NUMERO 278 in Edizione Telematica 10 Marzo 2020 DIRETTORE: GIORS ONETO E.Mail: [email protected]
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NUMERO 278 in edizione telematica 10 marzo 2020 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Con un’atletica che sta sempre più vagando nel poco, per non dire nel nulla, già da qualche tempo stavamo perdendo gli entusiasmi dello scrivere; il macigno del virus che viene dall’oriente stava facendo il resto cercando di annullare in noi ogni entusiasmo. La tentazione di lasciar perdere era forte. Poi, diversamente di quanto hanno fatto altri, ci siamo ricordati che la trincea non si abbandona mai, tanto meno quando le cose vanno male. Così rinnovando gl’intenti d’un tempo e gli entusiasmi comuni d’antiche amicizie, eccoci puntuali con questo numero di Spiridon. E non sarà l’ultimo. ogni disciplina pratica il fai da te e l’Europa mette all’indice il sistema-Italia Gli italiani, si sa, reagiscono scompostamente alle emergenze. Basti ricordare quanto successe all’altezza dell’armistizio a concludere, per quanto ci riguarda, la seconda guerra mondiale. Ora con il coronavirus popolazione in fuga dal nord, uso improprio delle mascherine, spesa stile borse nera nei supermercati. Ma se vogliamo scegliere un comparto di confusione e incoerenza potremo prendere a paragone il mondo dello sport. Anzi tutto non ci aiuta la cornice internazionale. Italia messa all’indice dalla Comunità Europea che ancora una volta ci ha lasciati soli. Come nell’esempio macroscopico della gestione dei migranti. Casi affrontati una volta alla volta, evento per evento, sport per sport, con criteri geopolitici. Senza che fossa una ratio trasparente e coerente a riassumere il tutto. Sportivi italiani trattati come appestati e messi all’indice. A dimostrare che l’Unione Europea, tanti anni dopo le teorie di Alterio Spinelli è solo un’accozzaglia di interessi economici indebitamente fusi in un unico filo conduttore. Ma altro non c’è. Né morale, né cultura. Né, per quello che c’interessa, sport. Il testimone è stato poi raccolto con SPIRIDON/2 dovizia arricchita di incongruenze in patria. Dove, ancora una volta, è stato ribadito che non tutti gli sport sono eguali, anche agli occhi del peraltro impotente Coni. Le discipline più popolari, rigidamente divise tra professionistiche e dilettantistiche (anche se tutte e due i rami poi convergono verso l’Olimpiade) hanno fatto legislazione a sé. Il calcio ha giocato a porte chiuse, bocciando il goffo tentativo del poco esperto Ministro Spadafora di strappare una differita in chiaro della partitissima Juve Inter. Pallavolo e basket si sono astenute dall’attività collassando i prossimi calendari bloccati per un mese intero. In particolare difficoltà il basket dove la decisione è stata presa per la forte pressione esercitata dai giocatori americani (la larga maggioranze delle rose, altresì dette roster). Qualcuno come Clark ha risolto anticipatamente il contratto tornando negli States, sentendosi più garantito (beato lui) sotto le insegne dell’amministrazione Trump. L’atletica leggera, manco a dirlo, collocata tra i paria (dove non stanno F 1, motociclismo e ciclismo) ha abrogato tutti gli impegni possibili e qui si parla di cancellazione tout court più che di rinvio, come nel caso della Maratona di Roma o dei campionati master, stante il carattere primaverile della collocazione in campionato. Adesso già le gazzette provano a calcolare il danno economico dello stop. Puerile, il peggio deve ancora arrivare. Purtroppo in termini di mortalità, di danni al territorio e alle disastrate finanze dello Stato, irreparabilmente colpite appena un attimo dopo che il debito pubblico formalmente, era iniziato a scendere, il peggio deve ancora arrivare per un conteggio brutale. La crescita del PIL su cui si litigava in nome di un decimale dovrà aggiungere un “de” privativo al sostantivo per un segno – corposo. Alle conseguenze del virus si aggiungono infatti quelle del caso Ilva. Ma bisogna pensare e guardare a un universo ancora più macro. Che ne sarà dell’Olimpiade di Tokyo? L’atteggiamento degli organizzatori per il momento ricorda quello del Premier Renzi. Sicurezza, ottimismo, fiducia nel conclamato bouquet mediatico. Salvo pensare alla mala parata e a cercare una via d’uscita. Un po’ d’ipocrisia è d’obbligo in questi casi. Ma già i tornei di qualificazione sono stati stravolti e, come dimostrano le cifre, al momento il Giappone non è certo il Paese più immune da questa pandèmia. La possibilità che un evento di tale portata non posso svolgersi ci rimanda in un certo senso alle atmosfera del 1940/1944 quando il disastro evento mondiale rinviò le competizioni. Un atmosfera plumbea grava sul mondo. Non sono i giorni dell’austerity. Non sono neanche quelli della Sars o dell’Ebola (che non toccò l’Europa). Si tratta di qualcosa di strano e di peggiore, non