Gabriela Unzeitigová

Il romanzo giallo in due autori siciliani: Leonardo Sciascia e .

Vedoucí magisterské diplomové práce: Mgr. Paolo Divizia, Ph.D.

Filozofická fakulta Masarykovy univerzity v Brně 2009

Prohlašuji, že jsem diplomovou práci vypracovala samostatně a že jsem uvedla všechny prameny, jichž jsem použila. Dále prohlašuji, že tištěná verze je totožná s verzí elektronickou.

V Brně dne 30. 11. 2009 ......

2

Vorrei ringraziare il Prof. Paolo Divizia per avermi dato preziosi consigli nella fase della stesura della presente tesi.

3 Indice:

Introduzione...... 6

1. Il romanzo poliziesco...... 7

1.1. La questione delle origini e lo sviluppo del romanzo poliziesco

nel mondo...... 7

1.1.1. Edgar Allan Poe e il suo cavaliere Dupin...... 8

1.1.2. Arthur Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes...... 9

1.1.3. Agatha Christie e il suo Hercule Poirot...... 11

1.1.4. Ľetà delľoro (gli anni '20 e '30)...... 11

1.2. Lo sviluppo del romanzo poliziesco in Italia...... 13

1.3. La definizione e la struttura del romanzo poliziesco...... 16

1.3.1. Il giallo classico...... 18

1.3.2. Ľhard boiled...... 19

1.3.3. Il giallo di suspense...... 20

1.3.4. Le venti regole di S. S. Van Dine...... 20

2. Leonardo Sciascia...... 22

2.1. La vita e ľopera...... 22

2.2. Leonardo Sciascia e il romanzo poliziesco...... 25

2.2.1. Il giorno della civetta...... 25

2.2.2. A ciascuno il suo...... 26

2.2.3. Il contesto...... 28

2.3. Ľanalisi...... 29

2.3.1. La struttura...... 29

2.3.2. I personaggi...... 33

2.3.3. Il narratore...... 42

4 2.3.4. Il tempo...... 44

2.3.5. Lo spazio...... 44

2.3.6. I temi...... 45

2.3.7. La lingua e lo stile...... 48

2.4. Il confronto finale dei gialli di Sciascia con il romanzo poliziesco

(secondo le regole di Van Dine)...... 49

3. Andrea Camilleri...... 51

3.1. La vita e le opere...... 51

3.2. Andrea Camilleri e il romanzo poliziesco...... 54

3.2.1. La forma delľacqua...... 55

3.2.2. Il cane di terracotta...... 56

3.2.3. La gita a Tindari...... 58

3.3. Ľanalisi...... 59

3.3.1. La struttura...... 59

3.3.2. I personaggi...... 67

3.3.3. Il narratore...... 72

3.3.4. Il tempo...... 73

3.3.5. Lo spazio...... 73

3.3.6. I temi...... 75

3.3.7. La lingua e lo stile...... 78

3.4. Il confronto finale dei gialli di Camilleri con il romanzo

poliziesco (secondo le regole di Van Dine)...... 82

Conclusione...... 84

Bibliografia e sitografia...... 86

5 Introduzione

Il nostro interesse per il romanzo poliziesco è stato suscitato dalla lettura de Il voce di violino di Andrea Camilleri e sostenuto dalle informazioni ricevute sul sito dei fan di Camilleri, su www.vigata.org. L’autore ci attira soprattutto perché si tratta di un nuovo fenomeno nella storia dell’editoria italiana e particolarmente nella narrattiva poliziesca italiana. Un altro motivo perché abbiamo scelto il romanzo poliziesco per l’argomento di questo lavoro è la poca attenzione dedicata a questo genere narrativo durante lo studio alla nostra Università, il che è probabilmente dovuto alla generale poca attenzione dei letterati per questa letteratura di massa, spesso considerata letteratura bassa. Il presente lavoro sarà diviso in due parti, nella parte teorica – che focalizza l’attenzione sulla genesi e sulle singole tappe dello sviluppo del romanzo poliziesco nel mondo e in Italia, altrettanto sulla definizione e sulla struttura di questo genere – e in quella pratica che consisterà nell’analisi dettagliata dei tre gialli di Sciascia e di Camilleri. Cercheremo di spiegare quali sono le particolarità per quanto riguarda la struttura, i personaggi, i temi, il narratore e lo stile, per poter offrire un ritratto generale del giallo nel panorama siciliano.

6 1. Il romanzo poliziesco

«Lo sviluppo di un pubblico indifferenziato e anonimo, che non si identifica con gruppi e classi sociali precisi, dà luogo a una letteratura di massa, con vari generi narrativi, che circola sia a puntate in giornali e riviste di grande diffusione, sia in volumi pubblicati in apposite collane, che escono con frequenza periodica e vengono rapidamente consumati.»1

A questi generi narrativi della letteratura di massa appartiene, accanto al romanzo rosa, alla fantascienza e al fumetto, anche il romanzo poliziesco. Di diritto esso –

«per la sua enorme differenziata articolazione [...] che nel corso di un secolo e mezzo di storia ha riprodotto al suo interno tutti i livelli e i toni propri della letteratura, dando luogo a opere e serie di opere alte e basse, problematiche e rozze, chiuse e aperte, composte negli stili più diversi, rivolte a un pubblico chiuso o a un pubblico aperto o misto ecc.»2

– raggiunge, rispetto agli altri generi della letteratura di massa, il maggiore successo.

1.1. La questione delle origini e lo sviluppo del romanzo poliziesco nel mondo

«Nessun genere letterario nasce per generazione spontanea: alle sue spalle si intreccia sempre una sottile e spesso inestricabile trama di antecedenti e influenze.»3 Anche al romanzo poliziesco sono attribuiti diversi antenati. C'è chi vede il prototipo di questo genere di romanzi, per esempio, nell'Edipo re di Sofocle, nella Bibbia o nell’Amleto. Anche se in tutte le opere sopracitate si trovano gli elementi caratteristici del romanzo poliziesco – come sono delitto, investigatore, indagine e scoperta – secondo Stefano Benvenuti e Gianni Rizzoni questi non bastano per fare

1 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, p. 359. 2 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p.14. 3 S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 11.

7 di una vicenda letteraria un giallo1. Quello che manca, sia in letteratura sia nella realtà – la ricerca professionale del crimine, cioè la polizia o ľinvestigatore privato – nasce nelľOttocento. Oltre ciò il giallo ha anche antecedenti più diretti, come, ad esempio, romanzo gotico inglese (dal quale eredita la sua carica di angoscia e di paura), cronaca giudiziaria e i Mémoires (1825) di Eugène-François Vidocq2.3

1.1.1. Edgar Allan Poe e il suo cavaliere Dupin

Il padre fondatore del romanzo poliziesco è universalmente riconosciuto nella figura di Edgar Allan Poe (1809 – 1849) per la pubblicazione del suo breve racconto del 1841, Murders in the rue Morgue, seguito da The Purloined Letter (1842) e The Mystery of Marie Roge (1842). Al centro della trilogia sta il cavaliere Dupin, giovane gentiluomo di illustre famiglia, che per una serie di disgrazie si è trovato in povertà e che ha una strana abitudine di uscire di casa soltanto di notte.4 Bisogna dire che E. A. Poe con la sua trilogia crea grande modello del romanzo poliziesco, seguito dagli altri giallisti e basato sui seguenti tratti caratteristici. In primo luogo, la figura del «detective eccentrico, filosofo, il raggionatore per eccelenza»5, «che con rigore logico arriva a ricostruire la reale dinamica di un evento criminale»6 e che diventa il prototipo delľinvestigatore su cui si modellano figure come, ad esempio, quella di Sherlock Holmes.

1 Il termine “giallo” che ha avuto origine dal colore delle copertine della prima collana editoriale dedicata a questo tipo di letteratura, I Libri Gialli di Mondadori, inaugurata nel 1929 in Italia. (G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, p. 360). 2 Eugène-François Vidocq fu disertore, falsario, ladro, galeotto evaso innumerevoli volte dai più terribili bagni penali di Francia, poi spia della polizia e infine, agente, nel 1811 Vidocq diventa ufficialmente il capo della prima grande polizia moderna. (S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 14). 3 Cfr. Ivi, p. 11. 4 Cfr. Ivi, p. 15. 5 Ivi, p. 17. 6 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, p. 359.

8 In secondo luogo, ogni investigatore ha un assistente fisso, il suo ascoltatore, che spesso narra la vicenda. Nel caso di Dupin si tratta di un giovane forestiero senza nome e nel caso di Sherlock Holmes si tratta del famoso Watson.1 In terzo luogo, c'è il mistero della camera chiusa, cioè il delitto commesso in una camera chiusa, che nel corso degli anni diventa «ľenigma per eccellenza, un pezzo di bravura obbligato per i giallisti»2. Oltre ciò ci si trova anche la classica mancanza di fantasia e la suscettività dei funzionari di polizia, ľarresto di un innocente e, infine, la finta del detective per scoprire il colpevole.3

1.1.2. Arthur Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes

Lo sviluppo del romanzo poliziesco è nei primi anni molto legato alla tradizione del feuilleton, che nelľOttocento indica un romanzo pubblicato a puntate su un quotidiano. Era una rivoluzione, sia dal punto di vista della diffusione della stampa quotidiana sia di quella della narrativa, ma dal punto di vista del giallo il feuilleton aveva un grosso difetto:

«ideato per incatenare ľinteresse di un pubblico che va ricondotto alla lettura giorno per giorno, [...] è costruito sulla misura della puntata, che deve necessariamente concludersi con una suspence in grado di convincere il lettore ad acquistare quella del giorno dopo»4. dopo»4.

È ovvio che i romanzi di questo tipo, scritti di giorno in giorno, non possono essere di grande valore e non riescono a raggiungere presso i lettori un successo paragonabile a quello della trilogia di E. A. Poe. La svolta si afferma solo con la figura del sir Arthur Conan Doyle (1859 – 1930). Egli si iscrisse alla storia del giallo con ľinvenzione di Sherlock Holmes e del dottor Watson, i quali entrano sulla scena letteraria nel 1887

1 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 17. 2 Ivi, p. 12. 3 Cfr. Ivi, p. 18. 4 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 23.

9 con la pubblicazione di Uno studio in rosso1. Sherlock Holmes è un dandy e ne ha tutte le caratteristiche, dal nome inconsueto alle abitudini eccentriche. Appartiene alla buona società ma il suo comportamento non corrisponde ai modelli considerati desiderabili, non rispetta le norme del galateo e si esprime liberamente e senza preoccuparsi delle conseguenze. Si potrebbe dire di lui che «il più classico degli investigatori del giallo è, abbastanza platealmente, un anticonformista»2. Quanto al dottor Watson, che secondo il modello di Poe dovrebbe tecnicamente fungere solo come assistente-narratore, egli diventa grazie a Conan Doyle un personaggio a pieno titolo: ha una storia, una professione, dei sentimenti, una psicologia. È una persona autentica nella quale i lettori si identificano. Oltre ciò la natura di Watson è del tutto britannica. Egli è il prototipo delľinglese vittoriano ed è proprio questa «atmosfera britannica che rappresentò, a suo tempo, uno dei motivi principali del successo delle storie di Conan Doyle»3.4 Il successo genera imitazione e nei romanzi polizieschi di quelľepoca è facile trovare investigatori troppo simili al celebre Sherlock Holmes. «Gli autori, naturalmente, facevano del loro meglio per mascherare il prototipo [...] ma i loro stessi tentativi tradivano ľincapacità di sottrarvicisi.»5 Il primo personaggio originale del giallo postsherlockiano nasce nel 1906 sulle pagine della rivista Je Sais Tout e si tratta delľArsène Lupin di Maurice Leblanc, seguito nel 1911 da Fantomas di Marcel Allain e Pierre Souvestre. Comunque entrambi non hanno niente a che fare con gli investigatori che cercano di scoprire il colpevole, perché loro stanno d'altra parte, sono i criminali.6 E cosí possiamo acconsentire alla citazione di Carlo Oliva, secondo il quale «alla soglia della Grande Guerra il giallo [...] sembra correre il rischio di perdere, in un certo senso, la sua identità.»7

1 Cfr. Y. REUTER, Il romanzo poliziesco, Armando editore, Roma 1998, p. 11. 2 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 38. 3 Ivi, p. 36. 4 Cfr. Ivi, pp. 33-38. 5 Ivi, p. 43. 6 Cfr. Ivi, pp. 45-48. 7 Ivi, p. 53.

10 1.1.3. Agatha Christie e il suo Hercule Poirot

Dopo un breve periodo di crisi del romanzo poliziesco, in cui le storie dei famosi investigatori vengono sostituite da quelle dei criminali, è il celebre Hercule Poirot di Agatha Christie a apparire nel 1920 in scena. Si presenta come un investigatore del tutto diverso dal suo famoso precedente Sherlock Holmes. Anzi, si può dire che egli è il perfetto opposto di Holmes. Poirot «è piccolo, grassoccio, baffuto, non inglese e ridicolo proprio perché Holmes era stato alto, magro, glabro, britannico o quasi e sostanzialmente drammatico»1. Oltre a questo c'è un altro tratto distintivo che riguarda il modo di investigare. Nelle storie di Dupin e di Holmes sono gli indizi ad avere il ruolo principale. Nel caso di Poirot, invece, lavorano le sue “piccole cellule grigie” e poche cose gli interessano meno della raccolta di indizi sul campo.2

«Sembra niente, ma è ľessenza stessa del giallo moderno. Negli autori che veranno dopo la Christie, la raccolta di indizi e la loro interpretazione non avranno, in effetti, importanza alcuna, saranno compiti da lasciare [...] alle cure di polizia scientifica.»3

La narrativa di Agatha Christie attrae nella sua epoca un vasto pubblico sia in Europa sia negli Stati Uniti. Essa ottiene un successo inedito che perdura a tutt'oggi e inaugura «ľetà delľoro» della storia del romanzo poliziesco.

1.1.4. Ľetà delľoro (gli anni '20 e '30)

Nella prima fase delľ«età delľoro» si presentano sulla scena molti autori, che più o meno cercano di seguire il modello instaurato da Agatha Christie. Dalla loro penna nascono personaggi piuttostosto eccentrici, con ľaspetto fisico un po' fuori dal comune, con stranissimi nomi propri e pronti a risolvere qualsiasi mistero con la pura forza del loro intelletto. Le trame, prive delle scene cruente, si svolgono esclusivamente nelľambito familiare

1 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 57. 2 Cfr. Ivi, pp. 55-63. 3 Ivi, p. 58.

11 e i delitti, motivati da contraddizioni private, sono al di fuori da ogni dimensione criminale o malavitosa.1 «Non sarà un caso, se proprio al culmine di questa «età delľoro», si sentirà un forte bisogno di restituire il delitto alla malavita.»2 Con riferimento alla frase precedente si passa ora dal continente europeo agli Stati Uniti, dove nel periodo del proibizionismo si sviluppa una criminalità organizzata sotto controllo della mafia e delle bande dei gangster. Sullo sfondo di questi fatti nasce un nuovo genere di romanzo poliziesco che cerca di avvicinarsi alla realtà americana contemporanea e che offre ai lettori un nuovo tipo di investigatore. Si tratta delľhard boiled, ovvero la scuola dei duri. Come suggerisce già la denominazione, il protagonista è

«di tutt'altra pasta, abile a sparare quanto a fuggire, in grado di tirare di boxe come un peso massimo e, possibilmente, cinico almeno quanto il mondo, oscuro e corrotto, che lo circonda ma dotato di un profondo senso della giustizia.»3

Dashiell Hammett è il primo a presentare, in Falcone maltese (1930), il prototipo dei ragazzi duri, Sam Spade.4 Un altro importante esponente del filone, dopo Hammett, è Raymond Chandler. Egli arricchisce la storia del giallo di un altro duro ma dal cuore tenero, Philip Marlowe. Chandler afferma che «un buon giallo deve descriverci il mondo così com'è» e rifiuta così il vecchio modello tradizionale costituito dai romanzi, secondo lui, «troppo ingenui e macchinosi, e troppo poco consapevoli di quel che va accadendo nel mondo»5. In nome del realismo e della verosimiglianza narrativa delle trame e dei personaggi appaiono alľinizio degli anni '30 nuovi autori anche in Francia. Il più importante di loro è Georges Simeon che dà la vita al commissario Maigret, una delle icone del giallo contemporaneo. Con il suo

1 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 68-71. 2 Ivi, p. 71. 3 M. R. CAPELLI, Detection&Hard Boiled, disponibile online all’indirizzo www.progettobabele.it. 4 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 73-77. 5 Ivi, p. 86.

12 coetaneo Sam Spade egli ha parecchie cose comune: «è uomo d'azione, pragmatico e non intellettuale, non si interessa di indizi o di deduzioni»1. Nondimeno, secondo i critici, non viene più considerato un eroe tipico delľhard boiled perchè egli, rispetto ai suoi colleghi, prende in considerazione il fatto che ogni individuo ha un suo punto debole e che deve essere sfruttato.2 Dalla sua nascita fino agli anni '30 il giallo fa lunga strada, da genere di serie B diventa narrativa di largo consumo apprezzata non solo dai lettori ma anche dai critici. I suddetti autori e i loro personaggi rappresentano nella storia del giallo momenti decisivi. Sono loro ad aver impostato le principali regole del poliziesco su cui si basa la produzione contemporanea di questo genere.

1.2. Lo sviluppo del romanzo poliziesco in Italia

In Italia, a differenza dei paesi anglosassoni e della Francia, il poliziesco non ha una lunga tradizione. Infatti, esso inizia a diffondersi appena nel 1929 con la nascita della collana editoriale, I Libri Gialli, di Mondadori. Nella storia del giallo italiano si possono individuare tre seguenti periodi importanti: gli anni delle origini, gli anni '60 e '70 e gli anni moderni. Nella fase iniziale del primo periodo, dal 1930 al 1941, il mercato editoriale è ingombro della narrativa straniera. Tutto cambia quando il Regime Fascista «impone di riservare almeno il 20% dei titoli di ogni collana letteraria pubblicata in Italia ad opere di autori italiani»3. Ne consegue che dal nulla nascono una ventina di giallisti italiani che a malapena riescono a raggiungere il successo di quelli anglosassoni e francesi. Infatti i primi giallisti italiani si rendono conto della loro «scarsa abilità nel maneggiare gli schemi e i modelli del romanzo poliziesco»4 e sono consapevoli anche di «essere ancora in una fase di rodaggio e di

1 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 104. 2 Cfr. Ivi, pp. 99-104. 3 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 25. 4 Ivi, p. 38.

13 apprendistato»1. In queste condizioni, per paura di essere rifiutati da parte dei lettori, cercano gli elementi avvincenti per i loro romanzi tra vari generi: «dal feuilleton al romanzo d'avventure, dalla commedia al melodramma»2. Ma questo non è ciò che impedisce al pieno sviluppo del genere poliziesco. Ci sono delle restrizioni imposte da parte del regime affinché tutti «i protagonisti negativi e viziosi debbano risultare stranieri e le vicende debbano svolgersi alľestero o in ambienti stravaganti»3. La situazione per i giallisti non era facile e non c'è da stupirsi che in quelľepoca nascono opere che hanno poco a che fare con i veri romanzi polizieschi. Citiamo ora alcuni tratti caratteristici comuni per il giallo italiano negli anni '30. La prima cosa da notare è ľambientazione che, a differenza di quella urbana nei gialli stranieri, viene realizzata su «sfondi idilico- agresti»4. Ricordiamo anche «il carattere assolutamente grottesco con cui viene spesso rappresentato il personaggio del detective, sempre in bilico tra il dilettantismo amatoriale e ľambizione narcistica spropositata»5. Per non dimenticare ľultimo tratto che riguarda «la tendenza ad espellare dalľintreccio romanzesco ogni componente cruenta e sanguinaria»6 facendo cosí dei gialli le storie «senza delitti, senza cadaveri, senza omicidi e senza morti»7. Tra i più importanti esponenti del giallo italiano in quelľepoca, che tentano a mantenere le strutture canoniche del poliziesco, si possono citare Alessandro Varaldo8, Ezio D'Errico e Augusto De Angelis.9 Nel 1941, due studenti di buona famiglia compiono una rapina e dopo ľarresto dichiarano di essere stati ispirati dalla lettura dei gialli. In seguito al fatto «Mussolini proclama che quei libri rovinano la gioventù

1 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 38. 2 Ibidem. 3 S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 186. 4 G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 27. 5 Ivi, p. 29. 6 Ivi, p. 31. 7 Ibidem. 8 Alessandro Varaldo – il primo autore italiano inserito nella collana dei Gialli Mondadori. (S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personagi, Mondadori, Milano 1979, p. 184). 9 Cfr. G. PETRONIO, Il giallo degli anni Trenta, Edizioni Lint, Trieste 1988, p. 28.

