Il Nome Illustre Di Eugenio Beltrami Fu Ornamento Dell'albo Dell'università

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Il Nome Illustre Di Eugenio Beltrami Fu Ornamento Dell'albo Dell'università Il nome illustre di Eugenio Beltrami fu ornamento dell’Albo dell’Università di Pisa dall’11 ottobre 1863, data del Decreto che lo nominava Professore ordinario di Geodesia teoretica in questa Università. Poiché egli tornava bensì, dopo un triennio, all’Università di Bologna, dove aveva prima insegnato l’Introduzione al calcolo infinitesimale, e andava ad assumere l’insegnamento della Meccanica razionale: ma il Ministro Natoli lo nominava ben tosto Professore emerito dell’Università di Pisa, accogliendo la proposta di questo Consiglio Accademico, che gli volle conferito un onore, dagli antichi statuti riserbato a quei professori «che vi avevano insegnato con maggior lustro»1. Ed è onore, al quale la breve dimora del Beltrami a Pisa, e la stessa giovane età di lui, poiché appena aveva compito in quel tempo il ventinovesimo anno, impartiscono uno speciale significato: così da riuscire un’eloquente testimonianza della stima e della simpatia, che lo circondava, fin dal principio della sua fulgida carriera. Né, per mutar di tempi e di vicende, il perpetuo vincolo così stabilito fra il Beltrami e la Facoltà di Scienze di Pisa cessò mai d’esser accompagnato da una sincera corrispondenza di sentimenti. Che, oltre la sempre viva memoria di quanti l’ebbero una volta con sé, e la particolare amicizia stretta con alcuni di essi, Enrico Betti, Ulisse Dini - questa Facoltà si aggregò poi, non senza ch’egli ne avesse parte, colleghi suoi d’un tempo in altri Atenei - Eugenio Bertini, nell’Università di Pavia, per un dodicennio e discepoli: ma, sopra tutto, non poteva disgiungere il culto di tanto uomo da quello delle scienze esatte, ch’è tra le sue più onorevoli tradizioni. Così, con ansia vivissima, intorno alla metà del febbraio dello scorso anno, furono qua seguite le ultime fatali vicende della malattia, che, da più di tre anni, insidiava quella vita preziosa: quando si seppe che, giudicato unico scampo il tentativo di grave atto operatorio, il Beltrami s’era risoluto ad affrontarlo. E dopo breve conforto, e vane speranze, nel più profondo cordoglio c’immerse, il 18 di quel mese, la notizia ch’egli aveva cessato di vivere, serenamente spirato nelle braccia del Dini, che fu per lui più che fratello. Professore ordinario di Geodesia teoretica nella Università di Pisa fu nominato il Beltrami «per meritata fama di singolare perizia». È noto, perché reso di pubblica ragione in uno degli scritti, usciti nel corso dell’anno, che maggiormente onorano la memoria di lui - l’elogio lettone alla R. Accademia dei Lincei da Luigi Cremona2 - ch’egli Professore straordinario, in quel tempo, di Geometria analitica nell’Università di Bologna, non accettò quella promozione che con molta titubanza, dopo aver ottenuto una licenza, per completare le sue cognizioni intorno al nuovo insegnamento, colla scorta di G.V. Schiaparelli, nell’Osservatorio astronomico di Milano. E vi s’indusse, per merito sopratutto degli incoraggiamenti di un amico, che, sappiamo, non fu altro che l’illustre autore di quello scritto. Il quale ben giustamente rileva come, in quelle esitazioni, in quelle premure, risplenda l’anima onesta e pura del Beltrami, e ne addita ai tempi nuovi l’esempio. Men saputo, e di non inferior significato, è ch’egli affermava, con nobile ingenuità, di rammentare, per debito di giustizia, le condizioni della sua nomina a Pisa, chiamato che fosse a giudicare i titoli d’altri alla stessa sanzione solenne dell’Art. 69 della Legge: quando al colmo della fama, ben poteva, se non dimenticare i suoi dubbii giovanili, considerarli almeno come semplice segno di non ancor adeguata conoscenza di sé medesimo. Egli era rimasto quello stesso, che, nella corrispondenza col Cremona per la cattedra di Pisa, gli faceva i nomi degli altri matematici, che, a suo giudizio, vi potevano degnamente aspirare. Così lucido spirito non poteva sicuramente andare disgiunto dalla coscienza del proprio merito: ma né questa, né gli unanimi onori trionfarono mai della sua modestia. Che se si cerca la principal ragione del fascino che esercitava il Beltrami, esso stava appunto in una singolare armonia di modestia e d’autorità. Semplici maniere, cordiale accoglienza, discorso famigliare, squisitamente arguto, congiunti colle molteplici manifestazioni della profonda dottrina, del potente ingegno, dell’elevato sentimento. Invariabilmente pronto a dedicare all’istruzione dei discepoli, al compiacimento degli amici, un tempo, che questi, di regola, vedevano rapito all’indagine, alla meditazione. Né i confini della competenza di lui erano quelli delle scienze esatte, già per se stessi vastissimi, quando se ne arrivi ad abbracciare l’intero dominio. Egli possedeva innanzi tutto quel concetto delle questioni di ordine generale, che si acquista collo studio di ciò ch’è invalso chiamare la metafisica delle scienze positive. Ma possedeva altresì senso e coltura nelle lettere e nelle arti: e, fea queste ultime, è noto, e i più intimi poterono talvolta accertare, come eccellesse nella musica. Queste varie e molteplici attitudini del suo spirito si fondevano insieme