“Volti e momenti di una vita”

Un’analisi politestuale della raccolta Un po’ di febbre (1973) di Sandro Penna

Sander Wille Stamnummer: 01301757

Promotor: Prof. Dr. Mara Santi

Masterproef voorgelegd voor het behalen van de graad Master in de Taal-en Letterkunde: afstudeerrichting Frans-Italiaans

Academiejaar 2016-2017

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“Volti e momenti di una vita”

Un’analisi politestuale della raccolta Un po’ di febbre (1973) di Sandro Penna

Sander Wille Stamnummer: 01301757

Promotor: Prof. Dr. Mara Santi

Masterproef voorgelegd voor het behalen van de graad Master in de Taal-en Letterkunde: afstudeerrichting Frans-Italiaans

Academiejaar 2016-2017

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Ô saisons, ô châteaux, Quelle âme est sans défauts ? Ô saisons, ô châteaux, J’ai fait la magique étude Du Bonheur, que nul n’élude. Ô vive lui, chaque fois Que chante son coq gaulois. Mais ! je n’aurais plus d’envie, Il s’est chargé de ma vie. Ce charme ! il prit âme et corps, Et dispersa tous efforts. Que comprendre à ma parole ? Il fait qu’elle fuit et vole ! Ô saisons, ô châteaux !

- Arthur Rimbaud -

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Indice

Abstract ...... 7 Ringraziamenti ...... 8 Introduzione ...... 9 Capitolo 1: Status Quaestionis ...... 13 1.1. Ricezione critica di Un po’ di febbre ...... 13 1.2. Alla ricerca di uno strumento metodologico. Sulle forme politestuali...... 16 1.3. Conclusione ...... 19 Capitolo 2: Una raccolta diversa di un poeta diverso...... 20 2.1. Sandro Penna: poeta “contaminato” dalla joie de vivre ...... 20 2.2. “Per me la legge non consente il puro amore”: sul contesto storico ...... 25 2.3. Analisi genetica ...... 28 2.3.1. Lo sviluppo della raccolta ...... 28 2.3.2. Varianti ...... 30 Capitolo 3: Una raccolta caratterizzata dalla “progressiva chiarificazione” ...... 34 3.1. Paratesto ...... 34 3.1.1. Titolo e titoli interni ...... 34 3.1.2. Avvertenza ...... 38 3.1.3. Quarta di copertina ...... 40 3.2. La struttura della raccolta e la “progressiva chiarificazione” ...... 41 3.2.1. Una “progressiva chiarificazione”? ...... 41 3.2.2. La struttura di Un po’ di febbre ...... 42 3.2.1.1. Epifania ...... 43 3.2.1.2. Arrivo impetuoso dell’amore ...... 46 3.2.1.3. Abbandono dei sensi ...... 47 3.2.1.4. Coscienza dell’illusione del sentimento amoroso ...... 48 3.2.1.5. Malinconia ...... 50 3.2.1.6. Morte ...... 51 3.2.3. Una “progressiva chiarificazione”! ...... 52 3.3. Connettori ...... 53

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3.4. “Des textes à l’oeuvre”: aspetti tematici ...... 56 3.4.1. La letteratura e la riflessione metapoetica ...... 56 3.4.2. La vita cittadina ...... 61 3.5. Analisi narratologica ...... 62 Conclusione ...... 64 Bibliografia ...... 66 1. Bibliografia primaria ...... 66 2. Bibliografia secondaria ...... 66 3. Sitografia ...... 68 Allegati ...... 69

Numero di parole: 21.656

Numero di parole (senza note): 19.854

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Abstract

Sandro Penna (1906 – 1977) è spesso ricordato come il poeta della giovinezza, dei sensi e della semplicità. A volte, tuttavia, si dimentica che Penna ha anche riunito vari racconti, alcuni anni prima della sua scomparsa, in un volume intitolato Un po’ di febbre (1973). Il presente lavoro intende indagare il ruolo e il significato dell’unica raccolta in prosa del poeta umbro, di cui sarà offerta un’analisi attraverso lo studio della relazione tra biografia e scrittura, dello sviluppo della raccolta e del modo in cui il significato viene costruito. In particolare, le teorie politestuali saranno utilizzate come strumento metodologico per affrontare la specificità della raccolta come forma letteraria.

Parole chiave: Sandro Penna, Novecento italiano, raccolta di racconti, politesto, poesia

Abstract

Sandro Penna (1906 – 1977) wordt vaak herinnerd als dichter gefascineerd door de jeugd, de gevoelens en de eenvoudigheid; al wordt soms wel vergeten dat Penna ook, enkele jaren voor zijn overlijden, kortverhalen in een bundel samenbracht, namelijk Un po’ di febbre (1973). Het doel van dit onderzoek is de rol en de betekenis van de enige prozabundel van Sandro Penna te bestuderen. In deze studie wordt dieper ingegaan op de relatie tussen biografie en artistiek werk, de ontwikkeling van de bundel en de manier waarop de betekenis van de bundel geconstrueerd wordt. De polytekstuele theorieën zullen worden gebruikt als methodologisch kader om de specificiteit van de kortverhalenbundel als literaire vorm te benaderen.

Trefwoorden: Sandro Penna, Italiaans Novecento, kortverhalenbundel, polytekst, poëzie

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Ringraziamenti

Le difficoltà rafforzano la mente, come la fatica rafforza il corpo.

-Lucio Anneo Seneca –

A volte mi sono sentito esattamente come Seneca: la stesura di una tesi di laurea in una lingua straniera non è affatto un percorso senza difficoltà. Ma che sarebbe poi la vita senza difficoltà? Fortunatamente, vi sono sempre delle persone che ti accompagnano fino all’arrivo. Colgo qui l’occasione per ringraziare i compagni del mio viaggio intellettuale.

La mia gratitudine va innanzitutto alla mia relatrice prof.ssa dott.ssa Mara Santi per la disponibilità e la cortesia dimostratemi, ma anche per la passione con cui insegna e con cui ha suscitato in me l’interesse per la letteratura italiana e la formazione di uno spirito critico. Per questo desidero ringraziare anche i professori e i docenti della sezione di Italianistica dell’Università di Gent. Un ringrazio particolare va a Claudia Floreani per la correzione linguistica del presente lavoro, da madrelingua italiana mi ha sempre spinto a elevare il mio stile di scrittura.

Ringrazio Elena Gurrieri e Roberto Deidier per la loro disponibilità e le biblioteche italiane (Biblioteca Comunale di Siena, Istituto Storico Parri di Bologna e la Biblioteca Comunale di Milano) che hanno, per la curiosità di uno studente belga, cercato nei loro archivi le edizioni originali dei racconti di Un po’ di febbre: così mi hanno permesso di fare il ponte tra il Belgio e la terra italiana.

Infine indirizzo un “grazie mille” ai miei amici e alla mia famiglia: mio fratello, mio padre e mia madre, che sarebbe sicuramente stata molto orgogliosa di me.

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Introduzione

“Volti e momenti di una vita”1, ecco il riassunto della raccolta di racconti, o appunti, Un po’ di febbre pubblicata nel 1973 da Sandro Penna, il poeta che, secondo , fu l’unico scrittore del Novecento che abbia “tranquillamente rifiutato, senza dare in escandescenze, la realtà ideologica, morale, politica, sociale, intellettuale del mondo in cui viviamo”2 Nato a Perugia nel 1906 e deceduto a Roma nel 1977, viene ricordato come il cantante dei sensi e della giovinezza con una lingua limpida e chiara, che si oppose così, anche se forse non volontariamente, all’ermetismo poetico. Dopo una serie di pubblicazioni in versi (Poesie, Appunti, Stranezze...), pochi anni prima di morire, pubblica degli appunti in un lavoro uniforme che intitolerà Un po’ di febbre. Tuttavia Penna non ne rimarrà soddisfatto, come sottolinea Elio Pecora: “del libro Penna si pentì subito, sosteneva che quei fogli gli erano stati sottratti, che erano andati persi i due appunti più riusciti, quelli che riteneva quasi perfetti.”3 Si ha quindi a disposizione un caso molto interessante sia dal punto di vista editoriale e formale che tematico. Il poeta umbro, con questa raccolta, ha voluto ripercorrere la sua vita ricordando le persone a lui care e i momenti goduti, nonostante la sua tendenza verso la malinconia. A volte descritta come “il gambo a quel misterioso fiore che è la poesia di Penna”4 o ancora “l’alfabeto col quale decifrare l’uomo e l’artista”5, la raccolta fornisce delle informazioni capitali per comprendere gli aspetti biografici e per stabilire dei collegamenti con la sua poesia.

Il presente lavoro ha voluto assegnare un ruolo fondamentale al fatto che si sta parlando di una raccolta, una forma letteraria politestuale, composta da vari testi che dispongono di una loro autonomia ma che creano un valore aggiunto quando vengono messi insieme. Non è un continuum come ad esempio un romanzo: il ricevente deve sempre ripetere lo stesso processo di comprensione di un racconto, riorientarsi verso un altro e infine tentare di individuare il significato della raccolta.

1 Sandro Penna, Un po’ di febbre, Garzanti, Milano, 1994 [1973], p. 157. Utilizzerò l’abbreviazione UPDF , per motivi di chiarezza, per citare quest’opera che costituisce il nodo centrale della ricerca. Menzionerò sempre esplicitamente il racconto da cui cito. 2 Cesare Garboli, Penna Papers, Garzanti, Milano, 1984, p. 45. 3 Elio Pecora, Sandro Penna: una cheta follia, Frassinelli, Roma, 1984, p. 212. 4 Giacinto Spagnoletti, citato in Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in AA.VV., L’epifania del desiderio. Atti del Convegno nazionale di studi su Sandro Penna, a cura di Roberto Abbondanza e Maurizio Terzetti, Perugia, Provincia di Perugia, 1990, p. 271. 5 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in AA.VV., L’epifania del desiderio, cit., p. 271.

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Lo aveva già capito benissimo il poeta e teorico francese settecentesco Nicolas Boileau- Despréaux nel suo Art Poétique, una rielaborazione dell’ Ars Poetica di Orazio, quando dice che:

Que d’un art délicat les pièces assorties

n’y forment qu’un seul tout de diverses parties.6

Boileau sottolinea che un’opera artistica deve essere in grado di formare un insieme coerente a partire dalle singole parti. Un passo ulteriore è quello di capire di che cosa tratti, in questo caso, la raccolta Un po’ di febbre a partire da tutti i singoli racconti. Si è considerato anche l’aspetto politestuale perché, nell’Avvertenza, Penna sembra parlarne, anche se al momento della pubblicazione di Un po’ di febbre le teorie politestuali si stanno ancora sviluppando:

Poi mi sono detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me.7

Nel momento della pubblicazione presso l’editore Garzanti, l’attenzione dei recensori e degli studiosi non va tanto alla “chiarificazione” citata dall’autore ma piuttosto alla “tendenza a leggere il libro in funzione delle poesie.”8 Essendo un concetto molto sottolineato dall’autore stesso, il processo di “progressiva chiarificazione” servirà come fil rouge di questa ricerca. La riflessione su questo aspetto verrà incapsulata in un insieme più grande: un’analisi politestuale di Un po’ di febbre. Così facendo si è voluto offrire un caso d’analisi di una forma politestuale: passo dopo passo far vedere un possibile approccio a un testo del genere.

L’itinerario di questo lavoro riflette il percorso di “appropriazione” del significato della raccolta, per garanzia di chiarezza. Il primo capitolo è incentrato, in un primo tempo, sulla ricezione della raccolta, sia al momento della pubblicazione che negli anni dopo la pubblicazione quando si è cominciato ad assegnare un valore autonomo alla raccolta. In una seconda parte del primo capitolo, sarà invece discussa la teorizzazione delle forme politestuali, che si sta tuttora sviluppando. Intorno agli anni Settanta del ventesimo secolo, tre grandi linee teoriche si sono

6 Nicolas Boileau-Despréaux, Oeuvres complètes (Art poétique), Paris, Gallimard – Bibliothèque de la Pléiade, 1966, p. 161. 7 UPDF (Avvertenza), p. 157. 8 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in AA.VV., L’epifania del desiderio, cit., p. 271.

10 formate quasi contemporaneamente: quella anglofona, quella francofona e quella italiana. Una volta stabilita la metodologia di questa ricerca, ci si potrà tuffare nella raccolta vera e propria.

Il secondo capitolo è imperniato sul contesto che circonda Penna ai tempi della scrittura e della pubblicazione di Un po’ di febbre. Si dovrà necessariamente prendere in considerazione lo iato tra la stesura della maggioranza delle prose (intorno agli anni ’39-’40) e la pubblicazione di esse, avvenuta molto più tardi, nel ’73. Prima, si cercherà di stabilire dei collegamenti tra il vissuto e quanto scritto nella raccolta: infatti si noterà che la raccolta ha una forte tendenza verso l’autobiografia e così diventerà possibile paragonare “i momenti della vita” con gli stessi momenti descritti nella poesia di Penna. Poi verrà sottolineato il contesto storico poiché la sensualità che domina tutta la produzione di Penna non viene, evidentemente, accettata dal regime fascista promotore della “virilità” del maschio italiano. Seguirà una parte sull’analisi genetica: ho cercato, a volte con molta fatica e molto impegno, di ripercorrere la storia del testo. Per questo, ho contattato alcune biblioteche italiane per trovare le edizioni originali dei racconti, edite intorno agli anni ’39 su varie riviste. Grazie al contributo, tra altri, di Elena Gurrieri e Roberto Deidier, si è cercato di ricostruire la storia della raccolta. Sarebbe stato utile, a quel punto, consultare i manoscritti penniani per quello che riguarda la stesura della raccolta e il contatto che l’autore ebbe con l’editore Garzanti, visto che nel Novecento la collaborazione tra un autore e il suo editore è un dato che si deve per forza prendere in considerazione. Sfortunatamente, nonostante il contatto con l’editore Garzanti e la gentilezza di Roberto Deidier, studioso autorevole di Penna, l’archivio non si è aperto.

Il terzo e ultimo capitolo è il “cuore” del lavoro: dopo aver attraversato il paratesto (soprattutto titolo, postfazione e quarta di copertina), l’analisi verrà focalizzata sul processo della “progressiva chiarificazione”, già citato sopra. Si tratterà di capire perché Penna abbia parlato nell’Avvertenza di una chiarificazione soggiacente alla raccolta: da una parte ho tentato di definire il processo tanto sottolineato e dall’altra parte ho voluto riconsiderare questa nozione di “chiarificazione” servendomi di alcune nuove intuizioni risultanti dalla teorizzazione del politesto. Servendomi del percorso proposto, però poco elaborato, da Daniele Comberiati9, ho tentato di chiarire di più questa nozione. Una digressione sui connettori svilupperà una riflessione politestuale più teorica, in questo caso quella di René Audet. Come già accennato, l’autonomia e l’eterogeneità apparente delle diverse tematiche dovranno esser superate per cogliere il significato più vasto della raccolta. Un breve studio degli aspetti narratologici inerenti alla raccolta penniana completerà infine il percorso.

9 Daniele Comberiati, Tra prosa e poesia: modernità di Sandro Penna, Roma, Edilazio, 2010, p. 18.

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Il merito del presente studio è quindi non tanto di sviluppare la riflessione teorica intorno al politesto, ma di analizzare un caso particolare, in questo caso una raccolta di racconti del poeta novecentesco Sandro Penna. Il suo obiettivo è quello di contribuire alla critica penniana, che ha spesso messa da parte la raccolta o l’ha analizzata in maniera poco puntuale ed omogenea.

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Capitolo 1: Status Quaestionis

Ma Sandro Penna è intriso di una strana gioia di vivere anche nel dolore. - Sandro Penna -

Prima di analizzare la raccolta Un po’ di febbre e di abbordare alcune questioni relative alla raccolta è opportuno fornire una visione d’insieme sia della ricezione della raccolta nella critica letteraria che delle teorie politestuali che saranno utilizzate come strumento metodologico.

1.1. Ricezione critica di Un po’ di febbre

Per cominciare bisogna notare che la raccolta Un po’ di febbre non compare all’improvviso nel panorama letterario: Penna poteva già godere di una certa notorietà nell’ambito culturale- letterario romano e italiano e per questa ragione la critica era certamente pronta ad accogliere la pubblicazione delle sue prose nella primavera del 1973. Ne testimoniano alcuni articoli apparsi su diversi quotidiani quasi immediatamente dopo l’uscita del libro.

Il primo giugno 1973 esce su La Stampa un articolo intitolato Quei ragazzi “saltimbanchi” , che col titolo fa riferimento alle tele picassiane dedicate ai saltimbanchi come Famiglia di saltimbanchi (1905) o ancora I due saltimbanchi (1901). La giornalista, Rosanna Ombres, paragona i “saltimbanchi” ai fanciulli di Penna, definendoli “ragazzi sedotti dalla gioia o da un’ombra d’amarezza come dal sole e dal vento, spigolosi e lontani come i saltimbanchi di Picasso con l’ambigua avvenenza delle creature di una civiltà remota ed indecifrabile risorte nei colori di una anfora, di un affresco.”10 L’immagine dei saltimbanchi collega tematicamente la raccolta di prose al resto dell’opera di Penna, tuttavia Ombres sottolinea il fatto che gli scritti in prosa forniscono un valore aggiunto all’opera in versi di Penna ma nel far questo di fatto sottolinea, forse inconsapevolmente, la minore autonomia della raccolta (“Gli scritti in prosa [...] sono sempre chiose, appunti che accompagnano la creazione poetica e le sono d’appoggio”11).

Il Tempo, un altro quotidiano, pubblica il 10 giugno la recensione Che paese meraviglioso era l’Italia... scritto da P.P. Pasolini. Come è noto, Pasolini era grande ammiratore e amico di

10 Rosanna Ombres, “Quei ragazzi saltimbanchi” in La Stampa, 1 giugno 1973, p. 14. 11 Ivi

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Penna; tuttavia in quest’articolo non scrive tanto sulla qualità letteraria della raccolta ma la inserisce in un quadro storico più ampio e pare che la utilizzi per sottolineare il contesto del fascismo in cui i testi sono stati scritti. Nell’avvertenza al lettore Penna dice infatti che le prose erano state scritte per lo più a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta (si noti la discrepanza tra il momento della stesura e la vera pubblicazione, argomento su cui tornerò). Pasolini afferma che “niente è stato più antifascista di questa esaltazione di Penna nell’Italia sotto il fascismo”12 perché soffocando l’epoca fascista nei suoi scritti, Penna in verità dice tutto e il fatto che egli neghi completamente il contesto storico è la cosa più significativa.

Alcuni giorni dopo, anche l’Unità dedica un articolo alla nuova pubblicazione dello scrittore umbro: Un poeta in prosa ne è il titolo. Per quanto riguarda lo stile della scrittura, per il giornalista Manescalchi, Penna richiama i modelli di e lo stile rondista, la corrente letteraria formatasi attorno alla rivista La Ronda nel primo Novecento. Anche in questo caso, secondo il giornalista, non si può distaccare la poesia dalla prosa data la natura “essenzialmente lirica di Un po’ di febbre”13.

