NUMERO/246 in edizione telematica 14 AGOSTO 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

“ Nebiolo ed i grandi tecnici italiani che furono, si estremamente prudente da dar a volte l’impressione di stanno rivoltando nella tomba vedendo com’è conciata non volersi inimicare chi conta. l’atletica leggera italiana”. Insomma il nostro Presidente, seppur malvolentieri E’ il commento che abbiamo sentito dalla bocca d’un perché gl’insuccessi annunciati fanno più male, non ha telecronista elvetico da Londra; un commento che cercato troppe attenuanti ma ha avuto anche l’onestà sintetizza, in maniera tutto sommato anche benevola i intellettuale di fare un cenno alle Società sportive tanti altri giudizi di fronte al un medagliere mondiale militari. Un argomento questo che, per ragioni anche dove la nostra Italietta occupa da Terzo mondo, come si ovvie, non viene trattato volentieri anche se ha , volenti diceva una volta. Naturalmente senz’offesa a Siria, o nolenti, una non indifferente importanza Kazachistan e compagnia bella. Vedere il nostro Paese nell’organizzazione sportiva nazionale. laggiù al fondo della classifica ci verrebbe Quello dei gruppi sportivi militari è infatti un corollario paradossalmente ( e per assurdo, se Dio vuole) la particolare che fra l’altro interessa moltissimo i mas tentazione di rammaricarci che la grande Palmisano sia media esteri che non lo hanno capito soprattutto in salita sul podio : senza la sua medaglia non questa temperie quando solo da noi il fenomeno esiste ed appariremmo in è tanto rilevante. Non lo hanno graduatoria la nostra aura capito ma lo hanno addirittura mediocrita passando così indicato come corresponsabile del inosservati per. Ed anche la defaillance londinese. In effetti meno. il ragionamento che fanno è più o I risultati sono stati tali meno il seguente: l’attività che pure i nostri dirigenti agonistica richiede oggigiorno non hanno potuto non sacrifici e naturalmente stimoli prenderne atto, a non solo ideali ma anche cominciare da Alfio materiali. Perciò è giusto dare ai Giomi che nella breve giovani prospettive economiche conferenzina stampa purché legate ai risultati ottenuti televisiva a ferro caldo ha mentre i gruppi militari dando onestamente affermato: loro uno stipendio (a spese della “Non sono contento”. collettività) li mettono in Vorremmo vedere che lo condizione di stare tranquilli fosse. senza tante … rotture. “Abbiamo sbagliato qualcosa” ha continuato il nostro Concetti con cui si può esser d’accordo o no e che a Presidente. In ogni caso “Sarà il Commissario tecnico a quanto pare verranno prima o poi esaminati in sede dire cos’è successo anche se gli errori sono stati del Coni. “sistema”e non di Locatelli”. Il quale a sua volta ha Ma torniamo a noi e malgrado l’amaro in bocca scaricato la ghiaia su “atleti che si accontentano” e cerchiamo di essere ottimisti facendo finta d’illuderci “tecnici che allenano per telefono”. Ma non lo sapeva che a Londra, come ha detto in Rai il Rosario anche prima ? Chiarchiaro di turno , “abbiamo rispettato le aspettative, Insomma buona parte delle responsabilità sono quelle di faremo meglio a Berlino”. una struttura, il cosiddetto decentramento, che sembra Valà ch’andm ben. navigare a vista. Cioè senza idee e soprattutto senza Giors stimoli interiori, diciamo noi. P.S. Ci è stato fatto notare che in ogni caso la bella figura ai Tante belle parole, a dire il vero anche eccessivamente Mondiali è stata accettata con molta pacatezza. (per noi) paciose quasi a voler addormentare il colto e Sarà, peccato che più che di pacatezza si tratti purtroppo di l’inclite, complice anche dei massmedia dalla critica crescente disinteresse per l’atletica leggera ….

SPIRIDON/2

L’ITALIA MONDIALE TOCCA IL FONDO

Per un paio di giorni ho pensato che per un vizio formale la squadra italiana di atletica leggera non fosse stata iscritta ai mondiali di Londra. Poi il “non pervenuto” si è trasformato in qualcosa d’altro ma non in senso migliorativo.

L’Italia era assente ma c’era.

Nel segno della continuità Il senso di un’assenza che dura, invariato il presidente federale e le sue promesse, secondo una linea non di galleggiamento ma di affondamento che perdura dal 2015 attraverso l’anello del 2016 fino ai nostri giorni. I risultati della gestione tecnica di Alfio Giomi fanno rimpiangere i tempi di Arese che a sua volta faceva rimpiangere quelli di Gola, per non parlare di Nebiolo, moralità infranta a parte. Forse il principio ispiratore della missione è stato quello di toccare il fondo perché dal fondo non si può che risalire? Ma una squadra così sdrucita, anonima e demotivata come quella azzurra di queste infelice ultimo cimento è raro rintracciarla nella storia dell’atletica.

Nessun finalista in pista, staffette evanescenti ma soprattutto gare su gare senza presenze dato che lo staff dei telecronisti nostrani per ore poteva diffondersi sul “Resto del mondo” e non sui selezionati azzurri. Squadra sbagliata in partenza ricca solo di potenziali brutte figure. Una Strati da 6.21 o una Furlani da 1.80 faremo anche fatica a vederle sul podio di un campionato italiano. La partecipazione come punto d’arrivo e non come occasione per crescere. Solo cinque azzurri hanno migliorato il personale e anche come primati stagionali siamo al palo. Spacciati come punte della squadra due elementi come il convalescente Tamberi (una sana rinunciam visto il credito accumulato, sarebbe stata quanto mai giustificata, partendo da un quasi immigliorabile 2.28 di partenza) e la Trost che non cresce ormai da quattro anni.

Già la misura di qualificazione era un Everest per questi due sapendo leggere le graduatorie stagionali. Si sperava nei miracoli? Che non ci sono stati. Una fatalità propizia ha spinto in semifinale il promettente Tortù con l’ultimo tempo dei 24 qualificati ma non bisogna dimenticare che se Makwala coattivamente non fosse stato escluso da quella serie oggi parleremo anche per lui di delusione. E che dire delle staffette? Con l’impudenza di schierare una Grenot a digiuno di gare e di cambi, alle prese con un mondiale sabbatico, forse per giustificare rimborsi e stipendi. Peraltro la cubana si è dichiarata soddisfatta della sua prova, noi contribuenti un po’ meno.

Si vuole spacciare per semifinalisti quel ristretto manipolo di atleti che hanno superato a fatica il primo turno allargato? Un’Italia orfana nelle corse, staffetta comprese, reale misuratore del valore atletico di una nazione, zeppa di gregari che mai miglioreranno (l’esempio della Magnani è eloquente) con tanti possibile outsider a guardare le gare in televisione (Galvan, Fassinotti, Donato, Greco, Del Buono), segno che, complici infortunati e sbagliate scelte tecniche, non si riesce neanche a raschiare il barile della pur non eccelsa materia prima a disposizione. La litania delle giustificazioni più assortite nel confessionale di Elisabetta Caporale. Dove abbiamo sentito dalla Trost l’aggettivo più indicato per definire l’esito infausto della spedizione: “indecoroso”. Indecoroso il rendimento complessivo, l’approccio, la selezione (folle portare tre siepisti) e la gestione della squadra. Il Coni che fa? Abbozza. Più che un campanello d’allarme, dopo reiterati fallimenti, questo è un ultrasuono che solo complici “non udenti” possono ignorare. Riconsolarsi con i risultati internazionali dell’Under 23 è puerile quando si sa che i campionati per questa classe di età sono il contentino per nazioni che a livello assoluto ormai contano zero. Come l’Italia. Queste cose le pensano tutti, non tutti le scrivono. Daniele Poto

