ACCADEMIA DEI ROZZI

Anno XVIII - N. 35 Frontespizio de La magnifi ca et honorata festa (, Bonetti, 1584). Celebre cronaca di Cecchino Cartaio in una delle più antiche documentazioni a stampa per la storia del Palio e delle Contrade. Le “Belle e nobili Feste” del 1581 e la pazzia senese del “corrir pagli, e trovar l’enventione” di Alberto Fiorini (continua dal n° 33)

1581, 6 agosto Con la cavalla a tuon d’alti romori, Un palio rionale con cavalle indetto Marcata al luogo ove si dava il corso dalla Contrada dell’Elefante Del bel corrir, e ne rodeva il morso.

Come intermezzo tra le feste indette L’Oca a farsi veder tardò un poco, dalla Contrada dell’Istrice e la gran carriera Perché volse li Dei seco menare dell’Assunta, che la nobile Contrada dell’A- Com’altra volta fece, ma di foco quila stava già preparando, vi fu un Palio in- La cavalla parea a lo sbruffare, detto dalla Contrada dell’Elefante. La festa E perché volse ben metter nel gioco ebbe luogo il 6 agosto 1581 col premio d’un Il Ragazzo del Barber, a quel pare cappel come cimiero ed uno a chi più bel veder si L’Onda non volse, e da quel corso prese facesse.1 Altro viaggio, e così l’Oca fece. Protagoniste di questa carriera rionale furono quattro Contrade: Onda, Oca, Lupa Talché la festa quasi era dismessa, e Valdimontone. Il Palio fu caratterizzato E quasi ognun’ pigliava altro cammino, da una disputa fra l’Onda e l’Oca: l’Onda La voce rapportò la cosa espressa contestò alla Contrada di Fontebranda al- A chi dell’Elefante havea il domino; cune irregolarità prima della mossa e l’Oca, Veduto l’Onda poi che li fu ammessa offesa, si astenne dal correre. In sua vece si La sua ragion, e che il suo Dio marino Se non corriva il Palio non havea presentò la Lupa, che però non fece compar- Tornò al corso, e al vincer attendea. sa. La cavalla dei Lupaioli non ebbe molta fortuna, perché fu protagonista di una rovi- Venne la Lupa poi in cambio a l’Oca, nosa caduta. Senza livrera e non molti suoi fi di Vinse così l’ONDA, mentre all’Oca fu Con la cavalla, ma con gente poca, assegnato il masgalano in segno di consola- Senza tromb’o tamburi, e manco gridi. zione. Fu presente alla festa il Governatore Quelli dell’Onda l’Oceano invocan, di Siena Federigo Barbolani da Montauto. E quelli della Lupa i suoi infi di; Il manoscritto del Cortese riporta la cro- Ma perché la cavalla cascò a terra, naca poetica degli avvenimenti: Dell’alta Lupa l’Onda il palio afferra.

L’Onda fu la primiera che comparse, All’Onda conveniva il premio ancora A chi governa Siena, a Pescatori Sì come suo, e per più ragion vere Con li suoi esercitij, e rime sparse Che negar non si ponno, perché allora Ne i bianchi fogli da gli Stampatori; L’Oca lassò il corrir, e le sue schiere E fatto mostra a li Giudici apparse In Fonte Blanda andorno in su a quell’hora,

1 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste offerta dal Cortese: Nacque in penser (...) / Alli Fanciulli fatte ne la Mag.ca Città di Siena, Cominciate da la prima dell’Elefante altiero / Far correr Palio al modo di suo editto / Domenica di Maggio per tutto il dì xvii d’Agosto de l’Anno Col premio d’un Cappel come cimiero / (...) / Allegramente 1581”, BCS, ms B V 42, c. 22’. Anche la data ci è il dì sesto d’Agosto... [ibid.]. 3 E si spogliò di quel c’havea avere. Pur come fussi l’Oca il premio hebbe, E ‘l Palio l’Onda, e del premio l’increbbe.2

La Contrada dell’Onda era intervenuta alla festa di Salicotto con un’invenzione ispirata all’Oceano. Il personaggio princi- pale in tale occasione fu Nettuno, dio del mare, che recitò tre stanze composte dallo stesso Domenico Cortese. Il componimento a stampa è andato perduto, ma nel “Trattato sopra le belle e sontuose feste” del 1581 il Corte- se ne riportò il testo, che era così formulato: “L’ONDA Nepote del grande Oceano e di Teti”. La poesia esaltava l’alto valor di chi trovò la Pe- scha, / E di chi dona ai pesci il moto e l’esca, e si concludeva con un’esortazione per i Giudici della Festa a dare a chi ben pesca aiuto sano, nonché il palio, o ver il premio:

L’ O N DA NEPOTE DEL GRANDE OCEANO E DI TETI. Montone, Contrada del, “Stanze cantate da un Fanciullo in A LE BELLE ET ALTIERE DONNE SENESI nome della Gioventù Tanagrea” (1581), frontespizio, stamp. Luca Bonetti (?), Siena 1581. BCS, R VIII 6, comp. 8. Donne lucenti da cui Febo prende Com’anco i pescatori e tutti i suoi; Il bel crin d’oro e Amor l’arco e lo strale, Porgete almi Signori aiuto sano Col qual i vostri infi di irato offende, A chi ben pesca, e date il palio a noi, Finché di lor il mal nel cuor v’assale, Poscia che dal bel vostro egli comprende O ver il premio, a ciò chi al mare impera 3 Quanto Natura al suo valor prevale; All’Elefante dia quant’egli spera. E chiunque spera haver da lui mercede Baci la terra ove levate il piede. Un’altra Contrada, che sicuramente in- tervenne a questa festa, fu il Montone. L’ONDA che di Nereo è fi da sempre, Provano la partecipazione di questa Con- E de la fi glia d’Oride sua sposa trada quattro “Stanze cantate da un Fanciullo Venuta è hoggi in questa guisa o tempre in nome della Gioventù Tanagrea” ed un “Ma- Co’ suoi seguaci all’uso suo festosa, drigale da cantarsi in musica”. Come sta scrit- Onde chi al bel pescar contempre to nel bel frontespizio della composizione Canterà meco in rima Tosca o prosa poetica fatto dallo stampatore Luca Bonetti L’alto valor di chi trovò la Pescha l’inventione fu rappresentata dalla Contrada del E di chi dona ai pesci il moto e l’esca. MONTONE in occasione del Palio da corrersi in Siena nell’onorata Contrada del Lionfante. La Galatea, che del Grand’Oceano MDLXXXI. La poesia s’ispira alla favola mi- E di Teti si tien hor gli Avi suoi, tologica di Mercurio, che condusse un arie- Altiera tien questa bell’ONDA in mano, te attorno alle mura di Tanagra, città della

2 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste fante a Corso di Cavalli dalla Contrada dell’Onda si etc.”, op. cit., cc. 23-24. veda il “Libro III C” a c. 210. Secondo il camarlengo 3 Ibidem, cc. 24v-25r. Agostino di Francesco Grati, barbiere, furono spesi 4 Per più spese fatte nella Festa della Contrada del Lion- più di venti fi orini. Beozia, per liberarla dal mortifero veleno Et al fi n questo a Dei, e a Regi alteri del serpente Fitone (o Pitone). Per questa ra- Adorna il collo, e ‘l crin, segno è d’Imperi. gione i Tanagrei si dichiararono seguaci del montone. Voi Donne dunque, in cui non ben si scorge Se Beltade, o Valor ci habbin più loco: STANZE Questo, che doni tanti apporta, e porge, CANTATE DA UN FANCIULLO Onorate, e prendete ogni altro in gioco; IN NOME DELLA GIOVENTÙ Che dove il sol si colca, e dove sorge, TANAGREA Chiar farà ‘l vostro nome in tempo poco: RAPPRESENTATA DALLA CONTRADA E voi Donne terrene, e ancor mortali DEL MONTONE Onorerà di doni alti, e immortali. IN OCCASIONE DEL PALIO DA CORRERSI IN SIENA, MADRIGALE NELL’ONORATA CONTRADA DEL LIONFANTE. DA CANTARSI IN MUSICA MDLXXXI QUALE a noi TANAGREI DEL mortifer Fiton l’empio veneno Tolse il venen, ch’avea corrotto il Cielo, TANAGREA nostra Patria un tempo oppresse; Ond’ogn’humor vital rendea di gielo, Scacciollo, l’ammortì, gli impose freno, Il Monton nostra scorta: tale a voi, Il mandò in bando, e sua forza represse Coi lieti effetti suoi, Quel Monton, che portò di valor pieno Torrà sempre ogni Noia, s’al desire Mercurio intorno alle sue mura istesse. Nostro, Donne, vorrete il seno aprire; Donde per rinnovar tanta memoria Ch’è in queste mortali hore Nei seguiamo il Monton, dianli ogn’hor gloria. Goder lieti con voi frutti d’Amore.4

Questo è ‘l segno Celeste, di cui Marte Più che d’ogn’altro si compiace in Cielo; 1581, 15 agosto Questo è quel, di cui s’orna, chi comparte Palio alla lunga in onore di Santa Maria Per nostro comun bene il caldo, e ‘l gelo. d’Agosto, corso dalle Contrade per iniziativa Questo, Mercurio in lui posto, fa parte della Nobile Contrada dell’Aquila A noi d’alta facondia, e questo al Telo Dell’Ira il furor tronca offerto, e questo Non si era ancora spenta l’eco delle feste Volto è d’ogniuno al bene, al giovar presto. indette dalla Contrada dell’Istrice, che la no- bile e privilegiata Aquila ottenne dalla Balia Elle, e Frisso il san ben, che le salse onde il permesso di poter organizzare a proprie Osar’ calcar di lui il dorso sicuri; spese il Palio dell’Assunta di quell’anno, Et i Mortali il san, ch’allor, ch’infonde chiamandovi a partecipare, in via del tutto Suoi infl ussi in lor, spezzansi i ghiacci duri, eccezionale, le Contrade amiche.5 Racconta E sparge Primavera le gioconde Domenico Cortese: Sue treccie, e scaccia i dì noiosi, e oscuri;

4 Montone, Contrada del, “Stanze cantate da un no mai partecipato le Contrade. La corsa era riservata Fanciullo in nome della Gioventù Tanagrea” (1581), fron- ai nobili signori forestieri e facoltosi cittadini, che, su tespizio, stamp. Luca Bonetti?, Siena 1581. Sta in: invito del Comune, vi iscrivevano i propri cavalli di “Poesie senesi del 1500”, BCS, R VIII 6, comp. 8. In razza, chiamati barberi come i cavalli arabi di pregio. basso l’icona xilografi ca della Contrada con il mon- Talvolta li facevano correre scossi, cioè senza fantino, tone passante. ma ordinariamente li facevano montare da ragazzi, o 5 Non si conoscono i motivi per i quali l’Aquila, putti, dai soprannomi curiosi, contraddistinti da livree che dalla Caccia dei Tori del 1546 era praticamente con i colori dei propri padroni. inattiva, chiese ed ottenne tale permesso. Infatti al Pa- Dopo il 1581 non si hanno più memorie riguar- lio di mezz’agosto, divenuto dopo la fondazione della danti la nobile Aquila, che rientrò nel novero delle Cattedrale e soprattutto dopo la vittoria di Montaperti Contrade attive soltanto nel 1718. Nel 1719 vinse il (1260) un omaggio alla Madonna Assunta, non aveva- suo primo Palio in Piazza. 5 L’alto Augel chiamò del suo contorno dell’Assunta, per mescolar le cose alte con le basse L’illustri fi di suoi tutto gioioso e le ridicole con le gravi, et abbellir questa com- Il dì 9 di Luglio mese adorno; media con qualche piacevole intermedio. Hebbero Allegro fu di tal vista, e pomposo, origine le feste di quest’anno da un palio che si Ai quai proposta fe’ sopra la festa corse per uso antico il giorno di S. Bernardino, Con spiegat’ali e la corona in testa.6 che non essendosi potuto per alcuni accidenti conoscere bene il valore e l’agilità dei cavalli, si La proposta venne accolta con entusia- dispose un’altra Contrada di farne correre uno smo dalla città e dalle Contrade. Elefan- nuovo, aggiungendovi premio, siccome fece anco te, Onda, Giraffa, Montone, Drago, Oca la prima, a chi usciva con più bella inventione: e e Lupa iniziarono subito i preparativi per vi si viddero fantastici capricci.7 Di qui nacque onorare la festa con belle invenzioni e biz- una grata emulatione tra tutte le altre Contrade, zarrie allegoriche. (es)sendo rimaste poche che non habbian voluto La trovata più originale fu indubbiamen- far correre il suo, chi con cavalli, chi con caval- te del Drago. Questa Contrada suscitò lo le, e chi con mule non di vettura, ma levate di stupore dei senesi con l’affi dare la monta sotto ai primi medici e principal prelati di questa del proprio barbero ad un’ardita ragazza del città, et altri con le bufale per imitare il costume contado di appena quattordici anni: la gio- romano; dove non è restato né favola né istoria, vinetta si chiamava Virginia Tacci. La singo- che non si sia con qualche garbo rappresentata, larità del fatto impressionò persino il Conte accompagnandole sempre con belle musiche et in- Federigo Barbolani da Montauto, Governa- gegnose composizioni. E se i Senesi havessero così tore di Siena, il quale pensò di darne notizia potere come hanno acutezza e voluntà, credo non sarebber secondi ad alcun’altra natione in questo a Firenze con una lettera indirizzata al segre- genere di spettacoli: ma dove la spesa è debile, le tario granducale cavalier Antonio Serguidi. cose perdono lo spirito et il nervo dell’apparenza. La lettera, che è del 9 agosto 1581, fu ri- La quale non di meno mantengono, et io tengo in trovata nella fi lza Medicea n. 1875 (carteg- buono augurio viva con un’estrema et universale gi di Siena) dell’ex Reale Archivio di Stato hilarità, che doppo il corso de’ palii i vincitori se di Firenze dallo storico Carlo Carnesecchi. ne vanno trionfando per tutto, visitando le Con- Inizia con il racconto dei fantastici capricci trade più antiche, e tenendo quasi corte bandita delle Contrade fatti nei mesi precedenti ed de’ vini e tavolacci. Ma quel che è da lodare, i illustra i motivi dell’inconsueta festa idea- palii et i premi a’ quali si è aggiunto la dote, si ta dall’Aquila. La notizia del fatto davvero sono impiegati tutti in honore di Dio et in opere non comune della presenza di una ragazza- pie o per paramenti di chiese, e ve ne sono stati fantino al Palio è nella seconda parte della alcuni di non poca valuta. E’ sorta fi nalmente la lettera. Il Barbolani riferisce dell’ardimento Contrada dell’Aquila, che per essere ripiena tut- della bella e giovane amazzone, confessan- ta di gentiluomini et haver per impresa l’uccello do non senza malizia e con molto spirito che regna tra gli altri, ha voluto eleggersi il più che la contadinella Virginia gli piaceva mol- solenne et il più celebre giorno della città, che è to, sembrandogli capace di domare non la festa di mezz’agosto, et honorarla d’un palio soltanto vecchi cavalli da corsa, ma persino superbo di broccato, che superi il valor di tutti gli ardenti corteggiatori. altri; aggiuntovi un ricco premio, la dote simil- mente di due fanciulle che si trarranno a sorte delle Illustre Signor mio osservandissimo. nominate Contrade, et il riscatto di due prigioni. Lassando un poco da parte le materie ara- Il premio, secondo l’uso, si darà alla più bella in- biche, che avranno forse già molti giorni infasti- venzione; et il palio s’ha da correre coi barbari, dito Vostra Signoria nell’udirle come me nello che sin qui passano il numero di sette od otto, gui- scriverle, passarò in raccontar qualche piccola dati da ragazzi piccoli. Ma tra le cose più ridicule parte della festa che si prepara in Siena il giorno e maravigliose che si vedono, è che una villanella

6 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste 1581”, BCS, ms B V 42, c. 19v. fatte ne la Mag.ca Città di Siena, Cominciate da la prima 7 Cfr. 1581, maggio/giugno. 6 Domenica di Maggio per tutto il dì xvii d’Agosto de l’Anno d’anni quattordici incirca ha da far correre un Federigo da Montauto, che certo nulla tra- barbaro: e vi sta sopra con tanta sicurtà e leggia- scurava per compiacere al carattere festaio- dria che è cosa da non credere. Nè mai cavalca, lo dei suoi amministrati, si premurò anche che non habbia seco un numero infi nito di perso- di prendere opportuni provvedimenti per il ne, così ben s’accomoda a quell’atto di cavalcare; mantenimento dell’ordine pubblico durante tanto che pare che l’altre donne gli portino invidia la manifestazione. Ecco quanto fece delibera- e che alcune disegnino d’apprendere quell’arte, ve- re dal Collegio di Balia: dendo che il cavalcar bene è buon mezzo per ac- quistarsi la grazia degli huomini. Ha cominciato Sabbato, alli 12 d’Agosto (1581). questa giovinetta a esercitarsi nel corso: e l’altro Li Magnifi ci Signori Offi ciali etc., a suon di giorno, perché il cavallo sboccato dando a traver- campana congregati in numero di dieci con parti- so saltò certe travi non senza manifesto pericolo di cipatione e dispensa dell’Ill.mo Sig. Governatore rompersi il collo, ella non si smarrì punto né fece nostro, attesa la preparatione fatta per la festa da segno di cadere, ma con molta arte e destrezza lo farsi per la solennità dell’Assuntione della glorio- corresse e ritenne, diffi cilissimo per il sopradetto sa Vergine Maria il dì xv. del presente mese, le a ciascuno. A tale che a molti dé meraviglia e da Contrade respetto alle precedentie o altra cagione, credere qualcosa alla Cuccagna, poiché le donne e per provvedere che la città stia abbondante de’ cominzono a fare gli esercitii degli huomini; ma viveri, deliberorno eleggere et deliberando elessero non già a me, tenendo né senza qualche prova il al partito de le più voci, secondo il consiglio reso, proprio de simili non solo dominare e fermare li gl’infrascritti due del Collegio, con autorità per il maturi e sbocati barbari, ma ancora li arditi e suddetto effetto, con ogni miglior modo: veloci polledri. Di che potriano talvolta accertar- Fabio Forteguerri, sene molti, che tirati dall’appetito procurano dol- Cesare Nuti.9 cemente farne prova con essa: et io talvolta sarei di tal numero, se pure pensassi di dar principio Il pomeriggio del 15 agosto, sette Con- alla giostra. Dei cartelli, che sono andati in volta trade, con disio d’havere / Il palio d’oro e ‘l bel per visitare le Contrade, ve ne sono stati alcuni Tazzon d’argento, / E la collana, uscirno a foggia assai gentili e spiritosi: ma più d’ogni altra cosa e a schiere, / Coi barberi a corrir equali al vento. mi è piaciuto la quiete e la concordia, con la quale Raggiunsero Porta Romana a suon d’alti cano- si son fatti questi giuochi. So che Vostra Signoria ri, e di romori, e di tamburi, scortate dai propri si riderà non tanto ch’io habbi osservato queste contradaioli e circondate dall’entusiasmo minutezze, ma che io gliele scriva, massime nel della folla. Tutte e sette si presentarono con colmo di tanti negotii. Ma lo fo apposta per trar- speciali allegorie e feron ciascuna tanto bel ve- glieli dalla testa, a imitazione del medico che per dere.10 Per l’occasione ogni Contrada aveva levare all’inferno i travagli dell’animo, lo tien fatto stampare i componimenti poetici che lungamente occupato in diversi ancor che vani i principali personaggi delle invenzioni ragionamenti. Ma per non trapassar più i termi- avrebbero poi recitato o cantato.11 ni del honesto, col fi n di questa la prego che mi La prima a sfi lare fu la Contrada dell’Ele- comandi, e le bacio le mani. fante, con una inventione ispirata a Mercurio Di Siena, lì 9 d’Agosto 1581. assiso sul carro trionfale di Bacco in com- Di V.S. Ill.ma pagnia di Muse. Ecco la descrizione della Servitore obbligatissimo comparsa di Salicotto nel “Trattato” poetico Federigo delli Conti da Montauto.8 di Domenico Cortese:

8 La lettera del Governatore Barbolani fu pubbli- 11 Tutte le rime sono raccolte in un libriccino in 8° cata dal Carnesecchi nel n. 5 della “Miscellanea Storica intitolato: “Raccolta di tutte le Rime. Cantate, et rappre- Senese”, stab. tip. C. Nava, Siena 1894, pp. 73-74, con sentate da le Contrade Senesi avanti li Signori Giudici de la un saggio intitolato: “La villanella al Palio”. Nobilissima Aquila ne l’occasione de la loro honoratissima 9 “Deliberazioni degli Uffi ciali. Not. Giovanni d’Ansa- et celebratissima festa il dì 15 d’Agosto 1581. Aggiontovi le no Billò”, 3 febb. 1581 - 31 genn. 1584. AAS, BALIA Stanze in lode della Fanciulletta corridrice sopra il Barbero de 182, c. 46. la Contrada del Drago”. Fu stampato in Siena Alla Log- 10 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste gia del Papa nel 1581 ed è conservato nella Biblioteca etc.”, c. 28. Comunale senese. 7 La prima fu ch’infra le diciott’hore Il Capitan comparse con sua gente Con l’animal d’ingegno e di valore, Che seco havea Mercurio, e con amore Tenea Bacco Regio a sé presente, Con di rosso vestite donne snelle, Ornate riccamente in gonne belle.

In foggia militar la squadra prima Con arme bianca all’uso de la guerra, Con l’alta insegna assai bella, e sublima In mezzo a lor, ne giron per la terra, Ma ‘l Capitan, che ne faceva stima, Come nobil huom d’arme che non erra, Si presentò a chi governa Siena Col Baccante Trionfo e senza pena.

Tenevon quest’altier’ aste dipinte A rosso e giallo, e Banderuol d’orpello, Che dentro v’eron le terre dipinte Che sotto a Siena son col suo drappello; Poi l’honorato Carro, ov’eron fi nte Elefante, Contrada dell’, “Stanze etc. Rappresentate dalla Con- trada dell’Elefante, nella festa de i Signori dell’Aquila, il dì 15. d’A- Più svariate historie, e ricco e bello, gosto 1581”, in Siena, Alle Logge del Papa, 1581, sta in “Poesie Che sopra vi cantavan l’alte Muse senesi del 1500”, BCS, R VIII 6, comp. n. 5. Rime da far le menti star confuse.

V’era nel mezzo a queste donne altiere La Contrada di Salicotto aveva fatto Tanti vestiti quante Città ha Siena, stampare “Alla Loggia del Papa” un doppio Con le Livriere d’esse, a far sapere foglietto contenente le “Stanze cantate da- Quant’ella ha bello Stato, e forza, e lena; vanti al Tribunale de i Signori Giudici, deputati Di seta ornati in più varie maniere, da i fi gli dell’Aquila, da Mercurio, assiso nel collo Giovan pomposi e con faccia serena d’uno elefante, sopra cui cavalcava Bacco in ha- Tenevon veste a quella assimigliante bito regale, e trionfante...”. Il messaggero degli Dell’alme sue Città col motto innante. dèi concludeva la sua recitazione con la spe- ranza di far suo il bel premio regale (cioè V’er’anco in cima al Carro un padiglione il palio) e di portarlo in Cielo per coprirne Molto pomposo, ch’adombrava quella la mensa all’immortale Re dell’Olimpo. La Che muove e regge con saggia ragione composizione conteneva anche un “Madri- Il suo bel terzo Ciel con la sua stella; gale cantato in Musica, et ballato, da le Muse, V’era il fi gliuol mostrando a le persone nel Carro di Bacco, poiché Mercurio taceva”, in L’alta Corona ch’Arianna bella cui erano esaltate sia l’Aquila che l’Elefante. Diede al Dio Bacco, et esso pose poi Con nuove stelle in ciel Gnosia hor noi. STANZE CANTATE DAVANTI AL Fu bella invention, fu bello il Carro, TRIBUNALE DE I SIGNORI GIUDICI, E bella fu la gente ch’il seguiva, DEPUTATI DA I FIGLI DELL’AQUILA, E assai pomposo più che io non narro DA MERCURIO, ASSISO NEL COLLO Ch’il canto a tanto oggetto non v’arriva...12 D’UNO ELEFANTE, SOPRA CUI CAVALCAVA BACCO IN HABITO REGALE, E TRIONFANTE.

8 12 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste etc.”, op. cit., cc. 28’-29’. RAPPRESENTATE DALLA E ‘l popol fi ero, et di virtute adorno; CONTRADA DELL’ELEFANTE, A cui di star, per gratia, il Ciel fe’ dono, NELLA FESTA DEI SIGNORI DELL’AQUILA, Dell’Elefante al segno ogni hora intorno; IL DÌ 15. D’A GOSTO 1581. Perch’ei fussi, imitando l’Elefante, Fido al suo buon Rettor, saggio, et costante. IN SIENA, ALLA LOGGIA DEL PAPA. 1581. In compagnia di bella armata schiera Di Donne, et di Guerrier vien Bacco poi; MENTRE dell’opre egregie arriva al Cielo, Perché l’arme, l’amor, la beltà vera, Ch’escon’hoggi da voi l’altero grido; Donne, et Signori, sa regnare in voi; O d’amore, et d’honor accesa in zelo, E tal seco l’havea, quando d’intera Prole del sacro augello, a Giove fi do; Gloria s’ornò, domando gl’Indi, e i suoi Di bel desio punse il suo fi glio un telo, Trionfi ivi seguendo, oltraggi a morte, Nel vostro di virtù fi orito nido, Sovra tal animal gradito et forte. Di scender lieto in queste felici hore, All’AQUILA, e suoi fi gli a far honore. Questo cangiare in corridor Destriero Vuol hoggi, e se in Fanciullo al patto eguale; Piacque a Giove, et d’amor in chiaro segno. Et spera correr sì pronto, et leggiero, Ch’all’augel suo, ch’a suoi nipoti porta, Ch’esser suo deggia il bel premio regale; (Così voi chiama) a me, dal suo bel regno Et io meco portarlo in Cielo spero, Fecenno, perché al fi glio io fussi scorta, Per coprirne la mensa all’immortale Per dir chi sia lo stuolo ornato, et degno Mio Re, che serba a gli alti animi vostri Di Donne, et chi la gente armata accorta; Luoghi i più degni ne gli eterni chiostri. E quel che sovra L’ELEFANTE intanto Importi Bacco, e ‘l suo bel carro a canto. MADRIGALE Cantato in musica, et ballato, da le Muse, Stima Bacco un huom’ebbro il volgo errante, nel carro di Bacco, poiché Che non sa l’opre sue chiare, et famose; Mercurio taceva. S’ei fossi tal, non drizzaria le piante Qui, dove il viver sobrio il seggio pose; In questo lieto giorno Ben voi le sue diverse forme et tante, All’augel dedicato, amico al Sole, E i gran misteri suoi, ch’in quelle ascose, Cantisi d’ogn’intorno Sapete, o belli ingegni; ond’io non narro Viva L’AQUILA, et viva la sua prole; Ciò che di questo scopra hor il suo carro. Et viva Bacco; et L’ELEFANTE viva; Et a lui che tien viva Sovra quello egli scorso ha il bel paese, Toscana, et sovra le sue gratie piove Per cui l’Arbia, e l’Ombron si stende, et erra, Reverenza et honor, terreno Giove. Invitando a honorar vostr’alte imprese IL FINE 13 Là intorno ogni cittade, et ogni terra, Che l’invito accettando, hor con cortese Seconda a presentarsi innanzi al Go- Atto, a voi s’appresenta, a voi s’atterra; vernatore ed al Tribunale dei Giudici della Ben conoscete, mentre il passo move, Festa fu la Contrada dell’Onda, che osten- Ogni soggetta al gran terrestre Giove. tò la borsa con la dote per una sua giovane contradaiola, ricevuta in sorte dall’Istrice In forma feminil converse sono, in occasione della Bufalata del 2 luglio. La Da chi lo puote far per questo giorno: comparsa dell’Onda - si legge nel “Tratta- Questi che di tamburi hor segue il suono, to” del Cortese - era costituita da fi guranti

13 Elefante, Contrada dell’, “Stanze etc. Rappre- del Papa, 1581, sta in “Poesie senesi del 1500”, BCS, R sentate dalla Contrada dell’Elefante, nella festa de i Signori VIII 6, comp. n. 5. dell’Aquila, il dì 15. d’Agosto 1581”, in Siena, Alle Logge 9 che rappresentavano Donne Cepriotte (cioè Eletto al corso de’ miglior fra cento”. E non ave- cipriote), giovani guerriere con arco e turcas- va torto, perché l’Onda con quel cavallino so simili alle Amazzoni, in mezzo alle quali vinse il Palio. spiccava lo stemma ad onde bianche e nere della Contrada di San Salvadore. Esse ac- STANZE compagnavano un carro in forma di nave, a CANTATE IN PERSONA DI VENERE historie adorno, trainato da due ceceri bianchi, ALLE BELLE, ET VIRTUOSE DONNE SENESI; cioè due cigni. Su di esso stava Venere, ma- ET A LI, DELLA PRIVILEGIATA AQUILA dre di Amore. ET D’A MORE, FEDELISSIMI SEGUACI.

Vestite eron costor di bianco e rosso IN SIENA A foggia del gran Cipro, e tenean anco ALLA LOGGIA DEL PAPA. 1581. Un arco sovran di cuoio o d’osso Con freccia all’arco e col Turcasso al fi anco, POICHÉ all’honor del vostro altiero Augello, Guidate dall’Amor ignudo, e scosso Pronte havete non men l’opre, ch’il cuore, Di pietà più che di ferire stanco, Spirti chiari, et gentili, ebri di quello, Con funi che d’argento havean sembianza Che dona il fi glio mio, dolce liquore; Come colui ch’il bel gioir gli avanza. Ho queste eletto del mio Cipro bello, Per venir qua, che colme son d’ardore: L’insegna fatta a onde bianca e nera Ogni Amante, ogni Donna intenta hor sia Era nel mezzo al muliebre stuolo, Alla nobil cagion, che a voi m’invia. Portata con gran pompa in quella schiera Da quel che la teneva in alto a volo: Il gran Nettunno, e ‘l mio gran Padre Giove, Ma poi per far del Palio allegra cera Di concorde voler m’hanno mandata; Trovò chi nel corrir le dé gran duolo, L’uno la sua gradita Aquila muove, Che ‘l calpestò per terra e fe’ gattivo Acciò più sia da voi, per me pregiata; Che quasi fu raccolto semivivo. L’altro, perché dell’ONDA sua rinnove Il nome anch’io, che pure in lei son nata; Seguiva al fi n un Carro assai pomposo, M’ha dato il buon Destrier, ch’io v’appresento, Quasi ridotto a nave, a historie adorno, Eletto al corso de’ miglior fra cento. Il cui tirava chi dentro era ascoso, Con due Ceceri bianchi, e notte e giorno, Queste son del mio Regno, et al mio tempio Che sopra v’era Amor tutto gioioso Devote Donne, et d’esti Amori ancelle; Per l’honor de la Madre a quei d’attorno, Non quai le vostre, cui d’Amanti scempio La qual sedea come Regina in cima Far piace, et d’esser crude, quanto belle: Con palla d’or in man di molta stima.14 Et perché io so, che a lor di fede esempio Voi siete, e a voi di crudeltà son’elle; La composizione poetica dell’Onda con- A lor mi volto, a cui pur queste ho scorte sistette in cinque “Stanze cantate in persona di Per norma, che ad amar sol le conforte. Venere”, dedicate Alle Belle et Virtuose Donne Senesi, et a li, della Privilegiata Aquila, et d’A- Non ha ‘l mio Cipro, o Donne, et non ha ‘l more fedelissimi seguaci. Le rime celebravano Mondo la cortesia e la bellezza delle donne senesi Chi di beltà con voi gir possa al paro; con le solite forme gentili di altre liriche pre- Ma con sì vago aspetto, e sì giocondo, cedentemente ricordate e rendevano omag- Non convien poi, cuor di pietade avaro: gio all’Aquila altiero Augello. Nella seconda Deh siavi pria, che quel giardin fecondo stanza, Venere esaltava il valore del proprio Steril divengha, il trarne i frutti caro: barbero, confessando: “Il gran Nettunno (...) S’increspa il volto al fi n, s’imbiancha il crine, m’ha dato il buon Destrier, ch’io v’appresento, / E ‘l pregio è delle rose mattutine.