È indubbio che i critici citati si trovano d’accordo sulle qualità letterarie di Penna e sul fatto che quest’opera completa la sua produzione in versi. Ciò su cui divergono, invece, è la definizione del libro se si può in questo caso parlare di un libro: l’articolo di La Stampa parla semplicemente di “scritti di prosa”, Pasolini parla di “un libro” ovvero di “questi suoi brevi racconti” mentre l’Unità, o in specifico il giornalista Manescalchi, è l’unico che parla di una “raccolta di racconti”. C’è quindi una confusione terminologica che si genera nel categorizzare Un po’ di febbre. Questa insicurezza indica già un problema di cui si deve tener conto e perciò ne discuterò più ampiamente in seguito.

Al di là delle prime recensioni, per quanto riguarda invece la ricezione critica, si segnala verso la fine del 1973 Eugenio Ragni. Ragni scrive un saggio nel quale valuta la produzione letteraria dell’anno ‘73 che parla della città di Roma e poiché gran parte dei racconti di Un po’ di febbre si svolgono nella città eterna, anche Sandro Penna viene incluso nello studio. Ragni chiama l’uscita della raccolta “uno degli avvenimenti più interessanti dell’annata letteraria”14 perché i leitmotiv e gli ambienti della sua lirica vi vengono profondamente elaborati. Elio Pecora si unisce a un decennio di distanza all’opinione di Ragni affermando che:

12 Pier P. Pasolini, “Che paese meraviglioso era l’Italia” in Il Tempo, 10 giugno 1973. 13 Franco Manescalchi, “Un poeta in prosa” in l’Unità, 14 giugno 1973. 14 Eugenio Ragni, “Roma nella narrativa italiana contemporanea” in Studi romani, Vol. 21, No. 4 (ottobre 1973), p. 551.

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Roma e l’Italia di quegli anni trovarono nelle sue brevi prose un testimone assorto e amorevole; quel quieto ribelle, quell’uomo antico osservò e testimoniò fino allo spasimo e fino alla tenerezza le giornate del suo tempo e in esso riconobbe il tempo di sempre15

La biografia Una cheta follia (1984) di Pecora, pur essendo la biografia più significativa che esista di Penna, non ha fornito un’analisi chiara e strutturata dell’unica raccolta penniana. Pecora connette le vicende biografiche con le prose ma lo studioso si sofferma soprattutto sul fatto che Penna non fosse completamente soddisfatto dell’opera:

Del libro Penna si pentì subito, sosteneva che quei fogli gli erano stati sottratti, che erano andati persi i due appunti più riusciti, quelli che riteneva quasi perfetti. Per anni li aveva conservati in un cassetto, legati con uno spago, e non aveva voluto mostrarli neanche a [Pietro] Citati che, avendo trovato “addirittura meravigliose” certe pagine su Milano, si offriva di ordinare lui stesso gli scritti.16

Anna Vaglio, con il suo Invito alla lettura di Penna, offre uno studio esaustivo della biografia e della bibliografia di Penna. Nella sezione dedicata a Un po’ di febbre Vaglio chiama la raccolta “un documento ambiguo”17, dato che presenta un registro espressivo diverso pur conservando legami con la produzione in versi. Vaglio è una dei pochi studiosi che enfatizzano in modo esplicito che la raccolta non sia soltanto, ed esagero un po’ qui, una copia della poesia ma che possiede anche un valore autonomo. Vaglio, nella conclusione, sembra accennare all’aspetto teorico politestuale laddove afferma che certi racconti “si costruiscono in modo più complesso di altri, con un intreccio, eventi annunciati e poi raccontati, uno sviluppo e una conclusione di problemi posti all’inizio della narrazione.”18 Vaglio infatti sembra qui puntare l’attenzione sulla ciclicità dei racconti.

Daniele Comberiati, nel suo studio sull’interazione tra la prosa e la poesia in Penna, considera l’una e l’altra “vasi comunicanti”. Inoltre Comberiati presta grande attenzione alla “progressiva chiarificazione”, oggetto anche del presente lavoro. Come sottolinea Comberiati, la raccolta è spesso stata letta in funzione delle poesie, “mentre è evidente che, proprio grazie alla Avvertenza finale, il libro acquista una sua autonomia specifica all’interno del percorso

15 Elio Pecora, Sandro Penna: una cheta follia, cit., p. 173. 16 Ibid., pp. 212-213. 17 Anna Vaglio, Invito alla lettura di Penna, Milano, Mursia Editore, 1993, p. 82. 18 Ibid., p. 89.

15 letterario dell’autore.”19 Questa autonomia si fonda, secondo Comberiati, sulla struttura narrativa evolutiva della raccolta:

La piccola nota finale ha proprio la funzione di istradare il lettore verso una precisa chiave di lettura dell’opera, che potrebbe essere riassunta così: epifania, arrivo impetuoso dell’amore, abbandono dei sensi, coscienza dell’illusione del sentimento amoroso, malinconia e morte.20

Comberiati si è indubbiamente ispirato al saggio di Carlo Guerrini tenuto in occasione del Convegno nazionale di studi su Sandro Penna svoltosi a Perugia nel 1990 e che si intitola “Un po’ di febbre: la parabola dei sensi e il senso del ritorno”. Il critico ha riconosciuto il valore della “progressiva chiarificazione”, contrariamente ad altri critici che hanno avuto la tendenza a leggere il libro in funzione delle poesie e afferma a proposito che “pochissimi sono coloro che riconoscono alle prose una loro autonomia, che si soffermano sul ripiegamento, o forse meglio spegnimento, evidenziato dal tono e dal comportamento di certe spie stilistiche, delle ultime prose.”21

Le osservazioni di Guerrini e Comberiati si rivelano degli ottimi punti di partenza per questo studio ma prima di immergersi nella raccolta stessa, occorre che io precisi con quale metodologia intendo approcciare la raccolta nella sua specificità formale.

1.2. Alla ricerca di uno strumento metodologico. Sulle forme politestuali.

Dato che il volume di Penna è una raccolta di racconti (e appunti) occorre fornire un quadro teorico che ne consideri il funzionamento. Il problema terminologico è già emerso nelle tre recensioni uscite alla pubblicazione della raccolta (“scritti di prosa”, “racconti brevi”, “un libro”). La confusione terminologica riguarda anche gli studi politestuali, avviatisi verso gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, come affermano D’hoker e Van den Bossche:

Short story cycle, recueil de récits, composite novel, macrotesto, short story sequence, cuentos enlazados, short story composite, novella cuentada: these are only some of the

19 Daniele Comberiati, Tra prosa e poesia: modernità di Sandro Penna, cit., p. 18. 20 Ibid., p. 19. 21 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in AA.VV., L’epifania del desiderio. Atti del Convegno nazionale di studi su Sandro Penna, a cura di Roberto Abbondanza e Maurizio Terzetti, Perugia, Provincia di Perugia, 1990, p 271.

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terms which have been suggested for the collection of linked stories within different scholarly traditions.22

A questo groviglio di termini si aggiunge anche una confusione concettuale: “It is evidence of the many different conceptualisations of this cluster of literary forms and the variety of theoretical perspectives that have been brought to bear on it.”23

Si possono distinguere, grosso modo, tre linee nella concettualizzazione della forma della raccolta: la linea italiana, quella francofona e quella anglosassone. Verso l’inizio degli anni Settanta, nel contesto anglosassone, Forrest L. Ingram è stato il primo ad analizzare in prospettiva teorica la collezione di racconti, proponendo il termine short story cycle, che definisce come “a book of short stories so linked to each other by their author that the reader’s successive experience on various levels of the pattern of the whole significantly modifies his experience of each of its component parts.”24 Lo studioso statunitense evidenzia l’importanza dell’auctoritas pur non negando la prospettiva del ricevente. La definizione di Ingram ha dato luogo a due tipi di “correnti” nello sviluppo teorico anglosassone: una che sottolinea le caratteristiche formali volute dall’autore e un’altra che enfatizza piuttosto l’attività del lettore nel processo di costruzione di legami tra i testi. A questa prima corrente sembrano orientarsi piuttosto Susan G. Mann e James Nagel. Robert M. Luscher, al contrario, enfatizza maggiormente l’influenza del lettore definendo la short story sequence “a volume of stories, collected and organized by their author, in which the reader successively realizes underlying patterns of coherence by continual modifications of his perceptions of pattern and theme”.25

Un’altra particolarità sulla quale Ingram focalizza l’attenzione è la tensione tra l’unità e la molteplicità ossia, con le parole di Mara Santi, la riflessione teorica sulla raccolta di narrativa breve “individua nella tensione tra unità e molteplicità il tratto saliente della forma letteraria della raccolta, variamente descritta come risultanza di forze centrifughe e centripete o di testi tra di loro al tempo stesso indipendenti e interdipendenti”26. Alcuni studiosi del campo anglosassone, che hanno riconosciuto questa tensione, sono tra altri Gerald Lynch e Rolf

22 Elke D’hoker, Bart Van den Bossche, “Cycles, Recueils, Macrotexts. The Short Story Collection in a Comparative Perspective” in Interférences littéraires, Vol. 12, febbraio 2014, p. 105. 23 Ivi 24 Forrest Ingram, Representative Short Story Cycles of the Twentieth Century, The Hague, Mouton, 1971, p. 11. 25 Robert M. Luscher, “The Short Story Sequence: An Open Book”, in Susan Lohafer & Jo Ellen Clarey, Short Story Theory at a Crossroads, Baton Rouge, Louisiana State UP, 1989, p. 148. 26 Mara Santi, “Simul stabunt... Note per una teoria politestuale della raccolta di narrativa breve” in Allegoria. Per uno studio materialistico della letteratura. Vol. 69-70, 2015, p. 89.

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Lundén: quest’ultimo individua l’opposizione tra “openness” e “closure” e tra “centripetal” e “centrifugal forces”.27 Inoltre, Ingram ha proposto di attribuire uno statuto di genere autonomo alla raccolta di narrativa breve. Molti critici si sono impegnati nel definire il termine dello short story cycle a confronto con altri generi come lo short story, lo short story collection e il novel.

Il tentativo di comprendere i meccanismi soggiacenti alla raccolta di narrativa breve non si limita al campo anglosassone; anche nell’area francofona si è sviluppata una riflessione, che gira soprattutto attorno agli studi del canadese René Audet. Egli adotta piuttosto la prospettiva letturale per lo studio del recueil, che è un termine più ampio perché la raccolta è considerata una forma letteraria aperta a diversi generi come la narrativa, la lirica e anche la saggistica. Nella sua monografia Des textes à l’oeuvre, Audet propone due principi fondamentali del funzionamento della raccolta: la totalisation (“la décision lecturale de considérer le recueil comme un seul texte”28) e la réticulation ovvero “cette impression chez le lecteur de parcourir des textes qui partagent des points communs, qui entrent en relation les uns avec les autres, voire qui participent d’un réseau complexe.”29 Contrariamente alla teoria anglosassone, Audet non individua un’organizzazione rigida dei racconti in una raccolta ma mette in evidenza un’esperienza di lettura iperpersonale, nel senso che il significato non è prestabilito dall’autore ma è il lettore che ha il potere di avanzare la propria ipotesi sul significato della raccolta.

In Italia alcuni critici, verso gli anni Settanta, si sono interessati alla forma letteraria delle raccolte e ai problemi teorici a esse legati. Nel contesto degli studi semiotici Maria Corti, nel 1975, propone una definizione per il termine “macrotesto”:

«Al concetto di testo come ipersegno [...] è proficuo affiancare quello di unità semiotica superiore al testo che chiamiamo macrotesto. Tale concetto è applicabile, in determinate condizioni soltanto, a una raccolta di testi poetici o prosastici di un medesimo autore; in altre parole una raccolta di rime o di racconti può essere un semplice insieme di testi riuniti per motivazioni diverse, o configurarsi essa stessa come un grande testo unitario, macrotesto per l’appunto.»30

27 Rolf Lundén, The United Stories of America. Studies in the Short Story Composite, Amsterdam, Rodopi, 1999. 28 Audet, René. Des textes à l’oeuvre: la lecture du recueil de nouvelles. Québec : Nota bene, 2000, p. 71. 29 Ibid., p. 73. 30 Maria Corti, “Testi o macrotesto? I racconti di Marcovaldo”, in Maria Corti, Il viaggio testuale, Torino, Einaudi, 1978, p. 185.

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Corti aggiunge due condizioni che devono realizzarsi per poter parlare di un “macrotesto”:

«1) se esiste una combinatoria di elementi tematici e/o formali che si attua nella organizzazione di tutti i testi e produce l’unità della raccolta; 2) se vi è addirittura una progressione di discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova.”31

Sembra essere una definizione molto restrittiva, e lo è in verità, ragione per cui forse il concetto di macrotesto, in senso rigido, è un po’ superato. Si deve comunque aggiungere che Maria Corti applica il concetto di “macrotesto” alla raccolta di narrativa, ma in seguito il termine viene usato in altri contesti. Infatti, altri critici applicano tale teoria per analizzare le raccolte di poesia (tra cui si segnalano Marco Santagata, Cesare Segre, Enrico Testa e Giovanni Cappello).

1.3. Conclusione

Per quello che riguarda la situazione attuale, come sostengono d’Hoker e Van den Bossche, gli approcci teorici al politesto cercano meno di classificare le raccolte secondo criteri formali o tematici, ma piuttosto di individuare processi specifici di “interlinking”, cioè di stabilire delle relazioni tra le parti del tutto e le dinamiche che tali processi suscitano.

Concludendo si potrebbe dire che tutti questi studi teorici hanno contribuito alla teorizzazione della forma della raccolta, ma non sono stati sufficienti, e che serve un approccio globale che incorpori sia la teoria dello short story cycle, sia la teoria del recueil che quella del “macrotesto” recuperando le più utili componenti di ogni tradizione critica.

31 Ibid., p. 186.

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Capitolo 2: Una raccolta diversa di un poeta diverso

De temps en temps, il est bon d’arrêter notre quête du bonheur et d’être tout simplement heureux. - Guillame Apollinaire –

2.1. Sandro Penna: poeta “contaminato” dalla joie de vivre

Sandro Penna, come amo dire, è stato un poeta “contaminato” dalla joie de vivre. “Contaminato” indica l’aspetto febbrile della sua vita, i suoi periodi di malinconia e di malattia che però non hanno scalfito il suo approccio gioioso alla vita. Lo scopo di questo paragrafo non è di fornire una biografia dello scrittore, ma piuttosto di collegare le sue osservazioni, le sue emozioni e le sue esperienze con le rispettive descrizioni contenute nelle prose di Un po’ di febbre. Cercherò di capire in quale misura le prose siano connesse alla sua biografia. Nell’Avvertenza, egli afferma di aver scritto la maggioranza delle prose tra il ’39 e il ’41 e quindi considererò in specifico questo periodo della sua vita. Tuttavia le prose raccontano anche dei fatti vissuti prima, come proverò a dimostrare. Per questa ragione bisogna cominciare la nostra analisi dal 1937.

Dal ’37 al ’39 Penna si sposta da Roma a Milano e lavora, tra l’altro, come correttore presso Bompiani e come commesso presso l’editore Hoepli. Descrive la sua nuova città in Aspetti di Milano (sedicesimo racconto del volume). Leggendo il racconto si potrebbe ipotizzare che sia stato scritto a distanza dalla vicenda vissuta, poiché vengono impiegate delle espressioni legate al campo semantico del ricordo come “mi pare”, “almeno nel ricordo è così” e “oggi che scrivo mi pare anzi di esagerare. Ma non esagero se interrogo la mia impressione di allora.”32 Elio Pecora sembra confermare questa ipotesi poiché dice che Aspetti di Milano è un racconto scritto alcuni anni dopo l’arrivo di Penna a Milano nel ‘37: “in una prosa di qualche anno dopo descrisse quel suo arrivo e la città e la folla e il suo vagare per le vie del Centro e i suoi vagabondaggi per le periferie.”33

La tematica dell’arrivo nel capoluogo lombardo viene ripresa in una poesia contenuta nella sezione Altre (1936-1957). Sia nella prosa che nella poesia su Milano, crollano i pregiudizi che

32 UPDF (Aspetti di Milano), p. 71. 33 Elio Pecora, Sandro Penna: Una cheta follia, cit., p. 156.

20 uno potrebbe avere sulla città lombarda, che Penna si aspettava fosse piena di nebbia e di impiegati ma che è invece piena di giovani ciclisti e musicisti:

Ero arrivato a Milano di febbraio. Mi aspettavo nebbie, gente che lavora e va poi seriamente al cinema. [...] Sciami e sciami di ciclisti s’addensano al segnale rosso, si riespandono al verde. [...] Sulla piazza adesso arrivano tre persone con l’aria di prendere risoluta dimora. Fuori chitarra, voce sfiatata della donna, manifestini per chi ne vuole.34

Di febbraio a Milano/ Non c’erano le nebbie./ Ma numerosi sciami di ciclisti/ andavano nel sole silenziosi./ E li fermava come in una gara/ sospesa il suonatore siciliano.35

Nel periodo in cui lavora a Milano, Penna ha anche fatto alcuni viaggi. Verso la fine di settembre del ‘37, Penna va a visitare “il Poeta” (come lo chiama nel racconto Come una sigaretta, ottavo racconto della raccolta) e per una settimana alloggia presso di lui. Il racconto I due poeti (quindicesimo racconto), una prosa scritta alcuni anni dopo (la data è imprecisata), ripropone una gita che Penna e “il grande poeta”36 avevano fatto a Capodistria. Ancora, durante quella settimana, Penna è preso dalla voglia di andare a Venezia, ma resta deluso dalla quantità di turisti che si sovvrapongono al vero popolo veneziano. In occasione di una nuova gita a Venezia, alcuni mesi dopo, paragona le sue due impressioni della città in Due Venezie (quattordicesimo racconto): la prima Venezia lo aveva soffocato: la città viene “invasa” da turisti di ogni nazionalità che, a causa di un acquazzone, cercano i “medesimi ripari come le mosche sul cibo preferito.”37 La metafora animalesca viene ripresa subito dopo: “Francesi, Inglesi, Americani, Tedeschi ronzavano talmente intorno a me ch’io mi sentii spaesato e quasi timoroso di aprire bocca.”38

L’epifania, ossia l’apparizione improvvisa di qualcosa di rivelatore, tra questa “calca cicaleggiante di stranieri”39 è rappresentata da un giovane bigliettaio; egli è infatti l’unico viso italiano tra la folla di turisti che Penna sta ascoltando senza capire. Penna trova in questa persona qualcosa di conosciuto, un unico vero Veneziano tra la calca di stranieri. Il bigliettaio sembra esservi apposta e unicamente per lui, il personaggio Penna dice che: “là, s’io avessi voluto, avrei potuto mettermi a giocare col giovanotto, che avrebbe certo dimenticato i biglietti

34 UPDF (Aspetti di Milano), p. 72. 35 Sandro Penna, Poesie, p. 291. 36 UPDF (I due poeti), p. 69. 37 UPDF (Due Venezie), p. 63. 38 Ivi 39 Ivi

21 degli altri passeggeri.”40 Poi c’è una spaccatura e un’inversione del racconto: emerge una seconda impressione della città veneta, questa volta non estiva (“quasi ancora invernale”) priva di turisti, nella quale Penna riconosce i veri Veneziani con i quali interagisce. Se nel primo racconto c’era un’epifania di un solo volto italiano tra la folla di turisti, l’epifania viene invertita e diventa negativa perché, tra la folla di veri Veneziani, ci sono dei “tedesconi, già neri di pelle in febbraio”41. Nella seconda parte del racconto sono i turisti che, nella città piena della vera popolazione veneziana, rappresentano l’eccezione laddove nel primo caso il bigliettaio era l’eccezione.