14 italica e ne fa sospendere la pubblicazione»1. Nel dopoguerra, alla ripresa delle pubblicazioni, il mercato editoriale preferisce le opere straniere e gli autori italiani spariscono per anni dalle principali collezioni.2 La situazione cambia negli anni '60 e '70 quando, dopo il periodo del vuoto, nascono delle opere di una straordinaria originalità che trattano diversi argomenti. Nei romanzi si descrive la vita reale in cui si riflette il degrado della società e della vita urbana, la diffusione della criminalità organizzata, la corruzione dei pubblici poteri, ecc. I principi morali nel mondo contano già poco e adeguatamente ne consegue che nel romanzo moderno non ci sono più solo gli eroi ed i cattivi. Questo nuovo andamento deriva dalla situazione sociale delľItalia. Tra gli autori da notare ci sono: Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Loriano Macchiavelli, Gaetano Gadda e Secondo Signoroni. In particolare brillano due autori apprezzati non solo da un vasto pubblico ma anche da quello intellettuale: sono Giorgio Scerbanenco, e soprattutto Leonardo Sciascia di cui parleremo nei seguenti capitoli.3 È proprio Giorgio Scerbanenco a dare il via, dopo gli anni del vuoto, al boom del giallo italiano. Dietro questo successo si nasconde Duca Lamberti, protagonista dei suoi romanzi, «ľeroe che il poliziesco italiano aspettava da una trentina d'anni»4. È un investigatore atipico, medico radiato dalľalbo per aver praticato ľeutanasia, che collabora con la polizia milanese. Nei suoi romanzi si presenta come investigatore della tradizione hard boiled, un duro che non rifugge da una certa dose di violenza e che contemporaneamente è sensibile al dolore degli altri molto più che al proprio.5 Il motivo per cui suscita un tale interesse nei lettori è che finalmente appare sulla scena «un personaggio italiano contemporaneo, una figura credibile su uno sfondo familiare»6. Nella seconda metà degli anni '80 il poliziesco vive un'altra ondata di successo e in merito alla variegatura e alla quantità non è cosí facile

1 S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 186. 2 Cfr. Ivi, pp. 186-187. 3 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 179-184. 4 Ivi, p. 180. 5 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, pp. 187-188. 6 C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, p. 181.

15 offrire un panorama compatto. Nondimeno degno di menzione è il Gruppo 13, fondato nel 1990 a Bologna, che offre un ambiente particolarmente adatto alle sperimentazione di genere. Del Gruppo 13 fanno parte autori dagli interessi piuttosto diversificati, citiamo ad esempio: Danila Comastri Montanari, Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Pino Canucci.1 Tutto sommato gli autori che «hanno contribuito ad allargare il quadro ideologico e gli interessi tematici del giallo»2. Bisogna menzionare anche quanta attenzione è dedicata agli aspetti regionali nei romanzi polizieschi e come le storie si identificano con la realtà cittadina. Ad esempio, ricordiamo Milano in Scarbanenco, Bologna in Lucarelli, Torino in Fruttero e Luccentini, ecc.3 Da ciò risulta che il giallo italiano è stato a lungo un fatto prevalentemente settentrionale e per quanto riguarda Sicilia, che è ľoggetto delľinteresse di questa tesi, essa «è sembrata a lungo esclusa dal quadro, per via, soprattutto, delle peculiarità storiche della sua vita criminale»4. Oggi la Sicilia, per la gran parte dei lettori, è soprattutto quella di Andrea Camilleri.

1.3. La definizione e la struttura del romanzo poliziesco

Nei capitoli precedenti ci siamo occupati della genesi e dello sviluppo del romanzo poliziesco e abbiamo presentato i suoi maggiori esponenti, sia nel mondo sia in Italia, con i loro protagonisti. Dopo questa breve introduzione ci siamo fatti una certa idea sul genere, ma quello non basta e ora bisogna spiegare dettagliatamente che cosa si nasconde dietro il termine giallo, cioè quale è la sua definizione e quali strutture narrative lo caratterizzano. Il romanzo poliziesco è in Italia noto sotto il termine giallo. Come abbiamo già detto, ľespressione deriva dal colore della copertina della collana di Mondadori. A differenza degli altri paesi solo ľItalia usa questo termine per indicare tutte le varianti possibili del genere cosí complesso

1 Cfr. C. OLIVA, Storia sociale del giallo, Todaro Editore, Lugano 2003, pp. 187-188. 2 Ivi, p. 188. 3 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 190. 4 Ivi, p. 191.

16 come è il romanzo poliziesco. «Detective Crime, Mystery Stories, Thriller, Roman Noir, Roman Criminel, Detection, ecc. Un'infinità di termini per identificare il Giallo.»1 Per quanto riguarda i filoni principali del giallo è difficile trovare nella critica un'affermazione univoca. Nella maggior parte dei casi i critici, i letterati e gli studiosi distinguono due linee fondamentali. Si tratta del giallo classico e delľhard boiled. A proposito della denominazione esiste una gamma di diversi nomi che si attribuiscono a questi due filoni e può essere utile soffermarsi sulla terminologia. Per il giallo classico si usano, allora, le espressioni come “detection”, “romanzo deduttivo” oppure “d'enigma”, invece per ľhard boiled viene usata ľespressione “romanzo d'azione” e nella tipologia di Tzvetan Todorov ci si incontra perfino con quella di “romanzo nero”. Il romanzo per poter diventare poliziesco deve rispettare alcune regole come la presenza di alcuni elementi che sono indispensabili per questo genere, cioè il delitto, ľinvestigatore, ľindagine e lo smascheramento del colpevole. Ora ci soffermiamo a spiegarlo meglio. Immaginiamo una situazione sociale equilibrata che ad un certo punto viene turbata da un individuo o da un gruppo di individui. Questo turbamento lo chiamiamo delitto (D). Dopo esser stato commesso e scoperto il delitto deve logicamente seguire un'indagine, svolta da un investigatore, alľinseguimento del colpevole. Quanto alľindagine si distinguono due forme: intellettuale (I) e materiale (M). Grazie a queste indagini viene scoperto il colpevole e ristabilito (R) ľequilibrio spezzato.2

La struttura di questo tipo di narrativa può essere schematizzata così:

D I R M

1 S. MARCHESI, Origini del giallo in Italia, disponibile online all’indirizzo www.sherlockmagazine.it. 2 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 161.

17 1.3.1. Il giallo classico

Nel caso del giallo classico il cuore della narrazione è ľenigma che ľinvestigatore, seguendo gli indizi, deve essere grado di risolvere. Yves Reuter nel suo libro Il romanzo poliziesco lo definisce così: «nel romanzo poliziesco a enigma si passa dalľenigma alla soluzione per mezzo di un'indagine»1. Affinché ľinvestigatore possa raggiungere il suo obiettivo bisogna che egli sia dotato delle capacità intellettuali che sono molto più sviluppate di quelle fisiche. «Osserva, ascolta, fa parlare, raccoglie indizi e testimonianze, espone i suoi metodi con dovizia di particolari e possiede un sapere enciclopedico su uomini, cose ed eventi.»2 Tra i maggiori rappresentanti della categoria degli investigatori deduttivi ricordiamo Auguste Dupin, Sherlock Holmes e Hercule Poirot. Dal punto di vista strutturale il giallo classico si basa su due storie consecutive: la prima è la storia del delitto e la seconda è quella delľindagine. La storia del delitto racconta ciò che è effettivamente successo e si conclude ancora prima delľinizio della seconda. In genere la storia del delitto è assente dal racconto, nel senso che noi lettori non partecipiamo direttamente al delitto ma ľapprendiamo in forma incompleta alľinizio del racconto dalla narrazione dei personaggi. Bisogna quindi passare attraverso la storia delľindagine per ricostruirla. La storia delľindagine, invece, è presente e racconta come ľinvestigatore ne è venuto a capo. I protagonisti non agiscono e quasi non si spostano. Spesso sono considerati i detectives «da poltrona»3 perché solo comunicano informazioni e non si trovano mai in pericolo di vita. Quanto alľindagine si prosegue pian piano esaminando indizio dopo indizio e si dà risalto al carattere metodico e alla razionalità.4 Aggiungiamo ancora una nota riguardante ľindagine, espressa da Peyronie, secondo il quale «non vi è un progresso continuo nelľindagine ma al contrario un caos crescente – per confondere il lettore – fino alla chiarificazione finale»5.

1 Y. REUTER, Il romanzo polziesco, Armando Editore, Roma 1998, p. 21. 2 Ivi, p. 31. 3 Ibidem. 4 Cfr. R. CREMANTE, L. RAMBELLI, La trama del delitto, Teoria e analisi del racconto poliziesco, Pratiche Editrice, Parma 1980, pp. 155-156. 5 Y. REUTER, Il romanzo polziesco, Armando Editore, Roma 1998, p. 21.

18 1.3.2. L'hard boiled

L'hard boiled ovvero il romanzo d'azione. Già la denominazione “d’azione” suggerisce al lettore che ľazione ha un ruolo centrale e che prevale sul ragionamento. La trama è caratterizzata da numerose scene d'azione, colpi di scena e violenza. Gli investigatori sono diversi da quelli visti in precedenza. Sono uomini duri, dotati non solo della capacità deduttiva ma anche del coraggio e della forza fisica, i quali non hanno paura di entrare in pericolo e di rischiare la propria vita. «Il rischio e la morte sono sempre presenti, sono elementi del quotidiano, sono la norma nell’universo rappresentato in questo tipo di romanzo.»1 Gli investigatori, al contrario del detective «da poltrona», si muovono dapperttutto alla ricerca di informazioni e percorrono tutti gli strati sociali. Spesso sono in conflitto con le istituzioni e stanno al limite del lecito. Ricordiamo che alla categoria degli investigatori delľhard boiled appartengono Sam Spade e Philip Marlowe.2 Per quanto riguarda la struttura c'è una grande differenza rispetto al giallo classico: nel romanzo d'azione non avviene nessun delitto prima delľinizio del racconto. Il preludio può essere definito come un periodo d'attesa durante il quale cresce lo stato di inquietudine nel lettore. Dopo che è stato commesso e scoperto il delitto, ľinvestigatore si mette a inseguire il colpevole e il resto del racconto è basato esclusivamente sulľinseguimento.3 Bisogna dire, riferendosi ora alla critica di Tzvetan Todorov, che ci sono ancora altre differenze, rispetto al giallo classico, da notare. In primo luogo nel romanzo d'azione non c'è nessuna storia da indovinare e nessun mistero. In secondo luogo, visto che nelľhard boiled si procede dalla causa alľeffetto –

«ci vengono presentate dapprima le cause e i dati iniziali (dei gangsters che preparano un colpo) e ľinteresse è mantenuto vivo dalľattesa di ciò che accadrà, cioè degli effetti (cadaveri, delitti, scontri)»4

1 Y. REUTER, Il romanzo polziesco, Armando Editore, Roma 1998, p. 43. 2 Cfr. Ivi, pp. 47-48. 3 Cfr. S. BENVENUTI, G. RIZZONI, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Mondadori, Milano 1979, p. 161. 4 R. CREMANTE, L. RAMBELLI, La trama del delitto, Teoria e analisi del racconto poliziesco, Pratiche Editrice, Parma 1980, p. 158.

19 – si possono realizzare ambedue le storie, sia la storia del delitto sia quella delľindagine.1

1.3.3. Il giallo di suspense

Alľinizio di questo capitolo abbiamo detto che la maggior parte dei critici e dei letterati distingue due filoni principali del giallo. Per essere più precisi si dovrebbe aggiungere che alcuni critici, come ad esempio Tzvetan Todorov, distinguono accanto al giallo classico e alľhard boiled ancora un terzo filone, cioè il romanzo di suspense. Secondo Todorov questi due filoni hanno dato origine al terzo che riunisce le loro caratteristiche. Del giallo classico esso conserva il mistero e la curiosità di sapere come si spiegano i fatti già avvenuti e delľhard boiled conserva ľazione, la suspense e la curiosità di sapere che cosa accadrà ai protagonosti.2

1.3.4. Le venti regole di S. S. Van Dine3

S. S. Van Dine (1888 – 1939), giallista e creatore di Philo Vance, pubblica nel 1928 sulle pagine di The American Magazine un articolo intitolato Venti regole per chi scrive romanzi polizieschi, le quali riportiamo sotto. Sebbene non siano molto attuali per il giallo moderno, non le consideriamo del tutto inutili perchè ci serviranno come punto di riferimento per ľanalisi dei romanzi polizieschi di Leonardo Sciascia e di Andrea Camilleri.

I. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti. II. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi e inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore. III. Non ci deve essere una storia d'amore. [...] IV. Né ľinvestigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. [...]

1 Cfr. R. CREMANTE, L. RAMBELLI, La trama del delitto, Teoria e analisi del racconto poliziesco, Pratiche Editrice, Parma 1980, p. 158. 2 Cfr. Ivi, p. 161. 3 Informazioni tratte da: www.ilgattonero.it.

20 V. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. [...] VI. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. [...] VII. Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco [...]. Nessun delitto minore delľassassinio è sufficiente. [...] VIII. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali. [...] IX. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo "deduttore", un solo "deus ex machina". [...] Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta gareggiando. [...] X. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia. [...] XI. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare. XII. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassinii. Ovviamente che il colpevole può essersi servito di complici, ma la colpa e ľindignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo. XIII. Società segrete, associazioni a delinquere "et similia" non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. [...] XIV. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. [...] XV. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dalľinizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole. [...] XVI. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti. [...] Esse rallentano ľazione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. [...] XVII. Un deliquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. [...] XVIII. Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. [...]

21 XIX. I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. [...] Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni. XX. Si devono evitare le situazioni e le soluzioni banali e ormai troppo usati: - scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati; - il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induca a tradirsi; - impronte digitali falsificate; - alibi creato grazie a un fantoccio; - cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia; - il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente; - siringhe ipodermiche e bevande soporifere; - delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso; - associazioni di parole che rivelano la colpa; - alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.

2. Leonardo Sciascia

2.1. La vita e ľopera1

Leonardo Sciascia, narratore e saggista, nasce ľ8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, in Sicilia, da Pasquale Sciascia e Genoveffa Martorelli. Della sua famiglia e degli antenati, egli dice:

1 Informazioni tratte da: C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, pp. 5-61. G. FERRONI, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, pp. 465-471. L. CROVI, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, pp. 76-78. E. RAIMONDI, La letteratura italiana: il Novecento, vol. II, Dal neorealismo alla globalizzazione, a cura di Gabriella Fenocchio, Bruno Mondadori, Milano 2004, pp. 208- 209. E. GHIDETTI, G. LUTI, Dizionario critico della letteratura italiana del Novecento, Editori Riuniti, Roma 1997, pp. 781-784.

22 «Le nonne, casalinghe. Il nonno paterno cominciò da ragazzo, orfano, a lavorare nella zolfara, poi andò a scuola da un prete, divenne capomastro e poi impiegato. Il nonno materno era guardia municipale.»1

La sua famiglia aveva quindi radici nella zolfara e sapeva come era dura la vita dello zolfataro, di «chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portare tutti sulle spalle e resta schiacciato»2 e tuttavia sapeva anche che la sua progressione sociale non poteva assicurare lo status raggiunto per la prossima generazione: «suo figlio può essere proletarizzato di nuovo e tornare alla cava di zolfo»3. Per questo motivo la famiglia fa studiare tutti i suoi figli. Leonardo Sciascia frequenta ľistituto magistrale di Caltanissetta e nel 1941 ottiene il diploma di maestro elementare. Nello stesso anno inizia a lavorare negli uffici per ľammasso del grano a Racalmuto e dal 1949 fino al 1956 insegna nella scuola elementare di Racalmuto. Allora viene distaccato in un ufficio scolastico a Caltanissetta, ľanno seguente lo trascorre a Roma al Ministero della Pubblica Istruzione e tornato in Sicilia si stabilisce a Caltanissetta, lavorando al Patronato scolastico. Della sua carriera egli dice: «Preferivo la vita d'ufficio alľinsegnamento.»4 Nelľarco degli anni '40 e '50 gli esordi dello scrittore si segnalano per varia attività letteraria: egli scrive scritti critici, dirige la rivista Galleria e pubblica le sue prime opere, Cronache scolastiche, Favole della dittatura e La Sicilia, il suo cuore. Comunque ľingresso nella società letteraria gli viene assicurato solo con la pubblicazione de Le parrocchie di Regalpetra (1956) che suscita attenzione anche a livello nazionale. Il libro documenta la vita e la storia di un immaginario paese siciliano che troppo somiglia al proprio paese, Racalmuto. Come lo stesso autore menziona:

«questo libro vuole essere il punto di partenza di una lunga indagine sulla storia passata e presente della Sicilia, definibile come la storia di una continua sconfitta della ragione e di coloro che nella sconfitta furono personalmente travolti e annientati.»5

1 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 13. 2 Ivi, p. 25. 3 Ivi, p. 24. 4 Ivi, p. 30. 5 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana, Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, p. 468.

23

Nel 1958 esce il volume di tre racconti, Gli zii di Sicilia, grazie al quale Sciascia ottiene nello stesso anno il premio Libera Stampa. Tre anni dopo, nel 1961 pubblica Il giorno della civetta, romanzo che attrae non solo la critica letteraria ma anche la società italiana. È per la prima volta che viene messo alla luce il problema della mafia, a cui fino allora non si prestava quasi nessun'attenzione. La trama del romanzo, basato sulla tecnica del giallo, si occupa delľassassinio del sindacalista comunista Miraglia, avvenuto nel 1947. Sullo sfondo di questo avvenimento storico Sciascia cerca di mostrare una vera realtà siciliana con cui sembra potersi identificare tutta ľItalia. «Fra ricostruzione storica e inchiesta sul presente, adottando trame tipiche del romanzo poliziesco, si muovono i grandi successi di Sciascia degli anni Sessanta.»1 A partire da Il giorno della civetta segue una serie di romanzi, ora collocati in Sicilia presente, ora nella storia siciliana. Citiamo Il consiglio d'Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971), Todo modo (1975), I pugnalatori (1976). Oltre alla produzione narrativa Sciascia si dedica anche a un'attività polemica e saggistica. Bisogna ricordare il suo famoso pamphlet Ľaffaire Moro (1978) dove esprime le proprie riflessioni sul rapimento di e provoca un'altra ondata di discussioni e di polemiche.

«Per tutti gli anni Settanta e Ottanta la sua immagine di intellettuale problematico ebbe un rilievo internazionale. Nel mondo politico-giornalistico si definí in modo sempre piú netto la sua figura inquieta e controcorrente, la sua prontezza nel ribaltare certi aspetti del senso comune, nel contestare le interpretazioni convenzionali della realtà sociale, nel rifiutare i poteri assestati e le formule dominanti.»2

Per essere completi ricordiamo che nella produzione di Sciascia si possono trovare anche alcuni notevoli testi teatrali, come ad esempio: Ľonorevole (1965), Recitazione della controversia liparitana (1969) e I mafiosi (1976).

1 E. RAIMONDI, La letteratura italiana: il Novecento, vol. II, Dal neorealismo alla globalizzazione, a cura di Gabriella Fenocchio, Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 208. 2 G. FERRONI, Storia della letteratura italiana, Il Novecento, Einaudi, Milano 1991, pp. 466-467.

24 Leonardo Sciascia, durante la sua vita, è attivo non solo nelľambito letterario ma anche in quello politico. Nel 1975 viene eletto come indipendente alle elezioni comunali di ma, deluso per ľinefficacia della sua presenza nel consiglio comunale, nel 1977 si dimette dal suo incaric. Non resta a lungo in questa decisione e nel 1979, dopo un periodo trascorso a Parigi, entra in politica di nuovo. Questa volta viene eletto come deputato alla Camera e fa parte della Commissione d'indagine sul caso Moro. Il 20 novembre, a Palermo, Leonardo Sciascia muore.

2.2. Leonardo Sciascia ed il romanzo poliziesco

L’oggetto di questa parte sarà un’analisi dei tre romanzi di Leonardo Sciascia: Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto.