10 14 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste etc.”, op. cit., cc. 32-32’. Giraffa, Contrada della, “Alli generosi eletti fi gli de l’Aquila”, Montone, Contrada del, “A le bellissime, e virtuosissime gentil- incipit “Voi che da terra, col pensier diviso…”, stamp. Luca Bo- donne senesi Amorevoli Fautrici dell’antica Contrada del Monto- netti (?), Siena 1581. BCS, R III 22, comp. n. 7. ne”, incipit “Donne, ne’ cui begli occhi par che splenda…”, stamp. Luca Bonetti (?), Siena 1581. BCS, R III 22, comp. n. 8.

Non più dirò: ma se di Donne poco, co), il quale seguiva Pegaso a piedi. In mezzo a Sì chiaro esempio a voi pur Donne giova; lor l’insegna poi veniva, / Bella di vista et al suo Io men’andrò quanto più presto al loco, nome uguale, / Con la Giraffa di stupenda forma Onde il Destriero al corso suo si muova; / Sopra d’un prato in mezzo alla sua torma, si E ‘l fi glio mio, che tempra i dardi al foco conclude la descrizione della comparsa del- Del vostro viso, al cuor faranne prova; la Contrada di Via delle Vergini il Cortese. Né sempre sarà ver, che in Donne Amore Probabilmente l’animale simbolico raffi gura- Faccia albergo de gl’occhi, et non del cuore. to nell’insegna era il pliniano camelopardalis e IL FINE. 15 non già l’esotica e sconosciuta giraffa.

Sfi lò per terza la comparsa della Giraffa La gran Giraffa fu che venne poi composta da contradaioli vestiti da Turchi Per terza mostra, riccamente ornata, in divisa bianca e rossa. Si presentò senza Vestiti a Turchi tutti quanti i suoi carro allegorico, ma il gruppo fu arricchito D’ermesin bianco e rosso, e delicata, da un paio di fi guranti a dorso di mulo, che E bella molto apparse a tutti noi, distribuivano pane agli spettatori. L’elemen- Ma pria al Signor com’egl’era obbligata, to principale dell’invenzione fu Pegaso, il Col Capitan, Luogotente e Alfi ere: mitico cavallo alato, condotto da un cavalie- Non perciò vi fu carro in le sue schiere. re. Facevano parte della comparsa anche un fanciullo, che mostrava la testa di Medusa, Sopra due Muli due impegnati havea e Mercurio, riconoscibile dal caduceo (caduc- Che davon pane a chi ne desiava

15 Onda, Contrada dell’, “Stanze cantate in persona Siena, Alla Loggia del Papa, 1581, sta in: “Poesie senesi di Venere alle belle, & virtuose donne senesi, et à li, della del 1500”, BCS, R VIII 6, comp. n. 6. privilegiata Aquila, & d’Amore, fedelissimi seguaci”, in 11 Avanti a tutti, che così volea Et col dotto supplir, cortese ingegno, Chi l’alta squadra a’ Giudici menava, Dove scarso suggetto non arrivi; Degli atti brutti molti ne ridea Sol vi rammenti, che di Persia il Regno, Di quei ch’a questi e quei il pan buttava, (Roma pur taccia, ne l’honor s’ascrivi) Che doppo lor sopr’un Cavallo alato A gl’antichi Roman gran tempo prima Seguiva un Cavalier sopr’esso armato. Hebbe l’Aquila vostra in somma stima.

Teneva in mano un fanciulletto lesto Che questa, s’altra in voi cagione non puote, La testa di Medusa per le chiome, Sol dovria ritrovar gentil favore; Il cui seguiva come servo a questo Vorrete favorir genti remote, Adorno a modo suo, ma non seppi il nome; Che mai non hebber l’AQUILA in honore? Pur dimostrava quell’atto funesto Et a queste de l’AQUILA devote, Che Perseo fece. Il che, il quando, il come Pur qualche segno non mostrar d’amore? Ciascun il fatto sa: hor non occorre Hor prendete benigni, a questa vostra Voler adesso questa historia esporre. GIRAFFA amici, la difesa nostra.17

Un Mercurio anco a piedi lo seguiva, La sfi lata continuò con la comparsa del Nuntio di Giove e Figlio naturale, Montone. Sul carro allegorico, ideato dal Col caducco e quanto conveniva dottor Virginio Turamini, socio dell’Acca- Al suo valor, al suo nome immortale; demia degli Accesi, stava Giove Ammone In mezzo a lor l’insegna poi veniva, (Monton Giove), rappresentato con capelli, Bella di vista et al suo nome uguale, barba, corna e piccole orecchie ferine, che Con la Giraffa di stupenda forma era in compagnia di Bacco Re e delle Ninfe. Sopra d’un prato in mezzo alla sua torma.16 La quarta fu che si fece vedere Il componimento a stampa dispensato Al Signor prima e a Giudici per Siena dai Giraffi ni consisteva in tre stanze dedica- Col Monton vivo, il qual satiò di bere te ai seguaci dell’Aquila bicefala (col pensier Di Libia il popul suo per quella scena; diviso), organizzatori della manifestazione. D’ermesin bianco con brocchetta nera, Con morrioni e targhe, e ognuna piena Eran d’imprese come e quando Amore ALLI GENEROSI ELETTI Dava lor gratia, gioia, et hor dolore. FIGLI DE L’AQUILA Venivan prima due Ninfe vezzose, VOI che da terra, col pensier diviso, Ch’ambe tenean d’acqua chiara un fonte, Volate al Ciel, col bel vostro intelletto; Menando lor con maniere amorose Et felici fermate il guardo fi so Il bianco e bel Monton con lieta fronte, De’ vostri Soli, dentro al chiaro aspetto; Il cui mostrava ancor più alte cose Senza temer, che il lume del bel viso Le metafore sue a chi l’ha pronte: V’abbagli gl’occhi, se ben v’arde il petto; Dicendo il Capitano in quella sera Figli a l’Aquila cari, non v’aggrevi, Il corridor col putto e la bandiera. Ch’altri nelle vostre ali al Ciel si levi. Seguiva alfi n un carro e sopra v’era Del vostro gentil core atto sia degno, In forme di Monton Giove, et memoria Abbracciar quei, che son d’aiuto privi; Con faccia allegra e con sua buona cera

16 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste 17 Giraffa, Contrada della, “Alli generosi eletti fi gli etc.”, op. cit., cc. 33-33’. La Contrada di Provenzano de l’Aquila”, incipit “Voi che da terra, col pensir diviso…”, adottò come insegna la giraffa con il conduttore moro stamp. Luca Bonetti?, Siena 1581. Siena 1581, BCS, al posto del camelopardalis soltanto dopo il 1826. Si R III 22, comp. n. 7. Reca in calce l’annotazione a veda A. Fiorini, “Bestiario Senese”, ed. Il Leccio, Siena, penna: “Giraffa a dì 15 di Agosto 1581” (ripetuta sotto 12 2008. il titolo). Di Bacco Re e di sua alta historia; DONNE, ne’ cui begl’occhi par che splenda, E perciò a foggie feron la livriera Da voi pigliando lume questo Cielo; De i due trionfi con molt’alta gloria E fatto chiaro, un sì bel giorno accenda, Per rimembranza d’ogni loro aiuto, Che no’l possa adombrar notturno velo: Che a essi diede, e per Dio fu tenuto. Se largo il Ciel più belle ogn’hor vi renda, Né in voi si muti al cangiar d’anni il pelo; L’invention all’Animal simile Non habbiate il MONTON superbo e sdegno, Fu molto a dire il ver leggiadra e bella, Ch’è pur, qual siete voi, celeste segno. Poiché la fece quel dottor sottile Di manto cigno, e di Parnaso stella, Che se scaldando l’uno, e l’altro corno De i Turamin Messer Verginio humile, Del bel MONTONE, il Sol ritorna al mondo Saggio Dottor in questa parte e ‘n quella, L’amata Primavera, onde d’intorno Oggetto vero a quelle dotte Suore, Verdeggiando il terren, ride giocondo; Ch’a le fresch’ombre canton suo valore. Così de’ vostri lumi il Sole adorno, Se passa co’ bei raggi al cor profondo; Marcato il corridor col putto ancora, Fatto ivi un vago April, farà fi orire Giunser al loco ov’aspettavon quelli Mai sempre a nuove imprese il bel desire. Tre altri corridor, che più d’un’hora Spettato havean, e gionti poi anch’elli, Mosse di Libia, per deserti campi, Preson la fi la, e niun’ n’usciva fuora Qui il mio Re BACCO, alto pensier di guerra; Del loco suo, o sia fune e rastrelli: Ma non fu gionto ove l’insegne accampi Con li almi attenti e disio di sentire Vittrici intorno a la nemica terra, Che par ch’ogni guerrier di sete avvampi; Chi dessi il passo al veloce corrire.18 Né sorgendo alcun fonte da la terra, Che a lor l’ardente sete possa torre, Anche i contradaioli di Castelmontorio Con humil prego a Giove ognun ricorre. presentarono una composizione poetica stampata. Sul foglietto, ornato lungo i bor- GIOVE allor, che di Giove il nome prese, di da semplici decorazioni, vi era l’emble- Tal’ha mai sempre di giovar pensiero, ma del montone passante. Le rime furono Là in forma di Monton dal Ciel discese; dedicate “A le bellissime, e virtuosissime Gen- Così in Ciel può prego d’un cor sincero: tildonne Senesi, Amorevoli Fautrici dell’antica Lo vidde Bacco, e di desio s’accese Contrada del Montone”. Le ultime due stanze Di volerlo seguir per quel sentiero, raccontavano la favola di Bacco, il quale, Fin che ad un fonte lor condusse, dove veduto Giove discendere in forma di Monton In forma hor di Montone onoran Giove.19 dal Cielo, fu preso dal desiderio di seguirlo: per questo motivo i Montonaioli in forma La comparsa del Montone fu riconosciu- hor di Monton onoran Giove... Ecco il bel ta la più bella. Perciò - racconta il Cortese componimento. - hebbe per premio il bel Tazzon d’argento ed ogni Montonaiolo fu così contento di quel A LE BELLISSIME, E VIRTUOSISSIME masgalano che ne dé segno ad alta voce hor lieto GENTILDONNE SENESI viva / L’Aquila altera, ch’il Monton non schiva.20 AMOREVOLI FAUTRICI DELL’ANTICA CONTRADA L’inventione più apprezzata, invece, fu DEL MONTONE quella realizzata dalla Contrada del Drago

18 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste sissime gentildonne senesi Amorevoli Fautrici dell’antica etc.”, op. cit., cc. 34-35v. Si noti come il corteo durasse Contrada del Montone”, incipit “Donne, ne’ cui begli occhi molto, tanto che i cavalli erano costretti ad una lunga par che splenda…”, stamp. Luca Bonetti?, Siena 1581. attesa prima della disputa del Palio: ... più d’un’hora BCS, R III 22, comp. n. 8. Reca sotto il titolo l’an- spettato havean i cavalli dell’Elefante, dell’Onda e della notazione a penna: “A di 15. Agosto 1581”. In testa Giraffa, che avevano preceduto quello del Montone l’immagine xilografi ca del montone passante. alla mossa. 20 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste 19 Montone, Contrada del, “A le bellissime, e vistuo- etc.”, op. cit., c. 35. 13 con una comparsa di fi guranti Egiziani e con una rappresentazione ispirata alle Hore onde il mondo si rinnova. Sopra il carro allegorico sta- va Cerere, la quale simboleggiava ovviamente Virginia. L’allusione più scoperta alla ragazza- fantino si coglie anche nel bel componimen- to poetico a stampa, e precisamente nell’ulti- ma delle sei stanze cantate in lode de l’honorate Donne Senesi nel Carro de l’Inventione loro.

STANZE DE LA CONTRADA DEL DRAGO, CANTATE IN LODE DE L’HONORATE DONNE SENESI, NEL CARRO DE L’INVENTIONE LORO, PRESENTATA NELL’HONORATISSIMA FESTA DELLA PRIVILEGIATA AQUILA.

IN SIENA, ALLA LOGGIA DEL PAPA. 1581.

DONNE, il cui gran valor, la cui beltade, Il Ciel lieto contempla, e ‘l mondo honora; Onde vie più d’ogn’altra nostra etade, Drago, Contrada del, “Stanze de la Contrada del Drago, Can- tate in lode de l’honorate Donne Senesi, Nel Carro de l’inventione Scarca di cure rie s’ingemma, e indora: loro”, In Siena, alla Loggia del Papa, 1581. BCS, R VIII 6, Ecco fra le Senesi alme contrade, comp. n. 7. Che ‘l nome vostro alzar braman ogn’hora; Vi s’appresenta qui del fi ero DRAGO Gli fa il suo DRAGO Salaminea scorta: La nobil più d’ogn’altra altiera imago. Quindi ogn’alma virtù prende l’esempio Di fuggire ogni via fallace, e torta; Questa i Savij d’Egitto a noi per segno Donde per honorar l’Augel di Giove, Dero, de la virtù, ch’il tutto avviva; Col suo fedel custode i passi hor muove. Ponendola in due cerchi, donde il Regno Universal, par ch’anco si descriva; E per mostrarsi in ciò più d’altri ardente, Che l’istesso ancor fa quel, ch’è sostegno Il Mondo, l’Hore. e Appol guida ancor seco, De la palla, se ben di quelli è priva; E nobil squadra di famosa gente, El DRAGON che la cinge, ancor fi gura Cui par non vidde l’Indo, il Moro, o ‘l Greco: Quella virtù, che incontra al tempo dura. Guida ancora un Destriero, havendo in mente, Che cangiandosi in quel, cercò dal cieco Queste, di cui la vista appar sì grata Furor fuggir di ch’l produsse in terra, L’HORE sono, onde il mondo si rinnova; Quando volse nomar l’Attica terra. Che lassando del Ciel l’eterna entrata Vengono in terra a far l’usata prova; E perché al corso poi sia più leggiero, E da Febo tanto è ciascuna amata, Onde trionfi di sì degna impresa, Che in mezzo ad esse, ogn’hor lieto si trova; Fa che lo guidi in questo, e in quel sentiero, Del cui grato favor CERERE lieta, Una Ministra sua di gloria accesa; Ogni necessità mortale acqueta. Per cui, spera veder il DRAGO altiero Questa, sofferto da Nettuno scempio, Tornare al REGIO CAMPO, ov’ella intesa Fuggì nel CAMPO REGIO, fatta accorta; Ai vosti honori, e dell’AQUILA ancora, Lui, come in sicuro, e altiero tempio, Fermar si brama lietamente ogn’hora.21

21 Oca, Contrada dell’, “Stanze cantate da Bellero- R III 22, comp. n. 10. Il frontespizio, tra il titolo e fonte sopra il Caval Pegaso”, “Donne lumi del ciel, del mon- la nota tipografi ca, reca la xilografi a di un bellissimo 14 do honore ...”, stamp. Luca Bonetti?, Siena 1581, BCS, drago stilizzato. Il componimento era completato da tre “Madrigali cantati in musica, sul Carro, da l’HORE” e le rime si concludevano con l’au- spicio che Virginia, defi nita ninfa fugace, potesse giungere vittoriosa in Campo Regio.

Madrigali cantati in musica, sul Carro, da l’HORE

DALLE porte del Cielo, Donde in terra spargiamo hor caldo, hor gielo; Veniam Donne con Febo a farvi honore; E la virtù ne manda, Ch’in sé comprende il tutto, e a quel comanda; Acciò l’altiera imago Accompagnam di lei, ch’è il fi ero DRAGO. Quest’all’Augel di Giove Fatta amica, a honorarlo hoggi si muove; CERER la guida ogn’hora, Ch’in Campo Regio più ch’altrui dimora, Ch’il Destrier guida al corso, Da cui sperò contra Nettun soccorso; Oca, Contrada dell’, “Stanze cantate da Bellerofonte sopra il Caval Che da la sua più cara Pegaso”, incipit “Donne lumi del Ciel, del Mondo honore ...”, stamp. Ninfa fugace a fuggir ratto impara. Luca Bonetti (?), Siena 1581. BCS, R III 22, comp. n. 10. Dunque voi DONNE altiere, Più belle assai delle superne sfere; Con un barber ch’a corrir al palio volse, Volgete i divin lumi Ch’una di vergin nome e di buon pregio Benigne a esso, et a sì chiari Numi; Lo dominassi avanti ‘l corso, e poi Che ciò sol fi a bastante Per dar grandezza a loro e gioia a noi. A far ch’ei passi a ciascun’altra innante; E quelli poscia a voi Era la gente all’uso egittiano, Volgeran sempre i doni, e i favor suoi. Vestita riccamente in bella vista: IL FINE.22 D’ermesin verde havea ‘l tergo, e ‘l seno, Pendente a mezza coscia, e qualche lista Purtroppo l’augurio non fu esaudito l’au- Scura tenea per mostrar a pieno dacia di Virginia non bastò ad assicurare la L’invention, che l’animal s’acquista; vittoria alla sua Contrada. Per maggior pompa una sbornia a traverso Ma, prima di vedere quale esito ebbe Di drappo giallo con bel modo e terso. la corsa, continuiamo a seguire la cronaca poetica della sfi lata con la descrizione della Teneva in testa questa bella gente comparsa del Drago, che precedette le schie- Morrioni bianchi ad una foggia fatti, re dell’Oca e della Lupa. Piene di gemme havute d’Oriente, Con stivaletti d’oro in piede adatti; Il Drago il quinto fu, che ben raccolse Tre drappi un sopra l’altro havea pendente Il bel consortio suo del Campo Regio, Per mantener in fra di loro i patti: Poi con tutto ‘l Trionfo si risolse Ricca d’inventione, e di livriera, Far prima mostra al Signor nostro egregio Sì come, e quanto al manifesto v’era.

22 Drago, Contrada del, “Stanze de la Contrada del nelle due pagine interne, il madrigale è nell’ultima Drago etc.”, op. cit., p. 4. La composizione ha la forma pagina. di un opuscolo di quattro pagine in 8°; le stanze sono 15 Un nobil Capitan, Tenente e Alfi ere, Hor per voi chiaro il nome lor risuona; Due Sergenti, tre Trombe e più Tamburi Poscia ch’in ogni Clima, in ogni lido, Guidavan quelli Egitij, e quelle schiere Togliete all’altre di valore il grido. Così ne’ giorni chiar, com’a li scuri; L’alto stendardo si facea vedere Per voi Apollo, e delle Muse il coro In mezzo a tutti a più onor futuri, Han lasciato di Grecia il seggio vero; D’ermesin verde, che v’era l’imago E per divin voler ne vien con loro Del fi ero aspetto, e d’or l’Egitio Drago. Il chiaro fonte, e ‘l gran Parnaso altero, E ‘l Pegaso Caval, di cui m’honoro, Il sontuoso Carro poi venia Mostran chiar che nel bel vostro Hemispero Dietro a la squadra, a più color dipinto, Vogliono il seggio poi ch’il Ciel gli chiama Che varij versi e belle historie havia Devoti a’ vostri honor, servi a la Fama. Al fatto, al modo, all’opre, et all’istinto; Guidato da chi ‘l carco prese, e in via Di Poeti è con lor chiaro drappello, Esso voltava hor qua, hor là ben spinto, Di cui furon le rime eccelse, e conte; Che sopra Cerer v’era, il Tempo, e l’Hore, Che cantato il valor di questo, e quello, E ‘l Drago d’or mostrando il suo furore. Coronati d’Allor, poggiorno al Monte; E la penna dell’OCA, illustre augello, (...) Gli tiene ornata ancor la degna fronte; Fatta la mostra a chi dava il giuditio Onde per guida sua vien questa schiera, Con gran trionfo, con gran gioia e festa, Perché veda nel Sol l’Aquila altiera. Col Corridor ch’a tutti dava inditio, Ch’il palio havesse la fantina desta; Venuto anch’è ‘l Dio lor, perché Diana Così marcati, e con saggio giuditio, Desia trovar, che seco a un parto nacque; Andorno al loco, ove la gente lesta Che la gelida sua chiara fontana Stava aspettando de la tromba il suono Scorrer fece vicin di Brenno all’acque; Per veder qual destrier fusse più buono.23 Né quel più da la suora hor s’allontana, Tanto il vostro Paese ad esso piacque; La Contrada dell’Oca, presentatasi per Anzi ha sacrato a voi la Cetra, e ‘l cuore, sesta, distribuì un elegante foglio recante DONNE, lumi del Ciel, del Mondo honore.24 stampate quattro “Stanze cantate da Bellero- fonte sopra il caval Pegaso”. L’eroe che secon- Ed ecco come Domenico Cortese de- do la mitologia greca uccise la Chimera era scrisse la comparsa dell’Oca. il personaggio principale; ma facevano parte della comparsa anche altri personaggi classi- La sesta fu, che de la Costa o fonte ci, tra i quali spiccavano Orfeo, Apollo e le Uscisse fuore oltre il farsi bramare, Baccanti, oltre a celebri fi losofi e poeti. L’Oca, ch’altiera tien in bianca fronte La gran corona d’or che suol portare, STANZE Che come militanti e voglie pronte CANTATE DA BELLEROFONTE A uso di far guerra erano al pare. SOPRA IL CAVAL PEGASO Bellerofonte poi cantava il fatto Sopra del Pegaso la historia el patto. DONNE lumi del Ciel, del Mondo honore, A cui fan le virtù nobil corona; Presso a costui veniva o fusse Orfeo Il vostro alto saver, l’alto valore Con lira in mano, o pure Apollo fusse, A degne imprese ogni vil’alma sprona; Qual fi ngea de le Donne il reo Eran l’Arbia, e l’Ombron colmi d’horrore; Baccanti ebrie, ch’a mort’il condusse,

23 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste 24 Oca, Contrada dell’, “Stanze cantate da Belle- etc.”, op. cit., cc. 35’-37. Abbiamo omesso le rime della rofonte sopra il Caval Pegaso”, incipit “Donne lumi del stanza in cui si narra che al Drago toccò in sorte la Ciel, del Mondo honore ...”, stamp. Luca Bonetti?, Siena 16 borsa con il denaro per riscatto di due prigioni. 1581. BCS, R III 22, comp. n. 10. O a le tessalich’onde che li feo Daphne a Apollo, che ivi la ridusse, O simil altra imaginabil cosa, Che si dimostri per miracolosa.

V’era molti fi losofi e poeti Con varie cose e di più sorte genti, I quai stavon appresso attenti e queti, Mostrando haver al ciel gli animi intenti Per veder caminar tutti i Pianeti, E chi d’amor gl’affanni, e chi i contenti, Con un gran monte e con acqua versare L’Aquila al fi ne, e le Muse cantare.

L’insegna stava in mezzo, e ben tenuta Era da quel che la portava in mano Con braccio forte, et con la vista acuta Per riguardarla d’ogn’atto villano; Ma perché fosse da ciascun temuta, La fi era faccia mai volgeva in vano: Et hor da l’una, et hor da l’altra banda Cercava dar l’honor a Fonte Blanda.25 Lupa, Contrada della, “La saggia e giusta Nemesi. A le belle Dopo aver sfi lato con la comparsa dinan- virtuose & honorate donne senesi”, incipit “Questi miei devoti, humili, e cari...”, stamp. Luca Bonetti (?), Siena 1581. BCS, R zi ai Giudici e segnato il fantino (marcato il III 22, comp. n. 9. putto, dice il Cortese), gli Ocaioli strana- mente si rifi utarono di condurre alla mossa il loro barbero. Insorse tra i rappresentanti tirato da due destrieri stava Apollo, che ave- delle Contrade un’accesa polemica, fi nché, va accanto a sé una lupa in carne ed ossa. avendo il governatore Federigo Barbolani Precedevano il carro uno stuolo di indovini minacciato i responsabili di Fontebranda, e l’alfi ere con l’insegna della Contrada. avvertendoli che mandassin il Barber, ch’altri- menti / Darebbe il corso e ne sarien dolenti, an- Una nuvola fi nsero nel mezzo che il cavallo dell’Oca fu schierato insieme De la livriera, che sopra vi stava agli altri.26 Una Donna, ch’assisa al caldo e al razzo Sopr’una mezza ruota cavalcava, Settima ed ultima a sfi lare fu la Contrada Mostrando non curar del volgo il lezzo, della Lupa, la quale si presentò con faccia alle- Né quanto che nel mondo dimorava; gra, con trionfo e gioia, / Senza aspettar l’inviti e Col Capitan Tenente a fi la imprima, le micine, / E per non dar col suo tardar più noia. L’Alfi er, Sergente, che l’honor buon stima. I fi guranti di Vallerozzi eron vestiti a fogge va- riate / A lor capricci, et honorati assai... Princi- Nemesi Dea de lo sdegno, ch’alberga pale personaggio dell’invenzione fu Neme- Quello ch’a torto alcun fatto riceve, si, la dea della vendetta, a simboleggiare i Che poscia in casto petto se lo verga propositi di rivincita e di rivalsa della Con- A lettere scolpite e parlar breve, trada, che una settimana e mezzo avanti, in Acciò ch’il turbo Lethe lo sommerga occasione del Palio rionale dell’Elefante, era Chi varca quello ch’in tal torto s’aggreve, stata scorrettamente ostacolata e privata di Ch’havendo inteso de la Lupa il duolo, una possibile vittoria.27 Sul carro allegorico La mezza ruota la dispone a volo.

25 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste tese in tre stanze, ma in modo poco chiaro. etc.”, op. cit., cc. 40v-41r. 27 Cfr. 1581, 6 agosto. 26 Ibidem. cc. 41’-42. L’episodio, è riferito dal Cor- 17 L’insegna si vedeva sventillando In mezzo a tutti, e dietro a lei seguia Quelli che dicon del futuro il quando, Di noi il bene, e ‘l mal con la bugia (...).

Dietro costor un carro conducea Di bella vista e molto ben composto, Da due destrier tirato, e sopra havea La Lupa viva et uno Apollo accosto, Che col suon dolce e canto egli sponea Quanto dal Manifesto gli fu mostro. Non dico il canto suo, e non l’intesi, Perché lontano io ero e nol compresi.28

Anche il componimento poetico dei Lu- paioli testimoniò al pubblico ed ai Giudici della Festa i loro propositi di rivincita: le quattro stanze recavano infatti il signifi ca- tivo titolo: “La saggia, e giusta Nemesi”. La composizione, che il Cortese confessa di Anonimo, “Stanze in lode della fanciulletta, nominata Virginia, non aver ben udito cantare, fu dedicata agli corridrice sopra il barbaro della contrada del Drago, al Palio propo- Aquilini, chiamati Figli dell’Augel di Giove, e sto da i signori dell’Aquila, il di 15 d’Agosto 1581 composte da una donna”, stamp. In Siena, alla Loggia del Papa, 1581. Sta in: - come prescriveva la cortese tradizione del “Poesie senesi del 1500”, BCS, R VIII 6, comp. n. 9. tempo - a le Belle, Virtuose, et Honorate Donne Senesi. Lungo il bordo decorativo il foglietto recava inciso il logo della Lupa con i Ge- Ch’Atene il diede ad esso; ambi eminenti, melli. In bel pregiato seggio, a cui davanti Stansi di voi, le nove MUSE amanti. LA SAGGIA, E GIUSTA NEMESI. A LE BELLE, VIRTUOSE, ET HONORATE Nacque Apollo Signor d’Atene, e Delo; DONNE SENESI. (S’al principio di lui s’aspira ancora) Di Latona; che in Lupa, al bigio pelo, QUESTI miei devoti, humili, e cari, Et a l’apparsa forma era di fuora DONNE, ch’l minor vostro lampo è un sole; Egli veloce ruota, e scorre il Cielo, Sciogli benigna, i giusti detti, e chiari, E ‘l gelato Titon toglie a l’Aurora; Qual madre accorta, a dolce, amata prole; Così da luce al mondo; ma s’accorge, E dissi: Deh non siate hor punto avari, Che più chiara da bei vostri occhi sorge. In bell’opre d’honore, et in parole: Che gli alti Figli de l’Augel di Giove, Hor che questi l’oggetto proprio han dato, Braman veder di voi vaghezze nuove. Ai fi gli amati de l’Augel Reale; E ‘l vostro maggior lume, alto, e pregiato, Essi s’accinser tosto a l’opre, e diero; Ardendo dolcemente il cor gl’assale; Per far le voglie loro honeste ardenti: Hor che gli scherza Amor benigno a lato, Onde hor gl’invio con giusto, e con severo E molce il foco al ventillar de l’ale. Ateniese aspetto, a voi presenti; Degnisi dunque d’aggradirgli, dove, Apollo il vago v’è, col LUPO fi ero, E come giusti, il giusto detta, e muove.29

