FRANCO LAZZARI

GIOVANNI SCAVO

L’Atleta Volsco

PREFAZIONE DI MARIO PESCANTE

RINGRAZIAMENTI

Questa pubblicazione è il frutto della passione per l’atletica e per la figura di Giovanni Scavo a cui è indissolubil- mente legata la mia esperienza sportiva. Passione che mi ha portato ad approfondire la storia di un periodo del nostro mezzofondo prima visitato solamente con occhio sfuggevole, magari alla ricerca di qualche dato statistico. Il risultato che ne è scaturito non sarebbe stato comunque possibile senza il contributo di quelle persone che sento il dovere di ringraziare. Il fratello di Gianni, Sergio Scavo, Pier Luigi Starace, , Giorgio Lo Giudice e soprattutto il dott. Gianfranco Colasante, dell’ufficio stampa del CONI, la cui esperienza e professionalità hanno fatto di una massa di appunti sparsi, un libro.

Franco Lazzari

Velletri, dicembre 1996

PREFAZIONE

Tra le foto più care che mi ricordano gli anni passati sulle piste di atletica, ne conservo gelosamente una che porta poche parole scritte da una mano amica, quella di Giovanni Scavo. Per quelle parole sincere, e per l’augurio che esse contenevano, sono sempre grato a Giovanni, con il quale ho avuto in comune il periodo più bello della vita e l’amore per l’atletica. Cercando nei ricordi più riposti, trovo un’altra immagine conservata nella memoria: la vittoria di Giovanni ai 1000 metri degli ‘studenteschi’. Una immagine di gioia e di giovinezza che mi ha accompagnato per tutta la vita e che ha sempre rappresentato per me la bellezza dell’atletica ed i profondi valori dello sport. Giovanni non ha avuto fortuna nella vita ed è scomparso quando la sua stella, come atleta e come uomo, cominciava a brillare più luminosa. Avrebbe meritato molto di più, perché molto aveva ancora da dare. Non posso che esprimere all’ ‘Atletica Velletri’ il mio più sincero compiacimento per aver voluto, con questo lavoro, ricordare Giovanni Scavo a quanti non hanno avuto la grande fortuna di conoscerlo e di essergli amico.

Mario Pescante Presidente del CONI Febbraio 1997

PREMESSA

Questa l’immancabile domanda che mi è stata rivolta ogniqualvolta avvicinavo le fonti utili alla mia ricerca. La semplice risposta, di colui che faceva parte della società sportiva legata al nome di Giovanni Scavo, non bastava a soddisfare il meravigliato interlocutore. Questa ricorrente domanda mi ha allora indotto a verificare le motivazioni da cui era scaturito l’impulso primario e, effettivamente, il lavoro realizzato è certamente più titolato di quello che avevo intenzione di realizzare. Quando nel 1977 diventai uno dei tanti atleti della società, conoscevo di Giovanni Scavo quello che a tutti era noto: un grande atleta, che aveva dato lustro alla città di Velletri, prematuramente scomparso, e i suoi notevoli primati nei 400 e negli 800 metri. Nel 1989, dodici anni più tardi il mio primo contatto con la società Giovanni Scavo, mi ritrovai ad essere uno dei promotori della sua rinascita dopo che, dal 1982, questa aveva cessato ogni attività. Tutto ciò che legava la rinata società sportiva con quella che aveva svolto attività negli anni sessanta a settanta era purtroppo solamente il nome di Giovanni Scavo, non esistendo più alcuna documentazione ufficiale né, tanto meno, l’albo dei primati sociali. L’insofferenza di aver perso la memoria storico-istituzionale mi spinse quindi alla ricerca di quei risultati che fin dal 1960 erano stati ottenuti da atleti che avevano gareggiato ricordando il nome di Gianni Scavo. La ricerca si è rivelata più proficua di quanto mi aspettassi, avendo ritrovato non solo i dati statistici, ma anche gli atti documentativi della storia atletica veliterna ben oltre il 1960. Una storia in cui Giovanni Scavo aveva recitato il ruolo del protagonista; una storia a cui non è stato possibile esimermi dal raccontare.

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1954. Studente-Atleta

li anni cinquanta. Anni duri, anni di ricostruzione, ma anche di grande fiducia nel futuro. Anni di una G società divisa tra i fautori di don Camillo e quelli di Peppone. Anni di corsa. Gli italiani scappano dal loro recente e triste passato. E per andare più in fretta, per tutti, ma soprattutto per i più giovani, c’è la possibilità di correre. Corrono verso un sogno, e i sogni camminano più in fretta di quanto non possano i loro piedi. Velletri, come i1 resto del paese, ricostruisce dalle proprie macerie, e qui è la società più vicina all’ambiente ecclesiastico che fa da propulsore a questo bisogno di rinascita. Un ambiente che trova in prima linea 1e ACLI, punto cardine delle attività ludico-sportive-ricreative che orbitano intorno agli interessi più puramente religiosi. Grazie ad un contributo dell’allora papa Pio XII, l’ACLI Velletri acquista, ristruttura e mette a disposizione, la nuova sezione di via Guido Nati angolo via Novelli. È qui che, nei primi anni cinquanta, Aldo Mammucari coordina la società di atletica, un gruppo di persone ben amalgamate che correvano, divertendosi, in tutte le gare che allora si organizzavano in occasione delle feste religiose di Velletri e dei paesi viciniori.

Fervono le attività sportive e, accanto alle ACLI, sono le scuole, in quel felice connubio con lo sport voluto da Bruno Zauli, le più adatte ad estrinsecare 1a voglia di correre verso traguardi ideali. Bruno Zauli profuse ogni sua energia, si diede ‘anima e cuore’ per far entrare lo sport nella scuola, e lo sport nella scuola non poteva che significare 1’atletica leggera. Attraverso la scuola iniziò così un nuovo indirizzo che doveva portare ad un solido movimento atletico. Una scommessa, risultata vincente, che portò a rompere con il passato, tanto da segnare un netto confine a distinguere le vicende dell’atletica italiana in due parti: una, prima del 1950 e una che ha come punto di partenza la nuova impostazione dell’educazione fisica nella scuola. Da quando era nata, la FIDAL aveva potuto contare su un numero relativamente piccolo di appassionati che cercavano, tra 1’indifferenza generale, di promuovere il movimento atletico reclutando i prodotti di un esiguo raccolto. E sotto questo aspetto si sono fatti miracoli raggiungendo risultati anche sproporzionati alle effettive forze. Cosa c’era infatti, nel mezzofondo italiano dietro i risultati di e ? Per tutto il tempo si era selezionato e raccolto, ma non si era riusciti a trascinare i giovani verso 1’atletica. Una mancanza che, in quegli anni cinquanta, andava colmando la scuola. A Velletri è l’istituto tecnico ‘Cesare Battisti’ ad essere sempre in prima linea grazie anche a1 preside prof. Raffaele Uncini che ritiene lo sport, e 1’atletica in partico- lare, disciplina di pari dignità con le altre materie didattiche.

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È qui che subito emerge 1a figura di Giovanni Scavo catapultato nel breve tempo di un batter di ciglia dai prati veliterni, luogo naturale delle campestri scolastiche, alle piste degli stadi di tutto il mondo. Testimone oculare del passaggio di Gianni Scavo da atleta ‘normale’ a campione, che avvenne tra la primavera e 1’autunno del 1954, è Pier Luigi Starace che divideva con Gianni Scavo 1a passione per le corse di mezzofondo. Frequentavo allora il I Liceo all’ ‘Antonio Mancinelli’ avevo due anni meno di Gianni. Ricordo una limpida mattina di maggio, quando il professore di Italiano, Alberto Puntoni, portando a termine una divagazione filosofica in margine alla sua lezione sull’Umanesimo, disse con aria di cordiale saggezza: «Eh si ragazzi, in fondo, a pensarci bene, l’uomo è sempre un po’ idolatra!» Io assentii involontariamente, abbassando gli occhi sul banco davanti a me, e dicendo pensierosamente al mio compagno di banco Pietro Giannone: . Il vecchio amico mi diede un’occhiata di compatimento, ma non contestò l’asserzione del professore. Cosa c’era dunque sul mio banco a comprovare le parole dell’Italianista ed a fomentare il disprezzo canzonatorio del vicino di posto? Il vecchio piano di legno, consumato, macchiato e scarabocchiato, recava alcuni segni vigorosamente incisi e chiaramente rimarcati con l’inchiostro. Risaltava per prima cosa una figuretta di atleta in atto di correre, intagliata profondamente nel legno, con sotto una grande scritta in maiuscole di ‘W SCAVO’. Poi, uno sotto l’altro, dei nomi sibillini, come S. Paolo, Tor di Quinto, Farnesina, Olimpico, seguiti da un primo a da cifre di minuti primi e secondi.

Ecco il complesso feticcio oggetto della mia adorazione, che ogni mattina contemplavo con occhio estatico di credente: le vittorie di Giovanni Scavo. Nonostante la collana consecutiva di quei successi, Giovanni Scavo, restò ignorato dal grande pubblico, perfino dai giornalisti. La ricompensa di quelle fatiche del diciottenne studente di ragioneria, fu solamente il tempo segnato da un quadrante di cronometro, il sorriso ammirato di qualche rivale generoso, l’istante di frenetica gioia del filo di lana infranto e il commosso elogio del suo allenatore di allora, il professor Armando Giallombardo, siciliano ed insegnante di educazione fisica presso il ‘Cesare Battisti’. Attimi di gioia per ore di tormento. Un tormento che Giovanni Scavo sopportava, con nel petto quello splendido, irresistibile stimolo che ad un certo punto, nei cuori dei giovani generosi, punge come un ferro rovente, e può calmarsi solo con una sterminata effusione di coraggio e di forza. In lui bruciava ciò che spinge il rocciatore sulle vette estreme, il nuotatare a profondità sempre maggiori, il sacerdote all’amore senza limiti per tutti. Ciò che supera il disprezzo della gente, sfonda la barriera del timore indeciso, implica il saper gustare l’asprezza reconditamente dolce del dolore; ciò che, se soffocato, produce le più paurose sensazioni di rimorso, e rimane come una cicatrice perenne nella personalità scialba dell’uomo. E Giovanni Scavo si addossò fino in fondo le conse- guenze che comportava la sue sete spirituale, volle ignorare cosa fosse la paura, lo scoraggiamento, la rassegnazione fatalistica, volle ignorare perfino il logorio del suo fisico, e crollò due volte in quell’anno, ma solo dopo aver completamente esaurito due cicli di imprese inimitabili, a testimoniare che non una bruta, puramente fisica energia lo aveva sorretto, ma che lui, il campione di tutte le vittorie, aveva richiesto alle sue forze più ancora di quanto chieda l’atleta dalle possibilità limitate; nel

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suo aspetto di dominatore era più maltrattato dalla fatica dell’ultimo mezzosangue arrancante, e la folla non lo capiva, non lo sapeva. Giovanni Scavo non era il tipo di mezzofondista esuberante, tanto solido a dai nervi tanto saldi da parer un bue possente cui le fatiche fanno il solletico, no, pur col suo torace e le sue gambe perfettamente muscolate, non aveva l’olimpica serenità dell’uomo forte. Era invece costantemente cupo e chiuso, di una severità quasi funebre, un’inguaribile malinconia preoccupata, accentuate dalla pelle scura, abbronzata, quasi olivastra, gli occhi nerissimi ma di rado scintillanti, le sapracciglia perfette color ebano, i capelli trascurati tagliati a spazzola, cupezza interrotta a tratti da scatti nervosi, e percorsa continuamente da una specie di fremito continuo che segnalava la presenza di una vitalità superiore, pronta all’esplosione. Sembrava sempre in attesa della prova, della battaglia. Perfino nel momento in cui l’atleta anche più serio e metodico, dopo la liberazione prodotta dalla gara, diventa pieno di una gioia espansiva, Giovanni Scavo non si scomponeva. Lo dico sulla base di un preciso ricordo. Era un giorno del febbraio 1954, Scavo aveva appena vinto, sbaragliando tutti gli avversari, la finale d’istituto del ‘Battisti’ di corsa campestre sui circa 1500 metri del duro percorso di San Giovanni Vecchio. Forse era stata la cosa a cui aveva pensato di più per mesi, aveva battuto per la prima volta Eligio Leoni, il biondo camoscio dell’Artemisio, campione dell’istituto l’anno precedente, tra i migliori mezzofondisti della provincia di Roma e già noto dal 1952 per i suoi inizi di stagione brillanti seguiti da relative opacità. Aveva battuto con margini notevoli, Romolo Centofanti, il piccolo artenese straripante di energie, Guglielmo Agamennone, dalla falcata lunghissima ed elegante, Antonio Martiello, altro siciliano dal fisico possente e la volontà

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d’acciaio, Andrea Andreozzi, dalla prorompente regolarità di rendimento. Era divenuto il leader del gruppo covato dal Prof. Giallombardo fin dai primi giorni d’ottobre, ed ora pronto a scatenarsi sui prati romani nei campionati provinciali studenteschi di cross. Aveva, insomma, ottenuto moltissimo. Ma non saltava dalla gioia. Non si esaltava per le parole di ammirazione dei compagni di finale. Con mosse brusche si fece largo fino alla borsa poggiata sul muretto vicino ai cipressi del ‘Camposanto Vecchio’ si levò decisamente la maglietta di gara, indossò febbrilmente la canottiera asciutta, e continuò a rivestirsi in silenzio, fino a che ebbe completato l’operazione con sciarpa e cappotto. Poi cominciò a passeggiare per il luogo del suo trionfo, osservandolo come un oggetto finalmente acquistato, con sguardi a tratti fosforescenti di un’intima esultanza. Qualcuno continuava ad avvicinarlo, a portare la propria ammirazione, ma per la maggior parte del tempo rimase solo, aggirandosi a passi leggeri, con improvvise fermate e bruschi scatti. Intanto si stava preparando la partenza della finale d’istituto del ‘Mancinelli’. Scavo, tra 1’ironico ed il divertito, elargiva informazioni sul percorso e consigli tecnici ai liceali, ed era sulla linea del traguardo quando giunsero, con tempi sempre molto lontani dal suo, ma con volontà degne di lui, Augusto Venanzi, il primo, il roccioso lanuvino dalla voce di bronzo, già esperto di campestri, e che, a Roma, l’anno prima, aveva vinto la sua batteria col polpaccio forato e sanguinante per una chiodata ricevuta in partenza; poi Gigi Arcarese, efebo gentile e cordiale, ma lottatore formidabile, il piccolo Novelli, dalla generosità incredibile, Italo Giovannoni e Paolo Mengaroni, piombati sul traguardo con uno sprint alla morte, e Marcello Zani, sempre con l’aria da gentleman nonostante il fango e l’impegno nell’agone.

Passò del tempo, mentre i liceali si ricomponevano anche loro, e Scavo era sempre lì, come abbeverandosi alla fonte della sua grande gioia. Fummo gli ultimi, lui, Pietro Giannone ed io, ad imboccare la salita selciata per ritornare a scuola. Era spuntato un sole improvviso, che riscaldava i vapori umidi innalzatisi dalla terra bagnata per la pioggerella di tutta la mattina. Giovanni Scavo aveva iniziato a correre l’anno prima, nella società ACLI Velletri, animata dall’indimenticabile Aldo Mammucari, una delle società con squadre di corsa su strada più forti del Lazio, e che faceva man bassa di coppe alle varie gare domenicali che si svolgevano per le feste solenni dei paesi vicini. Tra i rudi vignaioli veliterni della squadra, sui duri e lunghissimi asfalti o selciati, il ragazzo non si perdeva di coraggio, si batteva contro avversari molto più maturi, si faceva notare. Nelle campestri del 1953 ottenne i primi, promettenti risultati. Alle eliminatorie di Tor di Quinto era stato terzo nella serie vinta da Carlo Bartolini del ‘Caetani’ e ancora terzo nel secondo turno di quella campestre provinciale disputata all’interno di villa Borghese. Alle finali del 12 aprile, ancora a Tor di Quinto, è decimo nella finale dei primi subito dietro ad Eligio Leoni. Poi cominciò quel 1954 fenomenale. Il 14 marzo di quell’anno, nella zona del Valco S. Paolo, alla presenza del segretario generale del Coni, Bruno Zauli e del prof. Scarda- maglia, direttore generale dell’ufficio speciale di educazione fisica, circa 500 studenti tra i 16 e i 19 anni, in rappresentanza di 83 istituti di tutta la provincia di Roma, divisi in 18 batterie, concorrevano per qualificarsi alle semifinali di corsa campestre. Giovanni Scavo, con 4’08” sui circa 1500 metri del percorso, trionfando in batteria, segnava il miglior tempo assoluto, staccando idealmente di sei secondi, cioè almeno quaranta metri, l’autore della seconda miglior prestazione, Ugo Sabatini

del ‘Da Vinci’ di Roma. Eligio Leoni, vincendo la propria batteria, seguiva a quattro decimi di secondo. Tutto il gruppo di Giallombardo passava alla fase successiva, piazzando cinque uomini entro i primi tre posti, e tutti e sei entro l’ottava posizione, valida per il superamento del tumo. Il ‘Cesare Battisti’ era secondo solo al ‘Righi’ di Roma come piazzamenti nei primi tre, ma lo superava come punte cioè nel ‘Righi’ non c’erano né uno Scavo né un Leoni. La domenica seguente i 144 qualificati, suddivisi in sei raggruppamenti, erano convocati a Tor di Quinto, sull’erba del galoppatoio, per affrontare le semifinali. Giovanni Scavo, vincendo la terza, restava ancora primo e solo su tutti, in 4’48”, seguito da Maurizio Notarangelo del ‘Marcantonio Colonna’ a quattro secondi e due, e da Eligio Leoni, trionfatore della prima in 4’53”3. Il ‘Battisti’ inseriva due uomini nella finale del primi, Scavo e Leoni, uno in quella dei secondi, Martiello, due in quella dei terzi, Centofanti e Andreozzi. L’uscita di Agamennone pregiudicava la vittoria di squadra. Ancora a Tor di Quinto la domenica successiva per le finali. Cominciava bene con la finale dei terzi dove Centofanti era secondo ed Andreozzi diciassettesimo. Quinto era Martiello in una finale dei secondi gremita di campioncini romani. E primo con 4’35”5, con quattro secondi su Sabatini, era ancora Giovanni Scavo, mentre Eligio Leoni era ottavo. Il ‘Battisti’ era il terzo istituto dopo il ‘Righi’ e l”Albertelli; a pochissimi punti da quest’ultimo, e davanti di molto a scuole prestigiose come il ‘Giulio Cesare’, il ‘Nautico’, il ‘Cavour’, il ‘Da Vinci’. Il ‘Mancinelli’ registrava il settimo posto di Arcarese nella finale dei terzi e la vittoria di Venanzi in quella dei quarti.

