UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà Di Lettere E Filosofia Dottorato Di Ricerca Internazionale in Storia E Civiltà Del Mondo Antico XXII Ciclo

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UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà Di Lettere E Filosofia Dottorato Di Ricerca Internazionale in Storia E Civiltà Del Mondo Antico XXII Ciclo View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Florence Research UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Lettere e Filosofia Dottorato di Ricerca Internazionale in Storia e Civiltà del Mondo Antico XXII Ciclo LA PIANURA DI PIOMBINO IN ETÀ ANTICA: DINAMICHE DI CONTROLLO E ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE Tesi di dottorato di Pierluigi Giroldini Settore scientifico-disciplinare L/Ant 06 Coordinatore: Prof. P. Liverani Tutori: Prof. G. Camporeale Prof. L. Donati Prof. P. Liverani Anno Accademico 2009/2010 INDICE I - L‟ARCHEOLOGIA NELLA PIANURA DI PIOMBINO. STORIA DEGLI STUDI E FINALITÀ DELLA RICERCA, p. 3 1.1. La scoperta della piana: tra rinvenimenti fortuiti e ricerche topografiche, p. 3 1.2.Ambito, metodologia e finalità della ricerca, p. 8 1.3.Ringraziamenti, p. 11 II - IL QUADRO GEOMORFOLOGICO: IL PROBLEMA DELLE LAGUNE, p. 13 III - CARTA ARCHEOLOGICA, p. 23 Avvertenza, p. 23 IV - PROFILO STORICO-ARCHEOLOGICO, p. 131 4.1 – Prima di Populonia: il Bronzo finale, p. 131 4.2 – Età del Ferro, p. 132 4.3 – Orientalizzante antico, p. 135 4.4 – Orientalizzante medio e recente, p. 137 4.5 – Strategie di sfruttamento e dinamiche sociali nel tardo Orientalizzante, p.147 4.6 –Arcaismo, p. 150 4.7 – V e IV secolo a.C., p. 152 4.8 – Dalla fine del IV al I sec. a.C., p. 157 4.9 – Il paesaggio agrario tra continuità e nuovi assetti produttivi, p. 167 4.10 – L‟età augustea e il I sec. d.C., p. 169 4.11 – Dal II sec. d.C. all‟età tardo imperiale, p. 177 BIBLIOGRAFIA, p. 181 FIGURE E CARTOGRAFIA, p. 203 I - L‟ARCHEOLOGIA NELLA PIANURA DI PIOMBINO. STORIA DEGLI STUDI E FINALITÀ DELLA RICERCA 1.1. La scoperta della piana: tra rinvenimenti fortuiti e ricerche topografiche Con la definizione di Pianura di Piombino viene indicata l‟area geografica costituita da un‟ampia zona pianeggiante compresa tra il Monte Massoncello a Ovest, i monti del Campi- gliese a Nord e il Poggio Montioni a Est. Essa, attraversata in senso Est-Ovest dal basso corso del fiume Cornia e da una serie di corsi d‟acqua minori, digrada dolcemente verso il golfo di Follonica(figg. 1 A, B).1 La piana, nella sua conformazione attuale, è il risultato dei successivi apporti del fiume che la attraversa, in parte accumulatisi naturalmente, ma in larga misura dovuti alle operazioni di risanamento operate a partire dagli anni Trenta del XIX secolo attraverso la bonifica per col- mata degli ampi specchi palustri situati nell‟area.2 L‟interesse per la zona da parte degli studiosi di archeologia è stato per lungo tempo scar- so; l‟unica attività di scavo di una certa consistenza risulta quella operata sulle strutture roma- ne rinvenute in località Vignale, pertinenti ad una mansio attiva almeno a partire dal I sec. a.C., collocata nell‟estremità Sud Orientale della piana. Il sito è stato individuato e parzial- mente scavato nel 1831, in occasione di lavori di ampliamento e rifacimento della cd. “strada Regia” (attuale SS 1 Aurelia);3 a tale intervento è seguito un lungo disinteresse, che ha portato progressivamente a perdere memoria della collocazione esatta del sito. Appare significativo che Dennis, nell‟attraversare la piana relativamente pochi anni dopo la scoperta, non faccia alcun accenno allo scavo, pur dilungandosi in una pittoresca descrizione dell‟area attraversata: 1 Per una definizione dell‟area geografica si vedano tra gli altri: CENSINI et al 1992, p. 45; SBRILLI 2004, p. 639. 2 Sulla storia delle bonifiche in Val di Cornia si veda in particolar modo PELLEGRINI 1984. 3 Sulla scoperta del sito e la sua “riscoperta”: PATERA et al 2003, pp. 281-287. Sulla viabilità della Val di Cornia e le operazioni di ricostruzione della “Strada Regia Emilia” in concomitanza con l‟inizio dei lavori di bonifica, si veda PELLEGRINI 1984, pp. 41-44, 3 […] a dense wood ran wild over the plain; it could not be called a forest, for there was scarcely a tree twenty feet in height; but a tall underwood of tamarisk, lentiscus, myrtle, dwarf cork-trees, and numerous shrubs unknown to me, fostered by the heat and moisture into an extravagant luxuriance, and matted together by parasitical plants of various kinds. Here a break offered a peep of a stagnant la- goon; there of the sandy Tombolo, with the sea breaking over it; and above the fo- liage I could see the dark crests of Monte Calvi on the one hand, and the lofty promontory of Populonia on the other. Habitations there were none in this wilder- ness, save one lonely house on a rising-ground. If a pathway opened into the dense thickets on either hand, it was the track of the wild beasts of the forest. Man seemed here to have no dominion.4 Stando alla descrizione data da Dennis, relativa al paesaggio visibile dalla strada tra Follo- nica e Populonia, risulta evidente lo stato selvaggio, incolto