così che, se il nome del Beltrami appartiene alla storia del sapere come quello di un insigne matematico, l’opera di lui rivela pure ampiamente la geniale ispirazione dell’arte. La forma eletta, o che insegnasse dalla cattedra o che scrivesse, la limpida esposizione, lo spontaneo ragionamento, il calcolo elegante, tutto, fino allo stesso argomento della questione, tale da destare, proposta, l’interesse dello studioso, e procurarne, risoluta, la compiacenza, manifesta l’assiduo culto del bello, nella ricerca e nell’insegnamento della verità. La Matematica non ci perverrebbe dagli elleni, se fosse priva della bellezza. Questa, è tratto ad affermare chi contempla nella sua integrità l’ingegno del Beltrami, molto contò fra le attrattive che le valsero l’ardente amore e l’insigne opera di lui. A questa stessa indole del suo spirito deve attribuirsi ch’egli, come notoriamente rifuggiva da ogni controversia, - fossero pure le discussioni di materia scientifica, che sembrano, ad altri ingegni, argomento di particolare allettamento -.,- non parve offrire la sua esplicita cooperazione a quelle questioni di critica e di accertamento dei principii del Calcolo Infinitesimale, per cui va segnalato l’ultimo scorcio del secolo ora spirato: questioni dove, se molta parte all’acume, meno ne è fatta alla maestria dell’analista, assai più ispirate dal dubbio che dalla confidenza nella potenza dell’Analisi. Certo rifulgeva quell’indole nelle sue lezioni, che egli apparecchiava con cura forse unica, studiandone ogni più minuto particolare, per modo che riuscissero perfette, dalla disposizione delle formule fino al soggetto, presentato in tal forma da apparire, in certo qual modo, esaurito, e conseguito con un procedimento scevro d’ogni difficoltà, come se costantemente una strada maestra conducesse ad una meta luminosa. I discepoli raccoglievano il suo discorso, fluente come vena di limpida sorgente, e difficilmente si sarebbe trovato da farvi mutazione e non guastarlo. Erano d’altronde i precetti della Scuola di Antonio Bordoni, che, quando il Beltrami studiava matematiche nella Università di Pavia, restava venerato capo della Facoltà, e, giudicando la lezione di prova di un allievo, diventato poi uno dei nostri principali Maestri3, gli disse per tutto elogio: «avete detto una parola di più!». Non è qua il luogo da discutere questo metodo in confronto dell’altro, inteso piuttosto a rilevare difficoltà e lacune, ad esercitare col dialogo lo spirito dei discepoli. Osserverò solo che questi due metodi sono informati a quegli stessi distinti concetti, per cui la cariatide è talora rappresentata sopraffatta dal fastigio, tal’altra in atto di reggerlo trionfalmente: e che il Beltrami non poteva che dar la preferenza a quel concetto, che la più pura scoltura greca aveva prediletto. Del cultore dell’arte, come amiamo figurarci chi suol contemplare il bello, ebbe lo sguardo luminoso, il volto sorridente dal puro profilo, dall’inalterata freschezza; n’ebbe ancora il calore del sentimento, quantunque una misura, imposta dal proposito, ne contenesse abitualmente le manifestazioni: poiché fu amico, figlio e marito impareggiabile. Artisti furono il padre, Eugenio, valente miniatore, e l’avo, Giovanni, insigne incisore in pietre dure, ambedue di Cremona, dove il Beltrami nacque il 16 ottobre 1835: la madre, Elisa della patrizia famiglia Barozzi di Venezia, si distinse, come il padre, per caldi sensi patriottici, nei tempi in cui le sorti della nuova Italia erano maggiormente agitate, e fu lodata autrice di composizioni poetiche e musicali4. Frequentò nel triennio accademico 1853-54, 54-55, 55-56 l’Università di Pavia, iscritto a quella Facoltà di Matematica: e i condiscepoli di quel tempo lo rammentano tuttora, acclamato bensì per versatilità e prontezza d’ingegno, e amato per genialità di spirito e bontà, ma giovane d’eccezionale vivacità, assai più che ossequente, impaziente di freni. Per modo che a quegli stessi, quando pochi anni appresso lo rividero, incamminato oramai in quella via degli studii severi, che doveva portarlo tanto in alto, parve trasfigurato5. Il Beltrami, poco oltre i vent’anni, aveva ascoltato il suo «tolle, lege!». Da travagliate circostanze preclusagli la laurea, per provvedere alla sussistenza propria e della madre, della quale rimaneva, emigrato il padre, e morto l’avo, unico sostegno, era stato obbligato a cercar un impiego nella Direzione generale delle Ferrovie del Lombardo-Veneto. Trasferita la quale da Verona a Milano, dopo la liberazione della Lombardia, nel 1859, non senza che le prime vicende di quell’anno memorabile valessero al Beltrami la nuova prova d’esser, per sospetti politici, dispensato dal servizio, egli, nella nuova sede, diè compimento al proposito, già maturato a Verona, di riprendere gli studii, e da sé rifece da capo la propria educazione matematica. Tale era la vocazione di lui, aiutata oramai, dopo i primi ostacoli, dall’esperienza della vita, dall’aspirazione ad ufficio men disforme dai proprii ideali, dal fermento dei tempi rinnovati, dai consigli di Francesco Brioschi, il prediletto de’ suoi professori di Pavia, dalla efficace dimestichezza stretta, per sempre, con Luigi Cremona, Professore in quel tempo nel Liceo di S.
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