SPIRIDON/3 fuori tema di Augusto Frasca

Si dirà, cosa c'entra l'Unione italiana dello sport per tutti con il niente espresso dall'atletica ai campionati mondiali. In realtà, non c'entra. Ma due episodi, entrambi legati a due tra i casi più acclarati di doping degli ultimi tempi, fanno riflettere. Organizzatrice l'Uisp, squalificato fino al 2024, Roberto Barbi appare in prima fila tra i partecipanti sui trenta chilometri della dodicesima edizione della Porretta-Corno alle Scale. Più o meno negli stessi giorni, si apprende che ad Alberico Di Cecco, carabiniere, sulla cui edificante storia relativa all'uso di sostanze illecite rinviamo ad un qualsiasi sito di internet, il coordinamento nazionale dell'Uisp ha affidato il riordino di una commissione disciplinare. L'Uisp rientra a grande titolo nell'equivoco nato all'epoca di Giulio Onesti, quando il presidente del Coni trovò il modo di legare al carro, proprio e dell'ente olimpico, gli organismi sportivi nati quali braccio armato dei partiti politici, nessuno escluso, ad eccezione dei radicali. Quando si parla di un sacrosanto, equilibrato finanziamento delle federazioni, e della voglia e della capacità di controllarne l'uso, con non minor ragione si dovrebbe gettare un occhio, e qualcosa di più, su enti che lasciano più di un'ombra su un'attività diversamente applicata, si legge nelle luccicanti carte istitutive, a diffondere (con Barbi e Di Cecco...) "un bene che interessa la salute, la qualità della vita, l'educazione e la socialità... e si cimenta con esperienze che sfruttano energie dolci (!) e non dissipative... facendo leva su un bisogno di emozione mortificato dalla routine". Testuale, retorica e lingua italiana comprese. Quanto ai Mondiali, di cui si scrive in altre pagine, gettando tuttavia uno sguardo sulle differenze esistenti tra la consistenza tecnica dei giorni nostri e quella di altre epoche, non lontanissime, non sono pochi quanti rimpiangono i tempi, magari disinvolti, magari troppo disinvolti, della gestione targata Enzo Rossi – e collateralmente, in momenti diversi, nella separazione tra attività maschile e femminile, di Sandro Giovannelli e dello stesso Elio Locatelli – una gestione segnata dalla quotidianità di rapporti con tecnici ed atleti, quando nei corridoi federali del Collegio di Musica e di via Tevere echeggiavano con la cadenza millesimale di un metronomo nomi, pur non da tutti automaticamente identificabili, come Fausto (Anzil), Dino (Ponchio), Franco (Colle), Roberto (Piga), Gaspare (Polizzi), Giorgio (Rondelli), Giancarlo (Chittolini), Lucio (Gigliotti), Romano (Tordelli), Plinio (Castrucci), Sandro (Damilano), Ugo (Ranzetti), Franco (Rattotti), Giampaolo (Lenzi)... Scaricare le responsabilità su Locatelli, da soli otto mesi al comando, sarebbe sbagliato, e soprattutto inutile. Il dt di Canale d'Alba ha promesso una rivoluzione a partire da ottobre: la realizzi, e se ne assuma, intere, le responsabilità, aspettandolo al varco a Berlino. Sulla gestione complessiva federale, visto che al vertice esiste un presidente rinnovato, incontestabilmente molto impegnato, e su vari versanti, con a fianco un diffuso comparto dirigenziale di fresca nomina, è giunto il momento in cui, tra centro e periferia, intese come entità organizzative e strutturali di alto e medio impiego e di relative, connesse, inevitabili responsabilità, atleti, tecnici, dirigenti e soprattutto società militari, si faccia il conto delle entrate e delle uscite, dei costi e dei ricavi, di produzione e risultati. In parole povere, di serietà ed efficienza nel lavoro, ai vari livelli, dai campi alle scrivanie. Infine, sempre sui Mondiali, poiché la stampa scritta, sempre peggio scritta, è materia in dissoluzione, essendo dunque l'atletica sempre più fruizione televisiva, due parole su quanto s'è visto e sentito nelle lunghe sedute londinesi. L'ironia ha i suoi diritti, anche e soprattutto con amici. Sprovvisto di strumenti alternativi per imperdonabile inerzia, legato nel bene e nel male all'audio e al video di mamma Rai, privo di ruvidità polemiche ho quindi deciso, in un eccesso di filantropia, che per le feste natalizie regalerò al primo pilota Franco Bragagna e alla sua voracità dialettica una balla di fieno da mettere in cascina, ad Elisabetta Caporale un confessionale in miniatura e una copia del libro Cuore, a una sfera di cristallo e una confezione in tetrapak di acido lattico, e a Dino Ponchio, insieme con un goniometro, un buono sconto da presentare al primo concessionario di Luxottica. [email protected]

SPIRIDON/4

Numero 1: dove si scrive di marcia e di Antonella Palmisano

È stata la domenica della marcia, dal primo mattino a metà pomeriggio. La 50 km maschile, con l'uomo solo al comando dal primo chilometro, il francese Johan Dinitz, doppiando quasi tutti, compreso l'azzurro Marco De Luca, dignitosamente nono, e sfiorando, 3 h 33' 11", il suo primato mondiale. De Luca al traguardo dopo 3 h 45' 02", prossimo al personale. Uno spettacolo inedito la 50 km femminile, inserita in extremis. Dopo i primi chilometri la squalifica dell'americana Talcot, la stessa che aveva 'imposto' alla IAAF la distanza. Il titolo alla portoghese Ines Henriques, 4 h 5' 56". "Imperfetta, improbabile, un poco abborracciata", Gaia Piccardi nel Corriere della Sera, ma "... ora le prove maschili e femminili sono in perfetta parità". Piccardi rievoca Kathy Switzer, che nel 1967 s'intrufolò fra gli atleti nella maratona di Boston, e le 'prime volte' del salto con l'asta, del salto triplo, del lancio del martello e dei 3000 siepi. Per fatto personale, ricordo la nostra proposta della maratona femminile, 5-7 giugno 1975, al Congresso degli Allenatori europei, a : nove anni, e nel 1984, a , la prima maratona olimpica, Jeanne Benoit, USA, 2 h 24' 52". Per inciso, perché non equiparare anche 'la gara delle gare', sostituendo l'eptathlon con il decathlon? Ed ora Antonella Palmisano, la pugliese, che si è sottratta alla pressione dell'ambiente e, fiduciosa di un anno senza intoppi, ha sfoggiato il suo stile da manuale, in testa e con il gruppetto delle favorite fin dai primi chilometri. Diversa l'interpretazione della tecnica delle cinesi, Jiayu-Yang, Xuzhi-Lyu, squalificata pochi metri prima del traguardo, e della messicana Maria Guadalupe Gonzales. Jiayu-Yang 1 h 26' 19", allo 'sprint' su Gonzales che, nelle analisi in TV di Bragagna, Ponchio e del maestro e decano Pietro Pastorini, era 'speed'. Nelle interviste Elisabetta Caporale ribatteva il tasto della scorrettezza, e l'allenatore dell'azzurra, Patrizio Patrik Parcesepe, glissava. Anche Valentina Trapletti, che, come Eleonora Giorgi, ha completato la gara con decoro, il personale, non ha voluto entrare nella disputa. Finché non si adotteranno 'i sensori' che trasmettono al computer il passaggio dalla marcia alla corsa, le valutazioni dei giudici potranno essere errate, a parte il dolo dei favoritismi. Nei citati commenti, bello, bellissimo, brutto e bruttissimo si affastellavano. Noi suggeriamo: spettacolo sì, ma spoetizzante. Nella 20 km maschile, iridato il colombiano Eider Arevalo, 1 h 18' 53". Giorgio Rubino, che ha ricevuto la medaglia di bronzo della quale era stato defraudato a Berlino 2009, si è piazzato sedicesimo, 1 h 20' 47". Giorgio, un tempo allenato a Siracusa dal catanese Dario Privitera, si è trasferito a Pescara e il coach è ora De Benedictis. Al venticinquesimo posto Francesco Fortunato, 1 h 22' 01", personale. Al quarantottesimo, Matteo Giupponi, 1 h 25' 20". I tempi d'oro del guru Sandro Damilano, che allena i cinesi, sono nostalgia.