2.2.1. Il giorno della civetta

La trama del romanzo si svolge un piccolo paese in Sicilia. Una mattina mentre il signor Colasberna, presidente di una cooperativa edilizia, va alla fermata dell’autobus per Palermo viene ammazzato dai due colpi. Lo stesso giorno viene in caserma dei carabinieri la signora Nicolosi per annunciare la scomparsa del suo marito. All’inizio non sembra che il primo caso c’entri qualcosa con il secondo ma nel corso delle indagini si scopre una coerenza. Alla testa della squadra dei carabinieri c’è il giovane capitano di Parma, Bellodi, che subito si mette su una giusta pista intuendo che dietro la morte del Colasberna c’è la mafia. Da una lettera anonima apprende che il defunto Colasberna ha rifiutato la protezione da parte della mafia e che non si faceva spaventare dalle sue minacce. L’informatore della polizia, Parrinieddu, conferma involontariamente l’idea del capitano. Per paura di avergli confessato troppo e di aver tradito la mafia inizia a comportarsi molto stranamente, ciò gli diventa fatale. Ancora prima di essere ammazzato invia al capitano

25 una lettera in cui gli scrive i nomi dei due capi mafiosi, don Mariano Arena e il Pizzuco. Intanto il capitano trova il nesso tra l’assassinio del Colasberna e la scomparsa del Nicolosi. Il Nicolosi viene ammazzato perché riconosce nell’assassino il suo compaesano, Diego Marchica. Tutti e tre gli uomini, don Arena, il Pizzuco e il Marchica sono sottoposti alle lunghe interrogazioni, e pian piano iniziano a trapelare informazioni importanti. Tutta l’organizzazione è più grande di quanto sembri e procede fino al parlamento. Le indagini del capitano suscitano il timore dalla gente che circonda il ministro . Il capitano Bellodi non riesce a fronteggiare da solo un’organizzazione di tale dimensione come è questa e viene mandato in licenza. A Parma apprende che il caso prosegue in un’altra direzione. Gli imputati rimangiano la loro confessione, persone assolutamente insospettabili testimoniano gli alibi, e tutti e tre sono sprigionati.

2.2.2. A ciascuno il suo

La storia del romanzo è introdotta dalľarrivo della lettera anonima destinata al farmacista Manno, in cui egli trova una minaccia di morte. Assieme ai suoi amici e compaesani si concorda che si deve trattare sicuramente di uno scherzo e non ci dà più peso. Pochi giorni dopo, nel giorno delľapertura della stagione venatoria, il farmacista assieme al suo compagno di caccia, il dottor Roscio, sono trovati uccisi. La polizia si mette a indagare e tra la gente si inizia a parlare delle possibili avventure del farmacista con le donne, che gli sono diventate fatali, e che il dottor Roscio è morto per causa dei suoi vizi. Sulla scena appare il professore Laurana che seguendo gli indizi (gli unici indizi sono la lettera anonima e il mozzicone di sigaro, di marca Branca, trovato sul luogo del delitto) cerca di venire a capo del delitto. È l’unico che si accorge che dal rovescio del foglio della lettera anonima emergono alcune parole che rimandano al giornale cattolico ĽOsservatore romano, i cui unici abbonati sono il parroco di Sant’Anna e l’arciprete.

26 Quanto all’arciprete, egli è lo zio della moglie del defunto dottore Roscio e dell’avvocato Rosello. Dopo le prime interrogazioni Laurana si sente come uno che cerca un ago in un pagliaio finché egli incontra un suo vecchio amico, deputato nazionale, che porta un po’ di luce nel caso. Egli svela a Laurana che il dottor Roscio aveva l’intenzione di denunciare un notabile del suo paese e che si trattava di una cosa delicata e personale. Da questo punto in avanti tutta l’attenzione di Laurana è mirata al caso del dottor Roscio e ai suoi parenti. Più Laurana prosegue nella sua indagine più si rende conto che tutte le tracce conducono all’avvocato Rosello, cugino della moglie del defunto dottore Roscio. Egli ha una relazione intima con la Roscio e ora dopo la morte di suo marito non gli impedisce nessuno e niente di sposarla. Anzi, negli occhi della gente diventerà «opera di carità... Sposare una vedova con una bambina, riunificare la roba...».1 Laurana, convinto della sua verità, vive la sua vita e non ha intenzione di andare alla polizia e fare denuncia. Sia per il ricordo come il dottor Roscio e il farmacista erano finiti sia per la simpatia per la vedova Roscio, la quale secondo lui deve essere innocente. Purtroppo questa sua simpatia o meglio l’affascinamento gli diventa fatale e cade in trappola mortale. Ella lo convince della sua innocenza e stabilisce l’appuntamento in un caffè, dove alla fine non viene. Laurana, preoccupato per la sicurezza di lei, accetta il passaggio da parte di uno del paese e finisce ammazzato in una zolfara abbandonata. Il romanzo si conclude con l’annuncio del fidanzamento dei cugini, Rosello e la Roscio, e con la confessione dei tre abitanti del paese che svelano tra di loro di aver capito tutta la storia e tutto il mistero relativo alla morte dell farmacista e del dottor Roscio «prima che finissero i tre giorni di lutto»2.

1 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1998, p. 120. 2 Ivi, p. 147.

27 2.2.3. Il contesto

La storia del romanzo si svolge in un paese immaginario che ricorda l’Italia. In breve tempo sono ammazzati un procuratore e qualche giudice e le indagini sui loro omicidi sono assegnate al migliore commissario di polizia, Rogas. Egli tenta di trovare il nesso tra le vittime e seguendo le tracce si mette a indagare sui casi in cui gli inquisiti sono stati condannati ingiustamente. Dopo una ricerca nell’archivio, Rogas trova tre uomini che risultavano innocenti nondimeno condannati. I primi due sono sottoposti a interrogatorio con l’ispettore, il terzo – il farmacista Cres – invece sparisce prima che Rogas possa parlargli. La sua inaspettata scomparsa e specialmente il suo acuto tentativo di non lasciare nulla che possa servire alla polizia ad identificarlo suscitano nell’ispettore una certa dose di sospetto. Intanto uno sconosciuto assassino continua a ammazzare altri giudici e cosí l’ispettore Rogas viene costretto dai maggiori rappresentanti della polizia a lasciare la sua pista e mettersi su un’altra. La polizia sospetta un gruppuscolo di rivoluzionari che pubblica la rivista Rivoluzione permanente. Il compito di Rogas è trovare il direttore della rivista e scoprire tra i giovani rivoluzionari il possibile assassino. Egli, invece, scopre un’ altra cosa, molto più interessante, cioè un complotto tra i maggiori rappresentanti dello stato e vertici militari. Dopo questa sua scoperta la polizia lo lascia perfino pedinare. Rogas, in un certo momento, incotra e riconosce anche il farmacista Cres ma non lo arresta perché considera il problema con il complotto più importante. Il suo segreto lo svela al suo amico Cusan e decide di svelarlo anche al capo d’opposizione Amar. La storia si conclude con la morte di Rogas e Amar. Rogas è considerato l’assassino di Amar e viene ammazzato da un agente che lo inseguiva.

28 2.3. Ľanalisi

2.3.1. La struttura

Nel capitolo La definizione e la struttura del romanzo poliziesco abbiamo schematizzato la struttura del giallo, la quale è costituita da queste parti: equilibrio iniziale – delitto – indagine – smascheramento del colpevole – ristabilimento dell’equilibrio spezzato. Vale la pena di accorgersi che le singole parti si identificano perfettamente con la struttura di base del testo narrativo, il cui schema viene articolato in: esposizione – esordio – peripezie – spannung – scioglimento. Fino a che misura corrisponde la struttura de Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto a quella generale del giallo sarà l’oggetto di questo capitolo. a) Il giorno della civetta A partire dal primo giallo, Il giorno della civetta, si osserva che la parte iniziale viene mantenuta secondo lo schema generale. La storia è subito introdotta dal delitto. Per essere più concreti, il lettore vede la scena del delitto ma non il responsabile:

«L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro, che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista – un momento – e aprí lo sportello [...] si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, [...] gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.»1

Partendo da questo punto inizia la fase dell’indagine che tecnicamente occupa la maggior parte del testo e che per quanto riguarda il contenuto comprende gli interrogatori di polizia. Inoltre, accanto agli interrogatori di polizia appaiono sullo sfondo della storia un paio di dialoghi dei politici e dei mafiosi che, rompendo la linea principale dell’inchiesta, creano un’altra linea narrativa. Il contenuto dei dialoghi consiste nei commenti dei politici e dei mafiosi alla situazione e alle indagini di polizia:

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 9.

29 «Il problema è questo: i carabinieri hanno in mano tre anelli di una catena. Il primo è Marchica [...] ed al suo anello ecco attaccato quello di Pizzuco... E in questo caso, mio caro, la catena si allunga si allunga, si allunga tanto che mi ci posso trovare impigliato anch’io, e il ministro, e il padreterno... Un disastro, mio caro, un disastro...»1

Si tratta di un nuovo elemento presente nella struttura del giallo. Questa seconda linea narrativa sullo sfondo della storia suscita nel lettore la curiosità e rende la tensione della trama più intensiva. Secondo lo schema generale si dovrebbe in questo punto, dopo la fase dell’indagine, giungere allo smascheramento del colpevole, cioè al culmine della storia, alla sorpresa finale tanto attesa da parte del lettore, dopo il quale si effettuerebbe il ristabilimento dell’equilibrio spezzato. Comunque ne Il giorno della civetta questo procedimento non viene rispettato. Lo smascheramento dell’assassino avviene già in anticipo, nel corso dell’indagine, e non suscita alcun interesse. Il lettore, infatti, intuisce che Diego Marchica, assassino di tre persone, assieme agli altri due mafiosi siano solo un anello della lunga catena che procede fino al parlamento. E quindi si aspetta che il culmine della trama debba essere lo smascheramento della intera catena e il ristabilimento dell’equilibrio debba consistere nella giusta condanna e pena. Purtroppo il lettore è negativamente sorpreso quando apprende che non si avvererà niente di questo ma:

«che tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti di S. era stata sfasciata come un castello di carte dal soffio di inoppugnabili alibi. O meglio: era bastato un solo alibi, quello di Diego Marchica, a sfasciarlo. Persone incensurate, assolutamente insospettabili, per censo e per cultura rispettabilissime, avevano testimoniato al giudice istruttore l’impossibilità che Diego Marchica si fosse trovato a sparare su Colasberna.»2 b) A ciascuno il suo A differenza del giallo precedente in A ciascuno il suo il delitto non avviene all’inizio della storia. Il primo capitolo, in cui il farmacista riceve una lettera anonima, funziona come un periodo d’attesa durante il quale cresce lo stato di inquietudine nel lettore.

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, pp. 88-89. 2 Ivi, p. 112.

30 «Di colpo il farmacista si decise: prese la lettera, l’aprì, spiegò il foglio. Il postino vide quel che si aspettava: la lettera composta con parole ritagliate dal giornale. [...] porse la lettera. Il postino avidamente la prese, a voce alta lesse «Questa lettera è la tua condanna a morte, per quello che hai fatto morirai» la rachiuse, la posò sul banco.»1

Il delitto viene commesso subito dopo, nel capitolo successivo, e rispetto a Il giorno della civetta il lettore non partecipa direttamente all’assassinio ma apprende solo le conseguenze:

«insieme chiusero quella felice giornata di caccia, a dieci metri di distanza: colpito alle spalle il farmacista, al petto il dottor Roscio. Ed anche uno dei cani restò a far loro compagnia, nel nulla eterno o nelle cacce elisie.»2

A partire dal delitto inizia la fase dell’indagine che in questo caso non corrisponde all’indagine nel senso più proprio della parola. Il ruolo dell’investigatore viene assunto da una persona non esperta, dal professor Laurana, che scopre il colpevole più per caso e coincidenza che attraverso logiche deduzioni. Anche in A ciascuno il suo il lettore intuisce e apprende il nome del colpevole in anticipo e quindi lo schema generale della struttura del giallo non viene rispettato nemmeno in questo caso. Visto che il colpevole, l’avvocato Rosello, è già noto al lettore e l’indagine continua, si osserva che per l’autore è probabilmente più importante sapere il motivo e perché viene commesso il delitto che come è avvenuto. Il culmine della storia, il momento della sorpresa non è né lo smascheramento del colpevole né l’assassinio del professor Laurana, ma consiste nella confessione di tre abitanti del paese, i quali svelano così al lettore di aver capito subito all’inizio della vicenda come stavano le cose e che è meglio non ficcarci il naso.

«Noi due dobbiamo parlare» disse il notaro. «E che parliamo a fare?» disse don Luigi con stanchezza «Quello che so io lo sai anche tu e lo sanno tutti.»3

1 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p.11. 2 Ivi, p. 18. 3 Ivi, p. 147.

31 c) Il contesto La struttura de Il contesto è molto più complicata di quella dei gialli precedenti e genera nel lettore una certa dose di inquietudine. Dallo schema generale essa si differenzia soprattutto per il numero dei delitti, i quali sono commessi nel corso di tutta la narrazione, dalla prima quasi all’ultima pagina. Interessante è che il narratore non dedica alla descrizione dei delitti molta attenzione e nemmeno lo spazio, come se volesse lasciarli in penombra. Ovviamente tranne la prima vittima, il procuratore Varga, che è descritto abbastanza dettagliamente dal narratore, si osserva che per il resto delle vittime egli si limita solo a citare qualche informazione basilare come il loro nome, professione e luogo dove sono state ammazzate. A partire dal primo delitto inizia l’indagine che svolge l’ispettore Rogas e che lo conduce al presunto colpevole, il farmacista Cres. Da questo punto inizia la seconda indagine, svolta nuovamente da Rogas, ma questa volta imposta dai suoi superiori che negano la versione dell’ispettore e vogliono rivolgere l’attenzione ai giovani anarchici e trovare il colpevole tra di loro. Il risultato della seconda indagine è lo smascheramento del complotto tra i maggiori rappresentanti del potere politico che vogliono sfruttare la serie di assassinii di procuratori e di giudici per accusare l’opposizione e preparare cosí il terreno per il colpo di Stato. A questo punto bisogna precisare che l’intrigo delittuoso viene solo accennato e che il lettore deve essere molto attento a non perdersi nel labirinto degli accenni e degli eventi. Si può dire che proprio “labirinto” è la parola chiave che sottolinea la natura della struttura de Il contesto. In seguito allo smascheramento del complotto l’ispettore Rogas viene ucciso e accusato di omicidio del rappresentante d’opposizione, il che si può considerare come la sorpresa finale, la quale in tutti i romanzi sciasciani in questione turba il lettore invece di offrirgli un’attesa giustizia.

Sulla base dei risultati dell’analisi della struttura de Il giorno della civetta, di A ciascuno il suo e de Il contesto si può arrivare alla conclusione che i gialli di Sciascia dal punto di vista della struttura si rivelano – nonostante la presenza di alcuni tratti caratteristici come il

32 delitto, l’indagine e lo smascheramento del colpevole – abbastanza lontani dalla tradizione del romanzo poliziesco. In primo luogo si osserva che il colpevole viene sempre smascherato in anticipo anziché alla fine del racconto e lo smascheramento non rappresenta il culmine, il momento della sorpresa, il che nel giallo sono elementi indispensabili. Questo effetto viene attribuito dall’autore a un altro avvenimento, spesso inatteso e imprevedibile il cui obiettivo è scioccare il lettore. In secondo luogo bisogna sottolineare che, a differenza della struttura di base del romanzo poliziesco, nei gialli sciasciani non viene mai effettuato il ristabilimento dell’equilibrio spezzato. La situazione che avviene dopo il delitto commesso perdura sino alla fine della storia senza la speranza di metterla in ordine. Si tratta di un elemento che sarebbe impossibile nel giallo, in cui l’obiettivo principale è trovare il colpevole e assicurare la società (e anche il lettore) che la giustizia sarà compiuta. Insomma, dalle sopracitate osservazioni risulta che Sciascia non è fedele alla tradizione del romanzo poliziesco. I suoi romanzi non hanno la struttura del vero giallo, è solo l’apparenza. Egli usa questa forma narrativa, la trasforma e la utilizza per compiere un altro obiettivo. Di quale obiettivo si tratti, cercheremo di spiegarlo nei seguenti capitoli.

2.3.2. I personaggi

Charles Grivel nel suo saggio Osservazioni sul Romanzo Poliziesco si occupa di un’interessante idea chiamata La Trinità poliziesca. Essa è composta da due personaggi buoni e un cattivo: «il primo buono serve da vittima (Abele); il cattivo gli fa un torto (Caino), il secondo buono vendica, ripara, toglie di mezzo criminale e crimine (Dio).»1 Per quanto riguarda il romanzo poliziesco si trova a confronto:

«1) il cattivo che uccide; 2) il buon giustiziere che lo mette in condizione di non nuocere; 3) la vittima, che muore normalmente all’inizio del libro e che, buona o no, degna o no del

1 CH. GRIVEL, Osservazioni sul Romanzo Poliziesco, in N. ARNAUD, La paraletteratura: il melodramma, il romanzo popolare, il fotoromanzo, il romanzo poliziesco, il fumetto, Liguori Editore, Napoli 1977, p. 226.

33 sacrificio, non è altro che l’occasione del conflitto; appare quasi sempre assente dal libro (almeno nei classici del genere) e ciononostante lo attiva.»1

Si individuano così nel romanzo poliziesco tre soggetti indispensabili per questo genere, senza i quali esso non potrebbe esistere, cioè la vittima, il colpevole e l’investigatore. La figura dell’investigatore assume il ruolo centrale e rappresenta il protagonista della storia. Nei capitoli precedenti avevamo già l’occasione di conoscere il capitano Bellodi ne Il giorno della civetta, il professor Laurana in A ciascuno il suo e l’ispettore Rogas ne Il contesto. A partire dal capitano Bellodi sappiamo che si tratta di un giovane ufficiale, originario di Parma, comandante dei carabinieri che si trova da poco tempo in servizio in Sicilia, dove è costretto ad affrontare una nuova realtà tanto diversa da quella continentale. Che la Sicilia e soprattutto i siciliani si considerano in tutti i sensi diversi e che si separano dal resto d’Italia è evidente in alcune allusioni:

«dalle prime parole che disse i soci della Santa Fara pensarono “continentale” con sollievo e disprezzo insieme; i continentali sono gentili ma non capiscono niente. [...] pensarono ancora “continentale, quanto sono educati i continentali”.»2 oppure

«ma come è piovuto qui, questo Bellodi? Come diavolo mandano uno come lui in una zona come questa? Qui ci vuole discrezione, amico mio; naso, tranquillità di mente, calma: questo ci vuole...»3

Il capitano «Bellodi per merito della sua origine geo-culturale diversa, funziona da perfetto tramite tra il mondo siciliano e il lettore»4. Ce ne accorgiamo quando Bellodi chiede la spiegazione o la traduzione di un’espressione o di un costume locale ai suoi subordinati o agli abitanti

1 CH. GRIVEL, Osservazioni sul Romanzo Poliziesco, in N. ARNAUD, La paraletteratura: il melodramma, il romanzo popolare, il fotoromanzo, il romanzo poliziesco, il fumetto, Liguori Editore, Napoli 1977, p. 226. 2 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 16. 3 Ivi, p. 83. 4 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 100.

34 del luogo. In questo punto il lettore si identifica con il capitano ed è come se lui stesso, per bocca sua, cercasse di informarsi. Ma torniamo alla figura del capitano Bellodi come tale. Le informazioni riguardanti il suo aspetto fisico ce ne sono poche. Da quello che il narratore ci fornisce sappiamo in effetti solo che è un uomo alto, «di colore chiaro», biondo, ben rasato, elegante nella divisa e che parla a bassa voce mangiandosi le esse. Era destinato alla professione di avvocato ma influenzato dall’esperienza partigiana e dalla fede in libertà, giustizia e legge della Repubblica si è deciso a indossare la divisa per poter far rispettare tutto quanto. Dopo che si è trovato in Sicilia, personalmente convinto della esistenza della mafia e dei suoi delitti, si mette con coraggio ad affrontarla. Nel suo lavoro usa le tecniche moderne, analizza la grafia, controlla i depositi nelle banche e i flussi finanziari. Dai suoi colleghi si distingue nel modo di trattare la gente sottoposta agli interrogatori. Egli è tranquillo, non alza mai la voce, parla con gentilezza e con confidenza. Fa le domande che spesso suscitano lo stupore dei suoi colleghi e sbilanciano gli interrogati. Come buon esempio del comportamento gentile del capitano che contrasta quello dei suoi subordinati citiamo il seguente brano:

Da qualche minuto la faccia del maresciallo era raggelata nella più minacciosa incredulità: da quando la donna aveva mostrato improvviso sgomento. Quello era, secondo il maresciallo, il momento buono per farglielo crescere, lo sgomento: per farle tanta paura da costringerla a dirlo, quel nome o soprannome: che, quant’è vero Dio, lei ce l’ha stampato in mente ce l’ha. E invece il capitano era diventato anche più gentile del solito. «Ma chi crede di essere, Arsenio Lupin?» pensava il maresciallo, nei suoi lontani ricordi di lettore scambiando per poliziotto un ladro. - Cerchi di ricordare quella ingiuria – disse il capitano – e intanto il maresciallo sarà tanto gentile da offrirci un caffè. «Anche il caffè – pensò il maresciallo – che non si possa piú dare una strigliata giusta, e va bene: ma il caffè poi...», ma disse soltanto signorsí. Il capitano cominciò a parlare della Sicilia. [...] Venne il caffè e parlava ancora della Sicilia e dei siciliani [...] sorvolando il panorama letterario siciliano, da Verga al Gattopardo. [...] La donna non capiva molto, e nemmeno il meresciallo: ma certe cose che la mente non intende, il cuore le intende; e nel loro cuore di siciliani le parole del capitano musicalmente stormivano. «È bello sentirlo parlare» pensava la donna; e il maresciallo pensava «per parlare, sai parlare: meglio di Terracini». [...]