28 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste sti miei devoti, humili, e cari...”, stamp. Luca Bonetti?, etc.”, op. cit., cc. 43rv-44. Siena 1581. BCS, R III 22, comp. n. 9. In testa l’im- 29 Lupa, Contrada della, “La saggia e giusta Nemesi. magine xilografi ca di Ascanio e Senio allattati dalla 18 A le belle virtuose & honorate donne senesi”, incipit “Que- lupa, emblema della Contrada. Al termine della sfi lata di tutte e sette le Dir più, ch’il gener nostro humile, e vile, comparse fu decisa l’attribuzione dei premi: Et solo il lor, sia generoso altero? il Valdimontone ebbe il masgalano, del va- Et di forte virtù, sol huom gentile lore di 20 scudi; il Drago, avendo presentato Scuopra, non giamai donna il raggio vero: la più originale invenzione, vinse la collana Et se in prodezze par ch’ella s’avanzi, del valore di 40 scudi, a cui poté aggiunge- Ch’ombre sian tutte, et fole di Romanzi. re anche la borsa per il riscatto de’ prigioni; all’Oca e alla Lupa toccarono in sorte le doti Poi ch’oggi da Cappanne, et colli, et prati, per dar marito a due fanciulle.30 Lungi da le Città, da le castella; Di beltà honesta, et di costumi ornati, Poi, fi nalmente, fu corso il Palio. Pronta, sicura, accorta PASTORELLA; La gara fu seguita da tantissimo pubbli- A par di Cavalieri usi et pregiati, co, caldo ed appassionato. Ripiene si trova- Fa di sé non usata mostra, et bella; von di persone / Finestre e loggie e palchi fatti in Sopra Corsier d’ogni altro il più feroce, via / Da la porta Romana a Cattedrale - rac- Così come è d’ogni altro il più veloce. conta il Cortese -, ma la maggior parte degli spettatori e dei contradaioli si accalcò per la Di lei l’audaci prove, non già intese strada.31 La mossa fu data con grida furibonde Da rozzi ingegni furo, o in selve folte; e il suon di trombe. Virginia, nel Drago, partì Ma la’ue (sic) d’Arbia, a l’honorate imprese, in testa, però alla fi ne la spuntò il putto della D’Etruria, eran le nobil genti accolte: Contrada dell’ONDA, anche perché fur fatti Non men per veder Questa tutte accese, molti oltraggi e male agguati / Al barber del Dra- Con l’alme di tutt’altre cure sciolte; gone e a chi su v’era.32 Che le feste magnanime, et gli honori, Per gli ammiratori della ragazza-fantino Non più visti, con forti Corridori. la sconfi tta di Virginia rappresentò una co- cente delusione! Tal fu dell’ardir suo, del senno il saggio, Ch’almo diletto in un porse, et stupore: Tuttavia, un’anonima poetessa ritenne Maggior non si potea mostrar coraggio opportuno esaltare ugualmente l’impresa Di Lei; destrezza, né mostra maggiore: dell’intrepida pastorella, giudicandola di Non diè già de la stirpe humil presaggio, poema degnissima e d’historia per aver consen- Ma de l’antico, alto femineo ardore; tito di dimostrare che le capacità femminili Bradamante cittella, né Marfi sa, possono essere a quel dell’huom conforme. Le Poter di Lei mostrarsi in altra guisa. “Stanze in lode della fanciulletta nominata Virgi- nia, corridrice sopra il Barbaro della Contrada del Come gli occhi in Lei sola, fi si, e intenti Drago” furono stampate Alla Loggia del Papa. Fur de la moltitudine infi nita; Così havean tutti i cuori anco, et le menti STANZE (Tanto la sua virtute era gradita) IN LODE DELLA FANCIULLETTA, Rivolte al Ciel, con caldi preghi, ardenti; NOMINATA VIRGINIA; Perché salva rendesse a Lei la vita; CORRIDRICE SOPRA IL BARBARO Et nel corso portando al fi n vittoria, DELLA CONTRADA N’allegrasse di tal novella gloria. DEL DRAGO, AL PALIO PROPOSTO DA I SIGNORI DELL’AQUILA; Et se malvagia mano, o chi contrasta IL DÌ 15. D’A GOSTO 1581. Volentier d’alte imprese, al gran desire; COMPOSTE DA UNA DONNA Ch’a lo spiegato drappo d’oro in hasta, Et aggiugnesse, non volle assentire; CHI ardito sia, di quel sesso virile, Il vanto a Lei, pur a Lei ‘l premio basta; Al donnesco inimico, invido fi ero, Ch’a Lei doversi ognun sente ognor dire;

30 D. Cortese, “Trattato etc.”, op. cit., c. 45v. 32 Ibidem, c. 45. 31 Ibidem, c. 44. 19 Altro perciò l’Honor, non è il talento, L’Onda con l’alta boria et infi nita Che d’altrui merto, bel consentimento. Sel portò lieto in Santo Salvatore; E la collana si portò pulita Ma ‘l giuditio d’Huom solo illustre, e chiaro, Il Drago a San Domenico a honore; Provi ciò a pieno, ai grossi ingegni, e loschi; E ‘l bel dorato e d’argento Tazzone Di quello; il cui Governo via più chiaro Com’ho già detto al Ponte ov’è il Montone. Rende l’Imper del Gran DUCE de’ Toschi; Che veduto il gran pregio, et così raro, Ciascun con Torchi accesi, et alti gridi, D’esta Vergin nudrita in aspri boschi, E con tuon di Tamburi e suon di Trombe, Sopra Destriero ad ogni prova buono, Ch’al ciel andavan le voci e li stridi, D’eccellente Destrier le fece dono. Che per quel su nel ciel l’aer rimbomba. Poi fatto festa ciaschuno a suoi nidi, Non ha dunque Natura a noi negato Chi qua, chi là, ch’in alto, e ch’in la tomba, Virtù, né possa mai, DONNE leggiadre; Ch’havendo Febo al giorno dato tondo Onde il maschio valor sia pareggiato, Il tutto si fermò come fe’ il bando. Anzi rese sue luci, et brevi, et adre: Stando d’ardire il cuor di ferro armato Il sedici, che poi venne quel Santo Il petto, a piedi, hor fu cavalli in squadre: Ch’è sopra il pidicello avvelenato, S’è il poter nostro a quel de l’huom conforme, Il Drago radunò col suo bel vanto I suoi a livriera, el suo Barber pregiato Perché lo spirto nostro otioso hor dorme? Con la fi glia che sopra vi ste’ tanto, IL FINE.33 Che giunse a dove il corso li fu dato, Andò per Siena con li usati suoni Dunque il tentativo di Virginia di portare Per impetrar per lei denari e doni. in Camporegio lo spiegato drappo d’oro in ha- sta fallì: una malvagia mano, o chi contrasta / Fece cavar come fu ordinato Volentier d’alte imprese - come ebbe a scrivere Li due prigioni e seco li menava l’anonima poetessa - le negò questa esaltan- Avanti a loro, e ‘l carro anco menato 34 te possibilità. Hebber con tutto quel che si mostrava; Tuttavia in Camporegio non si dramma- Ma come fu la sera il sol calato, tizzò ed il giorno seguente Virginia Tacci fu Le tre Contrade ognuna preparava condotta a far mance per la città (Per impe- Di fare allegramente e feste e fuochi, trar per lei denari e doni) come si usava per i Con balli in varij modi, e veglie e giuochi. fantini vincitori. Addirittura il Drago parte- cipò alle trionfali manifestazioni del dopo- E passò il terzo dì che fu fi nita corsa insieme all’Onda ed al Montone. La festa di Maria a honor di Dio, Il “Trattato” poetico del Cortese si con- Che fatto notte con gioia infi nita, clude proprio con il racconto degli ultimi Con la licenza del nostro Signor pio giorni di esaltazione paliesca vissuti dalla L’Onda la notte a l’uso suo pulita città. Con molti torchi accesi e bello avvio Andò per Siena, e la mostra facendo Finito il corso, e la festa fi nita, Del palio d’oro, e la livriera havendo. Fu dato il palio d’oro al corridore;

33 Anonimo, “Stanze in lode della fanciulletta, nomi- questo Palio fu la ragazza-fantino del Drago. Si veda: nata Virginia, corridrice sopra il barbaro della contrada del G. Valsecchi, “Le Contrade di Siena”, ed. A. Forni, Drago, al Palio proposto da i signori dell’Aquila, il di 15 Bologna 1975, p. 29 (rist. anastatica della Ia edizio- d’Agosto 1581 composte da una donna”, stamp. In Sie- ne, Orvieto 1889), e soprattutto C. Marzocchi, “Nel na, alla Loggia del Papa, 1581. Sta in: “Poesie senesi del secolo XVI la fanciulla Virginia nella Piazza del Campo 1500”, BCS, R VIII 6, comp. n. 9. di Siena (sic) giostrando con grande maestria riportava la 34 E’ da notare come molti autori di storie pa- vittoria di un Palio sul Cavallo della Contrada del Dra- liesche, distratti dalla singolare impresa di Virginia, go”, (Pro Casamicciola), Stab. tip. C. Nava, Siena 20 abbiano erroneamente scritto che la vincitrice di 1883. Volsen di più per maggior gioia ancora, Federigo Barbolani volle testimoniare Per non lasciarsi da niun’ suprare, personalmente tutta la sua ammirazione Far più trionfi da quel punto e l’hora alla villanella del Palio, donandole un bel Ch’ebbeno il palio due giorni guardare, cavallo. Il Conte di Montauto preferì tacere Poi che ciascun per quel si mostra e indora, questo particolare al Serguidi; ma in Siena E com’il sol ciascun lucer li pare, la cosa fu risaputa, perché l’anonima poetes- Feron di nuovo i fuochi e canti e feste sa, autrice delle “Stanze in lode della fanciul- Da non creder, e pur son manifeste.35 letta nominata Virginia” poté scrivere che il Governatore veduto il gran pregio, e così raro, Esiste anche un’altra testimonianza su / D’esta Vergin nudrita in aspri boschi, / Sopra questo Palio: una seconda lettera del Go- Destriero ad ogni prova buono, / D’eccellente De- vernatore di Siena, che, a festa ultimata, si strier le fece dono.37 affrettò a scrivere al cancelliere granducale Serguidi per fargli un doveroso resoconto e Anche il Cortese, dopo aver dedicato al- tranquillizzarlo così sull’esito della manife- cune stanze “In lode di Virgina Tacci Corsiera stazione. al Palio di Giove per il Drago”, concluse il suo “Trattato” accennando al cavallo donato dal Illustre Signor mio osservandissimo. Governatore Barbolani alla bella Corsiera. Si celebrò ieri sera la solennità della festa, si corse il Palio e per grazia di Dio passò il solleone, ... Quell’alto Sir de’ Conti tutto senza un minimo dispiacere o disturbo, e con Di Monte Auto, saggio almo e sincero, quella quiete et onorevolezza si può desiderare, Ch’affi n’ ch’i suoi valor sien scritti o conti, non solo fra tutti gli altri, ma ancora infra le sette Alla Corsiera diede un bel Corsiero, Contrade uscite con bellissime livree per il paese a Che col veloce corso passa i monti, honorare la festa con tanti altri barbari. Avanti Guarnito come il dono e di pel nero, al corso, dalli otto Signori della festa si trasse a Per ingrandirla e darle aiuto e saggio, sorte il cavare il prigione dalle carceri, pagandoli Che doppo il bell’April poi segue il Maggio.38 esse le loro condannationi; che tal sorte toccò alla Contrada detta del Drago, nel cui barbaro corse Resta da dire che il 15 febbraio 1583 la villanella che scrissi. E similmente a sorte il dar (MDLXXXII, secondo il calendario senese) la dote a dua fanciulle de 30 fi orini per ciascuna, il drappellone vinto dalla Contrada di Mal- una alla Contrada dell’Oca e l’altra alla Lupa. borghetto fu dato in pegno ad un certo Fer- Di poi alla più bella inventione una collana de rante detto “El Napoli”. Questi aveva presta- scudi 40 o più per sententia data alla Contrada to all’Onda 40 scudi d’oro per rimborsare del Drago antedetto, et il premio de circa 20 scudi l’ondaiolo Pietro del Chinea dei soldi amo- fu porto alla Contrada del Montone, et ultima- revolmente anticipati alla Contrada per met- mente il palio a quella dell’Onda; siben da tutti terla in condizione di fi gurare degnamente a li più desiderato alla villanella antedetta. Di alla festa dell’Aquila. Ecco quanto sta scritto che mancò poco l’effetto, poiché fu la terza siben a c. 11’ del “Libro III C” di deliberazioni e prima molto spatio del corso. Però non le man- memorie altre volte citato: charono de altre bone sorte, essendo ammirata da molti per la sua leggiadria e massime da me, che MDLXXXII. non ho altro per hora da dire a Vostra Signoria. Congregata la honorata nostra Contrada al Di Siena, lì 16 d’Agosto 1581. luogo solito e numero a sufi centia, el molto R.do Di V.S. Ill.ma Servitore obbligatissimo messer Filipo Macarelli, degnissimo nostro Padri- Federigo delli Conti da Montauto.36 no, fece proposta che ateso che Pietro del Chinea

35 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste etc. Composto da una Donna”, op. cit. p. 4. etc.”, op. cit., cc. 46-47. 38 D. Cortese, “Trattato sopra le belle e sontuose Feste 36 G. Carnesecchi, “La villanella al Palio”, op. cit., etc.”, op. cit., c. 39. sta in: “Miscellanea Storica Senese”, anno 1894, n. 5. p.75. 39 Onda, Contrada dell’, “Libro III C di deliberazio- 37 “Stanze in lode della fanciulletta nominata Virginia ni e memorie”, AC On. 1, c. 11v. 21 et hogi suo erede desiderano esser rintegrati di Sc. nel modo che da n.ra Contrada avevano riceuta 40 d’oro quali così amorevolmente prestorno alla a Ferante sudetto con la condicione come di sopra nostra Contrada, ne suoi bisogni, sopra un palio nella deliberatione è detta. di brocato auto, e meritato per corso di barbaro E per promessa di mantenimento e restitutio- dalla Honoratissima Contrada del Aquila, et at- ne di detto palio come sopra promesserno volonta- teso che Ferando detto el Napoli (...) si era offerto riamente li sotto nominati: prestar detta somma di Sc. 40 a la Contrada, si El Molto Rev.do messer Filippo Macarelli. desse detto palio nelle mani a detto Ferrante et luj Messer Fran.co di Martino detto Picerilo ten- contar li Sc. 40 a suddetto erede, et il K° nostro tore. li devi far a libro della Contrada debitor di detto M° Agostino Moriconi. palio e creditor di detti Sc. 40, con promessa che M° Silvio di (...) sarto.39 detto Napoli tuttora che li fussi resi li Sc. 40 fusse obbligato render detto palio in fatto in mano al Probabilmente l’Onda si disfece defi ni- nostro K° nel modo et condicione che oggi se li dà tivamente del suo bel palio di broccato nel del quale non se ne possi dispor in modo alcuno 1590, quando dovette pagare un fornaciaio senza deliberatione di tutta la Contrada e partico- che aveva fornito alla Contrada del materiale larmente di quelli che daranno aiuto per la riscos- per la fabbrica dell’oratorio. Nel “Libro III C” sione di esso, dovendosi notar i medesimi da detto si trova annotato che il 3 giugno 1590 l’Onda K° nel suddetto libro. aveva deliberato di vendere alcuni oggetti di El medesimo consiglio fu dal Molto Mag.co sua proprietà, e tra essi una tazza d’argento e messer Crescentio Turamini raffermo. fodera di palio a fregio con tutte le sue guarnizioni Et mandato a partito si vense per lupini 25 e perle che in esso fregio sono.40 Da un inventa- tutti Bianchi. rio del 2 luglio 1592, fatto a ricordo di tutte le Et el tutto di sopra detto fu il dì 15 di Ferraio Robbe della Contrada dell’Onda, risulta che del 1582 [1583]. drappellone vinto nell’agosto 1581 erano ri- Ricordo come el suddetto palio fu da Benar- masti alla Contrada soltanto parte della fode- dino e Gio. Battista di Pietro Catani consignato, ra di taffetà cremisi e l’asta grande depenta rossa e detto palio con fodera di tafetà (...) asta et Aquila, gialla con un’Aquila di gartone.41

40 Onda, “Libro III C” cit., c. 14’. Cfr. anche: v. ciuoli, Siena 1973. vol. I, p. 95. 22 Grassi, “Le Contrade di Siena e le loro feste”, ed U. Peric- 41 Onda, “Libro III C” cit., c. 212. Opere inedite o poco conosciute di Alessandro Maffei Un nuovo contributo al catalogo del vedutista senese

Alessandro Maffei (Siena 1790 c.a – In pittura eseguì diversi affreschi in pa- 1859), fi glio e fratello d’arte, fi n da giovane lazzi senesi e in ville del territorio, tra i aveva mostrato non comuni capacità pitto- quali sono da ricordare i dipinti decorativi riche, che gli permisero di affermarsi tra i eseguiti intorno al 1840 nell’allora Palazzo principali artisti toscani nei decenni centrali Reale, in piazza del Duomo, che gli valsero del XIX secolo. l’apprezzamento del granduca Leopoldo II Fu uno dei primi iscritti alla neonata e quindi l’importante incarico nell’istituto Accademia Senese di Belle Arti e proprio fi orentino. In grafi ca realizzò disegni e in- in questo ambito scolastico tenne la cat- cisioni destinati a sottolinearne la spiccata tedra di Ornato dal 1839 al 1848, quando personalità di vedutista: originale nella ma- fu chiamato ad insegnare la stessa materia niera, ma attento a dare un’illustrazione nella rinomata e più celebre Accademia fi o- nitida e luminosa della realtà paesaggistica rentina. ritratta.

A. Maffei, Le logge della Mercanzia (Siena, coll. di A. Amidei). 23 Il gusto del particolare e la cura della de- sottile ma nitido dettaglio del campanile del corazione rappresentarono sempre un mo- Duomo sullo sfondo. L’opera, che è fi rmata tivo dominante di una produzione artistica in basso a destra e misura 24x30 cm., rifl et- svincolata da schemi accademici di maniera te pienamente la maniera del Maffei nella e caratterizzata da velate suggestioni roman- minuziosa animazione della scena, tuttavia tiche, che l’autore interpretava attraverso un dominata dall’armoniosa, policroma par- realismo tenue e quasi sognante titura del loggiato e dei palazzi circostanti: Certamente Maffei avrebbe meritato veri protagonisti di una visione di notevole maggiori attenzioni critiche, volte anche a vivacità fi gurativa. delineare un repertorio esauriente delle sue La seconda opera che si presenta, un numerose opere, sia pittoriche che grafi che. olio su tela di 46x62 cm., raffi gura la chiesa Qualcosa è stato detto da chi scrive questa di Montepulciano dedicata a Santa Agnese, nota, sia pur limitatamente alle incisioni di protettrice della città, e l’annesso convento vedute senesi: una sezione particolare del- in una complessa scenografi a movimentata la sua produzione artistica che lo porta ad da vari personaggi: gentiluomini a cavallo, occupare un ruolo non secondario tra i più viaggiatori in una sorta di omnibus trainato apprezzati vedutisti del tempo e non solo in da buoi, contadini e fraticelli. Il dipinto, di Toscana. chiaro gusto romantico, va ricollegato ad L’acquarello che si presenta, assoluta- un delizioso croquis: suo disegno preparato- mente inedito e sconosciuto fi no a quando rio o da esso direttamente derivato, datato è stato inserito nella collezione di Alessan- 1854. dro Amidei, raffi gura le Logge della Mer- Entrambi i soggetti, quello grafi co e canzia in primo piano, quindi gli edifi ci quello pittorico, sono stati pubblicati sul dell’Accademia dei Rozzi - non ancora uni- bel volume edito nel 2002 dalla Soc. Storica formati nel defi nitivo assetto architettonico Poliziana, a cura di Mario Morganti, Monte- di fi ne Ottocento - in contrapposizione e il pulciano - Immagini tra Arte e Storia, ma non

24 A. Maffei, La chiesa e il convento di S. Agnese a Montepulciano (Montepulciano, Palazzo Contucci). sono mai stati studiati, risultando pertanto quale dipinge l’arrivo degli esuli senesi con di autore sconosciuto. una fedele panoramica della città dominata Tuttavia, anche ad una prima, rapida os- dall’antica rocca. servazione del quadro, risaltano chiari ele- Tornando alla veduta della chiesa poli- menti di dettaglio che rivelano l’inconfon- ziana, va sottolineata sia la precisione ico- dibile maniera, agile e minuziosa, di Ales- nografi ca del rilievo, che ne attesta l’esecu- sandro Maffei. Dell’artista è infatti nota una zione dal vero dopo attenti studi preparatori ragguardevole produzione di vedute cittadi- - tra questi probabilmente va posto il citato ne, prevalentemente riferite a scorci senesi: disegno –, sia la felice ideazione della quinta oltre alla prima opera presentata, devono pittorica, che sfuma nell’ariosa ma realisti- infatti essere citati alcuni stupendi acquerel- ca raffi gurazione della val di Chiana e del li e olii custoditi nella raccolta della Fonda- lago Trasimeno, prossimo ormai alla linea zione del Monte dei Paschi e tre importanti dell’orizzonte. litografi e, nelle quali opere gli apparati di Il dipinto, che appartiene alla quadreria animazione sono realizzati con fi gurine vi- della famiglia Contucci ed il disegno del- vaci e minute come quelle che osserviamo la collezione di Mario Morganti sono sta- nella veduta poliziana. Identica è la foggia ti recentemente esposti ad una pregevole e dei cappelli; del tutto simili la gestualità e la ammiratissima esposizione dei più antichi postura delle persone; immancabile il cane volumi sulle Sante Caterina e Agnese, I di taglia piccola, che ritroviamo perfi no in caratteri di Caterina, organizzata dalla Soc. una suggestiva veduta dell’interno della cat- Bibliografi ca Toscana a Montepulciano e tedrale di Siena. Pienza per celebrare i 550 anni dalla data Inoltre sappiamo che Maffei non di- della canonizzazione della mistica senese ad sdegnava di operare sul territorio, avendo opera di Pio II. realizzato la decorazione del sipario per Un secondo quadro a olio con una vedu- il teatro degli Astrusi, di Montalcino, sul ta di Montepulciano ripresa dalla piazza di

A. Maffei, Veduta di Montepulciano dalla chiesa di S. Agnese (coll. privata). 25 S. Agnese in una prospettiva diametralmen- gia di ogni particolare architettonico ritrat- te opposta a quella del precedente soggetto, to, oltre che con assoluta fedeltà al reale. non può non essere ad esso accostato, pre- È diffi cile dire quale sia l’archetipo e quale sentando tutti i requisiti propri della veduti- la copia, anche perchè recenti studi su docu- stica maffeiana. Risaltano, infatti, la fedeltà menti archivistici svolti da Gianni Mazzoni all’esistente del rilievo, una stesura agile ed hanno evidenziato una consistente attività effi cace dei colori e la chiara luminosità del- di vedutista svolta dal Maffei su commis- la composizione, dove la scena appare indo- sione di ricchi stranieri, specialmente an- rata dal primo sole della mattina. Nonostan- glosassoni, in visita alla città: protagonisti te le minori dimensioni (25x35 cm.), anche del Grand Tour che, colpiti dalla bellezza in questo caso compaiono i soliti personaggi dei monumenti senesi, ne compravano vo- di animazione: signori in tuba, contadinelle lentieri una rappresentazione, sia di caratte- e gli immancabili cani. Si conoscono pure re grafi co - facilmente reperibile grazie alla alcuni disegni a matita su carta, sempre rela- produzione di libri illustrati e di incisioni a tivi a scorci poliziani e sempre riferibili alla stampa -, sia di carattere pittorico - che veni- mano dell’artista, probabili lavori preparato- va commissionata di volta in volta all’autore ri per altre opere pittoriche, olii o acquerelli prescelto dall’acquirente-. Proprio in questo che purtroppo non è stato possibile indivi- particolare ambito iconografi co l’opera del duare. Maffei fu assai apprezzata e assai richiesta, e la conseguente dispersione fuori d’Italia di molte sue vedute ne rende oggi problemati- ca una classifi cazione esauriente sotto il pro- fi lo numerico e ne condiziona il commento critico. Resta comunque la forte analogia delle due vedute del Duomo, entrambe capaci di esaltare la sensibilità vedutistica dell’au- tore, che nella litografi a, come nell’acque- rello, crea atmosfere di soffusa luminosità ed esprime una originalità che non lede, nè ridimensiona la chiarezza descrittiva della composizione. Solo l’apparato d’animazio- A. Maffei, Veduta della cattedrale di Siena (coll. privata). ne, interpretato dalle solite fi gurine sottili e felicemente caratterizzate, con l’immancabi- Segnaliamo, infi ne, una quarta opera pit- le cagnolino nell’acquerello, offre sostanzia- torica di Alessandro Maffei, un acquerello li differenze d’impostazione. fi rmato dall’autore con un altro soggetto Battuto all’asta in un paese straniero, il iconografi co a lui assai caro: la facciata della dipinto è andato a far parte di una collezio- cattedrale senese con l’apertura della piazza ne privata. fi no alla sua quinta naturale delle logge del E. P. Duomo nuovo. Conosciamo infatti altre repliche della veduta, seppure riprese con angolature pro- spettiche diverse, ben note agli studiosi di arte senese del XIX secolo (vedi R. Barzan- ti, A. Cornice, E. Pellegrini, Iconografi a di La redazione ringrazia il dott. Senio Sen- Siena, Città di Castello, 2006, passim), ma si per la cortese segnalazione dell’acquerello con è soprattutto una rarissima litografi a, fi r- la veduta della loggia della Mercanzia e l’arch. mata dal Maffei e riferibile agli anni Qua- Riccardo Pizzinelli per la segnalazione delle opere ranta del secolo, che si collega strettamente poliziane pubblicate sul volume “Montepulciano. al dipinto mostrando un rilievo proposto Immagini tra arte e storia”, patrocinato dalla So- 26 da entrambe le opere nella perfetta analo- cietà storica Poliziana. I marchesi Leopoldo Feroni e Caterina Gori Pannilini, signori e mecenati di nell’Ottocento di Silvia Colucci*

Assieme alla cura della vetusta abbazia Della fortuna della famiglia Feroni, di San Galgano presso Chiusdino, anche originaria di Empoli, era stato artefi ce il il castello medievale di Frosini divenne, tintore Francesco di Baldo, arricchitosi alla fi ne del Settecento, proprietà di un come mercante e banchiere ad Amsterdam; prelato appartenente ad un illustre casato per i servigi resi al Granducato, nel 1681 fi orentino: il cardinale Giuseppe Maria costui fu investito del titolo marchionale Feroni, ultimo abate commendatario ottenendo in feudo la tenuta di Bellavista perpetuo del tempio cistercense. Nei primi nella Valdinievole. Si deve forse a Francesco decenni del secolo successivo i suoi eredi, la formazione del primo nucleo della ovvero il marchese Leopoldo Feroni (1773- quadreria di famiglia, che annovera, non a 1852) e la consorte senese Caterina Gori caso, numerosi dipinti di scuola nordica, Pannilini († 1865), trasformarono il castello verosimilmente acquistati nel corso del suo nella residenza di campagna di famiglia, soggiorno nelle Fiandre. Nel 1788, alla morte apportando consistenti modifi cazioni al del marchese Giuseppe Francesco Feroni, suo assetto architettonico e al suo apparato l’ormai cospicua raccolta venne smembrata decorativo. fra i tre fi gli Fabio, Ubaldo Francesco e appunto Leopoldo, il quale lasciò poi per testamento la sua parte alla città di Firenze (ora agli Uffi zi). È presumibile che Leopoldo, amante delle belle arti e delle lettere e fi ne mecenate, abbia contribuito - sia pur modestamente - ad arricchire la quadreria ereditata assecondando il proprio orientamento estetico. Il suo gusto appare caratterizzato dalla predilezione per certo classicismo, incarnato da opere nelle quali prevalgono “principi di decoro, compostezza, simmetria e astrazione formale di ascendenza raffaellesca”. Offrono, a tal proposito, una vivida testimonianza delle sue preferenze in campo artistico proprio le commissioni effettuate per la tenuta di Frosini in qualità di proprietario e mecenate, sulle quali sarà opportuno indugiare. All’aprirsi dell’Ottocento nel borgo si trovava soltanto la pieve romanica di S. Michele Arcangelo, ubicata alle propaggini Caterina Gori Feroni, Autoritratto, olio su tela, prima metà del XIX sec. (Siena, Santa Maria della Scala, sede storica della dell’abitato, attigua ad un’area cimiteriale; Società di Esecutori di Pie Disposizioni). inoltre, nel castello esisteva la piccola 27 cappella di S. Galgano, che costituiva una san Galgano e l’episodio evangelico del Sinite succursale della pieve parrocchiale di S. parvulos, al rinomato pittore neoclassicista Maria a Monti di Malcavolo, podere non Pietro Benvenuti. È, in particolare, il distante da Frosini. Il marchese Feroni secondo dipinto a rivelare appieno quegli assunse l’iniziativa di erigere alle pendici ideali di compostezza, decoro ed equilibrio del castello una nuova chiesa battesimale della composizione che costituiscono la in sostituzione della cappella di S. Galgano cifra dell’arte del Benvenuti, e che devono e di farvi traslare il titolo parrocchiale della aver conquistato il favore del Feroni. Giova, modesta pieve di Malcavolo. peraltro, rammentare che il pittore replicò Il progetto della chiesa della Madonna in questo quadro la composizione adottata del Buon Consiglio, eretta negli anni venti- per lo stesso soggetto in una tela destinata trenta dell’Ottocento in sobrie ma elegan- al Granduca, attualmente conservata nella ti forme neoclassiche, si deve all’architetto Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. fi orentino Gaetano Baccani. La facciata in Una volta terminata la costruzione e la laterizio è scandita da quattro paraste d’or- decorazione dell’edifi cio, con atto del 9 no- dine gigante in travertino, che sostengono vembre 1841 il marchese otteneva da monsi- un timpano del medesimo materiale e in- gnor Giuseppe Gaetano Incontri, vescovo di corniciano il portale e la soprastante lunetta Volterra, la cessione del giuspatronato attivo vetrata.

Giovan Battista Canevari, Vergine del Buonconsiglio, olio su Pietro Benvenuti, La visione di San Galgano, olio su tela, 1838 tela, 1838 ca., Frosini, Chiesa della Madonna del Buon Con- ca., Frosini, Chiesa della Madonna del Buon Consiglio. siglio.

L’interno, a navata unica con tribuna ab- sulla pievania di Malcavolo per trasferirlo sidale soprelevata e volta adornata di stucchi nella nuova chiesa di Frosini. Contestual- dorati, presenta un ricco pavimento, tre alta- mente, il Feroni istituiva un’Opera preposta ri, un fonte battesimale e altri arredi in mar- alla gestione del patrimonio e degli obblighi mi policromi, che concorrono a creare un gravanti sulla chiesa e alla “custodia degli ar- complesso di notevole omogeneità stilistica. redi sacri che non occorrono nel giornaliero La tela dell’altar maggiore, avente per servizio”. soggetto la Vergine del Buonconsiglio, è riferita La cura devota e assidua che il marchese dalle laconiche fonti locali ad un non meglio Feroni riservava alla chiesa di Frosini è identifi cato Canovari o Canovai romano; si testimoniata anche da un’ultima iniziativa, tratta, con ogni probabilità, di Giovan Battista assunta all’atto di redigere le sue disposizioni Canevari (Roma 1789-1876), bel pittore testamentarie del 19 aprile 1844: “lascio membro dell’Accademia di San Luca. Ancor alla mia chiesa di Frosini un quadretto più indicativa dell’orientamento estetico del rappresentante Santa Teresa di Carlino marchese Feroni risulta la scelta di affi dare Dolci, che tengo nella mia camera, da porsi 28 le due tele laterali, raffi guranti La visione di nell’Inventario delle suppellettili spettanti a Gaetano Baccani, Chiesa della Madonna del Buon Consiglio a Frosini, terzo-quarto decennio del XIX sec.