Angolo di via Porpora (il nono racconto) va ambientato a Trieste, la Heimat di Saba, visto che Penna racconta che “il suo amico letterato non è in casa”.42 È molto probabile che Penna stia parlando dell’amico Saba. Inoltre anche le descrizioni dei fanciulli richiamano un’affinità tematica sabiana: descrivendo i giovani ragazzi, Penna sottolinea tratti fisici in modo simile a quello di Saba (“ha le gambe bianche e nude”43). Per fare il confronto con Saba, si legga in Frutta Erbaggi, una poesia contenuta nel Canzoniere sabiano (1921) che “entra un fanciullo colle gambe nude”44 o ancora la poesia Il fanciullo, in cui dice a proposito del giovane che “non teme il carettiere con la frusta/ alzata contro i suoi nudi polpacci.”45 Il legame con Saba è quindi doppio: Saba è un personaggio della breve prosa e allo stesso tempo è un modello.

È noto che Penna non è in grado di trovare un lavoro stabile o di mantenerlo a lungo. Verso la fine di marzo del ‘38, ad esempio, comincia a lavorare come correttore di bozze presso l’editore Bompiani, ma già verso la fine di maggio non è più lì. Fortunatamente, durante l’estate riceve l’invito e l’appoggio di e di Giansiro Ferrata per la pubblicazione della prima raccolta di poesia (Poesie) che verrà però stampata soltanto alla fine di giugno del ‘39. Tra la fine del ’38 e l’inizio del ’39 lavora nella libreria Hoepli. A queste esperienze professionali è legato il racconto L’impiegato contemplativo (il terzo della raccolta) che parla, appunto, di un impiegato contemplativo che viene licenziato perché si innamora di una collega. L’autore Penna potrebbe coincidere con il personaggio dell’impiegato “contemplativo e

40 Ibid., p. 64. 41 Ibid., p. 65. 42 UPDF (Angolo di Via Porpora), p. 37. 43 Ibid., p. 38. Si veda anche Luca Baldoni, “L’uccello alto nella notte: corpo e spazio (omo)erotico della poesia italiana del Novecento” inThe Italianist 26, 2006, p. 98.: “è il corpo stesso ad affacciarsi sulla pagina poetica nella sua materialità e nell’articolazione delle sue parti (soprattutto quelle inferiori e posteriori, gambe, fianchi e natiche) e delle sue funzioni (quelle fisiologiche tradizionalmente considerate basse, come il sudore).” 44 Umberto Saba, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003, p. 457. 45 Ibid., p. 106.

22 distratto” (se si sostituisse la collega con un collega); Elio Pecora ricorda il suo atteggiamento particolare nei confronti del mondo del lavoro:

In quel tempo [fine ’37, inizio ‘38], trovò da occuparsi nell’amministrazione di un’azienda; ma fu presto licenziato perché, riuscendo a sbrigare il suo lavoro in due ore, si rifiutava poi di starsene al chiuso e lasciava l’ufficio ch’era ancora mattina.46

Penna lascia Milano definitivamente il 6 agosto del ’39 e con pochi soldi si tuffa nel viaggio: sosta alcuni giorni a Torino, un giorno a Genova, alcune ore a Roma e poi riparte per la Ciociaria, la regione nativa della madre, “a rintracciarvi una pace prenatale”47. Testimonianza del viaggio è il racconto Viaggio in Ciociaria (diciannovesimo della raccolta), che consiste di due trame distinte che descrivono entrambe un contesto campestre: Il sonno del povero e Ragazzi. Il motivo che ritorna nei due racconti è la centralità della capretta che potrebbe richiamare la poesia La capra di Saba.48

Dopo il viaggio in Ciociaria, Penna prosegue alla volta di Napoli e all’inizio di ottobre è di nuovo a Roma, la città da lui più amata, rappresentata anche in molti racconti della raccolta in oggetto (tra cui Lido di Roma, Sulle rive di una marrana, Passeggiata notturna, Osteria...). Illusterò più in dettaglio la presenza della capitale italiana quando parlerò del tema della città.

Un ultimo racconto molto significativo che si può legare alla vita di Penna è Il racconto, il secondo della raccolta. Può esser considerato un racconto autobiografico perché parla del giovane Giorgio che vede stampato il suo primo racconto su un giornale. Le coincidenze con Penna sono troppe per non avanzare l’ipotesi che Giorgio sia un suo alter ego: Giorgio è un giovane con ambizioni letterarie e con una predilezione per il fanciullo Pierino. Se effettivamente Penna stesse descrivendo la pubblicazione del suo primo racconto, come il racconto induce a credere, dovrebbe essere Lido di Roma, pubblicato il 26 aprile 1939 su L’Ambrosiano.

Posto che le prose di Un po’ di febbre sono strettamente legate alla vita privata dello scrittore, resta da chiarire un dubbio intorno alla datazione dei testi.

46 Elio Pecora, Una cheta follia, cit., p. 155. 47 Ibidem, p. 166. 48 Ho parlato a una capra. / Era sola sul prato, era legata. / Sazia d’erba, bagnata / dalla pioggia, belava./ Quell’uguale belato era fraterno / al mio dolore. Ed io risposi, prima / per celia, poi perché il dolore è eterno, / ha una voce e non varia. / Questa voce sentiva /gemere in una capra solitaria. / In una capra dal viso semita / sentiva querelarsi ogni altro male, / ogni altra vita. Da Umberto Saba, Il Canzoniere, Milano, Mondadori, 1981, p. 171.

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Penna dice nell’Avvertenza che ha scritto le prose soprattutto tra il ’39 e il ’41. Ma di alcuni racconti è impossibile, secondo me, che siano stati scritti in quel periodo, come ad esempio il ventesimo racconto Arrivo al mare che parla dell’arrivo del giovane Penna in treno a Porto San Giorgio nell’estate del 1929. Il racconto mostra delle ovvie similitudini con una delle prime poesie penniane, La vita... è ricordarsi, scritta intorno al ‘29 :

La vita... è ricordarsi di un risveglio/ triste in un treno all’alba: aver veduto/ fuori la luce incerta: aver sentito nel corpo rotto la malinconia/ vergine e aspra dell’aria pungente.// Ma ricordarsi la liberazione/ improvvisa è più dolce: a me vicino/ un marinaio giovane: l’azzurro/ e il bianco della sua divisa, e fuori/ un mare tutto fresco di colore.49

Il racconto, a differenza della poesia, è scritto da un punto di vista eterodiegetico. Il narratore dice a proposito del personaggio, anche qui un possibile alter ego dello scrittore Penna, che “era la prima volta che viaggiava da solo.”50 Nonostante l’istanza narrativa diversa, che causa nella prosa una sensazione di alienazione, le similitudini tra il racconto Arrivo al mare e la poesia La vita è ricordarsi... sono molto serrate. Il treno di cui parlano sia la poesia che la prosa è quello che, nell’estate, portava Penna da Roma a Verdemare, vicino a Porto San Giorgio, dove Penna vive i primi innamoramenti, sempre di tipo omosessuale. La malinconia della prima strofa della poesia ritorna nella prosa nel momento che, quando il personaggio arriva a destinazione, “si chiuse dentro con la chiave e la malinconia lo prese.”51 La seconda strofa della poesia viene rielaborata nel racconto sotto forma di sogno, che libera il personaggio dalla malinconia. Nel sogno il personaggio apre un cassettone e vede “nel buio una divisa di marinaio tutta bianca e azzurra”52, il che richiama i versi quasi simili della poesia citata: “un marinaio giovane: l’azzurro/ e il bianco della sua divisa.” Confrontando i due testi e individuandone le similitudini, a mio giudizio, i testi si trovano più vicini, cioè secondo me la prosa non è stata scritta a distanza circa dieci anni ma piuttosto intorno al momento della stesura della poesia.

Nel volume figurano anche dei racconti che devono per forza esser stati scritti dopo il ’41, come Paura e La morte, visto che il personaggio Penna parla in questi racconti della morte del padre Armando Penna, deceduto nel ’43 (“non avevo pianto dalla notizia della morte di mio padre”53 e ancora “cercavo la tomba di mio padre”54). Anche una poesia contenuta in Stranezze

49 Sandro Penna, Poesie, cit. p. 3. 50 UPDF (Arrivo al mare), p. 97. 51 Ivi 52 Ibid., p. 98. 53 UPDF (Paura), cit., p. 124. 54 UPDF (La morte), p. 153.

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(1976) parla del medesimo tema, dove compare, esattamente come nelle prose, la figura del padre:

Mio padre è morto. / Non era vecchio ma già/ s’incamminava./ Era il mio vecchio/ amico sí, da quando,/ io giovinetto,/ scoprivo in lui un compagno/ la sera, il lavoro finito.// Adesso, all’ombra bassa/ fra gli alberi, sotto le stelle/ sento la vita farsi/ più lenta e malinconica./ Eppure è qui la stessa/ delle mie sere accese./ È la stessa che corre/ e torna in bei fanciulli.55

Alla luce di tutti i passaggi testuali citati, mi pare chiaro che la raccolta Un po’ di febbre è strettamente legata alla vita di Penna e, in questo senso, ha ragione Guerrini quando afferma che la suddetta raccolta è “l’alfabeto col quale decifrare l’uomo e l’artista”, in quanto fornisce delle informazioni preziose per comprendere meglio la vita dello scrittore. Ho dimostrato che è anche lecito non avere cieca fiducia nella datazione e nelle affermazioni di Penna contenute nell’Avvertenza.

2.2. “Per me la legge non consente il puro amore”: sul contesto storico

Avendo osservato nel paragrafo appena concluso un legame stretto tra il vissuto e lo scritto in Penna, è opportuno, arrivati a questo punto, analizzare il contesto storico in cui i racconti sono stati scritti e cercare legami tra la storia del periodo e i racconti. Una tale analisi permetterà di capire perché Penna esprime tante volte le sue angosce più personali (ad esempio nel racconto Paura, ventisettesimo della raccolta). La stesura dei racconti va collocata per la maggior parte tra il ’39 e il ’41 ma anche sicuramente fino al ’43, anno in cui il padre di Penna scompare ed è quindi questo periodo che si deve analizzare per delineare il contesto storico.

Nel momento della scrittura della maggior parte delle prose ci si trova in pieno regime fascista che, come è noto, era ostile alle pratiche omosessuali poiché, nella loro opinione, queste pratiche non erano in armonia con l’idea della virilità dell’uomo fascista. Così osserva Lorenzo Bernadusi: “il Fascismo è un regime virile. Quindi gli italiani sono forti e mascolini, ed è impossibile che l’omosessualità possa esistere nel regime fascista”56. Si verifica di conseguenza una progressiva stigmatizzazione degli omosessuali, come testimonia il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (1931) che permetteva di punire gli individui che mostrassero un atteggiamento “scandaloso”. Questa legge non imponeva un processo obbligatorio e non erano

55 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 402. 56 Lorenzo Benadusi, citato da Alan Johnston “I fascisti avevano creato una isola gay in Italia per mandare al confino gli omosessuali”, disponibile su http://italiadallestero.info/archives/18536 (consultato il 6/1/2017)

25 nemmeno necessarie le prove. Il regime fascista aveva proposto come soluzione la “ghettizzazione” delle comunità gay, ad esempio sulle isole Tremiti. Le leggi razziali fasciste, promulgate nel ’38, invece, prevedevono la condanna vera e propria degli omosessuali, sull’esempio del nazismo tedesco, con la persecuzione e lo sterminio degli omosessuali. 57

Le prose di Un po’ di febbre forniscono delle ottime testimonianze del fatto che Penna vivesse in un tempo incongruo con la sua scrittura. Ad esempio, in Paura descrive di maniera esplicita, onesta e purissima le sue angosce più intime: la paura della bellezza, la paura dell’amore e soprattutto la paura di toccare un ragazzo “se non ha la prova della sua età superiore ai sedici anni.”58 Penna si sdegna nel racconto della “triste legge” che per lui “consente il vizio, ma non consente il puro amore.”59 Si potrebbe anche citare una poesia in cui se la prende, pur implicitamente, con gli apparati di Stato: “Fuggono i giorni lieti/ lieti di bella età./ Non fuggono i divieti/ alla felicità.”60

Per altro, il campo semantico della “virilità”, parola esaltata dal fascismo, è troppo presente nella raccolta per passare inosservato. Nel nono racconto Angolo di via Porpora, ad esempio, parlando di un film visto al cinema si legge che: “la luce sorprende gli spettatori nell’asciugamento delle lacrime, più o meno furtive secondo che virilità comanda o feminilità indulge”61 o, ancora nel contesto cinematografico, “i miei vicini si asciugano gli occhi furtivamente (virilità) perché sullo schermo i genitori picchiano la ragazza disonore della famiglia.”62 In Sulle rive di una marrana (dodicesimo racconto) il narratore dice, a proposito di un fanciullo, che “gli atteggiamenti coscienti erano, voluti, virili, anche troppo virili”63 o ancora sulla stessa pagina il protagonista afferma che: “lui doveva, secondo me, abbandonare ormai quella vita [...] per lasciare soltanto la necessità del lavoro, di altri svaghi più virili, più sociali insomma.64 Potrei citare ancora più esempi ma mi pare chiaro che il campo semantico della virilità è estesamente presente. Penna sembra dire che il fascismo in qualche modo costringe la gente a dissimulare i propri sentimenti: nel cinema le lacrime non si possono manifestare dato che l’esprimere empatia con una “ragazza disonore della famiglia” non è in armonia con l’idea

57 Per più approfondamenti, si veda Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Milano, Feltrinelli, 2005. 58 UPDF (Paura), p. 125. 59 Ibid., p. 124. 60 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 72. 61 UPDF (Angolo di via Porpora), p. 40. 62 UPDF (Cinema), p. 127. 63 UPDF (Sulle rive di una marrana), p. 56. 64 Ivi

26 di virilità esaltata dal regime. Descrivendo questi tipi di scene Penna mostra dove il regime interviene nella vita quotidiana, ad esempio durante una semplice serata al cinema.

L’esperienza della Seconda Guerra Mondiale è, pur non esplicitamente, presente in Penna: descrive soprattutto i soldati che egli osserva nella città, scegliendo così di descrivere la parte (per lui) più bella di un’esperienza distruttiva. Facendo questo, Penna non ignora completamente l’aspetto storico e contraddice in un certo senso la recensione di Pasolini menzionata nel primo capitolo, perché non ignora completamente la storia, ma la vive come un’esperienza iperpersonale. Sono soltanto piccoli accenni come i seguenti:

Ora le rive del fiume si popolavano di soldati con le donne, di branchi di ragazzini in corsa.65

Poi tutto ad un tratto sale un’infinità di gente, con lieti e altissimi gridi. Il tram ne è subito riempito e riparte illuminandosi fra tutte quelle ragazze, fra tanti soldati e giovanotti.66

Anche nelle sue poesie, Penna fa brevi accenni alla presenza dei soldati. Si leggano a proposito, nelle Poesie inedite datate tra il 1927 e il 1955, questi versi:

Non moriva la luce ove un soldato solitario sedeva a un parapetto. 67

La poesia contenuta in Giovanili ritrovate (1927-1936) illustra bene come Penna utilizza i soldati come personaggi di sfondo, mentre per lui è più importante l’amore tra sè e, in questo caso, il ragazzo Marcello.

Se partono soldati per la guerra cantando – e il canto i nostri cuori serra, diversi – ride fra noi due amore.68

Gli esempi citati testimoniano del fatto che Penna era, anche se implicitamente, attento al contesto storico in cui faceva lo scrittore. Sia il contesto fascista ostile all’omosessualità che la Seconda Guerra Mondiale trovano la loro eco in Un po’ di febbre.

65 UPDF (Come una sigaretta…), p. 35. 66 UPDF (I sentieri), p. 78. 67 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 145. 68 Ibid., p. 279.

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2.3. Analisi genetica

2.3.1. Lo sviluppo della raccolta

Dal momento che la raccolta congiunge una moltitudine di testi di natura differente è indispensabile indagarne l’origine. È Penna stesso a fornire delle informazioni capitali per quello che riguarda la genesi di Un po’ di febbre: nell’Avvertenza, nodo centrale per l’analisi della raccolta, afferma che:

“scritte per lo più dal 1939 al 1941, solo un terzo di queste prose apparvero già sui quotidiani e le riviste di allora (L’Ambrosiano, Il Giornale d’Italia, Oggi, Corrente ecc., fino al primo anno de Il Mondo, 1947); allora poco lette quanto oggi introvabili. Il resto è invece del tutto inedito.”69

Si impone quindi una dicotomia iniziale: da una parte quasi un terzo dei singoli testi era già stato edito su rivista prima di essere uniti in un unico supporto e dall’altra parte la maggioranza dei testi era, fino al ’73, inedita. Com’è noto, Penna teneva sempre dei manoscritti da parte per poi pubblicarli durante i suoi periodi finanziariamente più difficili. Lo statuto speciale della raccolta (combinazione di editi - peraltro pubblicati in luoghi diversi - e inediti) implica la presenza di un politesto eterogeneo che richiede un’ulteriore indagine dei meccanismi formali che ne garantiscono l’unità.

Guardiamo adesso quindi più in dettaglio lo sviluppo della raccolta. Negli allegati si trova uno schema che riassume, per ogni racconto, la data della prima uscita su rivista e il periodico in cui è apparso (con un’eventuale variante del titolo). Il punto di partenza dell’analisi genetica è stato il saggio “Una prosa lirica di Sandro Penna non compresa in Un po’ di febbre” 70 scritto da Elena Gurrieri che vi presenta gli esiti di una ricerca svolta negli anni Ottanta in alcune biblioteche fiorentine. Tuttavia, come tenterò di argomentare, nonostante il suo prezioso contributo, la ricerca non si può definire esaustiva. Avendo, con molto impegno e a volte anche difficoltà, cercato di riconsiderare le edizioni originali su rivista conservate presso biblioteche sparse per il territorio italiano, ho provato a raggiungere una maggiore comprensione della storia di Un po’ di febbre per aprire delle nuove prospettive. Nonostante lo sforzo di trovare i

69 UPDF (Avvertenza), p. 157. 70 Elena Gurrieri, “Una prosa lirica non compresa in Un po’ di febbre” in Quel che resta del sogno. Sandro Penna. Dieci studi (1989-2009), Mauro Pagliai, Firenze, 2010, pp. 95-108.

28 testi originali, i quattro racconti editi sull’Ambrosiano tra l’aprile e il settembre del ’39 non sono reperibili.71

Se si considera il racconto Viaggio in Ciociaria come due racconti indipendenti (Il sonno del povero e Ragazzi, pubblicati a distanza di alcuni mesi sulla rivista Oggi), undici racconti erano già stati editi autonomamente tra l’aprile 1939 e il gennaio 1940; è anche meno del “terzo” di cui parlava Penna. Anche le riviste dove sono state pubblicate le prose meritano una riga di spiegazione (Campo di Marte, Corrente di vita, Oggi, L’Ambrosiano): furono delle riviste sulle quali hanno pubblicato i grandi scrittori della tradizione letteraria italiana del Novecento come Montale, Quasimodo, Gadda; furono così quasi tutte delle “pedane” verso la fama letteraria. Campo di Marte e Corrente di Vita avevano entrambi una forte connotazione antifascista e si attribuivano un valore di opposizione al sistema della censura, contrariamente a L’Ambrosiano che dal 1930 è diventato un periodico di regime, presieduto da Armando Mussolini, fratello di Benito Mussolini.

