M. VALENTI, Il Patrimonio Archeologico Sommerso Del
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IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO SOMMERSO DEL TERRITORIO SENESE. ESPERIENZE E SPERIMENTAZIONI DEI PRIMI ANNI ’90 NELL’ATTIVITÀ DI RICERCA DEL DIPARTIMENTO DI ARCHEOLOGIA E STORIA DELLE ARTI DELL’UNIVERSITÀ DI SIENA 1. Il progetto Laboratorio: finalità ed aspetti metodologici Il Laboratorio di cartografia archeologica attivo nel Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena svolge la propria attività sul comprensorio territoriale senese (1). Nato da una sinergia con l’Ufficio Cultura della Provincia di Siena, si propone come esempio di rapporto istituzionale correttamente impostato. Con l’intento di censire e comprendere il patrimonio archeologico in ambito rurale, è stato possibile trovare una perfetta corrispondenza d’interessi tra esigenze proprie della ricerca sperimentale applicata ed esigenze di tipo amministrativo. L’identità di vedute ha dato luogo ad un progetto di catastazione del sommerso, al cui interno detengono pari valore quantificazione delle presenze archeologiche ed elaborazione di informazioni scientifiche, dove trovano spazio la sperimentazione di nuove tecniche di indagine e di documentazione. Nel complesso l’attività in corso, improntata su ricognizioni di superficie in aree campione e fotointerpretazione aerea per i terreni boschivi, si fonda sul convincimento che la redazione di carte archeologiche non ammette separazione dalla dimensione diacronica; non crediamo cioè a realtà territoriali storiche, per le quali si auspicano stadi di preservazione e valorizzazione adeguati, svuotate del significato di agenti una volta attivi nell’evoluzione della rete insediativa. In altre parole, siti archeologici e sintesi storica rappresentano strumenti di conoscenza soggetti ad un processo di reciproca retroazione direttamente proporzionale all’evolversi della ricerca. Comprendere le caratteristiche della risorsa archeologica significa pertanto costruire fonti la cui struttura permetta di individuare le tendenze storiche dell’insediamento; la modellizazione di queste si pone come condizione imprescindibile per ipotizzare nuove aree a rischio archeologico e tipologia relativa alle stratificazioni eventualmente localizzabili. La ricerca ha avuto inizio sulla parte settentrionale del comprensorio, in precedenza mai sottoposta a indagini estensive, mettendo a confronto quelle aree giudicate generalmente marginali ed a basso tasso archeologico (il Chianti senese) con aree dotate di maggiori informazioni ma solo per limitati periodi storici, in particolare quello etrusco (la Val d’Elsa); recentemente, riprendendo il lavoro svolto nei primi anni ottanta all’interno del progetto Montarrenti (2), si è dato avvio allo studio del territorio centro-meridionale (Val di Merse) prevedendo già da questo anno una prima estensione delle indagini (Val d’Arbia). In ognuna delle zone è stata attuata la stessa impostazione metodologica: composizione di un’ipotesi aprioristica -> redazione di un questionario di ricerca aperto -> verifica pratica -> elaborazione di nuovi dati; un’articolazione in steps conoscitivi diversificati con finalità di affinare il dato e trasformarlo in informazione © 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale scientifica; in pratica un multy-stages fieldwork basato su costruzione ed applicazione di modelli durante ognuna delle fasi di ricerca: rappresentando idealmente il dato reale lo usiamo come mezzo di conoscenza e strumento di narrazione. Adottiamo e realizziamo modelli iconici in sede di progettazione dell’indagine costruendo cartografia tematica e schematica nella quale materializzare la complessità della fenomenologia presente; in sede conclusiva presentando cartografia archeologica e cartografie diacroniche legate all’evoluzione della rete insediativa. Usiamo modelli storici nell’ipotizzare le organizzazioni spaziali succedutesi e modelli analogici restituendole sotto forma di rappresentazioni puntiformi sia nella fase di inquadramento dei dati noti sia nella presentazione dei risultati ottenuti tramite indagine sul campo. Creiamo modelli simbolici individuando mediante formule matematiche e descrittive la varietà delle forme di emergenza in superficie ed indicando le stime inerenti la “quantità” di archeologia presente, il tasso di depauperamento cui è andato soggetto il potenziale iniziale, l’ipotetico popolamento della zona. 2. Potenziale archeologico territoriale e processi post-deposizionali Per raggiungere una buona attendibilità nella comprensione del potenziale archeologico e delle tendenze ad esso legate nonché nella ricostruzione delle diverse scelte insediative di fronte ad uno stesso sfondo territoriale, rivestono un ruolo fondamentale i criteri