Catalogo 144 TENDENZE INFORMALI

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Catalogo 144 TENDENZE INFORMALI COMUNE DI BRESCIA CIVICI MUSEI D’ARTE E STORIA PROVINCIA DI BRESCIA ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI TENDENZE INFORMALI DAGLI ANNI CINQUANTA AI PRIMI ANNI classici del contemporaneo SETTANTA NELLE COLLEZIONI BRESCIANE mostra a cura di Alessandra Corna Pellegrini 144 aab - vicolo delle stelle 4 - brescia 22 settembre - 17 ottobre 2007 orario feriale e festivo 15.30 - 19.30 edizioni aab lunedì chiuso L’AAB è orgogliosa di inaugurare la stagione 2007/2008 con una prestigiosa esposizione, di rilievo certamente non solo locale, che propone opere di artisti fra i più rappresentativi dell’Informale. La mostra prosegue la fortunata serie “Classici del contemporaneo” dedicata al collezionismo della nostra provincia, che ha già proposto artisti come Kolàr, Demarco, Fontana, Munari, Birolli, Dorazio, Vedova, Fieschi, Adami, Baj ed esponenti della Nuova Figurazione. La curatrice della rassegna, la storica dell’arte Alessandra Corna Pellegrini, ha selezionato un nucleo essenziale di opere (34) che rappresentano esempi molto significativi dell’esperienza e del linguaggio di un movimento pur tanto complesso e così difficile da circoscrivere come l’Informale e dimostrano l’alta qualità delle collezioni bresciane, sia pubbliche sia private. L’impegno dell’AAB, scientifico organizzativo finanziario, può ben essere documentato dall’importanza internazionale degli autori proposti, da Dubuffet Mathieu Schneider a Afro Basaldella Corpora Dorazio Fontana Morlotti Santomaso Scanavino Scialoja Tancredi Turcato. L’esposizione, come è prassi costante dell’Associazione, è organizzata in collaborazione con i Civici Musei d’arte e storia di Brescia, che figurano anche come prestatori. Alla curatrice va quindi rivolto il più vivo apprezzamento per il lavoro compiuto; mentre un sentito ringraziamento va espresso, per l’imprescindibile apporto alla realizzazione dell’iniziativa, ai collezionisti, il cui senso civico è veramente encomiabile, alle istituzioni pubbliche (Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Brescia Cremona e Mantova, Civici Musei, Associazione Arte e Spiritualità), alle Fondazioni ASM Brescia, CAB e Banca San Paolo di Brescia e agli sponsor, che hanno risposto con generosa disponibilità alle nostre richieste. Vasco Frati Giuseppina Ragusini 3 L’INFORMALE, FENOMENO COMPLESSO E MULTIFORME Alessandra Corna Pellegrini Problemi di una definizione, ragioni di una scelta Parlando di Informale, bisogna anzitutto partire dalla constatazione che la stessa definizione ha suscitato fin dal suo apparire una serie di problemi e discussioni: basti pensare che persino Dubuffet, considerato uno dei fon- datori del movimento in Francia, non si è mai riconosciuto in questa eti- chetta1, coniata da Michel Tapié nel 1951 in occasione delle mostre Véhé- mences confrontées e Signifiants de l’Informel e divulgata nel suo testo fon- damentale Un art autre nel 1952; e la stessa cosa può dirsi per Fautrier e Mathieu o per Vedova, per fare un nome italiano2. Ciò spiega anche la dif- fusione di altre definizioni, art autre, tachisme, abstraction lyrique (o psyqui- que)3, ognuna delle quali cercava di mettere in risalto alcuni aspetti di quel linguaggio che aveva preso il sopravvento nell’arte del dopoguerra in Eu- ropa e che aveva molti punti di contatto con le esperienze americane del- l’action painting e dell’espressionismo astratto. Pur fra le polemiche e i di- stinguo il termine si è comunque affermato, ma la critica, anche se da po- sizioni differenti, concorda sul fatto che l’arte informale non rappresenta un movimento unitario facilmente circoscrivibile, quanto piuttosto “un ar- ticolato ventaglio” di espressioni e di stili, una “nebulosa”.4 A differenza di movimenti come il Futurismo o altre avanguardie storiche, l’Informale è infatti un movimento non programmatico e organizzato, ma 1 Benchè Dubuffet sia stato il primo ad usare i termini informe e tache nel suo testo Prospectus aux amateurs de tout genre, pubblicato a Parigi nel 1946, in una lettera ad Enrico Crispolti del 1959 di- ceva: «Je ne comprende pas le sens précis de ce terme: “Art informel”. J’ai peur que ce terme ne s’applique pas a quelque chose qui puisse vraiment bien se définir et se circonscrire. […] Si cer- taines des mes travaux peuvent peut-être remplir les conditions requises par la formule de l’Art informel, il est hors de doute que d’autre de mes travaux, très nombreux aussi, sont en opposition totale avec cette formule. Ainsi ne vois-je pas clairement ce que j’ai à faire avec l’art informel. J’ajou- terai que je n’aime pas ce terme». Si veda E. Crispolti, Sulla radicalità esistenziale dell’Informale, in Informale. Jean Dubuffet e l’arte europea 1945-1970, catalogo della mostra a cura di L. M. Barbero, Modena 18 dicembre 2005-9 aprile 2006, New York 2005, p. 39. 