Guardando lo schema delle prime edizioni dei racconti, saltano all’occhio alcune cose: in primis, sembra forse superficiale, ma è importante notare che nella prima metà della raccolta vi sono molte più prose già edite su rivista prima di esser pubblicate in Un po’ di febbre. La seconda metà invece contiene quasi tutti testi inediti. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che Penna si fosse basato sui racconti già pubblicati per la prima parte della raccolta. Può darsi che il poeta avesse poi cercato le prose inedite che si collocassero meglio in una raccolta, che potessero formare un insieme coerente. Si registra, in ogni caso, una divisione interna. A sostegno di questa ipotesi c’è la maggiore uniformità nella prima parte, sia dal punto di vista dei titoli, della lunghezza delle prose che delle tematiche. Inoltre, come si leggerà più avanti, nella seconda metà della raccolta c’è una svolta tematica verso il pessimismo, laddove nella prima parte è molto meno presente. Altre conferme a quest’ipotesi verranno ulteriormente presentate nel capitolo successivo. Tuttavia per verificare quest’ipotesi occorrerebbe uno studio più consistente degli autografi di Penna ma sfortunatamente l’informazione sui manoscritti penniani, soprattutto per quello che riguarda le prose, è assai scarsa. Pur avendo tentato di

71 Una ricerca personale mi ha permesso di ottenere le edizioni su rivista seguenti: - I racconti pubblicati su Campo di Marte, ottenuti dalla Biblioteca Comunale Intronati di Siena. - I racconti pubblicati su Corrente di Vita, ottenuti dall’Istituto Storico Parri Emilia-Romagna di Bologna. - I racconti pubblicati su Oggi, ottenuti dalla Biblioteca Comunale Centrale di Milano. - L’unica biblioteca che conserva l’archivio dell’Ambrosiano è la Biblioteca Gabriele d’Annunzio a Pescara, però mancano i fascicoli del 1939.

29 accedere all’archivio dei manoscritti di Penna, esso rimane finora ad accesso limitato e privilegiato.

È inoltre molto importante considerare l’ultimo racconto del volume: La morte. La frase che chiude il racconto, e di conseguenza anche la raccolta, è la seguente: “Mio verso ultimo di un’antica poesia. “Ricordati di me, dio dell’amore.”72 Non è una frase qualsiasi, è una citazione di una poesia di Penna stesso, contenuta nell’ultima raccolta Stranezze (1976):

Un altro mondo si dischiude: un sogno fanciulla mia beata sotto il sole medesimo (oh gli antichi e dorati fanciulli). Un lieve sogno la vita... Ricordati di me dio dell’amore.73

Abbiamo a disposizione un ottimo esempio di “intratestualità”, ossia della ripresa da parte dell’autore di un proprio testo in un altro; nel caso di Penna, l’autore fa nella prosa riferimento alla propria poesia. Peraltro è molto interessante notare che la raccolta Stranezze è divisa in tre parti: la prima parte contiene le poesie datate dal ‘57 al ‘65, la seconda dal ‘65 al ‘70 e l’ultima dal ‘70 al ‘76. La poesia appena citata appartiene all’ultima serie (dal ’70 al ’76) ed è anche l’ultima poesia di questa serie. Se è vero che questa poesia è scritta nel periodo che Penna indica, anche il racconto La morte deve per forza esser stato scritto in quel periodo. Se non avesse avuto a disposizione la poesia, non avrebbe potuto inserirla nel racconto. Se questa ipotesi fosse valida, Penna avrebbe proprio scritto La morte con la funzione di chiusura della raccolta di racconti, di cui gran parte era stata scritta molto prima.

Le ipotesi avanzate in questo paragrafo inducono dunque a credere che c’è un certo contrasto tra la prima e la seconda parte della raccolta e che Penna si sia prima basato sui racconti che aveva già pubblicato per poi aggiungerci una seconda parte di inediti.

2.3.2. Varianti

Il fatto che alcune prose sono state pubblicate in due modalità diverse e a distanza di alcuni decenni induce a ipotizzare che ci possano essere varianti tra il racconto pubblicato su rivista e quello pubblicato in volume, sia per quanto riguarda la titolazione che per il contenuto. Infatti, per alcuni testi il titolo del racconto pubblicato su rivista non è identico a quello del racconto

72 UPDF (La morte), p. 155. 73 Ivi

30 dell’edizione del ‘73. Ne Le parole nascoste lo studioso Roberto Deidier propone una catalogazione e un’analisi dei manoscritti di Penna. Nonostante l’importanza di questa ricerca, vi si trovano poche informazioni sui manoscritti riguardanti Un po’ di febbre e osserviamo quello che può risultare utile alla nostra analisi: la prosa Un giorno in campagna è catalogata con queste informazioni: “2 ff. [fogli] di una redazione a stampa con il titolo e correzioni aut. a inchiostro blu.”74 Vuol dire che Penna aveva pensato di utilizzare il nome del ragazzo Quintilio per intitolare la prima prosa della raccolta. Inoltre, Penna aveva datato alcuni racconti a mano: si tratta di Psicologia personale, con la menzione “Milano, 7 luglio ’39, ore 2- 3”75 e di Paura dov’è scritto “Roma, 20 marzo ‘40”.76 Infine, Roberto Deidier osserva che Serata milanese all’inizio includeva ben quattro brani invece dei due presenti in Un po’ di febbre.

Ritornando allo schema si impongono ancora alcuni chiarimenti poiché alcuni racconti possono indurre infatti in confusione: si tratta dei tre racconti Il racconto, Racconto geometrico e Un racconto, che hanno pure confuso gli studiosi. Ad esempio, Elena Gurrieri afferma quanto segue: “Un racconto, in Corrente, 15 luglio 1939, p. 3 (ma Il racconto)”77 il che la fa pensare che Un racconto nel periodico Corrente è diventato Il racconto in Un po’ di febbre. Però si sbaglia qui poiché un’attento confronto tra i testi svela che in realtà il contenuto di Un racconto coincide con quello di Racconto geometrico e ciò vuol dire che di Il racconto non esiste una versione precedentemente pubblicata su rivista.

Un’altra osservazione è che Sulle rive di un fiume, edito per la prima volta su Oggi il 2 settembre 1939 è stato cambiato in Sulle rive di una marrana. La parola italiana più comune è stata sostituita con la parola “marrana”, in dialetto romano: con un procedimento inverso alla standardizzazione del discorso. Un ultimo cambiamento che riguarda i titoli è quello del racconto nel dittico Viaggio in Ciociaria dove I ragazzi, pubblicato il 13 gennaio 1940 su Oggi, diventa in Un po' di febbre Ragazzi. L’articolo determinativo è stato omesso e questo incrementa la generalizzazione e l’indeterminatezza della categoria di personaggi: non sono “i ragazzi” ma semplicemente dei “ragazzi”.

74 Roberto Deidier, Le parole nascoste, Sellerio, Palermo, 2008, p. 159. 75 Ibid., p. 160. 76 Ivi 77 Elena Gurrieri, “Una prosa lirica non compresa in Un po’ di febbre” in Quel che resta del sogno. Sandro Penna. Dieci studi (1989-2009), cit., p. 96.

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Procedendo con l’analisi78 ho notato tre tipi di interventi d’autore: il primo gruppo ha a che vedere con la punteggiatura e con cambiamenti di tipo ortografico: vi sono infatti tanti esempi di varianti accentuali (“chè volevo” e “ché volevo”), interpuntoree (“Ma mi sembrò, che obbligate a” e “Ma mi sembrò che, obbligate a”) e prettamente ortografiche ( “giuoco” e “gioco”). Può darsi che questi cambiamenti siano l’effetto del passaggio da un editore a un altro o anche l’esito di una standardizzazione dell’ortografia dell’italiano, verificatosi nel periodo che sta tra il momento della stesura dei racconti e il momento della pubblicazione. Il Dizionario d’Ortografia e di Pronuncia di Migliorini et al. del 1969 è un esempio di questa evoluzione con il suo intento di stabilire lo standard dell’ortografia italiana. Forse i testi sono stati rivisti per questa ragione.

Al secondo gruppo appartengono gli interventi in campo lessicale, del tipo “autore incendiario” che diventa “autore vivo e nuovo” o “ma chiusa e ardente” che diventa “ma chiara e ardente”. Si tratta soltanto di piccole varianti lessicali che non sembrano modificare di molto il significato originale del racconto.

Infine osserviamo le varianti più pregnanti in cui lo scrittore interviene sulla struttura stessa del testo: aggiungendo o ripensando completamente alcuni passi. Un chiaro esempio si trova in Sulle rive di un fiume (marrana): laddove nel ’39 si leggeva “Un ponte altissimo ed esile lasciava lassù passare i treni col fumo bianco, come in un sogno di sole immagini. Camminai ancora scegliendo [...]”79 nel ’73 viene aggiunta una frase intera: “Un ponte altissimo ed esile lasciava lassù passare i treni col fumo bianco, come in un sogno di sole immagini. Era la ferrovia vaticana. Camminai ancora scegliendo [...]”80 O ancora: “Ma loro avevano sempre il tempo di fuggire risalendo sulla terra, e magari con i panni in mano. Finsi allora di dare buoni, paterni consigli”81 che diventa nel ’73: “Ma loro avevano sempre il tempo di fuggire risalendo sulla terra, e magari con i panni in mano, seguiti dalle pistole sul dietro dei loro corpi nudi. Finsi allora di dare buoni, paterni consigli.”82 Nella seconda variante si parla di alcuni ragazzi che sono obbligati a fuggire per la “ronda” che sta sorvegliando il fiume a cui si sono recati senza pagare l’accesso; per non farsi scoprire, fuggono nudi con i panni in mano. È un’immagine abbastanza grottesca, anche per l’epoca storica in cui il racconto è stato pubblicato. Sarebbe stato

78 L’’esito della ricerca è riportato negli allegati. 79 Sandro Penna, “Sulle rive di un fiume”, in Oggi, 2 settembre 1939 – XVII, p. 4. 80 UPDF (Sulle rive di una marrana), p. 52. 81 Sandro Penna, “Sulle rive di un fiume”, in Oggi, 2 settembre 1939 – XVII, p. 4. 82 UPDF (Sulle rive di una marrana), p. 56.

32 impensabile per Penna introdurre l’immagine delle pistole sui corpi nudi dei fanciulli nel ’39, dato il contesto storico.

Nonostante la presenza di queste varianti, è importante sottolineare che i cambiamenti dei racconti di Un po’ di febbre sono minimi e riguardano solo piccoli dettagli, tuttavia è interessante studiarli perché illustrano bene come un testo può variare da una sede di pubblicazione a un’altra.

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Capitolo 3: Una raccolta caratterizzata dalla “progressiva chiarificazione”

La nostra vita è un'opera magica, che sfugge al riflesso della ragione e tanto più è ricca quanto più se ne allontana, attuata per occulto e spesso contro l'ordine delle leggi apparenti. - Gabriele d’Annunzio -

Nel capitolo precedente ho contestualizzato la raccolta Un po’ di febbre: prima in rapporto con la biografia dell’autore, poi con il contesto storico; infine ho cercato di tracciare il profilo della genesi del libro. Propongo adesso di avvicinarsi di più al testo stesso. Questa parte sarà svolta in diverse tappe: prima studierò il paratesto, poi la struttura del testo, farò qualche osservazione sui cosiddetti “connettori” per poi affrontare alcuni aspetti tematici e infine studiare l’istanza narrativa.

3.1. Paratesto

Un primo passo nella comprensione del senso di una raccolta è l’analisi del paratesto, ovvero tutto ciò che si trova nei dintorni immediati del testo: il titolo, i sottotitoli, la copertina, la quarta di copertina, l’indice, un’eventuale post- o prefazione e così via. La teorizzazione del paratesto è merito dello studioso francese Gérard Genette che, in Palimpsestes,83 definisce la “paratextualité” (la relazione fra un testo e tutto ciò che lo circonda) come uno dei cinque tipi di “transtextualité” (tutto ciò che mette un testo in relazione con un altro). Genette sviluppa il concetto più ampiamente in Seuils84, in cui suggerisce che il paratesto è la soglia attraverso cui si accede a un testo.

3.1.1. Titolo e titoli interni

Le soglie, in Un po’ di febbre, sono in primo luogo il titolo della raccolta e in secondo luogo titoli interni della raccolta. Con “titoli interni” intendo i titoli di ogni singolo racconto. Ci si potrebbe chiedere in quale misura il titolo della raccolta e i singoli titoli interni abbiano una relazione con il contenuto della raccolta.

83 Gérard Genette, Palimpsestes: la littérature au second degré, Paris, Seuil, 1981. 84 Id., Seuils, Paris, Seuil, 1987.

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Penna ha sempre avuto la tendenza a non dare titoli alle sue poesie. Nel primo volume di poesie, che si chiama appunto Poesie, uscito nel 1938, meno di un terzo dei testi recano un titolo. È chiaro che, secondo Penna, il testo non ha sempre bisogno di possedere un titolo, può anche stare da solo. Quello che si osserva in Un po’ di febbre è che c’è una distinzione tra titoli tematici e rematici. Laddove nella prima metà della raccolta i titoli riprendono soprattutto un elemento della narrazione: l’ambientazione, un personaggio principale e così via (L’impiegato contemplativo parla di un impiegato, Due Venezie parla della capoluogo veneto, Serata milanese parla di una serata a Milano), nella seconda metà della raccolta, i titoli diventano più rematici ossia isolano un elemento di genere (Psicologia personale, Appunto, Verità, Appunto triste...).

Il titolo della raccolta, Un po’ di febbre, in prima istanza fa pensare al campo semantico della malattia. Dopo la lettura della raccolta, invece, si nota che il tema della malattia non è il nodo centrale della raccolta. Nel racconto eponimo, il quarto della raccolta, Penna elabora la tematica della malattia, ma per esprimere un concetto diverso da quello di “malattia”: per lui la malattia ossia la febbre è utile a fare poesia, e con ciò afferma in verità che considera i suoi periodi di malinconia necessari alla sua produzione poetica. C’è quindi un forte legame fra il titolo della raccolta e il contenuto, ma non in senso propriamente letterale; cioè la raccolta non parla della malattia in sé ma della malattia come conditio sine qua non per la scrittura di Penna.

Il fatto che questo racconto si situa tra i primi della raccolta, è molto importante perché propone una chiave d’analisi per i testi che seguono e condiziona in qualche modo il lettore nel suo percorso di lettura. Perciò è necessario fare un piccolo passo indietro: il racconto L’impiegato contemplativo, appena precedente Un po’ di febbre, prepara il racconto seguente. Riguarda infatti un impiegato che viene licenziato a causa del suo innamoramento per una collega e l’elemento della febbre appare a più riprese:

Durante quei giorni di febbre il suo amore divenne più forte, ma ad un tempo meno doloroso.85

Ed ora la febbre lo aiutava a distruggere tutti quegli ostacoli che lo avvilivano invece, sempre presenti, durante la sua vita di lavoro.86

Poi l’impiegato si immagina, in analogia con se stesso, anche la sua collega malata:

85 UPDF (L’impiegato contemplativo), p.13. 86 Ivi

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Ma poi si ricordava di dover soffrire per la povera fanciulla che si figurava in letto, com’era stato lui, proprio come lui, con la febbre a trentanove.87

Il campo semantico della malattia (si parla di “febbre”, “guarito”, “convalescenza”, “febbre a trentanove”...) prepara la lettura successiva. Il racconto Un po’ di febbre parla di un ipocondriaco che da alcuni giorni ha un po’ di febbre e pensa che si tratti di tubercolosi e che di conseguenza sta vivendo i propri ultimi giorni. Dopo una visita dal parucchiere e l’incontro con un fanciullo che vi lavora, comprende l’assurdità dei propri comportamenti:

Ma quella stessa sera la febbre sparì. Egli rise delle sue apprensioni, subito così funeste. Si dette dello sciocco tanto più che aveva già pavidamente palesato quelle sue ansie. Ma ripassando il giorno dopo davanti al negozio del parucchiere, e rivedendo quel ragazzetto come tutti gli altri, sporco ed elementare, capì che la febbre può, dopo tutto, esser utile a far della poesia.88

L’istanza narrativa è un narratore eterodiegetico, ma è chiaro che Penna è il malato e che si sta nascondendo dietro al personaggio. Penna fa in queste ultime frasi del racconto una dichiarazione poetica: per lui la febbre, ovvero la malattia, la malinconia, la depressione aiutano a fare poesia. Penna considera la malattia quindi una necessità per il mestiere di poeta. L’ultima frase di questo racconto è molto siginificativa perché funge da chiave di volta per i racconti successivi, ne parlerò tra poco.

Il campo semantico della malattia e della febbre non sparisce del tutto: nella prima parte della raccolta occorrono lemmi che fanno parte del medesimo campo semantico. I termini non sono unicamente associati all’atto della scrittura, ma è un modo di vivere che si ritrova anche in gesti minimi:

Allora ripensò alle pagine dove il racconto gli era nato, scritte febbrilmente a lapis, con le correzioni già stinte dal poco tempo.89

Un gruppo di ragazzacci sta giocando alle carte febbrilmente90

Nel primo esempio, si sta proprio descrivendo la scrittura di un racconto con un lessema legato al campo semantico della febbre: il personaggio ha scritto il racconto in uno stato febbrile, a matita. Nel secondo esempio, invece, si noti che anche una semplice giocata a carte è fatta in

87 UPDF (L’impiegato contemplativo), p.17. 88 UPDF (Un po’ di febbre), p. 22. 89 UPDF (Il racconto), p. 7. 90 UPDF (Lido di Roma), p. 47.

36 uno stato febbrile. In questo caso, l’avverbio “febbrilmente” esprime piuttosto lo stato d’animo nervoso o frenetico dei ragazzi.

Si constata che Un po’ di febbre e L’impiegato contemplativo sono due racconti strettamente legati tra di loro, nel senso che condividono la ricorrenza lessicale del campo della febbre. Dall’analisi genetica della raccolta si sa che il racconto Un po’ di febbre fu pubblicato il 15 luglio 1939 in Corrente, allora è certo che Penna lo aveva a disposizione nella sua “officina” autoriale. La relazione tra Un po’ di febbre e L’impiegato contemplativo, che peraltro non era ancora stato edito su rivista, induce a credere che Penna avesse scritto quest’ultimo racconto con il racconto Un po’ di febbre in mente. O meglio, non voleva esporre il lettore al tema della febbre improvvisamente, ma voleva già introdurlo e condizionare così il lettore tramite il racconto L’impiegato contemplativo. La vicinanza tra questi due racconti è ovvia, mentre più si avanza nella raccolta, meno è frequente la ricorrenza lessicale della febbre: è ancora esplicitamente presente nell’undicesimo racconto Lido di Roma, che ho già citato.

