA 226 DIFFICOLTÀ DELL’ARRAMPICATA ARTIFICIALE MODERNA 226 APPENDICE 4 - CONVERSAZIONI 227 SCHEDE DEGLI ALPINISTI 227 DAVIDE CAPELLO 227 FABIO BATTISTUTTA 228 JIHAD BRESCIANI 229 PAOLO CIPRIANI 229 REGISTRAZIONE 1 – FABIO BATTISTUTTA 231 REGISTRAZIONE 2 – FABIO BATTISTUTTA 257 REGISTRAZIONE 3 – DAVIDE CAPELLO, FABIO BATTISTUTTA 260 REGISTRAZIONE 4 – FABIO BATTISTUTTA 283 REGISTRAZIONE 5 – PAOLO CIPRIANI, JIHAD BRESCIANI, FABIO BATTISTUTTA 294 REGISTRAZIONE 6 – PAOLO CIPRIANI, JIHAD BRESCIANI, FABIO BATTISTUTTA 315 REGISTRAZIONE 7 – PAOLO CIPRIANI, JIHAD BRESCIANI, FABIO BATTISTUTTA 337 RINGRAZIAMENTI 345 BIBLIOGRAFIA 347 FILMOGRAFIA 355 INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI 359 7 8 Ciò che davvero distingue l‟antropologia, [...] è che non è affatto uno studio di, ma uno studio con. Gli antropologi lavorano e studiano con le persone. Immersi con loro in un ambiente di attività condivise, imparano a vedere le cose (o a sentirle, o a toccarle) nei modi in cui lo fanno i loro insegnanti e compagni. Una educazione in antropologia, quindi, fa più che fornirci una conoscenza riguardo al mondo – riguardo alle persone e le loro società. Piuttosto educa la nostra percezione del mondo, e apre i nostri occhi e le nostre menti ad altre possibilità di esistenza. Le domande che ci poniamo sono di carattere filosofico: riguardano cosa significa essere un essere umano o una persona, riguardano la condotta morale e il bilanciamento di libertà e restrizioni nelle relazioni tra le persone, riguardano la fiducia e la responsabilità, riguardano l‟esercizio del potere, riguardano le connessioni tra linguaggio e pensiero, tra parole e cose, e tra cosa le persone fanno e cosa le persone dicono, riguardano la percezione e la rappresentazione, riguardano l‟apprendimento e la memoria, riguardano la vita e la morte e lo scorrere del tempo, e così via. In realtà la lista è infinita. Ma è il fatto che noi ci poniamo queste domande nel mondo, e non da una poltrona – che questo mondo non è solo ciò riguardo al quale pensiamo, ma ciò insieme al quale pensiamo, e che in questo pensare la mente vaga lungo sentieri che si estendono ben oltre l‟involucro della pelle – che rende l‟impresa antropologica e, per lo stesso motivo, radicalmente differente dalla scienza positivista. Noi facciamo la nostra filosofia fuori dalla porta. E in questo, il mondo e i suoi abitanti, umani e non-umani, sono i nostri insegnanti, mentori ed interlocutori. 1 Tim Ingold 1Tim Ingold, Being Alive. Essays on movement, knowledge and description, 2011, London, Routledge, cit.p. 238. 9 10 Introduzione L’alpinismo è... La mia storia con la montagna è iniziata quando ero molto piccola, dalle vacanze dolomitiche che ogni anno trascorrevo in compagnia dei miei genitori, dei miei zii e cugini. Per anni ho trascorso le mie estati tra il Pelmo, il Civetta, la Croda da Lago, esplorando i boschi dell‟alto bellunese cercando invano di avvistare qualche cervo, guardando il ghiacciaio della Marmolada che si ritirava inesorabilmente. Compiuti i quattordici anni ho smesso di andare in vacanza coi miei genitori, ed ho iniziato a vagare per altri lidi, ma quelle camminate infinite e ripide hanno sempre continuato a suscitarmi nostalgia. Poi, nell‟estate dopo il mio secondo anno di università, io e mia cugina abbiamo deciso di rivangare i tempi passati, e accompagnare nuovamente i nostri genitori per una settimana di trekking, durante la quale facemmo base ad Alleghe, come spesso durante la nostra infanzia. La camminata da passo Giau al