Il nome illustre di fu ornamento dell’Albo dell’Università di Pisa dall’11 ottobre 1863, data del Decreto che lo nominava Professore ordinario di Geodesia teoretica in questa Università. Poiché egli tornava bensì, dopo un triennio, all’Università di Bologna, dove aveva prima insegnato l’Introduzione al calcolo infinitesimale, e andava ad assumere l’insegnamento della Meccanica razionale: ma il Ministro Natoli lo nominava ben tosto Professore emerito dell’Università di Pisa, accogliendo la proposta di questo Consiglio Accademico, che gli volle conferito un onore, dagli antichi statuti riserbato a quei professori «che vi avevano insegnato con maggior lustro»1. Ed è onore, al quale la breve dimora del Beltrami a Pisa, e la stessa giovane età di lui, poiché appena aveva compito in quel tempo il ventinovesimo anno, impartiscono uno speciale significato: così da riuscire un’eloquente testimonianza della stima e della simpatia, che lo circondava, fin dal principio della sua fulgida carriera. Né, per mutar di tempi e di vicende, il perpetuo vincolo così stabilito fra il Beltrami e la Facoltà di Scienze di Pisa cessò mai d’esser accompagnato da una sincera corrispondenza di sentimenti. Che, oltre la sempre viva memoria di quanti l’ebbero una volta con sé, e la particolare amicizia stretta con alcuni di essi, Enrico Betti, Ulisse Dini - questa Facoltà si aggregò poi, non senza ch’egli ne avesse parte, colleghi suoi d’un tempo in altri Atenei - Eugenio Bertini, nell’Università di , per un dodicennio e discepoli: ma, sopra tutto, non poteva disgiungere il culto di tanto uomo da quello delle scienze esatte, ch’è tra le sue più onorevoli tradizioni. Così, con ansia vivissima, intorno alla metà del febbraio dello scorso anno, furono qua seguite le ultime fatali vicende della malattia, che, da più di tre anni, insidiava quella vita preziosa: quando si seppe che, giudicato unico scampo il tentativo di grave atto operatorio, il Beltrami s’era risoluto ad affrontarlo. E dopo breve conforto, e vane speranze, nel più profondo cordoglio c’immerse, il 18 di quel mese, la notizia ch’egli aveva cessato di vivere, serenamente spirato nelle braccia del Dini, che fu per lui più che fratello. Professore ordinario di Geodesia teoretica nella Università di Pisa fu nominato il Beltrami «per meritata fama di singolare perizia». È noto, perché reso di pubblica ragione in uno degli scritti, usciti nel corso dell’anno, che maggiormente onorano la memoria di lui - l’elogio lettone alla R. Accademia dei Lincei da Luigi Cremona2 - ch’egli Professore straordinario, in quel tempo, di Geometria analitica nell’Università di Bologna, non accettò quella promozione che con molta titubanza, dopo aver ottenuto una licenza, per completare le sue cognizioni intorno al nuovo insegnamento, colla scorta di G.V. Schiaparelli, nell’Osservatorio astronomico di Milano. E vi s’indusse, per merito sopratutto degli incoraggiamenti di un amico, che, sappiamo, non fu altro che l’illustre autore di quello scritto. Il quale ben giustamente rileva come, in quelle esitazioni, in quelle premure, risplenda l’anima onesta e pura del Beltrami, e ne addita ai tempi nuovi l’esempio. Men saputo, e di non inferior significato, è ch’egli affermava, con nobile ingenuità, di rammentare, per debito di giustizia, le condizioni della sua nomina a Pisa, chiamato che fosse a giudicare i titoli d’altri alla stessa sanzione solenne dell’Art. 69 della Legge: quando al colmo della fama, ben poteva, se non dimenticare i suoi dubbii giovanili, considerarli almeno come semplice segno di non ancor adeguata conoscenza di sé medesimo. Egli era rimasto quello stesso, che, nella corrispondenza col per la cattedra di Pisa, gli faceva i nomi degli altri matematici, che, a suo giudizio, vi potevano degnamente aspirare. Così lucido spirito non poteva sicuramente andare disgiunto dalla coscienza del proprio merito: ma né questa, né gli unanimi onori trionfarono mai della sua modestia. Che se si cerca la principal ragione del fascino che esercitava il Beltrami, esso stava appunto in una singolare armonia di modestia e