UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

RICERCA DELL’ECCELLENZA E STRATEGIE DI OUTSOURCING: IL CASO AUTOMOBILI S.P.A.

RELATORE: Chiar.ma Prof.ssa Lucia TALARICO

CANDIDATO: Gianluca PISANI

ANNO ACCADEMICO 2013 - 2014

Ai miei genitori, Letizia ed Elena

INDICE

Prefazione………………………………………………………………… 11

1. L’OUTSOURCING

1.1 Definizione di outsourcing e di core business……………………….. 13

1.1.1 Definizione di outsourcing……………………………………... 13

1.1.2 Definizione di core business …………………………………… 20

1.2 La storia……………………………………………………………... 23

1.3 La teoria economica…………………………………………………. 33

1.3.1 Esternalizzazione e teoria dell’impresa……………………….. 33

1.3.2 Esternalizzazione e costi di produzione………………………. 34

1.4 Gli attori coinvolti…………………………………………………... 39

1.5 Motivi per cui si esternalizza……………………………………….. 40

1.6 Quando e cosa si esternalizza……………………………………….. 47

1.7 Distinzione tra outsourcing e altre forme di esternalizzazione……… 58

1.8 Tipologie di outsourcing…………………………………………….. 60

1.9 Tre macro-categorie: esternalizzazioni sempre più spinte………….. 65

1.10 Chi decide………………………………………………………….. 71

1.11 Le fasi di implementazione di una strategia di outsourcing……….. 73

1.11.1 L’identificazione e la scelta dell’outsourcer…………………. 78

1.11.2 La negoziazione……………………………………………… 83

1.11.3 Il contratto di esternalizzazione……………………………… 89

1.11.4 I controlli……………………………………………………... 104

1.12 I vantaggi…………………………………………………………… 109

1.13 I rischi organizzativi, strategici, economici e operativi…………….. 117

1.14 Da fornitore a partner……………………………………………….. 133

2. IL CASO PAGANI AUTOMOBILI S.P.A

2.1 La storia……………………………………………………………… 137

2.1.1 Horacio Pagani: le origini e gli studi ………………………… 137

2.1.2 L’arrivo in Italia: e ……………………. 140

2.1.3 Horacio Pagani Composite Research e Modena Design……… 142

2.1.4 Pagani automobili S.p.A ……………………………………… 148

2.1.5 : il grande successo …………………………….. 151

2.1.6 : l’evoluzione ………………………………….. 182

2.2 L’azienda oggi ……………………………………………………….. 201

2.2.1 Struttura e organizzazione …………………………………….. 201

2.2.2 Situazione economico-finanziaria ……………………………... 206

2.3 La strategia di outsourcing della Pagani……………………………… 208

2.3.1 Introduzione……………………………………………………. 208

2.3.2 Core Business………………………………………………….. 210

a) Materiali compositi……………………………………. 210

b) Assemblaggio………………………………………….. 214

c) Progettazione…………………………………………… 218

2.3.3 Partner strategici………………………………………………… 220

a) ASPA S.r.l…………………………………………….. 220

b) Brembo…………………………………………………….. 226

c) Gruppo Dani……………………………………………….. 228

d) Mercedes – AMG………………………………………….. 230

e) MHG – Group……………………………………………… 234

f) Pirelli……………………………………………………….. 237

g) Salt Interiors………………………………………………… 240

h) Sonus faber………………………………………………….. 241

3. CONCLUSIONI…………………………………….. 245

Bibliografia…………………………………………………………… 253

Ringraziamenti………………………………………………………… 259

Prefazione

La tesi illustra il concetto di outsourcing e tutti gli aspetti che lo riguardano, con l’obiettivo di confrontare la teoria con un caso pratico: quello della Pagani Automobili S.p.A . Al contempo, questo confronto permette di interpretare al meglio tutti gli aspetti della particolare strategia di outsourcing della Pagani e quindi di capire i motivi e le logiche che sono alla sua base. Nella prima parte vengono, innanzitutto, esplicitati i concetti di outsourcing e di core business per poi passare alla storia dell’esternalizzazione. L’argomento trattato nella tesi, oltre ad essere di notevole complessità, è di forte interesse, in quanto i manager delle aziende sono oggi chiamati a prendere decisioni importanti in merito. Scegliere di svolgere un’attività all’esterno o all’interno dell’azienda è nel contesto odierno, caratterizzato da una forte competitività su tutti i mercati, una decisione strategica che può influire in modo rilevante sull’equilibrio economico-finanziario dell’azienda. Proprio per questo, sempre nel primo capitolo, si illustra chi sono i soggetti in azienda che devono prendere tali decisioni, i motivi che fanno propendere per tale scelta e quali sono le tipologie di outsourcing che si possono attuare. Una volta spiegato ciò, si descrive tutto il processo che porta alla stipulazione del contratto di outsourcing, indicando anche quelle che sono le tipologie di contratto utilizzabili per tale scopo e i controlli attuabili dal committente durante l’esecuzione del contratto. La prima parte si conclude, dopo aver illustrato i vantaggi e i rischi legati a tale strategia, con un aspetto che ben si ricollega al caso pratico: la strategia di outsourcing ha maggiore probabilità di successo se il rapporto tra committente e fornitore si trasforma in un rapporto di partnership, dove si ha una condivisione di obiettivi , di conoscenza e di esperienze. Nella seconda parte, dopo aver ampiamente parlato della storia della Pagani Automobili S.p.A e delle sue straordinarie vetture, viene messa in risalto la strategia di esternalizzazione estrema di questa azienda (ben il 95% delle componenti viene prodotto esternamente) e quella che è la sua applicazione, che è al di fuori dall’ordinario e che spesso si allontana parecchio dalle normali logiche di outsourcing.

11 Tutto ruota intorno alla figura di Horacio Pagani, titolare dell’azienda, che oltre a essere un grandissimo designer/ingegnere ed essere un esperto assoluto dei materiali compositi, si occupa personalmente della scelta dei migliori fornitori, instaurando con loro dei rapporti che vanno al di la del semplice rapporto committente - fornitore. Pagani è molto esigente e controlla il lavoro dei partner in maniera “maniacale”, spingendoli ad ottenere il massimo e ad andare anche oltre le loro possibilità. In sintesi, nella parte successiva alla storia si descrivono i core business (progettazione, assemblaggio e materiali compositi) della Pagani e quelli che sono i suoi principali fornitori: alcune grandi multinazionali ben note a tutti, come Pirelli e Mercedes-Benz, e alcune piccole-medie imprese poco note ai più, come Aspa S.r.l e Salt Interios.

Lucca, Maggio 2014

Gianluca Pisani

12 CAPITOLO 1

L’outsourcing

1.1 Definizione di outsourcing e di core business

1.1.1 Definizione di outsourcing

Il termine outsourcing nasce, secondo alcuni, dalla contrazione delle parole outside e resource, cioè il collocare all’esterno le risorse in cui l’azienda si avvale; secondo altri si tratta invece dell’unione delle parole out e sourcing, dove out indica la provenienza dall’esterno e sourcing deriva dal verbo to source, che vuol dire “arrivare alla fonte”. Nella lingua italiana, il termine viene tradotto con esternalizzazione, molto usato nella pubblica amministrazione e la cui etimologia rende ciò che avviene nella pratica: dare all’esterno una parte delle proprie attività1. L’outsourcing è quindi, nell’abito economico, l’insieme delle pratiche adottate dalle imprese con le quali esse ricorrono ad altre imprese per lo svolgimento di alcune fasi del processo produttivo. Siamo in tutti quei casi in cui un’azienda adotta una strategia con la quale affida a un fornitore esterno un’attività aziendale (che tradizionalmente o meno, viene eseguita internamente): dalla gestione della mensa alla fornitura di un servizio di corriere postale. Generalmente si esternalizzano quelle attività giudicate enucleabili dall’organizzazione senza che essa incorra nel rischio di compromettere le competenze distintive in suo possesso. Possiamo ,a riguardo, citare la cosi detta logica del “make” or “buy”, con la quale si far riferimento alla scelta di un'azienda o di un'organizzazione di costruire o di effettuare al proprio interno (make), oppure di acquistare all'esterno

1 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 5.