***** Numero 2: dove si scrive di Rai, di fibre bianche e rosse, di Tamberi, di Trost e di Ponchio

Il divo dei telecronisti, Franco Bragagna, in questo Mondiale è collaborato dal romano de Roma Stefano Tilli, ex piedi veloci fino all'età stagionata, e dal patavino Dino Ponchio, maestro di arte saltatoria, il più rinomato allievo Giovanni Evangelisti, ed ex ct della nazionale femminile. Nello studio, Luca Di Bella di Latina, chiaro e pacato, e alle interviste Elisabetta Caporale, 'il muretto basso' che è stato 'squassato' dal critico televisivo del Corriere della Sera Aldo Grasso per l'ovvietà di alcune domande nel dopo gara. Nel dopo mezzogiorno odierno tutto il peso del bilancio dell'Italia nelle gare all'interno dello stadio era caricato su Gianmarco Tamberi. Infortunio, intervento chirurgico immediato e riuscito, la riabilitazione, un altro infortunio, la ripresa. Allievo, come da un anno Alessia Trost, di suo padre Marco, il ritorno graduale alle gare. Un mese fa il conforto di 2,28. Attorno alle 13 la qualificazione assurgeva a misure mai raggiunte. Il favorito Barshim volava oltre l'asticella, sublimando il gesto. Gli altri favoriti, con qualche eccezione, si confermavano. In tre tentativi l'azzurro ha avuto l'asticella amica, ha superato metri 2,29, record stagionale, ma la sua rincorsa, e in particolare l'entrata allo stacco, non erano rapidi come un anno e tredici mesi fa. Dunque, una tecnica adattata ai nuovi equilibri neuro muscolari, come quella di Alessia Trost che in sequenza tragica ha subìto la morte dell'allenatore e la morte della madre. Squilibri nella tecnica, dai 2 metri al coperto alla regressione di metri 1,87 nella qualificazione. Nel preliminare del salto non mima più la 'sequenza motoria', che è mutata. Il suo viso aggrondato e le sue parole: l'instabilità tecnica e psichica era palese. Per raggranellare qualche punto nella classifica, dopo i 3 punti di Meucci, sesto nella maratona, restavamo aggrappati al 'martello' del quasi quarantenne Marco Lingua, dodicesimo nella qualificazione con la unicità dei cinque giri in pedana. Lingua si qualificherà decimo. Nella finale non migliorerà il piazzamento. Marco di Biella si allena dal 2014 nel dopo lavoro (piantone nella Caserma di Biella). Ha fondato il Club Marco Lingua, caso unico, come nei suoi cinque giri in pedana! Nel 'finis' la dissertazione sulle mie fibrille che il dotto Dino Ponchio, che rappresenta la FIDAL, aveva promesso di spiegare ieri. Le fibre muscolari rosse, il colore dalla mioglobina, granaio di ossigeno che, con il corredo dei mitocondri generatori di energia, favorisce le prestazioni di durata. Le fibre muscolari bianche sono tipiche delle prestazioni caratterizzate dall'esplosività motoria, velocità, ostacoli, lanci. Il prof. ha opportunamente accennato alle fibre intermedie che, in relazione all'allenamento, possono trasformarsi in fibre rosse, espressione motoria più 'lenta', o in fibre veloci. Ci permettiamo di concludere: la biopsia muscolare, dolorosa, o l'Ergo Jump, test ideato dal compianto Carmelo Bosco, documentano la probabile dotazione individuale di fibre bianche, o pallide, e l'attitudine dell'atleta.

SPIRIDON/5

Numero 3: due paroline per Ale Zoghlami

Totò Ingrassia da Valderice chiede in un messaggio due paroline per Ale Zoghlami che ieri, in una domenica che abbiamo trascorso in decubito supino (la necessità), ci ha fatto quasi 'rialzare dal letto', contendendo la finale a fior di specialisti dei 3000 siepi. Ale ha mostrato una condizione al top, mai raggiunta ad agosto nelle precedenti stagioni, e una capacità di stare dentro nelle fasi decisive della prima di tre batterie. Il prof. Gaspare Polizzi ha calibrato la programmazione in crescendo, affinando ancora i soggiorni in altitudine o, come si dice correntemente, in altura. Nel 70 esimo del CUS Palermo e 26 anni dopo la tribolata gara di nei 10.000 metri a Tokio, un atleta del CUS e un allievo di Polizzi, trapanese-palermitano, è stato presente al Mondiale nella specialità egemonizzata dagli africani. Una 'campestre' nella pista, la melodia cinetica delle falcate è spezzata dal superamento di 28 ostacoli e di 5 siepi, barriera e fossato. Ale, 23 anni, campione d'Italia nei 3000 siepi, era meno accreditato nei tempi di qualificazione degli altri due azzurri Abdullah Bamoussa e Yoannes Chiappinelli. Nell'ultimo giro ha inseguito il terzetto dei favoriti ed ha migliorato il suo personale, da 8'29"8 a 8'26"18, settimo al traguardo; il miglior tempo nel momento più importante della stagione, a conferma della maestria dell'allenatore dalla chioma rossa in gioventù. L'attuale Presidente del CUS commentava: "Il rosso ha sostanza!". I capelli di Gaspare sono diventati 'ianchi', (bianchi), aggettivo catanese di Ignazio Russo, atleta, allenatore, fondatore con la moglie Pina Marino della Katana, già dt del CUS femminile, attuale Presidente del Panathlon. I capelli 'ianchi', in casi specifici segno di anzianità consapevole e portatrice di tesori di esperienza. L'Angelo di Ale. Esistono su questa terra gli Angeli che hanno il potere di orientare la vita degli umani? Indubbiamente esercitano il ruolo salvifico nei film, come quello in sequenze su La 7, Josephine l'ange guardien. Spiritualmente non hanno sesso. Angelo, il cognome, e Enrico il nome, un diplomato nell'antico Isef che a Valderice, nella pineta di Monte San Giuliano, ha promosso l'atletica nella sua espressione più naturale: la corsa e segnatamente il mezzofondo, durare nella fatica del correre, altra metafora del vivere umano, coniata dallo scrittore Vasco Pratolini. Ale, pochi minuti dopo la gara: "In tribuna c'erano il mio primo allenatore e mia madre ". Il prof. Angelo ha dialogato con noi su messanger e ha inviato la foto della signora Borna Quertani e di Ale. Il prof., allievo di Pino Clemente e Gaspare Polizzi all'Isef, ha nel dt del CUS il solido riferimento metodologico. Abbiamo seguito l'evoluzione di Ale e del gemello Ussem, altro talento, da allievi. Polizzi ha messo in azione la 'macchina CUS Palermo'. I gemelli, e Alice Magione del giro di pista, si sono trasferiti a Palermo, iscritti all'Istituto Miliziano. Noi abbiamo evocato due illustri mezzofondisti tunisini, i fratelli Gammoudi. Un gradino dopo l'altro il miglioramento, i precoci cicli di allenamento in altitudine, le competizioni internazionali giovanili. A 23 anni i Zoghlami fanno sognare l'allenatore e i tanti sodali del CUS Palermo, dell'altro ieri e di oggi: nel 2024, il revival dell'Olimpiade a Los Angeles 1984 dei gemelli Antonio e . ***** Numero 4: zona Francia: siamo di parte. I cugini transalpini ci stanno nel cuore per una somma di afferenze affettive e tecnico sportive.

