Miscellanea Di Storia Montaionese 1
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Rino Salvestrini Miscellanea di storia montaionese 1 1 2 Rino Salvestrini Miscellanea di storia montaionese 1 3 Premessa Si tratta della raccolta di alcuni lavoretti preparati per le lezioni all'Università dell'Età Libera a Villa Serena (Cronaca nera e Leggende); di una piccola ricerca in occasione di una festa della Misericordia (Storia dell'assistenza); di piccole ricerche che ho fatto mirate a certi argomenti (Ultimi vetraia, Il Ventuno e Come Gambassi ritornò Comune). Inoltre, come detto nella premessa di altri scritti, nel ricercare in pubblicazioni e in archivi, mi capita di trovare notizie che mi piacciono e le metto nel computer, poi le aggiungo a scritti già considerati finiti, o le raggruppo in nuovi argomenti di storia montaionese; e qui riporto: Gli abitanti nell'Ottocento e nel Novecento, e infine in una Piccola miscellanea. Non tutto è originale, perché certe notizie sono riportate in altri miei libri editi e inediti, ma qui sono utilizzate per trattare argomenti specifici. 1995 I dipendenti comunali salutano il sindaco Rino Salvestrini che lascia l’incarico dopo 15 anni 4 Cronaca nera 5 Premessa Sono molti gli aspetti della vita di un paese, quindi anche la storia è un ricordo complesso. Certamente hanno un’importanza maggiore l’economia, la vita sociale, la cultura, l’ambiente, i costumi etc, ma per conoscere il passato per intero, bisogna anche accennare a quei fatti brutti che in ogni tempo si sono verificati ovunque, più o meno. E poi quando una cosa è bella o è brutta? Bisogna tener conto che ci sono cose da non farsi mai, ma altre possono sembrare sbagliate oggi, e non lo erano allora o viceversa atti condannati nel passato e rivalutati dopo. Il nero è il più brutto dei colori. Si dice: sfortuna nera, umore nero. La notte fa paura perché si sentono i rumori ma non sappiamo la loro origine. Nero è il colore del lutto. Quindi per cronaca nera si intendono i fatti tristi, ma io mi limito a quelli che sono successi a Montaione nella sua storia. Alcuni fatti sono realmente successi, altri sono nella tradizione popolare, tramandati di padre in figlio per secoli e quindi arrivati fino a noi un po’ modificati quasi da divenire leggende, che, come si sa, sono molto fantasiose, ma hanno sempre una base di verità iniziale. L’esposizione dei fatti segue soltanto l’ordine cronologico. Per primi sono i fatti antichi accaduti nel Medio Evo, trovati in vecchi documenti e a volte anche un po’ trasformati dalla leggenda; seguono quelli dell’Età Moderna dal 1500 al 1700 e infine riporto anche quelli recenti, cioè dell’ Ottocento e del Novecento. Non è un saggio di storia, ma un semplice racconto per i miei lettori che sono quelli che hanno fatto solo le elementari o le medie inferiori. Non ho riportato il delitto Filippi, la Banda dello Zoppo, e gli altri fatti del tempo, perché rimando sono nel capitolo precedente. NEL MEDIO EVO I fatti di questo capitolo si riferiscono al Medio Evo, quel periodo della storia che va dalla caduta dell’Impero Romano nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo fatta dal barbaro Odoacre, alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nell’anno 1492. E’ stato definito Medio Evo perché sta nel mezzo fra la storia antica e quella moderna. Il Comune di Montaione era molto piccolo, andava da Poggio all’Aglione agli Alberi fra i torrenti Evola e Aia. Facevano Comune anche Barbialla, Collegalli, Tonda, Castelfalfi, Vignale, Camporena, La Pietrina e Santo Stefano, oggi frazioni di Montaione. Montaione e questi Comuni facevano parte del territorio di San Miniato che costituiva uno stato indipendente fra le grandi Repubbliche 6 di Pisa, Siena e Firenze, ma quest’ultima col tempo assoggettò quasi tutta la Toscana. Montaione e gli altri Comuni del suo attuale territorio passarono nell’orbita della guelfa Firenze nel 1369-1370. Il passaggio fu obbligato e indolore, si trattò di cambiare padrone; non più gli statuti di San Miniato, ma statuti propri, però approvati dalla Repubblica Fiorentina, che fu la nuova dominante. Chi si ribellò fu punito severamente, vedi il capitolo dei conti di Collegalli. Il traditore di Barbialla Non conosciamo il suo nome e allora per il racconto diamogliene uno: Barba. Correva l’anno 1398, Jacopo d’Appiano, capitano di ventura al servizio del duca di Milano che si era alleato con i Pisani, cercava di conquistare Barbialla. Jacopo d’Appiano, non si sa bene in che occasione, ma si incontrò con Barba, gli promise una bella cifra di denaro perché gli aprisse le porte quando avrebbe attaccato col suo esercito di soldati pisani. Barba, avido di fiorini, accettò. Il capitano non si fidava tanto e allora pretese, a garanzia dell’accordo, che un nipote di Barba restasse in suo ostaggio. E così fu. Ma il barbiallino fece subito il doppio gioco: andò a Firenze a parlare con i Dieci di Balìa, raccontò tutto, propose di far