35 Il capitano guardò interrogativamente la donna. Lei fece di no piú volte scuotendo la testa. Il maresciallo, con gli occhi che tra le palpebre parevano diventati due acquose fessure, violentemente si protese a guardarla: e lei precipitosamente, come se il nome le fosse venuto su con singulto improvviso, disse – Zicchinetta. [...] Il capitano si era sentito dentro, di colpo, un oscuro scoraggiamento: un senso di delusione, di impotenza. Quel nome, o ingiuria che fosse, era finalmente venuto fuori: ma solo nel momento in cui il maresciallo era diventato, agli occhi della donna, spaventosa minaccia di inquisizione, di arbitrio.1

Non solo si vede la differenza tra il comportamento del capitano Bellodi e quello del maresciallo ma sulla base del sopracitato brano si può affermare che l’anticonformismo di Bellodi dà un certo fastidio ai suoi subordinati, abituati alla routine delle pratiche poliziesche. Della stessa opinione è anche Claude Ambroise, secondo il quale

«è irritante la sua ideologia democratico-resistenziale e non è apprezzato il suo essere un personaggio. I carabinieri sognano un ritorno ai metodi sbrigativi [...], attaccati come sono a una immagine dello Stato forte.»2

Dal capitano Bellodi si passa adesso al professor Laurana, il quale rispetto agli altri due protagonisti è l’unico che non sia un investigatore professionale. Egli si mette all’indagine a pieno, spinto non tanto dalla ricerca della verità come dalla sfida intellettuale.

«La sua curiosità riguardo alle ragioni e al modo del delitto era puramente intellettuale e mossa da una specie di puntiglio. [...] Infatti l’idea che la soluzione del problema portasse, come si dice, ad assicurare i colpevoli alla giustizia, [...] non gli balenava nemmeno. Era un uomo civile, sufficientemente intelligente, di buoni sentimenti, rispettoso della legge: ma ad aver coscienza di rubare il mestiere alla polizia, o comunque di concorrere al lavoro che la polizia faceva, avrebbe sentito tale repugnanza da lasciar perdere il problema.»

Comunque, nonostante la sua convinzione iniziale, verso la fine della storia è deciso di agire e di denunciare il colpevole perchè la sua mente viene abbacinata dal suo istinto sessuale e dal desiderio di aiutare la vedova Roscio.

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, pp. 39-42. 2 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, pp. 102-103.

36 Alla descrizione del professor Laurana è destinato l’intero quinto capitolo in cui dal punto di vista del narratore, dei colleghi e dei compaesani viene presentato tutto il ritratto del professore. Nel libro mancano solo le informazioni relative all’aspetto fisico. Paolo Laurana, di quarant’anni, professore d’italiano e latino in un liceo classico a Palermo, vive nella vecchia e grande casa assieme a sua mamma. «Per la sua vita privata era considerato una vittima dell’affetto esclusivo e geloso della madre.»1 Infatti, per paura del giudizio di lei su una donna da lui scelta non si è mai sposato e non aveva nemmeno relazioni intime. Pieno di complessi si limita solo a sognare dentro di sé svolgendo vicende di desiderio e d’amore con alunne e colleghe. Essendo consapevoli del suo stato interiore non c’è da stupirsi che lo abbacina un improvviso affetto da parte della vedova Roscio, donna molto bella e sensuale. Negli occhi dei suoi colleghi è un tipo chiuso, di poche parole, gentile ma anche un po’ strano, capace di scoppiare di rabbia per una parola malintesa o per una falsa impressione. Come professore viene considerato dai suoi colleghi «bravissimo, preciso, coscienzoso, cultura solida, buon metodo...»2 Invece negli occhi dei suoi compaesani, oltre a vederlo come un uomo onesto, meticoloso e triste, gli sembra non tanto intelligente e anzi a volte un po’ ottuso. Lo testimonia anche l’ultima frase enunciata alla fine del libro: «Era un cretino.»3 Il professor Laurana vive nel proprio mondo solitario circondato solo dai libri e dai saggi, alla letteratura e ai suoi lavori di critica letteraria dedica la maggior parte del suo tempo libero. Non ha amici, ha molte conoscenze ma nessuna amicizia. Uno dei conoscenti era anche il dottor Roscio con cui aveva la possibilità di parlare di letteratura o di politica. Passa le serate al circolo o in farmacia ma per la sua natura taciturna e timida è quasi invisibile e per il suo status di uomo di cultura si trova nell’isolamento e lontano da tutto quello che succede attorno a lui.

1 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 46. 2 Ivi, p. 138. 3 Ivi, p. 151.

37 Il terzo investigatore sottoposto all’analisi è l’ispettore Rogas che sintetizza nella sua figura due principali caratteristiche del capitano Bellodi e del professor Laurana, cioè l’anticonformismo poliziesco e la passione per la letteratura. Nasce cosí il poliziotto che da una parte sa come parlare con i deliquenti, come sfuggire ai pedinatori, come apprendere le informazioni segrete e che dall’altra parte legge sul giornale come prima cosa il supplemento letterario, con gli intellettuali parla di Pascal e Voltaire e tra i suoi colleghi e i superiori ha la fama di letterato:

«per i libri che teneva sul tavolo d’ufficio e per la chiarezza, l’ordine e l’essenzialità delle sue relazioni scritte. Che erano talmente diverse di quelle che da almeno un secolo circolavano negli uffici di polizia da far risuonare spesso il grido “ma come scrive, costui?” oppure “ma che dice, questo qui?”. Si sapeva poi, che frequentava qualche giornalista, qualche scrittore. E frequentava gallerie d’arte e teatri.»1

L’ispettore Rogas con i suoi princìpi, «in un paese in cui quasi nessuno ne aveva»,2 è secondo i giornali il più acuto investigatore di cui disponesse la polizia, invece secondo i suoi colleghi è il più fortunato. Egli si gode la fama e il prestigio che gli attribuiscono i giornali, approfitta dei vantaggi offerti per cui diventa oggetto della critica e dell’invidia da parte dei suoi colleghi. Quanto al suo mestiere sa analizzare bene la situazione, ubbidisce soprattutto al suo istinto e alla sua intuizione. È preciso, curioso, con il senso dell’umorismo e anche furbo ma purtroppo non tanto per poter sfuggire alla morte. Perché come viene detto nel libro: «Si può essere più furbo di un altro, non più furbo di tutti gli altri.»3 Oltre ciò un’altra cosa da notare è che Rogas non usa «gli strumenti che la tecnica mette a disposizione del mestiere. E rifiutando di servirsene, finiva col dimenticare che gli altri se ne servivano».4 Per completare il discorso sull’ispettore Rogas bisogna aggiungere che ha circa quarant’anni, vive solo e nemmeno c’erano donne nella sua vita. Ha una particolare l’abitudine di frequentare durante la settimana sette ristoranti preferiti, cioè uno per ogni giorno della

1 L. SCIASCIA, Il contesto, Feltrinelli, Milano 1999, p. 53. 2 Ivi, p. 12. 3 Ivi, p. 103. 4 Ivi, p. 108.

38 settimana e per quanto riguarda il suo aspetto fisico il narratore non fornisce nessuna informazione.

Sulla base della sopracitata analisi del capitano Bellodi, del professore Laurana e dell’ispettore Rogas si possono riassumere alcune caratteristiche principali degli investigatori di Sciascia. In primo luogo tutti e tre gli investigatori sono considerati gli outsiders della società in cui si trovano: Bellodi per la sua origine continentale e assieme a Rogas anche per il suo comportamento anticonformista che non è molto apprezzato dai loro colleghi. Laurana è considerato outsider nel suo paese, perché è un intellettuale che non conosce bene il mondo e la realtà in cui vive. In secondo luogo tutti e tre si assomigliano all’investigatore modello del giallo classico, cioè all’eroe intellettuale, il quale possiede buone conoscenze nel campo della letteratura e della filosofia e meno nel campo delle scienze esatte, però, a differenza di questo eroe intellettuale, che non sbaglia mai e non si trova mai nel pericolo della sua vita, gli investigatori di Sciascia ritornano tra i mortali e tutti sono destinati a fallimento. Loro non sono capaci di ristabilire l’equilibrio spezzato e di garantire al lettore quella giustizia che tanto aspetta, perché non possono appoggiarsi più alla società. Essa è diventata apatica e rassegnata. I delitti e l’ingiustizia non la sorprendono più, sono diventati la parte essenziale della vita quotidiana. La società ha capito che era meglio accettare questo fatto, questa situazione e non opporsi, perché qualsiasi impegno sia solo la perdita del tempo, delle forze e in alcuni casi anche della vita. Gli investigatori, dunque, si trovano da soli, sono gli unici a cercare di opporsi. Il loro impegno, comunque, risulta come combattere contro i mulini a vento che non ha nessun senso e per il professor Laurana e l’ispettore Rogas significa perfino una brutta fine. «Mi ci romperò la testa»1 enuncia il capitano Bellodi, prima di tornare in Sicilia alla fine del libro Il giorno della civetta, e non sa nemmeno quanto reale diventi questa constatazione per i suoi successori, il professor Laurana e l’ispettore Rogas.

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 116.

39 Per completare il discorso sugli investigatori vale la pena di accennare ancora ad un altro fatto. In queste tre opere di Sciascia si registra che il destino del rispettivo protagonista è sempre più tragico. Il primo, il capitano Bellodi, riesce almeno a salvarsi la vita. Il secondo, invece, il professor Laurana, viene ammazzato e il terzo, l’ispettore Rogas, non solo che viene ammazzato ma perfino viene accusato dell’assassinio. Si osserva che Sciascia, anche nel caso della figura dell’investigatore, non rispetta le regole imposte dalla tradizione del romanzo poliziesco e volontariamente lascia i suoi protagonisti perdere e morire. Il loro ruolo assume un nuovo significato, cioè scioccare il lettore e costringerlo a riflettere sul loro destino e sulla società e sull’ambiente in cui loro si trovavano.

Dopo l’analisi della figura dell’investigatore nelle opere di Sciascia bisogna soffermarsi su quelle della vittima e del colpevole. Quanto alle vittime «nell’opera di Sciascia non si ha mai a che fare con un delitto solo ma sempre con una serie»1. Ne Il giorno della civetta ce ne sono tre: il signor Colasberna, l’informatore Parriniedu e il testimone Nicolosi. Tre sono anche in A ciascuno il suo: il farmacista Manno, il dottor Roscio e il professor Laurana. E ne Il contesto ce ne sono perfino tredici: dieci magistrati e giudici, il capo dell’opposizione Amar, l’ispettore Rogas e il presidente della Corte Suprema. Nei libri di Sciascia si individuano in prevalenza questi modi dell’omicidio: o il delitto viene commesso in pieno giorno, davanti ai testimoni (Il giorno della civetta) oppure in un luogo isolato, come nel bosco (A ciascuno il suo), al museo (Il contesto) e spesso anche in una zolfara abbandonata affinché il cadavere non sia mai trovato (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo). Nel primo caso il cadavere funziona come un mezzo per spaventare gli altri e se ci sono per caso i testimoni, non importa, perché tutti rispettano l’omertà e nessuno di loro naturalmente ha sentito e ha visto niente. Nel secondo caso si tratta spesso dell’eliminare un testimone scomodo, come ad esempio il signor Nicolosi ne Il giorno

1 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 201.

40 della civetta, il professor Laurana in A ciascuno il suo e l’ispettore Rogas ne Il contesto. Oltre ciò si osserva che tutte le vittime di Sciascia sono maschi e sono uccise nello stesso modo, cioè da colpi sparati da una pistola. Da notare è anche il fatto che l’omicidio ha spesso una tendenza di essere mascherato e classificato come delitto passionale: in A ciascuno il suo tutti suppongono che il dottor Roscio era stato ammazzato a causa dei vizi del farmacista Manno, e ne Il giorno della civetta la storia finisce accusando la signora Nicolosi e il suo amante di omicidio del marito. Solo Il contesto è un po’ a parte, qua i delitti per vendetta (il farmacista Cres che si vendica per la condanna ingiusta) sono mascherati e classificati come delitti dei giovani rivoluzionari. Per quanto riguarda i colpevoli, nelle opere di Sciascia non si ha mai a che fare solo con una persona ma sempre si tratta di una catena di rapporti – «la catena si allunga si allunga, si allunga tanto che mi ci posso trovare impigliato anch’io, e il ministro, e il padreterno»1 – in cui figurano come protagonisti la mafia e lo stato. Bisogna comunque menzionare che la mafia non viene presentata solamente come una malavitosa organizzazione clandestina ma anche come un fatto reale e normale presente nella vita dei tutti – «l’essere mafioso non è tanto una questione d’affiliazione a una misteriosa società quanto un certo modo di comportarsi: una pratica sociale»2. Tra i colpevoli presenti ne Il giorno della civetta e in A ciascuno il suo si individuano due tipi, quelli che eseguono il delitto e i mandanti. Al primo gruppo appartengono i sicari Raganà e Diego Marchica, deliquenti incensurati, rispettati, intoccabili, i cui nomi, comunque, non sono molto importanti per il lettore, perché il loro ruolo è abbastanza marginale. Anche per questo il lettore apprende la loro identità e la funzione in anticipo, ancora prima della fine della storia. Molto di più, invece, il lettore è interessato a quelli che ordinano di commettere il delitto. Ne Il giorno della civetta si tratta di don Arena e in A ciascuno il suo è l’avvocato Rosello. Entrambi sono le persone molto rispettate, ricche, nel loro pease

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, pp. 88-89. 2 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 119.

41 considerate i pesci grossi, che hanno i legami con i politici non solo a livello regionale ma anche a quello nazionale. Ne Il contesto la situazione cambia, da una parte c’è il farmacista Cres che crede di esser stato condannato ingiustamente e si mette a uccidere i giudici. Per lui è la questione di pura vendetta, si tratta di un crimine individuale, egli non vuole per mezzo di violenza né arricchirsi né raggiungere una carica. Invece dall’altra parte ci sono i maggiori rapresentanti dello stato che assumono le pratiche mafiose per raggiungere il proprio scopo privato che non coincide con quello dello Stato. Per tutti i colpevoli presenti ne Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto è comune un tratto, tuttavia molto importante che viola la tradizione del giallo: i crimini rimangono mascherati, senza la punizione e nessuno dei colpevoli è mai accusato e giustamente condannato ma è sempre il vincitore che sconfigge l’investigatore.

2.3.3. Il narratore

In questo punto bisogna soffermarsi sulla figura del narratore che in tutti e tre i gialli – Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto – non partecipa alla vicenda ma la racconta dall’esterno, in terza persona. Conosce molto bene la storia e i personaggi che descrive: al lettore dice che cosa fanno e che pensano, è capace di ricostruire le motivazioni dei loro sentimenti o di anticipare fatti che li riguarderanno, come ad esempio in A ciascuno il suo quando il narratore avvisa il lettore e prevede la morte del professor Laurana:

«Questa piccola decisione doveva avere, nella sua vita, il ruolo della fatalità. [...] l’incontro che fece salendo le scale del palazzo di giustizia, dove era andato per chiedere il certificato della sua penale castità, indispensabile per entrare nel numero degli automobilisti patentati, segnò lo scatto di un altro dato del problema. Il caso, per la seconda volta: ma stavolta gravido della mortale fatalità.»1

1 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 89.

42 Da ciò risulta che si tratta del narratore onniscente, il quale adotta la focalizzazione zero ma lascia spazio anche al punto di vista degli altri personaggi. Ogni tanto egli esprime il proprio giudizio come, per esempio, ne Il giorno della civetta quando valuta il lavoro dei carabinieri:

«Erano in gamba, i marescialli che avevano preparato il falso verbale: conoscevano la psicologia di un uomo come Pizzuco con precisione scientifica; non c’era da meravigliarsi che Diego Marchica ci fosse cascato come in pentola un cappone.»1 oppure ne Il contesto:

«Martedì i funerali: quello di Rogas nella chiesa di San Rocco, piena di poliziotti e bandiere (povero Rogas).»2

Da notare sono alcune parti dove il narratore inserisce le sue rifflessioni saggistiche, come avviene, per esempio, all’inizio del settimo capitolo di A ciascuno il suo:

«Che un delitto si offra agli inquirenti come un quadro i cui elementi materiali e, per così dire, stilistici consentano, se sottilmente reperiti e analizzati, una sicura attribuzione, è corollario di tutti quei romanzi polizieschi cui buona parte dell’umanità si abbevera. Nella realtà le cose stanno però diversamente: e i coefficienti dell’impunità e dell’errore sono alti non perché (o non soltanto, o non sempre) è basso l’intelletto degli inquirenti, ma perché gli elementi che un delitto offre sono di solito assolutamente insufficienti. Un delitto, diciamo, commesso o organizzato da gente che ha tutta la buona volontà di contribuire a tenere alto il coefficiente di impunità.»3

La voce del narratore assume un ruolo centrale e dominante in tutti e tre i testi, però non impone la sua presenza in modo invadente.

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 79. 2 L. SCIASCIA, Il contesto, Feltrinelli, Milano 1999, p. 111. 3 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 59.

43 2.3.4. Il tempo

Solo in uno dei tre romanzi, in A ciascuno il suo, il lettore può trovare il periodo esatto dell’epoca in cui è ambientata la storia. Il 23 agosto 1964 avviene l’assassinio del farmacista Manno e del dottor Roscio. Le indagini sulla loro morte svolte dal professor Laurana proseguono fino a primi di novembre quando anche lui viene ammazzato. La storia si conclude l’8 settembre, cioè un anno dopo l’omicidio del farmacista e del dottor Roscio. Quanto a Il giorno della civetta e Il contesto non sono presenti informazioni che potrebbero indicare l’epoca storica. Comunque si può presumere che le storie rispecchiano l’epoca in cui i gialli sono stati pubblicati, cioè gli anni Sessanta. Dal punto di vista del ritmo in tutti e tre i gialli si trovano le sequenze che alternamente accelerano e rallentano il ritmo della storia. Spesso prevalgono le scene dialogate accompagnate dai sommari descrittivi ogni tanto interrotti dalle sequenze riflessive che sono abbastanza statiche e in nessun modo determinano lo svolgimento nell’azione. A queste appartengono per esempio ne Il contesto i discorsi di Rogas con lo scrittore Nocio e con il presidente della Corte Suprema e di simili potremmo trovarne anche ne Il giorno della civetta e in A ciascuno il suo.

2.3.5. Lo spazio

Per quanto riguarda la collocazione spaziale, i primi due gialli – Il giorno della civetta e A ciascuno il suo – si svolgono in piccoli paesi siciliani non lontani da Palermo, i cui nomi non sono mai citati. La loro immagine ricorda probabilmente Raccalmuto dove Sciascia ha trascorso la sua infanzia. Lo attestano, per esempio, alcuni riferimenti nel testo alla zolfara. Citiamo:

44 «Lei sa come vanno le zolfare, in questo momento [...] nella zolfara che lei sa; ci stiamo rovinando, tutto il sangue mio, quel poco di capitale che avevo, la zolfara se lo sta mangiando...»1 oppure

«ma il professore giaceva sotto grave mora di rosticci, in una zolfara abbandonata a metà strada, in linea d’aria, tra il suo paese e il capoluogo»2.

Ne Il contesto la trama non si svolge né in Sicilia né in Italia ma in un paese del tutto immaginario –

«un paese dove non avevano più corso le idee, dove i princìpi – ancora proclamati e conclamati – venivano quotidiamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni nel giuoco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il potere contava»3

– in cui i lettori possono riconoscere l’una e l’altra. Come Sciascia stesso dice nella nota finale al libro: «Un paese immaginario, ripeto. E si può anche pensare all’Italia, si può anche pensare alla Sicilia.»4

2.3.6. I temi

«Temi come la giustizia e ľingiustizia, ľinnocenza e la colpa, la mafia e la sua connivenza con il potere, la corruzione e ľignoranza, la mancanza di coscienza civica e morale hanno costituito una costante di tutta la narrativa di Leonardo Sciascia, che in maniera drammatica, cruda e realistica ha in particolare esplorato le zone oscure della sua terra di Sicilia.»5

Comunque per quanto riguarda Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto appaiono, oltre ai sopracitati temi, tre argomenti centrali, cioè la Sicilia, la mafia e lo Stato. A partire dalla Sicilia, Leonardo Sciascia si presenta come buon osservatore che nelle sue opere cerca di fornire al lettore un’immagine

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 23. 2 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 143. 3 L. SCIASCIA, Il contesto, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 117-118. 4 Ivi, p. 118. 5 L. CROVI, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, p.76.