Oltre alla ricorrenza lessicale del campo semantico della febbre, ciò che più conta, è che l’elemento unificatore della raccolta è, come Penna afferma nell’Avvertenza, che “queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta”91. Lo stato febbrile è da sempre associato a delle sensazioni di irrequietezza, di frenesia o di agitazione. È questo stato d’animo che Penna spesso descrive nella raccolta. Il rapporto febbrile con la realtà è ovvio in Arrivo al mare (ventesimo racconto del volume). Il personaggio Penna, rappresentato da un punto di vista eterodiegetico, intraprende un viaggio al mare. È molto eccitato e felice nel treno che lo porta a Verdemare. Ma quando arriva a destinazione, “sentì subito che il sole stanca e che noioso è cercare l’alloggio, parlare e parlare tanto con tutti.”92 Di seguito si sente stanco e si chiude nella sua camera dove “la malinconia lo prese fra quel letto quel cassettone quel lavabo così semplici e sconosciuti.”93 La sua malinconia peggiora quando vede fuori, come se fosse un contrasto con la sua malinconia, un paesaggio splendido. Il personaggio Penna si sdraia, fa un sogno (che riprende alcune tematiche della poesia La vita è ricordarsi...) e quando si risveglia “si trovò liberato dalla tristezza di poco prima ma come torpido e assente ancora.”94 La malinconia non è ancora sparita completamente: Penna non si sente a proprio agio tra la folla, tuttavia l’acqua del mare fa sì che “sentì scomparire ogni tristezza all’improvviso”95 Penna ha un

91 UPDF (Avvertenza), p. 157. 92 UPDF (Arrivo al mare), p. 97. 93 Ivi 94 Ivi 95 Ibid., p. 101.

37 rapporto molto ambiguo con la realtà: essa causa a volte felicità e spavento. L’evoluzione delle sensazioni nel racconto citato illustra bene questa ambiguità: prima c’è la felicità del viaggio, poi la malinconia mentre arriva a destinazione, la quasi scomparsa della malinconia attraverso il sogno e la scomparsa completa di ogni tristezza grazie all’acqua limpida. Si può concludere che il tema della febbre è in primo luogo introdotto attraverso dei racconti che parlano letteralmente della febbre (L’impiegato contemplativo e Un po’ di febbre) per poi evolvere nell’uso figurativo della febbre, appunto lo stato “febbrile” (cfr. infra) che la raccolta attesta con la realtà e con il lavoro del poeta.

3.1.2. Avvertenza

Considerata l’abitudine dello scrittore perugino di non fornire informazioni chiare al lettore, ci si deve soffermare sull’Avvertenza, la nota finale in cui Penna spiega quando e perché queste prose sono state scritte, poiché questo testo, seppur breve, è in contrasto con l’abituale reticenza:

Questa silloge di racconti e foglietti sparsi, che da tempo giacevano in un angolo di casa mia, i pochi amici richiedevano con amorevole sollecitudine alla mia pigrizia, vincendo infine le ritrosie a pubblicare ed anche semplicemente a ripercorrere volti e momenti di una vita che m’apparteneva. Poi mi sono detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un’ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me. Scritte per lo più dal 1939 al 1941, solo un terzo di queste prose appervero già sui quotidiani e riviste di allora (“L’Ambrosiano”, “Il Giornale d’Italia”, “Oggi”, “Corrente” ecc., fino al primo anno de “Il Mondo”, 1947); allora poco lette quanto oggi introvabili. Il resto è invece del tutto inedito.96

Un primo punto di riflessione è il fatto che l’Avvertenza si trova alla fine della raccolta e non all’inizio. Penna non mette il lettore su una data strada prima della lettura dei testi e quindi non propone una spiegazione dei singoli racconti ma spiega piuttosto come ha messo insieme il libro. L’informazione strutturale domina, in questo caso, sull’informazione tematica.

Questi racconti, secondo Penna, sono stati pubblicati per merito dei suoi (pochi) amici. È notevole il topos della modestia in queste frasi: se i suoi amici non lo avessero spinto a pubblicarla, la raccolta sarebbe rimasta inedita. Allora perché Penna esprime la sua ritrosia? Non è possibile che egli non sia cosciente del valore intrinseco di questi suoi scritti.

96 UPDF (Avvertenza), p. 157.

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Nel 1973, anno della pubblicazione, Penna considera la raccolta un modo per ripercorrere la propria vita di poeta (“ripercorrere volti e momenti di una vita che m’apparteneva”). È possibile che avesse percepito la fine della sua vita in quegli anni, visto che era invecchiato precocemente e poteva considerare la raccolta come una sorta di riassunto della sua vita, come testamento letterario che funge da chiave di lettura alla sua scrittura.

Poi Penna fa qualcosa di eccezionale per lui: spiega come e perché ha ordinato i testi ossia in ordine non cronologico. Lo scrittore afferma che un ordine cronologico sarebbe poco rilevante per il lettore, ragione per cui ha ordinato le prose secondo un processo di “progressiva chiarificazione”.97 Importa notare che Penna dice che questo processo è fatto per il lettore, il che può indurre a credere che Penna è consapevole del funzionamento della raccolta di racconti.

Daniele Comberiati afferma che “un testo del genere è talmente raro in Penna (ne è in realtà l’unico esempio) che ritengo non possa passare inosservato”98. Nonostante il suo prezioso contributo, Comberiati, ha dimenticato di menzionare alcune cose a proposito: l’Avvertenza di Un po’ di febbre non è l’unico luogo in cui Penna si indirizza in qualche modo al lettore, lo fa anche nella raccolta Poesie del 1957. Questa raccolta è un insieme di alcune raccolte di poesia già edite più tutta una serie di poesie inedite: Poesie (I), Appunti (III) e Una strana gioia di vivere (IV) e Poesie inedite (II). In questa raccolta, si trova anche una Nota finale:

Il libro è composto di una larga scelta delle poesie scritte fino al 1955. Quelle che mancano, non sempre sono assenti per ragioni estetiche; ma non sono poi tante quelle che, pur piacendomi, ho dovuto tenere nel cassetto. [...] Specialmente dal primo, avrei voluto almeno togliere la poesia come “Nell’alto arido eremo salmastri” o Sogno dello scrivano romantico; avrei potuto, oggi, rendere meno goffe poesie, sostanzialmente buone, come Fantasia per un inizio di primavera o “È pur dolce il ritrovarsi”; ma mi sarebbe sembrato come ritoccare una fotografia giovanile, rischiando di guastare quello che è troppo facile guastare. Ma chi perdonerà questo discorso? E come perdonarmi di non avere affatto ritoccato le poesie di Appunti e di Una strana gioia di vivere, anche se qui si tratta di due volumetti (“marginali”) che sono stati da qualcuno apprezzati così com’erano, in blocco? E allora c’è forse in me la speranza (non più “segreta”, dunque) di non perdere quei pochi, troppo affettuosi, riconoscimenti? 99

97 Svilupperò più ampiamente questo processo nel paragrafo successivo (3.2. Struttura della raccolta e la “progressiva chiarificazione”) 98 Daniele Comberiati, Tra prosa e poesia: modernità di Sandro Penna, cit., p. 17. 99 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 222.

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Per descrivere il processo di rielaborazione dei testi di una raccolta, Penna utilizza una metafora: risistemare le sue opere sarebbe come ritoccare una fotografia di tanti anni prima. Rischierebbe così di “guastare quello che è troppo facile guastare”. Pur avendo avuto la possibilità di apportare dei cambiamenti, non lo ha fatto perché non voleva perdere “quei pochi, troppo affettuosi, riconoscimenti”.

La similitudine tra le due raccolte (una in prosa e una in poesia) è che entrambe sono uno specchio di un tempo passato che non viene cambiato (la raccolta di poesia), e che viene reso nella sua febbrile natura (le prose). Inoltre, nelle due note finali, Penna sottolinea l’informazione strutturale piuttosto che quella tematica.

3.1.3. Quarta di copertina

Giovanni Raboni, che aveva anche curato, insieme a , l’ultima raccolta di poesie Il viaggiatore insonne (1977), ha scritto una nota sulla quarta di copertina della raccolta, un’altra parte importante del paratesto. Vi analizza brevemente i nodi tematici della raccolta:

Un po’ di febbre raccoglie le “prose e i foglietti sparsi” scritti tra il ’39 e il ’41 (quasi tutti) e pubblicati in parte su giornali e riviste. Sono pagine caratterizzate da quella grazia e limpidità proprie della lirica di Penna; vi ritornano anche i luoghi e le impressioni tipici della sua opera, esplorando più diffusamente i dettagli e le sfumature di una realtà che nei versi era volutamente accennata in apparizioni più rapide e fuggevoli. Penna offre così una magistrale variazione sui suoi temi più consueti, ricreando un mondo insieme ordinario e magico, trasparente e misterioso: le città in cui ha vissuto e che ha amato (Perugia, Milano, Roma), i tram, le piazze, le osterie, i cinema; l’asfalto e l’erba, gli intonaci scrostati, gli interni con i loro modesti mobili; e soprattutto l’intensità degli incontri con le cose e con gli uomini.100

Innanzitutto Raboni riconosce nelle prose un grande parallelo con la poesia: le prose hanno lo stesso stile chiaro e semplice e ci sono i medesimi motivi ricorrenti. Nondimeno il critico attribuisce a Un po’ di febbre anche la funzione di uno sviluppo ulteriore di questi motivi: in prosa è possibile soffermarsi di più sui dettagli e diventa possibile una maggiore esattezza. Uno dei temi centrali, secondo Raboni, è l’incontro “con le cose e con gli uomini”, sin dall’inizio presente nella produzione letteraria del poeta perugino.

100 , nota sulla quarta di copertina di Sandro Penna, Un po’ di febbre, cit.

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Il paratesto non autoriale, contrariamente a quello autoriale, si focalizza quindi piuttosto sulle tematiche tratte nella raccolta, mentre Penna, nell’Avvertenza, non le tratta, ma parla della genesi della raccolta e della ragione per cui l’ha edita.

3.2. La struttura della raccolta e la “progressiva chiarificazione”

3.2.1. Una “progressiva chiarificazione”?

Le righe dell’Avvertenza che suscitano più interesse per il presente lavoro sono le seguenti:

Poi mi sono detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me.101

Da una parte Penna parla del fatto che c’è lungo le pagine di Un po’ di febbre un processo che egli chiama “progressiva chiarificazione”: più si avanza nel libro più il senso della poetica autoriale viene chiarito. Questo senso viene dal ripercorrere la vita dall’alba al crepuscolo, come afferma Guerrini.102 In un certo senso la chiarificazione è anche auto-chiarificazione: attraverso i racconti il lettore conoscerà la poetica penniana. Dall’altra parte lo scrittore sottolinea chi è il destinatario di questa logica: il lettore.

Questi due aspetti combinati richiamano le condizioni che Maria Corti pone per l’identificazione di un “macrotesto”. Secondo la studiosa si può parlare di un macrotesto se “esiste una combinatoria di elementi tematici e/o formali che si attua nella organizzazione di tutti i testi e produce l’unità della raccolta” (prima condizione) e “se vi è una progressione di discorso per cui ogni testo non può stare che al posto in cui si trova”103 (seconda condizione).

La raccolta esaurisce la prima condizione della Corti nel senso che c’è anche una “combinatoria di elementi tematici e/o formali” ed è l’autore stesso a indicarlo. Secondo Penna l’elemento che connette tutti i racconti tra di loro è il fatto di intrattenere “un rapporto febbrile con la realtà”. Facendo questo, Penna ha voluto garantire l’omogeneità della raccolta. In un capitolo successivo parlerò delle altre tematiche che ricorrono nella raccolta e la omogeneizzano.

101 UPDF (Avvertenza), p. 157. 102 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre: la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in L’epifania del desiderio, cit., p. 271. 103 Maria Corti, “Testi o macrotesto? I racconti di Marcovaldo”, in Maria Corti, Il viaggio testuale, cit., p. 185.

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Soffermiamoci anche sulla seconda condizione poiché coincide con la logica secondo la quale Penna ha sistemato i suoi racconti. Se c’è veramente una “progressione di discorso”, vorrebbe dire che i racconti non sono interscambiabili e che dunque non possono stare che al posto in cui si trovano. Se li si cambiasse di posizione, una parte del senso andrebbe perduta.

La definizione di macrotesto è, come già detto, rigida, ed è probabile che Corti non avrebbe considerato la raccolta di Penna un macrotesto, ma si può comunque provare ad ampliare il concetto di “macrotesto” e ad utilizzarlo per capire meglio Un po’ di febbre.

Marco Santagata distingue, nel funzionamento di una raccolta di poesie, tra “connessioni di equivalenza” e “connessioni di trasformazione”. Le “connessioni di equivalenza” permettono al lettore di identificare la continuità di una raccolta per mezzo di ripetizioni di elementi costanti (che siano di tipo tematico o linguistico). Le “connessioni di trasformazione”, invece, determinano un processo dinamico di progressione di senso.104 Questa distinzione è molto utile al presente lavoro, nel senso che le “connessioni di trasformazione” vanno intese come gli elementi che assicurano la “progressiva chiarificazione” di Penna. Anche Cesare Segre considera questa relazione un processo dove ogni singolo testo viene connesso al successivo, creando così un incremento di senso.105 Il concetto di progressione di discorso è quindi presente sin dall’inizio della teorizzazione intorno alla raccolta.

È chiaro che il processo di “progressiva chiarificazione” si fonda fortemente sulla struttura del testo e per questo bisogna studiarla in modo approfondito per capire il significato di questo processo che Penna sottolinea.

3.2.2. La struttura di Un po’ di febbre

Lo stile poetico delle prose di Penna mostra dei parallelismi con le sue poesie e perciò Carlo Guerrini conclude che “non si ha dunque, nei racconti, piena autonomia stilistica.”106 Neanche le tematiche in Un po’ di febbre sono innovative per l’opera penniana. L’autonomia della raccolta non va quindi cercata nello stile o nelle tematiche bensì “nel senso derivato

104 Marco Santagata, “Connessioni intertestuali nel Canzoniere di Petrarca”, in Strumenti critici, 1975, 9, 26, pp. 80-112. 105 Cesare Segre, “Sistema e strutture nelle Soledades di A. Machado” in Strumenti critici, 1968, 2, 3, pp. 269-303. 106 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre: la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in L’epifania del desiderio, cit., p. 270.

42 dall’ordinamento delle prose in una struttura che chiarifica un itinerario esistenziale e un fondamento di poetica.”107

Comberiati, sulla scorta della postfazione, afferma a proposito della struttura di Un po’ di febbre che:

La piccola nota finale ha proprio la funzione di istradare il lettore verso una precisa chiave di lettura dell’opera, che potrebbe essere riassunta così: epifania, arrivo impetuoso dell’amore, abbandono dei sensi, coscienza dell’illusione del sentimento amoroso, malinconia e morte.108

Comberiati propone quindi un percorso di lettura piuttosto preciso, basato su nodi tematici che si susseguono secondo un dato ordine. Ogni testo può quindi occupare il posto che occupa e non un altro, come nel macrotesto di Corti. Se si cambiasse un racconto di posto, il senso della raccolta non sarebbe rispettato e quindi non avrebbe luogo il processo di chiarificazione.

Seguirò ora il percorso tracciato sinteticamente da Comberiati per approfondirne i singoli passaggi e illustrare meglio la struttura della raccolta.

3.2.1.1. Epifania

Il tema dell’epifania è per Comberiati la prima tappa della raccolta. L’epifania intesa come manifestazione del divino è un topos di tutta la produzione letteraria di Penna. Però non sono delle divinità che si manifestano, ma giovani fanciulli: non sono delle divinità in senso stretto perché questi non si elevano al di sopra degli uomini. Si potrebbe dire che i fanciulli sono piuttosto dei semidei: si trovano nel mondo dei mortali, cioè tra gli altri esseri umani, ma hanno qualcosa che li distingue dagli altri, e pertanto ricevono un’attenzione particolare da parte di colui che li osserva. Penna divinizza in qualche modo i fanciulli e dà loro uno status particolare di divinità; si deve però fare attenzione che i giovani si trovano fra gli altri viventi: l’uno va in bicicletta, l’altro si trova sdraiato sulla spiaggia.

Tu guardi al cielo verde nella prima sera. Passata è la Bellezza in bicicletta.109

Il mio Amore era nudo in riva di un mare sonoro.110

107 Ivi 108 Daniele Comberiati, Tra prosa e poesia: modernità di Sandro Penna, cit., p. 19. 109 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 243.

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La prima epifania nella raccolta è quella di un fanciullo in Un giorno in campagna, primo testo della raccolta. Il narratore autodiegetico (chiaramente il giovanissimo Penna) alloggia presso la cugina e vi sente parlare di Quintilio, un suo cugino che a volte non torna a casa per giorni interi. Poi il narratore immagina il fanciullo:

Ed io mi figurai Quintilio un’interessante figura, ma cattivo, aspro, ribelle, troppo sicuro di sé, brutto forse, già uomo precoce.111

Nella mente del protagonista, la figura di Quintilio è contraddittoria visto che da una parte è un ragazzo interessante ma dall’altra parte è già troppo adulto per piacergli. Un po’ oltre nel racconto, il personaggio vede Quintilio in realtà e quindi la vera epifania può aver luogo:

Poi, svoltando un sentiero, ricordo l’apparizione di un ragazzino, esile e dritto verso di noi. Ci venne incontro calmo e lucente senza dir nulla. Ci guardava fisso ma senza osservarci [...] “È Quintilio,” gridò mia cugina accarezzandolo e aggiustandolo tutto. Ma lui restava immobile senza chiedere chi fossi io, senza guardarmi più.112

Dopo una breve conversazione col fanciullo, il narratore capisce che si è sbagliato: “ma niente di cupo, di inferiore, o di ribelle, di uomo come avevo pensato la sera prima.”113 Dopo l’interazione con Quintilio, questo “si allontanava poi meccanicamente, come attratto da qualcosa che a noi non appariva.”114 Qui succede qualcosa che si potrebbe chiamare un’epifania di secondo grado: non è più il narratore che viene attratto da un’apparizione ma è il personaggio Quintilio ad esser attratto da qualcosa che per gli altri personaggi è invisibile. Penna sta quindi descrivendo due epifanie nello stesso tempo: il narratore autodiegetico vede l’apparizione di Quintilio mentre quest’ultimo è anche attratto da qualcosa che però sfugge al narratore. Gli oggetti delle due epifanie divergono tra di loro.

L’epifania vera e propria (quella di Quintilio) viene ripetuta quando la fine del soggiorno è arrivata e il narratore deve dire addio alla cugina:

Solo Quintilio non c’era, ma nelle svolte della “corriera”, appena staccatici dal paese ed entrati nella solitudine della prima campagna, noi quasi lo vedevamo apparire, lì sulla strada, dritto a darci il suo calmo saluto nella campagna già sicura.115

110 Ibid., p. 16. 111 UPDF (Un giorno in campagna), p. 2. 112 Ibid., p. 4. 113 Ivi 114 Ivi 115 Ibid., p. 5.

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L’epifania va di pari passo con la “malinconia post-epifanica, un malessere molto particolare, agrodolce e dunque per sua stessa natura ossimorico”: 116

Ma lui restava immobile senza chiedere chi fossi io, senza guardarmi più.117

La delusione del protagonista viene già introdotta attraverso la congiunzione avversativa “ma”: il fanciullo non si muove, non interagisce con lui e non lo guarda nemmeno. C’è di conseguenza un grande contrasto tra l’euforia dell’apparizione e la malinconia della sparizione.