adottati nell’interpretazione dei resti in superficie. Riuscire a produrre informazioni metodologicamente uniformate per gli aspetti abduttivi ha significato comprendere i condizionamenti causati dai processi post-deposizionali ed eliminare la soggettività del ricercatore; cioè chiarire come la destinazione e la lavorazione odierna dei terreni condizionano quantitativamente e qualitativamente la resa archeologica. (a) Utilizzazione del suolo e resa archeologica L’utilizzazione del suolo ed i tipi di azione ad essa legati si dimostrano fattori decisivi sulla archeologia che riusciamo a censire. Le stime effettuate durante le esplorazioni sul Chianti senese all’interno di campioni estesi per quasi 70 kmq, evidenziano una decisa prevalenza di rinvenimenti sui seminativi (53,62%), percentuali più ridotte sulle superfici destinate a coltura stabile (24,67%) e minime in corrispondenza di vegetazione boschiva (4,28%) (3). Le cause sono palesemente da individuare sui tipi di azione che il terreno subisce in rapporto alle colture praticate. Controllando le vicende relative ad alcuni rinvenimenti noti da segnalazioni datate alla metà degli anni settanta e ripetendo per quattro anni ricognizioni su un campione di circa 20 kmq, abbiamo inoltre calcolato le percentuali legate al depauperamento dei depositi ed osservato le vicende stagionali delle presenze di materiale in superficie. È stato così possibile individuare sia i condizionamenti cui è sottoposta la visibilità di tracce archeologiche, di conseguenza impostare adeguate ed opportune strategie di ricerca e di raccolta, sia calcolare la risorsa archeologica dell’intero territorio. In questo secondo caso, i valori sono stati ottenuti individuando l’ammontare dei siti archeologici potenzialmente presenti, quello dei siti probabilmente scomparsi e realizzando la differenza tra le due stesse stime. Abbiamo preso in considerazione la media dei rinvenimenti per kmq campionato, in relazione alle diverse utilizzazioni del © 1995 Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale suolo (seminativo, coltura stabile, bosco); i valori, moltiplicati per l’estensione delle colture all’interno dei quattro habitat paesaggistici, hanno fornito una stima sul numero dei siti archeologici potenzialmente presenti sul terreno (nel calcolo non sono comunque compresi i materiali sporadici). Sono stati poi presi in esame la media dei siti archeologici andati probabilmente perduti in relazione alle diverse utilizzazioni del suolo; si sono decurtati, dall’ammontare delle presenze potenziali, valori del 40% (seminativi), del 30% (coltura stabile), del 20% (bosco). Nel complesso il Chianti senese prospetta la possibile presenza di depositi archeologici intorno ad un numero di 900 ed un possibile depauperamento intorno alle 300 unità. Dalle operazioni effettuate si osserva quindi che il realistico potenziale archeologico in nuce può essere stimato in una cifra di circa 600 presenze e quindi un decremento di 1/3 non più recuperabile. La distribuzione generale dei depositi archeologici indizio di componenti insediative rivela una decisa predilezione per le sommità collinari e, in parte, per le posizioni di versante. Nonostante il condizionamento che i limiti oggettivi della ricerca possono esercitare sulla resa archeologica accertabile da zona a zona, risulta comunque inequivocabile il ruolo rivestito dalla collina nel processo di controllo del territorio e delle sue risorse. Le percentuali stesse dei rinvenimenti per ognuna delle categorie paesaggistiche nelle quali il grado di visibilità media risulta buono, mostra valori decisamente inferiori, a confermare l’assoluta preminenza dei rilievi collinari. Esistono comunque fattori che influenzano la materializzazione di valori così schiaccianti. Innanzitutto la grande estensione spaziale del paesaggio collinare; in secondo luogo la sua vocazione agricola alla quale consegue una destinazione dei terreni per oltre il 50% a seminativo e per poco meno del 30% a coltura stabile: i due tipi d’uso del suolo cui si legano le percentuali maggiori di rinvenimento, rispettivamente il 54% ed il 25%. Tutto ciò non ridimensiona però la tendenza che trova le proprie origini nella presenza di terreni decisamente fertili ed attraversati da un numero molto alto di corsi d’acqua di piccola e media portata. L’articolazione delle presenze archeologiche, considerando ancora sincronicamente i dati, mostra come la singola abitazione rappresenti la forma insediativa più diffusa. Decisamente minore l’ammontare delle altre componenti, tra le quali spiccano le zone caratterizzate dalla presenza di materiali sporadici per le quali è possibile parlare tanto di uso dei terreni per scopo agricolo (cioè concimazione; questo soprattutto per il medioevo) quanto di depositi andati ormai distrutti; qualunque