13 (buy), un componente, un prodotto o un servizio necessario alla produzione. La scelta si basa sul raffronto dei costi totali da sostenere nei due casi, tenendo conto inoltre sia delle caratteristiche di reperibilità all'esterno (e quindi di eventuali criticità), sia delle risorse disponibili a questo fine all'interno dell'azienda. Si tratta di una scelta strategica fondamentale per la gestione d'azienda, che definisce il livello di integrazione delle attività (a monte e a valle) e determina anche la struttura dei costi, l'organizzazione e il posizionamento sul mercato. L'opzione make (o gerarchia) offre soprattutto il vantaggio di garantire un controllo diretto sull'attività, sugli approvvigionamenti e sulla qualità del prodotto/servizio. Consente inoltre di mantenere eventuali segreti industriali. L'opzione buy (o mercato) offre invece il vantaggio di comportare minori costi fissi e quindi minore capitale immobilizzato, consentendo una maggiore flessibilità della capacità produttiva. In generale l'esternalizzazione delle attività aumenta con la maturità del settore industriale, perché aumentano i vantaggi di specializzazione e le economie di scala. Negli ultimi decenni, la tendenza globale è quella di mantenere all'interno dell'impresa le attività della gestione caratteristica, basate sulle competenze chiave e quelle con forte potenziale di sviluppo, su cui si fonda il vantaggio competitivo di lungo termine, delegando all'esterno tutte le altre. C’è però da dire che se l’outsourcing, prima era inteso come un semplice decentramento tattico per razionalizzare l’attività produttiva, che aveva come primario obiettivo il recupero di efficienza su attività non primarie per l’azienda, ora si è invece trasformato in una scelta dettata dalle strategie del business che ha un forte impatto sulla struttura e sui processi dell’azienda. L’outsourcing è, quindi, una particolare modalità di esternalizzazione che ha per oggetto l’enucleazione di intere aree di attività, strategiche e non, e che si fonda sulla costituzione di partnership tra l’azienda che esternalizza e un’azienda già presente sul mercato in qualità di specialista”2 .

2 A. M. Arcari (1996), L’outsourcing: una possibile modalità di organizzazione delle attività di servizi, p.45.

14 Da questa definizione possiamo cogliere i principali aspetti dell’outsourcing:

 viene definito il possibile oggetto dell’outsourcing: funzioni, attività, processi, componenti in sostanza della catena del valore dell’azienda;  viene identificata la valenza economico-strategica del processo: l’outsourcer a cui viene affidata l’attività è riconosciuto come un operatore specializzato in grado di soddisfare i bisogni dell’azienda;  viene dato risalto al processo continuo e con valenza giuridica: azienda e committente sono legati da una stabilità e continuità di rapporti, attraverso le più opportune forme contrattuali, al fine di gestire con efficacia il processo di fornitura;  viene attribuita particolare importanza all’outsourcer come interfaccia operativa: oltre alla responsabilità oggettiva nell’eseguire le performance richieste, il rapporto con il cliente azienda può anche esplicitarsi attraverso trasferimenti di risorse umane ed impiantistiche, il che può significare anche trasferimenti di specifici rami d’azienda3;  l’outsourcing rappresenta , infatti, una strategia aziendale in base al quale una o più attività viene affidata ad un soggetto giuridicamente ed economicamente terzo rispetto all’impresa stessa.

Nonostante questo termine sia molto conosciuto, il suo significato non è univoco. Alcuni economisti lo utilizzano per indicare il caso speciale in cui il committente (in inglese outsourcee) dipende totalmente dal subfornitore (in inglese outsourcer, provider o vendor) per l'approvvigionamento, perché non è, o non è più, in grado di svolgere da solo l'attività oggetto di contrattazione. Essi distinguono quindi questo caso da quello più generale di appalto o di subfornitura, in cui al contrario, il subappaltante rimane in grado di svolgere con mezzi propri l'attività oggetto del contratto. Altri utilizzano il termine outsourcing per riferirsi a quelle situazioni in cui un'impresa instaura una relazione bilaterale con un'altra impresa per lo svolgimento di attività che

3 A. De Paolis (2000), Outsourcing e valorizzazione delle competenze, op. cit., p.39.

15 richiedono asset specifici, e dunque infungibili. In questo caso la discriminante non è il possesso di requisiti del committente, ma la natura degli investimenti necessari allo svolgimento delle attività esternalizzate. In entrambi i casi comunque, il termine implica una qualche forma di stabilità del rapporto di "collaborazione" tra l'impresa e il terzista. Altre volte il termine, in italiano o in inglese, è utilizzato in modo più generico per riferirsi a qualsiasi decisione di ricorso al mercato per l'approvvigionamento di beni intermedi e/o servizi alla produzione. Quando inteso in tal senso, l'esternalizzazione è misurata dal rapporto tra il valore dei beni intermedi e il valore totale della produzione dell'impresa. In ogni caso, alcuni fanno notare come l'aspetto veramente nuovo dell'esternalizzazione non sia il generico ricorso al mercato per l'approvvigionamento di beni intermedi, ma il fatto che il peso di questi nella catena del valore delle imprese stia crescendo significativamente. Nella gestione qualità secondo il modello ISO 90014 è considerato outsourcing il processo affidato all'esterno ma che potrebbe essere svolto (oppure è svolto parzialmente) all'interno avendo il know-how. Negli altri casi si tratta di acquisto di un servizio e non di affidamento all'esterno. Spesso troviamo il termine terziarizzazione usato come sinonimo di outsourcing: questa parola, già adoperata in Italia per indicare un altro concetto, cioè il passaggio da un’economia industriale a una basata sul terziario non può sicuramente trovare un esatto riferimento in un contesto industriale e manifatturiero, quando si demanda a un fornitore esterno la fabbricazione dei prodotti. L’outsourcing quindi non coincide in modo biunivoco con il fenomeno della terziarizzazione, ma anzi, si tratta di un caso particolare. Si verifica un rapporto di outsourcing, solo quando tra committente e fornitore s’instaura un

4 E’ una norma della serie ISO 9000 (requisiti per la realizzazione, in una organizzazione, di un sistema di gestione della qualità, al fine di condurre i processi aziendali, migliorare l'efficacia e l'efficienza nella realizzazione del prodotto e nell'erogazione del servizio, ottenere ed incrementare la soddisfazione del cliente) intitolata Sistemi di gestione per la qualità – Requisiti. E’ sta emessa nel 1987, rivista una prima volta nel 1994 e revisionata sostanzialmente nel 2000. L’ultima revisione è stata fatta nel 2008 (ISO 9001:2008) e la norma è stata recepita nello stesso anno dall' UNI (Ente nazionale italiano di unificazione):UNI EN ISO 9001:200. La norma definisce i requisiti di un sistema di gestione per la qualità per una organizzazione. I requisiti espressi sono di "carattere generale" e possono essere implementati da ogni tipologia di organizzazione.

16 rapporto duraturo e in qualche modo esclusivo. Tra i due soggetti nasce quindi una forte integrazione che richiede meccanismi di regolazione dei rapporti sempre più accurati, capaci di gestire nel tempo le continue modifiche delle esigenze dei soggetti coinvolti, specie, in un contesto economico dinamico e mutevole5. In Gran Bretagna, viene invece usato il termine contratting-out quando l’esternalizzazione, attuata da un gestore pubblico, riguarda servizi collettivi a domanda individuale e il contratto viene stipulato con un fornitore pubblico o privato, con formula istituzionale imprenditoriale, a differenza del contratting-in, dove il gestore pubblico si avvale di altre organizzazioni pubbliche per affidare all’esterno la gestione dei servizi. Tali termini non hanno un equivalente nella lingua italiana, ma vengono usati direttamente nella forma anglosassone, come avviene per quasi tutta la nomenclatura nell’ambito dell’outsourcing, benché il fatto di lasciare le parole nella lingua originale non sia di molto aiuto ad evitare confusioni. E’ comunque importante sottolineare che, quando parliamo di outsourcing ci riferiamo a imprese già operative, poiché per quelle di nuova costituzione sono necessari altri criteri e differenti modalità di valutazione. Infatti, per le nuove imprese, la scelta di ricorrere a servizi esterni o prodotti confezionati da terze parti, piuttosto che decidere di realizzare tutto in casa, è più semplice da affrontare, perché non c’è nulla da dismettere e si tratta soltanto di operare un benchmark tra i diversi fornitori: ciò vuol dire chiedere preventivi, relativamente ai prodotti e ai servizi che si vogliono realizzare, ad aziende specializzate del settore, confrontandone i prezzi per individuare l’offerta più vantaggiosa in termini di costi e garanzia di qualità e serietà6. Uno degli aspetti più importanti delle decisioni di outsourcing è l’individuazione delle attività della catena del valore da esternalizzare o, comunque, dei prodotti tangibili (componenti, sotto-assiemi, sistemi, prodotti finiti) da acquistare presso fornitori esterni.

5 L. Fumagalli-P.D Ciocco(2002), L’outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione. La centralità delle persone nelle aziende di servizi, p.21.

6 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 5-6.