I primi racconti della raccolta rappresentano i primi passi dello sviluppo sessuale del personaggio Penna. Le allusioni all’amore omosessuale ci sono, ma sono brevi accenni, quasi aneddoti... Se ne trovano degli ottimi esempi in Il racconto (secondo testo del volume), in cui il protagonista Giorgio vede stampati i suoi primi racconti. Già nella descrizione della reazione dei due figli (un maschio e una femmina) è ovvia la differenza tra le reazioni alla pubblicazione del racconto di Giorgio:

La signorina Matilde guardò Giorgio con occhi ridenti di ammirazione e promise di leggere il racconto il giorno dopo, ché quella sera un ballo l’aspettava e subito doveva vestirsi. 118

Soltanto Pierino non disse nulla, ma si alzò e si mise dietro le spalle del padre, per vedere subito il racconto. Quando ebbe letto il grosso titolo e il nome di Giorgio in fondo, così bello stampato, guardò il giovane autore con tacita ammirazione, come se lo avesse visto a braccio di una ragazza: era già grande lui!119

Provano entrambi ammirazione per Giorgio, però per la figlia i vestiti e il ballo prevalgono sulla lettura del racconto, laddove Pierino è molto di più interessato. È appunto Pierino che un po’ oltre nel racconto parla di un passaggio rilevato dalla mitologia classica, spesso considerato di connotazione omoerotica:

“Figurati che Achille, per il dolore della morte di un amico, lui che era un eroe, si strappa i capelli e si butta la cenere addosso.”120

116 Daniele Comberiati, Tra prosa e poesia: modernità di Sandro Penna, cit., p. 28. 117 UPDF (Un giorno in campagna), p. 4. 118 UPDF (Il racconto), p. 8. 119 Ivi 120 Ibid., p. 10.

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Si tratta dell’episodio dell’Iliade in cui Achille quasi diventa folle a causa della morte del suo amico Patroclo. Si copre con la polvere e si strappa i capelli, immagine del summum di disperazione:

Così disse, e una nera nube di angoscia lo avvolse: con ambedue le mani prese la polvere arsa, la rovesciò sul capo, sporcando lo splendido viso, e sulla veste fragrante cadde la cenere. Lui stesso, grande disteso in mezzo alla polvere, giaceva, e con le mani si sfigurava strappando i capelli.121

Nei racconti successivi Penna non si limita più a tali riferimenti sottili, si verifica invece un processo di esplicitazione, tra l’altro a livello delle descrizioni dei corpi maschili.

3.2.1.2. Arrivo impetuoso dell’amore

Segue “l’arrivo impetuoso dell’amore”: una volta che i fanciulli si sono manifestati sotto l’apparenza di un’epifania, arrivano improvvisamente quei sentimenti che provocano l’ammirazione per i fanciulli. Sono soprattutto i sentimenti che vengono sottolineati e non tanto i sensi. In Racconto geometrico (quinto testo) viene messo in scena il contatto tra Penna e un ragazzo diciottenne. Il poeta è subito trattato con confidenza dal giovane:

Mi parlò, in pochi minuti, delle sue cose più intime, dei genitori, degli amici, dei suoi divertimenti, come se io fossi per diventare un suo vecchio amico. E io ero davvero intenerito da questo caldo candore.122

L’ultima frase è molto significativa perché in essa si nota l’arrivo impetuoso dell’amore. Di seguito a una conversazione con il giovane, Penna è preso da un sentimento travolgente, è emozionato da questo “caldo candore”. Si sente rinato, come se fosse di nuovo un giovane ragazzo.

Tuttavia il termine “amore” non è forse il più adatto per parlare della concezione che Penna ha delle relazioni amorose. Concordo con Cesare Garboli quando afferma che in Penna “non c’è nessuna affettività, [ma] c’è solo desiderio”123. Per questo, il termine “ammirazione” mi pare più appropriato perché l’amore che Penna prova è soprattutto ammirazione per una vita giovane, per la forza della giovinezza. Penna è costantemente sorpreso da questo tipo di ammirazione

121 Omero, Iliade, trad. a cura di Guido Paduano, Mondadori, Milano, 2007, XVIII, vv. 22-27. 122 UPDF (Racconto geometrico), p. 24. 123 Cesare Garboli, Penna Papers, Garzanti, Milano, 1984, p. 129.

46 che egli porta ai giovani: nei pressi di una piscina (Donna in piscina, sesto testo), nella periferia dove lavorano dei ragazzi (Due tempi, settimo testo), lungo un fiume (Come una sigaretta..., ottavo testo), al cinema (Angolo di via Porpora, nono testo), al lido dove dei ragazzi giocano alle carte (Lido di Roma, undicesimo testo).

È opportuno aggiungere che c’è, in questa fase, ancora una certa distanza tra il poeta e il fanciullo: non c’è un’interazione diretta. In questo senso, Penna si rivela un ottimo osservatore della realtà che lo circonda, si notino infatti i tantissimi vocaboli che indicano l’attività dell’osservare:

Ma dal viale potevo ugualmente osservare, ascoltare la vita di quella moltitudine di pelli bianche, rosse, nere.”124

Ma rividi anche Gerardo [...] indugiare troppo sotto la sua doccia fredda. Sportivo e lieto, membra dolci e salde, viso di bambino sorridente al getto dell’acqua.125

E il mio occhio colse lì fuori un atteggiamento che lo trattenne.126

Pian piano, l’osservazione evolve nella direzione dell’ ”abbandono dei sensi”. Va da sé che questa distinzione non è netta ma si sviluppa secondo un’evoluzione graduale.

3.2.1.3. Abbandono dei sensi

Quando Penna si abbandona ai sensi il sentimento assume una dimensione panica. Questa dimensione panica di fisicità caratterizza il terzo passo della raccolta. La ricerca dei sensi diventa lo scopo principale dell’autore e in un certo senso Penna fa in modo che i sensi parlino da sé: Lido di Roma (undicesimo testo) e Sulle rive di una marrana (dodicesimo testo) sono degli esempi chiari di questa svolta tematica.

In Lido di Roma, il personaggio Penna descrive lo spostamento dal centro città alla periferia, il Lido. La molteplicità di stimoli sensitivi impressionano il poeta:

Dal viale potevo ugualmente osservare, ascoltare la vita di quella moltitudine di pelli bianche, rosse, nere. 127

124 UPDF (Lido di Roma), p. 48. 125 Ivi 126 Ibid., p. 49. 127 UPDF (Lido di Roma), p. 48.

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La sua attenzione, dapprima indirizzata verso una folla molteplice, viene focalizzata su una persona in particolare:

Ma rividi anche Gerardo, chiamato da fanciulle dal bell’accento romano, indugiare troppo sotto la sua doccia fredda. Sportivo e lieto, membra dolci e salde, viso di bambino sorridente al getto dell’acqua.128

Un vortice di sensi sorprende il narratore: da una parte c’è il mare e la bellezza naturale e dall’altra parte Penna si sente affascinato dalla gente che vede. Non a caso anche Sulle rive di una marrana (dodicesimo testo) è ambientato presso l’acqua limpida. Tra città e campagna Penna osserva “l’aria fresca e lenta”, “calmi voli di ciclisti”. Si impone sopra questi sensi ancora un’altra immagine:

Poi la scena si animò. Il calmo specchio dell’acqua fu rotto dal tuffo di un ragazzo. Alcuna di quelle lente statue si mise a nuotare filando veloce verso l’opposta riva o rumorosamente agitandosi nel tentativo della traversata. Mi accorsi che tutti erano ragazzi.129

Si potrebbero citare ancora infiniti esempi, ma credo bastino i pochi accenni qui riportati per mostrare che c’è sovrabbondanza di stimoli sensoriali.

3.2.1.4. Coscienza dell’illusione del sentimento amoroso

Tra i primi e gli ultimi tre passi proposti da Comberiati, c’è una svolta notevole verso il pessimismo e la disillusione. Penna si rende conto che l’amore è in verità stata un’illusione ed egli diventerà di conseguenza molto più pessimista nelle sue descrizioni. I segni di questa svolta sono già presenti a partire dal racconto Paura (ventisettesimo racconto del volume) dove, per mezzo di un dialogo interiore, Penna si interroga sul modo in cui ama i ragazzi (“vedo angioli dove sono diavoletti”130). Penna conclude che, a causa della sua preferenza per i ragazzi e la “triste legge” che non glielo consente, la vera felicità gli è negata.

Anche Giulietto (trentunesimo racconto) è un ottimo esempio per capire la disillusione penniana. I due protagonisti Giulietto e Mario (alter ego di Penna), avendo avuto qualche rapporto in passato, si rivedono dopo tre anni. Giulietto è ormai diciannovenne e a Mario “non [...] interessò più che per la curiosità di vederne la trasformazione”131, fisica ovviamente. Mario

128 Ivi 129 UPDF (Sulle rive di una marrana), pp. 52-53. 130 UPDF (Paura), p. 125. 131 UPDF (Giulietto), p. 136.

48 vive ancora nel passato, ricordando della bellezza di Giulietto sedicenne, ma quell’ideale si è intanto spezzato:

Eppure aveva voluto provare la sensazione che ne sarebbe venuta. Lo aveva portato a casa. Lo aveva spogliato e si era spogliato. Lo aveva abbracciato come una volta. Ma sentì un corpo meno dolce, il pelo era cresciuto ormai dappertutto.132

La peluria lo rende, secondo Mario, “quasi bestiale” e l’unica cosa che rimane della fanciullezza sono gli occhi che “avevano sempre quella luce scintillante e infantile.”133 Per Mario è ovvia la disillusione dovuta alla crescita verso la maturità, perché ormai la fanciullezza è stata attraversata e Giulietto è quasi diventato un uomo. Il legame con Penna è chiaro: una volta che i fanciulli hanno superato una certa età e che la prima peluria comincia a crescere, Penna ne cerca altri. Ce ne saranno sempre, però saranno diversi. Il tempo non può essere sospeso, continua a scorrere e i fanciulli invecchiano inevitabilmente, come in questa poesia della raccolta Poesie:

L’aria di primavera invade la città. Ai fanciulli la sera cresce un poco l’età.”134

Questa delusione ritorna anche in Verità (trentatreesimo racconto) dove prima Penna elogia la bellezza di un fanciullo “bello della bellezza delle mie più belle poesie”135 per poi capire che “non potrai amar me.”136

In questa serie di racconti, dove prepondera la disillusione, è anche notevole la solitudine del poeta e la ricorrenza lessicale di questo sentimento:

Io resto solo137

Io solo. [...] Nemmeno più le voci sgraziate dei fanciulli.138

Gli ostacoli al vero amore sono per Penna quindi da una parte il contesto storico (il regime fascista) che non gli consente di amare le persone che vuole amare e dall’altra parte la vita che fa sì che i ragazzi diventino uomini, con tutti i cambiamenti, soprattutto fisici che ciò comporta.

132 Ivi 133 Ivi 134 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 24. 135 UPDF (Verità), p. 145. 136 Ivi 137 UPDF (Paura), p. 127. 138 Ibid., p. 129.

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L’amore si definisce in qualche sorte un amore fuggitivo, il che causa tra l’altro la malinconia del poeta. Laddove all’inizio della raccolta, il poeta è sorpreso da epifanie felici e dall’arrivo improvviso dell’amore, l’influenza del contesto storico prevale nella seconda parte. Nella seconda parte, infatti, è ovvio che Penna si sente giudicato e costretto dal sistema.

3.2.1.5. Malinconia

L’illusione che cade provoca conseguentemente una sensazione di malinconia ed è quella che condurrà, in un ultimo passo, al tema della morte. È come se, negli ultimi racconti, Penna sentisse la morte approcciarsi. Nonostante che i racconti siano stati scritti molto prima della sua morte, tutto lo sviluppo della sua vita vi è in un certo senso presente. È quindi possibile che Penna abbia ordinato i racconti secondo la parabola della vita autoriale. Ci ritornerò fra poco.

Il tema della malinconia è connesso alla delusione amorosa ed è quindi inseparabile da essa. In Appunto (trentacinquesimo racconto), ad esempio, viene descritta una scena piena di malinconia: fa freddo ed è nuvoloso. Penna entra in una latteria dove è accolto freddamente da un ragazzo e dalla cassiera, che sembrano non interagire con lui:

E sono ancora solo con la cassiera, che non esiste, piegata sulla lettura. Il ragazzo sfoglia lento le pagine contro il vetro della porta. Sulla strada comincia a nevicare.139

La scena riflette lo stato d’animo del poeta: l’inverno con il suo freddo, le sue nuvole e la sua neve è una metafora per indicare la fine della vita del poeta e la malinconia che essa porta con sé.

Il penultimo racconto Appunto triste è un racconto molto breve in cui sembra che Penna abbia definitivamente perso la speranza nel vero amore:

Rivedo gli altri ragazzi, la loro naturale e salda maschilità cedere generosamente. Egli ch’è già la pianta ch’io vedo, e non altra, e che crescerà com’io so e non in altra maniera, egli è invece adesso attaccato al suo sesso davvero come il naufrago allo scoglio. Ma non sa niente.140

Si noti l’antitesi tra il poeta che sembra sapere tutto, sembra poter predire il futuro, mentre il fanciullo di cui parla “non sa niente”. La perdita finale della speranza è inoltre riflessa nella brevità dell’appunto: non resta quasi più niente da dire.

139 UPDF (Appunto), p. 149. 140 UPDF (Appunto triste), p. 151.

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3.2.1.6. Morte

La malinconia è da sempre un sentimento connesso alla morte. In effetti, la raccolta si chiude con il racconto che si chiama appunto La morte in cui Penna cerca la tomba di suo padre al cimitero. La raccolta finisce proprio laddove per lui la vita è cominciata: a Perugia e presso il padre. Penna torna da colui il quale gli ha dato la vita e ne visita la tomba, a ideale chiusura del ciclo della vita.

Colpisce la malinconia di quest’ultimo racconto: non c’è più il lato felice che si trova di solito in Penna. Si parla di cipressi (albero che si trova spesso nei cimiteri), la gente è fredda e domina il buio:

Appena fuori del cimitero, il vento cominciava a piegare gli alti cipressi, le luci elettriche si accendevano, i tram correvano pieni di luce e gente. Entrai in un’osteria in cerca di caldo popolo, ma non potei avere caldo nemmeno il cibo. Quando uscii, quella vita di luci era quasi scomparsa, i fanali ondeggiavano al vento spostando ritmicamente le ombre, e lontano le masse nere dei cipressi addirittura ululavano. Avrei voluto vedere il volto dei rari passanti. Ma volto non ne avevano, nascosti entro i cappotti.141

Domina il sentimento della morte, però l’ultima parola della raccolta è “amore”. L’addio al lettore è proprio una citazione di una poesia autoriale, come se Penna volesse accentuare il collegamento delle prose con la sua poesia: “Mio verso ultimo di un’antica poesia. “Ricordati di me, dio dell’amore.””142 La poesia da cui è ripresa la citazione è l’ultima della raccolta Stranezze (1976):

Un altro mondo si dischiude: un sogno fanciulla mia beata sotto il sole medesimo (oh gli antichi e dorati fanciulli). Un lieve sogno la vita... Ricordati di me dio dell’amore.143

Colpisce che l’ultima parola di un racconto pieno di tristezza per la morte del padre sia comunque “amore”. Com’è noto, Penna non aveva un buon rapporto col padre (si trasferisce da Perugia a Roma perché vuole seguire il giovane Ernesto, ma anche perché il rapporto col

141 UPDF (La morte), p. 154. 142 Ibid., p. 155. 143 Id., Poesie, cit., p. 436.

51 padre peggiora), forse perciò in questo racconto si pente e c’è ancora la speranza del ricordo in questa parola.

3.2.3. Una “progressiva chiarificazione”!

Quello che ho voluto dimostrare è che c’è uno sviluppo logico ovvero una “progressiva chiarificazione” lungo le pagine di Un po’ di febbre. La raccolta parte da un giorno in campagna con la corrispondente apparizione improvvisa di un fanciullo e finisce con l’immagine della morte e della tomba del padre. Nel primo racconto c’è quindi l’immagine della gioventù e nell’ultimo l’immagine della fine della vita. Afferma Guerrini che:

In queste prose, involontariamente, Penna ha già sigillato i tempi di uno sviluppo vitale: così, quando agli inizi degli anni Settanta riprende in mano i suoi vecchi racconti, egli vi trova l’aurora e il crepuscolo della propria esistenza, le prose della scoperta dell’eros, dell’eros vissuto e dell’eros perduto.”144

È interessante tenere in mente che il libro è stato edito verso la fine della vita di Penna quando lo scrittore è anziano e malato, ma che la maggioranza dei testi sono stati scritti quando Penna era ancora relativamente giovane. Tutto lo sviluppo vitale del poeta vi è dunque presente. Può darsi che Penna avesse sentito approcciare la morte e che nelle sue prose inedite avesse individuato un riassunto della sua vita, un testamento letterario. Inoltre il ciclo vitale individuale va di pari passo con una progressione naturale:

Quasi come un antico novellista orientale, l’autore apre il libro con una prosa della primavera, attraversa poi i racconti estivi, ripiega il proprio slancio vitale in una sorte di autunno interiore, conclude infine con i brani dell’inverno.145

L’analisi testuale consente di individuare facilmente tanti esempi di questo sviluppo naturale: si va dalla primavera nel primo racconto Un giorno in campagna, il primo racconto, (“giornata di maggio”) al “caldo soffocante” dell’estate in Come una sigaretta (ottavo racconto). Di nuovo, verso la metà della raccolta c’è uno spezzamento: l’autunno si introduce nel ventidueesimo racconto Osteria (“grigia giornata”) e nella nebbia de La porta antica (trentadueesimo racconto del volume) per poi finire nell’inverno in Appunto, trentacinqueesimo racconto (“fa freddo e nuvoloso”, “comincia a nevicare”). È chiaro che il tempo coincide con lo stato d’animo del poeta poiché le stagioni sono da sempre metafore delle diverse tappe della vita.

144 Carlo Guerrini, “Un po’ di febbre: la parabola dei sensi e il senso del ritorno” in L’epifania del desiderio, cit., p. 271. 145 Ivi

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Tuttavia, a mio giudizio, lo sviluppo vitale coincide anche con una progressione letteraria, che spiegherò tra poco nel paragrafo 3.4.3.

3.3. Connettori

Oltre al fatto che segue uno sviluppo logico, la struttura della raccolta è anche ritmica e ordinata e per questo la lettura di Un po’ di febbre è molto scorrevole. I racconti si leggono come se fossero delle onde: si passa da un racconto all’altro quasi senza accorgersene. Questa scioltezza è dovuta soprattutto alle tematiche affrontate: ad esempio, come già detto, il terzo racconto L’impiegato contemplativo prepara il racconto successivo Un po’ di febbre per mezzo della tematica della febbre; tra Osteria (ventidueesimo racconto) e Altra osteria (ventitreesimo racconto) è l’ambientazione che garantisce la connessione; l’ultima frase del diciottesimo racconto Tre luci è: “Ma che cos’è in questa luce turchina e diffusa che adesso più s’addensa sul ponte, ci fissa alla terra, e fa pensare al viaggio, allo spazio?”146, il racconto successivo Viaggio in Ciociaria parla, appunto, di un viaggio che Penna intraprende nella terra natale di sua madre. Il narratore autodiegetico rintraccia in questo racconto, che consiste inoltre di due trame distinte (Il sonno del povero e Ragazzi), l’itinerario del viaggio nella Ciociaria e riproduce quali ricordi ne ha. Un ultimo esempio è il trittico di racconti Il gioco sentimentale , Psicologia personale e Paura (venticinquesimo, ventiseiesimo e ventisettesimo racconto) in cui si parla rispettivamente di “aspetto angelico”, “angiolino” e “angelo”. Questi corradicali intessono un forte legame tra i tre racconti.