45 dettagliata della Sicilia, dei siciliani e della loro cultura in maniera realistica e cruda. Egli riesce a descrivere la gente con il suo modo di comportarsi, di parlare e di pensare. È rigorosamente critico ed a volte sembra perfino odiare il suo paese natale. Eppure lo ama, come risulta dalle parole del capitano Bellodi:

«La Sicilia... [...] misteriosa, implacabile, vendicativa; e bellissima...»1 oppure

«”Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto.” [...] Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.»2

Per farsi un’idea degli elementi caratterizzanti della cultura siciliana bisogna citare qualche esempio. Uno degli esempi possono essere gli accenni di Sciascia ai soprannomi, alle ingiurie, molto usate in Sicilia, che colgono i caratteri o i difetti fisici dell’individuo oppure si riferiscono a un episodio. L’autore sottolinea anche la celebre passione dei siciliani per le belle donne:

«”Che popolo”, pensò con un disprezzo venato di gelosia: e che in qualunque posto del mondo, là dove l’orlo di una gonna saliva di qualche centimetro sul ginnochio, nel raggio di trenta metri c’era sicuramente un siciliano, almeno uno, a spiare il fenomeno.»3

Oltre ciò si osserva come la gente rispetta l’omertà, ad esempio, ne Il giorno della civetta tutti i testimoni dell’omicidio del signor Colasberna pian piano spariscono per non dover fare testimonianza. Fa notare anche come è diffusa la pratica delle lettere anonime, ecc. Alla Sicilia è strettamente legato anche il tema della mafia. Essa è la prima cosa che viene in mente quando uno inizia a parlare della Sicilia. Interessante è che gli stessi siciliani o meglio dire che i rappresentanti politici della Sicilia negano ufficialmente l’esistenza del fenomeno mafioso come attesta, ad esempio, la scena ne Il giorno della civetta:

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 115. 2 Ivi, p. 116. 3 L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 118.

46

«Ha detto cose da far rizzare i capelli: che la mafia esiste, che è una potente organizzazione che controlla: pecore, ortaggi, lavori pubblici e vasi dei greci... [...] Voi ci credete alla mafia? [...] Bravissimo. Noi due, siciliani, alla mafia non ci crediamo: questo, a voi che a quanto pare ci credete, dovrebbe dire qualcosa. Ma vi capisco: non siete siciliano, e i pregiudizi sono duri a morire. Col tempo vi convincerete che è tutta una montatura.»1

Sciascia, invece, è consapevole dell’esistenza della mafia e nelle sue opere dimostra ai lettori che non è affatto una montatura. Egli stesso esprime la definizione della mafia come:

«una associazione per delinquere, con i fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza»2

Ne Il giorno della civetta questa tesi viene perfettamente illustrata, se prendiamo in considerazione il signor Colasberna, che viene ammazzato perché non voleva sottoporsi alla protezione e alla mediazione che venivano offerte da parte di don Mariano Arena. In A ciascuno il suo e ne Il contesto, invece, l’attenzione dell’autore si sposta dalla concezione della mafia come un’organizzazione criminale verso la rappresentazione della mafia come «un modello di vita sociale»3, il che attestano anche le parole del parroco di Sant’Anna in A ciascuno il suo, secondo il quale tutti siamo i vermi di un formaggio.4 Al fatto che le pratiche mafiose si diffondono oltre i confini regionali e che l’Italia si sta sicilianizzando allude già il capitano Bellodi nelle ultime pagine de Il giorno della civetta:

«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 32. 2 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 99. 3 Ivi, p. 101. 4 Cfr. L. SCIASCIA, A ciascuno il suo, Adelphi, Milano 1988, p. 84.

47 l’ago di mercurio di termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma...»1

Si può costatare che Sciascia nei suoi gialli non si concentra solo sul tema della mafia ma si occupa anche di una riflessione sullo Stato e soprattutto sulla criminalizzazione dello Stato, il che diventa un tratto che ai suoi gialli conferisce la loro specificità.2 Lo Stato nei gialli sciasciani è rappresentato dalle istituzioni come la polizia, il tribunale e i politici. Dalla lettura dei gialli apprendiamo che le istituzioni sono contagiate dalla criminalità, che manca la legge e che lo Stato perde il suo ruolo perché non è più in grado di garantire l’applicazione della legge e l’arresto dei criminali. Ne Il giorno della civetta il capitano Bellodi è l’unico a rendersene conto e come un vero eroe promette alla fine della storia di ritornare in Sicilia e di non arrendersi nella sua lotta anche se gli dovessero rompere la testa. Mentre in A ciascuno il suo la polizia sembra inefficace e perfino come se non esistesse, ne Il Contesto tutta la situazione culmina, i maggiori rappresentanti preparano un complotto contro lo Stato e la polizia invece di cercare un assassino seriale lascia perseguitare l’ispettore Rogas, il quale alla fine della storia viene perfino ucciso dalla stessa polizia.

2.3.7. La lingua e lo stile

Secondo Salvatore Battaglia

«lo stile di Sciascia acquista quella sua particolare e severa disponibilità realistica e insieme fortemente e suggestivamente intimista che oscilla tra la distanza quasi imperturbabile del cronista e del testimone e l’oscura coscienza di chi se ne sente complice e corresponsabile»3.

Dalle nostre osservazioni lo stile di Sciascia risulta molto realistico, il che è evidente soprattutto nella scelta degli argomenti e nell’ispirazione agli avvenimenti reali. Un altro tratto caratteristico presente

1 L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1975, p. 115. 2 Cfr. C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 209. 3 Ivi, p. 223.

48 nelle sue opere è il scetticismo e la sfiducia di cui parla Sciascia stesso: «Ma la storia siciliana è tutta una storia di sconfitte: sconfitte degli uomini ragionevoli. Anche la mia storia è una storia di sconfitte. O, più dimessamente, di delusioni.»1 Quanto al linguaggio di Sciascia ricorriamo alla definizione espressa da Antonella Santoro, secondo la quale, nel suo saggio Camilleri e Sciascia, tra storia e linguaggio, il linguaggio sciasciano è «asciutto, essenziale, sottilmente ironico, intensamente pausato, allusivo, con un lessico prevalentemente aulico e non dialettale»2.

2.4. Il confronto finale dei gialli di Sciascia con il romanzo poliziesco (secondo le regole di Van Dine)

Siamo arrivati all’ultimo capitolo della parte dedicata all’opera di Leonardo Sciascia, il cui oggetto è confrontare Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto con il romanzo poliziesco secondo le venti regole di Van Dine e valutare sino a che punto Sciascia le rispetta o le viola. A partire dalle regole che vengono rispettate si può constatare che in tutti i gialli in questione il lettore non è mai ingannato e assieme all’investigatore ha le stesse possibilità di risolvere il delitto. Appare sulla scena sempre solo un investigatore e nella storia sono presenti più di un morto. Oltre ciò si nota che Sciascia non inclina mai a risolvere i casi attraverso mezzi soprannaturali e che tutti i colpevoli sono ben noti al lettore e hanno una parte più o meno importante nella storia. Sciascia pure rispetta le regole secondo le quali i metodi del deliquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e la soluzione del problema deve essere sempre evidente. Ne Il giorno della civetta e in A ciascuno il suo la soluzione avviene perfino in anticipo, solo per quanto riguarda Il contesto si può sostenere che la soluzione si rivela un po’ confusa. Infine non si

1 L. SCIASCIA, La Sicilia come metafora, Mondadori, Milano 1989, p. 6. 2 A. SANTORO, Camilleri e Sciascia, tra storia e linguaggio, disponibile online all’indirizzo www.rivistasinestesie.it (rivista sulle studi sulle letterature e le arti europee).

49 dovrebbe dimenticare il fatto che tutti i delitti non avvengono mai per accidente perché sono sempre programmati e motivati di un interesse. Dopo la parte dedicata alle regole rispettate dobbiamo soffermarci su quelle violate. Eccole. Ci accorgiamo che in A ciascuno il suo c’è la storia d’amore perché il professor Laurana si innamora della vedova Roscio. Ne Il contesto l’ispettore Rogas risulta come colpevole perché è considerato l’assassino del capo dell’oposizione. Tra l’altro si nota che il colpevole in A ciascuno il suo, il sicario Raganà, è scoperto per caso e grazie a una coincidenza. Inoltre ne Il contesto l’ispettore Rogas piuttosto deduce, lasciandosi influenzare dalla sua intuizione, che indaga. Si nota che non è vero che i colpevoli devono essere sempre persone insospettabili perché ad esempio ne Il giorno della civetta don Mariano Arena ed il suo sicario sono ben conosciuti come membri della mafia. Non è vero nemmeno che ci deve essere un solo colpevole perché, come sappiamo, in tutti i gialli si ha a che fare con la complicità. Oltre ciò bisogna aggiungere che nei gialli sciasciani sono presenti anche società segrete e associazioni a delinquere, cioè la mafia. Un altro fatto da ricordare è che in tutti e tre i gialli sono frequenti momenti in cui Sciascia si dedica alle riflessioni, che non c’entrano molto con l’indagine stessa e rallentano l’azione. Si tratta per esempio, ne Il giorno della civetta, del discorso tra il capitano Bellodi e don Mariano Arena oppure, ne Il contesto, del discorso dell’ispettore Rogas con il presidente della Corte Suprema. Oltre ciò viene violata anche la regola che vieta la presenza dei deliquenti di professione presi come colpevoli, vedi Il giorno della civetta e A ciascuno il suo dove tra i colpevoli si trovano i sicari. Bisogna altrettanto menzionare che i delitti non sono sempre provocati per i motivi personali, per esempio ne Il giorno della civetta il signor Colasberna viene ucciso perché si oppone alle esigenze della mafia e ne Il contesto l’ispettore Rogas muore perché scopre il complotto contro lo Stato. Infine non si dovrebbe dimenticare l’ultima regola violata che impedisce all’autore di utilizzare gli indizzi banali, come scoprire il colpevole grazie al mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto, il che è avvenuto in A ciascuno il suo.

50 I risultati del confronto precedente mostrano che Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto violano nella maggior parte dei punti le regole individuate da Van Dine. Si può quindi arrivare alla conclusione che i testi sciasciani in questione si rivelano lontani dalla tradizione del romanzo poliziesco, sia dal punto di vista della struttura, sia da quello del tipo di investigatori e di colpevoli. Praticamente i gialli di Sciascia hanno solo l’apparenza del giallo. Egli usa questa forma narrativa, la sperimenta e la trasforma per poter reprodurre obiettivamente la realtà della vita. In questo riguardo si osserva la sua ispirazione al giallo hard boiled che si basa sul realismo. Sciascia sullo sfondo di un avvenimento reale costruisce un intreccio poliziesco il cui obiettivo non è solo offrire al lettore un passatempo ma spingerlo alla meditazione sulla realtà contemporanea.1 I suoi gialli diventano, per quanto riguarda i temi trattati, portatori della denuncia socio-politica, il cui oggetto è secondo Carlo Salinari «la classe dirigente con la sua azione corruttrice, la sua mancanza di ideali, la sua incapacità di creare un ordine giusto e umano»2.

3. Andrea Camilleri

3.1. La vita e ľopera3

Andrea Camilleri – regista, sceneggiatore, poeta e ultimamente soprattuto scrittore – nasce il 6 settembre 1925 a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, in Sicilia, da Giuseppe Camilleri e Carmelina Fragapane.

1 «La lettura di un poliziesco è, nel senso più proprio della parola, passatempo.» (L. Sciascia, Breve storia del romanzo poliziesco, in Cruciverba, Einaudi, Torino 1983, p.1181). 2 C. AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, p. 221. 3 Informazioni tratte da: A. FRANCHINI, Cronologia, pp. CV-CLXIX, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. www.andreacamilleri.net. www.vigata.org.

51 Egli, a differenza di Leonardo Sciascia, proviene da un altro strato sociale – la sua famiglia era di commercianti di zolfo – e cresce in tale ambiente che sveglia in lui già dalľinfanzia ľamore per la letteratura. Suo padre, grande lettore di gialli, possiede quasi tutti i titoli della collana mondadoriana e il piccolo Andrea li legge già da ragazzo di otto anni. Dopo tre anni trascorsi in collegio si iscrive, nel 1939, al ginnasio- liceo Empedocle ad Agrigento dove a causa della guerra ottiene la licenza liceale evitando ľesame di maturità.

«Io appartengo a una generazione che non ha fatto ľesame di maturità. Noi siamo stati promossi senza maturità, ľho scritto sulla "Stampa" quando mi chiedevano "Dottor Camilleri, i temi di maturità..." e io discettavo su questi titoli felice di non aver mai fatto quest'esame terribile.»1

Nel 1945 Andrea Camilleri si iscrive alľUniversità di Palermo, corso di laurea in Lettere moderne, e nelľarco degli anni successivi sperimenta nelľambito letterario. Scrive poesie, racconti e testi teatrali e arrivano i primi piccoli successi: sulle pagine del mensile Mercurio vengono pubblicate due sue poesie: Solo per noi e Mito. Nel '47 egli partecipa al premio Libera Stampa con il suo poemetto Due voci per un addio che viene segnalato, su oltre trecento partecipanti, assieme alle poesie di Pasolini e Zanzotto. Nello stesso anno Camilleri vince un concorso teatrale con la commedia Giudizio a mezzanotte, dove incontra Silvio d'Amico che lo invita a sostenere ľesame di ammissione come regista alľAccademia Nazionale d'Arte Drammatica. Vinto il concorso, smette di scrivere poesie e inizia una nuova tappa della sua vita. A partire dalľanno 1948 Andrea Camilleri si dedica esclusivamente alla regia e alla sceneggiatura. Mette in scena più di cento opere di vari autori, tra cui spiccano Pirandello, Beckett, Ionesco, Adamov, T. S. Eliot, Majakovskij. Nel 1958 gli viene offerto dalla RAI un incarico di responsabilità dei programmi di prosa sul terzo programma radiofonico. Ľaccetta e

1 A. FRANCHINI, Cronologia, p. CXIV, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.

52 rimane fedele alla RAI per trent'anni. Durante questo periodo realizza 1300 regie radiofoniche e 80 televisive di opere teatrali e di romanzi sceneggiati. È noto come autore, sceneggiatore e regista di vari programmi culturali, tra cui le serie poliziesche del Commissario Maigret di Simeon e del Tenente Sheridan ottengono il maggiore successo.

«Io per Simeon avevo una predilezione particolare, per lui e per Van Dine. Ma pur avendo letto nella mia vita, da sempre, tantissimi romanzi gialli, non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei occupato di una produzione televisiva di romanzi gialli e, tanto meno, che ne avrei addirittura scritti.»1

Intanto, nel 1967 gli viene voglia di scrivere una cosa sua.

«E così, a 42 anni, il primo aprile (lo feci apposta, è il giorno degli scherzi) del 1967 cominciai a scrivere il mio primo romanzo. Lo terminai il 27 dicembre del 1968: un anno e nove mesi per poco più di un centinaio di pagine ognuna delle quali riscritta non meno di quattro-cinque volte.»2

Si sta parlando del romanzo Corso delle cose, primo della serie dei romanzi storici. Anche se Camilleri finisce di scriverlo nel 1968, la sua pubblicazione avverà solo dopo dieci anni. Una casa editrice dopo ľaltra si rifiuta di pubblicarlo e lo scrittore, probabilmente amareggiato per i riufiuti, decide di non importunare più nessuno e di non continuare più a scrivere. Intanto dal 1974 insegna alla facoltà di regia alľAccademia Nazionale d'Arte Drammatica. Dopo dieci anni il Corso delle cose viene proposto come soggetto televisivo e allo stesso tempo un editore a pagamento, Lalli, viene con la proposta di pubblicarlo, a patto che nei titoli di coda appaia il nome della sua casa editrice. Stampato il libro, a Camilleri viene voglia di scrivere e nel 1980 pubblica da Garzanti Un filo di fumo. Nel 1984 nella collana verde di Sellerio esce ancora La strage dimenticata e per seguenti dodici anni si prende una pausa per dar ľaddio al teatro.

1 A. FRANCHINI, Cronologia, p. CXXXIX, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino, cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 Ivi, p. CXLII.

53 Nel 1991 Andrea Camilleri è già in pensione e riprende la sua attività letteraria. Sempre per Sellerio pubblica altri tre libri della serie di romanzi storici: La stagione della caccia (1992), La bolla di componenda (1993) e Il birraio di Preston (1994). Il 1994 è ľanno in cui nasce il fenomeno del commissario Montalbano. La serie dei gialli, situati nelľimmaginaria città di Vigàta, in Sicilia, attrae non solo i lettori italiani ma viene tradotta anche in Francia, Germania, Portogallo, Brasile, Spagna, Olanda, Giappone, Finlandia, Ungheria, Polonia, Turchia e Repubblica Ceca.

«Camilleri guida la classifica dei libri più venduti, ma comincia a delinearsi adesso un altro fenomeno, ancora più singolare e assolutamente nuovo per la storia delľeditoria italiana: non uno solo, ma tutti, uno dopo ľaltro, i titoli di Camilleri entrano nelle classifiche, occupando, di settimana in settimana, posizioni sempre più alte. [...] Nel mese di luglio, nel 1999, arriva ad avere sei titoli su sei nella classifica dei libri più venduti della narrativa italiana: una classifica fatta solo di libri di Camilleri.»1

Alla serie dei gialli appartengono i seguenti titoli: La forma delľacqua (1994), Il cane di terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino (1997), Un mese con Montalbano (1998), Gli arancini di Montalbano (1999), La gita a Tindari (2000), La paura di Montalbano (2002). I gialli di Camilleri diventano anche soggetto per lo sceneggiato televisivo e nel 1999 esce la prima puntata della serie su Montalbano, con Luca Zingaretti ner ruolo del commissario. Andrea Camilleri è sposato, ha tre figlie e vive da anni a Roma.

3.2. Andrea Camilleri e il romanzo poliziesco

L’oggetto di questa parte sarà un’analisi dei tre romanzi gialli di Andrea Camilleri – La forma dell’acqua, Il cane di terracotta e La gita a Tindari – che appartengono alla serie del commissario Montalbano.

1 A. FRANCHINI, Cronologia, pp. CLXIII-CLXIV, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino, cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.

54 3.2.1. La forma delľacqua

Pino Catalano e Saro Montaperto, due spazzini, un giorno trovano una macchina con un cadavere dentro alla «mànnara», posto alla periferia del paese dove fiorisce il commercio con la prostituzione e con le droghe leggere. Loro riconoscono subito che si tratta di un noto politico, l’ingegnere Silvio Luparello. Un poco prima della scoperta del cadavere Saro trova una collana d’oro massiccio che nasconde nella sua tasca. Entrambi si mettono d’accordo, prima di avvisare la polizia, di chiamare l’avvocato Rizzo, braccio destro del defunto ingegnere. Rimangono sorpresi quando l’avvocato, invece di dimostrare uno stupore e un’interesse, li invita soltanto a fare il loro dovere, a chiamare la polizia. La Scientifica e il medico proclamano che l’ingegnere Luparello è morto per cause naturali dopo un rapporto sessuale con una prostituta. Il giudice, il questore, i compagni politici del partito, tutti questi vogliono che il caso sia chiuso il più presto possibile. L’unico ad avere dubbi sulla morte dell’ingegnere è il commissario Salvo Montalbano. Egli coglie gli indizi (a casa di Saro trova la collana d’oro massiccio e sul luogo del delitto trova una borsa a sacco) e collegandoli con le informazioni fornite dal suo compagno di scuola, Gegè, organizzatore del traffico con le prostitute alla «mànnara», arriva a Ingrid Sjostrom. Lei è svedese, la nuora del professor Cardamone, il principale avversario politico del defunto Luparello, e passa per una donna che va a letto con tutti. Delle strane circostanze della morte di Luparello è convinta anche sua moglie che a Montalbano fornisce altre informazioni e indizi. Tutto punta su Ingrid Sjostrom ma Montalbano scopre che lei, senza saperlo, è sfruttata e incastrata nel caso affinché sia mascherato un grande scandalo. Poi viene trovato il cadavere dell’avvocato Rizzo e Montalbano così riesce a trovare l’ultimo pezzo di puzzle per poter ricostruire tutta la vicenda. L’ingegnere Luparello era morto durante un atto sessuale con suo nipote Giorgio. Il giovane, molto affezionato a suo zio, si era spaventato e si era reso conto del possibile scandalo. Egli ha rivestito

55 Luparello, l’aveva messo in macchina ma preoccupato per poter cadere in preda all’epilessia di cui soffre, aveva telefonato all’avvocato Rizzo, braccio destro di suo zio. All’avvocato viene in mente di sfruttare la morte di Luparello per fini politici e per la sua carriera. Per infangare e compromettere la figura dell’ingegnere Luparello, Rizzo lascia la macchina con il cadavere dell’ingegnere alla «mànnara». Giorgio che scopre il tradimento del Rizzo lo uccide. La polizia crede che sia il lavoro della mafia con la quale Rizzo aveva i rapporti e non sospetta nessun’altra persona. Il giorno dopo Giorgio muore precipitandosi con la macchina sulla scogliera. Se si tratta dell’incidente o del suicidio non è specificato. Montalbano, pur essendo consapevole di tutti i fatti, non accusa Giorgio dell’omicidio del Rizzo e chiude il caso. L’unica persona che apprende tutta la storia e tutta la verità è la fidanzata di Montalbano, Livia, la quale lo rimprovera di non essersi comportato come poliziotto e di essersi autopromosso a un dio.