17 Ogni impresa può essere scomposta in tre tipologie di processi, tenuto conto del loro oggetto:

 processi customer relationship based, il cui compito fondamentale è l’acquisizione, il mantenimento e la fidelizzazione dei clienti. Sono caratterizzati da alti costi di acquisizione dei clienti e dalle economie di scopo;  processi product innovation based, focalizzati sullo sviluppo di innovazione di beni e servizi. In tal caso, si registrano elevati costi di innovazione ed economie di velocità e conoscenza;  processi infrastructure management based, dedicati alla gestione, talvolta anche  alla progettazione e realizzazione dei sistemi operativi dell’impresa; e contraddistinti da elevati investimenti in costi fissi e da economie di scala.

Questi processi sono costituiti da attività e operazioni molto diverse e richiedono diverse capacità e competenze per poter essere gestiti. Pertanto, potrebbe essere difficile farli coesistere all’interno della stessa impresa, specie in contesti iper competitivi, in cui sono necessarie performance elevate. Se la discriminante è costituita dal grado di importanza strategica, le attività possono essere distinte in quattro tipologie principali:

 core activity, attività a maggior valore strategico, che rappresentano le competenze distintive dell’impresa necessarie per l’acquisizione, il mantenimento e lo sviluppo del vantaggio competitivo;  core related activity, complementari a quelle strategiche e, pertanto, difficilmente separabili;  core distinct activity, attività di supporto ai processi caratteristici di produzione di valore o al core business, senza rapporti di diretta complementarietà con le attività strategiche (ad esempio, la logistica);

18  attività generiche, non connesse ai processi caratteristici di produzione di valore o al core business (ad esempio, ristorazione, pulizie e sicurezza).

Nella letteratura manageriale, le attività che vengono solitamente considerate oggetto di outsourcing sono le attività di supporto (core distinct activity) e quelle generiche. L’esternalizzazione di attività core related potrebbe, infatti, provocare fenomeni di spillover (dispersione delle conoscenze e competenze distintive). Le decisioni di esternalizzazione possono essere assunte attraverso l’analisi di quattro dimensioni strategiche:

 criticità strategica delle attività;  esposizione al rischio, che è funzione di due variabili: l’impatto e la probabilità del rischio;  rilevanza sul processo di creazione del valore: attività scarsamente rilevanti ai fini dei processi di creazione del valore sono un’opportunità per l’outsourcing, mentre non lo sono le attività ad alta intensità di valore;  impiego di risorse e competenze.

Inoltre, l’impresa può non possedere specifiche competenze rispetto agli altri attori del sistema competitivo per quattro ragioni fondamentali :

 storicamente non hanno mai fatto parte del patrimonio dell’impresa;  il rinnovamento della base di competenze dei concorrenti è stato più veloce ed efficace;  l’evoluzione tecnologica e i cambiamenti nelle regole competitive del mercato hanno determinato l’obsolescenza e il superamento delle attuali competenze;  i mercati emergenti richiedono lo sviluppo di competenze innovative, presupposto fondamentale per la competizione e l’acquisizione del vantaggio competitivo.

19 In particolare, i cambiamenti tecnologici possono essere causa di invecchiamento dei processi o delle attività strategiche dell’impresa, nonché delle relative competenze distintive che li sottendono. In tali casi le possibilità per le imprese sono due: sviluppare internamente le tecnologie emergenti o attivare collaborazioni con partner esterni che presidiano le competenze distintive necessarie. Può accadere che lo sviluppo interno delle competenze tecnologiche non sia possibile, anche se l’impresa dispone delle risorse finanziarie per gli investimenti necessari, oppure richieda tempi molto lunghi, non compatibili con la dinamica competitiva. In tali casi l’esternalizzazione diventa una necessità. Pertanto, diventa prioritario individuare partner esterni con competenze adeguate nella specifica tecnologia emergente7.

1.1.2 Definizione di core business

Il core business di un’impresa coincide con la modalità attraverso la quale un imprenditore ritiene di sviluppare una organizzazione destinata a realizzare un’idea di business. Due imprenditori, tra loro difficilmente distinguibili se osservati dal punto di vista del consumatore finale, possono operare in modo alquanto differenziato. Un produttore di sedie potrà operare in pieno successo producendo in modo del tutto integrato i propri prodotti, a partire da coltivazioni di essenze arboree in proprie piantagione agricole fino alla commercializzazione del risultato finale tramite propri punti vendita. Il tutto potrà essere gestito attraverso sistemi di gestione e controllo ferrei del proprio ciclo organizzativo che permettano l’eliminazione di ogni duplicazione di costi (trasporti, interazioni organizzative e commerciali tra soggetti distinti, ecc.): otterrà così prodotti di ottima qualità, a prezzi concorrenziali. L’altro potrà invece concepirsi come una grande macchina di assemblaggio di idee, servizi e prodotti intermedi sviluppati da altri imprenditori. Non coltiverà essenze arboree, non si doterà di un centro di

7 Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2011), Il fenomeno delle esternalizzazioni in Italia. Indagine sull’impatto dell’outsourcing sull’organizzazione aziendale, sulle relazioni industriali e sulle condizioni di tutela dei lavoratori, pp. 18-20.

20 design (selezionerà invece idee sviluppate da soggetti del tutto distinti), commissionerà l’ingegnerizzazione dei prodotti a ulteriori soggetti specializzati, la produzione di singole parti a diversi conto terzisti, farà assemblare il tutto da ulteriori soggetti, si farà sostenere da esperti di sistemi logistici per la movimentazione delle parti e dei prodotti e per il loro stoccaggio e per la loro commercializzazione si avvarrà di una catena di negozi in franchising multi prodotto e multimarca. L’idea di business del primo è di produrre e vendere seggiole in modo del tutto integrato, parte del core business è qualsiasi attività destinata a sostenere la realizzazione dell’idea di business. Nel secondo caso è difficile sostenere che la contabilità dell’azienda, i servizi di gestione del proprio personale, la logistica, la produzione, debbano essere considerati parte del core business e quindi non esternalizzabili . Elemento costitutivo del core business potrebbe essere, ad esempio, il solo sistema informativo dell’azienda e il pensiero e la capacità decisionale di chi integra le diverse componenti8. Quindi, il core business di un'azienda è la principale attività aziendale di tipo operativo che ne determina il compito fondamentale preposto ai fini di creare un fatturato ed un conseguente guadagno. Solitamente esso è supportato da altre attività aziendali che determinano l'organizzazione, la pianificazione, la strategia, gli strumenti con cui la stessa azienda si impegna nel proprio compito fondamentale. Esso è quindi strettamente connesso alle risorse e competenze distintive, cioè a quelle risorse e competenze che consentono a una determinata azienda di produrre in modo più economico e/o rispondere meglio alle esigenze della clientela. In pratica sono quelle risorse e competenze che sono:

 in grado di generare valore, nel senso che contribuiscono a mantenere rilevante il divario di produttività tra azienda e competitors in termini di maggiore capacità di creare valore per il cliente o maggiore capacità di contenere i costi aziendali;  rare o comunque poco diffuse tra i concorrenti attuali o potenziali;

8 L. Fumagalli-P. Di Ciocco(2002), L’outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione. La centralità delle persone nelle aziende di servizi, pp.19-20.

21  non perfettamente imitabili dai concorrenti;  organizzate, nel senso che l’azienda è cosciente del loro potenziale di utilizzo e si adopera per farne un elemento competitivo centrale del suo sistema di offerta9.

Le risorse sono quei fattori produttivi (singolarmente individuabili) disponibili e controllati dall’azienda e utilizzati strumentalmente per lo svolgimento delle diverse attività (produttive, commerciali e organizzative). Le competenze fanno riferimento, invece, alla capacità e alle attitudini dell’azienda nello svolgere una particolare attività impiegando, combinando e sviluppando le proprie risorse: esse scaturiscono da una complessa combinazione di attività, persone e processi. Le risorse vengono classificate in tangibili, intangibili e umane. Quelle tangibili si suddividono in patrimonio fisico (impianti produttivi, riserve materie prime, stabilimenti, ecc.) e in patrimonio finanziario (risorse finanziarie disponibili e attivabili); quelle intangibili in tecnologiche (brevetti, know-how, copyright, ecc.), reputazione presso interlocutori (immagine, marchio, affidabilità, ecc.) e cultura aziendale (valori, idee guida, ecc.); quelle umane in conoscenze, abilità, attitudini e motivazioni. Le competenze vengono, invece classificate in specialistiche (utilizzabili solo in specifici contesti) e generiche (versatili e utilizzabili in diversi contesti)10.