29 detta chiesa. E semmai la suddetta signora Caterina Gori Pannilini mia consorte, a me premorisse, lascio alla predetta chiesa, anche il quadro rappresentante Sant’Antonino legato alla suddetta”. Il passo ci rivela un altro aspetto delle preferenze artistiche del marchese, l’apprezzamento per la pittura di Carlo Dolci, il maggiore maestro fi orentino del Seicento; del resto, il rigoroso ‘purismo’ fi gurativo di quel pittore, che partecipa appieno del classicismo seicentesco senza fare alcuna concessione all’estro barocco, ben si concilia con l’indole di Leopoldo. Purtroppo non è dato sapere quando tali opere abbiano fatto ingresso nella collezione, se cioè siano state da lui acquistate o semplicemente ereditate. Di sicuro la volontà del testatore fu esaudita, visto che il quadretto con la Santa Teresa pervenne alla chiesa di Frosini (dove Carlo Dolci, Santa Teresa (riproduzione fotografi ca dall’origi- già il Brogi ne registra la presenza verso il nale olio su tela), XVII sec., Frosini, Chiesa della Madonna 1864) e vi è tuttora conservato. Quanto del Buon Consiglio. al dipinto con il Sant’Antonino vescovo, la Dolci - in realtà copia da un suo prototipo -, marchesa Caterina si premurò, nel suo della quale peraltro si sono in seguito perse testamento olografo del 19 gennaio 1864, le tracce. di assecondare e ribadire la volontà del La fi gura storiografi ca di Caterina, che marito: “Voglio che al più presto, dopo pure proveniva dall’illustre casato senese la mia morte, venga inviata e consegnata dei Gori Pannilini, è rimasta decisamente all’Opera della Chiesa Parrocchiale di in ombra, offuscata dalla preponderante Frosini la Testa rappresentante il ritratto di notorietà del marito; merita invece di S. Antonio [sic] per mano di Carlo Dolci, essere analizzata e riscoperta. Al padre, a forma delle testamentarie disposizioni del cavaliere Ottavio di Giulio Gori (1758- mio defunto marito”. Caterina si spegneva 1813), l’erudito Ettore Romagnoli dedicava l’anno successivo; la documentazione una delle sue biografi e, giacché questi aveva d’archivio rivela che il 4 settembre 1865 gli praticato un’attività di pittore dilettante; esecutori testamentari venivano rimborsati passione trasmessa alla fi glia, come si legge per il viaggio compiuto a Siena “per portare in chiusura: “si dilettò […] di pittura una il quadro rappresentante S. Antonino delle molte fi glie che ebbe il Gori, Caterina destinato per la chiesa di Frosini”, ma ancora maritata al marchese Leopoldo Ferroni di il 22 gennaio 1866 si registra una voce di Firenze condusse molti quadri e studi con spesa “per far portare alla Compagnia dei accuratezza e buon disegno”. Di sicuro le Disciplinati una cassetta contenente il colte frequentazioni del consorte devono quadro destinato per Frosini”. Per ragioni aver stimolato non poco l’amore di Caterina ignote - forse riconducibili alla dipartita per la cultura umanistica e per le arti fi gurative dell’erede Alessandro Feroni nel 1866 e in particolare, sollevandola dalla canonica alle successive spartizioni dei beni fra le educazione femminile sette-ottocentesca tre fi glie - il dipinto dovette restare a lungo che prevedeva, per le fanciulle di nobili in quella provvisoria collocazione. Infatti, natali, un generico approccio alla pratica soltanto nel 1876 Elisa Feroni Marchesini della pittura. La corrispondenza epistolare autorizzerà l’economo spirituale di Frosini a con alcuni personaggi del tempo è rivelatrice 30 ricevere in consegna la piccola tela di Carlo del calibro dei rapporti che intratteneva, soprattutto nei periodi dell’anno in cui dimorava a Firenze; apprendiamo, ad esempio, che la marchesa era in contatto con il professore abate Melchior Missirini (Forlì 1773-1849), segretario e biografo di Canova, oltre che poeta, erudito e fecondo scrittore di saggi storico-artistici e celebrativi. Con questo non si vuol certo dire che Caterina sia da annoverare fra gli artisti misconosciuti dell’Ottocento; si tratta, in ultima analisi, di una dilettante appassionata dalla mano non infelice, come sembra rivelare l’esigua documentazione superstite. Già in età giovanile ella praticava in maniera amatoriale la pittura, dedicandosi in particolare alla riproduzione di dipinti antichi. Nella solenne mostra organizzata all’Accademia di Belle Arti di Siena nel 1821 in occasione della venuta dei Sovrani, all’epoca del direttore Giuseppe Colignon, la “Nobile Signora Caterina Gori” si distinse Pietro Benvenuti, Sinite parvulos, olio su tela, 1838 ca., Frosi- esponendo “una S. Caterina copia a olio, da ni, Chiesa della Madonna del Buon Consiglio. Guido, ed una Madonna dal Frate”. Si deve all’ispettore-restauratore Francesco Brogi un inventario manoscritto del patrimonio la segnalazione di altri due suoi dipinti, il immobiliare dell’eredità del marchese primo ubicato nella Pieve di San Galgano a Leopoldo, nella sezione relativa alla tenuta Montesiepi e il secondo nella Cappellania di Frosini (1855). L’ignoto estensore, peraltro di Malcavolo, ovvero nelle terre di proprietà alquanto approssimativo nelle indicazioni Feroni. Della prima tela, effi giante una di carattere storico-artistico, riferisce che Madonna addolorata, si sono perse ormai le nella chiesa di Malcavolo sull’altar maggiore tracce; si conserva ancora la seconda, una “vi è un quadro rappresentante la Vergine Madonna del Buon Consiglio, la cui autografi a del Buon Consiglio, opera del Professor non è tuttavia esente da dubbi. Monti”. Si allude a Domenico Monti, Il dipinto, purtroppo in pessime pittore ma soprattutto abile restauratore, condizioni, presenta una composta effi gie attivo fra Siena e Firenze nella prima metà della Vergine assisa sull’arcobaleno fra dell’Ottocento. Stupisce questa difformità le nuvole, con il Bambino seduto sul di attribuzioni a distanza di un solo ginocchio destro; in basso due angeli decennio, ancor più quando si pensi che sia dall’aspetto efebico srotolano un cartiglio Domenico Monti che Caterina Feroni erano con l’iscrizione mater boni consilii, mentre ancora viventi all’epoca della redazione in cima due putti sembrano discostare delle due fonti. L’analisi stilistica, per le nubi al pari di un tendaggio. L’opera è quanto possibile, indurrebbe a pronunciarsi attualmente conservata nella piccola chiesa in favore del primo; ad un confronto con della Compagnia del SS. Sacramento e Carità l’Annunciazione della chiesa parrocchiale a Frosini ma proviene, secondo attendibili di Campagnatico, eseguita dal Monti nel testimonianze, dalla pieve di Malcavolo; 1829, si osserva infatti quello stesso aspetto pertanto è sicuramente da identifi care con tornito e algido delle fi gure. Altrimenti si la tela censita dal Brogi verso il 1864 come può supporre che egli sia intervenuto in autografa di Caterina Feroni. Curiosamente, qualità di restauratore sulla tela di Caterina però, per questo dipinto è attestata anche Feroni, magari precocemente deteriorata una diversa attribuzione; la si reperisce in dall’insalubre luogo di conservazione; 31 Autore ignoto (Caterina Gori Feroni o Domenico Monti?), Madonna del Buonconsiglio e angeli, olio su tela, ante 1855, Frosini, Compagnia del SS. Sacramento e Carità.

Autore ignoto (Caterina Gori Feroni o Domenico Monti?), Madonna del Buonconsiglio e angeli, olio su tela, ante 1855, Frosini, Compagnia del SS. Sacra- 32 mento e Carità, particolare del volto della Vergine. ipotesi, però, priva di alcun riscontro Pazzi, tutta intonata ad un’algida purezza documentario. Nel dubbio, sarà opportuno classicheggiante, soprattutto nel bassorilievo lasciare la questione in sospeso, anche perché del sarcofago ispirato ad analoghe scene l’unica opera certa uscita dal pennello di funerarie dell’antichità pagana. Il progetto Caterina, il suo autoritratto giovanile, offre del monumento e il busto già realizzato un appiglio troppo debole. furono esposti nel settembre del 1854 L’autoritratto si conserva nella sede presso i locali dell’Accademia di Belle Arti storica della Società di Esecutori di Pie di Firenze, riscuotendo il plauso della Disposizioni di Siena (già Compagnia dei locale Società Promotrice di Belle Arti; la Disciplinati sotto le Volte dello Spedale), commissione dell’opera, come si ricava istituzione largamente benefi ciata dalla dall’autobiografi a del suo artefi ce, era stata nobildonna. Il dipinto, di qualità dignitosa effettuata in quell’anno dalla marchesa ma non entusiasmante, è connotato da una Caterina, assidua frequentatrice e sincera spiccata “attitudine sentimentale” nello estimatrice dello scultore. sguardo perso e ispirato della fanciulla, L’intensità del rapporto con quest’artista che si lascia inquadrare nella “temperie di è ben testimoniata dal testamento di Romanticismo incipiente”. Come recita Caterina, nel quale, oltre a lasciare tutti l’iscrizione sottostante, fu donato dal i suoi libri contenenti “romanzi, viaggi Senatore del Regno Augusto Gori Pannilini, e lettere” al libraio fi orentino Antonio nipote di Caterina, nel 1869; per l’occasione, Giuntini, la marchesa disponeva: “come la tela fu corredata di una pregevole cornice sopra lascio e lego al Sig. Enrico Pazzi in legno intagliato e dorato, sulla quale vale Scultore, tutti i miei libri che trattano, si la pena di spendere qualche parola. Oltre riferiscono ed appartengono alle Arti Belle; come pure tutti e singoli gli oggetti attenenti agli stemmi Gori Pannilini, Feroni e della al mio Studio di Pittura, tutti i gessi, quadri, Compagnia dei Disciplinati, si individuano stampe, il manichino, e tutto quanto serve nei quattro angoli altrettanti curiosi all’Arte, ad eccezione soltanto delle copie simboli. Ad un’analisi più attenta, essi si da me fatte dei due quadri rappresentanti rivelano l’espressione dei quattro indirizzi di studi - Teologia, Lingue Orientali, Architettura e Meccanica - che Caterina volle istituire per testamento, fondando un Alunnato sovvenzionato con le rendite del patrimonio fondiario lasciato in eredità alle Pie Disposizioni. Come già accennato, la marchesa moriva il 20 marzo 1865 nel palazzo Feroni in via Faenza a Firenze. Dopo i solenni funerali nella curia di S. Lorenzo, il corpo fu traslato in treno fi no a Siena e poi alla chiesa parrocchiale di Frosini, dove Caterina aveva disposto di essere sepolta; tuttavia, nell’edifi cio non si individua alcun monumento né lapide sepolcrale che attesti il suo luogo di inumazione. Nella parete destra della chiesa di Frosini è invece murato il cenotafi o di Leopoldo Feroni, costituito da un’arca marmorea su alto basamento con coperchio a spiovente, decorata sul fronte da un bassorilievo fi gurato e Enrico Pazzi, Monumento funebre del marchese Leopoldo Feroni, sormontata dal busto-ritratto del defunto. marmo grigio e marmo bianco, 1854, Frosini, Chiesa della È opera dello scultore ravennate Enrico Madonna del Buon Consiglio. 33 la Madonna e l’Angelo di Carlo Dolci, di Ravenna, oggi Pinacoteca Comunale del che lascio e lego alla predetta mia sorella Museo d’Arte della Città, tutti i suoi quadri Carolina Gori nei Casuccini…”. Qualche e i suoi gessi. Non è da escludere, pertanto, informazione aggiuntiva sulla consistenza che i dipinti di Caterina Gori Feroni siano di questo lascito si ricava da un successivo confl uiti nell’istituzione museale ravennate: Inventario e stima dei Quadri, ed altri oggetti solo ulteriori ricerche potranno far luce lasciati per legato dalla fu Sig.a Marchesa sulla sorte del legato testamentario della Caterina Gori Pannilini […] al Sig.e Enrico nobildonna senese, pittrice dilettante e Pazzi; vi risultano, infatti, due quadri antichi benefattrice degli studi. con la Sacra Famiglia e altri due antichi con la Madonna, purtroppo non identifi cabili, e ben 37 copie eseguite dalla marchesa. Il passo ci consente di stabilire non soltanto che la nobildonna aveva allestito un vero e proprio laboratorio di pittura, ma soprattutto che ella praticava prevalentemente l’attività di copista, riproducendo in primis le opere conservate nella collezione di famiglia del marito, a partire da quelle del tanto amato Carlo Dolci. Per tentare di rintracciare le opere dell’eredità di Caterina non resta, forse, che ripercorrere gli spostamenti dello scultore Enrico Pazzi (Ravenna 1819 - Firenze 1899). L’artista, che si era stabilito a Firenze nel 1845 divenendo l’allievo prediletto di Giovanni Dupré, aveva avuto una fortunata carriera ricevendo prestigiose commissioni pubbliche di carattere celebrativo; gli spettano, fra gli altri, il monumento a Dante Alighieri installato in piazza S. Croce nel 1865 e quello al Savonarola collocato nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio nel 1882. Al di là della sua cospicua produzione da statuario, è rimasto celebre anche per aver promosso la creazione del Museo Civico Bizantino di Ravenna, in seguito divenuto Museo Nazionale, di cui fu direttore dal 1884 al 1898 quando gli subentrò Corrado Ricci. Oltre a ciò, il Autore ignoto (Caterina Gori Feroni o Domenico Monti?), Madonna del Buonconsiglio e angeli, olio su tela, ante 1855, Fro- personaggio lasciò per testamento (1884) sini, Compagnia del SS. Sacramento e Carità, particolare di alla Galleria dell’Accademia di Belle Arti un angelo.

34 Siena e la malinconia nei “paesaggi mistici” di Idilio dell’Era di Alfredo Franchi

“Venuto al mondo in un casamento di cam- pagna, in proda a uno sterrato, costretto a mutar sempre residenza, non potrò mai dire ‘il mio pae- se’. Perciò, d’estate, mi sento uccello ferito e senza nido, quando chiuso l’anno scolastico, sciamano dalle aule insegnanti e ragazzi per tornare al loro villaggio, al loro borgo”1.

Con tali rifl essioni iniziali Idilio Dell’Era ne “La mia Toscana”, considerato il suo ca- polavoro letterario, evidenzia uno dei tratti caratterizzanti della sua personalità di “no- made”, di senza fi ssa dimora, che implica- va ad un tempo una condizione di estrema incertezza e precarietà esistenziale, avvertita con dolore, ma anche un inserimento più libero ed aperto, meno legato a certa miopia campanilistica, nella sua “dolce Toscana”:

“Ma io non ho un paese, un caro paese a cui sia una realtà ormai scomparsa ma, ove si tornare per rivedere quelli che ci vollero bene, che oltrepassi tale epidermica interpretazione con noi vissero e soffrirono all’ombra del campa- e si giunga a cogliere nella scrittura la tra- nile. Tuttavia mi pare che ogni paese, dall’Arno sfi gurazione poetica e lirica di questa terra, all’Ombrone, sia il mio, tanto mi è nota nei suoi si potrà anche concludere che, al di là delle accenti e nei suoi costumi la gente di questa dolce apparenze cangianti e mutevoli, esiste una Toscana”2. Toscana più vera ed affascinante ossia quella degli scrittori e dei poeti che ne hanno colto Del resto è nelle condizioni di lontanan- lo spirito, sia pure con modalità legate a de- za e di distacco dai luoghi amati, in una fi nite contingenze culturali, come qualcosa condizione di solitudine e di abbandono, di eterno che permane nel variare incessante che ci liberiamo più facilmente dai condi- della storia. zionamenti e dalle abitudini che impedisco- Dell’Era dice di essere come poeta un no di coglier in tutto ciò che ci circonda gli “mendicante di eternità” e così nella sua aspetti di bellezza e di mistero. E così, pri- esperienza di scrittore si può cogliere insie- vi di ogni appoggio e certezza esteriore, in me la condizione di estrema indigenza di chi una condizione di assoluta povertà, siamo non possiede nulla ed insieme la presenza in grado di restituire a tutto ciò che esiste il dei grandi desideri che danno alla vita una valore irripetibile di riuscita e di grazia. tonalità più elevata e consentono di guar- Certo chi leggerà queste pagine avrà la dare la realtà con lo sguardo stupito e com- sensazione che la Toscana di Idilio Dell’Era mosso del bambino che, in tutto ciò che ci circonda, ravvisa il miracolo ed il prodigio. Ne “La mia Toscana” non mancano certo 1 Idilio Dell’Era, La mia Toscana, Firenze 2007, p. 13. le pagine inseribili nella scrittura aneddotica 2 Op. cit., p. 15. e di bozzetto, ma non sono le più signifi ca- 35 tive e comunque certe note di colore non rio; ora il linguaggio è costituito da parole sono mai conclusive e fi nalizzate a se stesse, essenziali, liberate da ogni scoria superfl ua7. in fondo anche Dell’Era è simile alle antiche Quanto mai allusivo il titolo in cui si disloca pievi da lui amate e che quasi nessuno co- nel paesaggio la più alta esperienza umana nosce “abbarbicate alla terra, più resistenti delle del divino, quasi che, nella sua affascinante querci, incuranti degli uomini e della brevità del bellezza, alluda a qualcosa di trascendente e tempo, nelle semplici linee”3 manifestano ciò misterioso8. che rende autentica e vera la vita. Sartre, signifi cativo esponente della mo- E così quando Dell’Era nella dedicazio- dernità, dichiarava che “la coscienza non ha un ne del libro afferma che “ai Toscani è toccata . La coscienza altro non è se non il la sorte degli Etruschi, quella di scomparire e, con di se stessa, ed è questa fuga assolu- loro, il loro linguaggio, i costumi, le tradizioni”4 ta, questo rifi uto d’essere sostanza, che la fanno ma, al contrario “il paesaggio è pur sempre lo coscienza… Eccoci liberati da Proust. Liberati stesso, immutato, col cipresso e l’ulivo, emblemi nello stesso tempo dalla : invano di una terra cara ai morti e ai poeti”5, mentre cercheremo…come una bambina che si abbracci ravvisa nel paesaggio il documento fi sico di alle spalle, le carezze e le lusinghe della nostra in- una Toscana che resiste alla corrosione del timità, perché fi nalmente tutto è fuori, tutto! Per- tempo, come poeta diviene testimone di un fi no noi stessi: fuori, nel mondo, tra gli altri”9. paesaggio più profondo e vero quello dell’a- Dell’Era si raccorda ad una tradizione arcai- nima di cui è stato interprete esemplare6. ca, di segno opposto, quella di S. Agostino È proprio rimanendo aderente a questa che si rammaricava del fatto che gli uomini tensione che Idilio Dell’Era nel suo mano- vanno a contemplare gli spettacoli della na- scritto dal titolo “Paesaggi mistici”, rimasto tura e dimenticano poi se stessi10, diluendosi inedito tra le sue carte ed attualmente in nella fruizione delle pur affascinanti realtà corso di pubblicazione, è pervenuto all’api- esteriori sino ad abbandonare del tutto il ce della sua esperienza di poeta e di scrit- viaggio nella infi nita e misteriosa interiorità tore. La sua produzione letteraria nel corso dell’uomo11. Nella sua opera, per meccani- del tempo si è affi nata, liberandosi da certe smo proiettivo, riverbera nei paesaggi con- ridondanze giovanili in cui si poteva ancora templati la sua interiorità sempre partecipe notare una sorta di compiacimento lettera- alle vicende umane, riuscendo a cogliere in

3 Op. cit., p. 55. 8 M. Luzi, op. cit., p. 30: “Siena non sarebbe più 4 Op. cit.., p. I. Siena e anche il mio rapporto con lei sarebbe meno 5 Op. cit., p. I. misterioso. Così non sia”. L’auspicio di Luzi che il rap- 6 M. Luzi, Siena e dintorni, Siena 1996, p. 26: “(Sie- porto con la città rimanga sempre misterioso è impli- na) è sempre più luogo della mente, dell’anima. In cito anche nelle modalità fruitive dei paesaggi mistici questa accezione è più costante e inviolabile che in cari ad Idilio Dell’Era anche perché misteriosi ed ine- quella psicologica e esistenziale. In quella psicologica sauribili. Vedi in I. Dell’Era, Paesaggi Mistici: “le terre e in quella esistenziale la città può avere degli alti e dei di Assisi e di Siena ricche di santi e di giullari mal sop- bassi nel nostro amore, nei nostri ricordi, nelle nostre portando le appariscenze riducono tutto all’intimità affezioni…Ma in quanto luogo della mente, in quanto con l’inesprimibile e l’ineffabile”. luogo dell’anima, così come sta sempre più diventan- 9 J.P. Sartre, Che cos’è la letteratura, Milano 1976, do per me, ecco lì è inviolabile, inalterabile, è sempre p. 15. un punto insostituibile della vita interna e non solo 10 S. Agostino, Le Confessioni, Milano 1992, l.X, della vita in senso empirico ma anche della vita nel c.VIII. p. 460: “et eunt homines mirari alta montium senso morale, della vita nel senso ideale e conoscitivo”. et ingentes fl uctus maris et latissimos lapsus fl umi- 7 F. Tozzi, Bestie, Milano 1994, p. 70: “Mi piac- num et Oceani ambitum et gyros siderum et relinqu- ciono molto quelle persone che adoprano, parlando unt se ipsos”. modi di dire differenti a tutti gli altri. Mi sembrano, 11 Plotino, Enneadi, Bari 1947, p. 286: “Ogni cosa, le loro conversazioni, riconoscibili, amicizie a cui ci si in verità, non cerca un’altra ma se stessa; invece il possa affi dare di più. viaggio esteriore è vano o, al più, scusato dalla ne- E, così, ho imparato che le cose hanno per ogni cessità. Ognuno esiste in maggiore pienezza non già persona una fi sionomia differente. quando sia molteplice o grande ma quando apparten- Una persona si distingue più profondamente dal ga a se stesso: ma egli appartiene a se stesso solo allora 36 suo modo di parlare che dal suo viso”. che sia proteso su stesso”. ciò che contempla le risonanze storiche e che s’insinua in repentine aperture a smenti- le tracce lasciate dagli uomini. Insomma il re il dissolversi della materia15. Siena non è viaggio nella interiorità dei “Paesaggi misti- una città solare come Assisi16, il sole arriva di ci” non diviene mai fuga dalla realtà e dalla sghembo, anche nelle giornate più luminose storia ma piuttosto un inveramento ed una certe strade rimangono oscure ed inquietanti sublimazione. Come accade negli interpreti ed insinuano in chi vi transita un sottile senso più profondi si oltrepassa l’insidia colori- d’angoscia e di morte17. Nel permanere delle stica delle apparenze e si perviene insieme antinomie e dei contrasti l’anima di Siena alla comprensione più autentica della realtà rinviene la sua aura caratterizzante e così la esterna e di se stessi. città in certa asprezza funerea e la campagna L’aura della città è permeata da un senso nella sua dolcezza ammaliante18, mantengo- di malinconia e di solitudine12, imputabile no chi vi abita in una sorta di perenne malin- anche al fatto che Siena è rimasta ai margi- conia, di costitutiva insoddisfazione per tutto ni della grande storia, tuttavia “anche là dove quello che si consegue nella vita e che è sem- la storia declina resiste la vita della poesia”13. pre lontano dal desiderio e dalle aspirazioni In sintonia con gli interpreti più avveduti ideali dell’uomo19. Dell’Era si è reso conto del fatto che nell’ar- Nei “Paesaggi mistici” Dell’Era appare in te senese viene alla luce l’animo gentile della piena sintonia con gli interpreti più accredi- città e l’aspirazione delicata ad una bellezza tati della città e delle sue terre come ben si spirituale e rarefatta. Tra bellezza naturale e vede quando afferma: bellezza artistica realizzata dall’uomo si co- stituisce un intreccio profondo fatto di ri- “Nessuno riuscirà a togliermi dall’anima cer- mandi e di risonanze arcane, come più tardi ti paesaggi funerei sofferti e contemplati da bam- noterà con emozione Luzi quando indiche- bino: un arco cadente fra due cipressi, un muro rà come prioritaria l’una o l’altra nel tragitto attorno a un convento, un collicello calvo e im- iniziatico alla conoscenza della città14. bigito, e nello spigolo di un orto o nell’entrone di La città di pietra, colpita dalla luce abba- un palazzo un pozzo tappato con la grata di fi l gliante, si risolve in una luminosità diafana se di ferro, al quale affacciandomi non potevo fare a non fosse per il respiro verde della campagna meno di pensare alla morte.

12 F. Tozzi, op.cit., p. 29: “le strade solitarie, dove tra fi nte lacrime di fi nti amici, in una profonda buca, i lampioni parevano acchiapparsi al muro per non dove ora è polvere”. cadere dalla stanchezza, svegliavano tutti i miei bri- 18 F. Tozzi, op. cit., p. 46-7: “La mia anima, per vidi”. Ed ancora alla p. 41: “La strada dove non sono aver dovuto vivere a Siena, sarà triste per sempre: più stato…non vi passava nessuno… sempre l’ombra piange, pure che io abbia dimenticato le piazze dove del muro altissimo, scrostato, scalcinato; un’ombra il sole è peggio dell’acqua dentro un pozzo, e dove ci che pareva più pesa del muro, fredda, silenziosa”. si tormenta fi no alla disperazione… e vedevo…qual- 13 G. Pampaloni, Sinfonia di contrasti, Siena 1988, che olivo chiamarsi dietro tutta la campagna soave p. 9. che impallidiva lontano, rasente i monti chiarissimi, 14 M. Luzi, op. cit., p. 22. talvolta più luminosa del sole; con una tenerezza che mi commoveva”. È interessante ricordare quello che 15 Op. cit., p. 8. scriveva Matilde Manzoni nel suo Journal, Milano 16 I. Dell’Era, Paesaggi mistici, p. 10: “Non siamo 1852 p. 17, quando abitava con la sorella ed il cogna- nel clima gioioso del Poverello d’Assisi”. 17 to nella Villa Monelli, fuori di Porta Pispini: “Bista D. Giuliotti, Pensieri di un malpensante, Firenze non avrebbe potuto trovare meglio, quest’aria aper- 1937, p. 205-6: “Stavo a dozzina in Via del Nuovo Asi- ta ci fa veramente bene alla salute e la apprezziamo lo, presso due ragazze invecchiate. Era una straducola sempre di più ogni volta che si va a Siena. Quelle lontana dal centro, spopolata e triste. Tutte le sere, a strade sudicie, strette, uggiose, dove non penetra mai buio, ci passava una mezza dozzina di morti. Qual- il sole, mi fanno pensare con un po’ di malinconia cuno, chiuso in un carrettone nero, si fermava, per a quel bel lungarno! Trovo tanto bello il duomo, la farsi squartare, alle Stanze anatomiche; gli altri, meno Lizza e la piazza del Campo, ma poi il resto, avrò amanti della scienza, proseguivano intatti, fi no al vi- cattivo gusto, ma non mi piace. Nella città c’è qual- cino cimitero. A metà della via, c’era un ricovero di checosa di così serio, ed invece i contorni sono tanto vecchi. Lo descrisse il Tozzi in Tre croci. Ma prima che ridenti” (lettera al padre, 2 febbraio 1852). il libro uscisse, l’autore, anche lui, dovè passare, por- 19 M. Luzi, op. cit., p. 9: “Si concepiscono qui tato a spalla, da quella straducola funerea. Ed io stes- necessariamente strane passioni e grandi manie, né so, con un groppo di pianto alla gola, lo vidi calare, è possibile vivere altrimenti che in una sottile follia”. 37 Dario Neri, Il duomo di Siena visto da Montalbuccio (1924); (inedito coll. priv.). Anche Dario Neri, che fu quasi contemporaneo a Dell’Era, aveva una concezione mistica del paesaggio senese: “immutato, col cipresso e l’ulivo, emblemi di una terra cara ai morti e ai poeti”.

38 Dario Neri, Ulivi a Campriano (1930 c.a.); (inedito coll. priv.). Dell’Era, nel 1961, per illustrare un suo articolo sui luoghi dello spirito nella campagna senese propose alcune vedute di Dario Neri.

Anche il cielo che capovolto giù nell’acqua, mi to del poeta, tra rarefatti bagliori e oscurità comparisce distante, dolente, frantumato come un improvvise, si manifesta in certi privilegiati vetro vecchio e fuor d’uso. momenti della esistenza. Per tali esperienze La medesima sofferenza mi accompagnava Siena, la sua campagna, gli eremi dissemina- s’io mi ponevo, nella Pinacoteca, o all’Opera del ti intorno quasi a cintura spirituale protetti- Duomo a guardare i primitivi dell’arte senese: va, sono stati sicuramente, in un rapporto quei corpi magri, stecchiti, con le mani che diven- nutrito anche di sofferenza, il luogo privi- tavano steli di giglio, quei colli, così esili e ripie- legiato di questa epifania della vita e della gati, quelle fronti lucide che parevan d’avorio, i morte, che, nel gioco emozionante della capelli fulvi, talora zingareschi, talora fl uidi come luce e delle tenebre, della gioia e del dolore, una cascatella di miele e quelle labbra piene”20. rinviene la manifestazione più appropriata come appare in certi brani di evidente lirici- Nella contemplazione dei paesaggi, dei tà, in cui la prosa della prosa conserva solo luoghi, delle opere d’arte in Idilio Dell’Era, il nome e tutto diviene poesia. stando a questa preziosa testimonianza, si realizzava un raccordo di natura non sola- “Nessuna città notturna è triste quanto Sie- mente estetica ma esistenziale nel senso pie- na: con il manicomio, due cimiteri per parte e il no della parola. In ciò che veniva contem- sanatorio di porta Tufi . Tutto affonda nel silenzio plato si rivelava il misterioso intreccio della e le ore battute dalla torre rintoccano sulle pietre morte e della vita che sfugge alla pura analisi come il suono della campana dei giustiziati21. concettuale e che, solo allo sguardo incanta-

20 I. Dell’Era, dal fondo dei manoscritti nella Bi- la sera soffrivo troppo, e non accendevo il lume per blioteca degli Intronati. non vedere le mie mani: la tristezza stava sopra la 21 Op. cit., v. anche F. Tozzi op. cit., p. 17: “Ba- mia anima come una pietra sepolcrare, sempre più sta ch’io mi ricordi di quelle mie tristezze perché mi greve; e mi sentivo schiacciato sulla sedia. E avrei sembri cattivo anche il cielo di Siena. Specialmente voluto morire”. 39 La tristezza aumenta via via che la nuvola fu un sepolto, fu un distratto che si lasciò fuggire bianca si spenge: i marmi assumono un colore un bene, una gioia ineffabile. bigio e patito, le bifore e gli archi si riempiono di C’è ogni giorno una nota nella nostra vita che buio, e la bella cattedrale non è che una nave ca- viene ad aggiungersi a quelle che fanno l’accordo rica di morti e di memorie ancorata tra le torri e del nostro umile poema. i campanili… Nota strappata ad un fi ore come un polline Certi giorni il duomo se lo piglia il vento: che l’ape coglie pel suo miele, o portata dal vento, mentre i mandorli fi oriscono silenziosi, dietro le rapita al glutine amaro del vischio; nota di alle- case, tra una solata e l’altra, in un’aria trasparen- grezza, nota di pianto; e tutte note raggruppate te, la prima meraviglia di Siena somiglia a una nell’ombra della nostra vita ignota, sentite, amate nuvola bianca. Da qualunque parte si osservi, dà da noi, incomprese dagli altri. un senso d’indefi nibile lievità e di gioia. Ed è vero La storia del grande non si compone anch’essa che l’anima al contatto della bellezza diventa ar- di umili cose ? Una combinazione fortunata, un moniosa e lucente”22. calcolo, una rifl essione intuita, una marcia, un colpo… Idilio Dell’Era non era certo ignaro della L’universo non è forse l’aggregato di parti fi ni- dimensione tenebrosa della vita, della soffe- te che, nell’insieme, danno la grande danza della renza e del male così incombenti da impedire luce? la visione dell’ “ombra gentile delle cose bel- Ma io non voglio come i seriosi fi losofi sba- le”, e appunto per questo in uno scritto dal lordirmi il cervello in considerazioni fuori luogo. titolo emblematico “Le umili cose” avvertiva A me basta di sentire: di amare tutta la terra la necessità di articolare in maniera compiu- nelle sue piante, nelle sue acque, e il bel concavo ta la sua concezione dell’uomo, della poesia, del cielo, sia che rigurgiti di sole, come un immen- della vita. In una sorta di riepilogo commos- so calice straboccante d’amore, sia che si vesta a so ed avvincente la sua vicenda personale bruno come la faccia dell’ira. A me piace la vita, diventa paradigma per chi voglia recuperare a me piace la morte, l’odio, l’amore, tanto è il mi- l’autenticità dello sguardo in un mondo in stero del mio piccolo essere. cui è completamente scomparso lo stupore A me piace risentire ogni mattino che il mio dinanzi al miracolo dell’essere e della vita. In sangue batte all’unisono con la terra che si sve- queste rifl essioni lo slancio lirico viene a dila- glia, a me piace perdermi come un selvaggio fra tare il tempo nell’eternità e dispone l’animo i tronchi delle piante, e fi ssare le nubi che vanno all’ammirazione dell’intero universo e delle senza domandarsi dove, né chiedere agli uomini sue meraviglie23, e così il silenzio diviene pa- il perché… rola, la povertà ricchezza, la solitudine incon- Allora la natura mi sembra una gran madre tro con gli uomini e con l’Altro. generosa, piena di memorie per me, piena di voci, “Chi visse un giorno solo sulla terra senza av- piena di canti, piena di pianti, di orrori divini. vertire, senza cogliere una voce nuova, non senti- Non le chiedo di trasformarmi in angelo per- ta ieri, non sentita mai nella parabola dei giorni ché il lucido spirito che abita tra i celesti, non sente passati, egli non visse, non visse quel giorno, ma come me le voci del creato.