L'affettività è personale. Per quanto riguarda la metodologia dell'allenamento, abbiamo studiato i manuali francesi, negli anni '60 abbiamo partecipato ai Convegni, relatore il coordinatore del mezzofondo René Frassinelli, di origini italiane. I nostri abbonamenti a L'Amicale des entraineurs, a L'Equipe e ad Athletisme. le Scuole della velocità e del salto con l'asta. A Londra la Francia si é piazzata al quarto posto nel medagliere (1) con 3 Ori e 2 Bronzi, prima fra le Nazioni d'Europa. Analizziamo la qualità delle medaglie che sono state conquistate da atleti e atlete giovani e prossimi ai 40 anni. La gara delle gare, il decathlon, è stata monopolio di Kèvin Majer, classe 1992, un fisico longilineo, una duttilità che fa pronosticare ulteriori progressi. Nel mezzofondo veloce, Pierre Ambroise Bosse, classe 1992, ha imposto negli ultimi 100 metri le sue falcate e L'Equipe gli ha dedicato la prima pagina. Bosse, 1'44"67, il suo primato 1'42"53 rinverdisce i trascorsi della scuola francese, da Sèra Martin, 1'50"6 a Colombes, 14 luglio 1928, a Marcelle Hansenne, bronzo nell'Olimpiade di Londra 1948, a Michel Jazy argento nei 1500 metri a Roma '60 e oro nel 1962 agli Europei di Belgrado. Nella 50 km di marcia, il tre volte campione d'Europa Johan Dinitz, trentotto anni e un'energia inesauribile. Il suo 'ancheggiare' non sempre corretto è stato perfezionato dal Maestro di generazioni di marciatori, Pietro Pastorini. Nel salto con l'asta, Renaud Lavillenie non è stato graziato dall'asticella, metri 5,89, preceduto con la stessa misura dal polacco Lisek. Oro a Sam Kendricks, metri 5,95, che ha la potenzialità per avvicinarsi al record mondiale di Lavillenie, metri 6,16 nel 2014 a Donekst. Nel disco, la serie di lanci oltre i 70 metri della croata Sandra Perkovič, il migliore 70,31, oro colato, e il bronzo di Robert-Meline Michon, trentotto anni, 66,21, vicino al suo primato. Numerosi i piazzamenti nelle finali. Da segnalare il quarto posto, nei 200 metri del sorprendente Gulyev, di Cristophe Lemaitre, reduce da fastidiosi traumi, e di Mahiedine Mekhissi nei 3000 siepi. Plaudiamo soprattutto alla programmazione mirata e all'organizzazione d'eccellenza della Francia, Citius-Fortius-Altius, nel segno di padre Henri Martin Dion e di Pierre de Coubertin. (1) Stati Uniti 18 Oro-11 Argento-9 Bronzo Kenia 5 Oro-2 Argento-4 Bronzo Sud Africa 3 Oro-1 Argento-2 Bronzo.

SPIRIDON/6

Numero 5: la coda velenosa di Anna Incerti

Nella maratona femminile, che ha avuto tempi televisivi privilegiati nel confronto con la gara maschile, intrecciata dalle riprese delle gare dentro lo stadio, nessuna atleta azzurra. Nel numero di luglio abbiamo dato risalto all'intervista della Gazzetta dello Sport a Tommaso Ticali, che segnalava le incongruenze del dt Elio Locatelli nelle motivazioni del 'No, tu No! Tutto potevamo immaginare tranne l'ultima sua valutazione: Incerti e Rachik non sono stati convocati perché hanno fatto il minimo nella Maratona di Milano dove sono avvenuti passaggi di borraccia della 'lepre'. “Rachik e la Incerti sono delusi per la mancata convocazione – ammette Locatelli – ma nel caso del primo non c’erano certezze circa il percorso di avvicinamento che avrebbe seguito, mentre per quello della seconda va detto che il tempo ottenuto a Milano non sarebbe stato da convalidare per via di rifornimenti irregolari". Con il tempo di 2h 29' Incerti si sarebbe piazzata al tredicesimo posto, il crono della britannica Charlotte Purdue. Vogliamo appesantire di 4 minuti? Anna Carmela Incerti si sarebbe piazzata al ventesimo posto, un piazzamento medio nella carestia degli azzurri. Al Direttore Tecnico Locatelli. Avrebbe potuto inventare una motivazione diversa sulla non convocazione di Anna Incerti. Con questa sua affermazione ha screditato l’atleta, gli organizzatori della Maratona di Milano, i giudici e tutto il movimento dell’atletica leggera italiana, quel movimento che in qualità di direttore tecnico dovrebbe salvaguardare e proteggere. Lei ha cambiato più volte la versione dei fatti: prima mi aveva detto che, dopo la rinuncia di Valeria Straneo, si era deciso di non portare nessuna maratoneta a Londra, poi che non c’era il tempo per preparare la maratona. Infine, ribadisco, ha messo in dubbio la correttezza degli atleti, degli organizzatori e dei giudici di gara in una Maratona Cult in Italia. Per il bene dell’atletica italiana, rifletta prima di sentenziare. Tommaso Ticali *****

Mao Tze-tung e Don Bosco

Abituati a scartabellare tra le numerose scartoffie alle quali, da buoni cultori della storia, abbiamo concesso il libero domicilio nella nostra abitazione, ci siamo imbattuti in una copia del Bollettino Salesiano dell’1 novembre 1976. Sfogliandone curiosamente le pagine, in quella numerata 15 l’attenzione si è soffermata su un titolo: “Mao e Don Bosco”. Ohibò! Cosa accomuna il Presidente della Repubblica Popolare Cinese col nostro Santo fondatore? Leggiamo insieme. «Don Alessandro Machuy, già Ispettore salesiano a Hong Kong, ricorda la vicenda di un salesiano che in Cina negli anni ’30 ebbe un curioso doppio incontro con il presidente della Repubblica popolare cinese, Mao Tze-tung. Racconta. “Era il tempo della lunga marcia, quando Mao a capo dell’esercito comunista sconfitto dal generale Chiang Kai-shek, condusse i suoi uomini attraverso diecimila chilometri di strade tortuose, dal sud al nord del paese, nello Yemen, per riprendere la lotta. Una sera, all’inizio della lunga marcia, Mao arrivò con pochi suoi uomini alla stazione missionaria salesiana di Yan Fa, nel Kwan Tung. Il missionario, padre Giusepper Geder (uno jugoslavo morto a Hong Kong nel ’72), raccontò poi l’episodio singolare. Quella sera si vide arrivare in casa Mao con i suoi uomini armati e li trattò da caritatevole missionario. Offrì loro cena e acqua calda per la doccia. Poi Mao gli disse: ‘Ho saputo che voi cattolici conservate il vostro Dio nei vostri templi...’ Voleva vedere. Padre Geder lo accompagnò nella cappellina, gli indicò il tabernacolo e la lampada del Santissimo. Soddisfatto, Mao uscì, e l’indomani se ne partì. Qualche tempo dopo, forse due mesi, padre Geder doveva recarsi a Shiu Chow, il centro della sua diocesi. Il viaggio in quei tempi tanto disagiati gli risultò più lungo del previsto, e la notte lo sorprese quando ancora si trovava nella foresta, sui monti. Mentre affrettava il passo, incappò in una pattuglia di soldati che lo arrestarono. A quale gruppo appartenete? Domandò loro. ‘Siamo di Mao Tze-tung’. ‘Io conosco il vostro capo, è mio amico. Portatemi da lui’. Lo portarono, e Mao lo riconobbe. Gli offrì cena, gli fece preparare l’acqua calda per la doccia. Poi padre Geder voleva ripartire, ma Mao insistette: ‘Non preoccuparti; passi qui la notte tranquillo, e domani ti farò accompagnare’. E fu di parola. Ci viene riferito un giudizio che Mao avrebbe pronunciato su Don Bosco: ‘È stato un grande educatore’, o ‘un grande condottiero di giovani’, qualcosa del genere, ma non si conosce la citazione esatta (un grazie a chi saprà informare il BS). Avesse continuato, Mao Tze-tung, a usare tanta gentilezza verso i missionari! Invece più tardi li ha cacciati dalla Cina, li ha sottoposti a processi a volte ridicoli, li ha messi in carcere, e ve li ha anche lasciati morire”».