3.2.2. Il cane di terracotta

Tano u grecu, uno dei pesci grossi della mafia, vuole parlare di persona con Montalbano. Tramite Gegè, organizzatore del traffico con la prostituzione alla «mànnara» e compagno di scuola di Montalbano, fissa l’appuntamento in un luogo disabitato. Tano svela a Montalbano di sentirsi malato e stanco, di non avere più la sua posizione stabile e di preferire farsi arrestare e rimanere per il resto della sua vita in carcere che esser ammazzato dalla mafia. Vuole farsi arrestare ma allo stesso tempo vuole salvare anche la faccia e per quello neccesita una piccola messinscena. Intanto un gruppo rapina un supermercato, carica il camion, parte e dopo qualche ora lascia tutta la merce rubata assieme al camion al posteggio al distributore di benzina. Il proprietario del supermercato, Carmelo Ingrassia, nega tutto affermando che si tratti di uno scherzo. L’unico testimone, il cavaliere Misuraca, ha un incidente mortale a causa di freni guasti, ma prima di morire invia a Montalbano una lettera in cui svela il suo sospetto sul proprietario del supermercato.

56 Mentre Tano u grecu viene trasferito in un altro carcere arriva una potente motocicletta con due persone sopra, con il volto coperto dal casco, le quali ammazzano due agenti e feriscono Tano. Egli, mortalmente ferito, vuole fare un regalo personale a Montalbano e gli svela uno dei luoghi strategici della mafia, la grotta del monte Crasticeddru. Lì Montalbano assieme ai suoi subordinati trova un deposito di armi. Intanto Montalbano scopre che il cavaliere Misuraca non è morto accidentalmente e che i freni della sua macchina sono stati manomessi. Seguendo questa strada e gli indizi trovati nella grotta arriva alla conclusione che questi due casi sono in relazione e che ha a che fare con un ben organizzato traffico di armi, a cui partecipano il proprietario del supermercato, la ditta Brancato (il fornitore degli elettrodomestici destinati ai supermercati) e i pesci grossi della mafia. Nella grotta Montalbano si accorge di un dettaglio particolare e scopre l’esistenza del doppio fondo e l’altra grotta, nella quale sono trovati i cadaveri abbracciati di due amanti1 assassinati. Sono posati su un tappeto e i loro corpi sono circondati da una ciotola, un «bùmmolo»2 e un cane di terracotta, facendo così vertice del triangolo. Montalbano è così appassionato del caso misterioso da smettere di occuparsi di quello del traffico di armi. In questo punto Mimì Augello, il suo vice, prende l’iniziativa e si mette a pedinare il proprietario del supermercato. La sua operazione porta comunque esiti tragici. Viene ammazzato il braccio destro di Tano u grecu, Petru Gullo. Montalbano e il suo amico Gegè diventano bersaglio di una sparatoria, il commissario ne esce ferito ma Gegè muore. La mafia pulisce la strada e cerca di eliminare le tracce, che potrebbero condurre ai pesci più grossi, ammazzando il proprietario del supermercato e il rappresentante della ditta Brancato. Durante la sua convalescenza Montalbano riprende l’indagine sul caso dei due amanti assassinati cinquant’anni prima e grazie alla testimonianza del preside Burgio e sua moglie si mette a seguire la strada

1 Camilleri usa l’espressione “amanti” per indicare due giovani innamorati. 2 «il bùmmolo di creta, di quelli che una volta i contadini si portavano appresso per mantenere l’acqua fresca» (A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 122).

57 giusta che lo conduce alla loro identificazione, ai nomi Lisetta e Mario. Tra gli ultimi misteri che gli rimangono da risolvere è trovare l’assassino e il motivo perché l’assassino aveva spostato i cadaveri nella grotta e aveva allestito la messinscena con la ciotola, il bùmmolo e il cane di terracotta. Solo per caso Montalbano ascolta una leggenda mussulmana sui dormienti, i cui corpi sono sorvegliati dal cane Kytmyr, grazie alla quale riesce a decifrare il mistero della messinscena e scoprire il suo autore. Si tratta del cugino di Lisetta, Lillo, che sposta i due amanti, uccisi per gelosia dal padre di Lisetta, nella grotta affinché possano continuare a dormire.

3.2.3. La gita a Tindari

Nenè Sanfilippo, un giovane ragazzo disoccupato ma con alto tenore di vita, viene ammazzato una notte davanti alla sua casa. Lo stesso giorno viene al commissariato il signor Griffo per denunciare la scomparsa dei suoi genitori. Due casi che collega un indirizzo: tutti e tre sono inquilini dello stesso palazzo. Dopo le prime indagini si scopre che il giovane aveva un stretto rapporto con una donna sconosciuta e la loro corrispondenza intima la trascriveva nel computer, e che i due anziani pensionati sono stati visti l’ultima volta durante una gita a Tindari. Intanto Montalbano viene contattato da don Balduccio Sinagra, il vecchio capo di una delle cosche mafiose locali piu forti, il quale vuole coinvolgere il commissario nel suo piano che consiste nell’omicidio di suo nipote Japichinu e nell’accusa dei suoi nemici. Montalbano si accorge che si tratta di una trappola e che egli deve essere solo sfruttato per concedere gli alibi a don Sinagra. Dopo che sono trovati i corpi dei due anziani, assassinati in modo crudele e freddo, viene scoperta anche l’identità dell’amante del giovane ragazzo. Vania Titulescu è la moglie di un chirurgo di fama mondiale, il dottor Ingrò. Montalbano continua nelle sue indagini e trova il legame tra Nenè Sanfilippo e i due anziani. Il ragazzo ha preso in affitto una loro stalla, in

58 un posto lontano da tutto e da tutti, dove si fa mettere luce e telefono. L’intuizione suggerisce a Montalbano che si tratti di un’organizzazione che per i suoi affari illeciti si serve di Internet e che qua si può mettere in contatto con tutto il mondo. Tra i materiali scritti da Nenè Sanfilippo, Montalbano trova la conferma della sua ipotesi e riesce a costruire tutti i pezzi del puzzle. A Vigàta è costituita una sede di una nuova cosca mafiosa internazionale che si occupa di un traffico di organi umani, nel quale viene coinvolto il dottor Ingrò, Nenè Sanfilippo, due anziani e anche Japichinu, nipote di don Sinagra. Visto che l’organizzazione si accorge del rapporto intimo tra Nenè e la moglie del dottor Ingrò, si preoccupa per i guai e di esser scoperta, decide di cancellare la sede a Vigàta e di eliminare i testimoni. Nenè e due anziani sono ammazzati. Nel caso del dottor Ingrò sono indecisi, perché può ancora servirgli. Don Sinagra fa ammazzare suo nipote perché non vuole che egli faccia alleanza con la nuova mafia. Montalbano non riesce a controllarsi e viene a casa del dottor Ingrò con un’inspiegabile voglia di ammazzarlo. All’intenzione di Montalbano impediscono i suoi due colleghi che arrivano in tempo a casa del dottor Ingrò e lasciano sfuggire il commissario. Il dottor Ingrò, tutto spaventato perché considera Montalbano un sicario, decide di confessare tutto alla polizia. Della scoperta dell’organizzazione illecita informa il giornalista Nicolo Zitò.

3.3. Ľanalisi

3.3.1. La struttura a) La forma dell’acqua A partire dal primo giallo di Camilleri, La forma dell’acqua, si osserva che il primo capitolo funziona all’inizio come periodo d’attesa, durante il quale viene descritto luogo, alcuni personaggi secondari e solo verso la fine del capitolo si scopre il delitto. Il lettore non assiste direttamente all’assassinio ma è il testimone della scoperta del cadavere.

59 «La macchina pareva vacante. Si avvicinò ancora e finalmente vide la sagoma confusa di un uomo, immobile allato al posto di guida, la testa appoggiata all’indietro. Pareva calato in un sonno profondo. Ma a pelle, a fiato, Pino capì che c’era qualcosa che non quatrava. [...] Facendosi coraggio, Pino si avvicinò dal lato di guida, cercò di aprire la portiera, non ci arriniscì, era chiusa con la sicura. [...] l’auto, una grossa BMW verde, era così accostata alla siepe da impedire che da quella parte qualcuno potesse farsi vicino. Ma sporgendosi e graffiandosi sui rovi riuscirono a vedere meglio la faccia dell’uomo. Non dormiva, aveva gli occhi aperti e fissi. Nello stesso momento in cui s’accorsero che l’uomo era astutato, Pino e Saro aggelarono di scanto, di spavento: non per la vista della morte, ma perché avevano riconosciuto il morto.»1

Partendo da questo punto inizia la fase dell’indagine che tecnicamente occupa la maggior parte del testo. Montalbano durante la sua indagine segue un indizio dopo l’altro, si rifa agli oggetti trovati sul luogo del delitto, interroga i testimoni e i sospettabili, riceve le informazioni da parte dei membri della famiglia di Luparello e del suo amico, il giornalista Nicola Zito. Nel corso di tutta la narrazione appaiono sullo sfondo scene che non c’entrano niente con l’indagine ma riguardano la vita privata di Montalbano creando così un’immagine dettagliata dell’investigatore. Nel momento in cui cresce la tensione e la storia sembra culminare, proprio nel momento quando tutti gli indizi arrivano all’avvocato Rizzo e il lettore aspetta che il colpevole sia scoperto ufficialmente, l’avvocato Rizzo viene ammazzato. Tutta l’attesa del lettore crolla come un castello di carte. Egli stesso si sente confuso e viene perfino mistificato dagli avvenimenti seguenti. Montalbano svela al questore la sua versione (il cui contenuto comunque non corrisponde alle deduzioni logiche del lettore), chiude il caso e parte per una vacanza dalla sua fidanzata Livia. La storia sembra terminata e il lettore è ancora più confuso, fin quasi alla fine:

«Montalbano si confermò nella sua convinzione: se c’era al mondo una persona alla quale avrebbe potuto cantare la messa intera e solenne, quella era Livia. Al questore

1 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, pp. 14-15.

60 aveva solo cantata la mezza messa, e magari saltando. Si alzò a metà sul letto, si sistemò il cuscino. “Ascoltami”.»1

Dopo che Montalbano ha smascherato la vicenda svelando a Livia la sua ipotesi (che in questo punto viene accettata anche dal lettore) segue la sorpresa finale, cioè che Montalbano ha taciuto quella che credeva fosse la verità per coprire l’assassino dell’avvocato Rizzo. Bisogna aggiungere che l’ipotesi di Montalbano non è confermata né dal narratore né da uno dei personaggi. Per il ristabilimento dell’equilibrio spezzato si può considerare sia il fatto che Giorgio si vendica per l’infangamento di suo zio ammazzando Rizzo – occhio per occhio, dente per dente – sia il fatto che Montalbano si rende conto di non essersi comportato come poliziotto che deve rappresentare la legge. b) Il cane di terracotta La struttura de Il cane di terracotta risulta diversa e molto più complicata rispetto al giallo precedente e alla struttura di base del romanzo poliziesco. Il libro è diviso in venticinque capitoli e comprende due storie, la storia del traffico di armi e la storia dei due amanti, trovati dopo cinquant’anni in una grotta. La prima storia prevale fino al capitolo undici, il quale allo stesso tempo funge dal punto di partenza della seconda storia. Le due storie sono compresenti fino al capitolo diciassette e nei capitoli seguenti inizia a prevalere la storia dei due amanti. La struttura del libro potrebbe essere schematizzata in questo modo:

B A

1 11 17 25

A – la storia del traffico di armi B – la storia dei due amanti

1 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 167.

61 Bisogna aggiungere che tutte e due le storie rispettano più o meno lo schema della struttura di base del romanzo poliziesco, cioè il delitto, l’indagine, lo smascheramento del colpevole e il ristabilimento dell’equilibrio spezzato. A partire dalla storia del traffico di armi i primi quattro capitoli, in cui si svolge la messinscena con Tano u grecu e viene rapinato il supermercato, fungono dal periodo d’attesa. Il delitto viene commesso nel capitolo cinque, anche se a prima vista sembra che sia solo un incidente stradale.

«Il morto, uno solo. S’è fatto la discesa della Catena a rotta di collo, evidentemente non gli funzionavano i freni, ed è andato a incastrarsi sotto a un camion, che in senso inverso, principiava la salita. Poverazzo, è morto sul colpo. [...] Il cavaliere Misuraca.»1

Nel capitolo sette la mafia, grazie a una talpa dentro la polizia, si vendica e ammazza due agenti e ferisce mortalmente Tano u grecu. È proprio questo avvenimento che mette in moto l’azione.

«Da viottolo è arrivata la classica potente motocicletta con due sopra, assolutamente anonimi per via del casco... Morti i due agenti, lui sta agonizzando in ospedale.»2

A partire dal capitolo otto inizia la fase dell’indagine. Montalbano indaga alternamente sulla morte del cavaliere Misuraca, sulla rapina del supermercato e sul deposito di armi nella grotta. Nel capitolo dieci egli si rende conto che tutte e tre le vicende sono in relazione e riguardano il traffico di armi e subito nel capitolo seguente Montalbano accenna alla soluzione ipotetica e smaschera i colpevoli al lettore. Decide comunque di procedere con cautela per non spaventare le talpe e per arrivare ai pesci più grossi. Nello stesso capitolo trova i due cadaveri nella grotta e la sua attenzione, ma anche quella del lettore, inizia a concentrarsi prevalentemente sulla storia dei due amanti, e l’indagine sul traffico di armi è messa in ombra. Nel capitolo quattordici comunque la vicenda

1 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 53. 2 Ivi, p. 73.

62 ritorna in scena perché viene commesso un altro delitto, viene trovato un cadavere dentro la macchina alla «mànnara». La tensione culmina in seguito, nel capitolo sedici, quando Montalbano e Gegè diventano bersaglio di una sparatoria, durante la quale Gegè muore e Montalbano è ferito. Il lettore teme che da ora inizi il pericolo per Montalbano perché la mafia vorrebbe ucciderlo. Comunque, nonostante tutto questo, la storia ristagna e si conclude confermando la ipotesi di Montalbano e scoprendo che l’assassino del cavaliere Misuraca e dell’uomo alla «mànnara» e l’organizzatore della rapina e della sparatoria sono la stessa persona: il proprietario del supermercato. Il caso è chiuso, la mafia ammazza i punti deboli della sua catena, cioè il proprietario del supermercato e il rappresentante della ditta Brancato. La polizia non riesce ad arrivare ai pesci più grossi e può iniziare da capo. La situazione viene ristabilita soltanto dal punto di vista della mafia. Per quanto riguarda la storia dei due amanti morti, essa inizia a svolgersi nel capitolo undici dopo che sono trovati due cadaveri. Il punto connettivo tra l’una e l’altra storia è la grotta e ovviamente il commissario Montalbano. La fase dell’indagine viene avviata nel capitolo dodici subito dopo il ritrovamento dei due cadaveri e in alcuni momenti seguenti viene interrotta dalle vicende relative alla storia del traffico di armi. Nel capitolo diciotto riprende il suo filo in pieno. Dato che il delitto è stato commesso circa cinquant’anni fa tutta l’indagine pare essere svolta «in pantofole», come dichiara anche Montalbano stesso, davanti al caffè, tra le vecchie fotografie, lettere e i ricordi di quelli che ancora vivono. Il caso dei due amanti è avvolto da molti misteri: Come si chiamano gli amanti? Chi è il loro assassino? Perché li ha spostati nella grotta e ha allestito la messinscena? L’assassino e l’autore della messinscena sono la stessa persona? Il lettore trova nel corso dell’indagine una risposta dopo l’altra e Montalbano gli presenta in anticipo la sua soluzione ipotetica. Per poter confermare questa soluzione il commissario deve trovare l’autore della messinscena che è sparito

63 cinquant’anni prima. Tramite i mass media gli manda un messaggio e aspetta la risposta. In questo momento culmina la storia e il lettore attende con trepidazione come finirà. La situazione viene ristabilita, Montalbano riesce a trovarlo e la sua ipotesi viene confermata. Quanto a Il cane di terracotta si tratta in realtà di due gialli inseriti in un libro, le cui vicende sono fortemente interotte dalla linea narrativa riguardante la vita personale di Montalbano. c) La gita a Tindari Il libro è diviso in diciassette capitoli, la struttura risulta molto lineare e rispetta lo schema della struttura di base del romanzo poliziesco. Subito nel primo capitolo viene commesso il delitto e nel capitolo seguente viene annunciata la scomparsa dei due anziani pensionati. Il lettore non assiste direttamente all’assassinio ma diventa il testimone della scoperta del cadavere.

«Si continuava a sentire un lamento, una specie di mugolìo. A farlo, era una cinquantina1, tutta vestita a lutto stritto, due òmini la tenevano a forza perché non si gettasse sul cadavere che giaceva sul marciapiede a panza all’aria, il disegno della faccia reso illeggibile dal colpo che l’aveva pigliato in mezzo agli occhi.»2

A partire dalla scoperta del cadavere inizia la fase dell’indagine, durante la quale sono trovati i cadaveri dei due anziani e viene commesso un altro delitto, l’assassinio di Japichinu. Montalbano si dedica alternatamente al caso di Nenè Sanfilippo e a quello dei due anziani, interrogando i testimoni, i parenti e i vicini di casa e analizzando gli indizi trovati nelle case delle vittime. Nel capitolo otto inizia a svolgersi anche il caso di don Balduccio Sinagra che fino alle ultime pagine del libro sembra non essere in relazione con quei due precedenti.

1 Camilleri usa l’espressione “una cinquantina” per indicare una donna di cinquant’anni. 2 A. CAMILLERI, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000, p. 15.

64 La fase dell’indagine è abbastanza aggrovigliata, in più viene in alcuni momenti interrotta dalla linea narrativa riguardante la vita privata del commissario Montalbano e dai suoi innumerevoli pensieri e riflessioni. Il momento della tensione, in cui culmina la storia, non è quello dello smascheramento del colpevole, peché il colpevole viene già accennato in anticipo, nella ipotetica soluzione proposta da Montalbano, la quale nell’ultimo capitolo si dimostra essere quella autentica. Il punto culminante della tensione avviene, dopo lo smascheramento dei colpevoli, quando Montalbano viene dal dottor Ingrò con un’inspiegabile voglia di ammazzarlo:

«Montalbano non riuscì più a tenersi. Fece due passi avanti, isò il piede e lo sparò in piena faccia al professore. Che cadde narrè, stavolta riuscendo a gridare. [...] Si teneva la faccia tra le mani, il sangue, dal naso rotto, gli colava tra le dita. Montalbano sollevò ancora il piede. "Basta così" disse una voce alle sue spalle. Si voltò di scatto. Sulla porta c’erano Augello e Fazio, tutti e due con le pistole in mano.»1

Per il ristabilimento dell’equilibrio spezzato si può considerare il fatto che il caso è risolto, che il dottor Ingrò, membro dell’organizzazione illecita, confessa alla polizia tutto ciò sa e che il giornalista diffonde la notizia alle reti nazionali.

In tutti i gialli di Camilleri in questione si osserva che più o meno essi rispettano la struttura di base del romanzo poliziesco – l’equilibrio iniziale, il delitto, l’indagine, lo smascheramento e il ristabilimento dell’equilibrio spezzato – e che si passa dall’enigma alla soluzione per mezzo di un’indagine, il che è tipico per il giallo classico. Lo attesta anche il fatto che La forma dell’acqua, Il cane di terracotta e La gita a Tindari sono basati su due storie: sulla storia del delitto e su quella dell’indagine di cui la prima è assente dal racconto e viene ricostruita attraverso quella seconda. Quanto all’indagine si prosegue in modo deduttivo e intuitivo collegando gli indizi e tentando di dar loro senso, attraverso osservazioni e interrogatori.