e inospitale della pianura costiera alla metà circa dell‟Ottocento e la conseguente difficoltà nell‟individuazione di resti antichi in mezzo alla macchia. In un ambiente del genere è più che plausibile che il sito fosse stato in pochi anni ricoperto dalla vegetazione, e che dunque non risultasse visibile agli occhi del viaggiatore inglese.5 In base allo stato desolato dei luoghi descritti da Dennis non stupisce che l‟unico altro rinvenimento noto nel corso dell‟Ottocento, avvenuto presso Poggio all‟Agnello in circostanze sconosciute, sia quello di un pennato di bronzo attribuibile ad età arcaica, ac- quistato nel 1824 dalla Galleria degli Uffizi.6 Anche con la completa bonifica della piana e l‟inizio del suo sfruttamento agricolo intensi- vo la situazione non cambia: mancano accenni a rinvenimenti dalla zona nella carta archeolo- gica del territorio di Populonia redatta da Antonio Minto in appendice alla sua monografia sul centro etrusco, edita nel 1943.7 L‟unica area in cui sono registrati recuperi di materiali è anco- ra una volta quella relativa alla zona di Poggio all‟Agnello,8 all‟estremità Nord della piana e in stretta connessione con la zona di Baratti, attorno alla quale si erano concentrati gli interes- 4 DENNIS 1848, vol. 2, p. 221; il brano è riportato anche nelle successive edizioni, ma inserito in un contesto leg- germente differente: si veda DENNIS 1887, pp. 202-203. 5 La testimonianza di Dennis sembra tuttavia contrastare con le notizie (riportate in PATERA et al 2003, p. 283) sulla presenza di strutture per la protezione degli scavi, descritte nel 1835. Si ignora la natura esatta di tali appre- stamenti; è possibile tuttavia che essi fossero già collassati o smantellati al momento del passaggio dello studioso britannico. In base a fonti successive tuttavia il sito del Vignale, a quanto pare, risultava noto, individuabile con precisione e almeno in parte visibile ancora nel 1860 (PATERA et al 2003, p. 284); è tuttavia ipotizzabile che a quel tempo il sito, in seguito obliterato dall‟impianto di un vigneto, risultasse scarsamente visibile e dunque non individuabile da chi non ne conoscesse preventivamente l‟esistenza. 6 ROMUALDI 2006: vedi infra, scheda 38. 7 Le scoperte archeologiche nel retroterra di Populonia, in MINTO 1943, pp. 349-352. L‟autore riporta scarse notizie solo riguardo a rinvenimenti nella zona di Poggio all‟Agnello, concentrando la propria attenzione soprat- tutto sull‟area di Campiglia Marittima ed i monti circostanti. 8 Mancano tuttavia, nella carta redatta da Minto, riferimenti al pennato di bronzo, che verrà edito 4 si degli archeologi a partire dalle prime scoperte relative alle necropoli populoniesi, negli ul- timi anni del XIX secolo. I fattori che hanno influenzato negativamente la conoscenza del passato archeologico della piana sono molteplici. Indubbiamente le particolari condizioni ambientali, dovute ai peculiari caratteri geomorfologici dell‟area, citati in precedenza, hanno impedito una sua indagine si- stematica almeno fino a che le operazioni di bonifica non furono portate a compimento. L‟assenza di attività agricole intensive ha limitato per lungo tempo l‟erosione del terreno e la conseguente emersione di materiali e strutture provenienti dagli strati archeologici.9 La stessa natura della piana, originata dai consistenti apporti alluvionali del fiume Cornia, ha contribui- to a nascondere i resti degli insediamenti antichi sotto più o meno potenti strati di accumulo.10 La presenza, in prossimità dell‟area, del sito di Populonia, ha inoltre portato ad una con- centrazione dell‟interesse degli studiosi verso l‟area archeologica del sito maggiore. L‟attività di ricerca si è infatti focalizzata sull‟area del golfo di Baratti, fin dalle prime sco- perte di tombe monumentali operate da Isidoro Falchi alla fine dell‟800,11 per proseguire con l‟attività di ricerca che vide protagonisti prima Luigi Adriano Milani,12 e poi, per più di trent‟anni, Antonio Minto. Le indagini scientifiche furono ampiamente influenzate, come è noto, dai concomitanti lavori di escavazione operati nella zona del golfo di Baratti per il recu- pero a fini industriali delle scorie di ferro costituenti gli scarti di lavorazioni antiche. Le com- plesse problematiche relative alla tutela delle ricchissime testimonianze archeologiche messe in luce e costantemente minacciate dalle attività estrattive (in mano a società per nulla attente alla conservazione del patrimonio archeologico), causando una concentrazione dell‟attenzione sulla zona di Baratti hanno probabilmente contribuito a mantenere basso l‟interesse per la zo- na pianeggiante posta a Sud-Est di Populonia.13 È probabile tuttavia che con lo sviluppo rurale dell‟area, dovuto alla progressiva bonifica della stessa, iniziassero anche i rinvenimenti casuali di materiali antichi; i primi recuperi di cui si ha notizia, operati nel corso di lavori agricoli relativi a materiali andati dispersi e a con- 9 Nel periodo precedente l‟inizio delle bonifiche i terreni in parte paludosi della piana erano interessati da pasco- lo brado e da colture di tipo estensivo: PELLEGRINI 1985.
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