d’autorità. Semplici maniere, cordiale accoglienza, discorso famigliare, squisitamente arguto, congiunti colle molteplici manifestazioni della profonda dottrina, del potente ingegno, dell’elevato sentimento. Invariabilmente pronto a dedicare all’istruzione dei discepoli, al compiacimento degli amici, un tempo, che questi, di regola, vedevano rapito all’indagine, alla meditazione. Né i confini della competenza di lui erano quelli delle scienze esatte, già per se stessi vastissimi, quando se ne arrivi ad abbracciare l’intero dominio. Egli possedeva innanzi tutto quel concetto delle questioni di ordine generale, che si acquista collo studio di ciò ch’è invalso chiamare la metafisica delle scienze positive. Ma possedeva altresì senso e coltura nelle lettere e nelle arti: e, fea queste ultime, è noto, e i più intimi poterono talvolta accertare, come eccellesse nella musica. Queste varie e molteplici attitudini del suo spirito si fondevano insieme così che, se il nome del Beltrami appartiene alla storia del sapere come quello di un insigne matematico, l’opera di lui rivela pure ampiamente la geniale ispirazione dell’arte. La forma eletta, o che insegnasse dalla cattedra o che scrivesse, la limpida esposizione, lo spontaneo ragionamento, il calcolo elegante, tutto, fino allo stesso argomento della questione, tale da destare, proposta, l’interesse dello studioso, e procurarne, risoluta, la compiacenza, manifesta l’assiduo culto del bello, nella ricerca e nell’insegnamento della verità. La Matematica non ci perverrebbe dagli elleni, se fosse priva della bellezza. Questa, è tratto ad affermare chi contempla nella sua integrità l’ingegno del Beltrami, molto contò fra le attrattive che le valsero l’ardente amore e l’insigne opera di lui. A questa stessa indole del suo spirito deve attribuirsi ch’egli, come notoriamente rifuggiva da ogni controversia, - fossero pure le discussioni di materia scientifica, che sembrano, ad altri ingegni, argomento di particolare allettamento -.,- non parve offrire la sua esplicita cooperazione a quelle questioni di critica e di accertamento dei principii del Calcolo Infinitesimale, per cui va segnalato l’ultimo scorcio del secolo ora spirato: questioni dove, se molta parte all’acume, meno ne è fatta alla maestria dell’analista, assai più ispirate dal dubbio che dalla confidenza nella potenza dell’Analisi. Certo rifulgeva quell’indole nelle sue lezioni, che egli apparecchiava con cura forse unica, studiandone ogni più minuto particolare, per modo che riuscissero perfette, dalla disposizione delle formule fino al soggetto, presentato in tal forma da apparire, in certo qual modo, esaurito, e conseguito con un procedimento scevro d’ogni difficoltà, come se costantemente una strada maestra conducesse ad una meta luminosa. I discepoli raccoglievano il suo discorso, fluente come vena di limpida sorgente, e difficilmente si sarebbe trovato da farvi mutazione e non guastarlo. Erano d’altronde i precetti della Scuola di Antonio Bordoni, che, quando il Beltrami studiava matematiche nella Università di Pavia, restava venerato capo della Facoltà, e, giudicando la lezione di prova di un allievo, diventato poi uno dei nostri principali Maestri3, gli disse per tutto elogio: «avete detto una parola di più!». Non è qua il luogo da discutere questo metodo in confronto dell’altro, inteso piuttosto a rilevare difficoltà e lacune, ad esercitare col dialogo lo spirito dei discepoli. Osserverò solo che questi due metodi sono informati a quegli stessi distinti concetti, per cui la cariatide è talora rappresentata sopraffatta dal fastigio, tal’altra in atto di reggerlo trionfalmente: e che il Beltrami non poteva che dar la preferenza a quel concetto, che la più pura scoltura greca aveva prediletto. Del cultore dell’arte, come amiamo figurarci chi suol contemplare il bello, ebbe lo sguardo luminoso, il volto sorridente dal puro profilo, dall’inalterata freschezza; n’ebbe ancora il calore del sentimento, quantunque una misura, imposta dal proposito, ne contenesse abitualmente le manifestazioni: poiché fu amico, figlio e marito impareggiabile.