Dinanzi a tali profonde testimonianze anche lo storico si sente lusingato e quanto mai appagato dalla incredibile scoperta. Pierluigi Lazzarini Exallievo e storico di Don Bosco

SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Trump non ha realizzato alcunché, né da segno di poterlo fare, a partire dalle relazioni con il Congresso per finire con il suo impatto su alleati e avversari nel mondo. Muro, infrastrutture, sanità, piano fiscale, immigrazione, è tutto per aria, e l'unica notizia della Casa Bianca è da sei mesi la Casa Bianca stessa trasformata in un bordello familista e in un alberghetto malfamato teatro di ripicche, di risse, di lotte intestine, di licenziamenti, di doppi giochi spericolati, di attacchi alle liberà civili, di fughe dalla realtà e dalla responsabilità. Non è la coppia Nixon-Kissinger alla testa dello stato e dell'amministrazione, con scandalo annesso e dimissioni, è un pazzo solo al comando, è cosa diversa. Il peggio è che è esattamente quello che si aspettavano e volevano gli elettori di Trump. Sapevano che avrebbero avuto al potere uno sparlatore, un impostore, un bugiardo, un con-man, e pur di liberarsi con rabbia inconsulta del politicamente corretto della dinastia Clinton, della dettatura degli harvardiani perbene, ecco che si beccano quel che hanno tragicamente voluto, l'harvardiano dei Sopranos Scaramucci che parla come un carrettiere, anche peggio, e mette il suo turpiloquio al servizio di un finto amore per Trump che fino a ieri definiva un cialtrone. Si beccano quello che però hanno voluto: una brutta commedia senza capo né coda, e una minoranza agguerrita continua ancora a goderselo questo bla bla bla via Twitter pericoloso per l'America, espropriata del suo onore, del suo rigore, della sua autostima, e per il mondo. Giuliano Ferrara (Roma 1952), sul Foglio del 31 luglio 2017. Un passato drammatico, tempestato di fatti atroci, in un'altalena di aggressioni e ritorsioni con connotati ideologici oltraggiosi d'ogni diritto umano. Nulla venne risparmiato alle popolazioni mischiate lungo l'implacata fascia di confine tra la Venezia Giulia e la Slovenia, mentre, più giù, Zara, rasa al suolo come Dresda da cinquantaquattro bombardamenti aerei, si vuoterà completamente fra il 1943 e il 1945 di tutti i suoi cittadini di lingua italiana. C'è stata in proposito, negli anni passati, una controversia diplomatica con la Croazia, innescata da una proposta intesa a conferire all'antico capoluogo dalmata la medaglia d'oro quale città martire italiana. La proposta era stata fatta da Ottavio Missoni, sindaco di Zara in esilio, nel già lontano 2002, quando nell'Unione europea non era ancora presente nessun paese dell'Est post comunista. Dopo un recente scambio di idee, siamo giunti, Missoni ed io, alla conclusione teorica che oggi, in quest'Europa allargata e mutata, con la candidata Croazia prossima all'entrata nell'Unione, si potrebbe trovare il modo di attribuire concordemente un riconoscimento europeo alla popolazione zaratina per le sofferenze sopportate. Enzo Bettiza (Spalato 1927-Roma 2017), palazzo del Quirinale, 10 febbraio 1911. Dopo essere stato scagionato dalla Cassazione, Bruno Contrada, malato, 86 anni di cui 10 passati in un carcere in cui non doveva nemmeno entrare, ha subito l'irruzione in casa delle forze dell'ordine alle quattro di notte, come esige la sceneggiatura del terrore messa a punto dagli scherani della polizia segreta al tempo delle purghe staliniane e oggi replicata in forme farsesche. Che bisogno c'era delle quattro di notte per una storia vecchia? Nessuno, solo il bisogno di intimidire un uomo già provato, di mettere sotto torchio la sua famiglia, di dare l'impressione che c'è sempre qualcuno che vuole metterti nel mirino. Poi ha subito un'altra visita in casa, stavolta alle otto del mattino. La storia non deve finire mai, sempre in tensione, sempre in allarme. Come se lo Stato sentisse un bisogno vendicativo, la voglia di rivalersi su una sentenza che ha stabilito l'innocenza di Contrada, reduce da anni di carcere senza aver commesso un reato. In pochi parlano di questa vicenda. Contrada non gode di buona stampa, e i media stanno in maggioranza dalla parte dei persecutori. Pochi si stupiscono di questa sceneggiata delle quattro di notte. Bruno Contrada è solo, come lo era quando stava ingiustamente in prigione. Però un po' di vergogna per un trattamento indegno di un Paese civile non guasterebbe. Ma nessuno si vergognerà. Nessun appello, nessuna mobilitazione. Solo il silenzio pauroso delle quattro di notte. Pierluigi Battista (Roma 1955), sul Corriere della Sera del 31 luglio 2017. Non è un momento facile. Dalla sua, certo, c'è il grande consenso popolare che accompagna ogni sacrosanta battaglia contro gli imbrogli. Ma in questa voluta ambiguità di competenze e di poteri, troppi, per alcuni, pochi, per altri, te li dò o non te li dò, si annida il rischio che l'anticorruzione resti una bandiera sventolata senza risultati consistenti (lo stesso Cantone ammette che da Tangentopoli a oggi la corruzione è qualitativamente meno grave, ma quantitativamente più diffusa). E che lui stesso finisca per diventare il testimonial di una battaglia che non ha le armi per combattere da solo e che potrebbe restare, come molti vorrebbero, dimezzata. Bruno Manfellotto (Napoli 1949), sull'Espresso del 30 luglio 2017.

SPIRIDON/8

Certo che ricordo ma la mente deve frugare nei meandri della materia cerebrale sana che ancora alberga nella mia testa, per mettere a fuoco quegli attimi che invece il cuore ricorda bene e con immutata emozione. Per far questo devo socchiudere gli occhi, come si fa quando si vuol pensare a qualcosa di lontano, per poi spalancarli su uno scenario che ora mi appare in tutta la sua nitidezza, nonostante siano trascorsi 30 anni...... Era un giovedì dei primi di settembre, il 3 settembre per la precisione, quando entrai sulla pista dello Stadio Olimpico di Roma preceduto da Sergio Battini, il capo servizio della giuria partenze, e seguito dai contro- starter Cipelli e Illuminati. Mi diressi verso il podio dello starter e mi bastò poco per valutare la sua giusta collocazione rispetto allo schieramento di partenza. Se avete visto le partenze dei 200 metri a Londra di questi giorni, la posizione era la stessa scelta da quello starter. A Roma era davanti alla tribuna Tevere. Erano le 18.10. La giornata calda, carica di umidità (68%) come quasi sempre accadeva nell’Olimpico verso sera. Il tanto reclamizzato ponentino romano si attardava ancora fra i rami dei pini di Monte Mario, in attesa di gettarsi sul catino dell’Olimpico a portare un po' di refrigerio a tutti coloro che erano convenuti ad assistere alle gare di quel pomeriggio, il sesto della seconda edizione dei Campionati del Mondo di atletica leggera che avevano preso il via il 29 agosto; fra quelle gare la più attesa era la finale dei 200 metri uomini. Poche ore prima si erano disputate le due semifinali che, senza tanti recuperi o diavolerie simili, avevano designato i migliori otto che si sarebbero disputati il titolo mondiale: i primi quattro di ogni semifinale! Il lunedì, 1° settembre, si erano disputate al mattino le sei batterie e nel pomeriggio i quattro quarti di finale. Non era stata ancora partorita dalla fervida mente dei componenti la commissione tecnica della IAAF, la regola che stabilisce che dalle batterie si vada direttamente alle semifinali, ripescando qua a là i tempi meritevoli di considerazione. A quel tempo solo i primi passavano il turno. Punto. Oggi mi pare fuori luogo quando una nazione si vanta di avere tot semifinalisti. Se ci fossero stati i quarti di finale, molti di quei semifinalisti sarebbero già andati a casa La partenza della gara dei 200 metri era stata affidata alla mia pistola. In precedenza avevo avviato i 100 metri