22 I. Dell’Era, op. cit. che più non ricorda, fl uttuava, con tremiti e brividi 23 D. Giuliotti, Tizzi e Fiamme, Siena 1999, p. 79: sempre nuovi, traboccando dalla fi umana incompren- “Talvolta, dinanzi a un fi lo d’erba, a un insetto, a una sibile della vita nella fi umana incomprensibile della nuvola, a un ricordo, a un oggetto, in apparenza insi- morte. gnifi cante, questo poeta nuovo, aveva e comunicava Poesia dunque, nel senso antico, religioso, eterno, stupori e terrori e curiosità e puerili meraviglie, come che vede, a lampi, l’intimo d’ogni cosa, e pur vede in d’un bambino lasciato solo, annottando, mentre s’ac- ispecchio e in enigma, in attesa di cambiar nome e cendono le prime stelle, e gli occhi si fanno più gran- paese e vedere in verità e realtà. di, affascinati dal circostante mistero. Trilla un grillo, ronza un insetto, s’accende una Il bene, il male, il bello, il brutto, il dolore, il pia- stella. Perché? La poesia non ragiona, stupisce, e lo cere, che permean tra le rive del tempo, tutte le forme stupore del poeta è adorazione”. Queste considera- dell’esistente, passavan come note d’una melopea sen- zioni dedicate da Giuliotti a F. Tozzi sono facilmente 40 za fi ne, sulla quale l’anima, foglia staccata da un ramo estendibili a caratterizzare la poetica di Idilio Dell’Era. Io le chiedo di rendermi avventuriero, di ren- vista, nel mentre c’imbattiamo nei luoghi dermi primitivo come gli uomini della mia razza conosciuti ed amati in maniera impressioni- scomparsa… stica e superfi ciale, possiamo ritrovare con Sì io voglio tornare al silenzio, ai campi dei l’aiuto del poeta la dimensione profonda ed miei genitori, ove essi dormono in pace, ove l’u- autentica che da sola non veniva alla luce. mili cose nacquero, vissero indisturbate come le Idilio Dell’Era nei suoi “Paesaggi mistici” viole lungo le siepi… Allora mi sveleranno il ravvisa nell’aura malinconica l’anima del- poema più bello non scritto mai da penna uma- la città e della campagna che la circonda e, na, ma sentito dall’anima che visse nel silenzio in maniera intuitiva ed immediata, al di là dell’ombre, quasi romito ascoltando ogni voce del di ogni consapevolezza rifl essa, si raccorda 24 suo creatore” . ad una tradizione fi losofi ca illustre che da Aristotele a Kant coglie nella malinconia In un’epoca come la nostra, così com- la cifra caratterizzante della natura uma- plessa, così inquietante, la voce di questo na sospesa tra fi nito ed infi nito, tempo ed umile poeta ci sembra venire da un mondo eternità, grandi idealità ed incapacità a rea- lontano e ormai del tutto scomparso, ma come sentirci estranei al fascino della “gran- lizzarle. Antinomia insolubile dalla quale de danza della luce”, in cui, alla fi ne, tutto tuttavia scaturisce, quasi a compensazione, sembra risolversi? Ove la mancanza e la pe- l’energia creativa caratterizzante tutte le nuria sono grandi anche il desiderio cresce manifestazioni geniali della natura umana. a dismisura, e, appunto per questo, l’invito Come diceva Giovanni Papini “quando la del poeta a vedere con occhio nuovo, con poesia non è rivelazione, cioè stupore e sorpresa, lo sguardo dell’anima, mantiene integra la non è grande poesia”. È quanto avviene nei sua urgenza. E così la lettura dei “Paesaggi “Paesaggi Mistici” di Idilio Dell’Era che, in mistici” può confi gurarsi quasi come una tale opera, porta a compimento la tensione sorta di tragitto iniziatico in cui man mano, ideale e lirica della sua attività di scrittore deponendo le scorie che annebbiano la e poeta.

FLORILEGIO dai PAESAGGI MISTICI di Idilio Dell’Era

FONTEBRANDA Verrebbe voglia di dividere…Siena in tanti paesi… e di scegliere il più tipico che secondo me rimane Fontebranda. Con quelle straducole a rompicollo che confl uiscono davanti alla fonte… si offre un panora- ma che sfuma nell’azzurro. Si dice che chi beve a questa fonte diventi matto. È vero che i senesi sono per temperamento balzani e che i santi di questa terra capricciosa e irregolare sono per lo più mistici rapiti ed affocati e che i suoi artisti e poeti hanno un’anima violenta e cupa. Con quei caseggiati sovrapposti, che si reggono uno addosso all’altro, Fontebranda ha tutto l’aspetto di un villaggio in discesa che alfi ne si placa sulla piazze erbose dove c’è sempre un branco di ragazzi malvestiti e le donne a tendere i panni: in fondo l’arco stretto che mena sulla strada di Maremma e, superato il tratto di strada fra i tufi aridi e deserti, la Tressa che trema coi suoi pioppeti svelti. Chi c’è passato parecchie volte si accostuma alla mestizia del panorama che reclama, in alto, le croci del Laterino, il cimitero dei poveri. Quel velo di tristezza che, del resto, ciascuno avverte, anche gli innamorati che escono al crepuscolo, non è una scoperta…. C’è nel pausato e malioso cielo senese quell’indefi nibile senso di morte che tanto piace, come una soffe- renza sottile, alle anime mistiche e contemplative e che i mondani non sanno scoprire e una ricchezza di passato che ci soffoca…

24 I. Dell’Era, op. cit. 41 Amelia Ambron, le vedute di Lecceto e di San Leonardo al Lago per Eremi senesi (Siena, 1948). Il tratto freddo con il quale la Ambron disegna i suoi paesaggi senesi sembra preludere il senso di malinconia che accompagna alcune visioni di Dell’Era. 42 Terra d’ocra che squilla al sole, calcinaia che sbianca sulle balze come un volto in agonia, cretaiona che si corruga d’ombre, olivata e timida, frigida e grassa, rotonda e ondulata, con su la vetta un cipressino ancoreta, cespugliosa di rose e ruspida di leccete, parsimoniosa sempre e musicale come il linguaggio della sua gente. Le piazze, le strade, i palazzi, le torri, le basiliche, la cattedrale si accendono su tre colori: sangue, candore, lutto. A un fi ato di primavera, Siena brilla e scintilla bulinata di marmi come un alveare: a una nube che passi s’imbroncia e incupisce. Vero è che l’anima si Siena, in questi anni grigi e patiti, si è chiusa in una monotonia rassegnata e gli occhi delle popolane di Fontebranda guardano assenti come a dire :”in fondo non c’è che questa pena: la pena del tempo”.

CAMPAGNA SENESE Da anni vivo ormai nel più vecchio eremo della campagna senese: deserto e disabitato, perso tra i boschi. I giorni di vento ho l’impressione di trovarmi a poppa di un gran vascello, in mezzo al mare. Delle volte, quando il cielo s’imbianca e s’attedia, mi sembra che queste muraglie nere e grinzose pren- dano l’aspetto di un antico guerriero corrucciato e che la torre s’impennacchi come un generale napoleonico. Quando ci venni era d’ottobre, il mese delle pampane rosse, e la campagna si vestiva di saio france- scano, con chiazze di malinconica luce sulle case, con suoni di campane che preludiavano al dì dei morti. Confesso che mi assalì uno sgomento così profondo da dubitare di me stesso. I miei poveri libri ammuc- chiati in una tetra sagrestia e quel po’ di mobilio avanzato al saccheggio della guerra, casse, armadi, sedie, mi pareva che urlassero contro l’egoismo e la cattiveria umana. E io a rabbonirli “coraggio, qui siamo al sicuro come nella casa dell’oblio! Andremo al letto al buio e ci faremo compagnia; mangeremo di rado: ma nemmeno gli uccelli muoiono di fame. Voi poveri libri miei che non avete mai detto che la vita è un’altra cosa, d’ora in poi servirete ad accendere il fuoco: su di voi, vecchie sedie del nido distrutto, rivedrò seduto il vecchio mio padre ferroviere smesso e agricoltore fallito, con le mani piene di calli e il volto fi tto di rughe e i dolci occhi rassegnati. Apparecchierò una ciotola di minestra anche per lui che, nei suoi ultimi anni, parlava così poco! Mi sono affezionato a questa solitudine di muri e d’erbe taciturne e ne sono ghiotto.

LA SELVA DEI ROMITI Amo la campagna, la mia campagna senese di colline monotone, di piccoli rivi senza voce, di vege- tazione rada e labile, ma soprattutto questi ritagli di boschi lontani dalla città dove dormono conventi dimenticati. Vi si accede da strade bistorte, incassate tra vecchi muri sbrecciati e borracinosi: di primavera, ci accompagna l’azzurro che brilla tra i rami, di estate, lo strepito delle cicale nell’orizzonte, l’odore del fi eno e delle spighe all’ombra degli ulivi, d’autunno il colore di uve appassite quasi festevole e quello delle foglie che ci cascano tra i piedi e, d’inverno, la cristallina licenza degli alberi e delle pietre. Tra gli eremi che popolano la mia campagna preferisco quello di Lecceto in cui ravviso i caratteri prettamente medioevali dei penitenti e degli anacoreti. Questo fortilizio fosco in un paesaggio privo di ve- getazione, rabbioso di massi e di roveti, nudo ed essenziale, mi dà un senso di angoscia e di sgomento. La sua torre massiccia e quadrata, i suoi chiostri deserti, con nel mezzo il pozzo sorretto da colonne di pietra, i sotterranei cupi e immersi nel buio, le celle allineate una dietro l’altra, con le fi nestrelle che sembrano i fori di una fi ala d’alveare, e questi lecci sempre verdi che lo vestono di una tunica nera e funerea mi fanno pensare al paese dell’esistenzialismo cristiano. Di sera, mentre nella nebbia grigi fantasmi si contorcono gli alberi della foresta, sembra che intorno alle mura una ridda di demoni urli e schiamazzi e una torma di scalzi eremiti inceda litaniando dentro le squallide navate della chiesa. 43 PAURA DEL SILENZIO Il prologo della mia sera è una tortuosa strada di bosco tra due muri monacali, vecchi e sbrecciati. Non ci transitano che branchi di pecore e maiali. La domenica, a vespro, vi si infrangono echi di campane remote: e la strada palpita d’ali e di suoni. Se mi succede di far tardi, arrivo che è quasi buio all’imbocco. Sulla vetta degli alberi trema il ricordo del giorno così angelico e puro che viene voglia d’intonare una laude come dinanzi a certe cattedrali sospese fra cielo e terra. Nell’ombra mi par di scorgere le torme degli antichi eremiti che in quell’ora tornavano dai campi al monastero dietro gli scarni asinelli, col cappuccio sugli occhi come li ha raffi gurati nella parete del chiostro un primitivo senza tramandarci nemmeno il proprio nome. Sotto la tettoia del vecchio eremo mi fermo. Mi assale allora lo sgomento e la paura. Ho l’impressione di entrare in una tomba da cui anche i morti siano scomparsi. Tutte queste celle sovrapposte sui chiostri, vuote, tremendamente vuote, questi stemmi pontifi ci e prelatizi, queste lapidi di un latino semplice fanno l’effetto di fi ale di alveari dalle quali le api siano migrate per sempre. Ma l’aroma della santità che vi alber- gò, a volerlo cercare, lo si ritrova in questa calma profonda a cui se ti affacci impreparato senti tremarti i ginocchi. È un silenzio folto di boschi, intramezzato d’archi romanici, di campanili e di croci, di sotterranei tenebrosi, chiazzato di luna, listato dalla punta dei cipressi, rossigno di diavoli e di dannati che risputano zolfo sui muri. Non c’è, in questo casamento enorme, né un fi lo di luce elettrica né un qualche lampadario a gas o a pe- trolio. La mia fi gura va bargelloni dietro la fi ammella della candela ! Io torno una lucciola nella Tebaide. Misuro il mio coraggio alla sentenza di Pascal “L’egoista odia la solitudine”. L’uomo che non si abitua alla solitudine non si prepara a morire giacché nella morte saremo soli di- nanzi all’eternità… Penso tuttavia che nelle notti di primavera fl autate di usignoli l’anima dei romiti si ricolmasse di tacita esultanza, sul giaciglio di foglie distesi, la fl uente barba e le mani incrociate nel petto. E mi assale la tentazione si starmene a una di queste fi nestre che danno sui prati fi oriti di stelle. Addormentandomi m’illudo di camminare a ritroso nel tempo e di risvegliarmi con un miracoloso giglio nella mano a somi- glianza del Beato Antonio Patrizi che qui visse la candida adolescenza affocata nel rapimento di Dio. Mi desta invece il giovane stupore del giorno che cresce sui monti: la moltitudine delle collinette parsi- moniose, inerbite ondeggiano al sole e, tra il fogliame grigio degli ulivi, i ciliegi e i meli in fi ore sembrano angeli bianchi con nelle chiare pupille le fi oche rugiade. Le chiesine, tra i cipressi, si ravvivano di brividi verdi e silenziosi, di acque fuggitive dove si specchia l’alba e l’armento: odora la pervinca: splende, in lon- tananza, il paese delle crete: il cielo è lieve come il respiro degli asceti.

SAN LEONARDO AL LAGO Pian del Lago, quando l’erba rigoglia… può essere un pretesto per una passeggiata domenicale ché piacevole e romantico è sedersi sotto un pesco o all’ombra dell’olmo sulla cui vetta trepida la ghiandaia. Io per me, di questo paesaggio preferisco il lembo più silvestre e remoto dal quale si stacca la collina e la terra si fa magra e rossa. Proprio lì sul confi ne, fra il domestico e il selvatico, sorge l’eremo di San Leonardo al Lago: luogo di fascino, pur nel suo squallore, di ascetismo poetico e primitivo, di mirabile architettura, di affreschi stupendi… Oggi San Leonardo piange con le rughe delle muraglie cadenti a cui si abbarbicano le edere. Nei chiostri grufolano porcelli rosei e setolosi e sotto le grandi querci meriggiano indolenti i greggi, men- tre al largo dei boschi rintrona l’ascia del tagliatore e calmi dal monte, dondolando, scendono i muli con a basto le some del carbone. La celeste presenza del mirabile Crocifi sso di Pietro Lorenzetti dalle enormi braccia e dal volto soavissimo naufragante in un pelago di amarezza e quello della Vergine amorosa e do- lente in una festa d’angeli ci riportano l’inno di Compieta quando sulle foglie del bosco profumata di fi eni si accora la sera. Al fi orir della pervinca, nei recessi frigidi e densi, c’è nel canto della capinera il singhiozzo 44 del tempo scomparso. Domenico Comporti: un Preside della Provincia che non aveva marciato di Mauro Barni

La fi gura di Domenico Comporti mi af- di Viareggio o di Montecatini, luoghi molto fascina per molte e ovvie ragioni affettive, più gradevoli che non i templi della mistica tra le quali la considerazione per un sene- fascista. se autentico della prima metà del Nove- Per questo profi lo, non ho voluto ricor- cento, uno di quei privilegiati venuti dalla rere, se non in minima parte ai ricordi di Maremma, dall’antico Stato (come si usava famiglia, di una famiglia da lui formata in dire), allevati (allora) per vivere la loro ma- età matura (si sposò quarantenne con una turità culturale, professionale, relazionale ragazza molto consapevole del suo futuro nell’ambíto capoluogo, portandovi, forse ruolo di madre) e seguita per nemmeno un inconsapevolmente, quel pizzico in più di ventennio, con amorevole dedizione; ma robusta vitalità e di scattosa spontaneità che mi sono rifatto a fonti pubbliche e uffi ciali ne rinverdiva la classe dirigente. D’altronde, (in parte purtroppo inaccessibili) e ai contri- anche mio padre Benedetto, montalcinese, buti di studiosi valentissimi come Gerardo ha seguito lo stesso percorso, offrendo a Nicolosi e Federico Valacchi, che vivamente Siena la sua esperienza di tutore della sanità ringrazio. pubblica. * * * Mi è venuta così la voglia di ricordare il Comporti, ripercorrendone le vicende for- Nasce dunque Domenico Comporti da mative e poi professionali, politiche e… Marco e Lorenza, a Roccastrada il 13 marzo contradaiole, vissute quest’ultime da “giraf- 1891. I genitori sono più che ricchi, proprie- fi no” tanto autorevole quanto appassionato. tari di terre e di case, in Maremma. I suoi Non l’ho conosciuto… ma ne sentivo tanto studi elementari coronano un’infanzia feli- parlare dal babbo… come di un amico cor- ce; ma è subito “collegio” a Castiglion Fio- diale e festoso, di un amministratore scru- rentino, un esilio doloroso, d’altronde co- poloso e coscienzioso. E poi ho ricercato mune ai bambini di quel tempo, coccolati le immagini fotografi che… tra le quali mi è nelle case di campagna. Nel 1907 è a Siena parsa signifi cativa quella che lo ritrae un po’ per completare il Liceo classico: vi consegue in disparte durante una importante cerimo- la maturità, brillantemente, e si iscrive alla nia uffi ciale col maresciallo Badoglio e altre Facoltà di Giurisprudenza nel 1910, percor- autorità senesi. Sul suo volto pienotto e bo- rendone i severi studi con sistematica tena- nario segnato da baffetti arguti mi è parso cia, fi no al richiamo alle armi, quando gli di cogliere una spaesata rassegnazione, forse mancavano 5-6 esami appena. un po’ ironica. I pantaloni bianchi fuori or- Al fronte, sull’Isonzo, è in prima linea: dinanza erano del resto più adatti al Kursaal due volte ferito in modo non lieve. Si meri- 45 ta la Croce di Guerra e la Medaglia di bron- lo raggiungono inesorabilmente: Cavaliere zo al valor militare: «Si lanciava per primo (1932), Uffi ciale (1935) e Commendatore all’assalto di una importante posizione nemica; della Corona d’Italia, Cavaliere nel 1940 ferito non si ritirava dalla lotta che in seguito a dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro. ordine superiore (Monfalcone 25 maggio 1917)». Negli anni ’30 è già tra i notabili della Una volta congedato col grado di Capita- città, eppur resta semplice e modesto, tan- no di complemento in Fanteria, to da non sfuggire al fascino della riprende febbrilmente lo studio Contrada del cuore.

che non aveva trascurato dando * * * persino qualche esame nei brevi periodi di licenza, e laureandosi La Giraffa è la sua Contrada brillantemente in Giurisprudenza d’elezione e vi si ritrova per l’atti- il 29 novembre 1919. vo proselitismo di alcuni amici se- Il suo primo obiettivo è la pro- nesi; e poi i suoi coetanei (o quasi) fessione, l’avvocatura cui è presto furono anche uomini di contrada abilitato, sotto la guida di un af- da Guido Chigi Saracini (Istrice), fermato legale, Ezio Martini. a Luigi Socini Guelfi (Bruco) a Al giovane patrocinante si Mario Bracci e Bargagli Petrucci aprono tutte le porte, le più presti- (Lupa), da Wolfango Valsecchi a giose, le accademie (in primis dei Gino Stanghellini (Tartuca), ma Rozzi) e i salotti più ambiti, ove è l’elenco potrebbe continuare. ricercato per la sua felice propen- La sua militanza non si mani- sione all’amicizia. Il suo studio le- festa con smancerie ed esibizioni- gale è apprezzato e premiato nel smi, ma è vissuta con la consape- quadro di una attività professiona- L’Avv. Comporti ad una volezza della essenzialità storica e le svolta in modo da accattivarsi manifestazione pubblica sociale, per Siena, di queste realtà stima e fi ducia. associative, meno appariscenti che Ma preme in lui un singolare spirito di non oggi, ma strettamente coese alla vita e servizio alimentato da una strenua vocazio- alla qualità stessa della vita dei rioni, auten- ne solidaristica. Non v’è iniziativa, non v’è tici focolari di solidarietà e di mutualità. impegno assistenziale pubblico o privato Alla metà degli anni ’30 del Novecento, che egli non sponsorizzi e vi si dedichi nel le contrade erano infatti microcosmi raccolti corso della sua breve vita che fu ricca e va- attorno alle Chiese e alle società nate come ria, curiosa e aperta, contemporaneamente di “mutuo soccorso”, luoghi ideali per la anelante al servizio e alla socialità cordiale, frequentazione reciproca e l’apprendimento come occorse a chi aveva sperimentato l’or- delle regole di coesistenza, rifugi sicuri per rore della trincea e vi aveva speso gli anni gli anziani, palestre di giochi per i ragaz- migliori della giovinezza. zi. Sono ancora ben lontane dalla retorica Nelle serate libere frequenta l’Accademia odierna, anelanti alla vittoria ma del Palio dei Rozzi di cui diverrà apprezzatissimo e poco sensibili ai richiami fascisti contro le provveditore. elezioni democratiche dei dirigenti, capaci La politica non lo attrae più di tanto, di tenere insieme nobili, popolani e profes- anche se è vicino alle associazioni combat- sionisti nel segno di una generosa reciproca tentistiche e al Nastro Azzurro, ma resta tra disponibilità nel sostenerne la gestione e la quelli che non marciarono (per dirla con condivisione oltre al “bercio” paliesco. Mario Bracci, suo giovane amico); è liberale, La Giraffa non faceva eccezione ma sof- non è affatto sensibile alle tentazioni dello friva per non avere ancora acquisito dignito- squadrismo e solo nel 1926 aderisce al fascio si luoghi di incontro, di convivenza, di cu- anche in ragione della sua inevitabile appar- stodia delle memorie, tanto da sentirsi non tenenza al Sindacato degli avvocati. I rico- poco frustrata. noscimenti lo raggiungono ancor prima del Domenico Comporti se ne fece volen- 46 suo impegno istituzionale: le meritate croci teroso traghettatore verso una condizione in ogni senso (e splendidamente) migliore. Il primo obiettivo, da lui perseguito con la fi nezza della sua accortezza giuridica, fu l’acquisizione di una nuova degna sede per la Contrada e per la Società. L’ipotesi di Via delle Vergini era d’altronde contrastata dai vecchi giraffi ni, poco entusiasti di una vicinanza topografi ca con realtà goderecce e scostumate: e la diffi denza non cedette neppure dopo il voto assembleare pressoché unanime del 19 gennaio 1936. Intanto, fi n dall’anno precedente, tra l’Opera di Provenzano e la Contrada, era stata stipulata una convenzione assai pro- mettente per alcuni locali pertinenti alla Ba- silica. E su questo precedente giocò molto il Comporti, ben visto anche dai canonici di Provenzano, autore di un capitolato di affi tto che comprendeva la grande cripta de- stinata con molte ristrutturazioni a divenire la sala delle Vittorie e delle Assemblee. Il merito istituzionale per aver portato a com- pimento l’operazione fu dunque del neo Capitano Comporti e del Priore Ricci Cam- pana, amici per la pelle intorno ai quali nel maggio 1936, anno fatidico per la Giraffa oltre che per i colli fatali di Roma, fu eletto un Consiglio molto operoso e rappresenta- tivo. «Da quel momento si avvertì un senso di rinnovato entusiasmo perché qualcosa cominciava davvero a cambiare». In questo contesto emergeva con grande evidenza la fi gura dell’avvocato: «preziosi erano sempre i suoi consigli, non comuni le sue doti uma- ne, carismatica la sua personalità … ». Poco dopo la fi ne della campagna d’Afri- ca orientale, Siena si accingeva al Palio del 2 luglio 1936, dedicato all’Impero, la cui vittoria avrebbe consentito alla Giraffa di fregiarsi del titolo di Imperiale. Fu una prova di straordinaria abilità del Capitano vittorioso e dei suoi collaborato- ri, che sconfessò ogni pronostico e l’ipoteca posta dalla Contrada dell’Oca. Il candido Ruello fu montato a sorpresa da Umberto Baldini detto Bovino, un reduce d’Africa, fi ero e ribaldo ma non poco squinterna- to, che il Capitano volle al posto niente di Il Palio “dell’Impero” vinto dalla Contrada della Giraffa meno che del Funghi, fantino uffi ciale «che con Domenico Comporti Capitano vittorioso aveva fatto nascere qualche sospetto per il suo comportamento». Dopo una corsa al li- mite dell’incoscienza Bovino giunse primo 47 bre 1948, venne prematuramente a mancare lasciò alla famiglia l’attaccamento e l’amore profondo per la Contrada. Ma andiamo con ordine.

* * * La promozione di Domenico Comporti al vertice dell’Ente Provincia si realizzò al seguito della attuazione del Testo Unico della legge comunale e provinciale (3 marzo 1934), previsto dalla legge fondamentale del 31 dicembre 1932, n. 359 e ispirato, nella insi- diosa e opportunistica ottica della normaliz- zazione fascista, dell’obiettivo di garantire un nuovo diritto «che, basato sull’esigenza uni- taria dello Stato nazionale non ha negato il con- cetto dell’autonomia istituzionale dei Comuni e delle Province, intesa come rappresentanza di in- teressi distinti da quelli della società nazionale … ma pur sempre interessi pubblici che si collegano a quello dello Stato e debbono restar subordinati ». Nell’ambito della Provincia, il Rettorato

I dirigenti della Contrada della Giraffa, artefi ci del Palio (così è chiamato il nuovo organo di gover- “dell’Impero”: Clodio Coli, Lorenzo Maestrini, Gennaro no!), è di nomina governativa ed è guidato Manzo, Achille Aloigi, Egisio Corsini, Renato Maestrini; dal Preside, ferma restando la fi gura del Pre- seduti al centro il Priore Avv. Giovanni Ricci Campana, il Capitano Avv. Domenico Comporti e tra di loro il fantino fetto «cui fa capo tutta la vita della Provin- Umberto Baldini, detto Bovino cia che dal Prefetto riceve coordinazione e direttive assunte previa consultazione della al bandierino, chiudendo tuttavia qui la sua Giunta Provinciale Amministrativa». Anche carriera paliesca. per Siena si apre così una opportunità di ri- Due note sono importanti per capire i torno al potere da parte degli esponenti del- sentimenti (in qualche misura preveggenti) la borghesia operosa, della residua nobiltà, che animavano il Comporti. Relazionando dei professionisti provenienti anche da idea- sul Palio il Capitano vittorioso minimizzò lità liberali e/o massoniche, dei cattolici non subito il ruolo del denaro e dei patteggia- strettamente papalini. menti onerosi: «la vittoria è … schiettamen- E Domenico Comporti, che dal 1924 al 1928 era stato già attivo nella G.P.A. con te nostra … e ogni legame d’affari coi fanti- incarichi fi duciari vari (Commissione elet- ni è d’ora in poi da condannare». torale comunale e, poi, provinciale, Depu- Per la Giraffa egli volle il meglio anche tazione amministrativa del Monte dei Pa- in fatto di arredi della nuova sede; ma per il schi, Presidenza del Circolo Artistico), viene Palio fece subito capire che la deriva econo- nominato Vice Preside del Rettorato come mica e ippica erano nefaste (ma non è stato alter ego di Mario Tadini Buoninsegni, che ascoltato!). diverrà poi Podestà di Siena in un momento Fu Capitano fi no al 1939; poi l’impegno di crisi gravissima correlata alle nuove leggi istituzionale e l’orrore della guerra diradaro- bancarie e alla incombente nazionalizzazio- no la sua presenza «Con la consapevolezza ne della Banca, che causò il tramonto del di aver dato alla Contrada un indirizzo de- grande Sindaco Fabio Bargagli Petrucci, e stinato a rimanere nel tempo si ritirò dalla poi risolta con un ben noto regime mezza- carica (ormai inutile) di Capitano ma rimase drile protrattosi fi no alla riforma degli anni sempre vicino … non lasciando mai la colla- ’90: il tutto sotto l’occhio simbolico e vigile borazione, che la sua esperienza e il suo im- dell’intoccabile Alfredo Bruchi, dominante 48 pegno potevano offrire». Quando il 7 otto- dall’alto della Torre dei Salimbeni. Il Comporti veniva confermato alla vice- Quando lasciò il suo posto dopo la so- presidenza per un quadriennio, ma l’anno stituzione del Prefetto Pallanti e la nefasta dopo (1937) doveva subentrare, nella carica esplosione del ciclone Chiurco (novembre di Preside al Tadini Buoninsegni: e lo fece 1943) Domenico Comporti era un uomo nel segno di una felice continuità cementata invecchiato, provato dalla delusione, dalla anche dalla consuetudine familiare. fatica, dal dramma della Patria lacerata. Lo Il Rettorato restava confermato: Paolo sosteneva, oltre al calore della famiglia, la Galeotti, G. Battista Orlandini, Gino Stan- sua religiosità profonda, anche se non esi- ghellini, Mario Calamati, Alessandro Cial- bita, secondo il suo stile. Il 15 agosto 1944 fi , buoni senesi, benpensanti, fattivi, ben affi dava a un latore di fortuna una lettera lontani, tutti, da ogni intransigenza ideolo- gica. Tant’è che non mancarono i sarcasmi ai parenti dell’Impruneta, ancora in zona di di Mino Maccari che imputò al Prefetto la guerra dopo la liberazione di Siena (3 luglio) responsabilità di aver designato ai posti di «Il turbine della guerra passò anche da Siena comando uomini che sembrano scelti appo- che come vera e propria città è rimasta mi- sta per screditare il P.N.F. racolosamente intatta … pur … con tanto Scorrendo il commendevole Bollettino spavento e con sensibili danni nelle case. degli Atti uffi ciali della Provincia di Siena, si Ma ciò che conta è di essere vivi, sani e salvi ha netta la sensazione che tutto è emana- e bisogna di tutto questo render grazie al Si- zione della Prefettura (le strade, la scuola, la gnore e alla nostra cara Madonna del Voto, assistenza pubblica, la fi nanza locale e poi, che ci hanno protetto». tristemente, il regime annonario sino alle Le vicende postbelliche appena lo sfi ora- prime avvisaglie della “difesa della razza”) rono, tanto tiepida e vieppiù incredula era attraverso una fi ttissima, puntualissima tra- stata la sua adesione al regime: dovette solo, smissione di circolari e ordinanze che sono con orgoglio ma con tanto dolore provare in sostanza autentici ukase sia pure espressi che il suo cospicuo benessere economico, in garbato stile burocratico. familiare e professionale, ne aveva semmai «Con la nomina ministeriale del Rettora- to e del Preside, si era in effetti voluto mette- solo sofferto. re fi ne alla sopravvivenza dei vecchi consigli E così questa mia incursione su una vita provinciali che costituivano un anacroni- non conosciuta dai più, eppure tanto im- smo, il che meritavano senz’altro di essere portante per Siena si conclude, nella speran- eliminati». za che una volta reso disponibile l’archivio Di quest’organo di rappresentanza e co- della Provincia si ponga mano ad una storia ordinamento Comporti interpreta perfet- degli amministratori provinciali che si è ar- tamente il ruolo, soprattutto partecipando restata al 1923: e questo vuol essere un pri- all’attività del Consorzio antitubercolare, mo contributo. all’ONMI, della Università, delle Scuole Mi è doloroso terminare, ricordando che tecniche, delle Pie disposizioni, del Monte la Cronaca di Siena dei quotidiani dell’epoca dei Paschi, come Presidente e Consiglie- riportò l’indomani dalla scomparsa il solo re rappresentante della Provincia. Anche il necrologio della famiglia e l’indomani anco- lavoro effettivo in Provincia fu continuo ra la notizia che al Tribunale il collega Avv. (come riferiscono fonti private). Martini lo aveva ricordato con parole com- Non mancarono, come si è visto, le ten- mosse. Tutto qui, anche perché il conformi- sioni e le frecciate di chi si ergeva a difensore del Partito, estromesso da molte posizioni smo, che eccelleva qui come altrove, aveva di potere da parte di un Prefetto effi cientis- giustifi cato e poi riportato in auge molti simo servitore dello Stato, interprete di un maggiorenti, non curandosi più di chi si geloso retaggio di senesità. Tutto questo nel era ritratto dalla “visibilità”, facendo di ogni dopo guerra doveva essere ben riconosciuto erba un fascio e di ogni “fascio” un’erba, (per alcuni in vita, per Comporti purtroppo quella dell’oblio che talvolta salva i cattivi e in maniera postuma e tardiva). oblitera i buoni. 49 Nel 2010 erano trascorsi 250 anni dalla morte di Sallustio Bandini e 100 anni dalla nascita di Silvio Gigli, personaggi tra sè collegati soltanto dalla comune patria senese, ma capaci, entram- bi, di onorare la città natale lasciando un segno tangibile del successo conseguito nei rispettivi campi d’interesse e pure certifi cato dalla fama acquisita a livello nazionale. Tuttavia la cultura uf- fi ciale di Siena si è inopinatamente dimenticata di questi importanti concittadini e poco o niente è stato fatto per celebrarli: un torto che “Accademia dei Rozzi” prova a riparare pubblicando due saggi: alle pagine seguenti, La vita di Sallustio Bandini, edita da Carlo Ciampolini nel 1982 in un libretto rimasto purtroppo sconosciuto ai più e, da pag. 61, L’eclettismo di Silvio, una pia- cevole rievocazione della fi gura dell’indimenticabile presentatore scritta da Giacomo Zanibelli.