2«Quando si vedono le mie tensioni di segni, ove tutto scoppia, subito sono etichettato: informel! Questo è superficiale. I miei lavori sono pieni di strutture – queste strutture sono strutture della mia coscienza». E. Vedova, Scontro di situazioni, in «Il Verri», n. 9, dicembre 1962. 3 Anche il termine astrazione è stato utilizzato in accezioni molto diverse, spesso ambigue, creando occasioni di fraintendimenti. Per i problemi relativi alla terminologia si vedano: R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia, Bologna 1996, pp. 179-182, e G. Dorfles, Glossarietto del nuovo gergo critico, in Ultime tendenze dell’arte d’oggi, Milano 19815, pp. 193-203; si veda anche la nota 9. 4 A. Negri, C. Pirovano, La nebulosa informale, in La pittura in Italia. Il Novecento/2 1945-1990, vol. 1, Milano 1993, pp. 256 e seguenti. 5 “di fatto”, ricostruibile a posteriori attraverso strumenti storici e critici. Bisogna inoltre osservare che il termine è stato utilizzato con accezioni di- verse: un’interpretazione più larga, con la quale all’interno di determinate coordinate storico-temporali si è cercato di trovare un denominatore co- mune per esperienze anche diverse, ma riconducibile al binomio segno- materia; un’altra più ristretta, «per la quale l’Informale sarebbe solo il rap- porto immediato, senza progetto né referente, con la pittura nel suo gor- go infinito, quale empito fisiologico portato al di là di qualsiasi tara ottico- percettiva nella più dirompente e icastica pulsione gestuale.»5 Questo spiega perché la critica si divida sull’appartenenza di alcuni artisti all’Infor- male e spesso il dilemma è se un artista si sia fermato “al di qua” di quel movimento o vi faccia legittimamente parte. Fra i punti comuni di questa tempe- rie artistica che assunse diffusione mondiale sono stati individuati il ri- fiuto delle regole tradizionali della composizione, la sfiducia nella razio- nalità e la convinzione che l’opera d’arte debba essere il frutto dell’im- provvisazione e dell’intensa libera- zione di energie psichiche. Per distin- guere le diverse linee espressive che convivono nel movimento, la critica ha spesso preferito raggruppare opere e artisti in base a criteri di ti- po linguistico-formale, individuando due linee di tendenza, quella segnico- gestuale e quella materica; bisogna però tenere presente che talvolta queste linee espressive convivono nello stesso artista o addirittura nel- la stessa opera e che fra il segno di Giuseppe Capogrossi, Superficie 396, 1961 Capogrossi e quello di Vedova e Mo- Brescia, collezione privata reni, per fare soltanto un esempio, esistono più differenze (sia formali sia concettuali) che punti di contatto. Va ricordato inoltre che all’interno dell’Informale convivono esiti figurativi e non figurativi, anche nello stesso artista (si pensi a Dubuffet o a Fautrier). Le matrici filosofiche del movimento possono essere individuate nell’Esi- stenzialismo, mentre molteplici sono quelle artistiche, fra cui le più impor- tanti sono il primo astrattismo di Kandinskij, quello dal 1910 al 1917 circa, e il Surrealismo, che aveva già introdotto l’automatismo, la non progettualità 5 R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia, Bologna 1996, p. 331. 6 nell’opera e alcune tec- niche poi riprese dal- l’Informale come il drip- ping e il grattage. Il fenomeno si affermò a partire dalla metà de- gli anni Quaranta in Eu- ropa; in Italia le manife- stazioni più precoci si ebbero a Milano con Fontana e la fondazione dello Spazialismo, ma il Emilio Vedova, Spagna oggi ’61 n. 11, 1961 movimento si affermò Brescia, collezione privata soltanto all’inizio degli anni Cinquanta, divenendo però in breve una sorta di “marea montante”: negli anni successivi e per tutta la prima metà degli anni Sessanta si mutò in linguaggio di riferimento con cui quasi tutti gli artisti fecero bene o ma- le i conti, con il rischio di trasformarlo in una nuova forma di accademia. Partendo quindi dalla considerazione che l’Informale è un fenomeno molto complesso, difficile da definire e da circoscrivere, e che l’allesti- mento, come in tutte le mostre dell’Associazione Artisti Bresciani, pren- de in considerazione solamente opere presenti nelle collezioni locali, si è preferito presentare non solo maestri riconosciuti della corrente, ma anche artisti che si sono avvicinati al linguaggio informale solo in certi momenti del loro percorso artistico, svolto altrimenti o per motivi ge- nerazionali o per convinzioni teoriche su altri fronti, a dimostrazione di quello che si è detto sopra, che cioè a una certa data la declinazione informale sembra essere un passaggio obbligato. Questo spiega il titolo Tendenze informali, il cui sottotitolo individua l’arco cronologico delle opere esposte, che va dal 1952
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