Artisti furono il padre, Eugenio, valente miniatore, e l’avo, Giovanni, insigne incisore in pietre dure, ambedue di Cremona, dove il Beltrami nacque il 16 ottobre 1835: la madre, Elisa della patrizia famiglia Barozzi di Venezia, si distinse, come il padre, per caldi sensi patriottici, nei tempi in cui le sorti della nuova Italia erano maggiormente agitate, e fu lodata autrice di composizioni poetiche e musicali4. Frequentò nel triennio accademico 1853-54, 54-55, 55-56 l’Università di Pavia, iscritto a quella Facoltà di Matematica: e i condiscepoli di quel tempo lo rammentano tuttora, acclamato bensì per versatilità e prontezza d’ingegno, e amato per genialità di spirito e bontà, ma giovane d’eccezionale vivacità, assai più che ossequente, impaziente di freni. Per modo che a quegli stessi, quando pochi anni appresso lo rividero, incamminato oramai in quella via degli studii severi, che doveva portarlo tanto in alto, parve trasfigurato5. Il Beltrami, poco oltre i vent’anni, aveva ascoltato il suo «tolle, lege!». Da travagliate circostanze preclusagli la laurea, per provvedere alla sussistenza propria e della madre, della quale rimaneva, emigrato il padre, e morto l’avo, unico sostegno, era stato obbligato a cercar un impiego nella Direzione generale delle Ferrovie del Lombardo-Veneto. Trasferita la quale da Verona a Milano, dopo la liberazione della Lombardia, nel 1859, non senza che le prime vicende di quell’anno memorabile valessero al Beltrami la nuova prova d’esser, per sospetti politici, dispensato dal servizio, egli, nella nuova sede, diè compimento al proposito, già maturato a Verona, di riprendere gli studii, e da sé rifece da capo la propria educazione matematica. Tale era la vocazione di lui, aiutata oramai, dopo i primi ostacoli, dall’esperienza della vita, dall’aspirazione ad ufficio men disforme dai proprii ideali, dal fermento dei tempi rinnovati, dai consigli di , il prediletto de’ suoi professori di Pavia, dalla efficace dimestichezza stretta, per sempre, con Luigi Cremona, Professore in quel tempo nel Liceo di S. Alessandro (ora Beccaria), il quale raccoglieva lui e Giuseppe Bardelli, per intrattenerli sui più recenti progressi delle matematiche, specialmente della Geometria Analitica. Ingegno e forza di volontà, pari all’arduità dell’impresa, ne valsero il successo; e quell’educazione, formata fuori d’ogni Scuola, è da computarsi fra le prime ragioni della singolare impronta d’originalità, per cui l’opera del Beltrami va fra gli altri pregi, segnalata. Nel 1862 egli dava pubblico saggio con due Memorie di Geometria Analitica, pubblicate negli Annali di Matematica, diretti dal Tortolini: sulle quali il Cremona, dal 1860 professore di Geometria superiore nell’Università di Bologna, richiamava l’attenzione del Brioschi, in quel tempo Segretario generale per la Pubblica Istruzione, per promuovere la nomina del giovane autore alla cattedra di Professore straordinario di Geometria analitica in quella stessa Università. Né è lieve benemerenza, fra tante, dell’uno e dell’altro d’aver assistito in principio il Beltrami, riconoscendone, ai primi segni, la mente poderosa. Un anno appresso, come abbiamo veduto, il Beltrami passava all’Università di Pisa, nominatovi Professore ordinario di Geodesia teoretica: e di qua, dopo un triennio, faceva ritorno all’Università di Bologna, per assumervi l’insegnamento della Meccanica Razionale, rimastovi vacante, dacché l’aveva lasciato Domenico Chelini. L’attrattiva di un insegnamento, che, meglio della Geodesia, appagava le sue inclinazioni, fu, assicurava egli, la principal ragione, per cui si risolvette ad abbandonar questa sede, che preziose amicizie gli rendevano particolarmente cara, e della quale serbò sempre il più gradito ricordo. Nel 1871 era chiamato alla stessa cattedra, e coll’incarico dell’insegnamento dell’Analisi superiore, nell’Università di Roma, nel tempo stesso che il Cremona si trasferiva dall’Istituto Tecnico Superiore di Milano alla capitale, per fondarvi la nuova Scuola