Lontani Entusiasmi Allo Stato Nascente». Itinerari Verso Fratelli D’Italia E Dintorni
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Dottorato di ricerca in SCIENZE FILOSOFICO- LETTERARIE, STORICO-FILOSOFICHE E ARTISTICHE Ciclo XXIX «LONTANI ENTUSIASMI ALLO STATO NASCENTE». ITINERARI VERSO FRATELLI D’ITALIA E DINTORNI Coordinatrice: Chiar.ma Prof.ssa BEATRICE CENTI Tutor: Chiar.mo Prof. GIULIO IACOLI Co-Tutor Chiar.mo Prof. CARLO VAROTTI Dottoranda: CLAUDIA CORREGGI 1 2 INTRODUZIONE 3 Introduzione Questo libro è un prodotto di questa società, né meglio né peggio di essa.1 Vari sono i motivi per ritenere Fratelli d’Italia un’opera sintomatica, a partire dal fatto che essa offre una doviziosa messe di indizi che rivelano un cambiamento paradigmatico dell'immaginario occidentale. Processi che si riverberano sullo scenario italiano, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Nella condizione in cui ci ha collocato la storia, di ‘conniventi’ con l’epoca d’oro del postmoderno – gli anni Ottanta – e poi di testimoni della sua fine, decretata all’unanimità dalla critica – più propensa a esternare sollievo per la scomparsa, o a rifiutare di certificare l’attendibilità della definizione2 che a piangerne l’estinzione – è parsa interessante un’indagine che andasse a coglierne i primi segnali e a sondare al tempo stesso il grado di consapevolezza diffuso nel campo culturale italiano del tempo. La prima fase della ricerca, che il capitolo d’esordio documenta, volutamente circoscritta all’interno di un arco temporale molto ristretto, il 1963, coincidente con l’anno di pubblicazione della prima edizione di Fratelli d’Italia, ha preso il via come ricognizione di quei segnali, intermittenti interruzioni delle strategie rappresentative prevalenti, preannunci di pratiche e tendenze che confluiscono in una messa in discussione dei criteri e delle modalità affermatesi come convenzioni nel modernismo. Sulla scorta di una suggestione tratta da Ceserani,3 si è deciso di concentrare l'attenzione su un periodo limitato, il 1963 e i suoi dintorni, cercando di trovare un difficile equilibrio tra due opposte tendenze. Da una parte quella, che l'attraversamento del postmoderno ha depositato come residuo, di legittimare la percezione di attimi isolati nel fluire del tempo, individuandoli come plausibili oggetti di studio, dall'altra l’aspirazione a una visione unitaria, substrato permanente di una tradizione ancora modernista, con il corollario del rischio che l’esiguità della distanza critica 1 La frase attribuita a Giangiacomo Feltrinelli continua: «una certa società si è, forse per la prima volta, vista nello specchio. Capisco la sorpresa, mi sorprende l’indignazione che sa di malafede. Ciascuno è quello che vuole essere, e perché vergognarsi di quello che si è e che si vuole essere? […] Nel libro Arbasino descrive luoghi, abitudini, espressioni e avvenimenti comuni a una certa società italiana. Intendo dire quel misto di café society letteraria teatrale, insomma quel mondo snob degli intellettuali romani e milanesi. Intelligenti, spregiudicati, cinici talvolta. Talvolta presuntuosi e arroganti» in Carlo Feltrinelli, Senior Service, Milano, Feltrinelli, 1999 p. 250-1. 2 Un’eccezione è costituita da Matteo Di Gesù, La tradizione del postmoderno. Studi di letteratura italiana, Milano, Franco Angeli, 2003. 3 «In ogni caso, concentrarsi su un decennio è operazione meno astratta di quella che ragiona per secoli e concentrarsi sui singoli anni, spesso avvertiti come anni cruciali, diversi dai precedenti e dai successivi, può avere una certa utilità ermeneutica, e anche didattica», Remo Ceserani, “Convergenze # 9 – Anni cruciali” in La ricerca. Loescher, 25 febbraio 2014. 4 comporta. A complicare ulteriormente la mediazione tra questi due diversi modelli di approccio interviene una particolare condizione professionale – l’insegnamento nella scuola secondaria – che, in virtù di una deformazione onnipresente e pervasiva, induce a non perdere mai di vista una possibile applicazione didattico-divulgativa delle indagini compiute. La ricerca di nuove pratiche in sintonia con una popolazione scolastica di fisionomia cangiante è al centro di una discussione su diversi fronti, a partire dalla consapevolezza, maturata sul campo, della labilità attuale di categorie non più al riparo da una rapida obsolescenza come quelle di storia letteraria o di canone. A difesa di quest’ultimo in particolare, periodicamente, vengono innalzati contrafforti istituzionali in forma di indicazioni ministeriali (dal che se ne deduce che il canone letterario è percepito in Italia come questione storicamente connessa alle sorti – e al presidio – dei confini della nazione) e nei convegni si schierano paladini, la cui baldanza oratoria tradisce un’ansia di fondo che il contatto ravvicinato con le nuove generazioni