9 G. Invernizzi (2008), Strategia aziendale e vantaggio competitivo, p. 210.

10 S.B. Martini (2008), Introduzione dell’analisi strategica, pp. 77-85.

22 1.2 La storia

Nel Medioevo e nel Rinascimento le attività economiche del comparto tessile erano organizzate da mercanti imprenditori che acquistavano le materie prime e i coloranti da varie regioni del mondo e le affidavano ai vari artigiani specializzati nelle diverse fasi delle lavorazioni. Nel Seicento e nel Settecento la produzione dello zucchero, business fondamentale del periodo, era di nuovo distribuita in numerose fasi e l’imprenditore principale deteneva soltanto il controllo complessivo del ciclo stesso. Nell’Inghilterra dell’Ottocento, l’impresa di quel paese era spesso soltanto il punto di coordinamento di una rete di attività esternalizzate, di frequente distribuite a livello mondiale. Sebbene sono presenti nel corso della storia queste primitive forme di esternalizzazione, solo nella seconda metà del XX secolo (dopo la Seconda Guerra Mondiale) il fenomeno si espande a livello mondiale e il termine outsourcing nasce formalmente. L’esternalizzazione, dapprima applicabile ai beni, ha successivamente investito l’area dei servizi ed oggi sta interessando l’area dei processi. Nei primi anni ’70 sono iniziati i primi decentramenti, con l’esternalizzazione della produzione e della componentistica attraverso subforniture indirizzate prevalentemente ad imprese locali. Negli anni a seguire il fenomeno è cresciuto sia in volume che in qualità e, nei primi anni ’90, si è assistito ai primi outsourcing dei servizi. Verso la fine degli stessi anni, il fenomeno ha superato le dimensioni territoriali locali e sono iniziate le prime delocalizzazioni di attività e servizi verso paesi in fase di sviluppo nei quali i costi del lavoro sono, allora come adesso, inferiori rispetto a quelli europei. Negli anni 2000, infine, si è passati ad un vero e proprio decentramento strategico di interi processi produttivi, anche di elevato contenuto tecnologico. L’outsourcing, prima inteso come semplice decentramento tattico per razionalizzare l’attività produttiva, che aveva come primo obiettivo il recupero di efficienza su attività non primarie per l’azienda, si è trasformato in una scelta dettata dalle strategie del business che ha un forte impatto sulla struttura e sui processi dell’azienda.

23 Ci sono due differenti ipotesi sulla nascita dell’outsourcing. La prima ipotesi fa riferimento alla fine degli anni 80’, quando alcuni giganti dell’industria automobilistica negli Stati Uniti adottarono tale strategia per risanare le strutture contabili, divenute di difficile gestione a causa dello sviluppo smisurato delle attività complementari al core business. Il principio alla base della strategia era piuttosto semplice ed intuitivo: “far fare agli altri ciò che fanno meglio di noi”, al fine di ridurre i costi, migliorare il livello qualitativo dei servizi o dei prodotti intermedi necessari, disponendo così delle risorse necessarie per lo sviluppo di ciò che costituisce il vero business dell’impresa. L’altra ipotesi, invece, è quella che anticipa la nascita dell’outsourcing addirittura al 1962, quando Ross Perot fondò l’Electronic Data Systems 11, a seguito della separazione dalla General Motors12, con l’obiettivo di offrire servizi di gestione per i centri di elaborazione dati, più economici e competitivi rispetto a quanto le aziende avrebbero potuto realizzare al proprio interno. Si pensi che secondo una stima, negli Stati Uniti nel 1946 solo il 20% circa in media dell’attività di un’impresa industriale veniva dall’esterno, mentre nel 1996 tale proporzione era salita al 60% circa. I processi di outsourcing hanno avuto la loro prima applicazione su larga scala nelle imprese giapponesi e in particolare nei grandi “keiretsu13”, con la creazione di

11 HP Enterprise Services è una multinazionale appartenente al gruppo HP e si occupa dell'erogazione di servizi tecnologici e di business in outsourcing. Creata nel 1962 da Ross Perot con nome Electronic Data Systems (EDS), la sede principale è a Plano in Texas. Nel 1984 è stata acquisita dalla General Motors, ma nel 1996 è tornata ad essere un'azienda indipendente. Nel 2006 impiega 117.000 persone in 60 nazioni ed ha un giro d'affari di 19,8 miliardi di dollari. La società è presente nella classifica Fortune 500 come una delle più grandi aziende di servizi.

12 La General Motors Corporation, nota anche come GM, è un'azienda statunitense con sede a Detroit produttrice di autoveicoli, con marchi presenti in tutto il mondo, quali: Opel, Cadillac, Chevrolet, Daewoo, GMC, Holden, Vauxhall Motors e Buick. La General Motors è uno dei più importanti gruppi automobilistici mondiali, e storicamente è tra le prime aziende statunitensi per fatturato. Impiega oltre 200.000 dipendenti. Nel 2001 la GM ha venduto 8,5 milioni di veicoli tramite tutte le sue branche. Nel 2002 ha il 15 per cento di tutte le auto e i camion a livello mondiale.

13 Keiretsu è un termine giapponese che indica raggruppamenti di imprese, operanti in settori diversi, collegati da partecipazioni incrociate, reti relazionali e in generale vincoli non tanto giuridici quanto etici di appartenenza al gruppo. Il keiretsu in sostanza è un fronte unito di potenti società che operano insieme ma indipendentemente con lo scopo di perseguire obiettivi comuni e definiti. Solitamente al centro del Keiretsu vi sono una o più banche, che forniscono gran parte del capitale di finanziamento necessario, rendendo di fatto limitato il potere degli azionisti e permettendo così ai manager di avere una maggiore libertà d'azione.

24 rapporti molto stretti tra imprese e fornitori. In Italia il decentramento produttivo si è imposto come fenomeno di larga scala negli anni Sessanta a causa del notevole gap nel costo del lavoro tra imprese piccole e grandi: nelle grandi realtà, infatti, la forte presenza dei sindacati provocò un innalzamento relativo del livello salariale e, conseguentemente, del costo del lavoro. Una nuova forte ondata di decentramenti si è avuta alla fine degli anni 90’ in relazione al mutamento dei dati della lotta concorrenziale e alle peculiari caratteristiche che ha assunto il nostro modello di sviluppo: infatti tra il 1997 e 1999 il volume di affari del settore è aumentato nel nostro paese del 25%. Nel 2011, per quanto attiene allo sviluppo del mercato dei servizi di outsourcing, in Europa, il Regno Unito rappresentava da solo il 50% del mercato europeo, seguito dalla Germania (circa il 20%), dal Belgio (circa il 10%), e dalla Francia ed Italia (circa il 5% ciascuno, in recupero rispetto agli altri mercati). La dimensione annuale dei mercati europei dell’outsourcing è fortemente influenzata da pochi grandi contratti (ad esempio, Schneider e Renault in Francia; Fiat, Ferrovie dello Stato e Telecom in Italia). Il grafico successivo illustra la penetrazione dell’outsourcing nel mercato europeo (figura 1.1). Il livello di ricorso all’outsourcing a livello europeo (misurato come valore dei contratti di outsourcing rispetto al PIL) risulta significativamente più basso in Europa rispetto agli Stati Uniti, con l’eccezione del Regno Unito dove il livello di adozione rappresenta circa l’80% di quello statunitense (mentre l’Italia ha un tasso di adozione sotto il 10%del livello statunitense). A livello europeo, i fornitori internazionali di servizi di outsourcing (Accenture, IBM, Tata Consulting Services, ecc.) stanno guadagnando quote di mercato a discapito dei player locali: questo fenomeno è molto visibile in mercati come il Regno Unito ed il Belgio, mentre lo è meno in Germania e nell’Europa meridionale. Esiste una pressione crescente sulle grandi aziende a disinvestire i centri di servizio interni cedendoli a fornitori esterni, monetizzando i propri asset e ottenendo spesso migliori livelli di servizio. In Italia il ricorso all’outsourcing risulta in continua crescita sia nel settore pubblico che in quello privato. Ad oggi, l’esternalizzazione delle attività sullo

25 Figura 1.1 Penetrazione del mercato relativa all’outsourcing

scenario nazionale presenta ancora un livello di sviluppo minore rispetto ai trend che si stanno profilando a livello mondiale: le stime di crescita del mercato globale si attestano, infatti, all’8% annuo, a fronte di una media italiana del 2%. Inoltre, il mercato italiano è guidato da pochi grandi contratti e risulta ancora principalmente focalizzato sull’Information Technology outsourcing, che rappresenta oltre il 70% del mercato; l’outsourcing di processi di Business (BPO - Business Process Outsourcing) è ancora, invece, molto limitato, con pochi contratti nell’area del call center, della logistica e del facility management14.