La stampa sportiva, molto misurata nei suoi confronti, notò comunque il fatto che Scavo “tirava fino al palo le sue gare”, cioè correva non solo per vincere contro gli altri, ma anche contro se stesso.

Alfredo Berra1definì la sua, una gara da 10 e lode in un articolo che qui mi preme ricordare. “Piglio e autorità del campione quelli di Scavo, lo studente velletrano campione delle scuole romane per il 1954. Chi è Scavo lo sapete perché ormai ve n’è stato parlato abbastanza. La sua gara di ieri è apparsa tale da giustificare qualunque buona cosa si sia detta di lui. Pur potendolo considerare favorito, visti i tempi dei quarti e delle semifinali e la freschezza delle sue condizioni ad ogni arrivo, prima del via di Tor di Quinto non si era esattamente sicuri che egli vincesse; e soprattutto quasi non lo si voleva in quanto la gente metropolitana non si rassegnava - almeno in sede di previsione - a sfilare al traguardo alle spalle del bravo castellano. Maurizio Notarangelo, Piero Lener, Lorenzo Miroli, Gilberto Chini, Ugo Sabatini erano questi «cittadini» giustamente ambiziosi. Sono stati passati per le armi da Scavo; ma se Scavo ha dettato la condanna a morte dei rivali, uno di questi ha manovrato la mannaia, di cui egli stesso è stato vittima: Gilberto Chini del ‘Quintino Sella’ che l’altr’anno fu il sorprendente terzo, ieri ha voluto tentare la via della vittoria, buttandosi allo sbaraglio dopo poche centinaia di metri di corsa. Scavo, asciutto, accigliato, quasi cattivo nel bello sforzo, gli andò dietro e, più Chini spingeva meno egli cedeva; ancora, se l’atleta in maglia verde sentiva man mano il vuotarsi delle proprie energie, Scavo avvertiva con sempre minor tocco al suolo le spinte degli inseguitori, nessuno dei quali, ammesso che l’avesse tentato, era riuscito a svincolarsi dalla paura generale per vedere di accodarsi ai fuggitivi. Notarangelo

1 Alfredo Berra, promotore dell’atletica laziale nel dopoguerra con l’UISP, venne a Roma da Torino, chiamato da Bruno Zauli. Qui fondò il movimento che diede origine al Club Atletico Centrale, società dove gareggiarono i vari Frinolli, Spinozzi, Viragh, Pescante. Berra è stato collaboratore prima e giomalista professionista poi al Corriere dello Sport; successivamente si trasferì a Milano alla Gazzetta dello Sport. Per stile appartenne da subito alla categoria dei “maestri”. Attualmente Berra, malato, ha lasciato la professione e vive in una clinica a Grottaferrata; gli sono vicini i vecchi amici, quelli che sono stati i suoi allievi di un tempo e che hanno cercato di sviluppare, non semp re riuscendoci, le sue idee.

arrancava a testa bassa senza reazione, sfinito da emozioni, discussioni e altro di questi ultimi tempi; Lener, poco meglio che ultimo dopo il via, non avrebbe incominciato che molto tardi il suo famoso finale e comunque non s’è certo comportato da corridore di millecinque; Miroli filosoficamente pensava che le campestri non erano per lui e procedeva «seduto». Con loro, per esser partito senza responsabilità si trovava qualcuno, come il solido Alessandro Pasquali, e come Carlo Bartolini a proprio agio; mentre Sabatini, da anni in attesa della buona giornata, vigilava, lui ben allenato, silenzioso e deciso. Quando Chini scoppiò (e fu miccia in una polveriera in quanto l’atleta si fermò e giunse al passo, fra gli ultimi) Sabatini era in prima linea dietro al lanciatissimo Scavo, che finì, secondo il suo solito, in bellezza. Primo pertanto un giovane di Velletri seguito da un altro che è cittadino solo come frequenza scolastica, ma in realtà è di Civitavecchia, allenato come ben si sa da Oscar Barletta. Non è una novità la prevalenza dei «provinciali» in gare di questo tipo. L’assenza di piste a casa loro, e le spedizioni di allenamento lungo le strade o i campi (dobbiamo aggiungere che oltre il suo professore assistono Scavo quelli dell’ACLI Velletri, e specificatamente il noto Fabio Lunatici: il successo quindi è anche loro); le corse dunque di lunga resistenza di chi non ha le Terme o la Farnesina per allenarsi o per chiacchierare sono utili alla costituzione per questi giovani di una solida base su cui lo sviluppo delle gare elabora i necessari progressi di ritmo e di velocità.” Alla fine di aprile, i1 24, allo stadio della Farnesina, le eliminatorie dei campionati provinciali studenteschi su pista. La tribunetta era gremita di studenti e il campo tenuto eccezionalmente sgombro dal bel lavoro dei professori Clemente Toscano dell ‘Albertelli’ e Luciano Dresda del ‘Nautico’. Molti grossi nomi erano venuti: Bruno Zauli al pomeriggio, su per la

traballante scaletta dei giudici, a interessarsi di tutti; quindi Marcello Garroni, , Pasquale Stassano. Scavo e Leoni erano iscritti alla gara dei 1000 metri. Quel giorno, o perché non stava bene o perché effettivamente non aveva confidenza con l’anello scorrevole della pista, le cui curve erano molto diverse da quelle dello stadio calcistico di Velletri dove si allenava, Gianni, pur vincendo la sua batteria in 2’43”6, venne superato come tempo da tre atleti: Ugo Sabatini, Carlo Bartolini e Maurizio Natarangelo, il biondo idolo delle scuole romane, che nella finale della campestre era stato quinto.

La stampa sportiva scrisse che Scavo andava bene nelle campestri, ma che la sua falcata non andava per la pista. La grande penna di Alfredo Berra, sul Corriere dello Sport, trascrisse che “Scavo fu visto assai meno bello che per i prati: cioè quel passo corto ed economico, così adatto ai percorsi irregolari, in pista diventa quasi un affanno e un trapestio che Laurenti del ‘Giulio Cesare’. che pure è assai duro di tronco e corre a spalle alzate, finì per sconvolgere con un pericoloso finale. Assai meglio Notarangelo, tranquillo e candido in una maglietta di tipo inglese; e arrabbiati, Sabatini e Bartolini, due figli di ferrovieri, che si sono battuti senza quartiere ottenendo i tempi migliori della giornata. Lorenzo Miroli è arrivato senza gambe con l’anima tra i denti ma tremebondo dei calci dei professori che non avrebbero tollerato un nuovo ritiro: occorre dargli atto della discreta impresa. Poi Piero Lener e Alessandro Pasquali, che hanno le gambe meno lunghe della compagnia ma Pasquali in compenso ha le mutandine meno corte, bordate di nero e più abbondanti di quelle di un reverendo. Ezio Bresciani, è la divisa del ‘Virgilio’?” Gianni Scavo si trovò così faccia a faccia con quel commento sbrigativo, con quei secondi persi rispetto ai tre rivali. Due grandi delusioni che avrebbero piegato molti.

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Ma lui non chinò il capo, non si creò complessi di inferiorità: continuò solamente ad allenarsi. Quattro giorni dopo, il 28 di aprile, ancora alla Farnesina, nella prima semifinale, che lo opponeva a Sabatini, il più forte delle eliminatorie, partì senza temporeggiare, senza risparmiarsi, dette tutto fino all’ultimo metro. Vinse sul rivale in 2’39”1, superò tutti i tempi ottenuti nelle eliminatorie, fu di nuovo il migliore. La stampa non ne era molto convinta, i tempi ottenuti quel giorno da Bartolini, Miroli e Natarangelo erano poco meno o poco più di un secondo peggiori del suo. La finale all’Olimpico mercoledi cinque maggio: Scavo- Notarangelo! Il duello infiamma i cinquantamila ragazzi presenti. Era una questione di prestigio per i dieci finalisti romani (l’undicesimo era il veliterno Eligio Leoni) riuscire a battere Scavo. E per fare questo bisognava favorire in tutti i modi Notarangelo. Alla partenza, quindi, si cercò di chiudere l’atleta volsco, di non permettergli di giocare la carta dell’andatura. A causa di questo tentativo di frenamento, i primi duecento metri vennero coperti in un tempo poco brillante, con Scavo a sgomitare nelle retrovie e Notarangelo che vola via. Ma la distanza comincia a tagliare le gambe a tutti. Tutti meno che Scavo, in rimonta rabbiosa. Un duello splendido si accende a distanza tra il biondo Maurizio, lanciato da una falcata distesa e volante e sorretto dal tifo dei cinquantamila, e il nostro Giovanni che si è lasciato alle spalle tutti gli altri, e che è ormai in rimonta irresistibile. Gli ultimi duecento metri sono uno scontro all’ultimo sangue, che vede Notarangelo cedere di schianto nell’istante del sorpasso, e poi crollare a terra sulla linea del traguardo mentre Scavo, spezzato rabbiosamente il filo di lana2, continua a correre sul prato fino alla sua borsa.

2 Gianni Scavo caratterizzava le sue vittorie, un’abitudine che conservò sempre, alla maniera di Luigi Beccali, spezzando il filo di lana con le mani invece che con il petto.

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La stampa parlerà poi di presunte scorrettezze di Scavo sul rettilineo d’arrivo. Grazie a Dio i giudici di gara furono meno faziosi e sancirono la vittoria in 2’37”7, nuovo miglior tempo assoluto.

Dietro i primi due si assiste a una selezione durissima dalla quale esce fuori Carlo Bartolini che termina la sua fatica in 2’40”5 dopo che aveva ceduto negli ultimi duecento metri rispetto ai battistrada. Quarto è Giorgio Lo Giudice con un tempo (2’42”3) di cui pochi lo credevano capace. Poi Lener, Giorgio Carone e Sabatini. Eligio Leoni è nono in 2’50”2. Dopo questa successione di sforzi, Scavo non comparve come al solito, a passeggiare con gli amici sul Ponte Rosso. Seppi che era malato, estenuato. Si era anche ritirato in una di quelle dure gare regionali di 800 metri, che furono la sua prima gara federale, sorpreso di quante cose ci fosse bisogno in pista, oltre che di correre a perdifiato. Pareva che la sua splendida meteora avesse esaurito la sua parabola. Ma, ai primi di giugno, ricomparve. Si era ripreso. Anche atleticamente. Infatti, quando scomparve di nuovo, si seppe che era stato convocato a Merano dalla FIDAL per un raduno dei migliori studenti-atleti italiani. Alla fine dell’intenso periodo di preparazione collettiva ci furono delle gare. Scavo si presenta sulla pista meranese fra il fior fiore della gioventù studentesca atletica del mezzofondo per fare i ‘suoi’ 1500. Ebbene, liguri o veneti, lombardi o piemontesi, veloci o resistenti, caparbi o puntigliosi, li battè tutti vincendo in 4’08”. Qui incontrò per la prima volta Gianfranco Baraldi il quale appariva il più titolato, almeno per la pista. In quel mese di permanenza a Castel Labers, s’era creata l’onesta rivalità dei giovani forti dai temperamenti opposti. Pioveva, allo stadietto di Merano, che Dio la mandava. Una pioggia maledetta che riduce in pessime condizioni il campetto su cui gli atleti si sono generosamente prodigati.

Nicola Placanica,3 fedele alla consegna non corse al riparo nonostante piovesse ormai a dirotto e il suo vestito da villeg- giante fosse pregno d’acqua come la gomena di un vaporetto. Fernando Silvestri, il direttore tecnico del corso, dalla tribuna si impietosì e gli procurò uno di quegli impermeabili trasparenti che il professore indossò direttamente sulla maglietta bianca liberandosi della giacca bagnata e se ne tornò a mettere in fila i ragazzi sulla linea di partenza, conciato in modo da far ridere, se gli altri ne avessero avuto voglia e coraggio. Avvenne qui, quella prima volta, quel duello che sarebbe capitato in seguito tante altre volte, ora con la vittoria dell’uno ora dell’altro. Mentre Baraldi pareva filare verso la vittoria, Scavo s’impegno in un disperato finale a testa bassa e vinse. Si manifestò, per un momento, la figura del Campione che riunisce in sé le qualità divine e mortali e da allora si affermò la ‘linea agonistica’ di Giovanni Scavo. Era l’inizio di una nuova serie di successi. Gianni Scavo aveva resistito o meglio aveva voluto resistere ai metodi di allenamento di Mario Lanzi, balzando così alla ribalta con un impeto tale da impressionare. E Mario Lanzi allenò Gianni, in questo periodo di raduno, come non aveva fatto con nessun altro atleta di quell’età, sveltendolo nell’azione e, soprattutto, facendolo progredire in velocità. E sotto quell’esperta guida, Gianni finiva il lavoro giornaliero quasi senza sudare. Tornato a casa, ricevette le cure di Giuseppe (Peppino) Cuccotti, l’anziano allenatore del CUS Roma, che lo inserì nella sua società. Ed ecco Scavo in agosto a Napoli, ai campionati italiani di seconda serie, dove è quarto nei 1500, fra atleti con molti anni di esperienza, e migliora il suo primato. Poco dopo è a Firenze,

3 Nicola Placanica da Vercelli, fu il primo direttore tecnico e responsabile della scuola nazionale di atletica leggera di Formia, inaugurata il 23 Novembre 1955. Scuola che, fortemente voluta da Bruno Zauli, radunò subito, sotto la direzione di Giorgio Oberweger, i migliori allenatori nazionali di allora.

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ai campionati italiani assoluti, lui alla sua terza corsa sui 1500 metri contro i migliori specialisti d’Italia. Ci sono alla partenza Vittorio Maggioni, Mario Geat, Valentino Mansutti, uomini nella pienezza delle loro energie ed all’apice della loro carriera. Scavo li battè tutti, migliorando ancora in 4’04”8. Dopo questa vittoria in batteria corse la finale nel pomeriggio e non si piazzò male, seppur svuotato di energie, con il suo quinto posto dietro Mansutti e Geat. Agli inizi di quell’autunno, ancora più interessante della primavera, alle Terme, battè ancora Mansutti, il grande atleta pontino. Nello stesso stadio, al Gran Premio delle Regioni, me presente, vinse ancora i 1500 con un tempo che rappresentò il suo primato (4’04”6), superando con una volata indescrivibile il fuoriclasse bergamasco Gianfranco Baraldi. La piccola tribuna delle Terme era gremita di diciotto ‘colonie’ di colori diversi, uno per ogni regione. Gli atleti del Lazio indossavano le maglie nere che per regolamento vanno sempre alla squadra di casa. Di tutte le gare in programma, la più attesa era quella dei 1500, specialità da troppo tempo in ribasso. E la gara non tradì le aspettative. Le batterie del sabato avevano selezionato i migliori. La domenica chi si aspettava la solita gara di attesa in gruppo, ha subito fugato i suoi timori. Al colpo di pistola Gianni Scavo va subito in testa: 59 secondi al primo giro, seguito come un’ombra da tutti gli altri. Stessa situazione al secondo giro poi, ad un primo tentativo di Gianfranco Baraldi a 200 metri dalla fine, Gianni reagisce con una grinta inaspettata, e s’è capito allora come la vittoria fosse suo diritto, avendo con la propria andatura fiaccato prima delle proprie energie quelle degli altri. La stagione e l’anno si concludevano con un’ultima vittoria nei 1000 metri del ‘Criterium Studentesco’ strabattendo con 3’34”2, il suo tempo dell’Olimpico, e rispondendo nel

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modo migliore a chi allora aveva avanzato dubbi sul titolo di campione provinciale, ora che anche su questa distanza, era il miglior studente d’Italia. Una gara che ebbe come teatro ancora il magnifico scenario delle Terme, e la regia fu curata con il solito impeccabile impegno da Peppino Tartaglia, l’elettrico direttore dello stadio. Avanzava intanto l’autunno, le erbette degli stadi rabbrividivano alle prime folate fredde, le piste si allagavano alle prime piogge. Scavo si riposa. Ma, di nuovo, la notizia che Scavo è ammalato; ha avuto una emorragia, è all’ospedale. L’ospedale di Velletri, sul fianco dell’Artemisio, vicino alla Villa Antonelli, fra i castagni, con uno splendido e luminoso paesaggio aperto sulla pianura e sul mare. Traducendo Orazio con Pietro Giannone a poche centinaia di metri da dove Giovanni Scavo giaceva, pensavo alla caducità delle cose umane, al contrasto sorprendente tra lo stato di degenza attuale e lo stato normale di super efficienza di quel fisico. A gennaio i giornali lo davano per finito riguardo allo sport. Poi, improvvisamente, a primavera, eccolo esordire negli 800 con un tempo degno di lui, dopo aver regolato definitivamente i conti con Notarangelo sui 1000. Al campionato di società vince i 1500 migliorando il primato laziale di Oscar Barletta che era vecchio di tredici anni poi, il 30 settembre, si laurea addirittura campione italiano negli 800 metri dopo un memorabile duello sin sul filo di lana con 4 Gianfranco Baraldi. Conquista i primati nazionali juniores degli 800 e dei 1500 con i rispettivi tempi di 1’52”5 e 3’57”4, è ormai un campione acclamato.