1 A. CAMILLERI, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000, pp. 286-287.

65 Tra l’altro si nota la presenza di alcuni tratti usati nella narrattiva dell’hard boiled. Innanzitutto ci sono alcune scene ricche di tensione, specialmente ne Il cane di terracotta, che suscitano un’atmosfera pericolosa per il protagonista (il primo incontro di Montalbano con Tano u grecu, la sparatoria alla «mannàra»). Comunque il loro ruolo è piuttosto marginale e non assume tale intensità come nell’hard boiled. A differenza dei gialli classici in cui l’indagine costituisce il filo principale dell’intreccio, nei gialli di Camilleri la storia dell’indagine è frequentemente interrotta dalle vicende relative alla figura del commissario e ai suoi problemi della vita quotidiana che servono all’approfondimento del rapporto tra il lettore e il personaggio. È da sottolineare che l’atteso punto culminante della storia e la sorpresa finale non vengono mai attribuiti, come avviene nel giallo classico, allo smascheramento del colpevole e alla soluzione del caso – visto che il colpevole e la ipotetica soluzione vengono sempre accennati in anticipo – ma a un altro avvenimento (come per esempio ne La gita a Tindari il tentativo di Montalbano di uccidere il dottor Ingrò), il che rende la struttura più interessante. Quanto al ristabilimento dell’equilibrio spezzato ci sono due punti di vista da considerare, il punto di vista dei personaggi e il punto di vista del giallo. Nel primo caso il ristabilimento dell’equilibrio spezzato viene effettuato come abbiamo spiegato sopra nell’analisi della struttura de La forma dell’acqua, de Il cane di terracotta e de La gita a Tindari. Nel secondo caso, dal punto di vista del giallo, si aspetta che la verità – cioè le risposte alle domande “chi era l’assassino?”, “perché?”, “come?”, e “come scoprirlo?” – diventino ufficiali e che la società sia tranquilizzata dalla giusta condanna. In questo modo si conclude solo La gita a Tindari che rappresenta il ritorno alla tradizione, perché negli altri casi la verità ufficiale viene sostituita da quella individuale, visto che l’unico a conoscerla è sempre il commissario Montalbano.

66 3.3.2. I personaggi

La forma dell’acqua, Il cane di terracotta e La gita a Tindari fanno parte della serie dei gialli il cui protagonista è il commissario Salvo Montalbano. Montalbano è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia ed è anche il cognome di uno dei preferiti scrittori di Andrea Camilleri.

«Nel momento in cui dovetti dare un nome al mio commissario fecero concorso due cose: il fatto che il nome Montalbano è uno dei più diffusi della Sicilia e un ringraziamento a Vázquez Montalbán per avermi dato una soffiata per la soluzione della struttura temporale del Birraio di Preston.»1

Uno potrebbe presupporre che Camilleri si sia ispirato, mentre creava la figura di Montalbano, al protagonista dei libri di Montalbán, Pepe Carvalho, oppure al commissario Maigret di Simeon, ai cui sceneggiati televisi Camilleri ha partecipato come sceneggiatore e regista. Camilleri stesso cerca parzialmente di smentirlo –

«Non sono debitore di niente a Pepe Carvalho per ciò che riguarda Montalbano, sono personaggi diversi i nostri.»2 oppure

«Quando ho cominciato a scrivere gialli, il problema è stato quello di differenziare Montalbano da Maigret. In parte credo di esserci riuscito, soprattutto nel modo di condurre l’indagine.»3

– ammettendo solo un tratto comune, cioè che tutti e tre gli investigatori hanno la passione per la letteratura, per il mangiare e per il bere. Camilleri invece conferma di essersi ispirato a Leonardo Sciascia, di cui si rispecchiano nella figura di Montalbano «l’ironia e una certa timidezza»4.

1 A. FRANCHINI, Cronologia, p. CLVIII, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino, cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 Ivi, p. CLVIII. 3 L. CROVI, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, p. 193. 4 Ivi, p. 98.

67 Se Camilleri parla di timidezza pensa al disagio di Sciascia e di Montalbano nel parlare in pubblico. Ora bisogna tornare all’analisi dell’investigatore. Il commissario Montalbano è siciliano, originario di Catania e lavora al commissariato a Vigàta. Alla sua fidanzata Livia, che vive lontano da lui a Genova, è rigidamente fedele ma dall’altra parte ha paura di sposarla e di affrontare le conseguenze del matrimonio. Montalbano è profondamente radicato nella sua terra, ama la Sicilia, i suoi gusti e colori, la sua storia e l’architettura e la patrocina di fronte a Livia, la quale assieme alla maggior parte degli italiani non la capisce. Quanto alla sua età ne La gita a Tindari l’autore accenna che Montalbano è «un cinquantino». Visto che il primo giallo, La forma dell’acqua, si svolge nel 1993 e apre la serie, Montalbano ha in questo periodo probabilmente quarantatre anni. Per quanto riguarda il suo aspetto fisico non sono forniti dettagli oltre al fatto che gli piace stare a casa nudo. Si osserva che da La forma dell’acqua in avanti la figura del commissario si sviluppa e l’autore dedica alla sua vita sempre più spazio nella storia. In questo riguardo il lettore apprende marcatamente più informazioni relativi al passato del commissario che agli altri personaggi. Ci sono varie allusioni all’infanzia e alla giovinezza di Montalbano, ai suoi genitori e agli amici. Montalbano – «quando voleva capire una cosa, la capiva» – è un vero uomo, onesto, sincero, intelligente, ma anche furbo e soprattutto dotato di sano umorismo e fine sarcasmo. Ha la tendenza a arrabbiarsi subito, a sbottare e a rinfacciare senza scrupoli tutto a tutti. Le sue passioni sono il mangiare, il bere, la letteratura e in certo senso anche le donne e la loro bellezza. Rispetto agli investigatori di Sciascia che sono considerati outsiders della società, Montalbano rispecchia in sé l’immagine della società siciliana nella quale vive. Egli conosce benissimo il suo ambiente e la gente che lo circonda con il suo specifico modo di pensare e di reagire. Il suo carattere influenza il suo modo anticonformista di indagare. Dubita delle cose che agli altri sembrano chiare e normali. Dove gli altri

68 non cercano niente egli si mette a frugare. Costretto dalla sua passione investigativa spesso si muove per conto suo e percorre tutti gli strati sociali. «Da tragediatore dissimula, nasconde anche a superiori e colleghi la sua intelligenza professionale, il suo eccezionale fiuto di segugio.»1 Al suo vice Augello spiega, ne Il cane di terracotta, «d’essere una specie di cacciatore solitario»2. Si fida più della intuizione che della logica. Non usa metodi speciali e non ha nessun piano. Si lascia influenzare dalle impressioni e per venirci a capo ha bisogno di un posto tranquillo dove si nasconde e riflette. Non porta quasi mai la pistola e ogni tanto si muove al limite del lecito. Si permette perfino di tacere la verità e coprire il colpevole. «Nelle sue indagini non c’è niente di personale, non c’è neppure la volontà di catturare il criminale quanto di arrivare a cogliere il mistero del crimine.»3 Bisogna aggiungere che nell’arco di tempo che va dal 1993 al 2000 evidentemente è cambiato. Non si vede più il suo entusiasmo investigativo iniziale ma una certa stanchezza e un senso di disgusto verso la realtà che lo circonda. Sulla base dell’analisi del nostro investigatore e del confronto con la tradizione del romanzo poliziesco si può dire che nella figura del commissario Montalbano si amalgamano i tratti caratteristici relativi sia all’investigatore del giallo classico, sia a quello dell’hard boiled. Tra l’altro è da sottolineare che nei gialli di Camilleri, rispetto alla tradizione del romanzo poliziesco, si dà risalto in generale all’aspetto psicologico dell’investigatore, il che è considerato un elemento innovativo.

Dopo l’analisi estesa del commissario Montalbano dobbiamo soffermarci anche sulle figure della vittima e del colpevole presenti nei gialli di Andrea Camilleri. A partire dalle vittime si osserva che in tutti i gialli

1 N. BORSELLINO, Camilleri gran tragediatore, p. XLI, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino, cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 135. 3 N. BORSELLINO, Camilleri gran tragediatore, p. XLI, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, introduzione di Nino Borsellino, cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.

69 in questione non si ha mai a che fare con un solo delitto ma sempre si tratta di una serie di delitti. Ne La forma dell’acqua ce ne sono tre: vengono uccisi l’ingegnere Luparello, l’avvocato Rizzo e Giorgio (nipote di Luparello). Ne Il cane di terracotta ce ne sono perfino dieci: muoiono ammazzati Tano u grecu con due agenti di polizia e il suo braccio destro Petru Gullo, il cavaliere Misuraca, Gegè, il signor Ingrassia con il rappresentante della ditta Brancato, Mario e Lisetta (due innamorati della grotta). E ne La gita a Tindari sono assassinate quattro persone: Nenè Sanfilippo, i Griffo (coniugi anziani) e Japichinu Sinagra. Le vittime non compaiono solo all’inizio del testo ma anche nel suo corso. Nei gialli di Camilleri si possono individuare alcune categorie di vittime. In prevalenza c’è la categoria dei testimoni scomodi che possono mettere in pericolo i membri della mafia oppure il traffico di armi e quello di organi umani. A questa categoria di vittime appartengono il cavaliere Misuraca, il signor Ingrassia e il rappresentante della ditta Brancato (Il cane di terracotta), poi Nenè Sanfilippo e i Griffo (La gita a Tindari). L’altra categoria è quella di vittime del delitto passionale. In questo caso si può parlare di Mario e Lisetta (Il cane di terracotta), due innamorati uccisi dal padre geloso di Lisetta. Ci sono anche le vittime capitate nell’affare per caso, come ad esempio due agenti di polizia (Il cane di terracotta) che accompagnano Tano u grecu durante il suo trasferimento in un altro carcere. Tano u grecu (Il cane di terracotta) e Japichinu (La gita a Tindari) sono diventate vittime perché hanno violato le regole imposte dalla mafia: il primo si è fatto volontariamente catturare e il secondo ha tradito suo nonno, il capo della sua cosca mafiosa, e voleva collaborare con una cosca oppositore. Nel testo appaiono anche le vittime che dovrebbero imbrogliare l’indagine come ad esempio Petru Gullo e Gegè (Il cane di terracotta), la cui morte doveva allontanare l’attenzione della polizia dal traffico di arme. Un caso interessante è La forma dell’acqua dove dal punto di vista del giallo non ci sono la vittima e il colpevole in vero senso della parola. L’ingegnere Luparello non viene ammazzato ma si tratta della morte naturale. Comunque dopo la sua morte diventa la vittima di un gioco sporco dell’avvocato Rizzo. L’avvocato Rizzo non è l’assassino ma sfrutta

70 della morte di Luparello per i suoi fini politici e non mantiene la promessa data a Giorgio. Per il suo tradimento viene ucciso da Giorgio e diventa la vittima. Giorgio è l’assassino ma allo stesso tempo diventa la vittima di un incidente stradale che sembra essere un suicidio. Da ciò risulta che il ruolo dei personaggi ne La forma dell’acqua è abbastanza ambiguo. Di questa ambiguità possiamo accorgerci anche nella figura del commissario che da una parte è il rappresentante della legge ma dall’altra viola la legge e copre il delitto e l’assassino (Giorgio). Oltre all’ambiguità delle vittime e del commissario si osserva che nei gialli di Camilleri il ruolo della vittima è un ruolo che può capitare a tutti – capita ai testimoni come ai colpevoli ma può capitare anche all’investigatore (si ricorda quando Montalbano diventa bersaglio di una sparatoria e ne esce ferito) – il che sono i tratti specifici che rimandano alla narrativa dell’hard boiled.

Per quanto riguarda i colpevoli, nei gialli di Camilleri si individuano due tipi: o un solo assassino o un’organizzazione criminale. Il primo tipo si trova sia ne La forma dell’acqua (Giorgio) sia ne Il cane di terracotta (il padre di Lisetta). Il movente del loro comportamento è nel caso di Giorgio la vendetta e nel secondo caso la gelosia. Il primo commette il delitto da solo, l’altro lo ordina ma nessuno di loro viene ufficialmente scoperto e condannato. L’organizzazione criminale con la quale si ha a che fare ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari viene nell’ambiente siciliano identificata con la mafia. Essa in alcuni casi viene rappresentata da personaggi concreti, come ad esempio il signor Ingrassia (Il cane di terracotta) e don Balduccio Sinagra (La gita a Tindari) e negli altri casi invece è assolutamente invisibile, intoccabile, senza la faccia e si presenta solo dai fatti o meglio dai delitti, come ad esempio l’omicidio di Tano u grecu, del signor Ingrassia, di Nenè Sanfilippo e dei Griffo. Le sue vittime si possono dividere in questi gialli in due gruppi: i testimoni scomodi e gli anelli deboli della catena mafiosa. Si osserva che nei casi dei testimoni scomodi la mafia cerca di mascherare il loro omicidio e il suo movente. Invece

71 nell’altro caso riguardante gli anelli deboli, sono sempre ammazzati in pieno giorno davanti alla gente. Ne La forma dell’acqua e ne Il cane di terracotta i colpevoli non sono mai accusati e condannati, il che è un tratto distintivo dalla tradizione del romanzo poliziesco, in cui i cattivi sono sempre sconfitti. Invece ne La gita a Tindari l’organizzazione criminale senza una faccia concreta viene per la prima volta ufficialmente accusata davanti alla società e uno dei suoi membri fornisce una testimonianza alla polizia. Da ciò risulta che La gita a Tindari si allontana il meno possibile dalla tradizione del romanzo poliziesco.

3.3.3. Il narratore

Quanto alla figura del narratore, in tutti e tre i gialli – La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, La gita a Tindari – si ha a che fare con il narratore, che è assente dalla vicenda, classificato come il narratore esterno. Egli racconta i fatti in terza persona, adoperando lo stesso linguaggio del commissario Montalbano, e la sua presenza è quasi invisibile. In effetti il narratore non assume in questi gialli un ruolo centrale e dominante, è nascosto e preferisce la narrazione mimetica. La sua voce narrante assieme ai verbi dichiarativi scompare e le parole dei personaggi sono riprodotte mediante i dialoghi e il discorso diretto. Il caso estremo si trova per esempio nel capitolo quattro de La forma dell’acqua dove «sfilano privi di commento, separati da una linea bianca, addiritura undici dialoghi, ciascuno con un interlocutore differente e senza alcun danno alla fluidità di lettura»1. La narrazione mimetica che rende veloce il ritmo della storia viene interrotta dagli interventi del narratore, cioè dalle sequenze narrative – che fanno procedere l’azione e forniscono le informazioni indispensabili ai fini della comprensione della vicenda – dalle descrizioni dei personaggi, del paesaggio, del tempo, della cucina siciliana e anche dalle traduzioni e

1 M. NOVELLI, L’isola delle voci, p. LXXV, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002.

72 dalle spiegazioni delle parole in dialetto e dagli ingranaggi mentali di Montalbano. Oltre a tutto questo bisogna aggiungere che il narratore varia la sua focalizzazione adottando quella zero e quella interna con i punti di vista dei personaggi.

3.3.4. Il tempo

Soltanto ne La forma dell’acqua e ne La gita a Tindari il lettore può trovare il periodo esatto dell’epoca in cui è ambientata la storia. Tutti e tre i gialli fanno parte di una serie di Montalbano e le loro trame seguono una linea cronologica e spesso quasi coincidono con l’anno della loro pubblicazione. La storia de La forma dell’acqua si svolge nel settembre del 1993 e la storia de La gita in Tindari nel 1999. Quanto a Il cane di terracotta la trama si svolge probabilmente nel 1995. Dal punto di vista del ritmo si osserva la differenza tra i primi due gialli (La forma dell’acqua e Il cane di terracotta) e La gita a Tindari. I primi due sono caratterizzati da un ritmo veloce. Le storie sembrano essere composte prevalentemente dalle sequenze dialogate e narrative accompagnate, dove è necessario, da quelle descrittive. A differenza dei primi due gialli, La gita a Tindari si segnala per un evidente aumento delle sequenze descrittive e perfino di quelle rifflessive. Il ritmo della storia sembra equilibrato ed è alternamente accellerato e rallentato. Le sequenze descrittive riguardano spesso la storia dell’indagine, sono dedicate alle descrizioni dei luoghi e dei personaggi. Invece quelle riflessive riguardano il commissario Montalbano, la sua vita personale e analizzano il suo stato d’animo. Il cambiamento è dovuto alla figura del commissario che sta invecchiando e nella sua età è più propenso alle riflessioni sulla propria vita e sul suo passato.

3.3.5. Lo spazio

Tutti i romanzi di Andrea Camilleri hanno un tratto specifico comune, cioè la collocazione spaziale. Tutti, inclusi La forma dell’acqua, Il

73 cane di terracotta e La gita a Tindari, sono ambientati in Sicilia, in una piccola città, chiamata Vigàta. Si tratta di un posto geograficamente inesistente che viene ben definito da un critico letterario come «il centro più inventato della Sicilia più tipica»1.

«Vigàta in realtà è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco fosse Chigaco ai tempi del proibizionismo: non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome di fantasia: c’è Licata vicino, e così ho pensato: Vigàta. Ma Vigàta non è neanche lontanamente Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte.»2

Oltre a Vigàta appaiono nei gialli anche altre città immaginarie come Fela e Montelusa che corrispondono a quelle reali: Gela e Agrigento. Quanto a Agrigento, Camilleri stesso spiega l’origine del nome Montelusa:

«Agrigento sarebbe la Montelusa dei miei romanzi, però Montelusa non è un’invenzione mia ma di Pirandello che ha usato questo nome molte volte nelle sue novelle: l’Agrigento di oggi la chiamava Girgenti e anche Montelusa. Ed io gli ho rubato il nome, tanto non può protestare.»3

Sebbene Vigàta sia presente in tutti i romanzi di Camilleri, ne La forma dell’acqua, ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari l’autore non fornisce al lettore una dettagliata descrizione del luogo ma solo alcuni tratti specifici. Il lettore apprende, ad esempio, che a Vigàta ci sono le strade e i luoghi che portano i nomi dei presidenti americani (via Lincoln, viale Kennedy, cortile Eisenhower, vicolo Roosevelt), che ci sono i grattacieli nani con al massimo dodici piani e che «per chi giungeva per via di mare, Vigàta s’apprisintava come la parodia di Manhattan su scala ridotta.»4 Alla periferia di Vigàta si trova la zona detta la mànnara, «un largo tratto di macchia mediterranea [...] che si spingeva quasi fin sulla pilaia, con alle spalle i resti di un grande stabilimento chimico», nota come un

1 L. CROVI, Tutti i colori del giallo, Marsilio, Venezia 2002, pp. 183-184. 2 Disponibile online all’indirizzo www.andreacamilleri.net. 3 Disponibile online all’indirizzo www.andreacamilleri.net. 4 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 13.

74 luogo dove fiorisce la prostituzione e i preservativi formano un tappeto. Dalla parte opposta alla mànnara c’è la zona Marinella, lontana dall’abitato cittadino, dove sulla spiaggia, nella casa a pochi metri dal mare abita Montalbano. Oltre a Vigàta, l’autore descrive anche il paesaggio che sta nelle vicinanze, e le sue bellezze selvagge che piacciono così tanto al commissario Montalbano.

«Il commissario principiò a taliare quella parte di paesaggio della sua isola che più gli faceva garbo. [...] Aride colline, quasi tumoli giganteschi, coperte solo di stoppie gialle d’erba secca, abbandonate dalla mano dell’uomo per soppravvenute sconfitte dovute alla siccità, all’arsura o più semplicemente alla stanchezza di un combattimento perso in partenza, di tanto in tanto interrotte dal grigio di rocce a pinnacolo, assurdamente nate dal nulla o forse piovute dall’alto, stalattiti o stalagmiti di quella fonda grotta a cielo aperto ch’era la Sicilia. Le rare case, tutte di solo pianoterra, dammùsi, cubi di pietre a secco, erano messe di sghembo, quasi che avessero fortunosamente resistito a una violenta sgroppata della terra che non voleva sentirsele sopra. C’era sì qualche rara macchia di verde, ma non d’alberi o di colture, bensì d’agavi, di spinasanta, di saggina, d’erbaspada, stenta, impolverata, prossima anch’essa alla resa.»1

3.3.6. La lingua e lo stile

Adriano Sofri deffinisce il linguaggio di Camilleri una lingua ibrida2 e Camilleri stesso ne Il cane di terracotta lo chiama «l’italiano bastardo». Il modo di parlare di Montalbano e del narratore non è in effetti né italiano né siciliano ma si tratta di un uso misto di queste due lingue, il quale ha perfino il proprio nome: il vigatese. Nei suoi libri Camilleri è riuscito bene a creare un impasto linguistico accessibile a tutti, non solo agli italiani ma anche agli stranieri parlanti italiano, e con la sua affermazione «anche tu sei (o diventerai) siciliano e mi capisci»3 si può essere assolutamente d’accordo.