La ripetizione è un dispositivo spesso impiegato nella poesia di Penna, anche se certi critici sembrano negarlo:

i libri (o il libro) di Penna [sono] assolutamente privi di concatenazioni e sviluppi interni, quanto di più lontano insomma è possibile pensare, nel Novecento, dall’idea di “canzoniere”147

È indubbio che la poesia di Penna non va associata alla forma del canzoniere, ma il fatto di dire che non ci sono sviluppi interni in Penna, è forse più contestato, come nota Fabio Magro:

Il tipo di legame forse più esplicito è quello che si realizza tra la chiusura di un componimento e l’inizio del successivo: si può pensare alla tecnica delle coblas

146 UPDF (Tre luci), p. 86. 147 Pier Vicenzo Mengaldo, Sandro Penna, in Id., Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 736.

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capfinidas che qui saldano poesia a poesia come fosse strofa a strofa, dando l’idea della serie.148

Per confermare la sua ipotesi, cita gli ultimi versi de Il balcone e della poesia successiva della raccolta Poesie. Le due poesie sono legate tra di loro dalla ricorrenza di una certa parola, in questo caso il sostantivo “carro” :

Ritornava dal cimitero, lieve, nelle vie del paese un carro nero.149

Dorme sul lento carro un uomo. È giugno. E l’anima si leva in una vaga certezza. O cieli fermi. E nudi corpi.150

Lo scopo di questa ripetizione è secondo Magro che “queste connessioni intertestuali hanno l’effetto principale di ampliare il respiro narrativo di una scrittura che pare procedere in via esclusiva per illuminazioni e rivelazioni liriche.”151

Un tale processo di ripetizione non è solo presente nella poesia di Penna, ma anche in Un po’ di febbre. Per capire meglio la tecnica soggiacente a questi tipi di ripetizione bisogna tornare, ancora una volta, alle teorie politestuali: René Audet, parlando dei collegamenti tra i testi, sviluppa il concetto di “agrafe”, un termine che riprende da Milan Kundera. Audet utilizza il concetto di “agrafe” per indicare gli elementi che connettono i testi tra di loro. In una raccolta di racconti, questi elementi possono essere delle tematiche, delle unità linguistiche, l’istanza narrativa, un personaggio ricorrente, l’ambientazione... Il personaggio ricorrente e la stessa ambientazione sono considerate le “agrafe” più forti. Audet dichiara inoltre che la ricorrenza di elementi si fa attraverso i principi di “abduction”, nel senso di inferenza, e di “vérification”. In primo luogo, il lettore postula che i racconti fanno parte dello stesso universo fizionale, per poi verificare questa ipotesi nei successivi racconti. 152

148 Fabio Magro, “Di alcune forme della ripetizione in Penna” in Anaphora. Forme della ripetizione - Formen der Wiederholung, atti del XXXIV Convegno Interuniversitario di Bressanone (Bressanone, 6 – 9 luglio 2006), a cura di G. Peron e A. Andreose, Padova, Esedra, 2006, p. 307. 149 Sandro Penna, Poesie, cit., p. 30. 150 Ibid., p. 31. 151 Fabio Magro, “Di alcune forme della ripetizione in Penna” in Anaphora. Forme della ripetizione - Formen der Wiederholung, cit., p. 305. 152 René Audet, Le recueil: enjeux poétiques et génériques, Presses de l’Université Laval, Québec, 2003. Mi sono anche basato sul riassunto che ne offre Mathijs Duyck nel saggio “Macrotekst, Short Story Cycle, Recueil De Nouvelles: naar een theorie van de verhalenbundel.” In Handelingen: Koninklijke Zuidnederlandse Maatschappij voor Taal-en Letterkunde en Geschiedenis, Vol. 65, 2012, pp. 23-38.

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Nel caso di Penna il lettore recepisce la strategia retorica dell’”agrafe”, come illustrerò con due casi: prima svilupperò la relazione tra Come una sigaretta (ottavo racconto del volume) e il racconto successivo Angolo di via Porpora. Poi svilupperò di più il rapporto tra Osteria (ventidueesimo racconto) e Altra osteria (ventitreesimo racconto).

L’elemento che garantisce il legame, e che Audet indicherebbe con il termine di “agrafe”, tra i due racconti Come una sigaretta e Angolo di via Porpora, è il personaggio ricorrente in queste due prose, cioè l’amico letterato Umberto Saba. All’inizio del racconto si annuncia l’incontro previsto con Saba:

Il poeta mi aspettava alle cinque. Erano le quattro e mezzo. Non potevo, alla prima visita, non rispettare l’ora. Tanto più che, ho scritto, il Poeta non era un qualunque poeta.153

Poi viene inserita tutta una digressione, il vero nodo del racconto, che tematizza l’epifania di giocatori di tamburo. Dopo la distrazione di Penna, ha capito che ha speso troppo tempo a guardare lo spettacolo:

Ma la mia mezz’ora era certo passata, e già doveva aspettarmi il Poeta.154

La prima frase del racconto successivo, Angolo di via Porpora, è questa:

Il mio amico letterato non è in casa. Io resto sull’angolo del marciapiede, indeciso. 155

Si nota che questo racconto inizia con una riflessione sullo stesso personaggio del racconto precedente: l’amico Saba. Il punto di collegamento tra i due testi, ossia l’”agrafe”, in questo caso, è quindi il personaggio di Saba.

Anche l’ambientazione può assicurare il collegamento tra due testi, come testimoniano i racconti Osteria e Altra osteria. Osteria parla dell’arrivo di tre ragazzi e più tardi di un suonatore ambulante in un’osteria che illuminano, per Penna, una giornata grigia. Il racconto successivo riprende la stessa ambientazione, che viene anche menzionata all’inizio del racconto, come se Penna volesse inistere sulla ricorrenza dell’ambientazione: “Alla solita tetra osteria. Viene un giovane, stanco di vita cittadina.”156 Entrambi gli esempi dimostrano quanto la lettura della raccolta è resa scorrevole dalle “agrafe”.

153 UPDF (Come una sigaretta), p. 33. 154 Ibid., p. 35. 155 UPDF (Angolo di via Porpora), p. 37. 156 UPDF (Altra osteria), p. 109.

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3.4. “Des textes à l’oeuvre”: aspetti tematici

Passiamo adesso ad osservare le tematiche principali della raccolta. Per individuare i temi preponderanti e per sapere di che cosa si stia esattamente parlando, il lettore fa uso di diverse strategie interpretative (reticolazione, patterns of expectation, patterns of recognition, effetto di latenza, agrafes etc.). Per applicare queste strategie è necessario trascendere i limiti dei singoli testi e considerare l’opera completa, o con le parole di René Audet, andare “des textes à l’oeuvre”. È innegabile che i singoli racconti hanno delle tematiche e dei personaggi che a volte sono molto diversi tra di loro. Bisogna trascendere quella diversità e tentare di capire le unità tematiche più grandi, quelle che sono presenti lungo tutta la raccolta; per fare questo, è necessario stabilire dei collegamenti tra i testi e fare un processo di interlinking. Un tale processo può esser paragonato al concetto di “sinergia”, spesso utilizzato nel campo della chimica per indicare la reazione di più agenti che, se messi insieme, producono un risultato che non sarebbe stato ottenibile con i singoli agenti. Un processo simile si osserva nel stabilire il significato di una raccolta di racconti. Il significato della raccolta è più grande della somma di tutti i singoli racconti ossia, per così dire, uno più uno fa tre.

La vita umana, e particolarmente le vicende biografiche di Penna, costituisce uno dei temi principali in Un po’ di febbre. La vita viene descritta dalla prima esperienza amorosa alla delusione e dalla malinconia post-epifanica alla morte. Siccome questo tema è connesso indissolubilmente alla struttura della raccolta, ho scelto di svilupparlo nel capitolo 3.2. Mi concentrerò di seguito su altri temi che reputo degni di particolare attenzione: quello della presenza della letteratura e quello della città.

3.4.1. La letteratura e la riflessione metapoetica

Accanto allo sviluppo vitale discusso sopra, va osservato un secondo tipo di “progressiva chiarificazione”, che ha una relazione stretta con la concezione che Penna ha della letteratura. Com’è noto, Penna non si è mai espresso apertamente a favore di una corrente letteraria; tuttavia l’importanza della sua riflessione poetica, molto più elaborata nelle prose che nelle poesie, non va trascurata. Numerosi sono infatti i passaggi in cui Penna riflette sul ruolo della letteratura e della scrittura, ma anche sull’arte e l’estetica in generale: è interessante considerare questo aspetto di Un po’ di febbre. Prima di tuffarsi nell’analisi della riflessione letteraria, illustro il fatto che Penna sta attento a questo tipo di riflessioni, come in questo caso dove esprime la propria concezione della bellezza:

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E del resto non ho mai capito quello che è bello e quello che è brutto. Mi pare che tutto quello che esiste sia bello perché esiste, o, anche, sia brutto per la stessa ragione, secondo l’animo ma non in se stesso.157

Il personaggio Penna non condivide la distinzione netta e prestabilita tra la bellezza e la bruttezza poiché queste non hanno in sé caratteristiche intrinseche, ma l’esistenza di qualsiasi cosa fa sì che la cosa stessa sia bella (o brutta). Per Penna, l’esistenza prevale quindi su un giudizio di qualità.

Nella stessa maniera in cui Penna riflette sulla bellezza, riflette anche sulla letteratura. Molti racconti di Un po’ di febbre sembrano in verità dei testi incompiuti, il che permette di fare degli approfondimenti preziosissimi sul rapporto che Penna ebbe con la scrittura: le sue esitazioni, incertezze, idee... Nel racconto Tutte Storie, c’è forse l’esempio più saliente, in cui Penna offre un riassunto della sua settimana. Esprime, in modo molto schematico, i suoi pensieri e le sue sensazioni, colpisce il fatto che egli per la prima volta sperimenti le potenzialità della tipografia (corsivo, maiuscole...). L’attenzione viene però focalizzata sull’aggettivo “difficile” poiché è scritto in carattere maiuscolo. Penna prova difficoltà, quasi un’incapacità a descrivere quello che ha vissuto, e per questo la prosa rimane un riassunto schematico. La difficoltà di dire è connessa a una sensazione di vergogna e a una certa sensazione a lui estranea.

Allora? questa settimana: 1) Tagore dopo l’esperienza del cinema Palazzo. Religione? 2) Sogno dell’arrivo a Roma. Altro amore. 3) Angoscia della separazione dalla folla, la sera. Angoscia d’amore. Ma tutto DIFFICILE a dire. Mi vergogno. Nasce qualcosa che non conosco.158

Anche in altri racconti, si può osservare la difficoltà che Penna prova descrivendo delle scene. In verità, più si avanza nella raccolta, più si ha l’impressione che Penna diventi meno sicuro della sua scrittura. Non è poi una constatazione così sorprendente: è perfettamente in linea con lo sviluppo vitale e la tendenza verso la malinconia. Colpiscono i tanti punti interrogativi: rafforzano l’incertezza di Penna su quali cose deve descrivere e come deve descriverle:

Ma perché descrivo così freddamente? Cosa dico, qui, di tanta mia estasi? Parlo di colori, di insalata. La figura viene migliore artisticamente? Ma ora dovrei dire che

157 UPDF (Passeggiata notturna), p. 61. 158 UPDF (Tutte storie), p. 112.

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quando i due se ne andarono io ebbi l’impulso di seguirli fino alla stazione; e poi? Anche sul treno? Verso quale paese di innocenza, fra selvaggi.159

Nel racconto Psicologia personale si trova un ottimo esempio che illustra il processo di selezione di Penna di ciò che deve rientrare nella narrazione e le angosce che questa ricerca gli causa:

E come si fa a scegliere? Devo dire che mi sono seduto lì sotto il monumento, dove tutti siedono, nel centro della piazza col caldo, stanco. Ma ho scelto male: nessuna importanza se è caldo, se seduto ero sotto il monumento. [...] Tutto potrei raccontare, ricordo benissimo, è così facile. Ma allora dov’è più il gioco di parole, la scelta.160

Oltre alle riflessioni sulla scrittura, anche i riferimenti intertestuali sono degni di considerazione. Alcuni dei classici italiani vengono, più o meno esplicitamente, citati: Dante, Leopardi, Carducci sono i principali esempi letterari di Penna. I primi due racconti sovrabbondano infatti di riferimenti intertestuali: in prima istanza saltano all’occhio le due citazioni nel primo racconto Un giorno in campagna, dove Penna, ancora ragazzo, si tuffa nella lettura di Leopardi e di d’Annunzio. Il fatto che questi riferimenti si trovano sin dall’inizio nella raccolta è molto importante. Vi troviamo, per così dire, il suo processo di iniziazione alla letteratura e fa vedere in che modo il giovane Penna conosce la letteratura:

e già la voglia di aprire quei libri di scuola, lì sulla rozza cassa al posto del comodino:

Primavera, dintorno Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sì ch’a mirarla intenerisce il core.161

E ancora:

facemmo a gara [...] nel declamare convinti i più lirici pezzi di alcuni poemi dannunziani che in quell’antica primavera avevano invaso la nostra cittadina.

Pei monti coglierai le genzianelle/ e per le spiagge le stelle marine/ E si vivrà, oimè, si vivrà tuttavia!/ E il tempo fuggirà, / fuggirà sempre!162

La prima citazione proviene dal Passero solitario di Leopardi (in Canti, 1835); il brano non è stato scelto a caso, ma viene impiegato da Penna per descrivere il paesaggio primaverile in Un

159 UPDF (Altra osteria), p. 110. 160 UPDF (Psicologia personale), pp. 117-118. 161 UPDF (Un giorno in campagna), p. 1. 162 UPDF (Un giorno in campagna), p. 3.

58 giorno in campagna (primo racconto). La seconda citazione è tratta parzialmente dalla tragedia dannunziana Figlia di Iorio (1903) e parzialmente dall’opera drammatica Francesca da Rimini (1901) dello stesso autore. È interessante notare che il personaggio Penna parla anche di come ha conosciuto i testi che cita: le poesie dannunziane avevano “invaso” la città e per questo avevano suscitato l’interesse di Penna. Queste riprese provano che Penna fu un grande lettore di Leopardi e d’Annunzio e li conosceva bene. La figura di Leopardi riemerge ancora in Passeggiata notturna dove si fa un paragone tra la vista di un semaforo e una poesia di Leopardi, Penna ammette che è un paragone abbastanza strano:

Il traffico è qui interrotto da un grosso disco rosso luminoso di un rosso stinto, non simile, oh no, ai semafori con la loro aria complicata di tecnicismo, ma stranamente goffo, paesano, irreale, e che mi dà – ma sono proprio matto - la stessa sensazione di angoscia di quella luna leopardiana che dopo essere caduta sul prato lascia sul cielo “come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia.”163

Ci sono anche altri autori che appaiono come riferimenti intertestuali, com’è ovvio nel racconto Perugia: parlando della sua città natale Penna cita autori del canone italiano e europeo come Dante (“onde Perugia sente freddo e caldo/ da Porta sole”164), Carducci (“e il sol nel radiante azzurro immenso/ Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano/ Folgora, e con desio d’amor più intenso/ Ride a’ monti de l’Umbria e al verde piano”165) e il simbolista francese Arthur Rimbaud.

Da una parte, i primi riferimenti intertestuali della raccolta (soprattutto in Un giorno in campagna) testimoniano dell’iniziazione letteraria di Penna, ossia a quali autori si interessava quando era giovane. Dall’altra parte, utilizza i riferimenti intertestuali nei racconti seguenti per far vedere la sua erudizione letteraria.

Torniamo invece al secondo tipo di “progressiva chiarificazione”. Penna ripercorre la sua vita, questa volta usando la propria arte come veicolo di memoria. Come si è già visto, il personaggio Penna, in Un giorno in campagna, legge le grandi opere del canone letterario italiano ed europeo, questo racconto rappresenta l’iniziazione alla letteratura del giovane poeta. Poi nei racconti Come una sigaretta... (ottavo racconto), Angolo di via Porpora (nono) e I due poeti

163 UPDF (Passeggiata notturna), p. 60. La citazione leopardiana è ripresa da Giacomo Leopardi, Odi, Melisso, v. 18. 164 Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di G. Vandelli, Hoepli, Milano, 1983, p. 704 (Par. XI, vv. 46-47). 165 Giosuè Carducci, Il canto dell’amore, Zanichelli, Bologna, 1878, p. 8 (vv. 37-40).

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(quindicesimo racconto) Penna racconta dell’incontro con gli autori contemporanei già famosi come Umberto Saba, che ammirò sin dall’adolescenza:

Pensavo, quand’ero ragazzo e amai discretamente questo autore vivo e nuovo166

Il Poeta mi aspettava alle cinque. Erano le quattro e mezzo. Non potevo, alla prima visita, non rispettare l’ora. Tanto più che, ho scritto, il Poeta non era un qualunque poeta.167

Com’è noto, l’incontro con Saba avviene tramite lo psicanalista Edoardo Weiss. Il giovane Penna aveva mandato alcune delle sue poesie a Saba sotto lo pseudonimo Bino Satta; il poeta le aveva apprezzate molto e aveva cominciato una fitta corrispondenza che li porta ad incontrarsi. È di uno di questi incontri che parla, appunto, I due poeti: non è più l’ammirazione che domina, ma la sensazione di aver realizzato qualcosa nella vita: “adesso è con lui, col grande poeta, col povero caro mio vecchio amico. Ed ho fatto carriera, senza dubbio.”168 Si nota, soprattutto nella prima parte della raccolta, uno sviluppo chiaro: dall’iniziazione letteraria, attraverso la conoscenza di autori famosi (Saba) alla fama letteraria. Ecco il secondo tipo di sviluppo della raccolta, che chiamerei, accanto allo sviluppo biografico, lo “sviluppo letterario”.

Siccome ho già più volte accennato all’idea che Un po’ di febbre sia un testamento letterario di Penna, ho illustrato in questa parte quali furono per lui delle fonti d’ispirazione poetica e quali furono i suoi grandi “maestri”. Il primo tipo di “progressiva chiarificazione” è caratterizzato da uno sviluppo vitale, ma accanto a questo sviluppo ho distinto un altro tipo di sviluppo attraverso le riflessioni letterarie e le citazioni intertestuali che Penna fa lungo la raccolta. Si distingue anche qui una chiara evoluzione: dalla giovinezza e dalla semplice lettura dei capolavori della letteratura italiana, ai riferimenti intertestuali, quindi dall’erudizione all’incontro con poeti importanti (Saba). Questo sviluppo induce a credere che Penna stia descrivendo la sua formazione letteraria ossia la sua maturazione come poeta. Si potrebbe allora definire Un po’ di febbre il mezzo di auto-rappresentazione in prosa dello scrittore come poeta, nel senso che Penna ha trovato nella prosa il mezzo per rappresentare la propria vita da poeta e le diverse tappe attraverso cui la sua formazione letteraria si è sviluppata.