4 Gianfranco Baraldi si prese la rivincita due giorni dopo in una entusiasmante gara di 1500 metri. Baraldi segue Scavo fino ai mille metri, poi passa al comando e attacca con relativa facilità, involandosi solitario verso il traguardo. Baraldi termina in 3’53”6 migliorando il primato dei campionati detenuto da Beccali. Gianni Scavo è secondo in 3’57”4.

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1955. Aspirante campione

campionati italiani del 1955, che si svolgono presso la gloriosa Arena di Milano, rappresentano un punto di I riferimento dell’atletica nazionale. I miglioramenti cronometrici e, soprattutto, il ricambio generazionale, incoraggiano 1’aggiornamento a la modernizzazione dei programmi e dei sistemi di preparazione prendendo ad esempio i nuovi metodi già applicati nei paesi atleticamente più evoluti. In effetti, i nuovi sistemi di allenamento intensivo propugnati e divulgati dal commissario tecnico Giorgio Oberweger e dagli altri istruttori nazionali come Sandro Calvesi, Lauro Bononcini, Mario Lanzi, Giuseppe Russo, nei frequenti raduni di preparazione, consentono alla massa dei neofiti che allora 1’atletica reclutava, di compiere passi notevoli verso 1’eccellenza nazionale. Tra i molti che ben promettono ci si augura di trovare il fuoriclasse capace di competere anche a livello internazionale. E già in quel primo anno di attività, Gianni Scavo e Gianfranco Baraldi erano apparsi elementi di futuro avvenire. Scavo per rinverdire le imprese di Lanzi, di cui ne ricorda le caratteristiche negli 800 metri, e Baraldi per essere il nuovo Beccali nei 1500 metri. Gianni Scavo e Gianfranco Baraldi sono gli emblemi della nuova atletica italiana; contribuiscono grandemente a togliere dall’immobilismo il settore del mezzofondo veloce, dimostrando la capacità di sostituire Lanzi e Beccali e

di riprendere quel discorso, rimasto in Italia lungamente interrotto, di inserirsi nei valori intemazionali. Scavo e Baraldi riassumono lo sforzo fatto nel dopoguerra, sul piano della ricerca atletica: lo sport scolastico vantava in loro, due dei più validi prodotti. Grande risalto ottiene il mezzofondo maschile sulle pagine di Atletica, ufficiale organo di stampa della FIDAL, allora periodico settimanale, più bollettino che rivista, ma senz’altro esaustivo di tutta 1’attività svolta. “La cortina di mediocrità che negli ultimi anni aveva avvolto e nascosto, le corse del mezzofondo nostrano pare finalmente dissolversi. Resistono i limiti di Luigi Beccali e Mario Lanzi; ma, a parte che in questo 1955 sono state create solide premesse per avvicinarli, o superarli, nulla del passato, considerando le cose nel suo complesso, si può dire sia rimasto insuperato. In sede di bilancio della stagione 1954 parlammo con entusiasmo dei progressi dei giovani, illustrando ampiamente il medio livello qualitativo raggiunto, sia riferito agli indici dei valori di punta che a quelli della massa. Scrivemmo che alla base c’era molto di buono e che il tempo ci avrebbe dato ragione: chi poteva pensare che ciò sarebbe avvenuto in una sola stagione? Le considerazioni già positive del 1954 lasciano il passo ad altre note ben più rilevanti, note che naturalmente illustrano la realtà di magnifici progressi. Le medie precedenti sono state cancellate da una quantità di risultati mai registrata in Italia. E sono i giovani e i giovanissimi che hanno risposto all’appello: il coraggio e l’entusiasmo, di cui il nostro mezzofondo aveva bisogno, potevano esprimerli solo loro. Oggi si può dire che si sia fatto giorno. C’è stata letteralmente una rivalutazione, prima psicologica che tecnica, di valori attribuiti a determinati limiti negli 800 e nei 1500 metri. Correre in 1’55”- 1’56” o intorno ai

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4’ (più sopra che sotto) nelle rispettive distanze, fruttava nel più recente passato titoli e maglie azzurre a colpo sicuro, e di conseguenza tali limiti erano ritenuti un miraggio per la maggior parte dei praticanti e un patrimonio prezioso per quei pochissimi i quali, sbuffando un poco, l’avevano ottenuti. Ora con tali prestazioni non accadrà più , nella normalità delle cose, di vincere titoli assoluti o d’andar di filato in nazianale; e poi essi paiono improvvisamente declassati, alla portata di chiunque abbia un minimo di resistenza, facilità di corsa, voglia di allenarsi. C’è stata una rivoluzione nelle classifiche. Negli 800 Gianni Scavo e Enrico Spinozzi che quest’anno comandano la graduatoria stagionale, nel ‘54 nemmeno vi apparivano; mentre Gianfranco Baraldi che li segue vicinissimo era decimo con tre secondi di peggio. Natale Coliva, Ambrogio Barili, Maurizio Notarangelo, Piero Porciatti e Giuseppe Fontanella, tutti nuovi alla cronaca dei primi dieci. Giuliano Gelmi è stato l’unico con Baraldi, che abbia migliorato la propria classifica tenendo il passo travolgente dei giovani, mentre Piero Patelli e Angelo Tagliapietra5 sono ancora dentro, ma hanno perso posizioni e preminenza. Così è anche nei 1500 metri, dove Baraldi e Gelmi sono saliti dal settimo (per entrambi) al primo e terzo posto rispettivamente, mentre i soli due atleti presenti nei primi dieci sia nel 1954 che nel 1955, Vittorio Maggioni e , sono decimo e settimo, da primo e quinto che erano. Gli altri, Giovanni Scavo, , Natale Coliva, Giorgio Gandini, Giuseppe Fontanella, Luigi Bassano, appaiono per la prima volta in tale graduatoria. Baraldi e Scavo sono stati i capi della bella rivolta.

5 Angelo Tagliapietra, nel 1949, a 18 anni aveva alimentato grandi speranze correndo i 1500 in 3’54”3 e gli 800 in 1’53”2. Speranze rimaste purtroppo senza seguito. Fece sensazione una sua vittoria sul quotato e famoso Gaston Reiff, nei 1000 metri, durante una tournèe che il belga fece in Italia nel 1950.

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Gianfranco Baraldi, che s’èra affermato nel 1954 come il migliore tra i terza serie con 1’56”1 e 4’03”6, ha avuto nel 1955 una stagione molto felice correndo ben dodici volte i 1500 sotto i 4 minuti e cinque sotto i 3’57”, conquistando il titolo di campione nazionale e, con 3’53”6, la seconda prestazione italiana di tutti i tempi. Anche negli 800 è stato uno dei migliori e nelle poche volte che ha corso la distanza ha sempre progredito scendenda via via a 1’55”, 1’54”5, 1’53”9, fino a 1’53”1 con il quale ha conquistato la medaglia d’argento ai campionati assoluti. Con l’ottima resistenza organica e le doti di treno che lo distinguono, gli si apre un bell’avvenire, anche fino ai 5000. Di Giovanni Scavo si è tanto parlato qui e altrove: si attende l’annata di gare da giugno in poi (perché prima sarà impegnato nell’ultimo anno di ragioneria) per goderne la progressiva maturazione e il progressivo rendimento. Difficile porgli dei limiti per ora. Nel 1955, suo secondo anno di pratica atletica e prima stagione dedicata agli 800, 1’52”5 (quinto risultato italiano di ogni tempo), 1’52”6, 1’53” sono stati i suoi risultati migliori, oltre al 3’57”4 nei 1500. Ha anche provato i 400 correndo in 50”2 con un avvio di gara lento e impacciato, il che dice tutto sulle sue qualità. Sua mira dovrebbe essere Melbourne anche se non potrà impegnarsi a fondo fin dall’inizio per i suddetti motivi di studio. Anche se, l’unoequarantanove verosimilmente è più difficile da raggiungere del treequarantanove per Baraldi. Ci preme anche mettere in luce l’andamento cronistico della più interessante stagione che il mezzofondo italiano abbia avuto nel dopoguerra. A tutto giugno Gelmi era capolista degli 800 con 1’55”4 e con Patelli aveva battuto Scavo a Bologna, finale del campionato di società, dal canto suo Scavo conduceva i 1500 con 3’58”6. A fine giugno cominciava ad affermarsi Baraldi, che non aveva partecipato alle finali del C.d.S. per l’esclusione

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della sua società: il 26 a Vigevano diveniva primatista degli 800 con 1’55” e tre giorni dopo a Brescia (selezione per Italia- Grecia) anche dei 1500, vincendo in 3’58”4, una gara assai malaccortamente condotta da Scavo che pagò con il ritiro la sua audacia. Intanto si segnalava Gelmi per essere ben sotto i quattro minuti. Il sei luglio Scavo eguaglia lo stagionale degli 800 di Baraldi battendo di poco un altro diciannovenne, Coliva (1’55” contro 1’55”4). Luglio passava senza altre imprese di rilievo, eccettuato il risultato di Baraldi ai Giochi del Mediterraneo: il bergamasco scende in quella occasione ad un rimarchevole 3’55”6, consolidando la sua posizione alla guida della graduatoria stagionale ed inserendosi per la prima volta tra i migliori dieci atleti italiani di sempre. Intanto Scavo, il 31 luglio, esordisce vincendo (1’55”3), con la nazionale juniores, nell’incontro di Chambery contro i pari età transalpini.

Ad agosto si maturano i presupposti per la grande rivoluzione. Mentre Baraldi, Scavo e Coliva, i tre giovani più interessanti del momento, partivano per la Finlandia, a Merano, nel centro addestramento per studenti-atleti, messisi in luce nel 1955, un gruppetto d’altri ragazzi si misero di buzzo buono a preparare un ottocento che si sarebbe disputato a fine corso. A questi attacchi combinati, il primato stagionale non poteva resistere. Arrivarono prima quelli di Merano: il 10 agosto Enrico Spinozzi e Maurizio Natarangelo, alle loro prime esperienze sulla distanza, realizzano 1’54”7 e 1’54”8, mentre Barili, Fontanella e Vittorio Buzzi scendevano sotto l’1’56”. Data anche la scarsa notorietà degli autori, l’impresa fu ritenuta strepitosa, che non si ricordava, nel dopoguerra, simile sequenza di tempi ottenuti in una sola gara. Sette giorni dopo, nella lontana Finlandia, Scavo e Baraldi, impegnati in una garetta a Heimola, si riprendevano il

loro primato correndo entrambi in 1’54”5. Mentre in Italia la stagione languiva, i tre ‘finlandesi’ continuarono a correre: il 21 agosto Coliva migliora, dietro Baraldi, il suo record dei 1500 portandolo a 4’00”6; il 25 Baraldi realizza un buon 3’56” e Coliva non gli è da meno migliorando ancora (4’ netti), mentre Scavo si ripete sull’1’54”5, terzo di una gara balorda condotta in 59” al passaggio ai 400 metri; tre giorni dopo era ancora la volta di Coliva che diveniva primatista stagionale degli 800 con 1’54”2, merito anche di Baraldi che fece il treno (1’54”4); e Scavo alle prese con un 1500 senza avversari scendeva facilmente sotto i 4’. Nell’ultima gara, il 2 settembre ad Helsinki, alle buone prove di Baraldi e Coliva nei 1500, si univa la gara di Scavo nei 1000, da lui condotti a ritmo elevatissimo fino agli 800, con passaggio di 1’55”4, e scadente nel finale, per un totale di 2’28”9 sulla distanza. Si ritorna in Italia, e viene la grande giornata: notturna l’8 settembre a Bologna con Roger Moens,6 fresco primatista mondiale degli 800 metri, che fa passerella vincendo in 1’47”9 di passaggio nella gara delle 880 yards. ‘Finlandesi’ e ‘Meranesi’ si incontrano: Gianni Scavo si riprende di forza il primato, scendendo a 1’52”5, Enrico Spinozzi gli arriva vicino con 1’53”, Gelmi, Barili, Porciatti migliorano assai i loro personali scendendo tutti sotto l’1’55”; Coliva, primatista stagionale, è battuto nettamente. In un mese, dunque, lo scettro degli 800 è passato cinque volte di mano, da Scavo-Baraldi a Spinozzi, a Scavo-Baraldi ancora, a Coliva ed infine di nuovo a Scavo. Sempre nella nottuma di Bologna, Giorgio Gandini che dieci giorni prima aveva inopinatamente battuto Gelmi negli 800 in 1’55”8, rivelando inaspettate doti di

6 Il 16 agosto 1955, sulla famosa pista del Blisset di Oslo, Roger Moens migliora il record mondiale di , correndo in 1’45”7 davanti al norvegese Audun Boysen capace di 1’45”9. Le due frazioni di 400 metri furono stimate in 52”0 e 53”7 per il belga e in 52”6 e 53” 3 per il norvegese.

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velocità, arriva assai vicino a Baraldi correndo i 1500 in 4’ netti, primato personale e Beppe Fontanella, un altro ‘meranese’ scendeva a 4’01”. Enrico Spinozzi scrisse della magnifica gara di Moens, o meglio della sue gara, con un buon gusto peregrino e una certa confusione sintattica7 sul settimanale ‘La Roma’. “Nel buio tutto era attutito, e c’erano anche pochi riflettori, sicché le curve erano piuttosto scure. Moens si scaldava buono buono con certi occhiali che poi si è tolto. Intanto i dirigenti del Racing cercavano la solita lepre. Da un’altra parte Raffaele Bonajuto8 tirava sempre il giavellotto oltre i 65 (almeno nei primi tre lanci) e Raffaele Drei non si rendeva conto di come facesse. Fresco umido, pista ottima, anche se aveva piovuto il giorno precedente e la mattina stessa. Di qualche parte sbuca Scavo (meno male che qualcuno tira!) Ci siamo trovati là, alla partenza senza accorgersene e senza troppa emozione. Schierati dalla corda: io, Coliva, Scavo, Cesare Dordoni, Moens e la lepre Barbanti. In seconda fila: Barili, dietro a me, Gelmi e gli altri. Del via la gente pare che si sia accorta dopo lo sparo. Sono partito sveltissimo, ho fatto 30 metri in testa, quindi sul rettilineo sono passati la lepre, poi Moens, poi Scavo, poi Coliva. Sano stato fino alla campana relativamente vicino, subito dietro Scavo e Coliva; all’inizio della penultima curva s’è fatto un po’ di spazio fra questi due, e con pronto intuito Barili e Gelmi si sono infilati. Penultimo rettilineo: Scavo, Barili e Gelmi vicini a due o tre metri, Coliva ad altri due o tre metri, io che come al solito non riuscivo a stare agganciato, però andavo con buona facilità. A metà dell’ultima curva, vedendo che finivo sempre più dietro e credendo, come Barili, che l’arrivo fosse a

7 Introduzione redazionale all’articolo . 8 Raffaele Bonaiuto, un pupillo di Raffaele Drei uno dei nostri migliori specialisti negli anni trenta. Bonaiuto, atleta di ottima taglia, fu capace di 70.14 a diciotto anni, nel ‘56. Quattro anni dopo arrivò a 74.88, senza peraltro realizzare le promesse dei suoi giorni più verdi. Cfr. Roberto L. Quercetani ‘Atletica’ Vallardi & Associati pag. 150.

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metà rettilineo, sono partito e girando a metà della terza corsia sono arrivato addosso a Scavo. Questi ha messo la testa nel solito mado, è ripartito ed abbiamo fatto spalla a spalla una trentina di metri di rettilineo. Quando già vedevo le linee del presunto traguardo, Scavo aveva già sistemato la questione con mezzo metro di vantaggio, ho visto Moens avanti a noi ancora correva verso la fine del rettilineo, così in un momento ho perso tre o quattro metri e sono finito un po’ male. Scavo è stato fortissimo e dopo dieci minuti aveva già completamente ricuperato dopo aver dato di stomaco.” Dopo tutto questo, 1’attenzione per 1’atletica si concentrò nel mezzofondo, vennero gli splendidi risultati di Baraldi ai campionati italiani e in nazionale con molti giovani a sfiorare i quattro minuti nei 1500, mentre Gianni Scavo, all’esordio con la nazionale assoluta, nell’incontro Germania-Italia a Friburgo del 15 ottobre, cerca di tener testa ai più titolati tedeschi Edmund Brenner (1’49”6) a Friedel Stracke (1’50”3), ripetendosi negli 800 sui suoi tempi migliori (1’52”6). Era ancora un imberbe, Gianni Scavo, quando dalla Finlandia, oltre al pukko, 1’acuminato coltello dei boscaioli careliani, che portò sempre con sé ovunque andasse, riportò quelle metodologie dell’allenamento di interval-training, a cui guardarono, emulandole, le giovani leve laziali che avevano dimenticato la lezione di quell’Oscar Barletta di Szabo9.

