Luoghi. La Produzione Di Località in Età Moderna E Contemporanea
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Luoghi. La produzione di località in età moderna e contemporanea Introduzione …………………………………………………………………………………........... 1 I. Matrici 1. Fare comunità: confrarie e corpi……….…………………………………………………15 2. Sacro recinto: Eucarestia e genesi dello spazio...…....………………………………….. 41 3. Terre separate......................................................................................................................62 II. Pratiche della frammentazione 4. Transito………………………………………………..……………………………… 84 5. Credito………………………………………………….……………………………… 108 6.Produzione ……………………………………………..……………………………... 116 III. Da diritti a cultura 7. Comunità e comune ……….………………………………………………………….. 129 8. Possesso e fiscalità…………………………………………………………………….. 159 9. Rivendicazione e oblio………………………………………………………………… 178 IV. Epiloghi 10. Istruzione e località…...……………………………………………………………… 200 11. Turismo e usi civici...……………………………………………………………….. 213 12 Produzione di luoghi oggi…………..………………………………………………….233 Conclusioni………………………………………………………………………………………...241 Totale pp. 244 INTRODUZIONE Questo libro intende affrontare lo studio di uno dei termini più comuni del nostro gergo contemporaneo, quello della località. Con questo termine si intende qui un luogo caratterizzato da un tessuto insediativo, composto quindi da vicini, che manifestano l’intenzione di condividere relazioni e risorse attraverso pratiche rituali e politiche, di scambio economico e di lavoro; insomma, di azioni che oggi noi possiamo ricostruire attraverso molteplici tracce documentarie. Il lavoro si propone di separarlo analiticamente da presenze ingombranti e fuorvianti quali “identità” e “appartenenza”, e suggerisce invece di leggere i luoghi come costruzioni sociali e culturali. incessanti. Da questa lettura emergerà il ruolo essenziale giocato dalle pratiche e dai diritti che esse esprimono. In questo percorso, è evidentemente preliminare esaminare come sia emersa l’idea di località nelle scienze umane, come si siano sviluppati i rapporti con le dimensioni dell’identità e dell’appartenenza, e a quale prezzo. Un ruolo chiave mi pare giocato dalla progressiva perdita di ancoraggi spaziali da parte delle scienze sociali: economia, sociologia, la stessa antropologia, storia e critica letteraria paiono essersi sviluppate in direzioni che prescindono dalla dimensione locale. D’altro canto, e in un medesimo torno di tempo, la stessa geografia ha imboccato direzioni di analisi improntate al culturalismo, che hanno rafforzato l’idea di una perdita di rilevanza della località come categoria analitica. Ne sono derivati, credo, un impoverimento enorme delle problematiche e un crescente ricorso a schemi non verificati. Si tratta di una perdita di cui si è presa coscienza solo nell’ultimo quarto di secolo, ma da due punti di vista differenti e, come credo, contraddittori. Intanto, si è riconosciuto il fatto che la località è una dimensione oggettiva basilare della vita umana e sociale: nelle parole di Clifford Geertz, “è difficile vivere nel mondo in generale”1. Questo riconoscimento si è accompagnato a un diffuso e vistoso movimento di critica delle categorie "forti" della scienze umane del pieno Novecento. Di queste due componenti, la seconda ha goduto di una maggiore visibilità, e ha fatto sì che il ricorso alla prospettiva spaziale abbia privilegiato la dimensione locale con un atteggiamento culturalista e relativista – del tipo: piccolo è degno. In particolare, e proprio dietro l'influenza di Geertz, si sono identificate le culture locali come matrici delle relazioni interpersonali, invece di domandarsi se esistano idiomi, discorsi e apparati simbolici della località e quali ne siano le funzioni e le trasformazioni. Alcune risposte, meno conosciute di quelle geertziane, esplorano la dimensione locale in termini più problematici e sottolineano la permanente fragilità delle relazioni nelle società umane e la necessità di correlare rapporti che sono essenzialmente discontinui, l’esigenza di costruire cittadinanze congruenti con la scala delle relazioni stesse. Questo libro vorrebbe presentare questi nuovi modi di accostarsi alle costruzioni culturali locali attraverso una serie di ricerche sulle società locali del Piemonte, di cui parlerò più avanti. Esse adottano un approccio alle società locali fondato non sul presupposto che esse siano naturalmente dotate di continuità, e dunque rassicuranti, ma a partire dalla considerazione della loro fragilità: in estrema sintesi, esse cercano di vedere la "località" come un idioma capace di connettere elementi e segmenti disparati, e in tensione reciproca, come una sorta di linguaggio che consente ai propri membri di riconoscersi reciprocamente. Si tratta di un procedimento analitico che ha ai miei occhi un ulteriore vantaggio, quello di consentire una rilettura del passato lontana dalle incrostazioni – queste sì identitarie - della storia patria, e di far emergere altri, e poco conosciuti, oggetti. Se non è un’identità, o se non lo è una volta per tutte, una località è un isolato sociale e culturale identificato da pratiche: sono questi modi di fare determinate cose, relativamente condivisi da chi li manifesta, i veri protagonisti della vita locale, ed essi emergono in circostanze determinate, da cui sono inseparabili, e parlano di protagonisti specifici, e, soprattutto, esprimono dei diritti. 