SPIRIDON/9 femminili e mi accingevo, dopo i 200, a dare la partenza ai 110 metri ad ostacoli. Anche qui sette batterie, quattro quarti, due semifinali e la finale. Il sole fortunatamente mi batteva alle spalle e non negli occhi come era stato nella partenza dei 100 metri dove avevo dovuto utilizzare gli occhiali oscurati. Gli atleti avevano già sistemato i blocchi, tolto gli indumenti riposti nelle ceste e quindi erano pronti a rispondere ai miei comandi. Io salii sul podio e come è sempre stata mia abitudine osservai gli atleti, ad uno ad uno, in quegli ultimi preparativi. Il più vicino alla mia postazione, quindi in prima corsia, era lo statuario canadese Atlee Mahorn, in seconda il “tozzo” inglese John Regis, mentre in terza scorsi l’americano Floyd Heard, l’atleta che vantava il miglior primato personale sulla distanza fra tutti i finalisti (19.95). In quarta corsia si apprestava al via il simpatico campione brasiliano Robson Da Silva, mentre il sovietico Vladimir Krylov occupava la quinta. In sesta corsia, c’era il campione francese Gilles Quénéhervé, la vera rivelazione di quella edizione dei campionati e accanto a lui vidi il nostro che aveva ancora la coscia sinistra vistosamente fasciata a seguito dell’infortunio che non gli aveva permesso di gareggiare al meglio nella finale dei 100 metri che lui però aveva voluto ugualmente disputare, giungendo ultimo al piccolo trotto in 16.23. Il problema muscolare nei giorni successivi si era attenuato e il romano aveva potuto battersi al meglio sulla doppia distanza raggiungendo la finale dopo il quarto posto nella semifinale. Non ce l’aveva fatta invece Stefano Tilli che era giunto settimo in 20.86 nell’altra semifinale. Avanti a Pavoni, quindi in ottava corsia, vidi la figura minuta dell’americano Calvin Smith, relegato nell’ultima corsia disponibile. Smith era il campione in carica essendo stato il primo vincitore del titolo dei 200 metri ( 1983) ed era l’uomo che aveva il secondo miglior personal best (19.99) sulla distanza. Smith era ancora il primatista del mondo dei 100 metri. Infatti il tempo ottenuto quel 30 agosto nella finale dei 100 metri da Ben Johnson (9.83) non sarebbe stato omologato, come tutti noi sappiamo, e quindi il risultato di Carl Lewis (9.93), secondo arrivato nella gara romana, sarebbe stato ufficializzato solo nel congresso di Barcellona del settembre 1989, ma andava a uguagliare il tempo ottenuto da Calvin Smith il 3 luglio 1983 ai 2.195 metri di altitudine dello stadio dell’Air Force Academy, in una località vicina a Colorado Spring. Sia nelle batterie che nei quarti, e così pure nelle due semifinali non c’erano stati problemi nelle partenze. La gara dei 200 metri è una delle preferite dagli starter in quanto consente loro di ottenere delle belle e spettacolari partenze dal momento che gli atleti (che di norma sono in definitiva gli stessi dei 100 metri), non sono animati dalla foga agonistica che manifestano quando si schierano alla partenza della gara più breve. Quando mancò poco meno di un minuto alle 18.25 Sergio Battini mi disse che era tempo di andare. Salii sul podio, accesi il microfono collegato con gli altoparlanti a bordo pista, mi sistemai l’auricolare che mi collegava alla “Seiko”, controllai che la pistola fosse carica, mi schiarii la voce e una volta che tutti gli atleti erano in piedi dietro ai blocchi, feci un ampio respiro e pronunciai: “Ai vostri posti” (all’epoca lo starter dava ancora i comandi nella propria lingua), facendo forza sul diaframma. Attesi che tutti gli atleti si sistemassero nella posizione di partenza e una volta terminati gli ondeggiamenti, i movimenti delle braccia e avessero chinato in avanti, in basso, la testa (segno inequivocabile che l’atleta era pronto), pronunciai il “pronti” evitando, come sempre del resto, di “arrotare” il ”pr...”, e tramutando quello che dovrebbe essere un comando in.....un invito, come mi avevano insegnato i miei maestri. Gli atleti risposero subito, chi più rapidamente altri più lentamente. Io li attesi tutti e una volta resomi conto che tutti i bacini (i culi come diceva il prof. Vittori), avevano raggiunto fisicamente l’apice della posizione e gli atleti erano perfettamente immobili, premetti il grilletto e detti il segnale di partenza. Gli atleti si mossero all’unisono e si lanciarono verso la curva. Io li seguii con lo sguardo e li abbandonai solo quando essi imboccarono il rettilineo d’arrivo accolti dal boato della folla che gremiva la tribuna centrale. Vi rivolsi con fare interrogativo al capo servizio Battini che si limitò ad assentire con il capo: voleva dire che la partenza era stata ottimale! Di lì a poco sul tabellone dello stadio apparve l’ordine di arrivo. Si era confermato campione del mondo lo statunitense Calvin Smith in 20.16 (a Helsinki aveva vinto in 20.14), che il photofinish aveva “preferito” al francese

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Quénéhervé (stesso tempo), mentre al terzo posto era stato classificato l’inglese John Regis (20.18) che aveva preso il posto di , bronzo ad Helsinki in 20.51. Poi nell’ordine si erano classificati: Da Silva (20.22), Krylov (20.23), un deludente Heard (20.25), il nostro Pavoni (20.45) e il canadese Mahorn (20.78). Nel frattempo eravamo usciti dal campo e l’evento era mentalmente già passato in “archivio”, pronto ad essere ripescato con la memoria, come è successo oggi, anche distanza di 30 anni, ma niente affatto “polveroso” o deteriorato dal tempo!

G. Pallicca

Rassegna stampa

Dal Foglio del 22 luglio, Massimo Bordin. Guidando una delegazione di Mdp-Articolo 1 in piazza Alimonda, l'onorevole ha motivato la scelta in questi termini: "è giusto essere qui per rendere omaggio a Carlo Giuliani". Avesse detto "per ricordare un evento tragico che speriamo non si debba più ripetere", sarebbe stato comprensibile, ma l'on. Scotto non ignora sicuramente che Giuliani è stato colpito a morte mentre lanciava un estintore su un carabiniere rimasto isolato sulla sua camionetta. Se ad omaggiare Giuliani fosse stato un leader di Autonomia Operaia ci sarebbe stata una logica. Detta dal rappresentante di un partito che annovera un ex presidente del Consiglio e alcuni ex ministri, suona grottesco, irritante, per motivi estetici più che etici.

Dalla Stampa di Torino del 2 agosto, titolo: si masturba sul bus, il gip: non c'è violenza senza contatto. Il nome del giudice delle indagini preliminari torinese è Alessandra Cecchelli. Ha respinto la richiesta di arresto di un uomo di origine marocchina immortalato su un autobus, in pieno giorno, mentre si masturbava vicino ad una giovane passeggera. E poco importa che la donna, lo sguardo fuori dal finestrino, si sia ritrovata i pantaloni sporchi di liquido seminale.