degli Ingegneri. Ma il movimento politico, che serbava le agitazioni dei recenti avvenimenti, e una tal quale instabilità degli ordinamenti, inseparabile dal lavoro di ricostituzione di quelle Scuole, mal rispondevano al suo desiderio d’imperturbato studio; tal che, dopo tre anni, rinunziava al lusinghiero compito di associare a quel lavoro la propria cooperazione, e si trasferiva all’Università di Pavia, cui lo legavano antiche memorie, e l’amicizia di Felice Casorati, per coprirvi la cattedra, allora istituitavi, di Fisica matematica, coll’incarico dell’insegnamento della Meccanica superiore. Ivi restò quindici anni, che contano tra i più fecondi della sua vita operosa. Furono anche particolarmente lieti: ché egli, e l’eletta sua compagna - Amalia Pedrocchi, di Venezia, il cui ineffabile cordoglio, nella presente sventura, è unanime compianto di quanti conobbero tale e tanta corrispondenza d’affetti - raccolsero ben presto un circolo vario e geniale, promovendone quanto di meglio l’armonia della dottrina, della cordialità e della grazia può produrre a giovamento e compiacenza degli spiriti colti, onesti e gentili. Felice Casorati, che n’era speciale ornamento, si spegneva immaturamente nell’autunno del 1890; e la scomparsa di lui non contava per poco nella risoluzione, che il Beltrami prendeva un anno dopo, di cedere al voto dell’Università di Roma, che, non rassegnata mai all’abbandono di lui, già da qualche anno, con ufficiale deliberazione della Facoltà, gli aveva offerto gli stessi insegnamenti. I quali, ricondottosi nell’autunno del 1891 alla capitale, tenne fino a quel giorno di lutto irre- parabile che fu quello della sua morte. Insegnante d’insuperabile assiduità, come basterebbe ad attestare l’opera costante, che diede alla Scuola, fino agli ultimi tempi, fra i ripetuti assalti del fatale malore, senza che né le violenze di questo né il consiglio di medici e d’amici potessero indurlo a concedersi riposo, ma non senza ch’egli affermasse il proprio rammarico di doversi pur in qualche misura risparmiare, rifiutò tuttavia invariabilmente le cariche universitarie, alle quali più volte lo designò il concorde suffragio dei colleghi, per repulsione a posar il piede in altro dominio che quello dei sereni studii. Accettò però di far parte del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione: al qual ufficio lo designarono le Facoltà italiane con tal concordanza di suffragi che ben può dirsi vi fosse acclamato. Eletto nel 1898 Presidente della R. Accademia dei Lincei, al posto che la deplorata morte di Francesco Brioschi lasciava scoperto, fu, un anno dopo, nominato Senatore del Regno: onore a cui quest’uomo, circondato di sì pura fama, che aveva raccolto le più insigni attestazioni di merito dai principali sodalizii nazionali e stranieri, era da troppo lungo tempo unanimemente designato. Non altrimenti che dalla cattedra, l’attività scientifica del Beltrami si esplicò negli scritti, i quali superano il centinaio, in tanti e diversi rami delle matematiche, che ben può dirsi li contemplasse tutti quanti. Una disamina di essi, prescindendo dalla difficoltà di render conto di opera così molteplice e poderosa, e del breve spazio accordatoci, non sarebbe a posto in questo Annuario, destinato a lettori di varia coltura, ,tanto più che al desiderio dei matematici provvedono diverse eccellenti Commemorazioni6. Mi limiterò quindi a brevi indicazioni sui lavori di lui, e ne seguirò l’ordine cronologico: ché è pur interessante di rilevare come si svolgesse quella sua attività col tempo e colle vicende della vita. Abbiamo veduto che esordì con due Note, inserite negli Annali di Matematica del Tortolini, nel 1862. Queste, che portano la data del 10 novembre 1861 e del 10 settembre 1862, e i numerosi scritti che vi susseguono, pubblicati, nello stesso periodico, nel Giornale di Matematiche di Battaglini, nelle Nouvelles Annales de Mathématiques di Terquem et Gerono, e, con crescente frequenza, in Atti di Accademie, fino a tutto il 1870, riguardano