9 Miklos Szabo, ungherese, campione europeo degli 800 metri a Torino nel 1934 davanti a Lanzi, che ebbe anche il primato del mondo dei 1000 metri, nei critici anni bellici, condusse gli specialisti italiani a tempi chiaramente sotto i quattro minuti, tempi che non si raggiungevano dalle stagioni di Luigi Beccali. Oltre a Oscar Barletta da Civitavecchia, si ricordano Carlo Bertocchi da Bologna, Eraldo Colombo da Milano, l’ex croato Zmago Kosic, italianizzato in Cosi, e D’Ercole da Firenze.

1956. La crisi

el 1956 però, Gianni sospese quasi del tutto i suoi allenamenti dopo accese discussioni con il padre, uomo N tutto d’un pezzo, ufficiale palermitano, che volle a tutti i costi che suo figlio per prima cosa avesse pensato a diplomarsi. La scuola era la sua più grande preoccupazione. Si tenga presente che allora non era nemmeno pensabile un avvenire legato al mondo sportivo; si correva per puro spirito dilettantistico.

“...Tra questi atleti poveri e onesti, semplici e generosi, si vive un clima insolito, quasi irreale, che riconcilia con lo sport, riaccende gli entusiasmi più genuini. Quando il torinese Boni ha caprioleggiato a lungo sul prato, come un puledro impazzito, in segno di gioia per aver saltato con l’asta metri 3 e 70, un garbato giovanotto, ci ha chiesto «li pagano bene per ogni salto riuscito?» Così su due piedi non abbiamo saputo rispondere a quella domanda ingenua e terribile insieme; poco dopo, al garbato giovinetto e ai mille altri che s’erano ficcati in testa quella stessa domanda, ha risposto per noi, esaurientemente, il dott. Zauli, presidente della federaziane di atletica leggera, quando si è avvicinato al podio dei vincitori dei 10 mila metri e ha consegnato loro le solite piccole, francescane medagliette.

Domani questi atleti, viaggiando in terza classe, torneranno alle loro case e, con orgogliosa fierezza, mostreranno ai parenti il cimelio dei loro trionfi; domani torneranno tutti al lavoro, silenziosi e modesti, con nelle orecchie l’eco degli applausi: qualcuno di loro andrà in officina indossando, furtivamente, sotto la tuta da lavoro, una maglietta bianca di lana sottile bordata di tricolore...”10 Gli incentivi, quando possibili, erano legati al filo, spesso tenue delle disponibilità economiche delle società a cui gli atleti appartenevano; solo ai campioni si offriva qualche volta 1’opportunità di trattare sottobanco con gli organizzatori dei meetings internazionali per avere un gettone di presenza. Il rovescio della medaglia di questo gioco, in cui vennero coinvolti atleti famosi come , Jules Ladoumègue, Gunder Hagg e Årne Andersson, era quello di venire espulsi dalla famiglia della IAAF per leso dilettantismo. E a questi incentivi non poteva certo aspirare 1’aurea mediocrità del mezzofondo italiano di quel periodo. Logico quindi che Gianni abbandoni 1’atletica per concentrarsi sullo studio anche se all’orizzonte potevano profilarsi addirittura 1e olimpiadi. <...Credo che ricomincerò ad allenarmi tra un mese - scrive a Gianfranco Baraldi alla vigilia di Natale del 1955 - se tutto andrà bene; in quanto a Melboume se ci sarà una qualche possibilità dovremo andarci insieme o niente, ma ce la faremo e credo che tu non dovrai faticare a fare meno di 3’50” quest’anno, anche perché io non mi voglio fissare troppo con questi 800 metri e, dedicandomi un po’ di più ai 1500 ti potrò essere di grande aiuto, spero fino agli ultimi metri.

10 Cfr. ‘Medagliette e fuori serie ‘Guerin Sportivo’ n. 60, 4 ottobre 1955.

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La mia più forte preoccupazione è ora quella della scuola, se me la toglierò dai piedi a giugno, e sto studiando discretamente, sarà un bel peso che mi sarò tolto...>

Si sente inoltre abbandonato dalla sua società, il CUS Roma, e dal comitato regionale in quel lungo inverno di silenzio. < Mi fa solo rabbia una cosa - si sfoga con il suo amico Baraldi - e cioè che sia la mia società che il comitato laziale sembra si siano completamente dimenticati di me; io ho fatto i salti mortali per essi in diverse occasioni: a Bari con quel vento e quella pista, e in 38 ore, ho fatto quattro gare, ai campionati provinciali di società senza allenamento e con molto sforzo i 1500 in 4’5” a gli 800 in 1’56”6 vomitando tutte e due le volte l’anima e tutto il resto. Mi avevano promesso un cronometro, una medaglia d’oro e dei denari per i primati laziali, ma ancora non vedo un accidenti e quel che è peggio è che ho dovuto spendere i soldi che avevo per le cure a cui mi sono dovuto sottoporre e ora sono al verde da molto tempo, si da farmi prestare i soldi dalla donna che abbiamo in casa, per andare al cinema con la mia Giuliana. Bah!!»

Che non sia 1’annata giusta lo si capisce anche dai problemi di salute. Sempre a Gianfranco Baraldi scrive. <...Spero che tu stia bene. Altrettanto non posso dire di me stesso. Infatti sono stato quasi venti giorni a letto, ho avuto una tonsillite reumatica che mi ha causato non poche conseguenze: emorragia fortissima per tre ore dal naso cessata in seguito al tamponamento e a varie e piuttosto numerose iniezioni di coagulanti; poi febbre alta per diversi giorni cessata anche questa in seguito a ben 40 iniezioni di penicillina, inappetenza, stomatite ed altre cosette... Mi sono alzato da pochi giorni, ma sono molto indebolito e dovrò sottopormi a delle cure, anche perché, essendo ipertiroideo come ha detto il dottore, ho la pressione alta,150!

Ma lasciamo questi discorsi... ho saputo che ci sarà un raduno a Chiavari, ma io ho deciso, se sarò invitato, di non venire perché con le assenze fatte mi trovo in difficoltà con la scuola.>

In tutta la stagione del 1956, sono pochissime le sue apparizioni su pista. Gianni Scavo si vede solamente in una gara post-raduno il 2 di aprile a Schio dove come i 400 in 51”7 e il 15 dello stesso mese quando corre gli 800 in 1’55”9. “Il raduno di Schio che si tiene in occasione delle vacanze pasquali, ospita il primatista finlandese del 1500 metri, Denis Johansson. I tre, quattro giorni che precedono le gare del lunedì di Pasqua, il triangolare veneto con la partecipazione dei nazionali e degli juniores, sono confortati dal bel tempo. La pista allagata prima, comunque pesante dopo, non è disastrosa. Fa molto freddo. Fino a pochi minuti prima delle gare si parla di mutare il programma delle prove di mezzofondo (800, 1500, 5000) in due di 1000 e 3000 per mimetizzare eventuali cattive prestazioni; poi però non se ne fa nulla. Nella prima serie dei 400 Antonio Serena non brilla, nell’altra Ambrogio Barili conduce fino ai 300 dopo di che Gianni Scavo lo passa di forza guadagnando sette, otto metri e perdendone qualcuno nel finale, vincendo tuttavia nettamente. Negli 800 metri, dove partecipa Johansson, tre partenze irregolari. Al via parte in testa Enrico Spinozzi seguito dal finlandese. Ai 600 Natale Coliva, spronato a gran voce da Lauro Bononcini, parte velocissimo e a metà dell’ultima curva guida con cinque, sei metri. Nel finale si assiste al ritorno di Spinozzi che chiude in 1’56”1. Nei 1500 metri Gianfranco Baraldi sempre in testa con Sergio Tomiato dietro. A quattrocento metri dall’arrivo, Baraldi se ne va al solito modo, anche se arriva un po’ indurito. Sul 5000, e Franco

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Volpi si altemano al comando fino ai duemila, coperti in 5’57”, poi Perrone si invola solitario mentre Piero Lener è autore di un ottimo ultimo giro. Si notano le mansioni di speaker svolte dall’atleta, scrittore, polemista Franco Bettella: segue le gare, dice i tempi di passaggio, fa apprezzamenti. Durante la gara degli 800, in omaggio a Johansson, fa gli annunci in finlandese oltre che in italiano.”

Pressato dai noti problemi di studio Gianni si rivedrà solamente il 21 luglio quando, benché con una condizione approssimativa, riesce a scendere sotto i 4 minuti nei 1500 metri (3’59”8) e il 25 agosto ancora negli 800 dove non va oltre l’1’55”1. È costretto quindi a fermarsi di nuovo per problemi fisici, afflitto dal mal di fegato. Consapevole di non poter rientrare in tempo nella giusta condizione, abbandona i sogni olimpici e, libero da impegni di studio, pensa subito alla preparazione della successiva stagione di gare.

Gianni Scavo cominciava così la sua travagliata altalenante carriera sportiva, mentre Gianfranco Baraldi, di contro, era ben intenzionato a mantenere le aspettative dei suoi innumerevoli estimatori. Dopo il 4’ netti dell’esordio in aprile a Schio, Baraldi inizia il suo attacco aggirante al record italiano di Beccali, migliorando dapprima quello dei 3000, correndo la distanza in 8’26”8 (prec. 8’27”4 di Umberto Cerati), poi quello dei 2000 (5’21”6) ed infine succedendo a Luigi Beccali nella graduatoria dei 1500 correndo, il 19 agosto a Budapest, in 3’47”8, guadagnandosi così, meritatamente, il viaggio in occasione delle Olimpiadi di Melboume dove va soprattutto per fare esperienza.

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1957. La grande speranza

Ianniiianni Scavo, comunque, dopo la crisi fisica e morale del 1956,1956, si ripresenta al via della stagione su pista del 1957, in Gottimottime condizioni di forma. A Schio va vicinissimo a1 record italiano dei 2000 di Baraldi correndo in 5’23”7, poi batte Giuseppe Fontanella nei 1500 a Piacenza con un buon 3’54”2 contro 3’55”. Ritorna protagonista principe nella gara degli 800 imponendosi subito ai campionati di società, con il nuovo personale di 1’52”1,11 poi in settembre, a Bologna, rivince il titolo individuale conquistato due anni prima, correndo la distanza in 1’51”1. Solo il programma orario gli impedisce una probabile vittoria anche nei 400 metri piani, vista anche 1’assenza di ; fra le batterie dei 400 e la finale degli 800 intercorrevano infatti solo pochi minuti. Nel corso di quei campionati, permette altresì, con una stupenda ultima frazione, alla A.S. Roma di fregiarsi del titolo della staffetta 4x400 . “Ancora un capitolo per Giovanni Scavo, non tanto per il successo riportato negli 800 come del resto preventivato, ma

11Arena di Milano. La seconda serie degli 800 metri è una gara entusiasmante. Dopo 100 metri Baraldi è gia al comando per evitare sorprese sul ritmo. Baraldi passa ai 200 in 26”8 e prosegue fino ai 400 in 55”2, quando viene sostituito al comando da Scavo. Ai 600 è ancora Scavo davanti con Baraldi alle spalle. L’andatura è elevata ma tutti sono ancora in gruppo. II finale è vorticoso. All’uscita dell’ultima curva Giovanbattista Paini tenta l’attacco, ma Scavo risponde cambiando velocità e facendo il vuoto. Alle sue spalle Fontanella e Attila Viragh si assicurano le piazze d’onore. I primi sei arrivati, tranne Baraldi, ottengono tutti i loro primati personali. Cfr. Renato Morino “Tuttosport” 15 Giugno 1957.

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per la sua indimenticabile ultima frazione della staffetta 4x400 con cui è riuscito a dare la vittoria al suo sodalizio dopo una rimonta che ha mandato in visibilio il pubblico. La gara del veliterno ha forse definitivamente palesato quali siano le sue possibilità anche sulla distanza più breve, finora affrontata troppo di rado e senza troppa convinzione per poter realizzare i tempi che sono già evidentemente nelle sue gambe.” 12 Sempre negli 800 metri e sempre nel 1957, manca per soli due decimi il famoso primato di Mario Lanzi: a Parigi, nel corso del meeting Pierre Bourtain, che si svolge allo stadio Jean Bouin il 21 giugno, corre in 1’49”2 sulla scia del primatista mondiale Roger Moens primo in 1’47”5, e vicino al campione europeo in carica Lajos Szentgali che lo precede in 1’48”9. Ancora sul finire di quell’anno aveva ribadito le sue legittime aspirazioni a migliorare il limite degli 800, il 13 ottobre a Roma. Anche qui Scavo corre in eletta compagnia. Con lui sono al via atleti di gran classe come 1’inglese Michael Rawson, il greco Evangelos Depastas, il finlandese Olavi Salonen, il tedesco Max Reuntsch e 1’altro azzurro Baraldi.13 Nei primi 500 metri fanno 1’andatura Depastas e Reuntsch, Gianni, sempre tra i primi fino a quel momento, ai 600 è relegato in coda al gruppo con Baraldi. Sul rettilineo finale però, il nostro ragazzo fa scattare in piedi il pubblico: la sua volata da quattrocentista ‘brucia’ Rawson, che 1’anno successivo conquisterà a Stoccolma il titolo di campione europeo sulla distanza, Reuntsch e Salonen. Soltanto Depastas riuscì a contenere il suo slancio. Primo è il greco in 1’49”2; Scavo è secondo in

12 Cfr. Sergio Gatti ‘Atletica’ 19 settembre 1957.

13 Gianfranco Baraldi, nel 1957, concentra la sua preparazione sulle distanze maggiori. Preparazione che gli permette, tra le altre cose, la doppietta 1500-5000 ai campionati italiani assoluti.

1’49”3.14 La stagione 1957 lo vede lottare sempre nelle prime posizioni. A Milano e Torino, nel doppio confronto con gli americani, aveva fatto risaltare tutto il suo agonismo, prima negli 800 e poi nei 400 metri. Gli 800 di Milano sono assai belli. Belli ma sbagliati. Bisognava mantenere alto il ritmo, per condurre Gianni Scavo, reduce dalla splendida prova di Parigi, al nuovo limite italiano. Ma nessuno va a tirare. Gianni allora offre una prova di grande generosità conducendo in testa tutta 1a gara anche se, nel finale, doveva accontentarsi di finire secondo in 1’50”6 superato negli ultimi metri dal giovane specialista degli ostacoli bassi Clifton Cushman14 (1’50”4) rimasto per tutto il tempo nelle retrovie. L’altro americano Lang Stanley, accreditato di un ottimo 1’48”5, era terzo su Enrico Spinozzi (1’51”2), mentre Gianfranco Baraldi teneva come poteva il passo e segnava abbondantemente il suo limite stagionale con 1’51”7. “La mancanza di una ‘lepre’ aveva costretto Scavo a fare l’andatura. Il passaggio a metà gara in 55”6 comprometteva inevitabilmente un risultato migliore. Bella è comunque la lotta sul piano agonistico: dopo il primo giro Scavo è sempre al comando e guida con autorità. Stanley lo attacca una prima volta ai 500 metri, ma Scavo resiste, Stanley attacca ancora, Scavo risponde; la lotta è furiosa. Ai 700 metri Gianni è ancora in testa, Stanley, entrando sul rettilineo attacca nuovamente ma il nostro atleta gli risponde e conserva il comando fino a 30 metri dal traguardo quando Cushman, sbucato dalle retrovie, vince in volata.” Il giorno successivo, il sette di luglio a

14 Dopo i tempi aurei di Lanzi e Beccali, le prestazioni di Giovanni Scavo negli 800 e Gianfranco Baraldi nei 1500 ridanno fiato ad una asfittica atletica italiana anche se, alla fine degli anni ‘50, sono oramai un centinaio al mondo gli atleti capaci di correre gli 800 metri in meno di 1’50” e, con 3’42” 3 nei 1500, Baraldi non riesce ad accedere alla finale dei campionati europei del 1958. 15 A Clifton Cushman la vita non doveva regalargli più della medaglia d’argento dei 400 hs delle olimpiadi di Roma dietro il connazionale Glenn Davis. Sei anni più tardi trovò infatti la morte in quella sporca guerra del Vietnam.