1 C. GEERTZ, Afterword, in Senses of Place, a cura di K.H. BASSO e S. FELD, School of American Research Press, Santa Fe 1996, pp. 259-62. La cit. da pp. 262. Il mio modo di procedere adotta dunque un metodo molto simile a quello dell’archeologia qualitativa: un’archeologia di sito, che risale dalle tracce dell’attivazione di risorse a pratiche localizzate, inserite in sistemi di saperi, diritti e relazioni sociali2. 1. Questa scelta di metodo è legata anche, se non soprattutto, al modo di guardare le fonti. Negli ultimi anni, infatti, si è manifestata una crescente consapevolezza degli storici della natura non trasparente delle fonti verso le quali si dirige il loro sguardo. L’approccio alla documentazione ha senza dubbio costituito il centro delle critiche rivolte alla storia sociale, accusata di usare la documentazione come un deposito di informazioni che si trattava semplicemente di prelevare e rielaborare3. L’idea che non fosse possibile leggere direttamente le informazioni contenute nelle fonti ha accomunato tuttavia prospettive metodologiche diverse. Da un lato, il riconoscimento della parzialità degli istituti produttori suggeriva di incrociare diverse fonti per risalire, attraverso indagini microanalitiche, su piccola scala e in prospettiva prosopografica, alle reti di relazione degli individui e alle razionalità che rivelavano4. Dall’altro lato, però, si insisteva sul fatto che nelle fonti erano leggibili dettagli che potevano essere intesi come sintomi di processi soggiacenti, non presenti agli attori, e si invitava a spostare verso di loro il campo dell’analisi teorizzando il carattere indiziario dell’indagine storiografica5. Infine, una critica molto diffusa ha concentrato l’attenzione sul documento in quanto testo: tale critica ha fatto anzi del testo una metafora, da interpretare per se stessa, attraverso i dispositivi di scrittura e di lettura, le forme di argomentazione e di comprovazione da cui il documento è costituito6. La reazione all’incertezza e alla vischiosità della fonte contiene, evidentemente, il rischio di una proliferazione infinita e arbitraria dell’interpretazione, grazie a letture che fondano l’attribuzione di senso su sguardi soggettivi. Per evitare questo rischio è necessario integrare l’attenzione al piano del discorso contenuto nel documento con la considerazione della genesi del documento stesso. Una grande quantità di fonti, in particolare di antico regime, reca infatti le tracce di dinamiche di “trascrizione”7: la presa d’atto di situazioni di fatto da parte delle sedi istituzionali produttrici di documenti, e di uso di quella presa d’atto come legittimazione sia da parte di chi viene trascritto, sia da parte di chi trascrive8. La definizione di questa prospettiva è il frutto della convergenza di un’ampia serie di acquisizioni metodologiche. Esse sono provenute anzitutto da una storiografia 2 In particolare di una specifica archeologia, quella vegetazionale, praticata dall’ecologia storica, su cui tornerò in questa stessa introduzione. 3 C. GINZBURG, Prefazione a C. GINZBURG, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, Torino, Einaudi ,1975; L. STONE, The Revival of Narrative, “Past and Present”, 85, 1979, pp. 3-24; M. DE CERTEAU, L’écriture de l’histoire, Paris, Gallimard, 1975. 4 E. GRENDI, Micro-analisi e storia sociale, “Quaderni storici”, 35, 1977, pp. 506-520; C. GINZBURG, C. PONI, Il nome e il come. Mercato storiografico e scambio disuguale, “Quaderni storici”, 40, 1979, pp. 181-190); G. LEVI, “On Microhistory” in P. BURKE, ed., New Perspectives on Historical Writing, Oxford, Polity Press, 1992, pp. 93-113. E. GRENDI, Ripensare la microstoria?, “Quaderni storici”, 86, 1994, pp. 539-49. 5 C. GINZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Crisi della ragione, a cura di A. GARGANI, Torino, Einaudi, 1979, pp. 59-106 ; ID., Storia notturna : una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi, 1989. La lettura di Ginzburg rivela un esplicito debito nei confronti di M. BLOCH, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien,Paris, Colin, 1949. 6 Per un inquadramento iniziale cfr. W. SEWELL, The Concept(s) of Culture, in Beyond the Cultural Turn, cit., pp.35- 61; A. MUNSLOW, Deconstructing History, London-New York, Routledge, 1997.