la Geometria Analitica, con larga parte di quel ramo superiore di essa, che, per l’applicazione del Calcolo Infinitesimale, è passato in uso di chiamare Geometria Differenziale. L’estro inventivo, congiunto col geniale ragionamento, dell’autore scintilla, fin dal principio, in una moltitudine di questioni concernenti alternativamente la teoria delle famiglie di linee e delle superficie, e quelle delle coniche e delle quadriche, quali intese a ricavarne nuove proprietà, quali a perfezionare e generalizzare studii antecedenti. E ben presto i suoi risultati arricchiscono il patrimonio della scienza di sostanziale contributo. Cospicue, in questo primo ciclo, sono le «Ricerche d’analisi applicate alla Geometria» (Giornale di Matematiche, 1864-65), le quali, al tempo stesso che contengono i germi dei successivi lavori del Beltrami sulla geometria delle superficie, possono considerarsi come il primo lavoro che ne affermò il posto nella scienza7. L’insegnamento della Geodesia, che alquanto più tardi assunse a Pisa, doveva riuscirgli di particolare stimolo ad inoltrarsi, passando per la rappresentazione di una superficie sopra un’altra, in quelle speculazioni sulla geometria degli spazii, che basterebbero ad assicurargli nome imperituro. Egli stesso raccontava infatti d’aver tratto l’idea informatrice di quelle dal problema ai «Rapportare i punti di una superficie sopra un piano in modo che le linee geodetiche vengano rappresentate da linee rette»8, titolo di una nota da lui consegnata nel 1866 agli Annali di Matematica, nel periodo che impartiva tale insegnamento. Una luminosa generalizzazione gli forniva il principio per comporre la classica «Teoria degli spazii a curvatura costante» (Annali di Matematica, 1868), dove sviluppa e analizza le più ampie conseguenze dei concetti di Riemann sulla definizione dello spazio, resi allora noti per la postuma pubblicazione degli scritti di quel sommo matematico, ch’egli aveva conosciuto, durante il suo soggiorno a Pisa, e certo - diciamo qui per incidenza - non poco contribuì, in unione col Betti, ad attirare il suo ingegno sull’applicazione della Matematica ai fenomeni naturali. Lo stesso anno in cui pubblicava questa Memoria va segnalato pel celebre «Saggio d’interpretazione della Geometria non Euclidea» (Giornale di Matematiche, 1868), intimamente connesso colle medesime questioni, e di tal importanza da varcare i confini delle matematiche, per dominare il campo della generale conoscenza: comprendendo, colla dimostrazione dell’impossibilità di ricavare il postulato V d’Euclide, o dell’unica parallela, dai rimanenti principii di quella stessa geometria, l’accertamento dei moderni concetti sulla natura dello spazio, secondo i quali le sue qualità non sono dalla logica assegnabili a priori. Prova quanto amore egli ponesse a tal questione la cura di fabbricare colle sue mani un modello di quella superficie pseudosferica, la cui geometria è dimostrata nel saggio predetto coincidente colla geometria del piano di Lobacevskij: vale a dire di una geometria del piano fondata sugli stessi postulati d’Euclide, salvo il V, la quale, considerata fin allora come semplice esercizio di ragionamento, acquistava così la consistenza della realtà, e serviva alla soluzione d’un problema non meno famoso di quelli del moto perpetuo e della quadratura del cerchio. Al medesimo anno appartiene ancora la Memoria «Sulle proprietà generali della superficie d’area minima» (Memorie dell’Accademia di Bologna) che conta pure fra i più pregevoli lavori di lui, e all’anno seguente quella «Sulla teoria generale dei parametri differenziali» (Ibid): classico lavoro, col quale, senza distaccarsi dalla teoria generale degli spazii, cominciava a inoltrarsi nel dominio della Fisica Matematica, consegnandovi risultati, la cui fecondità ebbe recente conferma dall’applicazione che Enrico Hertz fece dei principii di quella teoria alla sua nuova esposizione della Meccanica Razionale9. Col 1871 cominciano gli scritti di Meccanica Razionale e di Fisica