Torino, è ancora una battaglia agonistica; questa volta nei 400 metri. Il duello è ancora con Lang Stanley. L’americano parte alla corda, Gianni Scavo in terza corsia. Dopo cento metri Stanley è già primo mentre Gianni è quarto. Poi però si lancia all’inseguimento e arriva a minacciare 1a vittoria dello statunitense che resiste comunque in testa chiudendo in 48”3 contro il 48”5 di Giovanni Scavo. Il 28 luglio a Bruxelles, in occasione dell’esagonale con Germania, Francia, Belgio, Svizzera e Olanda, Gianni incrocia nuovamente il grande Roger Moens negli 800 metri. Una gara che ‘soffre’ della presenza del primatista mandiale. Moens è interessato esclusivamente nella vittoria e del tutto indifferente alla prestazione. I 400 metri erano corsi così in un normalissimo 55”6 e Moens realizzava infine i suoi piani con il solito sprint (1’49”1 il suo tempo finale) al quale solamente il tedesco Friedel Stracke (1’50”2) poteva opporre qualcosa. Gianni Scavo era quarto in 1’50”8 subito dietro al francese (1’50”7).

Alla nottuma di Milano, prima dei campionati italiani, nella serata del record italiano di Baraldi nei 2000 (5’12”1), Gianni Scavo confermava le sue doti di quattrocentista correndo la distanza prima in 48”6 in batteria, e poi migliorando in finale con 48”3 dietro allo svizzero Renè Weber (47”9) e al francese Jacques Degats (48”2).

Il 29 di settembre, a Trieste, negli 800 metri di Italia-Svezia, tiene il passo di Dan Waern, lo svedese che sarà quarto nei 1500 metri delle olimpiadi di Roma.

Per tutta la stagione aveva dato dimostrazione di valere il record italiano degli 800 metri. Un traguardo che nessuno pensa possa sfuggirgli, al più tardi rimandato alla stagione successiva.

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1958. Tra incertezze a dimostrazioni di classe

este, naturalmente, più volte la maglia azzurra. Nel 1958 partecipa ai Campionati Europei dove è quarto nella V staffetta 4x400 insieme a Nereo Fossati, Mario Fraschini e Renato Panciera e stupendo protagonista in terza frazione. Corse come al solito senza risparmiarsi, recuperando metri e posizioni. Nonostante Gianni vantasse il miglior tempo della stagione, un tempo da finale europea nei 400,16 le sue sgradevoli oscillazioni nella gara degli 800 metri fecero si che, le scelte tecniche di Lauro Bononcini portassero a schierare Fraschini e Panciera17 nella gara individuale, riservando Scavo solamente per 1a staffetta, una gara dove i nostri quattro moschettieri sfiorano la medaglia di bronzo correndo in 3’11”1 a soli tre decimi dal primato italiano. “La sorpresa lieta ci è invece venuta dalla 4x400, su cui le speranze erano poche e si erano affievolite dopo la disputa dei 400 individuali. Il quartetto ha invece superato l’attesa, mostrandoci una volontà e una classe veramente degne del posto ottenuto. Un grande Scavo si è riabilitato dalle precedente prove scialbe, e forse è stato un peccato non provare il romano anche nelle gare individuali, e Panciera benché non al pieno della forma, ha rasentato quel terzo posto che sarebbe stato

16 La gara fu vinta dall’inglese John Wrighton in 46”3 davanti a ohnJ Salisbury 46”5, Karl-Friedrich Haas 47’0, Karl Kaufman 47”0, Åke Pettersson 47”5 e Stanislaw Svatowski 47”8.

17 I due azzurri furono eliminati in batteria dopo aver corso entrambi in un modesto 49”.

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veramente miracoloso. Comunque dieci e lode alla staffetta italiana.”18 Il 1958 non costituì infatti, per Gianni Scavo, la prosecuzione che si attendeva logica, della sua attività di ottocentista. Dopo il buon avvio di stagione, con la vittoria di Atene in maggio su Depastas, Gianni non riesce a ripetere le eccelse prestazioni dell’anno precedente. In una sola occasione, il 28 giugno, nella finale dei campianati di società a Firenze, dietro Baraldi (1’49”3), riusci a scendere sotto l’1’50” (1’49”8). E questa volta successe il contrario di quanto era successo altre volte. Dopo aver lasciato agli altri il compito iniziale per i primi 400 metri, Scavo passa in testa con decisione, come per significare un diritto alla vittoria. Ma sul rettalineo opposto risaliva Baraldi con estrema facilità. Baraldi e Scavo fanno insieme 1’ultima curva, Baraldi all’esterno. Nel finale il bergamasco opera 1’allungo decisivo e Gianni risponde sprintando: ma era uno sprint senza nerbo. Qualcosa in lui era cambiato. Lo si avvertì in una serie di gare sconcertanti, incerte e malamente concluse. Una di queste fu a Torino nell’incontro Italia-Svizzera. Finì ultimo e staccatissimo, concluse al passo in 2’03”2!, in una gara di 800 dominata da Christian Wägli (1’49”6) davanti a Baraldi (1’49”8): diede al pubblico, che lo fischio, l’impressione di un assoluto menefreghismo. Naufraga negli 800 dell’arena contro gli americani il 15 luglio, dove si ritira dopo 500 metri, in una gara vinta dal campione olimpico Tom Courtney in 1’48”5 davanti ad un ancora spumeggiante Gianfranco Baraldi (1’49”5). E poi ancora ai campionati italiani il 12 settembre dove è quinto con un modesto 1’54”5 dietro a Gianfranco Baraldi (1’52”), incontrastato numero uno dell’anno

18 Cfr. Alfonso Castelli ‘Atletica’ 30 agosto 1958.

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anche su questa distanza, e superato anche da Alfredo Rizzo (1’52”2), Mario Fraschini (1’52”4) e Giuseppe Della Minola (1’52”4) protagonista di un finale serratissimo. Per poi risorgere, a distanza di poche ore, in virtù di quegli arcani di cui non si cerca nemmeno la risposta, correndo una grandissima frazione di staffetta da qualcuno cronometrata in meno di 48 secondi. “Gli 800 sono praticamente mancati per il crollo inatteso e imprevedibile di Scavo, che molti consideravano il favorito. Baraldi, un po’ affaticato e forse preoccupato di risparmiarsi per i 1500 non ha spinto a fondo e si è limitato a vincere con bella sicurezza. Rizzo e Fraschini sono stati i suoi avversari più pericolosi e soprattutto il milanese si è messo in luce per la sua grinta agonistica che lo ha portato ad insidiare fortemente, sul finale, la vittoria di Baraldi.” 19 Tutto ciò era dovuto alla sua stranezza atletica, che aveva dirette radici nella sua generosità, nella spregiudicata visione dello sport e quindi della gara. Scendeva in pista per arrivare primo, senza calcoli o particolari piani di battaglia. Il traguardo era là, e bisognava arrivare prima degli altri. Logico che con tali concetti venisse battuto malamente, oppure incappasse in giornate negative. La stagione 1958 lo vede comunque primo nella graduatoria nazionale dei 400 (47”2), secondo negli 800 (1’49”8) a nei 1000 (2’25”2). Se nel 1957 dominò negli 800, 1’anno seguente è quello della distanza inferiore. Gianni Scavo inizia con un record universitario (47”9) nei campionati CUSI il 4 maggio a Pisa e finisce dominando, il 5 ottobre a Lione (Italia-Francia) in 48”6 su una pista allentata e poco veloce, passando per i campionati italiani di società in

19 Cfr. Alfonso Gastelli ‘Atletica’ 20 settembre 1958.

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giugno, a Firenze, dove Gianni corre in 47”5 perché i1 suo cuore è grandissimo come la sue classe. A dieci metri dal filo era ancora dietro a Fraschini. Alla fine, invece, una zampata da campione lo porta su1 traguardo con una incredibile esplosione di energie. Scavo viene incoronato della ‘Nike Volteggiante’: è sua la vittoria. 20

Così Renato Morino descrisse la gara sulle pagine di Tuttosport. “I 400 metri di oggi, come gli 800 di ieri. Forse più esaltanti ancora come tono agonistico, certo più elevati come tecnica collettiva. Una gara stupenda, di assoluto valore europeo. Già i sintomi s’erano avuti in mattinata, nelle batterie che avevano offerto tempi incredibilmente elevati e dove tredici corridori erano scesi sotto i 50 secondi. Nel pomeriggio poi, quando si poteva pensare che la stanchezza impiombasse le gambe a tutti i concorrenti, ecco la conferma, una conferma talmente stupefacente da superare anche le più ottimistiche previsioni. II tema della lotta doveva essere svolto da Scavo e Fraschini, con possibili diversioni di Panciera e Fossati. Venne il momento dell’incontro. Panciera all’esterno, senza punti di riferimento, partì fortissimo e prese subito il comando, tallonato da Fraschini all’interno, mentre Scavo, in quarta corsia, aveva un avvio piuttosto lento. A metà gara Panciera era sempre al comando seguito a un metro da Fraschini; ma Scavo ormai lanciato lo tallonava d’un passo. Cento metri più avanti, cioè a tre quarti di gara, Fraschini partì a fondo e infilò il rettilineo d’arrivo al massimo della velocità. Panciera resistette valida- mente fino ai 350, momento in cui anche Scavo lo attaccò con decisione. Preso tra i due, Panciera andò a fondo, facendosi superare anche da Fossati, mentre più avanti, Scavo, remando con volontà furiosa, agguantava Fraschini a dieci metri dal

20 Gianni Scavo realizza il quinto tempo stagionale del vecchio continente. Mario Fraschini con 47”6 il sesto; con loro anche Nereo Fossati (47”9) scende sotto i 48”, in una gara che vede quarto Renato Panciera con 48’’4, quinto Enrico Spinozzi con 48”6 e sesto il giovane Antonio Orlando con 48”7.

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traguardo e lo staccava di prepotenza balzando sul filo con un metro di vantaggio.” La sua grande giornata è però nel ‘Meeting’ capitolino dove corre due volte i 400 metri in meno di due ore. Dapprima in batteria dove fa segnare 47”6 con una gara autoritaria e senza risparmio sin sul filo di lana, poi in finale. Qui Gianni si presenta in una veste nuova, riesce infatti a frenare il suo istinto che lo porterebbe a resistere al folle avvio del campione europeo John Wrighton e del finlandese Voitto Hellsten. Quando distende la sua azione, la rimonta è entusiasmante: Wrighton vince facendo sentire il peso della sua classe e dell’esperienza ma Hellsten, già medaglia di bronzo alle olimpiadi di Melbourne, è agguantato e i due finiscono a spalla. I giudici sono bugiardi e danno 47”l al finlandese e 47”2 (secondo tempo assoluto italiano dopo il 46”7 di Lanzi) a Giovanni Scavo. Un tempo che lo fa rientrare tra i migliori specialisti europei dell’anno e che impose una revisione di giudizi su Gianni Scavo. Era stato sempre considerato un mezzofondista veloce; un uomo da 800 metri. Tutta la stagione 1958 era stata invece una smentita continua a questo dettame. Una stagione in cui dimostrò di non gradire affatto 1a distanza fallendo clamorosamente le due prove di Milano (con gli americani) e di Torino (con gli svizzeri). Al contrario tutte le sue gare di 400 della stagione sono sempre di alto livello, tanto da porre un interrogativo per il suo avvenire. quattrocento o ottocento metri? Giovanni Scavo si esaltava in particolar modo nelle staffette non escluse quelle della 4x100, nelle quali veniva utilizzato per ragioni di squadra, come il 14 settembre 1958, quando fu medaglia di bronzo, in

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occasione dei campionati assoluti di Roma. Le sue esibizioni migliori rimanevano però, ovviamente, nelle staffette del miglio. Come a Stoccolma, come ai campionati italiani del 1957 prima e del 1958 dopo. Quest’ultima gara definita da Alfredo Berra, la più bella della riunione vinta alla maniera forte da una squadra assai inattesa. “Lo stadio Olimpico ristette dalla stupefazione nel 1956, allorché il vecchio atleta veneto giramondo Franco Bettella, barbuto padre di numerosi figli, reduce dall’annuale scorribanda in Finlandia, vinse il titolo nazionale dei 400 metri a ostacoli. Fu quella l’occasione in cui si rivelò il giovanissimo e l’ambience ufficiale avrebbe forse preferito che lui avesse conquistato l’alloro e non l’agitatore Bettella, più volte colpito da provvedimenti per attività antifederali. Il finale di quella stagione fu assai interessante per Bettella. Nell’incontro con la Francia fece il diavolo a quattro in una staffetta 4x400 messa su quasi contro il parere dei tecnici ed in compagnia di , Spinozzi e Panciera stabilì un primato italiano (3’10”8) che finora ha resistito a tutti gli assalti, anche di quattrocentisti individualmente più forti quali sono stati guest’anno Scavo, Fraschini, Fossati e lo stesso Panciera. Da allora Bettella si creò la fama di mezzo mago e vagò una definizione di Rasputin che impressionò più d’uno. Agonisticamente ebbe sfortuna, rovinandosi un piede e forse la sue carriera è finita. Non così quella di stregone o come lo si può chiamare. Legato ancora, per la più strana fase dei suoi spostamenti, alle Assicurazioni Generali di Palermo, non potendo contribuire come atleta, s’è messo dietro alla staffetta 4x400 che questa società ha schierato per i campionati, affiancando al campione Scavo il valido Bonmarito e i modesti ma utili Lo Grasso e Puleo. Era in campo Bettella prima della finale della 4x400 mentre le tenebre scendevano, utili a mascherare notevoli pecche organizzative; consigliava e incuorava. Sorteggiò la corsia (e non sappiamo neanche se ciò si possa ammettere da

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parte di un non componente la squadra) comunque ebbe mano felice. La gara ebbe inizio. Le Assicurazioni furono subito a posto con una buona prima frazione, davanti al Capitolino e alle Fiamme Gialle, mentre la Comense cedeva per via del suo primo frazionista molto scarso. Si sapeva però che sarebbe venuta su nei restanti percorsi. Equilibrio tra le prime tre squadre sino all’ultima frazione: nel Capitolino s’era particolarmente distinto Michele Lopatto e dunque Spinozzi partì per primo davanti a Fossati per i comensi ed a Scavo per i palermitani. Essi procedettero in un tris unico nel gioco e perso nella notte, compatto fino ai 100 metri dal traguardo: poi Scavo passò con una potenza straordinaria e si liberò non soltanto di Spinozzi, che nel frattempo cedeva, ma anche di Fossati. Tutti con il cuore in gola, atleti e pubblico nella gara svoltasi di notte e che ha visto due squadre battere il primato italiano di società, senza che l’altoparlante ne desse l’annuncio e senza che la premiazione venisse fatta con opportuno fasto. È vero che l’agonismo non conosce limiti di tempo, di luce o d’organizzazione. Una gara così bella situata nell’orario peggiore della giornata, quello in cui tutti se ne vanno, il pubblico un po’ stanco, i giornalisti per la fretta dei servizi. Potevamo pensare che Bettella riserbava una sorpresa. Troppo grigia quest’annata per lui, come dirigente e come atleta, perché finisse così. Ed ecco il primato: non solo il primato, ma Scavo restituito alla condizione migliore, pur essendo ancora lontano dal massimo. Questi non sono esorcismi, è la realtà. Una staffetta di Palermo campione e primatista d’Italia, anche se vivificata da un veneto che s’è ispirato in Finlandia, è sempre nota degna di grande rilievo.”

1959. Addio Gianni

el 1959 quando era stato già inserito tra i probabili olimpici per le Olimpiadi di Roma dell’anno successivo, N dove 1’Italia contava particolarmente su di lui in funzione della staffetta del miglio, è a Palermo per gareggiare con le Assicurazioni Generali presso 1e quali, l’anno prima, aveva ottenuto un posto di ragioniere. Gianni, difatti, non era rimasto a Roma perché non vi aveva trovato una conveniente sistemazione di lavoro nonostante 1’interessamento dello stesso presidente della 21 FIDAL, marchese Luigi Ridolfi. Questa volta i1 padre, trattandosi di Palermo, non aveva ostacolato i suoi programmi.

Aveva scelto però una sede scomoda per fare atletica. Non che Palermo fosse, per clima o carattere, ostile a questa attività; ma nella Conca d’Oro non erano molte, per lui, le occasioni per battersi con atleti della sua levatura, e i confronti doveva andarli a cercare in giro per 1’Italia, gettando il guanto di sfida su tutte le distanze. La FIDAL 1’aveva più volte invitato al nord per offrirgli condizioni d’ambiente più favorevoli. Gianni sempre rifiutò, Lanzi disse che era sfuggito al suo controllo,

21 Lettera di Mario Lanzi a Gianfranco Baraldi in data 5 dicembre 1957. “... A Roma ho trovato Scavo e sembra si trasterisca a Palermo ma il Presidente sta facendo di tutto perché lo Scavo rimanga a Roma impiegato in Roma stessa..:”

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guadagnandosi la fama di ‘ribelle’ che contrastava invece con il suo carattere. Era solo affezionato a Palermo e alla sua società che gli aveva dato 1’occasione di conciliare in modo soddisfacente, tendendogli la mano in un brutto periodo, la sua professione di ragioniere con 1’attività agonistica.

Qui trovò, purtroppo, una prematura morte, era il 9 aprile 1959. Stava tornando da Palermo, a Mondello, dove si era recato per prenotare un volo per Milano, dove avrebbe dovuto gareggiare tre giorni dopo in occasione della ‘Pasqua dell’Atleta’. A bordo della sua motoretta, all’altezza dello Stadio, nel superare un’auto in sosta, si scontrava con una 600 multipla che a sua volta tentava di superare un autobus.