14 Il facility management è la scienza aziendale che controlla tutte le attività che non riguardano il core business di un'azienda: produttività d'ufficio, utilities, sicurezza, telecomunicazioni, servizio mensa, manutenzioni, ecc. Nell'accezione oggi più comunemente utilizzata, per facility management si intende principalmente tutto ciò che afferisce alla gestione di edifici e loro impianti, quali ad esempio gli impianti di condizionamento, gli impianti elettrici, idraulici, d'illuminazione, ma anche i servizi di pulizia, ristorazione, giardinaggio, ecc. Il facility management viene spesso confuso con l’outsourcing. Quest'ultimo può, ma non necessariamente, essere adottato per tale tipo di gestione. Posto che per facility si intende ogni prodotto (tangibile) o servizio (intangibile) atto a supportare i processi primari di un’organizzazione (ossia qualsiasi elemento, anche un edificio, che sia stato costruito, installato o creato per supportare il core business aziendale), risulta chiaro che l'obiettivo primario del facility management è il coordinamento dello spazio fisico di lavoro con le risorse umane e l’attività propria dell’azienda. Il facility management, dunque, integra i principi della gestione economica e finanziaria d’azienda, dell’architettura e delle scienze comportamentali e ingegneristiche. Si tratta di un approccio integrato che

26 Resta un’ipotesi ancora remota lo sviluppo di un mercato di servizi destinato alle medie imprese italiane a causa della scarsa profittabilità per le aziende fornitrici dovuta ai costi di vendita elevati per raggiungere e svolgere consulenza a un portafoglio clienti così frazionato e ridotto, a meno di focalizzare il segmento di business e sfruttare al meglio accordi con player che hanno una rete di vendita distribuita. La concorrenza, dal lato dell’offerta, cresce con l’ingresso di nuovi player: dai player indiani ed europei (tra cui British Telecom che, con l’acquisizione di Inet, ha accresciuto la propria offerta di servizi) a quelli italiani. La tendenza di tutti i player è di ampliare il portafoglio di servizi offerti, offrendo una gamma molto ampia di servizi, completando le proprie capacità, sia sviluppando nuovi servizi, sia attraverso acquisizioni. Mentre nel Nord Africa (Egitto), ma anche in Spagna, le aziende fornitrici mirano attrattive per la fornitura di servizi nearshore15, gli imprenditori italiani hanno fatto poco per attrarre questo tipo di investimenti. Nonostante questo, diverse aziende hanno collocato dei centri di servizio in location nearshore del sud Italia. Negli anni si è verificata una progressiva estensione dei settori produttivi (industriale, manifatturiero, farmaceutico, facility management, bancario, ecc.) interessati da processi di esternalizzazione; questo ha portato, come si vede dal grafico in figura 1.2 ad esternalizzare con crescente frequenza alcuni processi ed a tenere “in casa” quelli legati al business strategico per la singola azienda.

presuppone lo sviluppo e l’implementazione di politiche, standard e processi che supportano le attività primarie, rendendo l’organizzazione in grado di adattarsi ai cambiamenti e di migliorare l’efficacia.

15 Per nearshore, si intende una situazione nella quale i servizi sono forniti da un paese estero diverso, seppure vicino, al paese che riceve i servizi.

27 Figura 1.2 Evoluzione dei processi esternalizzati negli anni

In Europa la Pubblica Amministrazione, le Banche e le Assicurazioni (BFSI), le Telecom ed il Manufacturing hanno mostrato un alto livello di ricorso all’outsourcing (figura 1.3). In Italia, invece, proprio Banche e Assicurazioni, Telecom e Pubblica Amministrazione si sono contraddistinti per una più significativa concentrazione nel ricorso ad alcuni strumenti di esternalizzazione

(figura 1.4). Il settore dei Trasporti, in particolare, guida il mercato seppur in forza di pochi grandi contratti.

28 Figura 1.3 Principali settori per adozione dell’outsourcing - Total Contract Value Europa 2004-2009

Figura 1.4 Principali settori per adozione dell’outsourcing - Total Contract Value Italia 2004-2009

29 Analizzando invece le attività che vengono maggiormente esternalizzate, vediamo che la maggior parte del mercato europeo dell’outsourcing è ancora rappresentato dall’IT (Information Technology) outsourcing ma, rispetto allo scenario di qualche anno fa, si cominciano ad osservare crescenti casi di Business Process Outsourcing (BPO) 16 non solo sulle aree più tradizionali dell’amministrazione, della contabilità, della gestione (amministrativa) del personale, ma anche su quelle più innovative, volte a compendiare, attraverso il servizio di outsourcing, la gestione esterna non solo di porzioni di processo, quanto piuttosto di una vera e propria catena del valore. Questo è illustrato nella figura 1.5 che mostra la percentuale di TCV (Total Contract Value, in italiano il valore totale dei contratti di outsourcing) tra le diverse funzioni sulla base di una ricerca del 2009. In generale il Business Process Outsourcing (BPO) permette di affidare ad un’altra azienda la gestione delle proprie attività di business. Il BPO si distingue dall’Information Technology Outsourcing (ITO), che si focalizza sul coinvolgimento di una società terza o di un fornitore di servizi per realizzare attività connesse all’IT, come la gestione e/o lo sviluppo applicativo, operazioni di data center o controllo e assicurazioni della qualità. Inizialmente il BPO era costituito da singoli processi di outsourcing, quali buste paga o conservazione dei documenti. Poi è cresciuto, includendo la gestione dei benefici dei dipendenti. Ora comprende una serie di funzioni che sono considerate non core per la strategia di business primario. Nel contesto attuale è molto comune per le organizzazioni esternalizzare una parte sostanziale di risorse finanziarie e dei processi di finanza e amministrazione (F&A), di gestione delle risorse umane (HR), i call center e altri servizi. Nella figura 1.6 troviamo una descrizione delle diverse aree in cui si ricorre maggiormente 17 . Molto interessanti sono i dati forniti da

16 Business process outsourcing (BPO) è una forma di outsourcing che coinvolge la contrattazione delle operazioni e responsabilità di una specifica funzione del business (o del processo) ad un service provider terzo.

17 Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2011), Il fenomeno delle esternalizzazioni in Italia. Indagine sull’impatto dell’outsourcing sull’organizzazione aziendale, sulle relazioni industriali e sulle condizioni di tutela dei lavoratori, pp. 14-17 e 51-53.

30 Freelancer.com18, tra le principali piattaforme online di servizi outsourcing. Un sondaggio svolto tra i titolari di 2mila imprese di piccola e media dimensione ha evidenziato come il 56% degli intervistati si sia affidato a servizi esterni tra il 2012 e i primi mesi del 2013. E se si parla della spesa specifica, gli investimenti nel settore sono cresciuti addirittura del 72%, ponendo l’Italia all’avanguardia nel mondo rispetto ai cambiamenti tecnologici più avanzati. Anche se, come la stessa ricerca evidenzia, si parla di consulenti e liberi professionisti: i free-lance, appunto. Non le «newco» che rappresentano l'occasione, e il rischio, nella corsa alle esternalizzazioni delle società italiane. Queste cifre confermano i dati economici che, nonostante l’attuale delicata congiuntura economica, vedono le aziende in Italia utilizzare l’outsourcing per diventare ancora più competitive.

Figura 1.5 Percentuale di Total Contract Value diviso tra le diverse funzioni – Europa

18 E’ la più grande piattaforma mondiale di outsourcing e crowdsourcing dedicata all’incontro tra domanda e offerta di lavoro indipendente.

31 I dati dell’indagine svelano anche che le registrazioni al sito sono aumentate del 37 per cento nel solo 2012, dimostrando che sempre più aziende in Italia hanno bisogno di esternalizzare i lavori high-tech, di traduzione e di marketing per consentire loro di raggiungere professionisti in tutto il mondo. L’analisi, condotta su tutte le 30.000 imprese italiane presenti su Freelancer.com, permettendo di avere uno sguardo lucido e dettagliato della situazione delle imprese italiane (soprattutto le PMI), ha rivelato che vi è stata una crescita del 46 per cento di assunzioni di ingegneri IT, il 34 per cento di web designer, il 28 per cento per i lavori in outsourcing di progettazione grafica, mentre il 26 per cento e il 14 per cento per lavori rispettivamente di scrittura e di marketing. “Le cifre di Freelancer.com – spiega Matt Barrie, Ceo di Freelancer.com – mostrano che l’Italia è destinata a diventare una delle economia in più rapida crescita in Europa per quanto riguarda l’outsourcing. Ciò significa che le piccole imprese italiane stanno assumendo esperti esterni per svolgere il lavoro che non possono portare avanti internamente: dalla progettazione di sistemi IT intelligenti che aiutino a gestire le loro aziende in modo più efficiente e di siti e-commerce dinamici, ad esperti di marketing, finance e contabilità19. Nel 2013, il mercato dei servizi It è andato in controtendenza: infatti ha visto sempre più aziende riappropriarsi di servizi precedentemente esternalizzati. Una recente indagine svolta da CIO.com ha analizzato in dettaglio l'orientamento dei responsabili It sull'argomento, registrando alcuni trend decisamente interessanti. Se le intenzioni dichiarate si concretizzeranno, il 2014 sarà, infatti, l'anno in cui le aziende torneranno ad assumere il controllo su buona parte dei servizi attualmente in outsourcing20.