166 UPDF (Come una sigaretta…), p. 33. 167 Ivi 168 UPDF (I due poeti), p. 69.

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3.4.2. La vita cittadina

Penna sviluppa in Un po’ di febbre, in maniera più ampia, una tematica che gli sta particolarmente a cuore: quella della città. Se già le sue poesie vengono spesso collocate in un contesto cittadino, nelle prose questo setting è ancora più frequente: lo troviamo in Perugia, Due Venezie, Aspetti di Milano, Serata milanese... Si nota comunque, con le parole di , che “la sua non è una poesia cittadina, lo vediamo sempre in periferia dove la città smuore, dove ci sono i treni che passano in lunghi addii.”169 Questa periferia suscita in Penna una maggiore simpatia perché si avvicina di più al “vero popolo” (“il Quartiere Trionfale, che è forse il sobborgo di Roma più popoloso e dunque è il più simpatico”170). La contestualizzazione periferica dimostra chiaramente l’opposizione tra la città come forza corruttrice e la campagna come stato naturale, come ad esempio emerge nel seguente passo:

La loro bellezza si era certo affinata nella vita cittadina, nel senso di una maggiore levità e consapevolezza delle maniere, ma ciò che più attraeva era la nativa purezza dei loro sguardi.171

Penna è, come si sa, connesso indissolubilmente alle città di Perugia, Milano e Roma; però sarà quasi sempre quest’ultima che prevarrà sulle altre, grazie alla sua bellezza. In varie occasioni parla della città eterna, superiore ad altre:

Chi si muoverebbe mai da Roma...172

Ma come è bella Roma. A me piace molto – e mi piacerebbe anche se fosse brutta o un’altra cosa.173

Ci sono, anche nella più bella città del mondo, alcune giornate grigie.174

La città, per Penna, attraverso la figura retorica della personificazione, assume quasi un’identità umana, per cui l’autore può provare sentimenti umani:

Sento con lucidità l’amore della città come persona, la città per la sua luce estiva, i suoi ragazzi.175

169 Andrea Zanzotto in “La mosca e il miele”, 2/11/1977, Rai, ormai disponibile su http://www.teche.rai.it/2015/06/12-giugno-1906-ricordando-la-poesia-di-sandro-penna/ 170 UPDF (Sulle rive di una marrana), p. 51. 171 UPDF (Viaggio in Ciociaria / Il sonno del povero), p. 87. 172 UPDF (Sulle rive di una marrana), p. 57. 173 UPDF (Passeggiata notturna), p. 59. 174 UPDF (Osteria), p. 105.

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C’è un grande contrasto tra i racconti che trattano del tema della città e il racconto che apre la raccolta, Un giorno di campagna. È molto significativo che una raccolta che punta tanto l’attenzione sulla tematica della città inizia con un racconto ambientato nella campagna. Per altro, l’ultimo racconto, La morte, sembra diviso in due parti: nella prima parte il personaggio Penna si trova al cimitero alla ricerca della tomba del padre e nella seconda parte arriva in città, probabilmente Perugia. La cosa sorprendente è che la città delude Penna poiché la gente è “senza volto”:

Appena fuori del cimitero, il vento cominciava a piegare gli alti cipressi, le luci elettriche si accendevano, i tram correvano pieni di luce e gente. Entrai in un’osteria in cerca di caldo popolo, ma non potei avere caldo nemmeno il cibo. Quando uscii, quella vita di luci era quasi scomparsa, i fanali ondeggiavano al vento spostando ritmicamente le ombre, e lontano le masse nere dei cipressi addirittura ululavano. Avrei voluto vedere il volto dei rari passanti. Ma volto non ne avevano, nascosti entro i cappotti.176

In questo ultimo passo della raccolta, la malinconia domina e per questo la percezione di Penna cambia: non è tanto la città ad essere deludente in sé, ma è lo stato d’animo di Penna che fa sì che egli rimanga deluso. Colpiscono le parole “non capii nulla”, l’insistenza su “solo” e le “povere immagini”:

E tutti entravano frettolosi sotto la medesima luce: il cinema Palazzo. Entrai anch’io e non capii nulla di quello che avveniva sullo schermo. Ero ancora nel buio. Solo. Con quelle povere immagini che non capivo.177

C’è di nuovo una chiara evoluzione: la raccolta apre con la speranza della campagna e dell’epifania che ha luogo, nei racconti successivi il tema della città viene elaborato meglio. Infine, la città si rivela deludente a causa della malinconia del poeta.

3.5. Analisi narratologica

L’ultimo passo nello studio di Un po’ di febbre è quello dell’analisi narratologica della raccolta e in particolare del narratore. Studiando lo schema in allegato, colpisce in primo luogo il fatto che l’autodiegesi domina quasi assolutamente: trenta racconti su trentasette sono stati scritti da un punto di vista autodiegetico e quindi soltanto sette sono eterodiegetici. Importa anche aggiungere che non c’è un processo veramente rigido: troviamo il primo gruppo di racconti eterodiegetici all’inizio della raccolta, dal secondo al quarto racconto: Il racconto, L’impiegato

175 UPDF (Tutte storie), p. 111. 176 UPDF (La morte), p. 154. 177 Ivi

62 contemplativo e Un po’ di febbre. Gli altri racconti scritti da un punto di vista eterodiegetico sono sparsi nella raccolta (il ventesimo Arrivo al mare, il venticinquesimo Il gioco sentimentale e i racconti numero trentuno e trentadue Giulietto e La porta antica). Inoltre, l’autodiegesi è a volte anche allodiegesi quando il narratore non è protagonista della storia ma racconta delle vicende altrui. Si tratterà quindi di comprendere perché l’autodiegesi sia dominante e di spiegare queste constatazioni.

L’autodiegesi del primo racconto è in qualche modo necessaria per introdurre il lettore nella raccolta: per immergerlo nell’autodiegesi, per così dire. Se la raccolta iniziasse con un racconto in eterodiegesi, il lettore forse non individuerebbe Penna come vero protagonista del racconto (e della raccolta) sin dall’inizio.

La mia ipotesi è che nella raccolta Un po’ di febbre l’autodiegesi è preponderante e quando invece c’è l’eterodiegesi comunque Penna parla di se stesso. Ad esempio, in Il Racconto, il secondo del volume, come ho già avuto modo di dimostrare, si parla di un chiaro alter ego di Penna, però la breve prosa è stata scritta da un punto di vista eterodiegetico. Il lettore assimila senza difficoltà il personaggio e il giovane scrittore. Anche Arrivo al mare è un caso molto interessante: l’istanza narrativa del racconto è interamente di tipo eterodiegetico, però, se si considera la poesia corrispondente (La vita... è ricordarsi), si nota comunque una traccia di autodiegesi nella seconda strofa:

Lo aprì desideroso e vide nel buio una divisa di marinaio tutta bianca e azzurra.178

Ma ricordarsi la liberazione improvvisa è più dolce: a me vicino un marinaio giovane: l’azzurro e il bianco della sua divisa, e fuori un mare tutto fresco di colore.179

In conclusione dunque l’eterodiegesi assume una funzione analoga alla autodiegesi poiché Penna sta in verità parlando in terza persona di se stesso, il che è in armonia con l’auto- rappresentazione in prosa del poeta.

178 UPDF (Arrivo al mare), p. 98. 179 Sandro Penna, Poesie, cit. p. 3.

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Conclusione

Lo scopo principale di questa ricerca era di offrire un’analisi sistematica dell’unica raccolta di racconti del poeta Sandro Penna: Un po’ di febbre. Servendomi delle teorie politestuali finora sviluppate ho tentato di studiare il funzionamento e il significato della raccolta, per questo è stato necessario attraversare le frontiere dei singoli racconti. L’analisi sviluppata intende contribuire agli studi, già abbastanza ricchi, su Sandro Penna. È vero che la sua poesia ha sempre suscitato più interesse da parte dei critici, tuttavia la raccolta presa in considerazione è almeno ugualmente importante per arricchire la conoscenza su questo scrittore che ho definito “contaminato dalla joie de vivre”.

Per guardare il futuro è sempre utile dare un’occhiata al passato e perciò, attraverso il primo capitolo, ho prima discusso la ricezione della raccolta per poi considerare lo stato di sviluppo delle teorie politestuali. Attraverso delle recensioni apparse quasi contemporaneamente alla raccolta (1973) ho illustrato la concorde valutazione critica sul valore della raccolta. Anche se la critica letteraria ha dato non poca attenzione a Un po’ di febbre, la raccolta è spesso stata analizzata come un’appendice alla poesia di Penna, tranne alcuni critici che hanno, oltre a considerare il legame tra prosa e poesia, attribuito un proprio valore alle prose. Per l’analisi di Un po’ di febbre, ho scelto di utilizzare le teorie politestuali come strumento metodologico. Un breve riassunto dello stato di evoluzione delle tre grandi linee (quella anglosassone, quella francofona e quella italiana) ha fornito le conoscenze di base per avviare l’analisi della raccolta, tenendo conto della sua specificità formale.

La domanda centrale del secondo capitolo era di analizzare per quali ragioni si possa definire Un po’ di febbre una raccolta “diversa per un poeta diverso”. La diversità si mostra a vari livelli: ho illustrato il legame stretto sia tra la biografia e la raccolta studiata che quello tra la prosa e la poesia, che Comberiati considera giustamente “vasi comunicanti”. Si è inoltre discusso la datazione dei testi, che non si rivela interamente affidabile poiché per alcuni racconti è impossibile che siano stati scritti nel periodo stabilito da Penna stesso (tra il ’39 e il ’41). Lo studio del contesto storico, implicitamente presente in Penna, ha mostrato che il contesto era “incongruo” con la scrittura di Penna, data la presenza del regime fascista che non era particolarmente a favore di atteggiamenti “scandalosi”. L’ultimo paragrafo del secondo capitolo è stato dedicato allo sviluppo particolare della raccolta. Ho avanzato l’ipotesi che Penna si sia basato sui suoi racconti già editi su rivista per poi completarli con altri racconti per formare una raccolta unitaria e con uno sviluppo chiaro. Sia la relazione tra biografia autoriale e raccolta che quella tra prosa e poesia, il contesto storico sfavorevole alla scrittura e lo sviluppo specifico della

64 raccolta giustificano la definizione di Un po’ di febbre come “una raccolta diversa di un poeta diverso”.

Il terzo capitolo è stato imperniato sul concetto della “progressiva chiarificazione”, proposto da Penna stesso nell’avvertenza al lettore. Attraverso lo studio del paratesto, ho mostrato la divergenza tra il paratesto autoriale e quello non autoriale: quello autoriale fornisce delle informazioni sullo sviluppo della raccolta mentre quello non autoriale si focalizza piuttosto sulle sue tematiche. Daniele Comberiati aveva proposto una chiave di lettura interessante di Un po’ di febbre, però, sfortunatamente, questa chiave non è stata esplicitata. L’illustrazione di questa chiave è stato l’obiettivo di un secondo paragrafo. Così facendo, attraverso sei tappe (epifania, arrivo impetuoso dell’amore, abbandono dei sensi, coscienza dell’illusione, malinconia e morte), ho individuato un primo tipo di “progressiva chiarificazione”, ossia lo sviluppo vitale individuale o biografico del poeta, che va di pari passo con uno sviluppo naturale. Una digressione sulle cosiddette “agrafes”, termine definito da René Audet, ha permesso di spiegare la scioltezza della lettura della raccolta. Per individuare le unità tematiche più grandi, è necessario, per il lettore di una raccolta, fare un processo continuo di andata dai testi all’opera, ma anche vice versa. Ho paragonato questo effetto alla “sinergia”, cioè il fatto che il significato della raccolta in toto trascende la semplice somma dei singoli racconti. Studiando il tema della letteratura, ho individuato un secondo tipo di “progressiva chiarificazione”, che ho chiamato lo sviluppo letterario del poeta. Lo scopo dell’analisi del tema della città era di dimostrare un’altra evoluzione che caratterizza la raccolta: dal primo racconto ambientato in campagna si va, attraverso l’omnipresenza del tema cittadino verso la delusione della città.

Dopo il percorso seguito, si dovrebbe essere in grado di rispondere alla seguente domanda: “Di che cosa parla esattamente la raccolta Un po’ di febbre di Sandro Penna?”. Lo sviluppo biografico dell’autore (il primo tipo di “progressiva chiarificazione”), i commenti che Penna fa sulla letteratura, le citazioni intertestuali, l’incontro con Umberto Saba e lo sviluppo letterario (il secondo tipo di “progressiva chiarificazione”) sono tutti indizi che dimostrano che Un po’ di febbre va considerato un testamento letterario di Sandro Penna, ossia che il poeta umbro ha trovato nella prosa il mezzo ideale per rappresentare la sua vita di poeta.

Con la presente ricerca intendo arricchire gli studi su Sandro Penna e offrire un’analisi politestuale del suo testamento letterario Un po’ di febbre. Per approfondire lo studio di questa raccolta, sarebbe interessante un’analisi comparativa tra Un po’ di febbre e raccolte simili della stessa epoca, per vedere in che modo uno scrittore può auto-rappresentarsi.

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66

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Allegati

2.3. Analisi genetica

2.3.1. Lo sviluppo della raccolta

Un po’ di febbre Prima uscita su rivista Periodico (1973) 1. Un giorno in 5 settembre 1939 L’Ambrosiano, p. 3 campagna 2. Il racconto 3. L’impiegato contemplativo 4. Un po’ di febbre 15 luglio 1939 Corrente, p. 3 5. Racconto geometrico 31 maggio 1939 Corrente, p. 3. Titolo originale: Un racconto 6. Donna in piscina 7. Due tempi 1°-15 maggio 1939 Campo di Marte 8. Come una sigaretta... 1° luglio – 1° agosto 1939 Campo di Marte 9. Angolo di via Porpora 30 giugno 1939 L’Ambrosiano, p. 3 10. Perugia 11. Lido di Roma 26 aprile 1939 L’Ambrosiano, p. 3 12. Sulle rive di una 2 settembre 1939 Oggi, p. 4. marrana Titolo originale: Sulle rive di un fiume 13. Passeggiata notturna 14. Due Venezie 15. I due poeti 16. Aspetti di Milano 17. I sentieri 18. Tre luci 29 luglio 1939 L’Ambrosiano, p. 3 19. Viaggio in Ciociaria -Il sonno del povero 28 ottobre 1939 Oggi, p. 4 -Ragazzi 13 gennaio 1940 Oggi, p. 9 Titolo originale: I ragazzi 20. Arrivo al mare 21. Serata milanese 22. Osteria 23. Altra osteria 24. Tutte storie 25. Il gioco sentimentale 26. Psicologia personale 27. Paura 28. Cinema 29. Appunto 30. Sud 31. Giulietto 32. La porta antica 33. Verità

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34. Appunto 35. Appunto 36. Appunto triste 37. La morte

2.3.2. Varianti

Un po’ di febbre Un po’ di febbre 15 luglio 1939, Corrente di vita 1973, Garzanti

1. I capelli; e la barba. I capelli, e la barba. 2. Certo aveva Certo, aveva 3. Inutile, ormai, risparmiare Inutile ormai risparmiare 4. Un supplizio). Un supplizio.) 5. potè poté 6. dritto Diritto 7. veramente “veramente” 8. Un spago Uno spago 9. , certo i bottoni non c’erano più. Certo i bottoni non c’erano più. 10. picolo piccolo 11. tanti altri. Ma Tanti altri: ma 12. Un breve secco rimprovero Un breve ma secco rimprovero 13. Spedito leggero nel retrobottega Spedito, leggero, nel retrobottega 14. Si riappaggiò Si appoggiò 15. Nè aperta nè chiusa Né aperta né chiusa 16. Alcune “grazie” Alcun “grazie”

Un Racconto Racconto geometrico 31 maggio 1939, Corrente di vita 1973, Garzanti

1. perchè Perché 2. potè poté 3. Avrebbe voluto accompagnarmi Avrebbe voluto, per cortesia, accompagnarmi

Due tempi Due tempi 1-15 maggio 1939, Campo di Marte 1973, Garzanti

1. Chè volevo Ché volevo 2. Sporco ma la luce Sporco, ma la luce 3. Ma mi sembrò, che obbligate a Ma mi sembrò che, obbligate

Come una sigaretta… Come una sigaretta… 1 luglio – 1 agosto, Campo di Marte 1973, Garzanti

1. Le quattro e mezza Le quattro e mezzo

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2. Li, davanti Lì, davanti 3. Autore incendiario Autore vivo e nuovo 4. Perchè Perché

5. Giuoco Gioco 6. giuocatori Giocatori 7. giuoco gioco 8. “Corri, corri”. “Corri, corri.” 9. “Prova un po’ a rifarci”. “Prova un po’ a rifarci.”

Sulle rive di un fiume Sulle rive di una marrana 2 settembre 1939, Oggi 1973, Garzanti

1. / Era la ferrovia vaticana. 2. *** / 3. , hai”. ,hai.” 4. “Mi hai chiamato tu!”. “Vèstiti subito… “Mi hai chiamato tu!” “Vestiti subito… 5. ,stasera”, ,stasera,” 6. Però”. Però.” 7. Lo saprà…”. Lo saprà…” 8. *** / 9. Padre…”. Padre…” 10. Più”. Più.” 11. “il fiume” 12. Là”. Là.” 13. Sull’acque Sulle acque 14. / , seguiti dalle pistole sul dietro dei loro corpi nudi. 15. Roma…”. Roma…” 16. Mi fermai, sulla strada ampia fra il nulla della Mi fermai, sulla strada ampia, fra il campagna. nulla della campagna.

Il sonno del povero Il sonno del povero 28 ottobre 1939, Oggi 1973, Garzanti

1. *** / 2. *** / 3. valige Valigie 4. Sei lire”, Sei lire,” 5. valige valigie 6. Brutta canaglia”. Brutta canaglia.” 7. valige Valigie

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I ragazzi Ragazzi 13 gennaio 1940, Oggi 1973, Garzanti 1. La mia vita in campagna La mia vita di campagna 2. digradare degradare 3. Della collina Delle colline

4. L’organetto, e il pane nero e il pane giallo L’organetto, il pane nero e il pane giallo 5. Ma chiusa e ardente Ma chiara e ardente 6. Parole di amore Parole d’amore 7. Rividi Vidi 8. Più vicina Più vicino 9. parlar Parlare 10. Lui, che non era una “femmina”, … Lui che non era una “femmina”… 11. strisciando Strisciavano 12. scintillano Scintillavano 13. Ironici o distratti Ironici e distratti 14. “Dormi, dormi”. “Dormi, dormi.”

3.5. Analisi narratologica

Racconto Tipo di narratore

1. Un giorno in campagna Autodiegesi 2. Il racconto Eterodiegesi 3. L’impiegato contemplativo Eterodiegesi 4. Un po’ di febbre Eterodiegesi 5. Racconto geometrico Autodiegesi 6. Donna in piscina Autodiegesi/Allodiegesi 7. Due tempi Autodiegesi 8. Come una sigaretta... Autodiegesi 9. Angolo di via Porpora Autodiegesi 10. Perugia Autodiegesi 11. Lido di Roma Autodiegesi 12. Sulle rive di una marrana Autodiegesi 13. Passeggiata notturna Autodiegesi 14. Due Venezie Autodiegesi 15. I due poeti Autodiegesi 16. Aspetti di Milano Autodiegesi 17. I sentieri Autodiegesi 18. Tre luci Autodiegesi 19. Viaggio in Ciociaria -Il sonno del povero Autodiegesi -Ragazzi Autodiegesi 20. Arrivo al mare Eterodiegesi 21. Serata milanese Autodiegesi/Allodiegesi 22. Osteria Autodiegesi/Allodiegesi 23. Altra osteria Autodiegesi

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24. Tutte storie Autodiegesi 25. Il gioco sentimentale Eterodiegesi 26. Psicologia personale Autodiegesi 27. Paura Autodiegesi 28. Cinema Autodiegesi 29. Appunto Autodiegesi 30. Sud Autodiegesi 31. Giulietto Eterodiegesi 32. La porta antica Eterodiegesi 33. Verità Autodiegesi 34. Appunto Autodiegesi 35. Appunto Autodiegesi 36. Appunto triste Autodiegesi 37. La morte Autodiegesi

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