Matematica propriamente detta, non discompagnati tuttavia, benché con predominio rapidamente progressivo, da ricerche d’Algebra, di Calcolo Infinitesimale, di Geometria Differenziale: talvolta combinate con queste, come può dirsi degli studii sulla meccanica degli spazii a curvatura costante. Fra il 1871 e il 1874 compariscono le «Ricerche sulla cinematica dei fluidi» (Memorie dello Acc. di Bologna) coordinamento, col contributo di proposizioni e ragionamenti nuovi, dei precipui risultati, conseguiti fino a quel tempo nello studio razionale del movimento dei fluidi, che, dopo l’impulsione delle prime ricerche di Dirichlet sulla sfera immersa in un liquido, e di Helmholtz sui vortici, avevano arricchito i contributi dei principali matematici tedeschi, e recentemente l’opera di Thomson. Questa monografia, come a lui piacque chiamarla, è formata da una serie di comunicazioni alla R. Accademia di Bologna, inserite nelle Memorie della stessa, alla qual raccolta consegnò annualmente, fino in ultimo, gli scritti di maggior mole; e da quel tempo medesimo i lavori di lui sono quasi esclusivamente contenuti negli Atti dei sodalizi i scientifici, che di mano in mano si erano fatto il vanto di aggregarlo: gli Atti della R. Accademia dei Lincei, i Rendiconti del R. Istituto Lombardo, i Comptes Rendus dell’Accademia delle Scienze di Parigi etc. Questi comprendono, a più riprese, ricerche sulla teoria della Funzione Potenziale, - emendamenti, complementi, dimostrazioni di proposizioni nuove: studii sulla meccanica dei corpi variabili, tra cui la Memoria «Sulle equazioni generali dell’elasticità» (Annali di Matem.) dove le equazioni differenziali dell’equilibrio elastico sono dedotte dai principii della teoria degli spazii curvi, con tale generalità da valere indipendentemente dal postulato di Euclide, e l’altra «Sull’equilibrio delle superfici flessibili ed inestendibili» (Memorie dell’Acc. di Bologna) che ne costruisce una nuova completa teoria: proposta e soluzione, con metodi originali, di nuovi problemi attinenti alla distribuzione della elettricità in equilibrio nei conduttori, e alla propagazione del calore: studii d’indole generale sulla teoria dello stesso equilibrio elettrico, sulla elettrodinamica, e sull’elettromagnetismo, con particolar riguardo alla relazione tra correnti elettriche e strati magnetici: ripetute indagini sul magnetismo, da diversi punti di vista, quali intese a rilevare nuove circostanze della polarità magnetica, quali a stabilire la teoria della distribuzione di quella polarità e dell’induzione: molteplici ricerche sulla teoria di Faraday e di Maxwell della riduzione delle azioni newtoniane a pressioni distribuite in un mezzo: studii sulla deduzione delle equazioni del movimento dal principio di d’Alembert, con particolar riguardo all’estensione fattane da Maxwell alla formazione delle equazioni dell’elettrodinamica: perfezionamenti e complementi nel campo della propagazione delle onde elastiche, delle proprietà delle onde luminose, del principio di Huyghens sotto la forma di Kirchhoff. Frettolosa rivista, la quale non ha altro scopo che dar qualche idea di sì varia e intensa produzione. Fra gli scritti di diverso argomento, a cui abbiamo precedentemente accennato, nominiamo le «Ricerche di Geometria Analitica» (Memorie dell’Acc. di Bologna, 1879), dedicate alla memoria di Domenico Chelini: anche per segnalare il vero culto che il Beltrami costantemente professò pel suo antecessore nella cattedra di Bologna: talché, oltre le ripetute attestazioni di stima, e la dedica di quella memoria, fu collaboratore del Cremona nel raccogliere le «Collectanea Mathematica in honorem D. Chelini » (Milano, 1881), vi premise uno studio «Della vita e delle opere di D. Chelini» e v’inserì un lavoro «Sulla teoria degli assi di rotazione» informato ai concetti di lui. Rileviamo ancora, nell’ordine di quello studio biografico e critico, le commemorazioni dello stesso Chelini (Memorie dell’Acc. di Bologna, 1878) e di Brioschi (Rendic. Dell’Acc. dei