credere a Jacopo d’Appiano che lui avrebbe aperto le porte di Barbialla, mentre i Fiorentini avrebbero preparato una bella imboscata nascondendo nel castello e intorno molti soldati. Però il nostro Barba pretese dai Fiorentini, una ricompensa molto più grande di quella che gli avevano promesso i Pisani. E così tutto fu accettato dai Dieci della Repubblica Fiorentina. Venne l’esercito pisano sicuro di entrare facilmente nel castello di Barbialla arroccato sulla collina e cinto di possenti mura, ma con Barba che gli avrebbe aperto le porte. Invece, ad aspettare c’erano molti soldati fiorentini, comandati da Bernardone delle Serre, che sconfissero facilmente i Pisani facendo ben 300 prigionieri e prendendo 150 cavalli, che a quel tempo costituivano un grosso patrimonio, perché la cavalleria era sempre decisiva nelle battaglie. Fra i prigionieri c’era anche un notabile, personaggio importante, di Pisa che fu scambiato con il nipote di Barba e così la storia ebbe un lieto fine. 7 Barbialla I sindaci della resa La campana della torre suonò a raccolta e gli uomini di Montaione si riunirono in parlamento nella chiesa di San Bartolommeo, l’ambiente più grande che ci fosse al coperto e al chiuso. Era il 23 di agosto dell’anno 1369. Erano presenti i due terzi degli uomini, perché le donne non avevano potere decisionale nel Comune, insomma non contavano nulla. Ormai i Comuni della zona che facevano parte del distretto di San Miniato e anche questo Comune, stavano tutti quanti assoggettandosi alla Repubblica di Firenze. C’era chi diceva di rivolgersi alla Repubblica di Pisa e chi a quella di Siena, ma infine si decise per Firenze, che era la più forte e poi cambiava solo protettore, leggi padrone, da San Miniato a Firenze. Francesco di Neruccio e Balduccio di Vanni furono nominati Sindaci per trattare, anche se c’era poco da discutere con la Repubblica Fiorentina. I due Sindaci, due giorni dopo, si presentarono ai Priori delle Arti e al Gonfaloniere di Giustizia di Firenze. Da allora Montaione entrò nel Contado di Firenze e i Montaionesi furono considerati alla pari dei cittadini della Repubblica. Montaione ebbe la facoltà di avere Statuti propri, ma approvati da Firenze e l’esenzione dai dazi, prestanze, gabelle ecc. per dieci anni. 8 Distruzione di Camporena L’araldo venne nella pubblica piazza del castello di Camporena e lesse il bando: “Si avvertono tutti i cittadini camporenesi, che per ordine e volontà della Repubblica Fiorentina, il Castello di Camporena domani sarà distrutto, le case disfatte e demolite le mura e le torri. Sulle macerie sarà sparso il sale, affinché neppure l’erba possa rinascere. Si ingiunge a tutti di lasciare domani di buon’ora il castello, perché entreranno in azione i demolitori”. La gente, dopo un momento di sconforto e disperazione mista a rabbia contro la prepotenza del più forte, incominciò a far fagotto portando via quel che poteva in così poco tempo: soldi, vestiti e soprattutto la roba da mangiare: grano, farro, fagioli, carne secca e poco altro. Si dispersero presso parenti, molti nelle case del borgo di Iano e nel castello della Pietra che erano vicini, altri a Castelfalfi e perfino a Montaione. E arrivarono i guastatori, pagati ben 300 fiorini dai Fiorentini, che distrussero casa per casa, ed anche le mura e le torri fino alle fondamenta. Moriva così, nel 1329 un vecchio castello costruito dai Samminiatesi due secoli prima, esattamente nel 1122. 9 Ma perché la Repubblica di Firenze fece distruggere il castello di Camporena? Bisogna ricordare che in quei tempi erano in lotta i guelfi che comandavano a Firenze e i ghibellini a Pisa e a San Miniato nel cui distretto si trovavano Montaione, Castelfalfi, Vignale e Camporena; anzi era proprio in questa zona che i Mangiadori, famiglia ghibellina di San Miniato, avevano i loro possessi. Proprio i Mangiadori e anche i Ciccioni (forse loro parenti visto il nome!) osarono ribellarsi alla conquista di Firenze e il partito dei guelfi fu spietato: requisì tutti i beni dei ghibellini e distrusse anche questo castello, che si trovava sul confine, per paura che cadesse in mano ai Pisani. Il malvagio di Tonda Ceo del fu Neruccio era detto il Malvagio. Perché? Ceo era il Gonfaloniere di Tonda, un libero Comune nel Distretto di San Miniato. Aveva il comando assoluto del Comune e faceva leggi a suo vantaggio, soprattutto ne aveva fatta una che lo escludeva dal pagamento di tasse, gabelle e balzelli. Nessuno osava ribellarsi anche se molti mormoravano. Con l’arrivo della supremazia della Repubblica di Firenze le cose cambiarono, infatti nelle condizioni che il Consiglio del Capitano, i Priori, il Podestà e il Comune di Firenze, imposero nel 1382 a Tonda al momento della sottomissione, si legge al punto 8° che Ceo del fu Neruccio, chiamato il Malvagio di Tonda, doveva pagare e sopportare in quel Comune tutte le gravezze (tasse) come gli altri, qualunque fosse la deliberazione che avesse fatto a suo favore in precedenza.