50 Il monumento a Sallustio Bandini scolpito da Tito Sarrocchi, qui fotografato prima dell’inaugurazione (1880). La vita di Sallustio Bandini Con note per la storia delle Accademie senesi nel ’700 di Carlo Ciampolini

L’ambiente storico in cui visse Sallustio esteriori di culto, Cosimo III con una fal- Bandini è quello di un’epoca triste per la sa moralità voleva immischiarsi negli affari Toscana e per l’Italia. È il regno di Cosimo più intimi delle famiglie fi orentine, lasciava III e del fi glio Gian Gastone. Le condizioni ogni libertà agli ordini religiosi, con la com- economiche della Toscana sono le più infe- pleta diminuzione dell’autorità statale. lici. È in questo ambiente storico che il 19 Il territorio toscano sotto il governo me- aprile 1677 nasce in Siena Sallustio Bandini diceo si compone di due stati: lo Stato vec- da Patrizio Bandini e da Caterina Piccolo- chio, che comprende la repubblica di Firen- mini. ze e di Pisa e lo Stato nuovo che comprende L’antica e nobile famiglia Bandini era ori- il Ducato di Siena, la Marsigliana e l’isola ginaria di Massa Marittima e insignita della d’Elba. Mentre Firenze è assoluto dominio Signoria di Castiglioncello nella Maremma della casa medicea, Siena almeno nominal- senese. In questa illustre famiglia rifulse la mente dovrebbe godere di una certa auto- fi gura del grande arcivescovo Francesco nomia poiché tale territorio la famiglia me- Bandini Piccolomini che piuttosto che ce- dicea l’ha avuto in feudo dalla casa di Spa- dere dinanzi alla sottomissione di Siena gna. In realtà poi questa autonomia è solo agli Spagnoli preferì con gli esuli recarsi a apparente. Dei due Ducati un po’ meglio si Montalcino. Ma dopo due anni, vista inu- ritrova Firenze che gode dei vantaggi della tile l’impresa, si rifugiò a Roma e qui forse presenza della Corte. Siena dopo l’eroica per paura dell’estinzione della famiglia no- difesa della sua libertà si è addormentata in minò erede un suo nipote per parte di don- un sonno tranquillo all’ombra del suo pas- na, nobile anche esso, certo Fedro d’Alfon- sato glorioso. La casa medicea non pensa so de Bardi. È da un discendente di questo per nulla al benessere della città. Se alcuni Fedro Bardi, Patrizio Bandini, che proviene principi di questa casa si sono occupati del Sallustio Bandini, che se non fosse stato il bene dello stato, le cure di costoro sono sta- fi decommesso si sarebbe dovuto chiamare te per il litorale tirrenico, per l’incremento Bardi e non Bandini. Si dice che più tardi il della città di Livorno, per avere uno sbocco Bandini combatté questo fi decommesso che al mare, che facilitasse i traffi ci. Ma per Sie- lo costringeva a portare un nome non suo na e per il contado non si fa nulla. Non si come il maggiorascato che veniva ad impe- pensa ad altro che a riscuotere le imposte, a dirgli una libera scelta nella vita. gravare i sudditi di nuovi balzelli, i cui frut- Fu nel 1683 che questo Patrizio Bandini ti si spenderanno poi a Firenze per il lusso (che ormai il ramo Bardi ha assunto questo della Corte. nome), sposò Caterina Piccolomini, fi glia La situazione storica del Granducato ver- del cav. Gio. Batt. Piccolomini, dei signori so la fi ne del 1600 è dominata da varie vi- di Modanella. cende politiche. La dinastia medicea dopo il E da questo matrimonio nacque Sallu- breve periodo di fl oridezza con Ferdinando stio Bandini. Ma prima di Sallustio sono già I, si incammina verso la decadenza. Il regno nati due fi gli, Alfonso e Francesco Zaverio. di Cosimo III e quello di Gian Gastone, che Quindi Sallustio è cadetto; egli non sarà l’e- sono quelli che coincidono con il tempo rede del maggiorascato, a lui probabilmente in cui vive Sallustio Bandini, presentano i non rimarrà altra scelta che il sacerdozio o segni della maggiore rovina morale e mate- la vita militare. riale del Granducato. Il governo di Cosimo Comincia i suoi studi presso i padri ge- III rappresenta il trionfo della bigotteria e suiti del convento attiguo alla sua casa di della superstizione. Tutto dedito a pratiche San Vigilio e qui vi impara le prime nozioni 51 di grammatica, aritmetica e geografi a e poi lo privava del patrimonio famigliare. Il fra- la logica metafi sica e morale, quegli studi tello Francesco Zaverio si era dato anche lui che in quel tempo si chiamavano di umani- alla vita sacerdotale, era divenuto canonico tà. I genitori lo iscrivono poi all’Accademia e a lui il Bandini era molto affezionato. Può detta degli Arrischiati, un collegio di giovani darsi che anche egli abbia esercitato un’in- nobili che si esercitavano nelle lettere, negli fl uenza sull’animo di lui. esercizi d’arme, nelle riunioni accademiche Nella politica estera durante la guerra di proprie di quel tempo. Ma Sallustio è tut- successione di Spagna, partendo dal con- to contento, forse annoiato dalla vacuità di cetto di volere la neutralità ad ogni costo, quegli studi e dalla vita falsa dell’ambiente approvò come linea direttiva la politica di che lo circonda, quando può lasciare la città Luigi XIV, che non riusciva però a sottrar- e recarsi a Castiglioncello Bandini là, dove si alle pretese delle altre potenze. Intanto gli ultimi contrafforti dell’Amiata scendono un problema grave, quello della successio- verso la desolata pianura maremmana, nel ne, incombeva sulla dinastia medicea, che suo castello avito, in mezzo ai campi dove in mancanza di eredi maschi stava per spe- incomincia a sorgere in lui quell’interesse gnersi. Invano Cosimo III aveva cercato fa- speciale per le faccende agresti, per le con- vorendo i matrimoni dei membri della sua dizioni economiche dei contadini, per lo famiglia di avere un successore: tutti questi studio dei fatti sociali. È un’esperienza che matrimoni avevano avuto un esito cattivo. fi no da giovane egli apprende dal contatto Il fratello Francesco Maria, che era cardina- diretto con la vita e che gli darà poi nello le, rinunciò alla dignità ecclesiastica e sposò svolgimento della teoria quel vivo senso del la principessa Gonzaga di Guastalla, che si reale, di cui è tutta improntata la sua opera. rifi utò di convivere con il marito per la sua Ritornato in Siena riprende gli studi di di- obesità. Il fi glio Ferdinando sposò la princi- ritto nello Studio dove apprende il diritto pessa Beatrice Violante di Baviera ma anche civile da Galgano Lucherini, il diritto cano- questa unione fu sterile e Ferdinando morì nico da Iacopo Mignanelli, mentre dal pa- prima della moglie nel 1713. L’altro fi glio dre Mascalchi, minore conventuale, viene Gian Gastone sposò una principessa di Sas- erudito nelle sacre scritture e nella teologia sonia Lauenbourg, vedova del conte palati- morale. È dichiarato poi dotto nella legge no Filippo di Neubourg; ma anche da que- civile e canonica. sto matrimonio non si ebbero fi gli. L’ultima, Di questa sapienza giuridica darà in se- la fi glia Anna Maria Luisa sposò l’elettore guito molte prove quando sarà chiamato a del Palatino e poi rimasta vedova ritornò a risolvere intrigate questioni ereditarie, a dar Firenze; qui dovette assistere alla fi ne tragi- pareri su casi controversi. E non solo scolaro ca della famiglia. Tutti matrimoni combinati ma nello Studio di Siena fu anche lettore di solo per ragioni politiche, destinati a crea- diritto canonico. È in questo tempo che il re degli intrighi, a far sorgere delle tragedie Bandini diviene famigliare con due illustri familiari, solite accadere nella famiglia dei senesi, il fondatore dell’Accademia dei Fisio- Medici fi no dagli inizi del regno. critici, Pirro Maria Gabbrielli, e Uberto Ben- È in questo momento che intrighi e ma- voglienti, erudito di grande valore in quel neggi intervengono fra le potenze europee tempo e che fu poi in relazione epistolare per regolare a loro modo la successione me- con il Bandini. Egli comincia, si può dire, a dicea. Infatti con il trattato di Londra del respirare quell’aria nuova che si propagava 1718, detto della Quadruplice Alleanza, si dall’Accademia dei Fisiocritici di cui alcuni stabilì che Don Carlo fi glio di Filippo di membri criticavano il metodo aristotelico e Spagna e di Elisabetta Farnese dovesse avere risentivano del pensiero scientifi co del gran- l’investitura del regno di Toscana ed infatti de Galileo. il principe ereditario di Spagna sbarcò a Li- In questo tempo nel 1703 si manifesta vorno il 27 dicembre del 1731. E il granduca nella vita del Bandini il desiderio di dedi- Gian Gastone, che era successo a Cosimo carsi allo stato ecclesiastico. Questo cambia- III dovette assistere senza potere far nulla mento ad un’età non tanto giovanile non all’arrivo di chi giungeva come designato appare tanto chiaro. Forse fu l’effetto di per prendergli il regno. Cosimo III aveva una crisi giovanile o il desiderio di una vita tentato con un abile espediente politico di 52 tranquilla o il fatto del maggiorascato che dimostrare che le potenze europee non po- Sallustio Bandini ritratto in due xilografi e della seconda metà del XIX secolo tevano immischiarsi nella questione della Turchi, si formò un Consiglio di Reggenza, successione dello stato fi orentino perché la presieduto dal plenipotenziario del Grandu- fonte della sovranità della casa medicea ve- ca, Marco di Beauvan Principe di Craon. niva dal popolo, che dopo l’eccidio del duca Alessandro aveva eletto Cosimo I. Ed a un * * * istituto che aveva perso ogni autorità, il Se- Passiamo ora ad esaminare le condizioni nato fi orentino, si cercò dopo tanto tempo economiche e spirituali dello Stato senese di dare nuova vita ed importanza per una durante il periodo di tempo che corrispon- ragione così contingente e particolare. In- de alla vita di Sallustio Bandini, cioè verso fatti Cosimo III fece approvare dal Senato la fi ne del Seicento e i primi anni del Sette- fi orentino una deliberazione con la quale si cento. Pochi avvenimenti storici sono degni stabiliva che la successione dovesse passare di rilievo in questo tempo. L’ambiente sene- in linea femminile alla fi glia di Cosimo III, se è quello di una vita tutta forma, grigia e Anna, vedova dell’Elettore Palatino. E fu monotona. Sono ancora in voga le vecchie questa principessa che, come abbiamo detto magistrature ma tutta l’opera di governo si fu presente, come ultimo avanzo della dina- svolge senza una intima vita spirituale, ligia stia alla fi ne della famiglia, e per opera della solo ad un freddo cerimoniale. Le famiglie quale fu assicurato a Firenze e poi all’Italia illustri devote alla casa medicea si consuma- tutto quell’ingente patrimonio artistico e no in atti di vana cortigianeria, si baloccano letterario che molti principi di casa Medi- nelle ciance accademiche, mentre i preposti ci avevano raccolto con tanto zelo. Così si alla cosa pubblica per conto del principe estinse la famiglia dei Medici con la morte non pensano ad altro che a portar via dena- dell’ultimo Granduca Gian Gastone, la cui ro per arricchire a Firenze il pubblico erario. vita privata fu macchiata dai vizi più volgari. Certo è che trovandosi una volta nella Così ad una dinastia fi orentina sottentra sua villa di Castiglioncello in occasione di una dinastia straniera che invisa in un primo una cerimonia religiosa che si celebrava in momento riuscirà poi ad affermarsi con tut- famiglia, improvvisamente egli annunciò ai to il movimento riformatore impresso alla suoi il desiderio di consacrarsi alla vita sa- Toscana dal grande Pietro Leopoldo. cerdotale. Voto che fu accolto dai famigliari La Toscana venne con il trattato di Vien- con grande piacere. Un chierico di tale pre- na assegnata a Francesco Stefano duca di parazione culturale doveva far presto a com- Lorena, marito di Maria Teresa e genero pletare la sua cultura teologica ed infatti nel dell’imperatore Carlo VI d’Austria. Ma poi- 1705 celebrò la sua prima messa. E questo ché questo non poté venire subito in Firen- giovane sacerdote dotto nelle dottrine eccle- ze perché impegnato nella guerra contro i siastiche e non minore ad altri per lo zelo 53 religioso, doveva ben presto assurgere ad alti stio Bandini, priore in quest’anno del Coro, onori nella gerarchia ecclesiastica. che colla sua prudenza ed attenzione diresse Fu in questo tempo che il Bandini ebbe con tutto l’ordine e quiete immaginabile le occasione di fare un viaggio nell’alta Italia sacre funzioni»1. a Mantova. Infatti il marchese Ferdinando Un fratello dell’arcivescovo Alessandro Nerli che aveva da regolare delle questioni Zondadari era Marco Antonio Zondadari. d’interesse con un suo fratello, colà residen- Questo era nipote dal lato materno del Pon- te, pensò di portare con sé il Bandini che si tefi ce Alessandro VII perché fi glio di Agne- era già acquistato la fama di insigne giurista se Chigi. Era nato a Siena nel 1658. Venne e che aveva già in Siena risolto con grande mandato a studiare nel collegio dei Nobili a soddisfazione delle parti intrigate controver- Parma e ancor giovanissimo entrò a far parte sie giuridiche. Il Bandini risolse le questioni dell’ordine gerosolimitano di Malta. esistenti tra questi due fratelli ed ebbe anche In occasione della nomina di Marco An- occasione di visitare quei luoghi e stringere tonio Zondadari a Gran Maestro del sacro a Mantova autorevoli amicizie. militare ordine il Bandini, in una solenne Frattanto si rese vacante la prebenda ca- riunione dell’Accademia degli Intronati, il nonicale di S. Maria in Betlem, una chiesetta 25 aprile 1720, ne recitò l’elogio. in prossimità di Siena fuori Porta Romana. In questo tempo è governatore di Siena Ora la concessione di questo benefi cio per il prima il fratello di Cosimo III, il cardinale diritto di patronato spettava al discendente Francesco Maria, la cui vita era tutta dedita legittimo della famiglia Piccolomini che era alla mondanità e che spesso abbandonava allora il conte Don Giuseppe Celano, princi- Siena per recarsi a vivere alla Corte a Firen- pe della Valle. Fu questi che in contrasto con ze. L’altra che fu mandata come governatrice il vicario generale Orazio Piccolomini d’A- a Siena fu la principessa Violante di Baviera ragona nominò Sallustio Bandini canonico allorché rimase vedova del principe Ferdi- con la prebenda spettante a detta chiesa. nando, fi glio del Granduca Cosimo III. L’arcivescovo di Siena Leonardo Marsi- Quando la principessa fece il suo ingres- li lo amava con particolare affetto e grande so trionfale in Siena da porta Camollia il fu il dolore per il nostro canonico quando 15 aprile del 1717 si fece una grande festa, questi venne a morire nel 1713. A succes- di cui ci è stato tramandato il ricordo con sore di Leonardo Marsili venne nominato pubblicazioni e stampe. Fra coloro che pre- arcivescovo di Siena l’arciprete della stessa sero parte al ricevimento fu anche il nostro cattedrale Alessandro Zondadari. Sallustio Bandini, che grazie alla sua illustre L’Arcivescovo Alessandro Zondadari pre- casata aveva il biglietto d’invito d’oro, cioè se possesso dell’arcivescovado di Siena il distintissimo. Ma anche questa principessa, giorno 11 Agosto 1715. che era stata mandata a Siena per allonta- La descrizione della solenne entrata narla da Firenze, vi dimorava ben poco, dell’arcivescovo Zondadari si trova in un li- perché spesso si recava nella sua bella villa bretto, dove narrando tutti i particolari della di Lapeggi, in val d’Ema. Essa si dava delle festa si accenna anche a Sallustio Bandini. arie da letterata e da ispiratrice della poesia Descrivendosi l’ordine del corteo si dice: e dell’arte. Infatti a Siena accettò di far parte «Andavano primieramente avanti come di dell’Accademia detta delle 13 Assicurate, ed sopra s’è detto le Confraternite Religioni acconsentì anche ad essere iscritta nell’albo e Clero venendo in ultimo sotto la Croce degli Accademici Intronati, con l’appellati- Arcivescovale posta in mezzo da due Ce- vo di Impareggiabile e presiedette anche alle roferari, il Reverendissimo Capitolo della riunioni dell’Accademia. Metropolitana, cantandosi nel ritorno da’ Lo scritto per Marco Antonio Zondadari Musici della Cappella di quella Chiesa vari è stato stampato ed è una delle opere minori sacri Inni della Beatissima Vergine Nostra di Sallustio Bandini. Ha un tono solenne e Signora e dei santi nostri Avvocati, ed altri non è scevro in alcune parti di una effi cacia spirituali cantici e salmi prescritti dal nobile oratoria. Il Bandini comincia ricordando i e reverendissimo sig. Arciprete Dott. Sallu- due illustri fratelli del festeggiato, uno già

1 Descrizione dell’entrata dell’illustrissimo e reve- sessione del suo arcivescovado in Siena il dì XI d’Agosto 54 rendissimo Monsignor Alessandro Zondadari alla pos- MDCCXV; Siena, 1715. «ingrandito della sacra porpora in ricom- vivere, egli con la larga sua mano, con l’ef- pensa dovuta alle sue segnalate fatiche, l’al- fi cace sua premura assegnavale l’alimento; tro forzato da’ nostri premurosi voti a riem- in somma smascherata e sbandita per opera pire di lustro questo trono arcivescovile ». Il sua la pigrizia ed introdotto di dispensarsi, discorso è tutta una lode delle imprese mi- un autentico contrassegno all’impotenti e litari di Marcantonio Zondadari compiute necessitosi col quale si distinguessero dagli in occasione delle guerre marittime contro infi ngardi ed oziosi i miseri si ritrovavano i Turchi. meglio soccorsi e le Arti e la Campagna più «Debbo portarmi con i miei pensieri a abbondevoli di lavoratori». quei fortunati lidi di Malta su quali parmi Ed il Bandini continua con un certo vedere tanti prodi cavalieri fi gliuoli di que- rammarico dicendo che « se queste sì pie, sì sta patria» tale è il tono iniziale dell’ora- profi ttevoli e lodevoli costumanze allonta- zione. Allo Zondadari si deve se Malta ha nandosi il raggio benefi co degli occhi suoi raddoppiato le sue opere di fortifi cazione, a sono si per nostra disavventura alquanto lui se di nuovi allori si è ricoperto l’ordine intiepidite, mantiene almeno il suo primie- gerosolimitano. E ora si può notare ancora ro vigore quell’albergo devoto a cui egli in- una volta la bontà innata del Bandini e nello sieme coll’Istituto diede anco il nome della stesso tempo il suo spirito di modernità. Ciò pietà e che a mendicanti fanciulli e verginel- che lo colpisce di più nella vita di questo le d’alimento provvede e direziona». gentiluomo è il fatto che allorché avvenne Ora accadde che il 16 giugno morì a Mal- in Siena un terremoto, mentre i ricchi fuggi- ta Marco Antonio Zondadari e il Bandini ne rono dalla città, lo Zondadari che si trovava tessé a Siena l’elogio funebre. Questa opera a Firenze ritornò invece a Siena per portare non si trova stampata. il suo aiuto. Ecco nello stile vivo dello scrit- Nel «Giornale de’ Letterati d’Italia»2, tore la narrazione del fatto. compilato in gran parte da Apostolo Zeno, «Quando con orribile e continuo squoti- trovasi un articolo in lode dello Zondadari. mento talmente crollavano che pareva s’ur- L’autore di tale articolo dice che le notizie tassero vicendevolmente questi vasti edifi zi relative gli sono state comunicate da un e questa terra minacciava di assorbir le fab- concittadino dello Zondadari, concittadino briche più sublimi e d’appianar colle sue «per nobiltà e per letteratura cospicuo». scosse i monumenti più stabili e signorili di Ora tale cittadino con ogni probabilità è questa nostra città, onde spaventosa cosa era Sallustio Bandini, anche perché l’autore lo a vedere vuote le case, popolarsi le più aper- cita come nobile letterato. Il Beccarini dice te campagne de’ pallidi timorosi e soprafatti che lo Zeno valendosi di una certa astuzia abitatori e le tende più rustiche ridotte ad avrebbe indotto il Bandini a consegnarli il essere il più fortunato ricovero che si pro- testo di tale discorso con la promessa che cacciasse la gente più nobile e delicata». non avrebbe citato il suo nome per non Lo Zondadari «qua se ne venne ad ag- offendere la sua modestia. Questo discor- giungere con esempio sì eroico animo ai so sarebbe quello pubblicato sul Giornale nobili, a confortare con le sue voci l’artieri dei Letterati d’Italia. In tale articolo l’elogio a sollevar con generose limosine i bisognosi, che lo scrittore fa dello Zondadari è quel- a far argine in somma egli solo a quella fuga lo di aver fondato in Siena un ospizio dove precipitosa». i fanciulli più poveri e le giovanette siano E ciò che il Bandini mette maggiormente mantenuti per imparare i mestieri e i buoni in rilievo sono le opere di pietà dello Zon- costumi. dadari. Ritorniamo ora alle vicende della vita del «Se ad alcun artefi ce mancava il lavoro, nostro Bandini. Egli co’ nobili si impiegava per proveder- Essendo stato nominato come abbiamo glielo, se ad alcun mendico manca l’arte, detto, arcivescovo di Siena Alessandro Zon- Egli s’adoperava cogli Artefi ci acciocchè l’i- dadari che era l’arciprete della cattedrale, struissero, se a qualche famiglia mancava il veniva ad essere vacante questo uffi cio e a

2 “Giornale de’ Letterati d’Italia”. Tomo Trente- Venezia 1726 appresso Gio. Gabbriello Hertz. (art. simosettimo Anno 1725. Sotto la protezione del se- XI): Elogio di Pr. Marcantonio Zondadari, gran maestro renissimo Gio. Gastone - Gran Duca di Toscana. In del sacro ordine gerosolimitano. 55 tale dignità ecclesiastica venne innalzato il vocati celebri di quel tempo e riuscì a siste- nostro Sallustio Bandini nell’anno 1715. mare abbastanza bene gli affari della nipote, Il Bandini fi no da quando era canonico che si presentavano prossimi alla rovina. dedicava al Capitolo della Cattedrale tutta È in questa occasione e in questo tempo la sua operosità. Ed infatti tutte le volte che che il Bandini dimora in Roma, ammira i il Capitolo si trovava impigliato in qualche grandi monumenti dell’antichità, e ne scrive controversia giuridica, ci si rivolgeva alla ad Uberto Benvoglienti dicendogli che desi- sapienza legale del Bandini. Così fu in oc- dererebbe aver il suo buon gusto per apprez- casione della morte dell’arcivescovo Marsili zarli meglio. per una pendenza sorta tra la Mensa arcive- scovile ed il cav. Alessandro Marsili, erede * * * del defunto arcivescovo. E lo stesso accadde Veniamo ora ad un altro fatto che mostra anche in altra circostanza, quando si discusse la mente del Bandini portata più allo stu- nel Capitolo se si doveva accettare l’eredità dio delle scienze positive anziché a quello del decano Orazio Piccolomini d’Aragona, delle lettere inteso come un puro esercizio che era stato vicario generale della diocesi di forme verbali, proprio dell’insegnamento di Siena. Questa eredità era oberata di debi- di quel tempo. Il Bandini fi no dal 1702 era ti e a molti canonici sembrava meglio non stato iscritto alla compagnia della Madonna accettarla. Il Bandini invece con una analisi sotto lo Spedale, una confraternita che aveva minuta della consistenza patrimoniale di- sede nelle grotte poste sotto l’antico Spedale mostrò il contrario e affermò che con una di Santa Maria della Scala e che era dedita buona amministrazione si potevano pagare ad opere di pietà e fervore religioso. La So- i debiti, soddisfare i legati e conservare l’in- cietà era solita distribuire ai giovani vincitori gente patrimonio. di un esame degli assegni fi ssi tratti dal lega- Così nel Capitolo egli veniva acquistan- to dei fratelli Mancini ad essa lasciato per do sempre maggiore autorità e quando nel promuovere l’istruzione della gioventù. Pare 1723 morì l’arcidiacono Giulio Luigi Ugur- che l’esame consistesse solamente in esercizi gieri, l’arcivescovo Zondadari senza porre di lingua latina. Ora il Bandini insieme con nessuno indugio nominò arcidiacono Sallu- altri soci venne nominato per compiere una stio Bandini. Con tale titolo lo indicavano riforma sul modo di tenere questi esami. Ri- i contemporanei e così lo appelleranno nel- mane nell’archivio della Società la relazione la storia dell’economia quelli che poi scri- fi rmata dal Bandini insieme agli altri colle- veranno su di lui. Veniva così ad essere in ghi del 7 Ottobre 1731. possesso di nuove prebende, di nuove terre In questa relazione si afferma che i mem- da amministrare, ma nonostante i beni aviti bri della Commissione si sono preoccupati e questi che ad essi si aggiungevano, i suoi di sentire il parere non solo dei letterati della biografi dicono che il Bandini non fu mai città di Siena ma anche di quelli tra i più illu- ricco perché donava gran parte del suo in stri che siano presenti in Italia e che si sono elemosina ai poveri. trovati concordi che «dovesse con questo Alla sua bontà e alla sua abilità di giuri- esame procurarsi che i giovani imparassero sperito si rivolgevano anche i membri della a ben pensare e a raziocinare con metodo sua famiglia. Ogni volta che vi era da rime- ed a esprimere i loro sentimenti sia in latino diare a qualche male nel patrimonio fami- che in volgare e perché per ben pensare e gliare ci si rivolgeva subito al nostro Sallu- raziocinare non dobbiamo partirci dalle re- stio. Fu lui che salvò da una critica condi- gole della logica e della geometria le quali in zione economica la nipote Virginia, fi glia ogni tempo ed appresso le nazioni più culte del fratello Alfonso; sposata al marchese sono state credute il miglior e unico eserci- Alessandro Bichi Ruspoli residente in Roma zio delle studiose gioventù». e tesoriere della Camera Apostolica. Questo L’esame consisterà in una prova in cui si Alessandro Bichi Ruspoli dopo avere speso tradurranno due passi di un autore latino e gran parte delle sue ricchezze, morì lascian- in un’altra in cui si spiegherà una proposi- do la moglie alle prese con i creditori. Il no- zione di Euclide ed un capitolo o quesito stro arcidiacono partì subito per Roma, stu- dell’ars cogitandi. Per la geometria di Eucli- diò bene la causa, compì dei viaggi a Siena de si terrà presente un libro ristretto di Vin- 56 e Firenze, discusse in Roma con alcuni av- cenzo Viviani e per la logica un libretto dal Carmela Ceccherelli, Copertina miniata per un volume della Storia del Monte dei Paschi di Narciso Mengozzi (1897), con al centro il ritratto del Bandini. (Arch. St. del Monte dei Paschi, Siena) 57 titolo «Ars cogitandi». I commissari stima- Studio disse che mosso dallo zelo della sua no anche «di dover scemare il numero degli patria voleva donare alla pubblica Università autori latini che si devono conoscere e di dello Studio i suoi libri trattanti le varie mate- eccettuare ancor più le opere di Cicerone di rie scientifi che, libri che egli si era procurato quello che allora fossero eccettuate». acquistandoli con i denari avanzatigli dalle Quattro sono gli autori in versi che bi- prebende ecclesiastiche. Aggiunse di dona- sogna conoscere: Terenzio, Virgilio, Orazio, re anche le scansie per riporvi i libri. A tale Fedro e quattro gli autori in prosa: Cornelio donazione egli poneva come condizione che Nipote, Giulio Cesare, Sallustio e Cicerone. come custode di tali libri venisse nominato «I concorrenti dovranno scrivere in lingua in un primo tempo il suo prediletto segreta- toscana le traduzioni degli autori latini e pa- rio Giuseppe Ciaccheri con lo stipendio di 60 rimente in lingua toscana la dimostrazione scudi all’anno, che di questi libri non ne fosse della proposizione di Euclide ma dovranno mai data lettura fuori della biblioteca, che la scrivere e distendere in lingua latina il capi- biblioteca stesse aperta quattro ore al giorno, tolo o quesito dell’ars cogitandi». che di tale donazione si stendesse pubblico La relazione è fi rmata da Lucrezio Ven- istrumento e si desse comunicazione all’Im- turi, priore della Deputazione e dai deputati peratore granduca. Pandolfo Spannocchi, Salustio Bandini, Er- Si procedé infatti all’esecuzione del pub- cole Antonio Squarci, Giov. Battista Teruc- blico istrumento e si inviò dal Rettore dello ci, deputati. studio un memoriale al Governo a Firenze Il Bandini deve avere avuto una parte im- che il numero dei libri di diverse materie era portante nella compilazione della relazione e circa 2880 e si raccomandava una sollecita fatto prevalere le sue idee in contrasto a quel approvazione di tale atto che stava tanto a formalismo letterario che costituiva la scien- cuore al donante perché esso in età avan- za di quel tempo. Questo metodo di esame zata aveva paura di non giungere in tempo venne modifi cato e si ritornò all’antico. a mandare ad effetto questo suo desiderio. Nell’archivio della Società esiste traccia Giunse la risposta della Reggenza a fi rma di una proposta di levare dall’esame la geo- del Maresciallo Botta - Adorno con cui si metria perché si afferma che «anco senza la approvava tale donazione e si ordinava di geometria uno può divenire eccellente in darne esecuzione. E il segretario Pandolfi ni molte professioni come è notorio e questa che accompagnava il rescritto del Consiglio proposta passò con deliberazione in data 11 di Reggenza incaricava a nome di questo i Settembre 1740 e così fu tolto l’esame sopra Deputati dello Studio a signifi care all’arci- la geometria e sopra la logica». diacono Sallustio Bandini il gradimento e Il Bandini sistemò nella sua casa i suoi li- l’applauso con cui il Consiglio ha ravvisato bri, aprì agli amici l’adito alla sua biblioteca nella sua generosa disposizione il suo amore per promuovere specialmente l’istruzione del per la patria e il suo zelo per la propagazione clero, di cui conosceva il bisogno di una cul- degli studi. tura più elevata. Il Bandini si era procurato Il Ministro Pompeo Neri il 7 Febbraio questi libri mercé le sue relazioni con lettera- 1759 gli scriveva una lettera con la quale gli ti e uomini infl uenti delle altre città italiane, diceva di avere appreso con particolare pia- con i quali manteneva continua corrispon- cere la sua lodevole risoluzione di donare denza. Erano di teologia, metafi sica, scienze all’Università la sua bella libreria ed aggiun- religiose, opere di pietà, e poi vi aggiunse an- geva: «Siccome lo riconobbi un effetto del che libri di economia, commercio ecc. Noi di lei zelo per il ben pubblico, mi sono dato abbiamo l’elenco di questi libri e ciò è impor- tutta la premura di contribuire all’adempi- tante perché da esso si può trarre la genesi del mento delle sue mire. Suppongo che V.S. Ill. pensiero economico del Bandini. ma possa essere rimasta contenta dei prov- Ora il Bandini che già anteriormente ave- vedimenti che questo Imperiale Consiglio va manifestato la volontà di donare i suoi ha pensato doversi prendere; e quando Ella libri allo Studio di Siena il 19 dicembre del abbia qualche cosa da dire potrà conferirme- 1758 si decise a tale atto. Convocato nella sua la, ed io avrò tutto il piacere di secondare la biblioteca il Rettore e la Deputazione dello di Lei volontà»3.