19 www.ageabruzzo.it

20 www.cwi.it

32 1.3 La teoria economica

Spinti dall'evidenza empirica circa la crescente diffusione delle pratiche di esternalizzazione, sin dai primi anni ottanta gli economisti si sono interrogati sulle ragioni che spingono le imprese a ricorrere all'esternalizzazione.

1.3.1 Esternalizzazione e teoria dell'impresa

In una prospettiva microeconomica, il problema può essere visto come un nuovo modo di guardare al vecchio problema posto da Ronald H.Coase (1937) circa le determinanti dei confini dell'impresa. In altre parole, si tratta di individuare i fattori che giocano un ruolo nella decisione di produzione interna o ricorso al mercato, la Make or Buy question. Da questo punto di vista la questione si risolve nell'individuazione di quei fattori il cui cambiamento ha portato a ridisegnare i confini delle imprese. A tale scopo sono stati utilizzati gli strumenti concettuali sviluppati all'interno della teoria dell’impresa. Così, ad esempio, nell'ambito della teoria dei costi di transazione originariamente proposta da Oliver E.Williamson negli anni settanta, l'esternalizzazione e gli altri fenomeni di disintegrazione verticale dell'impresa sono stati messi in relazione con la diminuzione dei costi di transazione generata dalla diffusione delle nuove tecnologie informatiche. In questo modo, la grande impresa degli anni cinquanta si muove verso il modello delle imprese a rete, la rete di piccole e medie imprese consorziate per fare massa critica, competere nei mercati internazionali, mantenendo la loro flessibilità produttiva. Nell'ambito della teoria dei diritti di proprietà, formulata più di recente da Oliver Hart (1995), si è argomentato invece che, non esistendo alcuna relazione monotonica necessaria tra costi di transazione e grado di integrazione verticale, la diffusione dell'esternalizzazione è da ricollegarsi principalmente alla diminuita

33 complementarità degli asset associata con la diffusione delle nuove tecnologie, essendo tale complementarità secondo questa teoria l'unica variabile correlata positivamente con l'integrazione verticale. Nel primo decennio del XXI secolo, il problema dell'esternalizzazione va ponendosi in modo rilevante anche per le amministrazioni pubbliche italiane, sull'onda della diffusione della teoria economica della regolamentazione.

1.3.2 Esternalizzazione e costi di produzione

Le teorie sopra descritte non tengono tuttavia in alcun modo conto dei costi di produzione come di una delle possibili determinanti del grado di integrazione/disintegrazione verticale. Altri economisti si sono invece concentrati sui possibili effetti che l'esternalizzazione può avere su tali costi. I modi individuati attraverso cui l'outsourcing può aumentare l'efficienza produttiva riducendo i costi di produzione sono i seguenti:

 aumento del livello di specializzazione nello svolgimento di certe attività;  rifocalizzazione sulle core competencies o competenze distintive dell'impresa;  aumento della flessibilità dell'impresa, sia operativa che strategica  obbligo per l'impresa di sottomettersi alla "disciplina del mercato";  sfruttamento dei vantaggi derivanti dall'utilizzo di manodopera a basso costo per lo svolgimento delle mansioni meno qualificate.

a) Specializzazione ed economie di scala

Per quanto riguarda le diminuzioni dei costi derivanti dall'aumento della specializzazione conseguente all'outsourcing, queste sono strettamente collegate alle economie di scala, sia statiche che dinamiche, e alle differenti fonti di tali

34 economie: tecniche, organizzative, statistiche e collegate al potere di mercato. Dal punto di vista della teoria della produzione, Morroni (1992) fa notare che in tale ottica l'esternalizzazione può essere giustificato solo ammettendo la discontinuità della relazione tra costi medi e scala di produzione. In pratica le attività collaterali, non raggiungendo una scala di produzione minima al di sopra della quale diventa conveniente svolgerle internamente, possono essere utilmente esternalizzate a imprese specializzate in tali attività, che dunque servono più imprese. b) Competenze distintive e esternalizzazione: la lean organization

L'esternalizzazione è stato anche affrontato dal punto di vista della gestione strategica, analizzandone pro e contro e cercando di costruire una guida operativa in grado di orientare efficacemente le decisioni degli operatori in materia. In tale senso sembra orientata la recente letteratura sullo strategic management che ha enfatizzato il ruolo guida chiave delle core competencies (Prahalad e Hamel, 1990) o competenze distintive (distinctive capabilities) (Kay, 1993) nelle decisioni di esternalizzazione. In particolare, viene consigliata una strategia di "rifocalizzazione" sulle competenze core dell'impresa attuata tramite l'esternalizzazione delle attività collaterali. La teoria d'impresa distingue quindi aree aziendali core e non core e nell'ottica della lean organization (dall'inglese letteralmente "organizzazione snella") tutto ciò che non è core business può essere esternalizzato. Non è core tutto ciò che è parte dei cosiddetti processi di supporto, che, diversamente da quelli primari, non contribuiscono alla creazione di un output (prodotto e/o servizio) che ha un valore percepito dal cliente finale, che ha dunque una domanda di mercato e per il quale il cliente è disposto a pagare un price premium. La lean organization, focalizzata sui suoi prodotti e sul cliente, dovrebbe essere più competitiva e avere maggiori possibilità di crescita e profitto. Perciò, in tale ottica l'esternalizzazione non è limitato alle imprese in difficoltà

35 economiche, che altrimenti potrebbero fallire o licenziare. È praticato, anche più diffusamente da quelle con forti utili e investimenti per la crescita, dalle imprese che sono nel settore cash cow di una matrice Boston Consulting Group. Per tenere il trend di crescita, le imprese devono investire, ma anche riorganizzarsi al meglio, e per fare investimenti, talora si reperiscono risorse tagliando i costi. Ciononostante, è importante notare come una tale strategia può comportare una diminuzione dei costi di produzione solo ipotizzando implicitamente che lo sviluppo delle competenze distintive implichi necessariamente costi fissi. In pratica, dunque, questo modo di guardare al problema non è differente dal precedente, che mette in risalto i vantaggi in termini di aumentata specializzazione produttiva. c) Esternalizzazione come fenomeno guidato dall'offerta

Ancora riguardo ai vantaggi della specializzazione, è interessante osservare che, come notato da alcuni economisti, la recente diffusione dell'esternalizzazione può essere anche letta come un fenomeno supply-driven, ossia guidato dall'offerta. Domberger (1998) ad esempio osserva che la quantità crescente di imprese che forniscono servizi alla produzione può essere vista anche come una delle cause, oltre che l'effetto, della crescente diffusione dell'esternalizzazione di servizi, in quello che è una sorta di retroazione almeno in parte auto-alimentata. d) Esternalizzazione e flessibilità

Alcuni studi hanno anche evidenziato come esternalizzazione e possa di fatto aumentare la flessibilità delle imprese attraverso la riduzione dei costi di adattamento (adjustment costs). A questo riguardo va innanzitutto distinta la flessibilità operativa da quella strategica. La prima si riferisce alla capacità delle imprese di adattare la quantità e le caratteristiche della produzione entro un intervallo ben definito di alternative. La flessibilità strategica al contrario può essere definita come la capacità

36 dell'impresa di rispondere in modo efficace ai cambiamenti del contesto (Sanchez, 1995). Le determinanti della flessibilità, sia strategica che operativa, sono sia di ordine tecnico sia organizzativo. Assumendo che i costi di adattamento aumentino in modo più che proporzionale con la dimensione assoluta dell'adattamento richiesto, l'esternalizzazione può di fatto ridurre i costi distribuendolo tra più imprese (cfr. ad es. Carlsson, 1989; Domberger, 1998). Inoltre, si è notato come l'esternalizzazione possa anche aumentare la flessibilità strategica diminuendo la dimensione dell'impresa e quindi aumentando la velocità nell'adozione delle nuove tecnologie (Dean, Brown, e Bamford, 1998). Molti autori hanno anche evidenziato il ruolo prominente dell'esternalizzazione nella gestione delle risorse umane nel contesto dell'accresciuta ricerca di flessibilità del lavoro (e.g. Richbell, 2001; Marsden, 2004). Strettamente connessa a questo problema è la questione circa la natura della relazione esistente tra flessibilità interna dell'impresa e il cd external job churning. Alcuni economisti ipotizzano infatti che il costante tentativo di abbattimento dei costi fissi delle imprese attraverso riorganizzazione della produzione abbia in particolare portato alla sostituzione della flessibilità interna nell'uso del lavoro con un external churning (letteralmente "sommovimento esterno") dei lavoratori. In pratica si argomenta che, mentre prima le imprese sopportavano il costo di risorse umane inutilizzate nei periodi di bassa domanda, oggi cercano di "esternalizzarlo", creando così la necessità che siano i lavoratori stessi a sopportare il costo della riallocazione. In un recente lavoro empirico, Cappelli e Neumark (2004) hanno testato questa ipotesi contro quella alternativa di complementarità della flessibilità interna ed esterna del lavoro, trovando alcune evidenze in favore della prima, almeno nel caso delle imprese manifatturiere statunitensi.