A Milano avrebbe dovuto gareggiare nella prova dei 2000 metri e sarebbe stato il primo test impegnativo di una stagione che Gianni stesso aveva riconosciuto importantissima, il trampolino di lancio per una grande stagione olimpica. Gianni Scavo dopo la discontinua stagione 1958, aveva promesso infatti un rendimento più continuo e positivo. Al termine del meeting di Roma aveva dichiarato: . La gara era finita da pochi minuti ma Gianni 1’aveva già dimenticata, guardava già al futuro.

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Il suo pallino, il suo recondito desiderio e una delle sue maggiori aspirazioni era quella di battere il suo amico-rivale Baraldi nella gara dei 1500 metri. Per questo all’inizio della sua ultima stagione, fu attore impegnato dell’attivita campestre, con piazzamenti sempre tra i migliori anche in gare di sette chilometri. A marzo nella classica ‘’, valida come seconda prova del CdS di corsa campestre, presenti i migliori specialisti, chiude al quinto posto una gara che vede la vittoria di Francesco Perrone. Parecchie volte si era recato presso i1 centro tecnico di Formia dove Bononcini aveva potuto osservare come egli avesse svolto una preparazione invernale di grande portata. Avrebbe voluto riparare, nel corso di quella stagione, come aveva promesso tra le lacrime negli spogliatoi dopo 1’incontro Italia-Svizzera, i1 debito che sentiva di avere con gli sportivi torinesi. L’occasione purtroppo non verra più. Non aveva certamente le caratteristiche adatte per poter impensierire Gianfranco Baraldi nei 1500 metri, ma la sua caparbietà e la sua ostinazione di volerlo fare, gli avrebbero probabilmente permesso di superare il limite di Lanzi negli 800 metri, mancato 1’anno prima a causa di una preparazione troppo improntata sulla velocità. Fu subito chiaro che la sua attività si sarebbe circoscritta sempre più alle distanze tra i 400 e i 1500 metri, era però un atleta versatile. Una versatilità che gli consentì di improvvisare i 100 metri in 11”1, nonché di sfiorare i cinquemila punti nel decathlon. Era particolarmente fiero, e ricordava volentieri, il primato italiano di società (3’17”0) conquistato con la staffetta 4x400 con Paolo Puleo, Secondo Lo Grasso e

Giuseppe Bonmarito, per i1 quale aveva ricevuto la medaglia d’oro del CONI e sulla quale scherzava dicendo .

Gianni Scavo non parlava però quasi mai dei successi già ottenuti. Una gara era semplicemente una tappa. Da archiviare, quando non serviva come esperienza per le altre gare. Era eternamente insoddisfatto dei suoi risultati. Parlava spesso invece di ciò che voleva, di ciò che sapeva di poter fare. Il record di Lanzi prima. Prestissimo. E poi le olimpiadi.

Gianni Scavo sognava le olimpiadi di Roma. quale atleta non sogna di indossare 1a maglia nazionale, di partecipare alla classica ed immortale rassegna. Gianni Scavo le sognava portando costantemente all’occhiello il distintivo di P.O. e agli amici palermitani parlava delle olimpiadi in ogni occasione. «Vedrete che spettacolo. Ho casa vicino Roma. Venite a vederla. Io sono felice di farle e se non le facessi andrei a vederle. Venite a casa mia, una sedia e un letto ci sarà per tutti.» Ne parlava continuamente, con entusiasmo. Studiava con Bettella 1e tappe del miglioramento delle sue prestazioni, considerando come culmine la performance romana. Parlava poi dei campioni stranieri che avrebbe incontrato e si considerava felice anche solo di gareggiare con loro. <È uno spettacolo. Ci saranno tutti e per battermi dovranno faticare> . A chi gli chiedeva cosa avrebbe fatto dopo 1e olimpiadi, rispondeva come se il futuro non andasse al di là della manifestazione romana.

Probabilmente le olimpiadi di Roma lo avrebbero visto rifulgere di chiarissima luce. L’Italia perse invece, ancor prima di averla giocata, 1a carta Scavo, distrutta da quella certezza che non fallisce mai,

perché fatta per stroncare tutte le altre imprese: 1a morte. Non prima di aver battuto la via che lo conduce in modo inevitabile alla tragedia. La madre, ricevuta la ferale notizia, parte in automobile la sera stessa dell’infausto evento alla volta di Palermo. Alla guida della vettura Luigi, il secondogenito della famiglia Scavo che all’altezza di Sapri accusa conati di vomito e giramenti di testa. La mamma non si perde d’animo, fa sdraiare il giovane figlio su1 sedile posteriore e si mette alla guida. Vuole arrivare a Palermo prima dell’alba; vuole rivedere per 1’ultima volta il volto, ancorché immobile, di quella parte del suo stesso corpo che si è fermata per sempre. Arriva alle porte di Palermo che è 1’alba dove sono in attesa gli amici palermitani di Gianni che fungono da staffetta. Raccolte le spoglie opime, il ritorno a Velletri dove hanno luogo, nella chiesa di S. Maria in Trivio, i più solenni funerali che, a memoria d’uomo, 1a nostra città ricordi. Tutti, dai massimi dirigenti sportivi financo 1’ultimo suo più distratto tifoso, vogliono essere presenti. Ali di folla lo accompagnano nel suo ultimo viaggio, chiuso in quella bara che i compagni della nazionale consegnano alla sua ultima dimora. “Di nobil pompa i fidi amici ornaro il gran feretro, ove sublime ei giace. “ Adesso Gianni non correrà più. Nessuno avra più il piacere di vedere 1a sua falcata veloce e possente; il suo viso scuro di bel saraceno, affilato dalla fatica. Le membra distese armonicamente nello sforzo, classiche della scultorea bellezza.

II ricordo

ianni Scavo era troppo noto e troppo benvoluto, per non destare la sua morte un senso di tristezza e di profondo G dolore. Impulsivo e generoso in gara, Gianni Scavo nella vita privata di tutti i giorni era un ragazzo serio e posato. Per distendersi nelle pause della sua preparazione, coltivava 1’hobby della radiotecnica nella quale faceva rifulgere il suo non comune spirito di osservazione. La sua stanzetta era letteralmente intessuta di fili che si intersecavano, era piena di apparecchi radio costruiti con mezzi di fortuna, tappezzata alle pareti di libri e manuali di elettronica, che la rendevano simile ad un laboratorio scientifico nel quale Gianni evadeva compiendo prove ed esperimenti. Amava la natura. Un giorno sul treno che attraversava le dolci vallate svizzere, dove il verde dei prati affoga nell’azzurro dei laghi, in una tranquillità quasi irreale, si lasciò trasportare da un pensiero venato di malinconia. .

Era un ragazzo generoso ed entusiasta, aveva saputo conquistarsi vaste e meritate simpatie tra i suoi compagni di scuola e di allenamento come anche tra i suoi avversari, come Gianfranco Baraldi. “Il ricordo che ho di Lui, delle battaglie sportive e dei giorni trascorsi insieme un po’

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ovunque, sta a testimoniare come sia possibile essere avversari irriducibili sul campo ed amici fraterni nella vita di tutti i giorni. Gianni ed io lo eravamo.

Le nostre gare sugli 800 e 1500 metri erano le più seguite e le più belle proprio per i nostri duelli alla morte che tanto bene fecero al mezzofondo italiano.

Certo bisagna dire che di Gianni non era difficile essere contemporaneamente avversario ed amico; basta ricordare il suo sorriso aperto e inimitabile per capire quanto avesse di buono in sé. Ricordo il prima raduno collegiale di Castel Labers, con tutti gli scherzi che si facevano ed a cui entrambi partecipavamo attivamente.

La prima tournèe all’estero, in Scandinavia, con l’inseparabile e Raffaele Bonaiuto, Natale Coliva, Francesco Ziggiotti ed il finnico Bettella, anche essi cavie come noi due per gli esperimenti tecnici della rinnovata atletica italiana, E ancora le lunghe galoppate nelle quasi vergini foreste di Vierumacky in Finlandia, paese favoloso per un mezzofondista. Lassù noi vivevamo come puledri allo stato brado, la corsa era la nostra vita.

Gianni era nato per correre, per i mezzi fisici, per volontà e per i sani principi morali che lo distinguevano. Come non ricordare i lunghi periodi trascorsi a Schio, forse la sede dei raduni che più amavamo e dove noi del mezzofondo formavamo una affiatatissima famiglia di cui Gianni ed io eravamo un po’ i portabandiera. Dal 1955 al 1959 per lunghi periodi, alternati da brevi scappate a casa da trasferte per gare, siamo vissuti felici in quell’accogliente cittadina. Il nostro mondo, il mondo degli anni migliori lo abbiamo vissuto sulla rossa pista di Schio e ripensando con nostalgia a quei tempi dico che quelle corsie e quello stadio un poco ci appartengono.” Il ricordo di Giovanni Scavo rimane scolpito nel cuore di tutti. Mario Lanzi, i1 campionissimo, di cui Gianni, nel 1957,

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sfiorò il record italiano degli 800 metri, lo valutava una enorme bontà racchiusa in una dura corteccia. Lanzi aveva avuto modo di conoscerlo bene sin dall’inizio della sua carriera atletica e in qualita di direttore della scuola di Schio. Una carica che aveva ricoperto fin dal 1953. “Scavo! Tra l’Etrusco e il Romano, aveva ereditato tutte le qualità di quei famosi Volsci che adirono sfidare Roma. Armonica in tutta la sua linea fisica, sembrava un modello di Fidia o di Prassitele per le sue fattezze. I suoi occhi dolci nella conversaziane privata, diventavano fiammeggianti negli stadi e sulle piste, pronti a bruciare e perpetrare il segreto della vittoria. Al primo contatto dava l’impressione di essere diffidente, ritirato, burbero, talché gli venne dato l’appellativo di ‘selvaggio’! Ma quanta generosità, bontà, simpatia sotto quell’apparente dura corteccia. Però quando entravi nella sua dimestichezza, ti confidava tutto, anche le cose più intime. Non aveva problemi contestativi, mirava diritto a crearsi un avvenire, una famiglia, pur assecondando quella sua innata combattività esprimendola in prestazioni atletiche degne della più alta considerazione. Parsimonioso, quante volte mi ha affidato il suo portafogli, carico di risparmi confusi con le foto della ragazza che doveva diventare la compagna della sua vita. Questo l’uomo Scavo. L’atleta Scavo ricalca, per le sue qualità positive, le orme dell’uomo Scavo, anzi qui sublima quelle sue innate qualità di caparbietà. Non sono le nude cifre di tempi e distanze delle sue gare quelle che esaltano il suo valore, ma il modo con cui affrontava l’agone. Quel puntiglio, quella generosità, quella leale combattività che lo rendeva temibile e temuto ma, nello stesso tempo, amato ed ammirato. Aveva raggiunto giovanissimo la condizione di essere un predestinato a grandi cose. Niente mancava allo Scavo atleta: organismo, mezzi, volontà e quella che indefinitamente viene chiamata classe.

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Nelle competizioni internazionali era un leone sentiva il peso e la responsabilità della maglia azzurra, simbolo della sua patria sportiva. Particolarmente nelle staffette era il frazionista d’oro della rappresentativa italiana. Insomma si era di fronte al fenomeno che ogni tanto la stirpe italica regala allo sport italiano. Un uomo d’Olimpia con i requisiti morali e fisici per trionfare negli stadi e nei giochi quadriennali. Tutto lascia credere che Gianni Scavo sarebbe pervenuto a risultati formidabili. Gli sarebbe bastato seguire il suo istinto. Quell’istinto che lo aveva rivelato atleta staraordinario nel 1954 al tempo della campestre scolastica, che lo introdusse fra gli aspiranti campioni nel 1955 quando vinse il titolo nazionale degli 800 metri. Quell’istinto che lo fece piombare in una profonda crisi nel 1956, quell’istinto che gli permise di risorgere, facendo nutrire grandi speranze nel 1957 e che provocò talune incertezze nel 1958, peraltro sgominate da frequenti dimostrazioni di pura classe nelle prove dei 400 metri. Quell’istinto che lo portò lontano, a Palermo, per sfuggire alla classificazione standardizzata di atleta che poteva equivalere al suo spegnimento, e a ricercare quella lontananza geografica che significava libertà di azione e libero e generoso sfogo del sopraddetto istinto di cui Gianni aveva incontrovertibilmente bisogno. Gli sarebbe bastato seguire la sua azione di corsa per confermarsi quel campione, quello splendido veltro, dai polmoni capaci e dai garretti saldissimi. Purtroppo le cose non sono andate per il verso giusto, facendo mancare prematuramente a Velletri e all’Italia uno dei suoi figli migliori.

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Talvolta i giudizi su di lui sono stati troppo severi. Giudizi che non hanno mai approfondito 1e cause di certe sue inattese battute a vuoto. Sempre protesi alla ricerca della perfezione, non si è considerato nella dovuta maniera che un corridore matura per gradi e che è impossibile pretendere continuamente il massimo. Gianni Scavo mancava di esperienza e basta: era candido in corsa come nella vita. Ingenuo e generoso. Uno che non conosceva 1’opportunismo, e anche per questo era amato da tutti. Da considerare altresì come la piena maturità atletica si completi intorno ai 24-26 anni, come dimostrano le migliori prestazioni di Luigi Beccali (a 26 anni), Mario Lanzi (25), Rudolf Harbig (26), Herbert McKenley (25), Roger Moens (25), Tom Courtney (24), nonché quelle di che, sempre a 26 anni, nel 1949, corse i 400 metri in 47”2 come Scavo. Ed erano i migliori.

Un episodio, che vale la pena di ricordare, fu i1 tentativo di Francesco (Franco) Bettella, barba di profeta e ministro senza legge, già allenatore di Gianni e suo mentore, di portare, nel 1960, la fiaccola olimpica di passaggio a Velletri sulla tomba del nostro campione. Pur di riuscire nel suo tentativo, che avvertiva come un atto dovuto, un ultimo tributo alla grandezza atletica di Scavo, Bettella non rinunciò al gesto eclatante, di tentare, seppur vanamente, di strappare la fiaccola olimpica dalle mani del tedoforo. Proprio Bettella fu la causa, seppur indiretta, di quell’alternanza di risultati della stagione 1958. Gianni lo aveva seguito a Palermo e sotto 1a sua guida aveva cambiato metodiche di allenamento.

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In una lettera scritta il 3 marzo 1958 al suo amico Baraldi, Gianni racconta che «...Per quanto riguarda gli allenamenti e la preparazione, mi sono avviato decisamente verso la velocità pura (100-200-400) con puntate sugli 800 e sui 1000 (ma solo a fine stagione); mi sto preparando anche per i 400 hs che comincerò a frequentare dopo gli europei. Debbo dire che tale preparazione mi soddisfa più del mezzofondo vero e proprio, forse perché è meno lunga e noiosa. Un giornalista calabrese, sul Corriere dello Sport, invece mi fa futuro recordman del 1500, del 3000 siepi e dei 5000 e tuo terribile concorrente!... » E di Bettella, Gianni Scavo aveva assoluta fiducia. In quei mesi di intensa e accuratissima preparazione, Gianni Scavo parlava continuamente con il suo allenatore e ne ascoltava le parole quasi con attenzione religiosa. Naturale quindi il profondo dolore in cui Bettella cade davanti al ‘suo’ atleta, composto nella morte in casa di Vittorio Orlando, 1’allora presidente delle Assicurazioni Generali. Bettella pare assente, come rapito. Certo nella sua mente turbinano i più cari ricordi. Poi scappa, si rifugia nella sua solitudine e scrive il suo ultimo saluto. “Ecco vedi Gianni ora non piango più. Sono calmo come tante volte mi hai chiesto di essere. Solo vedi, è un po’ difficile, questo lo capisci, abituarmi all’idea che non ti sarò più vicino, che non ti vedro più solcare con quel tuo inconfondibile passo la terra rossa. A proposito, ti ricordi che avevamo giurato con una mono su di lei che saremmo partiti per la più bella toumèe che la fantasia possa permettere? Finlandia, Svezia, Stati Uniti, Australia. Non importa vero? È solo rimandata. Un giorno o l’altro sentirai come un tuono e il vecchiaccio maledetto arriverà con lui, naturalmente con i cronometri e il fischietto. Allora insieme partiremo. Non si può mancare ai giuramenti, figurati poi quelli fatti sulla terra rossa.

Te l’ho detto non piango più. So che se lo faccio ti arrabbi. So che sei finalmente davvero felice perché sei arrivato nel più bel campo che i tuoi occhi abbiano mai visto; so che ti allenerai sempre tutti i giorni, come al solito, assieme a Jean Bouin, Jules Ladoumegue, Ilmari Salminen, Rudolf Harbig, Toivo Loukola e tutti i più forti mezzofondisti del passato che ti guarderanno passare con grande ammirazione, la stessa con la quale io, vecchia scarpa, ti ho sempre guardato”.