Dalla Repubblica del 9 agosto. Sospesa l'iniziativa della sindaca Virginia Raggi di intitolare un parco cittadino a Yasser Arafat. Decisiva, per la sospensione, l'indignazione espressa dalla comunità ebraica cittadina per voce del Rabbino capo, il medico Riccardo Shemuel Di Segni. Il 9 ottobre 1982, cinque terroristi di origini palestinesi irruppero nella Sinagoga della capitale sparando sulle centinaia di fedeli presenti per la chiusura della festa di Sukkot. Decine i feriti, e Stefano Taché, un bambino di due anni, morto.

Dalla Repubblica di lunedì 14 agosto, Emanuela Audisio. Un bronzo, almeno. Davanti a Buckimgham Palace. Arriva da una ragazza del Sud, dalla marciatrice con il fiore in testa, fermaglio cucito da mamma Maria. Antonella Palmisano, pugliese, 26 anni, tenace, bravissima a non mollare, pulita nello stile, arriva terza nella 20 km di marcia, sotto gli occhi della sua famiglia e del suo prossimo marito, Lorenzo Dessì. È appassionata e praticante di yoga: <>. Con 1 ora 26'36" migliora il suo primato personale di 1 minuto e 15 secondi e realizza la seconda miglior prestazione italiana di sempre. È’ la prima medaglia italiana dall'argento di Valeria Straneo, nella maratona, a Mosca 2013. Finalmente dopo quattro anni un raggio di sole e un po' di azzurro. K.Daifanto

Nulla e nessuno sembrava resistere al fascino stellato di Usain Bolt. Niente e nessuno tranne Rihanna (pseudonimo di Robyn Rihanna cantante, attrice e modella barbadiana, prima artista della sua nazione a vincere un Grammy Award), avvenente fanciulla ben determinata a non cedere all'invito del campione giamaicano. Prima di assaporare , si fa per dire, la sconfitta della settimana passata sulla pista londinese il campione giamaicano detentore di record e di fama , dominatore inesorabile della scena internazionale coagula attorno a sé un numero esagerato di ammiratori e tifosi disposti a qualsiasi follia anche solo per vederlo da vicino. Ad un suo gesto tantissimi sarebbero stati ed ancora sono disposti ad assecondarlo. Un'ammirazione non necessariamente condivisa da tutte le persone dei Caraibi a credere alla recente intervista rilasciata al “Journal du Dimanche” da Pascal Rolling, talent scout per molti anni per la Puma. L'uomo che ha tentato di avvicinare ad Usain Bolt la cantante Rihanna di cui si era invaghito assicura che la”corrente non è purtroppo passato” tra le due stelle. Pascal Rolling ricorda che Usain Bolt è stato a lungo innamorato dalla “ dea di Barbados” la Rihanna, per l’appunto. Secondo lui, l'atleta ha anche fatto tutto il possibile per organizzare un incontro tramite l'ex-fidanzata di Chris Brown. Data la mancanza di risposta, Bolt ha deciso di bypassare gli intermediari mettendosi direttamente in contatto con la stella “R'n'B” per telefono. Senza fortuna , purtroppo Ancora una volta, il silenzio radio è caduto sul campione. "Il suo ego ha preso un colpo", ricorda Pascal Rolling.. Lontano da ammettere la sconfitta, Usain Bolt allora si è presentato nello stesso albergo a Parigi dove alloggiava la cantante per invitare la”divina” ad incontrarlo. Per tutta risposta al suo invito, l'entourage di Rihanna gli ha offerto un posto per assistere al concerto della diva backstage. "Troppo sconvolto" per essere stato snobbato, il campione olimpico alla fine ha rinunciato allo spettacolo. In ogni caso il negato incontro dimostra che agli occhi di Rihanna il denaro, la celebrità ed anche le phisique (di Bolt) sono ben poca cosa. Qui ci viene una spontanea la domanda: e se fosse stato il gran rifiuto della Rihanna a spezzare il cuore, pardon le gambe, all’indomito velocita nell’ultima frazione della staffetta dei 100 ? Forse gli organizzatori del Meeting di Zurico in programma il 24 e che stanno tentandole tutte per avere il pista il il Campione giamaicano farebbero bene invitare a Zurigo anche la cantante. Chissà che …

SPIRIDON/11 il racconto del mese

di Ermanno Gelati

Erano più o meno le sette, abituale ora di cena a casa Rinaldi. Norberto stava leggendo distrattamente qualcosa nello studio, mentre dalla porta spalancata provenivano rumori familiari e rassicuranti. Ada, la padrona di casa, aveva posato da un po' sul fornello una pentola con tre quarti d’acqua. Con l'imprevedibilità di un thriller, proprio nell’atto di buttare la pasta, gemette, sinistro, il citofono; la donna, con un braccio a mezz’aria, disse a voce alta: « Norberto! Potresti vedere chi è? ». Poco dopo un tipo tarchiato e stempiato, dal profilo aquilino come il suo naso e dai modi sbrigativi, fece il suo ingresso. « E… La gentil signora? », disse Ed rivolgendosi a Norberto. Ada arrivò trafelata, nella fretta aveva dimenticato di togliersi il grembiule da cucina. Non se ne fece un problema, vista la confidenza con l'ospite. La donna lo accolse da perfetta padrona di casa, poi si tolse disinvoltamente il grembiule e si sistemò la frangia. Mentalmente aveva già rimandato la cena a ora da definirsi. Tipo non comune Ed, diminutivo americanizzato di Edoardo per via degli stretti rapporti d’affari della sua azienda lungo la costa occidentale del nuovo mondo. Non si era mai capita la sua avversione per il matrimonio. Alle soglie della terza età si ritrovava da solo a dirigere, oltre che possedere, la più importante realtà industriale della regione. Ed era un accentratore: un monumentale, granitico accentratore. Come al solito, dopo averlo fatto accomodare, Norberto aprì la bottiglia con tre quarti di Jake Daniels invecchiato. Versò il contenuto, due dita, in due bicchieri e aggiunse alcuni cubetti di ghiaccio che si misero a galleggiare come iceberg nel liquido ambrato. Il silenzio sconcertante da parte dell’ospite, impegnato a sorseggiare il suo whisky, non imbarazzò più di tanto i padroni di casa, essendo abituati al suo caratteristico linguaggio. Non che gli mancassero gli argomenti, ma Ed era fatto così: alternava una dialettica di per sé essenziale a mutismi interminabili. « Ci metti sempre le mani? », buttò lì, mentre indicava il mezza coda Steinway & Sons in un angolo del salone. « Certo che sì… », rispose Norberto che cambiò argomento: « Come va la baracca? ». « Magari sapessi fare anch'io qualcosa di diverso… Lavoro, solo e sempre lavoro! Ma un giorno o l’altro mi sbarazzo di tutto, ne ho abbastanza di grane! Hai fatto bene tu a smettere ». Norberto, che lo conosceva come le sue tasche, intuì: quella aveva tutta l'aria di non essere una visita di cortesia. Era passato un anno da quando aveva dato le dimissioni da amministratore delegato dell’azienda per trasformarsi in un dirigente in pensione. Avrebbe continuato volentieri ma Ed, invecchiando, diventava sempre più dispotico e invadente. Quello che Norberto decideva il giorno prima era destinato a essere cambiato o modificato il giorno dopo. Considerando l'età, Norberto pensò bene di mollare. Ed, inizialmente, non la prese bene ma alla fine dovette rassegnarsi, senza peraltro rinunciare a frequenti visite o telefonate che in buona sostanza rappresentavano consulenze gratuite. Ada, che nel frattempo era ritornata in cucina per spegnere definitivamente il gas, riapparve. Seduta di fronte ai due uomini osservava in controluce il marito sprofondato nella sua poltrona preferita. Lo trovò invecchiato. La bella testa, che l’aveva sempre attratta, si era appesantita. Ne erano testimoni gli occhiali da presbite, le borse sotto gli occhi, un certo gonfiore alle guance e nella zona del mento. I folti capelli scuri, ormai ingrigiti, si stavano diradando sulla fronte spaziosa; aveva sempre ammirato quella capigliatura virile! Tuttavia, nel complesso, era pur sempre un bell’uomo con quella statura, quel portamento diritto e aristocratico, quei limpidi e franchi occhi celesti. Povero Norberto, si chiedeva Ada, la sua era stata veramente una giusta decisione? Inutile ignorarlo, con l'inattività lavorativa, suo marito aveva smarrito parte di quella particolare vitalità che lo aveva sempre reso affascinante con tutti. Tuttavia in lei permaneva inalterata quella dolce sensazione: nessuno l’aveva guardata e mai l'avrebbe fatto con la stessa espressione. Dopo l'inusuale sparata, Ed fece una pausa generosa. Poi sbottò all'improvviso, come il tappo di una bottiglia di champagne: « Dovrei tornare in California! ». « Ma non sei appena tornato? », proruppe sorpreso Norberto. « Sì, dannazione, ma l'altro giorno ho ricevuto notizie terribili! » e proseguì ermeticamente: « C'è un'urgenza! ». « Be', se ci spieghi forse è meglio ». Disse Norberto ammiccando verso una sempre più sconcertata Ada. Ed prese un'altra pausa, poi, dopo la suspense prodotta, riprese astiosamente: « Gustavsson, quell'imbecille! ». « Non è un imbecille », commentò asciutto Norberto. « Comunque ha combinato un bel guaio il bestione! ». Mentre Ed ripiombava nell'ennesima pausa, Norberto ne approfittò per spiegare sottovoce alla moglie di chi si trattasse. Sven Gustavsson dirigeva, per modo di dire visto che erano solo in sei, la piccola filiale californiana dell'azienda di Ed. Norberto conosceva e stimava quel ragazzone, di chiare origini scandinave, grazie ai suoi frequenti soggiorni di lavoro laggiù. Quella realtà esisteva perché Norberto l'aveva ostinatamente consigliata, voluta, addirittura organizzata personalmente nella fase iniziale e Sven era stato selezionato proprio da lui. Per farla breve, Norberto la considerava il suo fiore all'occhiello e sentirne denigrare il responsabile gli procurava un certo fastidio. In attesa di SPIRIDON/12

