Giovanni Scavo

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Giovanni Scavo FRANCO LAZZARI GIOVANNI SCAVO L’Atleta Volsco PREFAZIONE DI MARIO PESCANTE RINGRAZIAMENTI Questa pubblicazione è il frutto della passione per l’atletica e per la figura di Giovanni Scavo a cui è indissolubil- mente legata la mia esperienza sportiva. Passione che mi ha portato ad approfondire la storia di un periodo del nostro mezzofondo prima visitato solamente con occhio sfuggevole, magari alla ricerca di qualche dato statistico. Il risultato che ne è scaturito non sarebbe stato comunque possibile senza il contributo di quelle persone che sento il dovere di ringraziare. Il fratello di Gianni, Sergio Scavo, Pier Luigi Starace, Gianfranco Baraldi, Giorgio Lo Giudice e soprattutto il dott. Gianfranco Colasante, dell’ufficio stampa del CONI, la cui esperienza e professionalità hanno fatto di una massa di appunti sparsi, un libro. Franco Lazzari Velletri, dicembre 1996 PREFAZIONE Tra le foto più care che mi ricordano gli anni passati sulle piste di atletica, ne conservo gelosamente una che porta poche parole scritte da una mano amica, quella di Giovanni Scavo. Per quelle parole sincere, e per l’augurio che esse contenevano, sono sempre grato a Giovanni, con il quale ho avuto in comune il periodo più bello della vita e l’amore per l’atletica. Cercando nei ricordi più riposti, trovo un’altra immagine conservata nella memoria: la vittoria di Giovanni ai 1000 metri degli ‘studenteschi’. Una immagine di gioia e di giovinezza che mi ha accompagnato per tutta la vita e che ha sempre rappresentato per me la bellezza dell’atletica ed i profondi valori dello sport. Giovanni non ha avuto fortuna nella vita ed è scomparso quando la sua stella, come atleta e come uomo, cominciava a brillare più luminosa. Avrebbe meritato molto di più, perché molto aveva ancora da dare. Non posso che esprimere all’ ‘Atletica Velletri’ il mio più sincero compiacimento per aver voluto, con questo lavoro, ricordare Giovanni Scavo a quanti non hanno avuto la grande fortuna di conoscerlo e di essergli amico. Mario Pescante Presidente del CONI Febbraio 1997 PREMESSA <Come ti è venuta l’idea di scrivere di Gianni Scavo?> Questa l’immancabile domanda che mi è stata rivolta ogniqualvolta avvicinavo le fonti utili alla mia ricerca. La semplice risposta, di colui che faceva parte della società sportiva legata al nome di Giovanni Scavo, non bastava a soddisfare il meravigliato interlocutore. Questa ricorrente domanda mi ha allora indotto a verificare le motivazioni da cui era scaturito l’impulso primario e, effettivamente, il lavoro realizzato è certamente più titolato di quello che avevo intenzione di realizzare. Quando nel 1977 diventai uno dei tanti atleti della società, conoscevo di Giovanni Scavo quello che a tutti era noto: un grande atleta, che aveva dato lustro alla città di Velletri, prematuramente scomparso, e i suoi notevoli primati nei 400 e negli 800 metri. Nel 1989, dodici anni più tardi il mio primo contatto con la società Giovanni Scavo, mi ritrovai ad essere uno dei promotori della sua rinascita dopo che, dal 1982, questa aveva cessato ogni attività. Tutto ciò che legava la rinata società sportiva con quella che aveva svolto attività negli anni sessanta a settanta era purtroppo solamente il nome di Giovanni Scavo, non esistendo più alcuna documentazione ufficiale né, tanto meno, l’albo dei primati sociali. L’insofferenza di aver perso la memoria storico-istituzionale mi spinse quindi alla ricerca di quei risultati che fin dal 1960 erano stati ottenuti da atleti che avevano gareggiato ricordando il nome di Gianni Scavo. La ricerca si è rivelata più proficua di quanto mi aspettassi, avendo ritrovato non solo i dati statistici, ma anche gli atti documentativi della storia atletica veliterna ben oltre il 1960. Una storia in cui Giovanni Scavo aveva recitato il ruolo del protagonista; una storia a cui non è stato possibile esimermi dal raccontare. 9 1954. Studente-Atleta li anni cinquanta. Anni duri, anni di ricostruzione, ma anche di grande fiducia nel futuro. Anni di una G società divisa tra i fautori di don Camillo e quelli di Peppone. Anni di corsa. Gli italiani scappano dal loro recente e triste passato. E per andare più in fretta, per tutti, ma soprattutto per i più giovani, c’è la possibilità di correre. Corrono verso un sogno, e i sogni camminano più in fretta di quanto non possano i loro piedi. Velletri, come i1 resto del paese, ricostruisce dalle proprie macerie, e qui è la società più vicina all’ambiente ecclesiastico che fa da propulsore a questo bisogno di rinascita. Un ambiente che trova in prima linea 1e ACLI, punto cardine delle attività ludico-sportive-ricreative che orbitano intorno agli interessi più puramente religiosi. Grazie ad un contributo dell’allora papa Pio XII, l’ACLI Velletri acquista, ristruttura e mette a disposizione, la nuova sezione di via Guido Nati angolo via Novelli. È qui che, nei primi anni cinquanta, Aldo Mammucari coordina la società di atletica, un