Lincei, 1898), e l’interessante Nota «Un precursore italiano di Lobacevskij e di Gauss» (Rendic. Dell’Acc. dei Lincei, 1889), le quali, unitamente coi proemii delle sue memorie, attestano come il Beltrami fosse versato anche nel ramo dell’erudizione. Se possono distinguersi due specie di Fisica Matematica, da chiamarsi l’una Fisica assistita dall’Analisi matematica, e l’altra Analisi matematica ispirata dalla Fisica, sicuramente il Beltrami coltivò di preferenza la seconda; ma non per questo negava alla Fisica quell’interesse, che, in ricambio dell’ispirazione, ha buon diritto di reclamare. Gli scritti «Sulla determinazione sperimentale della densità elettrica alla superficie dei conduttori» (Memorie dell’Acc. dei Lincei, 1877), «Sulla scala diatonica», (Rendic. dell’Ist. Lomb. 1882), «Sulle condizioni di resistenza dei corpi elastici» (lbid. 1885) interessano, ben si può dire, la Fisica direttamente. In altri scritti costituisce il principal argomento della ricerca la più fedele e ragionevole rappresentazione matematica del fatto fisico, che forma il fondamento della teoria: esempio dei quali sono i lavori, pubblicati nelle Memorie dell’Accademia di Bologna, «Sulla teoria dell’induzione magnetica secondo Poisson» (1884), «Considerazioni sulla teoria matematica del magnetismo» (1891), e «Sulla interpretazione meccanica delle formole di Maxwell», (1885), dove, per dir solo di questa, usufruisce dei risultati generali della premessa Memoria, d’indole generale, «Sull’uso delle coordinate curvilinee nella teoria del potenziale e dell’elasticità » (Ibid. 1886), per discutere ed escludere la possibilità che le pressioni maxwelliane, sostituibili all’azione newtoniana, provengano da deformazioni elastiche di un mezzo isotropo. E a proposito di quella rappresentazione matematica dei fatti fisici, avvertiamo com’egli mostri, in qualche passo, d’aver rivolto lo sguardo al partito che la Fisica potrebbe trarre dall’ipotesi di una diversa natura geometrica dello spazio, concetto ardito più esplicitamente avanzato da Clifford; né egli avrebbe potuto mai perder di vista quegli spazii curvi, dai quali aveva preso trionfalmente le mosse. Così Eugenio Beltrami consacrò uno splendido ingegno, una potente volontà, un eletto carattere, tutto quanto alla scienza: pur accogliendo il più ampio spirito, così da render giustizia a qualunque onesta manifestazione dell’umana attività. Ma nessuna opera onorò al di sopra di quella ch’egli promosse con tanto amore e perfetta idealità. Poiché affermava che il prestigio della pura idea è la nota caratteristica dell’uomo: talché si deve indulgenza agli errori a cui qualche volta trascina, e tolleranza agli stessi guai che sono la conseguenza di questi, in ricambio della dignità che conferisce allo spirito umano.

Gian Antonio Maggi

1 Lettera del Rettore Mazzuoli al Ministro della Pubblica Istruzione, in data 14 dicembre 1866 (Archivio dell’Università di Pisa). 2 Rendiconto dell’adunanza solenne del 10 giugno 1900. 3 Luigi Cremona, che, nel 1855, sosteneva l’esame d’abilitazione all’insegnamento, davanti alla Facoltà Matematica di Pavia, di cui il Bordoni, ritirato dall’insegnamento, restava tuttavia Direttore. Alla squisita cortesia di lui, della quale gli rendo vive grazie, debbo la conferma di questo aneddoto, ed altre notizie. 4 Cremona, op. cit. 5 Raccolgo queste impressioni da Carlo Francesco Gabba, che fu condiscepolo del BELTRAMI nell’Università di Pavia. Per notizie particolareggiate sulle vicende del BELTRAMI in quel tempo, vedasi l’interessante Necrologia di C. Somigliana nell’Annuario dell’Università di Pavia del corrente anno. 6 Vedasi principalmente un accurato e profondo esame degli scritti del BELTRAMI nella Commemorazione recentemente lettane al R. Istituto Lombardo dal successore di lui nel seggio di Membro Effettivo, E. Pascal. (Rendic. del R. Ist. Lomb. Vol. XXXIV). 7 Cfr. Pascal, Op. cit. 8 V. E. d’Ovidio, Atti della R. Accademia di Torino, 1900. 9 Die Mechanik in neuem Zusammenhange dargestellt. 1894.