Rifugio Croda da Lago – nonostante le tre ore passate ad aspettare gli altri in preda alla fame davanti al rifugio, dopo essermi ricordata di non avere il portafoglio con me – è un ricordo magnifico di quella settimana. L‟ultimo giorno decidemmo di fare un‟ultima sosta, prima di rientrare a casa. Decidemmo di fermarci a Erto, dove io e mia cugina non eravamo mai state, a visitare la valle tristemente nota per il disastro del Vajont. Rimasi incredibilmente colpita dal paesaggio del paese, non mi spiegavo l‟enorme spaccatura che divideva il paese vecchio dal paese nuovo, e decisi di tornare per compiere lì la ricerca di campo per la mia tesi di laurea2. Così a gennaio tornai in paese, e vi rimasi per un mese e mezzo, la prima volta. Qui, durante la ricerca, la mia gate keeper, Nerina, mi presentò un ragazzo taciturno, che stava terminando gli esami per diventare Guida Alpina. Era Fabio, il mio attuale compagno. Con lui scoprii un modo di frequentare la montagna che, fino ad allora, albergava in un cassetto remoto della mia testa, e di cui, in fondo, non sapevo nulla: l‟alpinismo. Era gennaio, quindi in casa sua il tavolo era completamente coperto da guide di arrampicata su ghiaccio, e ricordo che rimasi sconcertata: la prima cosa che vidi riguardo all‟arrampicata, in assoluto, fu la foto di quello che allora mi sembrò un pazzo, appeso in ianiro3 su un festone di ghiaccio piuttosto precario. Col tempo, imparando a 2 Il titolo della mia tesi era: Erto: un paese, due paesaggi. La ricostruzione identitaria attraverso le strategie dell’abitare. 3 Si vedano le tecniche di progressione su ghiaccio, nel capitolo 3.4.2. 11 conoscere tanti altri alpinisti – guide alpine e non -, tentando io stessa di cimentarmi in alcune attività per me del tutto nuove, mi sono tolta dalla testa tutte le idee che molti profani hanno di questo mondo – gli alpinisti non sono dei pazzi in cerca di modalità creative per suicidarsi -, e ho capito alcune cose. L‟alpinismo è l‟arte di salire sulle cime del mondo. È un‟arte, e non uno sport, perché è un‟attività creativa, non agonistica e senza regole. L‟alpinismo si nutre di immaginario, perché gli alpinisti inseguono spesso fantasie in cui alla soddisfazione non si accompagnano freddo, fatica e fame. L‟alpinismo è una relazione emozionale con un ambiente maestoso, una esplorazione spazialmente estesa degli stati di angoscia e di gioia. È un gioco emotivo, in cui si gioca con la materia e con la morte. È una scommessa che si gioca tra difficoltà e competenze, in cui bisogna sempre fare i conti con la gravità e con la quota, perché, come mi sento ripetere spesso, i gradi di difficoltà in fondo sono solo tre: “passo”, “non passo”, e “faccio fatica”. È un insieme di legami, a partire da quello della corda, tra i suoi praticanti, le pareti attraverso cui essi si arrampicano e l‟immenso vuoto che rimanda loro l‟eco dei proprî movimenti. È la preoccupazione per un bivacco non previsto, ma è anche il senso di pace che dà il ritorno sul divano di casa, perché l‟alpinismo – come mi disse un anziano rocciatore al Rifugio Pordenone – inizia quando si mette un piede fuori di casa e finisce solo quando, dopo una lunga doccia, ci si rilassa finalmente in poltrona. L’esperienza di ricerca Le tre più famose parole sull‟alpinismo sono state pronunciate da George Mallory, noto alpinista britannico che visse tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo, forse il primo uomo in vetta alla montagna più alta del globo.
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