in parte giustifica. La questione è complessa, e non se ne può che accennare qui, se non come alla premessa che ha indotto a suggerire, nel I capitolo, una presentazione della frazione temporale identificata nel 1963 secondo il dispositivo dell’allestimento virtuale di un parco tematico a quello stesso anno intitolato. Così la mappa panoramica di quell'anno davvero cruciale viene a essere designata da una selezione di frammenti rappresentativi, organizzata in un percorso che si immagina scandito da stazioni virtuali: testi provenienti da orizzonti artistici diversi e di autori diversi. Via via definita dalla molteplicità dei dati coevi afferenti il campo culturale, essa, la mappa, va a costituirsi come «una pseudo fantasmagoria cronotopica»,4 strategicamente concepita, con una buona dose d’azzardo, dalla motivazione di un eventuale ricezione scolastica. La scelta di metodo è dovuta alla considerazione – lo si vuole ribadire – maturata nella pratica didattica, che la babele pluridiscorsiva destinata a recepire la trasmissione del canone, e convocata a cooperare alla sua interpretazione,5 imponga di individuare nuove prassi e nuovi linguaggi, senza pregiudiziali nei confronti di approcci inconsueti, mantenendo alta l’attenzione verso i rischi che vi sono connessi. In particolare l'idea della mappa, se spinta verso l'opzione divulgativa di un parco tematico virtuale, – qui suggerita – potrebbe comportare la probabilità un «uso cartoonistico, falsato e stereotipato [della] storia»,6 col pericolo di «legittimare un rapporto pseudo infantilisticamente ludico, leggero, superficiale»,7 a scapito di un’interpretazione ponderata che sembrerebbe maggiormente garantita dagli approcci tradizionali. 4 Giovanni Gurisatti, Costellazioni. Storia, arte e tecnica in Walter Benjamin, Macerata, Quodlibet, 2010, p. 349. 5 Cfr.: Yves, Citton, L’Avenir des humanités, trad. it., Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, Palermo, :duepunti, 2012. 6 Ivi, p. 352. 7 Ivi, p. 353. 5 L’architettura del parco tematico, si inserisce senza dubbio in una tattica di manipolazione dell’immaginario orientata a progettare un dispositivo comunicativo di cui il postmoderno ha enfatizzato l’efficacia. In questo caso però non vi si ricorrerebbe per provocare nei destinatari un protratto effetto di choc con finalità meramente euforizzanti o esilaranti,8 volte a indurre un consumo potenziato, quanto piuttosto a predisporre, con dispiego di modalità ben note agli studenti, il contatto ravvicinato con la suggestione esercitata da un contesto culturale sollecitato da tensioni energicamente volte al cambiamento. Il romanzo di Arbasino si configura infatti come uno dei prodotti della letteratura italiana alle soglie del postmoderno più teoricamente e criticamente consapevoli. Del postmoderno esso esibisce i caratteri più peculiari tanto da costituirne un preannuncio9: l’apertura ai materiali degli altri campi artistici e culturali, la costruzione per assemblaggio e la fiducia nella valenza strutturale dell’elenco, il registro mimetico di un parlato che dà vita per lo più a monologhi, forzato a una innaturale semplicità ‘come fosse la lingua inglese’10, per elencare più che per rappresentare, un io narrante che non ha più niente a che spartire con l’autore onnisciente del romanzo borghese, un’atmosfera diffusa, e a ben vedere tragica, di “frivolezza gratuita” in sostituzione delle fisime dell’interiorità lacerata o inetta o alienata che dir si voglia. È lo stesso Arbasino a definire, con la consueta disinvoltura verbale, la consistenza di quella vera e propria svolta, in una recensione sul Giorno del marzo 1963, in occasione dell’uscita del film di Fellini Otto e mezzo, che condivide con il romanzo la connotazione pionieristica: La Dolce Vita era “la resa fenomenologia del mondo esterno al regista” [..] In Otto e mezzo il rapporto si rovescia: un torrente di immagini della fantasia si riversa sopra il mondo esteriore e lo ricopre, modifica la realtà, cancella alcuni fatti, altri ne mette in dubbio, trasforma i personaggi in statue di sale […]. Però il fatto sconvolgente è constatare come Fellini mettendo al fuoco del surrealismo i suoi pentoloni di zuppa cinematografica dia in realtà una gran zampata alla storia letteraria.11 8 «La costellazione espressiva di citazioni che rende la Parigi di Benjamin una “trama di sogno” […] cede il campo all’effimera, simultanea compresenza e compossibilità di una molteplicità di “costellazioni” pseudostoriche […] che , come moda, remake e revival si avvicendano al ritmo real time dettato dai media, determinando nel “fruitore” l’effetto allucinante, euforizzante, entusiasmante, esilarante, istericamente sublime nei confronti delle immagini della storia che è l’esatto opposto dello choc dialettico con cui esse, nell’ottica di Benjamin, dovrebbero essere in grado di