ancora completamente valutabile. DANIELE POTO Difficile concentrarsi sullo sport in questi momenti, nei quali il “tutto” ed il “contrario di tutto” non smettono di darsi battaglia: per chiarire è dunque meglio precisare subito che siamo pienamente d’accordo su chi sostiene che le precauzioni non sono mai abbastanza, anche se è evidente che al nostro povero Bel Paese costeranno lacrime e sangue. Quasi per tutti, perché purtroppo la storia ci insegna che nei momenti di disgrazia c’è sempre qualcuno che riesce ad approfittarsene. Pensate alle mascherine, i cui prezzi sono volati alle stelle ed alle volte ne vedi anche in circolazione che sembrano veri tarocchi, anzi che probabilmente lo sono proprio. Ma non è questo che occupa più di tanto i miei pensieri. Piuttosto mi capita di immedesimarmi in quei ragazzi, maschio e femmine, che senza tanti grilli per la testa coltivano, con cadenza quadriennale nell’anno bisestile – nulla di superstizioso in questo ricordare il 29 febbraio, ci mancherebbe –, il sogno massimo di uno che fa sport e cioè di partecipare all’Olimpiade, anche se ormai i Giochi stanno diventando una rassegna da circo, con specialità da funamboli che, essendo praticate da pochi, regalano medaglie e gloria a chi è più lesto ad approfittarne. Penso dunque ai sogni che rischiano di essere rimandati – e speriamo che non sia così, perché altrimenti significherebbe che la “grande paura” ha ancora ragione d’essere –, e penso a chi come Tamberida quattro anni sogna una rivincita sulla mala sorte che lo bloccò prima di Rio de Janeiro ed oggi vive dubbi ed ansie aggiuntive, ed ogni volta che si allena probabilmente si domanda: “Ma serve quello che sto facendo?”. E di Tamberi in circolazione nei vari sport – quelli veri, non da saltimbanchi – ce ne sono tanti. Auguri, dunque, ragazzi perché i vostri sacrifici servano a qualcosa e il vostro sogno, quello decubertiniano di partecipare, si avveri. In barba a chi – e probabilmente alla fine sarò anch’io tra quelli – alla fine si metterà a contare le medaglie o magari vi obbligherà a rodervi il fegato perché avrà detto o scritto che siete arrivati “soltanto” quarti. Giorgio Barberis SPIRIDON /3 fuori tema Mentre l'atletica e lo sport, che sono un nulla, sono fermi come tutto il resto del territorio nazionale, salvo l'imbecillità di quanti svuotano i supermercati, e mentre la demenzialità del prossimo televisivo si ostina, nella durezza di tempi, nell'annuncio bovino riassumibile nel'il meglio del calcio prima di tutto', la nostra curiosità resta bloccata ad una pagina dell'ultimo numero di Trekkenfild, il periodico digitale dignitosamente sostenuto e alimentato dai dioscuri Walter Brambilla e Daniele Perboni. Tre i protagonisti della pagina, lo stesso Perboni, Gianni Mauri, presidente del Comitato regionale, e Andrea Boroni, avvocato e presidente di una Società di atletica. Succede che Mauri trovi fastidioso che gli si dia, da parte di Perboni, per via dell'invidiabile inclinazione microfonica del dirigente, del 'grillo parlante', al punto da ritenere necessario rivolgersi ad un creativo studio legale perché il fastidio abbia termine. Sulla faccenda, e sulla sua irritualità, ha già espresso diffusamente la propria opinione Ottavio Castellini, presidente dell'Archivio Storico dell'Atletica Italiana intitolato a Bruno Bonomelli, richiamandosi, come evitarlo, a quell'insuperato ed antico breviario pedagogico prodotto a Firenze in finire del secolo diciannovesimo dall'estro fenomenale di Carlo Lorenzini, laddove l'Acheta domesticus trattato dalla scienza entomologica,vale a dire il grillo parlante della Storia di un burattino nata dalla mano del primo di dieci figli di un cuoco e di una cameriera famigli del marchese Ginori, tutto appare fuorché paradigmatico di offesa, e dunque passibile di assimilazione all'inaccettabilità di una denigrazione o, peggio, di un insulto. Poco convinti delle nostre conoscenze linguistiche, ne abbiamo chiesto conferma e conforto, avendoli entrambi, ad un vecchio amico solito frequentare gli ambulacri capitolini dell'Accademia della Crusca. A questo punto, non resterebbe ragionevolmente che archiviare l'episodio sotto una montagna di risate. Epperò, la vicenda spiace, doppiamente, sia perché l'avvertimento, o l'intimidazione, avventurosi ai limiti della temerarietà, messi in atto dall'avvocato Boroni avverso Perboni, non sarebbero mai dovuti nascere, e come tali quindi da restituire al mittente, sia perché l'atletica, avara in passato di fenomeni del genere, con protagonista negativo un suo dirigente eletto, di tali fenomeni non ha bisogno. Non entriamo nel merito delle capacità dirigenziali di una persona che ha nelle proprie mani la gestione del principale polmone organizzativo e promozionale atletico del territorio italiano. Non lo facciamo perché difettiamo di conoscenze dirette e perché la cosa sostanzialmente,