1 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1994, p. 72. 2 M. NOVELLI, L’isola delle voci, p. LXI, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 3 Ivi, p. LXXIX.

75 Il vigatese è costituito dall’italiano parlato e dalla variante agrigentina del siciliano, la quale, secondo , è «incontestabilmente la più pura, la più dolce, la più ricca di suoni, per certe sue particolarità fonetiche, che forse più di ogni altra la avvicinano alla lingua italiana».1 Si osserva che Camilleri cerca di rendere il vigatese più comprensibile ai suoi lettori e nei testi appaiono così parole semplificate che assomigliano di più all’italiano. Ad esempio, invece di travagghiu usa travagliu, invece di figghiu usa figliu, ecc. Per suggerire la pronuncia cacuminale inserisce regolarmente una erre, scrivendo ad esempio viddrano e non viddano, beddra e non bedda. Un altro tratto da notare è che il siciliano intacca pesantemente anche la fonomorfologia desinenziale: libra, favi, èssiri, silenziu, facivanu fari, fetu, linzòla, ecc.2 Sul piano lessicale poi spiccano i termini frequentemente usati come ad esempio: taliata, camurrìa, darrè, gana, macari, manco, tanticchia, acchianari, pigliare, cangiare, cataminare, picca, nenti e così via, i quali «rappresentano il primo e imprescindibile gradino che il lettore deve salire per poter poi procedere senza soste, assecondando il rapido fluire del racconto»3. Tra l’altro bisogna aggiungere che ai tratti distintivi appartengono anche l’uso continuo del passato remoto e la collocazione del verbo a destra.4 Come ad esempio ne La forma dell’acqua «lei comunista è», ne Il cane di terracotta «male cascò» oppure ne La gita a Tindari «Fiducia devi avere». Quanto al dialetto puro, esso viene riservato esclusivamente ai personaggi dell’ambiente popolare. Lo testimonia anche il seguente discorso di Montalbano con la sua «cammarera» Adelina5:

”Perché non ti sei fatta viva in questi giorni?” “Ca pirchì! Ca pirchì a la signurina nun ci piaci di vidìrimi casa casa quannu c’è iddra.” “Come hai saputo hai saputo che Livia era partita?”

1 M. NOVELLI, L’isola delle voci, p. LXXVIII, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 Cfr. Ivi, pp. LXXXIV-LXXXV. 3 Ivi, p. LXXXIV. 4 Cfr. Ivi, p. LXXXVI. 5 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Salerno 1996, p. 234.

76 “Lu seppi in paisi.” Tutti, a Vigàta, sapevano tutto di tutti. “Che mi hai accattato?” “Ci faccio la pasta con le sardi e pi secunnu purpi alla carrettera.”

Indimenticabile è anche il telefonista Catarella e il suo «taliàno» che consiste in «un farneticante frullato di concretezze dialettali e mal comprese astrazioni burocratiche»1 e dà origine alle numerosissime situazioni comiche, durante le quali il lettore spesso non riesce a trattenersi e si mette a ridere. Lo attestano anche i seguenti brevi dialoghi tra Catarella e Montalbano:

“Dottori, lei putacaso mi saprebbi fare la nominata di un medico di quelli che sono specialisti?” “Specialista di cosa, Catarè?” “Di malattia venerea.” Montalbano spalancato la bocca per lo stupore. “Tu?! Una malattia venerea? E quando te la pigliasti?” “Io m’arricordo che questa malattia mi venne quando ero ancora nico, non avevo manco sei o sette anni.” “Ma che minchia mi vai contando, Catarè? Sei sicuro che si tratta di una malattia venerea?” “Sicurissimo, dottori. Va e viene, va e viene. Venerea.”2 oppure

“Se vossia voli, io questa cosa ci la porto l’istesso, ma De Cicco sicurissimamente di sicuro ca stamatina non c’è. Me lo feci assapere De Cicco di pirsona aieri a sira quanno che mi tilifonò.” “E dov’è?” “A Montelusa. In Questura. Ma sono tutti arriuniti.” “Che devono fare?” “Il signor Quistore ha fatto vinìri di Roma un granni e grannissimo crimininilologo ca ci deve fare la lizioni.” “Una lezione?”

1 M. NOVELLI, L’isola delle voci, p. XCIX, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, pp. 25-26.

77 “Sissi, dottori. De Cicco m’ha detto che la lizioni è come devono fari se pi caso devono fari la pipì.” Montalbano sbalordì. “Ma che mi dici, Catarè!” “Ci lo giuro, dottori.” A questo punto il commissario ebbe un lampo. “Catarè, non è la pipì, ma semmai la pipìa, PPA. Che viene a dire “probabile profilo dell’aggressore. Hai capito?” “Nonsi, dottori.”1

Sulla base dei sopracitati esempi si può sostenere che Camilleri sembra propenso alle situazioni comiche e questo fatto viene confermato in tutti i suoi gialli in questione che si segnalano per una buona dose di ridicolo, di ironia, di doppi sensi, di allusioni e di giochi di parole, presenti in diversi discorsi, commenti personali di Montalbano e in varie situazioni.

“Lei dovrà solamente supportare.” “E che sto facendo? Non la sto suppurtannu con santa pazienza?”2

Bisogna aggiungere che allo stile personale di Camilleri, caratterizzato dalla comicità e dalla «sorprendente tessitura linguistica»3 è legata anche la sua abilità di rendere percepibili visibilmente le sue letture, «come se le dovesse di volta in volta inscenare o meglio adattare alla sua drammaturgia narrativa»4, e di trascrivere sulla carta in modo molto naturale l’immediatezza del parlare.

3.3.7. I temi

Ne La forma dell’acqua, Il cane di terracotta e La gita a Tindari emergono due argomenti centrali che fortemente caratterizzano la narrativa di Andrea Camilleri. Essi sono abbastanza prevedibili, cioè la Sicilia e la mafia.

1 A. CAMILLERI, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000, pp. 178-179. 2 Ivi, p. 16. 3 N. BORSELLINO, Camilleri gran tragediatore, p. XI, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 4 Ivi, p. XXXII.

78 A partire dalla Sicilia che viene raffigurata con le sue bellezze selvagge della natura, con la sua ricchezza archeologica e con i suoi sapori, l’autore offre anche il ritratto sociale dell’isola. Il lettore è il testimone della vita siciliana: conosce i siciliani e le loro condizioni di vita, il loro modo specifico di comportarsi, di pensare e di parlare, conosce le loro qualità, la genuinità e il senso dell’umorismo. Le condizioni di vita dei siciliani non sono sempre le migliori: da una parte c’è la gente (spesso avvocati, politici, medici, mafiosi) che possiede belle case, le macchine potenti e vive in lusso, dall’altra la gente che a malapena riesce a vivere con la piccola pensione, che sebbene sia diplomata non può trovare buon lavoro e deve accontentarsi di professioni degradanti come per esempio quella di «munnizzario»1. Tutto dipende dai buoni contatti e rapporti con le persone importanti che occupano i posti alti. E così può capitare che uno lento a capire e ad agire ottiene un buon lavoro, come Catarella che

«era stato pigliato nella polizia certamente perché lontano parente dell’ex onnipotente onorevole Cusumano che, dopo un’estate passata al fresco del carcere dell’Ucciardone, aveva saputo riannodare legami coi nuovi potenti tanto da guadagnarsi una larga fetta di torta.»2

Parte essenziale della vita in Sicilia sono la deliquenza, le sparatorie, le stragi che presso i siciliani non suscitano più nessun stupore ma vengono considerati quasi all’ordine del giorno.

«Un rappresentante di elettrodomestici, milanese, [...] si era fermato al distributore, si era messo a taliare un foglio per controllare l’indirizzo del prossimo negozio da visitare e poi aveva sentito dei colpi e un dolore acuto alla spalla. “Dottò, quello quando se ne torna a Milano, si mette con quelli che vogliono staccare la Sicilia dal nord.”»3

Tra gli altri tratti caratteristici relativi alla natura dei siciliani che spiccano nei gialli di Camilleri sono per esempio:

1 Camilleri usa l’espressione siciliana “munnizzario” per indicare uno spazzino. 2 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 25. 3 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, pp.122-123.

79 1) la gelosia e la paura delle corna:

”Ma che voleva fare? Ammazzarsi?” “Sì.” “Ma perché?” “Perché mia moglie mi mette le corna.” Tutto poteva aspettarsi Montalbano meno quella motivazione, l’uomo aveva sicuramente passato l’ottantina. “Sua moglie che età ha?” “Facciamo ottanta. Io ne ho ottantadue.”1

2) le telefonate anonime alla polizia le quali hanno sostituito le lettere anonime:

«La genti [...] telefona. Conta cose vere, cose immaginate, cose possibili, cose impossibili, [...] gonfia, sgonfia e sempre senza mai dire nome e cognome di chi sta parlando. Fanno i numeri verdi dove uno può dire le peggiori minchiate di questo mondo senza assumersene la responsabilità! E intanto gli esperti di mafia s’entusiasmano: in Sicilia cala l’omertà, cala la complicità, cala la paura! Non cala un cazzo, aumenta solo la bolletta della Sip.»2

3) oppure il divertimento dei siciliani che consiste nel tagliare le gomme alla polizia:

«Ma se lo sapete tutti che una volta ogni quindici giorni ci tagliano le gomme! Cristo! E io ogni mattina v’avverto: taliàtele3 prima di partire! E voi invece ve ne fottete, stronzi!»4 e

«Non lo volete capire che tagliarci le gomme è lo sport nazionale di questo minchia di paese?»5

1 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 73. 2 A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, pp. 33-34. 3 Camilleri usa l’espressione “taliare” per il verbo guardare. Lo attesta anche la seguente citazione: «Il commissario principiò a taliare quella parte di paesaggio della sua isola che più gli faceva garbo» (A. CAMILLERI, Il cane di terracotta, Sellerio, Palermo 1996, p. 72). 4 A. CAMILLERI, La forma dell’acqua, Sellerio, Palermo 1994, p. 21. 5 Ivi, p. 146.

80 Per quanto riguarda l’argomento della mafia esso prevale soprattutto ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari. Ne La forma dell’acqua viene solo accennato all’esistenza della corruzione e dei legami tra la mafia e gli avvocati, i politici e i magistrati che spesso in cambio di una percentuale del guadagno chiudono gli occhi e silenziosamente promuovono gli affari illeciti, come per esempio nel caso di Gegè e il suo mercato con la prostituzione e le droghe leggere. Oltre a questi tratti si parla anche delle talpe presenti tra i membri della polizia, il lettore apprende come la mafia si vendica per il tradimento, che mezzi usa per ammazzare le persone scomode, ecc. Sebbene Camilleri afferma di aver scelto di non parlare della mafia di oggi – «ho scelto di non parlare della mafia di oggi perché non credo di capirci, e poi c’è gente che ne sa e ne capisce molto più di me»1 – ci accorgiamo che non lo è del tutto vero perché ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari si osserva il suo tentativo di mostrare le differenze tra la vecchia e nuova mafia. Questo tentativo è più marcante ne La gita a Tindari dove il ruolo del colpevole viene assunto addirittura dalla mafia nuova. Essa rispetto a quella vecchia è più anonima, senza la faccia e i nomi. È imprevedibile perché non rispetta le regole del gioco sporco, è spietata e crudele. Nella sua ottica l’uomo non passa per l’essere umano, è solo un pezzo di carne che può essere ucciso per piacere, per il business con gli organi umani o semplicemente così senza un motivo. La differenza tra la vecchia e nuova generazione della mafia è ben spiegata ne La gita a Tindari dall’ottantenne capo mafioso, don Balduccio:

«abbiamo macari fatto sbagli grossissimi, ma sempri abbiamo saputo ca c’era una linea ca non doviva essere passata. Mai. Pirchì passannu quella linea non c’era cchiù differenza tra omo e una vestia.»2

1 N. BORSELLINO, Camilleri gran tragediatore, pp. XXIII-XXIV, in A. CAMILLERI, Storie di Montalbano, a cura e con saggio di Mauro Novelli, Introduzione di Nino Borsellino, Cronologia di Antonio Franchini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002. 2 A. CAMILLERI, La gita a Tindari, Sellerio, Palermo 2000, p. 122.

81 3.4. Il confronto finale dei gialli di Camilleri con il romanzo poliziesco (secondo le regole di Van Dine)

Dopo tutta l’analisi de La forma dell’acqua, de Il cane di terracotta e de La gita a Tindari si può venire alla conclusione che Andrea Camilleri costruisce i suoi gialli sui fondamenti del giallo classico, il che è il più evidente nel caso della struttura. Quanto alla figura dell’investigatore, lo scrittore attinge l’ispirazione sia dal giallo classico, sia dal giallo di hard boiled. In questo capitolo la nostra tesi verrà confermata, dal punto di vista della forma, dal risultato del confronto dei gialli di Camilleri con le venti regole di Van Dine. Il confronto che rivela come la maggior parte delle regole venga rispettata e otto ne siano violate. A partire dalle regole che vengono rispettate si può constatare che in tutti i gialli – La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, La gita a Tindari – il lettore non è mai ingannato e assieme all’investigatore ha le stesse possibilità di risolvere il delitto. Sulla scena appare sempre solo un investigatore, il commissario Montalbano, che in nessun giallo in questione risulta colpevole e sempre riesce a scoprire il colpevole attraverso logiche deduzioni e con metodi naturalistici. Camilleri rispetta anche il fatto che in tutti i gialli ci sono più di un morto, e le regole secondo le quali i metodi del deliquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e la soluzione del problema deve essere sempre evidente. Bisogna aggiungere che tutti i delitti non avvengono mai per accidente perché sono sempre programmati e motivati di un interesse come per esempio la vendetta, l’eliminazione dei testimoni scomodi, ecc. Infine l’autore mai utilizza gli indizzi banali o troppo usati che potrebbero aiutare a scoprire il colpevole. Quanto alle regole violate esse sono, a differenza di quelle rispettate, in minoranza e non sempre sono violate in tutti i gialli in questione. Ci accorgiamo che c’è la storia d’amore tra il commissario Montalbano è la sua fidanzata Livia ma c’è anche l’amore non ricambiato da parte del commissario verso l’ispettrice Anna. Ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari i colpevoli non sono persone che hanno avuto una

82 parte più o meno importente nella storia. Praticamente il lettore non ne sa quasi niente. Nel primo caso si tratta del padre di Lisetta e nel secondo di una anonima organizzazione illecita. Si nota che che non è del tutto vero che i colpevoli devono essere sempre persone insospettabili perché per esempio dell’avvocato Rizzo ne La forma dell’acqua si sa che ha legami con la mafia. Invece il proprietario del supermercato il signor Ingrassia e il padre di Lisetta ne Il cane di terracotta sembrano alla prima vista persone che non abbiano nessun motivo di uccidere. Si osserva pure che ne Il cane di terracotta ci sono più di un colpevole (la mafia, il signor Ingrassia, il padre di Lisetta) al pari di La gita a Tindari dove il responsabile degli omicidi è una nuova organizzazione mafiosa. Oltre ciò bisogna aggiungere che nei gialli di Camilleri sono presenti anche società segrete e associazioni a delinquere, cioè la mafia. Un altro fatto da ricordare è che in tutti e tre i gialli è presente la storia riguardante la vita di Montalbano che non ha nessun’importanza in un romanzo poliziesco e secondo le regole non ci dovrebbe essere. La regola che vieta la presenza dei deliquenti di professione presi come colpevoli viene violata ne Il cane di terracotta e ne La gita a Tindari dove alcuni delitti sono commessi dai membri della mafia. Si deve altrettanto menzionare che i delitti non sono sempre provocati per motivi personali: per esempio ne Il cane di terracotta Tano u grecu viene ucciso perché tradisce la mafia e si lascia catturare e ne La gita a Tindari tutte le vittime sono ammazzate perché sono diventati testimoni scomodi.

83 Conclusione

Come si è detto nell’introduzione, il presente lavoro è diviso in due parti principali: nella parte teorica e in quella pratica. Lo scopo della prima parte era offrire al lettore le informazioni fondamentali riguardanti il genere poliziesco. Seguendo tale proponimento ci siamo soffermati sulle singole tappe dello sviluppo del romanzo poliziesco nel mondo, a partire dalla nascita sino all’«età dell’oro», elencando i più noti autori e individuando in breve le caratteristiche dei loro famosi investigatori. Un’altra nostra sosta riguardava i sottogeneri del romanzo poliziesco, tra i quali ci sono il romanzo d’enigma, l’hard boiled e il romanzo di suspense. E infine abbiamo rivolto la nostra attenzione alla definizione e alla struttura di questo genere. Nel panorama italiano abbiamo appreso in quali condizioni era nato il giallo e abbiamo percorso le tappe principali del suo sviluppo. Abbiamo saputo che la posizione sul mercato editoriale non era stata fino agli anni ’60 una delle migliori perché sulla penisola dominavano i gialli degli autori stranieri, e che tra i primi autori italiani di rilievo spicca anche il nome di Leonardo Sciascia. Nella seconda parte abbiamo rivolto la nostra attenzione a due scrittori di origine siciliana, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri, i quali sono diventati fenomeno nell’ambito letterario e hanno ottenuto un grande successo anche oltre i confini dello Stato italiano. Prima di passare all’oggetto della seconda parte, cioè all’analisi dei romanzi di Sciascia e di Camilleri, abbiamo dedicato due parole anche ai dati biografici degli autori soffermandoci brevemente sulla loro produzione. Quanto all’analisi abbiamo scelto tre romanzi sciasciani (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo, Il contesto) e tre di Camilleri (La forma dell’acqua, Il cane di terracotta, La gita a Tindari), e li abbiamo sottoposti a un’analisi della struttura, dei personaggi, del narratore, dei temi e dello stile confrontando queste categorie con gli stereotipi e le regole del romanzo poliziesco per offrire un ritratto generale del giallo siciliano. Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri hanno a prima vista parecchio in comune: entrambi sono nati in Sicilia, entrambi hanno scelto

84 il genere poliziesco per la loro produzione, entrambi situano le loro trame in Sicilia ed entrambi raccontano della mafia. In dettaglio, comunque, questi due scrittori si distinguono abbastanza. In primo luogo, per quanto riguarda il giallo, ci siamo accorti che i testi sciasciani sono solo basati parzialmente sulla tecnica del giallo che serve per riprodurre la reltà della vita e permette a Sciascia a esprimere la sua denuncia. Nel caso di Camilleri, invece, siamo giunti alla conclusione che il suo giallo non si allontana troppo dalla tradizione del romanzo poliziesco ma lo scrittore lo arricchisce di nuovi elementi. Il giallo di Camilleri tocca piú aspetti contemporaneamente, cioè quello realistico perché riesce a descrivere con fedeltà usi e costumi della società, quello psicologico perché riesce a descrivere ed analizzare gli stati d’animo dei protagonisti e quello poliziesco perché costruisce tutto sullo sfondo dell’intreccio del giallo. In secondo luogo ci siamo accorti della differenza nella concezione della mafia nelle loro opere. Dal punto di vista di Sciascia la mafia è nelle sue opere la causa di tutto il male. Egli la critica e detesta le pratiche mafiose che penetrano nella società e nell’ambiente politico. Invece dal punto di vista di Camilleri la mafia è soltanto un elemento costitutivo delle sue opere, un ingrediente indispensabile dell giallo siciliano che lo rende diverso dal tipico genere poliziesco. Inoltre, i loro gialli si distinguono anche per lo stile. Lo stile di Sciascia, caraterizzato come chiaro, sottilmente ironico e con il lessico aulico, spinge il suo lettore alle riflessioni, alle meditazioni. Si rivela completamente diverso da quello di Camilleri che si segnala invece per la sua discorsività, la fluidezza e una forte presenza del dialetto. Sia Leonardo Sciascia, sia Andrea Camilleri hanno utilizzato il giallo in modo del tutto personale, originario e innovativo, il che ha contribuito alla rivalutazione di questo genere, considerato a lungo un genere basso della letteratura. Con il crescere del loro successo, non solo nell’ambiente italiano ma anche all’estero, sono riusciti a rivolgere l’attenzione della critica letteraria e del mercato editoriale a se stessi e appartengono al gruppo dei grandi personaggi della narrativa italiana della seconda metà del Novecento.

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