58 3 Bibl. Com. Sen., “Carteggio del Ciaccheri” P. VI, 2, pag. 397. Sembrava che tutto dovesse proceder Bandini - quod ingentem esquisitorum vim regolarmente, invece sorsero delle contro- - magnis impensis paratam - publico patriae versie per la collocazione di questi libri. Il civiumque bono vivens dicaverit - imago rescritto della Reggenza aveva proposto di iussu principis decreta - Anno MDCCLIX». porli nella Scuola Magna, ma molti degli ac- Pare che questo sia stato l’unico onore at- cademici degli Intronati si mostrarono con- tribuito al Bandini durante la sua lunga vita. trari avendo paura di essere scacciati dalla Ormai il nostro arcidiacono ha già passa- loro sede. Essi sussurravano che questo lo to l’ottantina, però è sempre operoso, pensa volevano i Rozzi, gli altri Accademici i qua- sempre ai suoi studi, alla biblioteca, ai fedeli li essendo borghesi, venivano malvisti dagli allievi che lo circondano con cure premu- Intronati che erano di stirpe nobiliare. rose. Infatti il Ciaccheri in una lettera scritta Esisteva in Siena fi no dal 1690 l’Accade- all’abate Girolamo Carli in data 6 Marzo mia dei Fisiocritici fondata da Pirro Maria 1758 diceva testualmente: «Che ne dice del Gabbrielli patrizio senese professore di me- regalo del nostro monsignore Arcidiacono, dicina e di botanica nello Studio di Siena. non vi par egli una azione eroica? Egli ha Essa aveva come principio il detto di Lucre- seguito gli apostoli, quando dissero, reli- zio «Veris quod possit vincere falsa» e nelle quimus omnia, ha donato fi n le scanzie e memorie dei suoi adepti si diffondeva lo spi- li scaffali e nulla si è riserbato. Provisional- rito antiaristotelico e si faceva appello nella mente la libreria è stata collocata nella se- ricerca del vero allo studio diretto della na- conda scuola della Sapienza, aspettandosi tura. È l’infl uenza esercitata in questo tem- la risoluzione di Firenze della collocazione po dall’Accademia del Cimento e dallo spi- stabile. La Reggenza aveva detto nel Rescrit- rito galileiano. Nelle memorie accademiche to, che se non vi fossero repugnanze notabi- di questo tempo alcuni scienziati discutono li, si accomodasse nella Scuola Magna. Ma anche problemi di metodologia scientifi ca, questi nostri Intronati illustrissimi (almeno si fanno difensori della nuova concezione la più inferma parte cioè gli sciocchi) hanno meccanica dell’universo, sostenitori di una attaccato battaglia e l’Arcidiacono vuol esse- nuova fi sica combattono i pregiudizi degli re spettatore, e non campione»4. aristotelici. In principio si occuparono solo E in una lettera in data posteriore allo di problemi fi sici, ma più tardi i Fisiocriti- stesso abate Carli accenna nuovamente a ci si dettero anche allo studio dei problemi questi contrasti: «La Scuola Magna, o sala morali ed economici. Il Bandini risente di degli Intronati, era stimata la più opportuna queste correnti di idee quando afferma nel e nobile, ma li signori accademici urlavano sommario che le ragioni metafi siche non e strepitavano, come se fossero scannati, contano e che è meglio addurre prove trat- dicendo che si volevano sloggiare, e che lo te dall’esperienza. Ora questa Accademia spirito di partito, vale a dire dei Rozzi, ave- da molti anni era andata in decadenza ed va operato questo maneggio, e cose simili. allora alcuni membri pensarono di elegge- Insomma per non seccarvi più colle nostre re il nostro Bandini ad accademico e a loro civili discordie, vi dirò che presentemente è Principe cioè a Presidente come diremmo collocata nella seconda scuola dirimpetto nel linguaggio odierno. Il Bandini sebbene alla porta e si è cominciato a pulir quella dedicò tutta la sua opera al risorgere dell’Ac- accanto ...». cademia e pronunciò il 21 Luglio 1759 un Finalmente dopo queste misere vicende discorso in cui, dopo essersi domandato per anche per l’autorevole intromissione a Fi- quali ragioni rimaneva a capo di questa Ac- renze di Pompeo Neri la biblioteca del Ban- cademia, dove non «solamente alle passioni dini trovò sede nell’Accademia e fu il primo si fa aspra guerra ma anche a certi errori che nucleo di quella che è oggi la Biblioteca de- diconsi pregiudizi i quali bevuti insieme col gli Intronati. Vi si pose nella sala il ritratto latte paiono voci della natura», fa un elogio dell’arcidiacono dipinto in cappa e abito del fondatore dell’Accademia Pirro Maria talare a olio su tela fatto dall’artista senese Gabbrielli. Parla della costanza di cui il Gab- Ferdinando Maria Campani con sotto la brielli ebbe bisogno «per attaccare di punta scritta dove è detto: «Sallustio Arcidiacono egli solo certi principi che il possesso di lun-

4 Bibl. Com. Sen., Ms E. VII, cart. 122 t. 59 ghi secoli canonizzati aveva come incontra- Il Savini dice che il Bandini in questo ul- stabili». Ricorda poi come egli sapesse ma- timo scorcio della sua vita considerò l’Acca- neggiare in tal maniera il suo tempo «onde demia dei Fisiocritici come la sua biblioteca, quantunque occupato fosse quanto altro continuò a frequentare le tornate accademi- mai nelle visite degli infermi, non risparmia- che e si dovette alla sua persona se il nuovo va studio né spesa per indagare i rimedi, e se Governo granducale concesse all’Accademia dispendiosi fossero oltre alle forze di quegli, notevoli benefi zi. a proprie spese e colle proprie mani lieta- Ma quando ancora il Bandini svolgeva mente glieli preparasse». Nella stessa nota il questa sua attività scientifi ca, ad ottantatre Bandini, tutte le volte che deve fare l’elogio anni una breve malattia lo colse ed il gior- di qualcheduno, insiste sempre nel mostrar no 8 giugno 1760 egli fi nì la sua lunga e la- il lato caritatevole che a lui sembra la parte boriosa giornata tranquillamente passando più apprezzabile nell’uomo. dalla vita terrena alla vita eterna. Gli si re- Il nostro arcidiacono continua poi a par- sero decorosi funerali ma lo spettacolo più lare delle fatiche spese da Pirro Maria Gab- bello fu come dice il Ciaccheri in una lettera brielli per la costruzione della meridiana so- al Carli «le lacrime dei poveri che corteggia- lare e delle altre macchine fi siche e dell’ope- vano continuamente la sua bara». ra occorsa per tenere insieme una schiera di E se si tiene presente la sua vita il migliore giovani che dovranno oggi far risorgere l’Ac- elogio sono le parole pronunciate dal Savini cademia. Dopo il discorso dell’accademico quando tessendone le lodi in una solenne abate Guido Savini che tributò delle lodi al riunione dell’Accademia dei Fisiocritici lo Bandini un altro accademico lesse un sonet- defi nì «uomo di pietà illuminata, di costumi to che terminava con la seguente strofa: innocenti, di cuore grande e benefi co, d’in- clinazioni nobili e virtuose, generoso amico, se v’é chi arte del sapere insegni buon cittadino, esemplare ecclesiastico, Fi- Se oggi Sofi a torna a sedere sul Trono losofo ancora, se questo nome conviensi a Gloria è di Pirro e di Salustio è il dono. uno spirito tenacemente attaccato al vero e innamorato delle dottrine».

60 Frontespizi di opere scritte da Sallustio Bandini. L’eclettismo di Silvio di Giacomo Zanibelli

Valerio Castronovo, nel suo libro sul Mi- racolo economico1, ci parla del boom che investì l’Italia negli anni dal 1958 al 1963; il “calabrone” industriale che riusciva a spic- care il volo divenne un mito; in quegli anni si trasformò radicalmente la società italiana.

Un sistema industriale, che sembrava un cala- brone tozzo e greve, aveva perciò messo le ali per volare in alto e non più radente di qualche spanna dal suolo2.

La fi gura di Silvio Gigli si colloca proprio all’interno di questo nuovo mondo che si aprì con il miracolo economico. Il suo eclet- tismo lo portò ad essere un alfi ere di questi nuovi modelli culturali che si stavano dif- fondendo in Italia. Ricordarlo adesso ha un signifi cato particolare visto che, nel 2010, si sono celebrati i 100 anni dalla sua nascita, l’Accademia vuole rivolgere un pensiero af- fettuoso ad un grande personaggio del pa- Silvio Gigli nelle sue vesti tradizionali di presentatore norama senese3. Silvio iniziò a scrivere per la Nazione sposta, Radio-Quiz iniziato nel 1944 dalle nel 1927, in seguito passò al quotidiano il frequenze di Radio Firenze Libera. Si tratta- Telegrafo. Lavorò nell’EIAR4 ed a Radio Igea, va di una trasmissione a premi che doveva programma radiofonico rivolto ai malati che alleviare le sofferenze della popolazione di- si trovavano negli ospedali. Nel 1939 con- straendola dalle atrocità della guerra; sono dusse l’Ora del dilettante, dove scoprì, tra gli vere e proprie perle di comicità alcune sue altri, Salvatore Accardo e per Alberto Sordi battute come ad esempio quando si rivolse creò la macchietta di “Mario Pio”. Nel 1942 ad un concorrente esclamando: “Lei ha una si occupò della trasmissione il Terziglio, alla cravatta color singhiozzo di pesce”. Potremmo cui realizzazione contribuirono autori del defi nire Silvio Gigli il precursore di Lascia calibro di Ruggero Maccari e Fellini. e Raddoppia, uno dei padri fondatori del L’apoteosi professionale del Gigli però si quiz italiano, di sicuro Silvio seppe cogliere, ebbe con lo storico programma Botta e Ri- tra i primi, i cambiamenti che nella seconda

1 Il riferimento è al libro V. Castronovo, L’Italia 3 Vorrei ringraziare il nipote di Silvio, Giovanni del Miracolo economico, Laterza, Bari, 2010. Il volume ci Gigli, per la preziosa collaborazione e la disponibi- offre un interessante affresco sulla crescita economica lità verso chi scrive nel ricordare eventi ed aneddoti italiana degli anni 60, mostrandoci anche i cambia- dell’amato zio. menti verso una società di consumo in cui i media 4 EIAR, sigla per Ente Italiano per l’Audizioni Ra- divennero i draghi trainanti della popolazione. Basti diofoniche. Ente pubblico attivo nel ventennio fasci- ricordare i successi di Lascia o Raddoppia e di Caro- sta svolse il ruolo di gestore unico delle trasmissioni sello. Possiamo dire che la televisione divenne la ‘so- radiofoniche. Attivo dal 1927 nel 1954 dall’EIAR fu rella maggiore’ di tutti gli italiani. creata anche la RAI che si sarebbe occupata delle tra- 2 Cfr, ivi, p. 28 smissioni televisive 61 metà del XX secolo stavano trasformando il “Siena Unita”, appoggiata dalla Democrazia modo di comunicare e di intendere la co- Cristiana e dai Monarchici; nel corso del municazione nel nostro Paese. mandato istituzionale fu presente ad ogni Tra il 1949 ed il 1950, presentò Briscola e seduta del Consiglio. Giringiro. Quest’ultimo era un programma Silvio fu anche scrittore ed articolista, tra carino che consegnava “la maglia nera” al i suoi libri si ricordano: Gigliate, la Contrada peggior corridore del giro d’Italia, divenne e Tutti sulla mia barca. subito un cult tra gli italiani. Nel 1951 fu la Dopo la nota biografi ca di questo fasci- volta di Sorella Radio, tutti i suoi programmi noso personaggio, è interessante provare a ebbero un indice di ascolto altissimo. Gigli riconoscerne il carattere proprio dai suoi condusse anche le trasmissioni: Punto Inter- scritti, a partire dell’autoritratto che ci offre rogativo (1952), La Famiglia dell’anno (1956) nell’incipit di Gigliate. e il Paese della discordia (1959). Negli anni 50 si occupò anche della Radio per le Scuole. Nel Eccomi corso degli anni 60 presentò il Disco Magico Con tante scuse ad Ugo Foscolo ed i Due Campioni. Nel 1964, ormai noto e Media statura, alquanto rotondetto, acclamato presentatore, celebrò la trasmis- gambe sode con muscoli d’atleta, sione radiofonica numero cento con 100 viso aperto, gioviale ed aria lieta, volte Gigli. Il suo ultimo programma fu 150 biondo crine, alta fronte, corpo eretto, volte Gigli, una serie di tredici puntate che andarono in onda su Radio 1. chiari occhi, denti aguzzi, naso grosso, Silvio Gigli inoltre fu anche attore tea- lingua salace in fresco dir sincero, trale. Tra il 1949 ed il 1952 ebbe alcune mano piccola atta alla penna e il vero “particine” in: La tratta delle bianche (diretto fermar. Niente menzogna addosso. da Luigi Comencini), Fiorenzo il Terzo Uomo (diretto da Stefano Canzio) e Botta e Risposta Desiderio d’avere gente attorno. (diretto da Mario Soldati). Essere creduto, seguito, stimato, far ciò ch’altri non fanno e lieto il giorno

trascorra nel lavoro. Essere amato dalle donne, delle lor grazie adorno, goderne: e, via, sul mio cavallo alato5.

Il suo obiettivo era di riuscire a trasmet- tere l’aspetto più intimo di sé, la sua perso- na, la sua giovialità e la sua voglia di vivere, con quella passione e quell’animosità che lo Silvio Gigli con Corrado e Giorgio Gaber avevano accompagnato durante tutto il suo Fu anche uno scopritore di talenti: Iva percorso di crescita professionale. Zanicchi, Gianni Morandi, Orietta Berti e Loretta Goggi, esordirono proprio nel suo Ci sono nella vita e nell’attività di ciascun programma Voci Nuove. La passione per la uomo tanti piccoli fatti, opere, episodi, che musica accompagnerà il commentatore se- rimangono chiusi in lui stesso e con lui sono nese per tutta la vita come dimostra il pro- destinati a sparire. L’artista ritiene invece che gramma Piccola Storia della Canzone Italiana. tutto debba passare ai posteri, se non proprio Il nostro Silvio si affacciò anche al mon- all’immortalità6. do della politica, divenendo consigliere co- munale a Siena, era stato eletto nella lista L’analizzare alcuni passi di Gigliate, ci

62 5 S. Gigli, Gigliate, Tipografi a Senese, Siena, p. 7. 6 Cfr, ivi, p. 5. I frontespizi degli scritti “senesi” di Gigli

63 permette di entrare nell’animo più vivo del è andato completamente in porto a Siena?). personaggio, di coglierne ed apprezzarne Ella però, con la sua colorita e pungente stron- l’essenza. Da queste pagine emerge l’Italum catura poetica è riuscito a far parlare di que- Acetum che caratterizzava la fi gura del pre- sta sciocchezzuola per sette secoli e per quanti sentatore tartuchino. L’obiettivo è di mo- ne verranno ancora . Oh divino poeta, perché strarlo in una veste nuova, più personale, non è oggi fra noi! Sono certo che Ella sarebbe che si distacchi dall’aneddotica tradizionale. riuscito ad immortalare anche la chiusura del Su questa scia si colloca la lettera a Dante traffi co cittadino del centro storico (ma è poi Alighieri, scritta in occasione del settecen- quello che hanno chiuso il centro storico?)7. tenario della nascita del Divin Poeta. Gigli si diverte, assieme al lettore, a ripercorrere Da questa simpatica nota si evincono le le citazioni Dantesche sulla nostra Città doti di comunicatore di Silvio Gigli che, an- presenti nella Divina Commedia e rivolgen- che solcando i terreni della comicità e del dosi “fi orentin fuggiasco” con un rispettoso riso, riusciva a cogliere in toto i concetti più “Lei” cerca di difendere la parte senese. Par- importanti e a trasmettere, attraverso parole ticolarmente spassoso quello che scrive in sinuose ed ellittiche, sensazioni particolari. relazione alla Diana, sul giudizio di Dante Collegandosi a quanto detto in precedenza in merito alla ricerca ed al desiderio spasmo- conclude la lettera in modo elegante ed al dico dei senesi di poter, un giorno, trovare tempo stesso ironico mostrandoci un aspet- quel fi ume misterioso che scorre secondo la to del suo carattere alquanto singolare. leggenda sotto le lastre. Siena nel settecentenario della Sua nascita, Le Nel suo incontro con Siena ecco ora «e perde- ha dedicato il Palio dell’Assunta. Piccola cosa, ragli più di speranza che a trovar la Diana». lo so ma Lei ci ha insegnato che le piccole cose Si, Lei doveva sapere tutto: anche della bella restano quando sono trattate divinamente. E pensata dei miei concittadini i quali, tentan- il Palio è cosa divina, sacra e immortale8. do di tamponare, con ardito progetto, il fi umi- ciattolo che scorre come una vena sanguigna Nell’agosto del 1933, Marinetti, il pa- nelle viscere di Siena (acqua quae dicebatur dre del Futurismo, lanciò il primo concor- Diana), speravano farne salire le limpide so poetico di “poesia bacchica, amorosa e acque in superfi cie e diramarle dai Pispini a guerriera”. Sulla scia dell’enfasi Futurista Romana, da Camollia a San Marco. Ma an- anche Silvio Gigli propose un componi- che quest’opera non andò in porto (che cosa mento: “Paliofollia”9, che riteniamo interes-

7 Cfr, ivi, p. 11 in alto in alto su su, cerco trovo la banderuola del- 8 Cfr, ivi, p. 19. Queste ultime parole ci permettono la vittoria, volge la chiromantata punta segmentata di cogliere la ricerca dell’autore per uno stile aulico di d’immaginaria traiettoria, verso un rione- il mio.// magnifi cenza che si andasse a fondere con lo spirito di Penso al cavallo che in Chiesa, sul mosaico pavimen- giovialità che animava la sua persona, un tentativo sti- to lucidato, donato ha qualcosa di suo, presagio di listico che all’interno di queste pagine risulta vincente. sorte benigna, Odo rintocchi lugubri e soavi, gravi, 9 “Palio Follia. Digiuno di cibo, ripieno di dolci s’agita- divelto cipresso di bronzo, un batacchio qua armonie, consulto le lance del tempo, sommo l’at- e là, senza fermezza, con apoplettica passione, di tesa e penso, due ore separano l’avvenimento, da batter la testa indurita.// Tonfa un mortaretto, sec- questo momento, meschino gretto in cui vivo vege- co, solcano il cielo, cornacchie e grida di bimbi.// to, fi sso lontano il miraggio, vedo quel che vedrò, a Squillano argenti soffi ati, allungati da giovani petti mio modo arrovello il cervello.// Strade, inebrianti di musici, note di guerra, rintrona la terra pestata sanguisughe, arroventate, succhiano succhiano corpi da zoccoli, di grossi destrieri mascherati, Stendardi riscaldati, rincalcati dal sole mezz’agosto. A destra bianco-neri, insegne lance spade alabarde, mazze fer- a sinistra, avanti sul tergo spicchi di luce, elettrico rate scudi protettori, paggi dai riccioli d’oro, corone magnetica.// Chiuso spremuto dai muri, ad angoli d’alloro.// L’asso sul soprallasso, domina la compar- retti, m’incanalo discendo mi tuffo, nel crogiuolo fu- sa, Leggero snello puledro qualdrappato, gira piro- mante, rumoreggiante del Campo.// Palazzi – teste etta agita in corpo, la mistura eccitante inebriante, rettangolari, di mostri, miriadi d’occhi-fi nestre, rin- strinto al morso da forte braccio, saldo palafreniere, 64 ghiere a sghimbescio, Schizzo chilometriche pupille, Alza l’insegna il fantino ferrato, ampolloso bevuto da sante riportare al fi ne di ampliare questo gli e l’affetto che ci unisce a prescindere dal affresco sul Gigli letterato e cultore dello sentimento contradaiolo. stile, Paliofollia è anche altro, è ardore, pas- Ho pianto davanti all’apparecchio radio, ho sione e speranza, è paradigma di vita di un pianto come un bambino senza provare ver- senese e puro sentimento. gogna per quanti mi erano vicini e ridevano È doveroso concludere questo breve ri- perché non capivano niente. Io sono della cordo di Silvio, parlando della sua Tartu- Chiocciola e quando ho sentito che Lei grida- ca, in particolare citando il “Secolo Tartu- va dalla gioia e aveva anche perso la voce per chino”, scritto che uscì nel numero unico dire che aveva vinto la Tartuca, l’avrei preso a della Contrada della Tartuca in occasione schiaffi . Poi, quando ha detto che Siena trion- della vittoria del 1953. Gigli nell’elabora- fava immortale nell’entusiasmo di tutti i suoi to ripercorre le otto vittorie che la Tartuca fi gli, allora, signor Gigli, l’avrei abbracciato aveva riportato nel XX secolo fi no a quel e baciato passando sopra al fatto che sono momento. Per spiegare l’amore per la nostra nato in San Marco e che aveva vinto il Ro- Città e per il Palio vorrei citare la lettera, di spo! Quando siamo lontani da Siena siamo un chiocciolino, che Gigli allega al termine tutti uguali, tutti contradaioli che muoiono dello scritto. Da queste parole si evincono di nostalgia per la loro città, la più bella del l’amore per Siena da parte di tutti i suoi fi - mondo!10.

Silvio Gigli Presidente dell’Ente del Turismo senese nel Silvio Gigli ospoite d’onore ad un “gala” del Lions Club 1957 fi orentino nel 1966 sguardi di donne, pronte ad offrirsi in cambio al va- i petti sui canapi tesi, strappate le bocche dai morsi lore.// Striscia il corteo, serpe multicolore, bandiere roventi.// Scatta un ordigno infernale, la mano d’un bandiere bandiere, schioccanti di seta vergine, rossa uomo ha divelto l’attesa, la diga della passione s’è verde turchina, gialla come la pista, tufo secco-terra infranta, straripa il fi ume della pazzia, travolgendo di Siena, girano attorcigliandosi alle gambe, sfi oran- ‘umana comprensione, annientando il pensiero, la- do le calze variopinte, avvolgendo la vita dell’alfi e- sciando libero il corpo allo sfogo, selvaggio inumano re, salgono su verso le consorelle, issate ai palazzi, psichico.// Corri corri, vola, divora la pista, strappa carezzando il cielo, ricadono giù fra le braccia dei l’aria pesante, dilania il tempo, squarcia ostacoli av- paggi, a capofi tto.// Passano lenti i buoi, dondolan- versari, uomini e cose, ferisci, allungati distenditi.// ti, trainanti il cuore della giostra, Drappellone ba- Un giro due giri tre giri, hai vinto, stracco fi nito, eroe gnato di storia, benedetto dagli uomini, conservato benedetto sei.// Urlo nell’aria la gioia, sganascian- nell’albo del tempo, Rispondono nuovi squilli agli domi la bocca arsa, m’aggrappo cado mi rialzano, squilli, suona la martinella presso l’Altare.// Dietro mangio un cappello che mi solletica, cicatrizzo la fe- il Carroccio guerriero, passano gli Armigeri, chiu- rita del cuore mio, martoriato dallo spasimo.// Vedo dono il corteo, aprono quello degli spazaturai, Mai grappoli d’uomini, piluccati dalla notte avvolgente, derisi quei visi, affaticati-estranei.// Seduto sul trono Sbaciucchio un cavallo sudato, infi occato ingigan- della maestosità, il Palazzo riceve il saluto di tutti.// tito, m’azzuffo con le sete delle bandiere, sento il L’aria s’è fatta di piombo, il sole martella la testa del- corpo nudo prosciugarsi, rigagnoli di sudore passa- la Torre, pugnale piantato nel cuore del giorno, del no, da me ai drappi che m’avvolgono.// Qualcuno di sicario tramonto.// Sputati dalla bocca a sesto acuto, terra straniera, mi guarda – ride ride È un pazzo un spalancata, rotolano sulla pista, venti esseri viventi, idiota, è lui quel che pensa di me”. Cfr, Ivi, pp. 177- dieci sopra dieci sotto, dieci nudi dieci ricoperti sim- 182. Questo componimento ci mostra la personalità bolicamente, armati di muscoli, briachi d’alcool di di Silvio Gigli in tutti i suoi risvolti, è la trasposizio- grida, d’ordini di doveri, Invocazioni Preghiere.// ne poetica del suo animo. Allineati vorticosamente, elettrizzati cavalli, battono 10 Cfr. ivi, p. 199. 65 Una città per innamorati di Roberto Barzanti

La scoperta dell’acqua calda (minusco- segreti sensazionali (o quasi) e ricostruisce lo: non c’è nessun riferimento al quartiere per fi lo e per segno una cronaca di intrighi nord) è uno sport che va di moda. E a volte e vendette che ha per protagonisti una Giu- rende molto. Anne Fortier per imbastire il lietta (Tolomei) e un Romeo (Marescotti) suo romanzo di facile consumo “La chia- del tutto analoga a quella messa in scena da ve del tempo” (Sperling & Kupfer, Milano) Shakespeare: e si rivelerà non estranea alla si è vagamente ispirata alla novella 33 del discendenza familiare della stessa Julie. Al “Novellino” di Masuccio Salernitano, che posto di Capuleti e Montecchi ecco i To- racconta la vicenda di due amanti senesi e lomei (guelfi ) e i Salimbeni (ghibellini). Il non è priva di qualche affi nità con quella resto sarà bene lasciarlo all’immaginazione celeberrima di Giulietta e Romeo. del volenteroso (eventuale) lettore. Il libro Con un astuto montaggio, che fa già pre- non si segnala per qualità stilistiche, né per sumere un prossimo fi lm, l’indagine d’una tensione narrativa, e probabilmente avrà un giovane Julie Jacobs in provenienza dalla successo inferiore al previsto, ma aggiunge Virginia si alterna all’evocazione di episodi qualche nota di colore (tra il noir d’un goti- ambientati nella Siena del 1340. L’america- co semplifi cato e il rosa stinto di sdolcinati nina, seguendo una specie di caccia al tesoro sentimentalismi) alla letteratura anglosasso- propiziata da messaggi in chiave contenuti ne su Siena e se non altro per questo merita in una cassetta di sicurezza lasciatele in ere- attenzione. Dicevo dell’acqua calda, perché dità dalla defunta zia Rose, viene a scoprire le analogie tra la novella di Masuccio, che

Ritratto di Anne Fortier e la copertina del suo roman- zo, che ha ottenuto un lusinghiero successo di pubbli- co anche fra i lettori non senesi.