“Conoscevo Giovanni Scavo - dirà invece, ricordando 1a sua figura, il prof. Gian Luigi Ulisse, suo insegnante di educazione fisica quando questi era studente dell’ultimo anno di ragioneria - per la sua fama che già sui campi dell’atletica egli si era procurato. Lo conobbi personalmente il primo giorno di scuola, quando il Preside dell’Istituto, nel quale insegnavo, mi presentò la scolaresca. < Quello è Marcelli Umberto. E quello - mi precisava - è Scavo Giovanni>. Poi, guardandami con l’aria trionfante d’un bersagliere in corsa, quale egli era, aggiungeva subito: . Presi l’abitudine di chiamarlo per nome quando dovetti distinguerlo da altri due piccoli Scavo che di Giovanni erano i fratelli. Giovanni era l’allievo dell’ultimo corso. Gli altri erano più piccoli di statura, naturalmente. Giovanni, soprattutto per i compagni, che della sua amicizia andavano fieri, era ‘quello grosso’.

Era un gigante di statura. Era un bambino nei moti dell’animo. Semplice come un ragazzo cresciuto in una famiglia di costumi rigidi. Le famiglie che usavano una volta. Iniziava la lezione di ginnastica con me. Insieme agli altri, senza il desiderio di strafare negli esercizi, per dimostrare che lui era Scavo, e gli altri no. Partecipava a quel quarto d’ora di riscaldamento che io ritenevo indispensabile per svolgere una

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buona lezione sportiva. Poi mi veniva vicino e con un cenno e un sorriso mi salutava. Eravamo già d’accordo. Gli altri continuavano con me. Giovanni prendeva, invece, la via dei campi, che quasi finivano dove cominciava la scuola. E se ne andava. Dove andava? Non lo so, perché non l’ho mai seguito, fiducioso com’ero della sua inconfondibile inevitabile volontà di correre. Era il solitario maratoneta delle campagne di Velletri. Viottoli, sentieri, prati, boschi, giardini erano i testimoni delle sue esuberanti silenziose galoppate. Qualche mattina di sole, io, che venivo da Roma, arrivavo a scuola in anticipo sulla prima campanella. Erano i giorni in cui potevo giurare d’incontrarmi con Giovanni Scavo, reduce dal primo allenamento della giornata. Copriva un chilometro di corsa con la disinvoltura e il piacere con cui altri ragazzi fumavano una sigaretta. I chilometri di campagna erano per lui come ciliege. Uno tirava l’altro.

Era l’unico allievo, di un Istituto grande e severo, ad aver ricevuto dal Preside un permesso singolare. Poteva uscire a suo piacimento, pur con la dovuta discrezione che non gli mancava, dal banco che lo sacrificava troppo. Poteva uscire a liberarsi un attimo d’un costringimento fisico più forte di lui. E non era l’ultimo della classe. Ma non poteva starsene fermo troppo. Aveva la corsa nelle gambe! E le gambe volevano muoversi. Il primo giorno di lezione gli chiesi se aveva la tuta con lui. Era modesto, ma non era presuntuoso, quant’altri ne conosco. Mi risposero gli amici, quella volta, e tutti in coro. Nessuno poteva seguirlo nelle sue corse matte verso le campagne a primavera. Sembrava un anacoreta. Era un ragazzo primitivo d’animo. Intendo dire che albergava in lui sotto una scorza dura la grazia e la gentilezza di pensieri di un bambino. E come un bambino era tenace e invincibile nelle sue idee caparbie, nei suoi ideali ostinati e

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vertiginosi, degni di un atleta di cuore grandissimo. La mamma gli era vicina particolarmente in questa sua innata voglia di fare sport. La mamma lo conosceva bene e sapeva il bisogno atletico di evasione di Giovanni. Fra gli insegnanti che la donna interpellava, quasi ogni giorno, io ero il primo. Non per meriti personali. Solo perché lo sport era il problema da risolvere per una felice impostazione della vita di Gianni Scavo. La corsa, soprattutto, era il termometro regolatore della sua smisurata esuberanza fisica. Sembrava inventata per il plastico moto delle sue gambe. E le sue gambe erano il blasone d’una autentica nobiltà atletica. Lo rividi l’ultima volta poche settimane prima della sua morte. Mi raccontò della sua vita a Palermo. Era una vita diversa, perché egli da studente s’era trasformato in impiegato. Ma le corse fuori erano ancora la sua sfrenata evasione fisica e spirituale. Come a Velletri. E come a Velletri nessuno poteva seguirlo, quando fuori dello stadio prendeva la via dei campi e, da un calloquio semplice con la natura, entrava nel mondo dei suoi sogni più grandi.”

E se Gianni Scavo era il campione acclamato, una folta schiera di suoi coetanei viveva soddisfatta delle sue gesta, una generazione a cui bastava solamente correre vicino al ‘campione’ quando questi tornava nella sua Velletri. Per Andrea Andreozzi, compagno del felice periodo di campestri scolastiche, Gianni “aveva l’anima candida di fanciullone timido, le risorse di un fisico eccezionale, tenacia e volonta fuori del comune. Doti che avevano ben presto rivelato la sua classe di campione. Gianni rimarrà sempre e comunque il fulgido esempio di atleta generoso che ha data tutto se stesso; rimarrà nel cuore

di tutti un ragazzo che degnamente onorò la scuola del Cesare Battisti. Lo rivedremo sempre seduto in quegli stessi banchi, con il medesimo sorriso sulle labbra nell’atteggiamento di chi si sente forte e ha fiducia nelle proprie possibilità. Sentiremo sempre la sua voce rievocare le fatiche sportive, rivedremo il suo sguardo limpido e sereno.”

Con la sua morte, Gianni lascia effettivamente un grande vuoto, alla ricerca forse di traguardi più alti; un vuoto che Velletri, passata la grande Olimpiade sembra aver dimenticato quando Pierluigi Starace, Manlio Zaccari, don Eugenio Gabrielli e Alberto Colazingari raccolgono il messaggio lasciato dal loro eroe eponimo, il quale sopravvive nel ricordo avendo, nella sua pur breve vita, bevuto alla fonte di Mnemosine. Pierluigi è il capo riconosciuto ed è certamente colui che più fortemente vuole ricordare ai posteri la figura del grande campione, sinceramente colpito dal tragico evento. Cosi lo ricorderà qualche anno più tardi frugando nella memoria le emozioni di quel momento. “Addio... E da questa mattina che ho saputo la notizia. Lenta ma tenace sta prendendo piede nel mio cuore. Ogni volta che mi ripeto quelle parole, che accosto quel nome a quel participio passato, esse aumentano di dimensione: quelle lettere nere come i caratteri del titolo del giornale ogni volta diventano più grandi della mia anima, rimbombano come due campane sempre più assordanti, e lasciano in me ad ogni rintocco risonanze sempre più lunghe, grigie, disperate. Forse adesso, a distanza di ore, il rintocco della notizia atroce è svanito dal cuore della gente. Forse ora tutti ritornano ai loro affari, dopo aver allontanato il tuo ricordo da se stessi; forse ora parlano di scuola, di divertimento, di lavoro, di impegni, di preoccupazioni; forse tu sei rimasto abbandonato

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dalle anime di tutti, come il tuo corpo sul lettino di ospedale o nella camera ardente, chissà, dalle ultime persone che ti hanno visitato. Ma è adesso, Gianni, che sento montare in me più irresistibile una marea di tristezza senza fine. È adesso che ondate di struggente amarezza montano verso la mia gola, stringendola in duri spasimi. È adesso che i miei occhi inseguono pallide immagini di angoscia smarrita. Pagine di giornale sfogliate prima da mani febbrili di emozioni e poi sbattute giù da mani pesanti di dolore, l’eco di un anonimo comunicato radio, gli ammassi di ferraglia di una motocicletta e di una macchina, lo sguardo del commissario di polizia che stende le ultime righe di verbale, le copie del manifesto funebre di questa o quell’altra società sportiva, i volti straziati dei tuoi cari, e te, soprattutto. Il tuo sangue immobile e freddo, le tue membra gelide e spezzate per sempre. A questo spettacolo sento che nulla più mi importa di quello che ho intorno. Ho desiderio di restare solo, di accendere in solitudine la lampada del mio affetto antico, della mia ammirazione memore, per illuminare e riscaldare la tua oscura e fredda solitudine. Ma nessuna mia forza, lo so, potrà rinnovare un palpito o un fremito del tuo massiccio, irrevocabile letargo. E questo pensiero mi rende triste fino ad un muto, tragico annullamento di me. Mi sento sprofondare nel nulla, mi sembra di assaporare il terribile vuoto della morte e del non essere così paurosamente che, di colpo, riaffioro alla realtà. Mi guardo attorno. Fuori dalla finestra il cielo, il bel cielo della tua gloria giovane e sbocciante, è oscurato da nuvole fitte. Di momento in momento l’aria diviene più cupa. Le nuvole sono sempre più nere. Il cielo e la natura sembrano cadere in un dolore irreparabile. E non è forse un abbandonarsi all’impeto di un dolore questo incupirsi progressivo del cielo, non è un lacrimare sotto il peso di una angoscia che inchioda immoti gli alberi e le case

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sotto le nubi di piombo questo cadere di gocce sperdute, non è un pianto irrefrenabile e immenso questo aprirsi di cateratte sulla terra immalinconita, non è un singhiozzo possente ed un singulto incalzante questo crescendo di tuoni dal rombo che trema e che s’incrina come una voce poderosa aggredita dal turbamento di un’emozione troppo profonda? Giovanni, con te muore un mondo, un intero mondo. È la mia e la nostra adolescenza malata dell’amore penetrante per la gloria che muore con te. Con i colpi di martello sulla tua cassa funebre si sigilleranno nel mio e nel nostro cuore le finestre spalancate su orizzonti infuocati di gloria e di sacrificio, dove lanciavamo i più bei sogni della nostra vita. Dopo che la tua bara sarà stata sigillata, dopo che quella finestra sarà stata ben chiusa in noi, cominceremo la piccola esistenza banale e mediocre, la piccola avventura di piccolissimi uomini che non hanno più il tempo di lanciare i loro sogni verso la gloria, piccoli uomini che avranno, nel mancare della tua presenza materiata di eroismo, perduto il più trascinante esempio di grandezza e d’ideale.

Ma se fosse proprio così allora non potrei non seguirti nella fredda tomba. Non è, non può essere assolutamente così. Io credo che il tuo spirito indomito, più libero e gagliardo, dall’alto continuerà a donarci il suo fervore. Io credo che il tuo ricordo non potrà essere bandito dalle nostre anime. Io credo che la tua immagine, nello sguardo in cui si vedeva divampare il fuoco assorto di una volontà senza eguali, nel sorriso che racchiudeva la solare felicità di mille stadi entusiasti, nel petto palpitante come una bandiera ai battiti di un immenso cuore, nei garretti in cui guizza il brivido di una forza invincibile ed armoniosa, non potrà cancellarsi dai nostri cuori mesti finché in essi sarà rimasta una sole fibra capace di fremere per ciò che è bello, che è grande, che è puro.

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Giovanni, tu hai serbato nel tuo cuore il tuo formidabile mistero, e lo hai portato nella tomba per sempre. La domanda curiosa del ragazzino, interessata del tifoso, apprensiva della mamma, annoiata del profano, ponderata e meditata del professore, ammirata e forse appassionata della fanciulla romantica è rimasta per tutti senza una risposta. Io, il più trascurabile dei tuoi ammiratori, ho speso lunghi mesi ed anni per tentare di trovarla. Ho interrogato le piste, le scalinate chiassose e quelle mute, il fremito delle foglie, gli abbrivi del vento, lo schiudersi delle praterie, il serpeggiare svelto di rossi sentieri per la campagna, il veleggiare delle nubi, il drizzarsi teso dei pendii, ho scrutato e meditato ogni tuo atto e passo. Ed ho capito qualcosa, ho sentito il flusso invisibile di armonia che dalla natura si effonde verso di noi per invitarci a dispiegare, nel moto spontaneo, tutta la nostra forza... Ma sono rimasto alla superficie del mistero. Quale mistero ti spingeva così veloce, così lontano, così incommensurabilmente superiore a tutti? Quale linfa misteriosa invigoriva le tue membra leggere? Quale misterioso fermento esaltava la tua volontà allorché, distendendoti in un irresistibile, spasmodico volo, non conoscevi risparmio o pietà per te stesso fino a che non avevi ghermito, nel sudore di una volontaria agonia, le ali azzurre della vittoria? Questo mistero che nessuno al mondo, neppure i tuoi più intimi forse, hanno capito fino in fondo, è il mistero della tua fedeltà al sacrificio, alla durezza, alla rinuncia, il mistero della tua scontrosa solitudine, il mistero delle tue estreme, paurosamente chiuse concentrazioni prima della gara, tu lo hai portato nella bara. Esso circonda e permea, come un’aureola mistica, il progresso prodigioso della tua carriera atletica, sbocciata sempre più riccamente, di anno in anno, di mese in mese, senza indugi o fermate, e che è il più bel fiore che sorge sulla tua tomba.

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E di questo tuo mistero, del tuo saper volere e saper soffrire più di tutti, sono rimasti dei muti, solitari custodi: gli stadi. Gli stadi della tua gloria. Il campo sportivo comunale di Velletri, buon vecchio stadio di provincia che contemplò stupito le tue prime, precoci galoppate; lo stadio delle Terme di Roma, dove il tuo nome scandito dal pubblico che ti fu più appassionato passava con rumore di tuono come un vento impetuoso tra le alte chiome dei pini e suscitava nascosti fremiti nelle circostanti moli rossigne ed impassibili di Caracalla; lo stadio Olimpico, che nello scintillante abbraccio dei suoi marmi candidi ti sorrideva come al suo atleta prediletto; la vecchia Arena milanese, la cui secolare maestà ti vide per la prima volta Campione d’Italia; gli stadi di Napoli, di Torino, di Firenze, di Bologna, fortunati testimoni del tuo saltare di vittoria in vittoria; e poi i campi silenziosi e sereni di allenamento, in cui preparavi nella pace e nel nascondimento le gemme delle tue imprese future; i campi di Merano, di Schio, di Formia, di Chiavari, di cui eri l’ospite ambito ed assiduo; gli stadi stranieri che dalle serenità alpine di Chambery, attraverso le fragorose maestosità di Parigi, le solenni solitudini finniche, le ignote ed immense vastità di Berlino, di Varsavia, di Mosca, fino alle brume di Stoccolma ed all’olimpica bellezza di Atene, ti videro, nel fremito azzurro del tuo petto vittorioso, come una fiaccola di italianissima bellezza e purezza atletica; e, alla fine di tutti, lo stadio del tuo tramonto innanzi sera, la olezzante ed assolata Favorita di Palermo, dove incidesti, nel cuori ardenti dei tuoi siciliani, una traccia profonda di te, una traccia che non può perire.

Non tutto muore, non tutto passa, nell’uomo. Anche di Giovanni Scavo qualcosa è rimasto, È rimasta la parte più preziosa, quella che è la più vera, quella che era la sua intima vita, l’anima. L’anima è quella che non muore. Siamo illuminati da questa speranza. Il dolore per la sua morte

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mantiene aperte le ferite dei nostri cuori: il rammemorare di lui riempie ancora le nostre menti: ogni parte di noi geme nel suo rimpianto. Ma questa speranza ci illumina e ci guida. Essa è come il sole del nuovo giorno che sorge sulle nostre pupille stanche, dove sono inaridite le sorgenti delle lacrime; è il sole che oggi ascende sulla nostra vita emergendo dai nembi di una aurora che oggi sembra imporporata del suo sangue luminoso.”

Le vacanze di natale del 1958 furono 1’ultima occasione di permanenza di Gianni Scavo a Velletri. Fu allora che Manlio Zaccari lo vide allenarsi per 1’ultima volta nei pressi di Genzano, dove 1’Appia si incrocia con un lungo viale di pini marittimi che porta in direzione del lago di Nemi. Qualche settimana dopo 1a sua scomparsa, esattamente il 26 maggio del 1959, da quel ricordo nacquero alcuni versi di Pier Luigi Starace, scritti con 1’inchiostro rosso del suo sangue.

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VOLATA

Benigno invemo. Cristallino cielo. Qualche nuvola nell’immensità vagola a un fiato freddo d’aria tenue. Stanco ma chiaro il gran sole laziale tace tra i pini mareggianti e vasti. Vola alto, radendo l’erbe morte, netto il tuo passo da lunga distanza.

Passano siepi, passeri, le ore, e corri ancora, all’ombra del crepuscolo. Ed incominci una gran volata, senza perché, mentre più densa e dura scendendo dalle immobili montagne ti ferisce la brezza della notte. E vai, e vai, fin che non vedi il lago specchio di Diana, solo nel tramonto. L’algente ultimo raggio del solstizio dona alle onde un brivido d’acciaio e una sognante porpora dorata ancora dura ai rami delle selve, pronte alle lotte estreme col rovaio.

Sull’onda immota e sulle foglie mute guarda, il raggio si spegne lentamente come un sospiro del cuore profondo. Rimane la gran cavea, umida e nera, deserta come stadio abbandonato alla tua corsa senza premio o plauso: ti seguono nelle ultime falcate ritornati nei loro luoghi antichi con le pallide fronti arse di gloria Pallante, Turno, Eurialo, Niso a Lauso.