segni di vita da parte di Ed, Norberto rifornì di un dito di scotch il suo bicchiere vuoto. Come se aspettasse esattamente quel gesto, l'ospite ne bevve un goccio e sembrò rianimarsi. « Hai presente l'interstate 405 di Los Angeles? », disse fissando Norberto con uno sguardo rapace. « Che domanda idiota, naturalmente sì. Bene, Sven, nel bel mezzo di quella bolgia, ha avuto un incidente! ». Altra pausa. Dopo aver trangugiato in un sol colpo l'intero contenuto del bicchiere disse: « Il guaio è che l'incidente l'ha provocato lui! ». « Si è fatto male? », si allarmò Norberto. « Niente di grave, ma dovrà portare il collare per un po'. Inoltre non potrà guidare, gli hanno sospeso la patente ». Ed afferrò il bicchiere vuoto e, dopo un'impercettibile stima del contenuto, lo ripose dicendo: « Ho parlato con Lucy, la segretaria, che mi ha spiegato cos'è successo. La polizia non sa come stanno le cose... Stanno facendo indagini comunque ». A questo punto Ed si infervorò: « L'imbecille ha gettato dal finestrino del liquido che è finito sul parabrezza del veicolo che lo stava sorpassando e che poi lo ha urtato. Entrambe le auto sono finite contro il guardrail. Quella aziendale di Sven si è rovesciata e l'altra è anch'essa un rottame. La cosa incredibile è che i due passeggeri ne sono usciti quasi illesi. La peggio l'ha avuta il Gustavsson che dovrà portare al collo quell'aggeggio. Vi potete immaginare l’ingorgo che si è innescato in quell'inferno! ». « Un liquido? Cosa diavolo... », domandò Norberto. « Be', lui aveva un'urgenza... ». " E dagli con questa urgenza " pensò Norberto. « Non potendo fermarsi per via del traffico, gli è balenata l'idea geniale: usare il bicchiere di plastica vuoto dell'aranciata che teneva sul cruscotto, ma non essendo sufficiente e dovendo necessariamente vuotarlo per finire quello che stava facendo, ha pensato bene di gettare il contenuto dal finestrino! ». Un balenio turchese scaturì dalle lenti di Norberto; contemporaneamente Ada, imbarazzata, si portò una mano alle labbra. « Questo è quanto Sven ha confidato alla segretaria. Ora, la versione addomesticata della nostra azienda è la seguente: il bicchiere pieno di aranciata si è rovesciato spontaneamente per un sobbalzo del mezzo e il contenuto è finito fuori dal finestrino abbassato, poi la velocità dell'auto ha fatto il resto. Fortunatamente il colore giallastro del liquido si presta a sostenere questa tesi. Spero non sguinzaglino qualche investigatore rompiscatole e la cosa finisca lì ». « Addirittura! », obiettò Norberto che continuò: « Per come la vedo io non dovresti minimamente preoccuparti, quale mente malata potrebbe immaginare l'urgenza e tutto il resto! ». « Su questo sono d’accordo, ma quello che temo è un’indagine approfondita. Conosci Lucy, non è tipo da ingigantire le cose e da come mi ha riferito la faccenda… Credimi, ho motivo di essere preoccupato ». Ribatté Ed. Per Norberto la conversazione stava prendendo una brutta piega. Cosa voleva realmente da lui quell'uomo? Una strana sensazione si stava facendo strada… Si sentiva come un topo preso in trappola o qualcosa di molto simile. Ada, che ne aveva abbastanza di sentire quei discorsi, prese la scusa della cena per allontanarsi; alle prese con i fuochi sentiva Ed e il marito parlare, ma senza capire di cosa discutessero. Poco più tardi l'ospite uscì materialmente di scena, con Ada sulla soglia della cucina a salutare e Norberto che lo accompagnava.

Durante la cena, Norberto, usando le identiche parole di Ed, riferì alla moglie la proposta: "Un salto a Los Angeles per sistemare le cose". «Di quanto tempo stiamo parlando?», domandò Ada sulla difensiva. Impossibile prevederlo, c'erano un sacco di cose da sistemare. Per cominciare l’evoluzione degli accertamenti sull’incidente; poi, nell'immediato, onorare gli impegni di lavoro con i clienti, visto che Sven, almeno per il momento, non poteva guidare, infine occorreva sbrogliare urgentemente la matassa assicurativa. « Quindici giorni, un mese, non saprei... », ipotizzò incerto Norberto. I due continuarono a discuterne fino a notte fonda.

SIERRE – ZINAL 2017 bene Marco De Gasperi e Silvia Rampazzo

Re Kilian Jornet ha vinto la 44 ° edizione della mitica Sierre Zinal. E’ la terza volta che lo spagnolo si aggiudica la vittoria in questa importante gara in montagna.Lo spagnolo ha vinto la gara per la quinta volta eguagliando il record del messicano Mejia. Seguono Rob Simson (GB) in2:33.19,4 ; King Max (USA); 2:34.04,2; Mamu Petro (Érythrée) ; Kyburz Matthias (Suisse) 2:36.13,6; 6. Wenk Stephan (Suisse) 2:37.12,9 ;7° Baronian Thibault (Frrancia) 2:37.16,4 ;8° Rodriguez Herrera Will (Colombie) 2:37.29,0. 9° De Gasperi Marco I-Bormio (SO) 2:37.48,6; … 31° Rolando Piana;55° Stefano Fantuz; 71° Tito Tiberti; 82° Fausto Rizzi; 107à Luigi Cristian. Prima donna : Wambouy Marigi (Kenia) 2.58.39: 2° Michelle Mayer (Francia) 3.05.11; 3°Armandine Ferraro (Francia) 3.09.42, 5° Silvia Rampazzo (Italia) 3.11.16.