66 si dipana a Siena avendo per eroi Mariotto Campo pareva una mano di carte da gioco Mignanelli e Giannozza Saraceni, e la suc- con il dorso in su. Che simbolo allusivo per cessiva novella di Luigi da Porto, incentrata una città con tanti segreti!”. Magari era pre- sulle lotte tra Capuleti e Montecchi a Vero- feribile che l’autrice non si autocommentas- na in contrappunto col disgraziato amore di se compiaciuta, rimarcando l’allusività del Giulietta e Romeo, sono conosciute e com- simbolo escogitato. Le due metafore che mentate da sempre. s’accavallano – mezzaluna e mazzo di carte Con differenze di non poco conto. Ba- – occorre riconoscere che hanno un’ingenua sterà leggere in un italiano un po’arroton- e inedita effi cacia. Un informatissimo dot- dato per esigenze giornalistiche l’argomen- tor Maconi, a mo’ di guida turistica, illustra to – l’“abstract” – vergato dal Salernitano: i sotterranei Bottini, destinati ormai, dopo “Mariotto senese, innamorato di Giannoz- la fuga di James Bond, a ricorrenti citazioni: za, come omicida se fugge in Alessandria; “Questo è un posto pericoloso. Ci si può Giannozza se fenge morta e da sepoltura perdere facilmente. Nessuno conosce tutti i tolta va a trovare l’amante; dal quale sentita bottini. Ci sono storie, un sacco di storie, di la sua morte, per morire anche lui, ritorna tunnel segreti che conducono di qua e di là, a Siena, e conosciuto è preso, e tagliatagli ma non vogliamo persone in giro a esplora- la testa. La donna nol trova in Alessandria, re. Vede, l’arenaria è porosa. Si sbriciola. E ritorna a Siena, e trova l’amante decollato, sopra ci sta tutta Siena”. Battuta a metà tra la e lei sopra il suo corpo per dolore se more”, scientifi cità didascalica e una terrorizzante cioè si uccide. La trama è truculenta, sangue avvertenza. In questa sequenza cartolinesca scorre in gran copia, ma manca del tutto lo non mancano cadute pacchiane. Il campani- sfondo dell’agguerrito bipartitismo cittadi- le del Duomo, detto qui torre campanaria, meraviglia perché le strisce bianche e nere no, che concorre in modo determinante a della sua zebratura si susseguono “fi no in confi gurare l’opposizione amore/ potere cima, come una scala di biscotti diretta in e a conferire spessore alle pagine scelte da paradiso”. Entrando nel Castellare la curio- Shakespeare come fonte. Dunque dire che i sa Giulietta riporta l’impressione che le im- due vissero a Siena nel Trecento è una tro- poste delle fi nestre “fossero state sprangate vata senza alcun riscontro. Solo l’invenzio- nel Medioevo e mai più aperte”. Davanti al ne della morte equivocata lega le storie, ed “caleidoscopio di luci rifl esse sui muri e sul un simile espediente si rinviene pure, come soffi tto a volta” di Fontebranda, sopraffatta già acutamente ricordato da Sonia Maggi, in dalla bellezza, la donna non si trattiene e se una meno famosa e più tarda novella di Sci- n’esce in un prosaico: “il tuo antenato era pione Bargagli. Non val la pena contestare un vero pezzo di merda!”. La descrizione di la storicità dell’invenzione, del resto esclusa piazza Postierla è curiosamente spogliata di in partenza. Sarà invece utile rendersi conto qualsiasi risonanza simbolica: “un piedistal- degli espedienti che la danese Fortier, inna- lo con una lupa e due poppanti troneggiava morata di Siena al pari di sua madre, im- di fronte a una fontanella sovrastata da un piega per rendere credibile il suo ponderoso uccello di ferro dall’aspetto feroce”. An- romanzo. Il principale è la topografi a urba- che per colpa della (scorrevole) traduzione na, sciorinata a suon di erudite precisazioni. dall’inglese il risultato è che un lettore qual- Ed è la topografi a di una città immaginata siasi non riuscirà facilmente a immaginare su misura per il turista di oggi e ben lontana quello spazio. Lascio da parte le centinaia di da quella dei viaggiatori curiosi d’una volta. schede che per divertimento ho accumulato. Eppur è talvolta impreziosita da guizzi ori- I passaggi dedicati al Palio sono sfocatissimi, ginali. fi no a proporre Tolomei e Salimbeni in gara Prendete questo passaggio sul Campo a cantare “inni” in onore dei loro “eroi”. che di metafore ne ha subite un visibilio, Simpaticamente la bella Anne si scusa con dal momento che nessuno lo descrive per gli amici senesi per aver parlato del Palio quello che è: “ Vista dalla cima della Tor- come di “una sfi da di estrema violenza”. La re del Mangia, la mezza luna formata dal 67 Castellani che, tra le selezionate “location” del suo “Giulietta e Romeo”, Leone d’oro 1954, annoverò anche Siena. La gigantesca troupe lavorò qui tra il settembre e ottobre 1953, in mezzo a nugoli di curiosi. Duel- li e botte in piazza Jacopo della Quercia, abbellita di una fontana uguale a quella di piazza delle Erbe a Verona; fughe a rompi- collo per il vicolo Ugurgieri: fra’ Lorenzo che s’affretta a svelti passettini nel notturno vicolo di Tone; lo sposalizio celebrato fur- tivamente all’alba, nella Collegiata di San Quirico d’Orcia. All’epoca niente trucchi col digitale: le architetture dovevano esse- re modifi cate o mascherate con altrettante architetture. Il fi lm richiese trentasei mesi di lavorazione. La resa fi gurativa fu stra- biliante. La geometrica e luminosa scena urbana derivava dalla somma di alcuni dei momenti più belli dell’Italia di quella fulgi- da età: ritratta in un tardogotico aggraziato, in un incipiente Rinascimento. Laurence Harvey e Susan Shental, non avevano nul- la di divistico. Castellani aveva voluto due volti ignoti. I costumi, ispirati a Botticel- li, Pisanello, Piero e Carpaccio, ricreavano un’atmosfera fi n troppo elegantemente pit- torica: una danza all’aria aperta in una tersa luce – operatore il grande Robert Krasker – che sembrava dipinta.

Le foto riguardano il fi lm Giulietta e Romeo (1954) di Castellani e le scene si svolgono in piazza Jacopo della Quercia I protagonisti si chiamavano Laurence Harvey e Susan Shental fantasia ha i suoi diritti da far valere e nessu- no pretende una del resto non codifi cabile esattezza interpretativa per anni, oltretutto, durante i quali la corsa non era codifi cata e teatralizzata in piazza. In fondo questo romanzo rosa-nero trasuda ammirazione ed evidenzia un onesto impegno. Quanto alla versione fi lmica staremo a vedere. Inevitabile rammentare, in tema, Un’altra secena del duello shakespeariano girata sotto la 68 la trasposizione cinematografi ca di Renato torre del Duomo di Siena Nei ricordi di Roberto Barzanti due illustri protagonisti della vita culturale senese recentemente scomparsi: Margherita Marmoross Sergardi

Fedele fi no all’ultimo alla sua vocazione gnanimo mecenatismo in ambito musicale, teatrale, dedita con tenace energia ad inse- Margherita ne era come il femminile con- guire i suoi sogni poetici, instancabile pro- trappunto nelle arti del palcoscenico. Chi motrice di progetti formativi, Marga Mar- rifl etterà adeguatamente sui caratteri fon- moross Sergardi lascia un segno profondo danti di una riconoscibile presenza senese nella vicenda di Siena e spicca con una sua nell’Italia che riprende a vivere e costruire, originalità ben oltre le antiche mura. Tanto non potrà non soffermarsi a lungo sul ruolo più diventava con gli anni fragile – è dece- incisivo e sorprendente che talune persona- duta il 12 agosto 2011 a Siena, dove era nata lità di famiglie aristocratiche hanno avuto, il 2 giugno 1919 –, ed il suo discorrere si in netto contrasto – quasi a sfi da – di un faceva ansimante e frammentato, tanto più inevitabile declino sociale. Marga fu tra que- ti appariva protagonista, sulla ribalta di un gli illuminati che affrontarono con coraggio mondo che non si rassegnava ad abbando- i tempi nuovi facendo appello alle proprie nare. Chi l’applaudì in una delle sue ultime risorse intellettuali e rinverdendo un’eredità interpretazioni, nelle vesti dell’imperiosa da non mummifi care. Tante volte abbiamo Helga dello Strindberg di “Lei, la più for- parlato insieme di Lodovico Sergardi e del- te” – un lungo tempo messo sapientemente le satire che come Quinto Settano lanciò in scena da Giuliano Lenzi – non può far a contro i vizi della corrotta Roma papalina. meno di pensarla con la voce alta e la vo- Del suo dissidio con il conformista Gravina. lontà imperiosa di quel personaggio, che Dalle parole di lei traspariva un’ammirazio- le stava addosso con fascinosa autenticità. ne che sfi orava l’identifi cazione. E quanti La baronessa innamorata del teatro avrebbe Sergardi potremmo elencare, frugando ne- potuto condurre una vita quieta e adagiar- gli annali delle istituzioni senesi, alla ricerca si comodamente nei riti di un’aristocrazia di chi come Gonfaloniere, Sindaco, Sena- non più egemone. Invece Marga, che aveva tore si distinse nell’impegno politico e nel partecipato attivamente alla guerra di Libe- governo delle istituzioni. Margherita Mar- razione come staffetta partigiana, a confl itto moross Sergardi Biringucci affermò sempre concluso, dopo essersi sposata, nel ’46, con una consapevole simpatia per le forze di un ex uffi ciale dell’armata polacca, non si progresso. Condivise battaglie diffi cili come chiuse in un’appartata dimensione familia- quella che portò alla chiusura di gran parte re. Madre di quattro fi gli, Marga mise a soq- del centro storico al traffi co veicolare priva- quadro l’avito palazzo e lo trasformò in un to. O la difesa dell’organismo urbano dagli centro di creatività e di insegnamento, gio- assalti ricorrenti della corriva speculazione. vandosi dei consigli e dei rapporti con alcu- Volle conservare il suo Palazzo come un in- ni dei più autorevoli cultori della tradizione toccabile tempio di memorie. Si divertiva a teatrale italiana, da Silvio D’Amico a Pao- stupire e ad andare controcorrente. Aveva lo Emilio Poesio, da Cesare Vico Lodovici un vena di ribelle che la induceva non far ri- a Mario Verdone. E fece del Piccolo Teatro corso a privilegi o a viver di rendita. E dimo- delle Città di Siena il suo regno. I visitatori strò verso i giovani una curiosità e una di- o i giornalisti che passavano per Siena ne- sponibilità al sostegno che non da tutti sono gli Anni Cinquanta e la incontravano nel- state riconosciute come sue eccelse qualità. le solenni stanze ne rimanevano incantati. La vocazione teatrale si era accesa in lei fi n Se Guido Chigi Saracini rappresentava ai da quando aveva assistito agli spettacoli di loro occhi l’incarnazione ultima di un ma- marionette che le venivano offerti in casa 69 La giovane Marga fotografata in abito di scena.

da bambina. E fu folgorata quando per la nostalgico. Questa impronta di Signora che prima volta entrò nella Pergola, condottavi ha riproposto con inesausta e felice voglia a dodici anni dai genitori. Le recite che orga- di fare un fermento, appunto illuministico, nizzava in campagna, nell’aia, a Catignano, pedagogico e misurato, aperto alle novità e quando i contadini, senza accorgersene qua- ostile ad ogni moto reazionario, farà tutt’u- si, diventavano attori – ed era anche riscatto no con il suo profi lo di donna combattiva da una condizione di subalternità – e lei li e elegante, appassionata e risoluta. Mar- conduceva dentro un mondo splendente di ga ha lasciato anche molti libri di poesia. fi abe, riprendevano in inedite forme mo- Suo genere preferito – anche se “ha sfi dato duli settecenteschi, resuscitando un clima i confi ni dei singoli generi” come osservò tra Illuminismo e Rivoluzione, mozartiano Giorgio Barberi Squarotti – fu il dramma 70 più che arcadico, sperimentale e non solo lirico: non sapeva concepire un’opera che La celebre foto di Pepi Merisio per “Du” (1970) scattata durante un corso di recitazione al Piccolo teatro. 71 non fosse da pronunciare – trasmettere – prendendo spunto da due famosi paesaggi- in pubblico. Ed in effetti il suo versifi care ni tradizionalmente attribuiti ad Ambrogio ha l’andamento trasognato e melodico di Lorenzetti (e ora con valide ragioni al Sas- un “costante nomadismo mentale fra Terra, setta). Allegoria al quadrato, il dialogo dà Sole e Luna, fra fantasmi, proiezioni, voci ampio spazio ad un uso della fi gurazione recitanti” (Fabio Scotto). Gli autori ai quali a fi ni di pedagogia civica: “Solo Giustizia guardava con più interesse erano eccentri- – ammonisce Ambrogio in persona – può ci, partecipi d’un acceso simbolismo, da tenere uniti gli animi dei più e i signori Jules Laforgue e Gian Pietro Lucini. In una debbono scordare il bene proprio. Se no delle raccolte più caratteristiche del suo sti- Tirannia porrà sotto i piedi ogni splendido le, Le cascate (1986), si chiedeva: “Basterà ideale e i cittadini saranno per via minac- una trilogia per ricomporre le storie che vis- ciati di morte, mentre i ladri infurieranno si o immaginai?”. La trilogia Finale d’epoca dentro e fuori la città”. L’autrice non na- ambiva a riassumere un lungo itinerario di scondeva un convinto accordo con parole ardua decifrazione. Le soste contemplative che recavano il timbro della sua esortativa non sono disgiunte da un velo di svagata e discorsività. irriverente ironia: “O Luna addetta al batta- Giorgio Bocca ne tracciò agli inizi de- ge, / affacciati al banco di nebbia / di sopra gli Anni Sessanta un ritratto in punta di al Cervino, / e mentre le gente di fuori / penna: “diafana, sottile, pallida come una si affolla a comprare gioielli / dai banconi Madonna di Duccio. E un po’ immemo- allineati…/ conduci tu la vendita all’incan- re…”. Immemore in realtà dava l’impres- to!...”. (La corda perfetta, 1988, p. 128). Con sione di esserlo, ma era piuttosto il velo l’allegoria scenica in due tempi La città sul che interponeva tra sé e l’interlocutore a mare (1979) Marga stilizzò una sua fantasti- farla percepire perennemente assorta in un cata Siena in una cifra tra gotico e liberty, universo tutto suo, distante e inafferrabile,

Marga Sergardi mentre premia un’allieva del corso di Danza Classica al Piccolo Teatro, sede, nella seconda metà del secolo scorso, di importanti attività di insegnamento 72 nei campi della recitazione, della danza e della scenografi a, fondate e dirette dalla Baronessa. oltre una soglia. Più di ogni altro interlo- del Palazzo, in cui le donne lavorano a fare cutore che l’abbia intervistata, fu Guido i costumi, è favolosa e casalinga, come de- Piovene a condensare gli elementi costi- vono essere le fi abe. La giovane padrona e tutivi del suo stile e a sottolineare quanto fondatrice del teatro, esile e bionda, le sor- s’intonassero con i radicati costumi d’una veglia”. Piovene aggiungeva che quell’av- civiltà. Nel suo Viaggio in Italia s’intratten- ventura aveva preso corpo grazie a “uno di ne sulla singolare impresa del Piccolo: “Il quegli incontri di popolare e aristocratico, teatro – scrisse – dà spettacoli raffi nati, con così sentiti in questa città poco borghese”. speciale riguardo per un genere trascurato Sembrano passati secoli! Il miglior modo in Italia, la fi aba. E molto della fi aba ha per di ricordare Marga Sergardi sarà sostenere se stesso il palazzo Sergardi, casa privata la prosecuzione, in schemi attuali e prati- ed insieme laboratorio teatrale; i grandi ar- cabili, della bella impresa che varò con madi allineano ottocento costumi, giacche disinteresse impetuoso, ubbidendo ad un di seta scintillanti di pietre; la guardaroba inestinguibile fuoco.

Negli anni ’50 anche la stampa nazionale si era inte- ressata alle iniziative teatrali della Sergardi, che nella sua villa di Catignano aveva perfi no fatto allestire un piccolo anfi teatro all’ombra di un’antica cipresseta dove organizzava recite con i ra- gazzi del posto 73 e Mario Guidotti

Nel corso della cerimonia d’addio a Li- dio Bozzini, l’amico di una vita, si portò al leggio posto di fi anco all’altare e, a conclu- sione della sua commossa testimonianza, mostrò la sgualcita riproduzione di una foto, quasi ostendendo una sacra reliquia. Lui vi era ritratto in mezzo ad un gruppo di giovani, tra i quali Lidio, e al centro sorride- va compunto Aldo Moro. Erano universitari della Fuci anni Quaranta, attivi a Montepul- ciano e già impegnati in un dibattito che sarebbe sfociato nella risoluta opposizione al fascismo e nell’ardimentoso progetto cri- stiano-sociale. In quella foto Mario Guidot- ti ha sempre visto condensarsi le sue scelte Mario Guidotti con uno dei protagonisti del Teatro Povero decisive: l’assillo di un cattolico fedele alla di Chiesa, la discreta e collaterale partecipazio- ne alla politica, l’assidua ricerca sulla cultura come formula politica no, ma dal centro e l’arte, l’attaccamento spasmodico alla sua come punto di equilibrio, come luogo di terra. Che era il Senese e particolarmente la osservazione del mondo, come asse spiri- Val d’Orcia, sulla quale Montepulciano s’er- tuale da ritrovare. Era un volumetto curio- ge come una capitale d’antica gloria. Mario so, che intrecciava passi fi losofi ci e divaga- si è speso incessantemente e con un’energia zioni morali, racconti di episodi esemplari che negli ultimi tempi contrastava con il e richiami al dovere. Vi affi orava un timbro suo fi sico minuto e a tratti fragile per le idee moralistico, appunto, tipico di chi non vuol coltivate con entusiasmo negli anni giovani disperdere un’eredità bella e cara e la sen- ed ha alimentato le passioni di allora con te ogni giorno minacciata o compromessa. una continuità senza posa. Incline ad un “Il centro – si legge in una delle minuscole esistenzialismo cattolico di marca france- strenne, quella del 1994, che Mario spediva se, Guidotti – era nato il 12 ottobre 1923, agli amici in segno augurale – non può esse- è deceduto a Roma il 21 agosto 2011 – ha re confuso con una posizione statica, anzi: consegnato il meglio delle sue rifl essioni a li- è il contrario dell’equilibrio degli opposti: bri quali “Lo scrittore disintegrato” (1961)e non è un compromesso, ma una forza pro- “Essere e dire” (1973), che furono contribu- pulsiva. Non può essere una zona di specu- ti di primo piano nella stagione aurea della lazione o di sfruttamento politico, poiché Vallecchi guidata da Geno Pampaloni, con come principio e concetto è al di sopra di il quale Guidotti condivideva più di una tutte le volgarità e le strategie dei gruppi po- sintonia di programmi editoriali. Sono pagi- litici associati: chi esce dal centro e poi dal ne percorse da una religiosità inquieta, non cerchio entra nel Labirinto”. Era una sorta confessionale, tesa a meditare sullo scarto di metafi sica del centro la sua, che poteva irrevocabile della fi nitezza umana e sulla piacere o no alla politica e serbava un inse- funzione della scrittura quale testimonianza gnamento che ambiva ad una sua colloquia- etica. Teneva molto, Mario, ad un libricino le universalità. Chi ha conosciuto Mario al che considerava una sorta di trattatello fi lo- lavoro, nella veste di capo-uffi cio stampa sofi co: “Il Centro e il Labirinto” (1994). Nel della presidenza della Camera dei deputati consegnarmelo mi avvisò: “Guarda che non con Brunetto Bucciarelli Ducci, a partire dal 74 è un’apologia del centrismo”. Del centrismo 1963, e successivamente con Ingrao, Pertini, Jotti e Napolitano, sa la stima della quale conformismo, il trasformismo disinvolto o ha sempre goduto e l’apprezzamento riscos- forse anche sincero, forse inevitabile, for- so per la sua opera fi ne e attenta. A Pertini se in molti fi siologico, oggi, dominano la dedicò un profi lo (“Una vita per la libertà”, vita politica, sociale, familiare, individuale; 1988) che sfi orava l’agiografi a. Di Nilde Jotti si passa da un partito all’altro, e forse non divenne consigliere ascoltatissimo, al punto sempre per convenienza, ma per nuove con- da convincerla ad acquistare un apparta- vinzioni, continuamente cangianti”. Quanti mentino nel centro di San Quirico. E lei “forse” punteggiano con dubitativa onestà fu spesso ospite d’ onore all’inaugurazione i pensieri di questo intellettuale al servizio delle “Forme nel verde”, una mostra di scul- delle istituzioni! tura che con regolarità ha animato gli Hor- Quanta tristezza nel prendere atto di ti Leonini portandovi autori di sicura fama come la comunicazione ingoia e annulla provenienti da ogni parte del mondo. E Ma- o rende inconsistente l’informazione! “La rio in quelle occasioni era al settimo cielo tecnologia del comunicare – annotò – ha perché vedeva congiungersi il riguardo per moltiplicato le informazioni, ma le ha affi - la sua terra, l’amore per l’arte e la festosità date a mezzi destinati ad un irrimediabile popolare. Il suo culto per la dimensione lo- deperimento”. Mario non era privo di una cale, per una regionalità toscana della quale dimessa ironia. Una volta scherzando ama- esaltare forme e lingua portò Mario a riven- ramente scrisse che ormai il suo “apparire” dicare con critico puntiglio una tradizione era quello di un sosia: “Sì, spesso mi sento non adeguatamente, a suo parere, esplorata. il mio sosia”. Sapeva che l’estetismo era lo Discusso il suo volume su Mario Pratesi (“Il sbocco più prevedibile di una sua inappa- romanzo toscano e Mario Pratesi”, 1983) e gata aspirazione “mistica”: “E’ diffi cile il privilegio del misticismo. Ripercorro, a vol- altre fi gure del verismo coevo, dove stava te, gli itinerari reali di Santa Caterina nella costretta e incongrua la presenza massiccia mia terra, le sue soste: Siena, Rocca d’Orcia, dell’irregolare Federigo Tozzi, cui dedicò un . Rileggo le lettere di lei anal- documentario televisivo che non esitava a fabeta. Ripenso alle stimmate che desiderò portare sulla scena momenti crudi e dram- struggentemente. Potrei mai vivere l’estasi o matici tratti da “Il podere”. L’esperienza del degenererei in estetismo?”. A sigla di quegli Teatro povero di Monticchiello incarna nel appunti trascrisse il verso di un grande del modo più compiuto la poetica di Guidot- Settecento inglese, Alexander Pope, che suo- ti. Appena due anni dopo la fondazione di nava disperazione senza appello: “Dio è nel quella singolare avventura – dal 1969 – Gui- suo cielo e tutto va male nel mondo”. dotti fu il naturale mediatore tra sentimenti della piccola comunità e scrittura drammati- R.B. ca, autodramma da recitare/vivere in piazza. E ogni anno era un rito che si rinnovava in letizia e con corale successo, gratifi cazione disinteressata. Mario ebbe anche un suo bel premio letterario da proteggere: il Barbi Co- lombini, che può vantare un albo d’oro tra i più prestigiosi. Insomma la Valle dell’Orcia era per lui un universo dorato, dove c’era tutto, e tutto al suo posto in una geografi a che recava la sua fattiva e esigente impron- ta. Anche nel comitato scientifi co editoriale della Fondazione Mps Mario Guidotti si è distinto per fervore di proposte e intelligen- za di soluzioni. Egli ha vissuto con pena la crisi dei nostri giorni: “La disintegrazio- ne – si legge nell’opuscoletto del ‘99 –, il Guidotti durante una prova al Teatro Povero di Monticchiello 75 In questo scritto del 1958, oggi di diffi cile reperibilità e purtroppo dimenticato, Mario Guidotti lascia un segno evidente del suo grande amore per Montepulciano e per quella parte del Senese, tra l’Amiata e la Val di Chiana, che aveva alimentato la sua formazione giovanile e guidato i suoi primi passi di scrittore. “Accademia dei Rozzi” si onora di riproporne la lettura per perpetrare la memoria di un uomo esemplare nella modestia dei suoi atteggiamenti e nella elevatezza della sua dimensione culturale. Montepulciano perla del Rinascimento di Mario Guidotti

Poche città, tra le minori in Italia, sommi architetti espresso in opere esemplari conservano, come Montepulciano, un così di tutto un periodo. nobile carattere negli edifi ci, nelle strade, Perché Montepulciano è bella? Per l’arte diremmo negli stessi abitanti; ben poche solamente? Per le rarità architettoniche sono rimaste fedeli, difendendosi dalle che contiene? Per quello spirito raffi nato, insidie della moderna banalità, alla loro retaggio del Rinascimento ancora alitante più fulgida essenza, alla loro vera natura, entro la cerchia delle sue mura? al loro spirito autentico. Lo spirito di Se fosse per tutti questi motivi sarebbe Montepulciano si chiama Rinascimento, già molto. Ma la bellezza di Montepulciano quel periodo aureo che va dalla seconda è completa. Montepulciano non è un museo metà del Quattrocento alla prima del di antichità, non è un anacronismo, non è Cinquecento, il più puro, il più bello. un centro di oggetti e cose sopravvissute. Un Rinascimento che però non distrusse Montepulciano ha una natura ed una completamente il Medioevo, lasciando vita che risplendono e palpitano e anzi di quel periodo le testimonianze più compongono, con l’arte, una meravigliosa signifi cative che Montepulciano aveva armonia. È la natura di uno dei più begli ricevuto (un paio di chiese, qualche palazzo) angoli della Toscana policroma, fulgente, e che non precluse la strada a qualche verde per i prati ed i boschi, grigia per gli leggiadra e accettabile traccia barocca. ulivi rigogliosi dei poggi, azzurra per i laghi Anche se non situato su una grande della Val di Chiana, è la posizione superba arteria nazionale (ma presto sarà sfi orato del centro abitato, piantato su un crinale dall’Autostrada del Sole), Montepulciano è che domina due valli e ha come dirimpettai uno dei centri turistici più visitati d’Italia; montagne fi ere e superbe come l’Amiata in questo l’ha favorito la vicinanza con ed il Casentino. È la vita di una agricoltura Chianciano, che è a dieci km e a un quarto intensiva, di una gente alacre che non si d’ora di macchina; si può dire che non ci perde in contemplazioni, ma a queste sia stato ospite in questa stazione termale unisce un lavoro intelligente e vario; nasce che non sia salito a Montepulciano, da questi colli e da questa gente un vino interrompendo la sua vita di epatico, per che è celebre e che un poeta del ’600 defi nì respirare un’aria in tutti i sensi diversa e «di tutti i vini il re»; è attivo un artigianato più elevata (siamo, nel punto più alto, cioè raffi nato in crescente sviluppo; prospera in Piazza Grande, a 605 m. sul livello del un commercio fi orente. E soprattutto si mare; e al posto dell’atmosfera mondana svolge una vita civile attenta, culturalmente c’è quella artistica); si può dire che non ci ineccepibile, socialmente elevata; ipercritici sia visitatore di Siena (e tutti sanno come e preparati i Poliziani sanno difendere la Siena vanti cifre record di turisti) che non realtà artistica della loro città, ma non sono 76 si spinga fi n quassù, a vedere il genio di chiusi e limitati e possono dir la loro su Ranieri Rossi, Veduta del Tempio di S. Biagio, inc. R. Stanghi (Montepulciano, Conservatorio di S. Girolamo) tutto e su tutti. Montepulciano è anche un Gotica è la chiesa di Santa Maria dei Servi, centro di studi e di attività culturali; e la sua un gioiello intatto di quello stile, gotici non è una vita gretta e municipale, angusta sono i portali di S. Agnese, S. Francesco e, ed attaccata al campanile. in parte, la facciata di S. Agostino; gotico L’arte, comunque, resta sempre il senese, con i suoi rossi mattoni e le sue privilegio maggiore di Montepulciano, e bifore, il palazzo Neri Orselli; gotici infi ne nell’arte l’architettura è la regina anche se numerosi portali di abitazioni private. Ma della pittura e della scultura s’impongono ad un purissimo Rinascimento appartiene opere eterne, come le statue del monumento l’opera più grandiosa di Montepulciano, a Bartolomeo Aragazzi, oggi scomposto, di quella che da sola costituirebbe il vanto di Michelozzo e Donatello, come le lignee una grande città: il tempio della Madonna sculture del Valdambrini, come le terrecotte di S. Biagio, capolavoro di Antonio da dei Della Robbia, come le fi gure di Tino Sangallo il Vecchio; un complesso in da Camaino e di Benedetto da Maiano, travertino che ad ogni ora del giorno ha come il trittico di Taddeo di Bartolo, la le sue sfumature. Un dritto, verde viale di Madonna di Duccio di Buoninsegna e opere cipressi sbocca dinanzi a questo miracolo di altri maestri senesi, come la meravigliosa artistico sorgente nella solitudine di un Madonna del Signorelli, come i quadri prato; una croce greca con cupola centrale, del Guercino, del Sodoma e di tanti altri secondo l’ideale architettonico del artisti che hanno arricchito la Pinacoteca, Rinascimento. E di fi anco al tempio, dal le chiese e le case private. L’architettura quale lo separa una striscia di verde prato, di Montepulciano è un ciclo forse senza l’elegante canonica anch’essa del Sangallo, confronti, un lungo respiro del genio dal portico dorico e dalla loggia ionica; creativo di un’umanità partita dai fastigi del uno snello edifi cio il cui travertino ha pure gotico e innalzatasi ancora nell’empireo del preso il colore dell’oro. Rinascimento. E i palazzi di Montepulciano? Quanti 77 splendidi palazzi rinascimentali, imponenti, di Papa Giulio II) che hanno anche un valore superbi, prepotenti quasi, alcuni, e meno storico e politico. E il palazzo Mancini, il evidenti, quasi nascosti in viuzze secondarie, palazzo Negroni ecc. E nella Piazza Grande altri. Si può dire che qui poche case (“una delle più belle al mondo”, fu defi nita siano prive di una certa nobiltà. E dove il da un grande scrittore) sono i palazzi che Rinascimento non ha potuto lasciare l’intera dominano: il Tarugi, il Contucci, due facciata, ha lasciato un portale, una fi nestra, capolavori soltanto per i quali il Sangallo un balcone o un bugnato. Ecco subito dopo avrebbe potuto essere considerato un la Porta al Prato, del Sangallo anch’essa, il Maestro, il quattrocentesco palazzo Civico palazzo Avignonesi, il Del Pecora o Paoloni e la Cattedrale. Cocconi, il Bucelli (nomi di palazzi, ma Dalla torre del Palazzo Comunale il anche di nobili famiglie viventi od estinte), panorama è vasto quanto meraviglioso; ecco le Logge del Mercato del Vignola, lo certamente uno dei più vari d’Italia; splendido palazzo Cervini, oggi Baiocchi, spazia dall’Amiata a Radicofani a Pienza a la migliore opera di Antonio da Sangallo Siena, a Cortona, al Trasimeno al lontano il Giovane; e il palazzo Bracci, il Grugni, il rossastro Subasio sul quale nei giorni chiari Nerazzini, la casa del Poliziano, trecentesca s’intravede la macchia di Assisi; più vicini però; ecco nella più bella ed artistica via paesi, castelli e i due cerulei laghetti di di Montepulciano il Palazzo Ricci di Montepulciano e Chiusi. È un panorama Baldassarre Peruzzi, forse la più pura opera che inebria, è un trionfo della natura, del architettonica del Rinascimento, nel cui paesaggio. Pertanto è necessario, scendendo, interno si ritrova uno splendido esempio di cercare un equilibrio estetico tuffandoci, abitazione civile di quel periodo, sul genere dopo quel mare di verde e di azzurro, in del Palazzo Piccolomini a Pienza, nonché un’atmosfera più razionale ed artistica; ecco opere d’arte, cimeli storici, manoscritti a questo proposito la Cattedrale, anch’essa pregevoli, documenti di famiglia (la famiglia cinquecentesca, opera dell’Ammannati; tre

78 Bartolomeo Barbiani (attr.), Panorama di Montepulciano (Montepulciano, Palazzo Cervini) Walter Tyndale, Veduta di Piazza delle Erbe con il mercato (da “An Artist in ”, Stoughton, 1913); coll. E. Pellegrini. maestose navate e, in fondo, un trittico che Montepulciano è una città intensa e richiama alla mente la Maestà di Simone non si esaurisce in un articolo. È una città Martini; è di un senese anch’esso, Taddeo di gloriosa ed antica e la sua storia comincia con Bartolo. Pittura e scultura si alternano nella gli Etruschi. È un centro «obbligatorio» che Chiesa; ma forse è la seconda che domina; non si può ignorare, non si deve trascurare. autori insigni ne assicurano il prestigio: Questa nota sia pertanto accettata come un Donatello, Michelozzo, Jacopo della Quercia modesto invito alla città del più puro poeta (due splendide statue lignee), Benedetto da quattrocentesco: il Poliziano. Maiano, Tino da Camaino ed altri. 79 Indice

Alberto Fiorini, Le “Belle e nobili Feste” del 1581 e la pazzia senese del “corrir pagli, e trovar l’enventione” ...... pag. 003

Ettore Pellegrini, Opere inedite o poco conosciute di Alessandro Maffei Un nuovo contributo al catalogo del vedutista senese ...... » 023

Silvia Colucci, I marchesi Leopoldo Feroni e Caterina Gori Pannilini, signori e mecenati di Frosini nell’Ottocento ...... » 027

Alfredo Franchi, Siena e la malinconia nei “paesaggi mistici” di Idilio dell’Era .... » 035

Mauro Barni, Domenico Comporti: un Preside della Provincia che non aveva mar- ciato ...... » 045

Carlo Ciampolini, La vita di Sallustio Bandini ...... » 051

Giacomo Zanibelli, L’eclettismo di Silvio ...... » 061

Roberto Barzanti, Una città per innamorati ...... » 66

Nei ricordi di Roberto Barzanti due illustri protagonisti della vita culturale senese recentemente scomparsi: Margherita Marmoross Sergardi ...... » 69 Mario Guidotti ...... » 74

Mario Guidotti, Montepulciano perla del Rinascimento ...... » 076