Nel nome di Scavo

Giovanni Scavo è così legato il ricordo gioioso di tante gesta sui prati e piste laziali. La sua generosa natura lo A portò lontano, non senza che 1’atletica veliterna abbia tratto dal suo talento la speranza di sfondare 1a barriera della mediocrità, alla quale talvolta molte circostanze ambientali parrebbero condannarla. È in questo spirito che i fondatori della società coagularono intorno a loro, nell’ottobre del 1960, in seno al locale comitato diocesano CSI, un nucleo di ragazzotti di belle speranze e li iniziarono ai misteri dello sport olimpico per eccellenza. Si iniziò per gioco, con grande spirito di amicizia, con intendimenti educativi, ma anche con goliardica spensieratezza. Il Pierluigi che sale alla montagna a cercarsi il suo ‘vice’ Fausto Ercolani da colle Caldara, scelto da lui in virtù di una presunta capacità organizzativa del soggetto ma, in realtà, come lo stesso Fausto confiderà qualche anno più tardi, scelto in virtù della disponibilità di avere già in quegli anni 1’entrata di uno stipendio fisso da cui poter attingere per 1e necessità più impellenti; il ‘vecchio’ Manlio, atleta che ha conosciuto mille battaglie che si accinge a dare, con il suo esempio, la spinta entusiastica necessaria al decollo; il grintoso Alberto che porta con sé gli atleti della terra di Giuliano; don Eugenio il consigliere spirituale e, spesso, il finanziatore. La u.s. CSI ‘Giovanni Scavo’ muove i primi passi, inizia 1a sua avventura nel mondo sportivo.

Il clima fraterno e spensierato, goliardico ed educativo di quel periodo trasuda in maniera palpabile nei ricordi di Manlio Zaccari da lui stesso considerati come appunti di vita. <è l’inizio dell’anno 1960. Fa freddo e come spesso accade in questo periodo, piove. Alle quattordici io e Alberto abbiamo il solito appuntamento per gli allenamenti con i nostri ragazzi; il ritrovo è fissato come al solito a Camposanto Vecchio. Se qualcuno volesse provare ad immaginarci in ‘mutande e canottiera’ ovviamente stile anni ‘60, dovrà prima fare mente locale all’ambiente del posto di quegli anni. Un susseguirsi di campi incolti interrotti soltanto da una serie di case popolari appena costruite, all’altezza della caserma dei vigili del fuoco e di fronte ad esse tre basse costruzioni tuttora esistenti. Ci spogliamo sotto lo sguardo vigile di Pierluigi il cui compito oltre che di cronometrista è quello di stare attento ai nostri ‘panni’. Si parte per l’allenamento e subito si scendono le scale. L’obiettivo è come sempre quello di stabilire il nuovo record sul giro della ‘cacattera’. Si corre con 1’incoscienza della gioventù e come sempre arriviamo al traguardo stremati dalla fatica. Comunque al tempo non si pensa più poiché all’altezza dove sono ora i vigili del fuoco c’è la famiglia Pulicati che ha preparato il the. Passa gualche anno, qualche ragazzo ha abbandonato, molti altri si sono avvicinati alla società che aumenta di spessore giorno dopo giorno. Non insegnavamo i segreti della corsa in quanto anche noi ne eravamo all’oscuro! Ma le parole amicizia, lealtà e rispetto non erano concetti astratti. Era il nostro modo di vivere e quando ancora oggi incontro qualcuno che a stento riesco a rintracciare nella mia memoria e si rivolge a me appellandomi ‘il Grande Manlio’, il cuore ha un sussulto, mi riempie di gioia poiché ho la certezza più assoluta che qualcosa di noi è rimasto con loro. Come testimoniato dal guardarobiere Pierluigi, a quel tempo non avevamo né sede né spogliatoio. Mi rivolgo così a

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mio cugino Armando Bonifazi, pugile professionista in forza alla Vjs Pugilato, per avere accesso alla palestra di San Giovanni Vecchio. È stato un primo piccolo ma significativo passo in avanti il poter usufruire di un locale dove poter lasciare i nostri abiti e rivestirci senza il pericolo di ‘beccarci’ un malanno. Dalla palestra si partiva così per i prati e le campagne di Velletri ed al ritorno stanchi nel fisico ma non nello spirito infilavamo i guantoni incrociando i colpi sul ring. Non eravamo certo atleti specialisti, facevamo tutto e di tutto, specialmente in occasione dei campionati di società su pista, dove coprivamo gare che andavano dai 110 ostacoli al triplo. Ma la nostra prerogativa erano le campestri dato il naturale scenario dei nostri allenamenti e durante la stagione estiva quella di andare a ‘correre per i paesi’ dove io, Alberto, Gian Paolo Brencio e Quinto Sellaroli non tenendo conto del nostro ordine di arrivo, dividevamo i premi vinti in parti uguali poiché ci sentivamo e ancora oggi la sento una famiglia. Ricordo che in contrada Morice era stata organizzata una gara per non tesserati con in palio ricchi premi in natura. Avverto Gian Paolo e ci presentiamo alla partenza. Per l’occasione indossai una canottiera di lana, piena di buchi per non farmi riconoscere, ma nonostante ciò l’organizzatore non appena mi vede mi dice che non potevo partecipare in quanta ‘patentato’ che nel suo gergo stava ad indicare che ero tesserato. Professo, spudoratamente, la mia innocenza con il pensiero fisso ai premi in palio, e mi ritrovo con gli altri sulla linea di partenza. Si parte con Gian Paolo che voleva andare in testa a fare l’andatura. Lo fermo dicendogli di aspettare per non far capire che eravamo atleti allenati e di dare anzi un po’ di vantaggio agli altri concorrenti. Però aspettammo troppo e quando decidemmo di prendere l’iniziativa era troppo tardi. Arrivammo al traguardo tra gli ultimi e fuggimmo subito cercando di non farci notare tanta era la vergogna, mentre gli atleti del posto festeggiavano orgogliosi.

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Le trasferte di quegli anni erano un evento. Una volta andammo a correre ad Alatri e per quei tempi era come andare a correre all’estero. Ci vollero sei ore di autobus (di linea) e siccome era stracolmo il mio posto l’alternavo con una cantante lirica che finì per sedersi sulle mie ginocchia. All’arrivo della gara non sentii più le gambe e mi presi anche il rimprovero di Ercole Tudoni (compianto e valido allenatore dell’ACLI ATAC) per la mia scialba prestazione. Nonostante non avessimo a disposizione alcun impianto, riuscimmo ad organizzare presso il campo sportivo, un triangolare con la Libertas Latina e la Fiamma Latina con in programma, ovviamente, solo le gare che potevano essere svolte su un campo di calcio come la velocità, qualche lancio e qualche salto. Il giorno prima della manifestazione Alberto, Pierluigi, Giampaolo ed il sottoscritto, costruiamo dal nulla la buca per il salto in lungo. La stanchezza è immensa ma è proporzionale alla gioia di essere riusciti a portare l’atletica nel ‘tempio’ del calcio. L’indomani, domenica, c’è un folto pubblico in attesa. Arrivano gli atleti ospiti; bellicosi e sicuri di sé, nelle loro divise. Noi eravamo quattro gatti con in dosso i soliti indumenti consunti tanto da suscitare tenerezza. Quando però alla fine della giornata il risultato ci diede ragione, gli ospiti ci guardarono come dei fenomeni. Il giorno dopo come risultato di questa immensa fatica mi venne una forte tallonite con 38 di febbre. Venne il vecchio dottor Argenti che dopo avermi visitato prese le forbici di casa a mi asportò il pus... In questi miei ricordi volutamente non avrei voluto parlare di Gianni Scavo, poiché lui ancora vive in me, un caro amico che incontro tutti i giorni. L’alta ammirazione e quella profonda e sentita amicizia che ci legava, mi aveva indotto, in un primo momento a respingere questa dolorosa rimembranza. Gianni mi venne presentato da un amico comune, nel 1952, poco prima la partenza per una corsa di allenamento.

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Era un giovane semplice nell’aspetto, possente nella natura. Dopo le presentazioni di circostanza, ci avviammo verso Acqua Lucia: afosa, scottante giornata di luglio. Di tanto in tanto mi voltavo a guardarlo incedere con quella sua falcata caratteristica. Pensavo tra me che non avrebbe tenuto quel ritmo e lo guardavo con interesse aspettando che, da un momento all’altro, mi chiedesse di diminuire il ‘passo’. Invece, freschissima, terminò quella sua prima faccia di allenamento. Lo presentai ad Aldo Mammucari, il quale lo tessera immediatamente tra le fila della società ACLI Velletri. Vennero poi i primi trionfi. Lo sport veliterno, lo stendardo del ‘Cesare Battisti’ salirono e sventolarono sui più alti pennoni dello stadio Olimpico. Ma, non mi sono più cari i ricordi dei suoi trionfi. È il suo spirito di abnegazione, la sua passione per lo sport e il cordoglio della perdita di un amico, quello che mi rimane. Quando di ritorno da Palermo, venne a passare le feste in famiglia, mi raccontò dei suoi allenamenti, delle sue ansie, delle sue aspirazioni future; è ancora viva la meraviglia che provai nell’apprendere che dormiva in una stanzetta all’interno dello stadio di Palermo. Mi ha insegnato e mi ha infuso quel coraggio che rende l’uomo campione.” Benché siano passati molti anni, il nome di Giovanni Scavo continua così a calcare le piste e gli stadi d’Italia. Da quel lontano 1960 una cosa è comunque rimasta immutata negli anni: i1 desiderio di andare avanti, di tenere fede ad ogni costo ad una promessa ideale, di continuare a portare ai giovani, nel nome di Gianni Scavo, il messaggio di un impegno sportivo che è e rimane soprattutto un impegno di vita, un modo di essere giovani. Rimarrà scolpito un ricordo che neppure 1’opera inesorabile del tempo potrà cancellare.

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La carriera di Giovanni Scavo in cifre

SOCIETÀ DI APPARTENENZA

1954 ACLI Velletri 1955 CUS Roma 1957 A.S. Roma 1958 Assicurazioni Generali Palermo

I TITOLI ITALIANI

1955 Campione Italiano metri 800 1957 Campione Italiano metri 800, staffetta 4x400 1958 Campione Italiano staffetta 4x400

I PRIMATI NAZIONALI

1955 primatista italiano juniores m.800 1’52”5 1955 primatista italiano juniores m.1500 3’57”4 1958 primatista italiano staffetta 4x400 di società 3’17”0

LE MAGLIE AZZURRE

31/7/55 Chambery (F) Francia-Italia juniores m.800 1’55”3 (1) 28/7/57Bruxelles (B) esagonale. Germania-Francia-Belgio- Italia- Svizzera-Olanda m. 800 1’50”8 (4) 29/9/57 Trieste Italia-Svezia m. 800 1’50”7 (2), 4x400 3’14”0 (2) 26/7/58 Torino Italia-Svizzera m. 800 2’03” 2 (4), 4x400 3’11”1 (2) 22/8 /58 Helsinki Campionati Europei staffetta 4x400 3’11”1 (4) 5/10/58 Lione (F) Francia-Italia m.400 48”6 (1), 4x400 3’16”8 (1)

I SUOI PRIMATI

100 11”1(1958) 200 22”8 (1958) 400 47” 2 (1958) 800 1’49”2 (1957) 1000 2’25”2 (1958) 1500 3’54”2 (1957) 2000 5’23”7 (1957) 400 hs 54”0 (1958) 3000 st 9’53”9 (1958) decathlon 4995 p. (1958)

LA SUA PROGRESSIONE 400 800 1500 1954 1955 4’04”6 1956 50” 2 1’52”5 3’57”4 1957 51”7 I’55”1 3’59”8 1958 48”2 1’49”2 3’54” 2 47”2 1’49”8 3’56” 3 22 LE SUE GARE

1954

24/4 1000 2’43”6 (1) Roma Farnesina campionati studenteschi 28/4 1000 2’39”1 (1) Roma Farnesina campionati studenteschi 5/5 1000 2’37”7 (1) Roma Olimpico campionati studenteschi 22/8 1500 4’08”0 (1) Merano raduno studenti-atleti 19/9 1500 4’06”5 (4) Napoli campionati italiano II serie 26/9 1500 4’05”8 (1) Roma 2/10 1500 4’04”8(b) (1) 3/10 1500 4’06”8(f) (5) Firenze campionati italiani assoluti 17/10 1500 4’04”6 (1) Roma Terme Gran Premio delle Regioni 24/10 1000 2’34” 2 (1) Roma Criterium Studentesco

22 I risultati qui di seguito riportati, sono la storia atletica, purtroppo incompleta, dell’attività in pista di Gianni Scavo.

100

1955

28/5 1500 4’09” 2 (1) Roma Farnesina 4/6 8001 1’56”6 (1) Roma campionati provinciali di società 5/6 1500 4’05”4 (1) Roma campionati provinciali di società 18/6 800 1’55”5 (3) Bologna campionati italiani di società 19/6 1500 3’58”b (1) Bologna campionati italiani di società 29/6 1500 rit. Brescia selezione Italia-Grecia 6/7 800 1’55”0 (1) Schio 31/7 800 1’55” 3 (1) Chambery (F) Italia-Francia juniores 17/8 800 1’54”5 (1) Heinola (SF) 21/8 800 1’54”5 (3) Saarjarvi. (SF) 28/8 1500 3’58”8 (1) Ruokolahti (SF) 2/9 1000 2’28”9 (5) Helsinki 8/9 800 1’52”523 (2) Bologna notturna internazionale 17/9 800 1’55”9 (1) Bari campionati italiani di società di II serie 18/9 1500 4’03”4 (1) Bari campionati italiani di società di II serie 25/9 400 50” 2 (1) Roma 30/9 800 1’53”0 (1) Milano campionati italiani individuali 2/10 1500 3’57”4 (2) Milano campionati italiani individuali 15/10 800 1’52”6 (3) Friburgo (D) Italia-Germania 4/11 800 1’54”1 (3) Roma meeting internazionale

1956

2/4 400 51”7 (1) Schio 15/4 800 1’55”9 (1) Roma 21/7 1500 3’59”8 (1) Roma 25/8 800 1’55”1 (1) Roma

23 Di passaggio alle 880 yards (1’53”2).

1957

7/4 800 1’54”1 (1) Schio 8/4 2000 5’23”7 (1) Schio 25/4 1500 3’54” 2 (1) Piacenza 27/4 800 1’53”8 (1) Roma CdS fase provinciale 18/5 800 1’53”2 (1) Roma CdS fase regionale 19/5 1500 3’56”2 (1) Roma CdS fase regionale

19/5 4x100 42”8 (2) Roma CdS fase regionale 15/6 800 1’52”1 (1) Milano campionati italiani di società 15/6 4x400 3’21”5 (3) Milano campionati italiani di società 21/6 800 1’49”2 (3) Parigi meeting internazionale 6/7 800 1’50”6 (2) Milano meeting internazionale 7/7 400 48”5 (2) Torino meeting internazionale 28/7 800 1’50”8 (4) Bruxelles esagonale Germania-Francia- Belgio-Svizzera-Olanda-Italia 3/8 800 1’53”1 Mosca meeting internazionale 1/9 400 48”9 (1) Bolzano’Trofeo Rossi’ 7/9 400 48”6b(1) 48”3f(3) Milano 14/9 800 1’51”1 (1) Bologna campionati italiani individuali 14/9 4x100 43”0b 43”4f(4) Bologna campionati italiani individuali 15/9 4x400 3’18”9 (1) Bologna campionati italiani individuali 29/9 800 1’50”6 (2) Trieste Italia-Svezia 14/ 10 800 1’49”3 (2) Roma meeting intemazionale 19/10 400 48”2 (1) Napoli meeting internazionale

102

1958

27/4 400 49”8 (1) Roma C.d.S.fase provinciale 4/5 400 47”9 (1) Pisa campionati CUSI 14/5 800 1’52”0 (1) Palermo C.d.S. fase regionale 15/5 400 48”4 (1) Palermo C.d.S. fase regionale 19/5 800 1’52”9 (1) Atene meeting internazionale 31/5 200 22”8 Palermo recupero C.d.S. fase regionale 5/6 800 1’50”8 (1) Napoli 5/6 4x400 3’21”2 (1) Napoli 8/6 1500 3’56”3 14/6 800 1’53”0 (1) Palermo C.d.S. fase interregionale 15/6 400 48”4 (1) Palermo C.d.S. fase interregionale 15/6 4x100 43”0 (2) Palermo C.d.S. fase interregionale 26/6 1000 2’25”2 (1) 28/6 800 1’49”8 (2) Firenze campionati italiani di società 29/6 400 47”5 (1) Firenze campionati italiani di società 5/7 800 rit. Milano meeting internazionale 27/7 800 2’03”2 (4) Torino Italia-Svizzera 4x400 3’11”1 (2) Torino Italia-Svizzera 22/8 4x400 3’11”1 (4) Stoccolma campionati europei 12/9 800 1’54”5 (5) Roma campionati italiani individuali 13/9 4x400 3’17”0 (1) Roma campionati italiani individuali 14/9 4x100 42”6 (3) Roma campionati italiani individuali 20-21/9 decathlon 4.995 p. Palermo campionati regionali 5/10 400 48”6 (1) Lione Italia -Francia 5/10 4x4 00 3’16”8 (1) Lione Italia-Francia 12/10 400 47”6b(1) 47” 2f (3) Roma meeting internazionale 18/10 100 11”1 Roma Terme 18/10 400hs 54”0 Roma Terme 29/10 3000st 9’53”9

1959

2/4 1500 4’04”3 (1) Bari 5/4 1500 4’01”5 (1) Palermo 5/4 4x400 3’20”3 (1) Palermo

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