37 e) Esternalizzazione e "disciplina del mercato"

Si è anche argomentato da parte di alcuni economisti che la diffusione dell'esternalizzazione sia in parte dovuta alla necessità che le imprese, sia pubbliche che private, sentono di sottomettersi alle leggi di mercato per aumentare l'efficienza allocativa delle risorse che utilizzano. Così, ad esempio, Domberger (1998) sottolinea come molte imprese private, e la maggior parte delle organizzazioni che operano nel settore pubblico, non sono in grado di stimare il costo su base disaggregata dei servizi collaterali alla produzione che svolgono e questo inevitabilmente allenta la possibilità di controlli sul budget. Di conseguenza, mentre una stima dei costi basati sull'attività non è una soluzione praticabile quando queste attività sono svolte internamente, lo diventa non appena sono esternalizzate, perché acquistano un prezzo di mercato preciso. Questo, insieme alla scissione delle figure di colui che fornisce il servizio e colui che lo acquista, dovrebbe avere effetti positivi sull'efficienza complessiva. f) Esternalizzazione e differenziali salariali

Un ruolo importante tra le determinanti dell'esternalizzazione, in particolare internazionale, è giocato dalle differenze nel costo del lavoro. Per quanto riguarda i confini interni, si argomenta che l'esternalizzazione di fasi di produzione, diminuendo la dimensione delle imprese coinvolte nel processo, diminuisce così anche il grado di sindacalizzazione degli operai, indebolendone la forza relativa nelle rivendicazioni salariali. Ma i differenziali salariali giocano un ruolo indubbiamente più importante nelle decisioni di delocalizzazione, che a volte comportano anche esternalizzazione internazionale, operate dalle imprese dei paesi più sviluppati che sfruttano così i vantaggi comparati dei paesi in via di sviluppo nella produzione dei beni ad alta intensità di lavoro. Il ruolo svolto da tali fattori nelle decisioni di esternalizzazione internazionale, e

38 più in generale nei fenomeni di specializzazione verticale e frammentazione internazionale, è l'oggetto di un numero crescente di lavori di taglio sia teorico che empirico. Si discute in particolare su quale sia stato l'effetto delle decisioni di delocalizzazione e esternalizzazione sulla cresciuta diseguaglianza sociale sperimentata dall'economie sviluppate negli ultimi anni, in particolare il cosiddetto high-skill bias della domanda di lavoro, che ha portato a una crescita dei differenziali salariali tra colletti bianchi (in inglese white collar o high-skill labor) e colletti blu (in inglese blu collar o low-skill labor)21.

1.4 Gli attori coinvolti

Gli attori coinvolti nel processo di outsourcing sono:

 l’outsourcer oppure provider, vendor, fornitore, cioè colui che si occupa di offrire i prodotti e i servizi realizzati in precedenza all’interno dell’azienda;

 il committente o il meno usato, in Italia, outsourcee, che invece è colui che rinuncia o cede all’esterno un segmento/ramo della propria azienda, per avvalersi di quanto prodotto dall’outsourcer;

 il cliente finale, che può essere sia esterno all’azienda oppure può far parte di un settore o di una divisione interni ad essa e che, in tal caso, viene indicato come cliente interno. In entrambi i casi si tratta dell’utente del servizio o dell’utilizzatore del prodotto realizzati in outsourcing.

21 it.wikipedia.org

39 Quindi, le figure in gioco sono tre, a meno che, il committente, oltre a gestire la parte contrattuale con il fornitore, non rivesta anche il ruolo di utilizzatore finale del servizio o del prodotto offerto in outsourcing, riducendo quindi gli attori a due. Nella maggior parte dei casi si tratta proprio di una terza parte: per i servizi commissionati dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici ad aziende private, dove i beneficiari sono i cittadini, come per esempio per l’esternalizzazione dei trasporti pubblici, oppure quando settori/divisioni interne all’azienda – clienti interni – si avvalgono del risultato di attività realizzate da altri settori/divisioni interne. In questo contesto il committente dovrà essere estremamente attento a controllare che le aspettative del proprio cliente – sia esso il beneficiario di un servizio pubblico o un cliente interno – siano quelle definite nel contratto di outsourcing, organizzando il post-servizio o customer survey, cioè stabilendo dei contatti diretti con il cliente finale, in modo da avere un riscontro su quanto attuato e finalizzato ad accertare che non si siano verificati dei disservizi che solo l’utente potrà percepire, essendo il beneficiario finale di quanto realizzato dall’outsourcer22.

1.5 Motivi per cui si esternalizza

Tutto ciò che non fa parte del core business, cioè l’attività per cui l’azienda è stata creata, può, anzi deve – secondo le ultime teorie a base della new economy – essere portato fuori dall’azienda, quando, dall’esame del rapporto costi/benefici, emerge che l’esternalizzazione di attività o di interi settori aziendali tende a far diminuire tale rapporto. La riduzione del “fabbisogno di impianti e attrezzature sofisticate, necessarie per l’esecuzione di attività

22 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 6-7.

40 periferiche rispetto a quelle che producono valore per l’azienda” è l’elemento chiave che agisce sui costi, mentre “la fornitura di un servizio impeccabile, realizzato da specialisti” permette di accrescere i benefici e quindi migliorare il valore del rapporto suddetto. A parte la diminuzione dei costi e l’aumento dei benefici, visto come un miglioramento delle prestazioni e del livello qualitativo di ciò che viene offerto all’azienda, ci sono altri motivi che spingono all’outsourcing, quali:

 la possibilità di avere a disposizione una maggiore liquidità da reintegrare nelle attività core business, quando parte delle capitalizzazioni vengono eliminate;  minori problemi nella gestione del personale, sia dal punto di vista contrattuale/sindacale che da quello della formazione e dell’addestramento.

Ma è soprattutto dall’internazionalizzazione dei mercati che le aziende di aspettano i maggiori vantaggi. Ciò vuol dire un allargamento dei settori in cui le aziende possono operare e la possibilità di localizzare all’estero la manodopera, per usufruire così dei minori costi sostenuti in quei mercati in cui il lavoro ma anche l’ambiente richiedono meno tutele. Quanto detto non riguarda solo il settore industriale: anche chi è nel terziario cerca di localizzare la propria attività dove risulta più conveniente, magari in paesi in cui è alto il background tecnologico, come l’India, già da molti anni esportatore di tecnici informatici e che negli ultimi tempi ha visto invece trasferire sul proprio territorio aziende estere, tramite l’offshore application management, riguardante l’outsourcing di risorse e servizi informatici. Inoltre, l’apertura di impianti/aziende nei paesi in via di sviluppo porta alla formazione di nuova domanda per i consumi in mercati dapprima inesistenti, innescando così un processo evolutivo. Un altro elemento chiave per la frammentarizzazione delle aziende è la garanzia di una maggiore flessibilità necessaria per affrontare un mercato che richiede

41 continui adattamenti e cicli di vita dei prodotti e servizi sempre più brevi: questo fa si che due terzi delle imprese mondiali si sia rivolta all’outsourcing e che di esso vengano date definizioni quali “one of the greatest organizational and industry structure shifts of century”23. Se fino all’inizio del millennio lo slogan “piccolo è bello24” veniva rivolto alle piccole imprese per far si che esse prosperassero in un’economia costruita invece prevalentemente sulla grande industria, oggi questo motto viene rivolto alle imprese medio-grandi, per convincerle a snellirsi, perché più si è agili e veloci ad adattarsi ai cambiamenti, più si ha la possibilità di sopravvivere e conquistare nuovi mercati25. Possiamo così, in maniera sintetica, riassumere quelle che possono essere le motivazioni che spingono un’azienda ad esternalizzare:

 riduzione dei costi (personale, impianti e macchinari sofisticati, ecc.);  necessità di avere un servizio/prodotto qualitativamente migliore, anche in settori non di punta;  mancanza di competenze specifiche;  riduzione del tempo necessario allo sviluppo di un prodotto o di un servizio;  necessità di avere un’azienda snella e flessibile;  temporaneità del processo da sviluppare;  reintegro liquidità da investire nel/i core business;  necessità di un rapido adeguamento ad un carico di lavoro in crescita.

