La V Ia Dell' Arco
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KyKyûûdô la via dell'arco Storia, filosofie e pratica dell'arcieria giapponese di Muzio Bobbio [ebook realizzato utilizzando quanto riportato sul sito web http://gorin.it/kyudo.htm per gentile concessione dell’autore] Indice Prologo Ringraziamenti Prefazione Introduzione PARTE I: Storia del Kyûdô: i grandi arcieri del passato e le loro scuole Periodo antico Periodo di evoluzione Periodo feudale Periodo di transizione Periodo moderno Il tiro moderno Il Kyûdô in Italia PARTE II: L'attrezzatura L'arco Le frecce Il guanto Gli altri accessori L'abbigliamento PARTE III: La pratica La pratica storica Il tiro standard moderno Alcuni particolari tecnici Tavole riassuntive APPENDICI Metodo di traslitterazione Glossario Bibliografia Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 2 Prologo Questo testo sul kyûdô, l'esoterica arcieria giapponese, era nato alcuni anni fa, su precisa richiesta, per essere pubblicato come libro; varie vicissitudini hanno impedito per ben due volte che il progetto andasse a buon fine ed allora ho pensato di renderlo liberamente disponibile a tutto il pubblico attraverso la "grande ragnatela"; data la sua storia, il lettore non si meravigli se esso rispecchierà molto da vicino l'impostazione "cartacea" più che quella "elettronica". Ringraziamenti Per questo lavoro, più di qualche persona merita il mio ringraziamento, ma lo debbo in particolare al dott. Procesi di Roma per la revisione delle bozze e le precisazioni storiche che mi ha fornito nonché al Maestro Ichikura di Milano per la revisione della terminologia giapponese. Prefazione Kyûdô significa letteralmente "via dell'arco"; in Oriente la parola "via" non significa solamente strada nel senso di traccia da percorrere per gli spostamenti, ma anche (ed in questo caso esclusivamente) percorso dell'essere umano verso il suo miglioramento anche tecnico ma soprattutto verso la sua crescita interiore come Uomo: lo stesso ideogramma si legge Tao in cinese. Parlare del kyûdô, il tiro con l'arco giapponese, è sempre un po' difficile specialmente per chi giapponese non è; invero la più "esoterica" tra le arti marziali del Sol Levante non è particolarmente conosciuta né diffusa a livello di massa neanche lì dove ha avuto le sue origini. Soltanto negli ultimi anni il kyûdô sta vivendo un nuovo momento di grande favore in seguito alla divulgazione nelle scuole, ottenendo così pari dignità del kendô, la via della spada. Parlare delle origini, dei miti e della storia del kyûdô correlandoli con la storia giapponese è solo questione di studio; per poter parlare della sua esteriorità formale e tecnica bisogna averlo praticato almeno per alcuni anni sotto la guida di un buon istruttore, ma per conoscerne la vera essenza non basta nemmeno che un Maestro ti mostri il cammino e ti guidi, devi proprio percorrere tutta la strada con le tue gambe e da un certo punto in poi solo con te stesso. Molte parole a proposito del kyûdô, come fossero frecce, sono già state scoccate: quelle di un Maestro hanno sempre raggiunto il bersaglio, quelle di modesti istruttori sono spesso cadute nel vuoto. Pubblicando questo testo mi rendo conto di andarmi ad inserire nella seconda categoria; molto sarà sprecato, ma se anche una sola freccia raggiungerà il bersaglio non sarà stato fatto invano. Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 3 Introduzione Una delle più difficili domande alle quali si può essere chiamati a rispondere è: "Ma perché proprio il kyûdô?"; è già difficile spiegare perché una persona si dedichi alla pratica dell'arco occidentale anziché al gioco della briscola o al fitness. È possibile arrivarci per caso o dopo lustri dedicati ad altre arti marziali, è possibile esserne incuriositi dopo anni di militanza nell'arcieria occidentale oppure esserne attratti istintivamente, ma ciò che ti permette di non abbandonarne la pratica per tutta la vita può essere racchiuso in uno dei suoi più noti aforismi: per il kyûdô sono necessari Spirito e Tecnica. Per imparare la tecnica dell'arco giapponese non basta certo un corso di 3 mesi; a differenza dell'arco occidentale vi è un rapporto dinamico tra arciere ed attrezzo che si evolve negli anni, tant'è vero che all'inizio della pratica molti farebbero un patto col diavolo per incominciare presto, neanche a comprendere, almeno a capire. In questo periodo si incomincia quindi ad analizzare esteriormente, come se non fossero propri, tutti i particolari anatomici che la ragione sa di possedere e contemporaneamente si leggono tutti i testi possibili per tentare di capire le parole del proprio Maestro che, non trovando riferimenti nel nostro interno, ci sembrano koan, le parabole apparentemente senza senso del buddismo Zen. Aiutati poi anche dai fattori esteriori come l'abbigliamento, adatto alla pratica, le formalità da seguire durante la pratica stessa, la ricerca della "forma mentis" che ti dicono necessaria, si incomincia a sentire di ricevere dal proprio corpo una specifica sensazione per ogni particolare del tiro, ma ciò avviene solo iniziando ad abbandonare il proprio ego, perché mentre l'ego grida il corpo sussurra. Con il tempo si incomincia a familiarizzare con queste sensazioni e le parole del Maestro che sembravano così esoteriche iniziano ad avere un significato; si inizia a riconoscere queste sensazioni e si tenta di replicarle, ma quando credi di essere arrivato alla meta si apre un'altra porta e si vede un altro pezzo di strada da percorrere. E strada dopo strada, porta dopo porta, capisci che si inizia sapendo che la tecnica e lo spirito sono necessari ma poi ti accorgi che ci vogliono invece Spirito e Tecnica … e che devono essere uniti (shingitai). Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 4 PARTE I Storia del Kyûdô: i grandi arcieri del passato e le loro scuole Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 5 Periodo antico: 250 a.C. - 794 d.C. I reperti archeologici ci hanno testimoniato che durante il periodo Jômon (la preistoria giapponese) erano in uso archi e frecce con la punta di pietra ma la prima vera testimonianza a proposito dello yumi (il tipico arco asimmetrico giapponese) è stata trovata su un'antica campana di bronzo ritrovata nella prefettura di Kanagawa. Si tratta di una scena di caccia; gli archeologi fanno risalire questo oggetto al tardo periodo Yayoi (250 a.C. - 330 d.C.); dal punto di vista dell'uso militare, i reperti archeologici attestano che fu successivamente al periodo Yayoi che furono utilizzate punte di freccia di dimensioni maggiori e gli scheletri mostravano tracce di ferite prodotte da quel genere di oggetto. Per quanto riguarda i documenti scritti, la cronaca cinese Weishu (chiamata "Gishi wa jin den" in giapponese) del 297 d.C. già parla degli uomini del Sol Levante dai lunghi archi asimmetrici, mentre i primi documenti giapponesi non ci parlano dell'arco dal punto di vista utilitaristico ma da quello "religioso"; l'arco, dal punto di vista musicale, fu anche il primo "strumento musicale accordabile" e data questa sua doppia valenza (strumento che poteva "colpire" a distanza tanto con una freccia che con il suono) fu considerato un oggetto magico nello shintô (la via degli dei), l'originale religione animistica della gente della tribù Yamato. Dal quarto al nono secolo, l'élite culturale giapponese (cioè la corte imperiale) fu fortemente influenzata dalla cultura cinese; la tradizione racconta che fra il settimo ed ottavo secolo un arciere di nome Jarai venne dalla Cina portando alla corte imperiale un compleso stile cerimoniale, anche attraverso questa influenza, i giapponesi svilupparono in seguito una scuola di arcieria chiamata Taishi ryû (scuola dell'epoca Taishi oppure scuola del Principe Taishi, 574-622) nella quale, almeno secondo le antiche cronache, si sarebbero dovuti fondere questi due elementi: magia ed etichetta. Kyudo di Muzio Bobbio Pag. 6 Periodo di evoluzione: 794 - 1192 I nobili della tribù Yamato (chiamati kuge) e le loro famiglie, che trovavano nella corte imperiale il fulcro delle loro attività, delegarono la cura delle terre ad essi assegnate a dei servitori armati (saburau: servire; da cui poi samurai), generalmente scelti tra i loro cadetti. Questi, nel loro ruolo di sovrintendenti, incominciarono a loro volta a formare i propri clan e ad aumentare il loro potere economico sino a formare quell'aristocrazia provinciale militare (buke) che incominciò a richiedere il potere politico; sarà dal clan Taira che arriveranno i primi attacchi al potere imperiale. Le scuole di arcieria giapponese incominciano quindi a spostarsi verso un'istruzione meno spiccatamente "filosofica"; la prima a nascere ufficialmente sarà quella fondata da Henmi Kiyomitsu. Personaggi a metà fra storia e mito compaiono frequentemente in Giappone; un arciere famoso appartenente a questa categoria fu Minamoto no Yorimasa (1104 - 1180); secondo lo Heike Monogatari egli avrebbe ucciso il mostro mitologico chiamato nue (dalla testa di scimmia, dorso del tasso, zampe di tigre e coda del serpente) e la sua storia è stata ripresa nel dramma del teatro nô dall'omonimo titolo di Nue. Con la guerra gempei (1180-1185) il clan dei Minamoto (Genji) distrusse quello dei Taira (Heike) ed instaurò la dittatura dello Shôgun (facendo divenire ereditario un titolo che era in origine un incarico provvisorio), completando così il passaggio del potere dai kuge ai buke. Saranno le cronache di questa guerra a riportarci, tra le altre, le notizie del primo episodio di harakiri ed i nomi dei più famosi arcieri e le loro imprese: Minamoto no Tametomo, Nasu no Yoichi. Minamoto no Tametomo (1139 - 1177?) apparteneva alla famiglia dei futuri vincitori; era un uomo particolarmente alto e forte, si dice che le sue frecce misurassero "dodici mani e due dita" e che ci volessero cinque uomini per tendere il suo arco; egli viveva in esilio sull'isola di Ôshima che considerava il proprio dominio privato e non intendeva pagare alcuna tassa al governo centrale. Quest'ultimo inviò una flottiglia di 20 piccole imbarcazioni da guerra per costringerlo a pagare, ma egli come primo gesto di sfida prese una freccia dalla larga punta fischiante e centrò così potentemente una di queste imbarcazioni da passarla da parte a parte, alcuni centimetri sotto la linea di galleggiamento, affondandola; motivo più che sufficiente per far desistere tutta la spedizione.