gruppo di persone ben amalgamate che correvano, divertendosi, in tutte le gare che allora si organizzavano in occasione delle feste religiose di Velletri e dei paesi viciniori. Fervono le attività sportive e, accanto alle ACLI, sono le scuole, in quel felice connubio con lo sport voluto da Bruno Zauli, le più adatte ad estrinsecare 1a voglia di correre verso traguardi ideali. Bruno Zauli profuse ogni sua energia, si diede ‘anima e cuore’ per far entrare lo sport nella scuola, e lo sport nella scuola non poteva che significare 1’atletica leggera. Attraverso la scuola iniziò così un nuovo indirizzo che doveva portare ad un solido movimento atletico. Una scommessa, risultata vincente, che portò a rompere con il passato, tanto da segnare un netto confine a distinguere le vicende dell’atletica italiana in due parti: una, prima del 1950 e una che ha come punto di partenza la nuova impostazione dell’educazione fisica nella scuola. Da quando era nata, la FIDAL aveva potuto contare su un numero relativamente piccolo di appassionati che cercavano, tra 1’indifferenza generale, di promuovere il movimento atletico reclutando i prodotti di un esiguo raccolto. E sotto questo aspetto si sono fatti miracoli raggiungendo risultati anche sproporzionati alle effettive forze. Cosa c’era infatti, nel mezzofondo italiano dietro i risultati di Luigi Beccali e Mario Lanzi? Per tutto il tempo si era selezionato e raccolto, ma non si era riusciti a trascinare i giovani verso 1’atletica. Una mancanza che, in quegli anni cinquanta, andava colmando la scuola. A Velletri è l’istituto tecnico ‘Cesare Battisti’ ad essere sempre in prima linea grazie anche a1 preside prof. Raffaele Uncini che ritiene lo sport, e 1’atletica in partico- lare, disciplina di pari dignità con le altre materie didattiche. 12 È qui che subito emerge 1a figura di Giovanni Scavo catapultato nel breve tempo di un batter di ciglia dai prati veliterni, luogo naturale delle campestri scolastiche, alle piste degli stadi di tutto il mondo. Testimone oculare del passaggio di Gianni Scavo da atleta ‘normale’ a campione, che avvenne tra la primavera e 1’autunno del 1954, è Pier Luigi Starace che divideva con Gianni Scavo 1a passione per le corse di mezzofondo. Frequentavo allora il I Liceo all’ ‘Antonio Mancinelli’ avevo due anni meno di Gianni. Ricordo una limpida mattina di maggio, quando il professore di Italiano, Alberto Puntoni, portando a termine una divagazione filosofica in margine alla sua lezione sull’Umanesimo, disse con aria di cordiale saggezza: «Eh si ragazzi, in fondo, a pensarci bene, l’uomo è sempre un po’ idolatra!» Io assentii involontariamente, abbassando gli occhi sul banco davanti a me, e dicendo pensierosamente al mio compagno di banco Pietro Giannone: <mannaggia... il micio (era il soprannome che Puntoni si era guadagnato per una sua certa aria felina) ha ragione>. Il vecchio amico mi diede un’occhiata di compatimento, ma non contestò l’asserzione del professore. Cosa c’era dunque sul mio banco a comprovare le parole dell’Italianista ed a fomentare il disprezzo canzonatorio del vicino di posto? Il vecchio piano di legno, consumato, macchiato e scarabocchiato, recava alcuni segni vigorosamente incisi e chiaramente rimarcati con l’inchiostro. Risaltava per prima cosa una figuretta di atleta in atto di correre, intagliata profondamente nel legno, con sotto una grande scritta in maiuscole di ‘W SCAVO’. Poi, uno sotto l’altro, dei nomi sibillini, come S. Paolo, Tor di Quinto, Farnesina, Olimpico, seguiti da un primo a da cifre di minuti primi e secondi. Ecco il complesso feticcio oggetto della mia adorazione, che ogni mattina contemplavo con occhio estatico di credente: le vittorie di Giovanni Scavo. Nonostante la collana consecutiva di quei successi, Giovanni Scavo, restò ignorato dal grande pubblico, perfino dai giornalisti. La ricompensa di quelle fatiche del diciottenne studente di ragioneria, fu solamente il tempo segnato da un quadrante di cronometro, il sorriso ammirato di qualche rivale generoso, l’istante di frenetica gioia del filo di lana infranto e il commosso elogio del suo allenatore di allora, il professor Armando Giallombardo, siciliano ed insegnante di educazione fisica presso il ‘Cesare Battisti’. Attimi di gioia per ore di tormento. Un tormento che Giovanni Scavo sopportava, con nel petto quello splendido, irresistibile stimolo che ad un certo punto, nei cuori dei giovani generosi, punge come un ferro rovente, e può calmarsi solo con una sterminata effusione di coraggio e di forza. In lui bruciava ciò che spinge il rocciatore sulle vette estreme, il nuotatare a profondità sempre maggiori, il sacerdote all’amore senza limiti per tutti. Ciò che supera il disprezzo della gente, sfonda la barriera del timore indeciso, implica il saper gustare l’asprezza reconditamente dolce del dolore; ciò che, se soffocato, produce le più paurose sensazioni di rimorso, e rimane come una cicatrice perenne nella personalità scialba dell’uomo.
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