Finezza e genialità

Paddy McAloon, genio misconosciuto del pop inglese, offre la riedizione rimasterizzata del suo più trascurato capolavoro

/ 28.01.2019 di Benedicta Froelich

Uno degli aspetti più frustranti della scena rock internazionale risiede senz’altro in quel triste fenomeno che, da parecchi anni a questa parte, vede molti dei nomi più artisticamente interessanti soccombere davanti alle regole del mercato e dello star system, e sparire così nell’ombra ben prima del tempo, senza aver ottenuto i legittimi riconoscimenti. Accade perciò che un genio indiscusso come l’angloirlandese Paddy McAloon – classe 1957, mente e voce della band dei – rimanga a tutt’oggi perlopiù sconosciuto al grande pubblico.

Nonostante il suo gruppo abbia beneficiato di un discreto successo a cavallo tra gli anni 80 e 90 grazie a brani pop accattivanti quali The King of Rock’n’Roll e Hey Manhattan!, i maggiori capolavori di songwriting da lui firmati (come Jordan: The Comeback e Andromeda Heights) non sono mai stati compresi o apprezzati fino in fondo dalle masse; e il lungo silenzio discografico della band – infine interrotto dalla pubblicazione dell’ottimo Let’s Change the World with Music (2009) – ha fatto dello schivo e sfuggente Paddy una sorta di guru della scena rock, da molti salutato come la «primula rossa» del cantautorato anglosassone.

Eppure, nonostante la sua assenza dai riflettori, McAloon è ancora in grado di riservare autentiche sorprese: lo dimostra la riedizione rimasterizzata di questo I Trawl the Megahertz, lavoro solista originariamente pubblicato nel 2003 – in un momento in cui l’artista aveva del tutto perduto la vista a causa di un distacco di ambo le retine e, costretto a casa dall’improvvisa invalidità, trovava conforto nell’ascoltare talk show radiofonici. Tanto che la cosa più affascinante dell’, oggi riproposto a nome dell’intera band dei Prefab Sprout, sta proprio nella capacità dell’autore di staccarsi dall’incombenza della propria tragedia per concentrarsi sugli elementi salvifici che l’arte e l’umana emotività sono in grado di produrre – nello specifico, sul potere terapeutico della musica.

Così, la totale noncuranza di Paddy verso il mondo del pop mainstream si evince da ogni particolare di I Trawl the Megahertz: a partire dalla title track, un suggestivo pezzo strumentale della durata di ben ventidue minuti e dalle atmosfere soffuse e quasi jazzate, animato dall’ipnotico recitativo di una disillusa voce femminile che enuncia scene di vita quotidiana stranamente struggenti e allusive. Momenti sospesi nel tempo, i quali diventano quasi preghiere inconsapevoli, invocate a ritrarre la condizione umana come malinconicamente irrisolta e redimibile soltanto dall’empatia – da sempre l’unico elemento in grado di vincere sulla realtà delle perdite che, presto o tardi, attendono tutti noi: «ancora adesso, il mio sguardo si fissa sul luogo in cui ti ho visto per l’ultima volta / il tuo segnale insistente ma frammentato, prima che tu divenissi cotone nella tempesta, un aereo in caduta oltre le linee nemiche». Non sorprende quindi che, title track a parte, anche il resto dell’album mantenga il medesimo mood di intensa introspezione: ne sono un esempio Sleeping Rough e Ineffable, brani congiunti a formare una sorta di delicato intermezzo ad alto voltaggio emotivo. Altro tipo di suggestioni è invece quello proposto da Fall From Grace e Orchid 7 (la cui innegabile tensione emotiva prende la forma d’una sorta di toccante autoanalisi senza parole), e, soprattutto, I’m 49 – collage di frammenti tratti dalle trasmissioni radio a onde medie captate da Paddy, il cui effetto suona stranamente destabilizzante; ma il nostro si cimenta anche in esperimenti più ritmati e rigorosi quali Esprit de Corps, che a tratti ricorda le sortite più pop di Philip Glass.

Ogni brano dimostra così, una volta di più, la finezza lirica e stilistica di un compositore quale McAloon, il cui sguardo allo stesso tempo poetico e disincantato sulle umane vicende è qui più acuto ed evocativo che mai; e il disco finisce per risultare strutturato come una vera e propria sinfonia, in cui le tracce prendono la forma di movimenti ispirati alla musica «colta» – in una transizione favorita dal fatto che, essendo il cantato perlopiù assente, I Trawl the Megahertz è definibile come un lavoro quasi interamente strumentale. Ed ecco che brani quali We Were Poor… e il suo seguito, …But We Were Happy, presentano un gusto a cavallo tra il cool jazz dal sapore più urbano e suggestioni cinematografiche quasi hollywoodiane.

In tal senso, si potrebbe perfino dire che Paddy abbia anticipato la moda dell’orch-pop («orchestral pop»), peraltro portandone tecnica e intensità compositive a livelli ben più alti di quelli abituali del genere – e obbligando gli odierni ascoltatori a riconoscere come un album passato quasi inosservato all’epoca della sua pubblicazione risulti oggi più suggestivo e moderno che mai. Di fatto, sono proprio la continua freschezza e modernità di I Trawl the Megahertz a farne un piccolo, grande capolavoro – e a confermare lo status di McAloon come autentico genio misconosciuto del pop-rock inglese.