Queste motivazioni ricadono tutte in uno di questi fattori: costi, risorse, tempo e qualità. Di fatto potremmo riassumere l’outsourcing come lo strumento migliore

23 James Brian Quinn, del Darmouth College, nella presentazione dell’European Outsourcing Summit del 2003, organizzato da Micheal F. Corbett & Associates, Ltd.

24 E.F Schumacher affermava, dopo la crisi economica degli anni 70’, che “small is beautiful” rilanciando il ruolo della piccola e media impresa, vincente rispetto alle grandi imprese, perché più flessibile ai cambiamenti del mercato. E.F. Schumacher, Piccolo è bello, Mondadori, Milano 1978.

25 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 3-4.

42 in nostro possesso per avere costi più bassi, le migliori risorse, il minor tempo (inteso come tempo per svolgere il processo, ma anche come time to market26) e la migliore qualità. Analizziamoli uno per uno partendo dai costi. Una delle caratteristiche dell’outsourcer è che è focalizzato su un particolare prodotto/servizio che per il cliente è invece spesso, ma non sempre, accessorio. Prendiamo per esempio il facility management, dove certamente non erano destinate le persone più promettenti, portandoli così a svolgere il loro lavoro (consapevoli di non essere considerati i migliori) di malavoglia e non con la maggiore efficienza possibile. Tutto questo si traduceva in un numero di persone maggiore di quello realmente necessario, di una minore attenzione ad esempio alle spese, e quindi in termini di costi interni di quel processo superiori all’ottimale. Per l’outsourcer funziona tutto esattamente al contrario. Poiché il facility management è il suo core business, tenderà a metterci le persone migliori, ed a mantenerle motivate. Inoltre mentre prima era destinato personale di staff allo svolgimento del processo (quando era interno), adesso tutte le persone coinvolte operano in prima linea perché a stretto contatto con il cliente. Non va trascurato poi l’effetto sinergico che un outsourcer può realizzare attraverso la specializzazione su un determinato servizio. Oggi viene valutato in almeno il 15% il risparmio generato dall’outsourcing rispetto alla soluzione interna. Le risorse per quel prodotto/servizio, accessorio nel caso del facility management, potrebbero non essere disponibili a causa di pensionamenti, o perché si tratta di un nuovo servizio per il quale non ci sono persone disponibili. Si potrebbero essere perse le conoscenze, o potrebbero non essere mai state acquisite. In ogni caso, difficilmente potremmo mettere insieme le risorse necessarie, con le giuste esperienze e la giusta qualità, per portare avanti quel prodotto/servizio meglio di chi ha fatto di quest’ultimo la propria missione.

26 Il Time To Market (o TTM) è una espressione anglofona che indica il tempo che intercorre dall'ideazione di un prodotto alla sua effettiva commercializzazione. Il TTM comprende le fasi di studi di mercato, studi di fattibilità, ingegnerizzazione, creazione di un prototipo, produzione in larga scala, immissione sul mercato.

43 Il tempo, anch’esso un tipo di risorsa, è diventato oggi uno dei principali colli di bottiglia. E soprattutto, il tempo in cui gestiamo anche le operazioni più banali è diventato per il cliente una misura della nostra efficienza. Infatti esso si aspetta che svolgiamo ogni attività nel più breve tempo possibile, specialmente quelle che sembrano più semplici, come consegnare un prodotto che dovrebbe essere a stock. Il tempo assume un ruolo significativo anche inteso come time to market, vale a dire il tempo necessario per progettare, realizzare e commercializzare il prodotto. Più breve sarà il tempo dedicato allo sviluppo, maggiore sarà lo sfruttamento commerciale del prodotto stesso. Evidentemente l’outsourcing svolge un ruolo importante nell’abbreviare questo ciclo, poiché mette a disposizione risorse non altrimenti utilizzabili. Infine la qualità. I quattro fattori citati sono, come è apparso evidente, tutti concatenati tra di loro. Ciascuno influenza l’altro, e questo è ancora più vero quando si parla di qualità. Processi farraginosi, risorse non motivate, troppe opportunità di errore conducono ad un unico risultato: una cattiva qualità globale percepita dal nostro cliente, e quindi alla perdita del cliente stesso. Anche in questo caso, l’outsourcer da il suo contributo grazie al fatto che il servizio/prodotto di cui si parla è il suo core business, e sarà perciò interessato a svolgerlo al meglio, indipendentemente dal settore nel quale va ad operare. Il cliente riuscirà in questo modo ad avere la stessa qualità nella manutenzione della rete dati, come nel servizio di riscontro fatture, portando tutti i processi allo stesso livello di attenzione. In realtà la qualità ricopre un ruolo particolare nell’outsourcing, poiché spesso è proprio questa la molla che fa scattare il meccanismo. La consapevolezza di offrire un servizio/prodotto non all’altezza delle aspettative del proprio cliente, la mancata capacità di mettere in campo azioni adeguate per fronteggiare le lamentele costituiscono in molte occasioni una delle motivazioni principali dell’outsourcing27. L’outsourcing ha come obiettivo principale l’abbattimento dei costi fissi, finalizzato a ottenere migliori indici di bilancio, ma il vero costo che le aziende

27 S. Valentini (1999), Gestire l’outsourcing. I passi fondamentali per avere successo in un processo di ottimizzazione, pp. 25-27.

44 vogliono ridurre e, se possibile, eliminare è principalmente quello relativo al personale. Non a caso, parallelamente alle politiche di outsourcing, si parla della necessità di rendere il mercato del lavoro più flessibile: l’esternalizzazione consente un alleggerimento della struttura aziendale anche attraverso la riduzione del numero dei dipendenti, lasciando invece invariato il fatturato o con l’obiettivo strategico di perseguirne un aumento. Sempre più frequentemente il personale coinvolto in questi movimenti ha un inquadramento contrattuale medio-alto: non si tratta di esternalizzare per lo più manodopera, come avveniva nei primi scorpori effettuati nell’industria manifatturiera, ma di eliminare figure, quali impiegati, quadri e dirigenti. Soprattutto nei servizi, come quelli bancari e dell’ICT28, dove in un passato non eccessivamente remoto i dipendenti avevano raggiunto più alte retribuzioni rispetto alla media degli altri settori di mercato, l’outsourcing consente di eliminare interi rami aziendali, per i quali il costo del personale ha una forte incidenza sul bilancio, e permette di raggiungere allo stesso tempo un’omogeneità e un livellamento degli stipendi agli standard di mercato. Le aziende, al cui interno viene inglobato il personale in uscita a seguito della politica di outsourcing, sono aziende nuove o che hanno già una propria esistenza nel settore, come per il full outsourcing; nel primo caso le neonate imprese scelgono normalmente contratti collettivi di lavoro meno favorevoli ai lavoratori rispetto a quelli già presenti nell’azienda madre: pertanto i dipendenti esternalizzati vedono peggiorare la propria collocazione professionale, specialmente se la nuova azienda ha una struttura organizzativa più piccola e quindi marginale sul mercato. Dalla formazione di nuclei aziendali più piccoli, dovuta allo smembramento di quelli di maggiori dimensioni, ne esce penalizzata anche la forza contrattuale dei

28 Le Tecnologie dell'informazione e della comunicazione, acronimo TIC (in inglese Information and Communication Technology, il cui acronimo è ICT), sono l'insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni (tecnologie digitali comprese). L'uso della tecnologia nella gestione e nel trattamento delle informazioni assume crescente importanza strategica per le organizzazioni. Le istituzioni educative in particolare prevedono, attraverso il proprio progetto educativo, appositi percorsi di formazione ed utilizzo trasversale delle TIC per le diverse discipline. Oggi l'informatica (apparecchi digitali e programmi software) e le telecomunicazioni (le reti telematiche) sono i due pilastri su cui si regge la “Società dell’informazione”.

45 sindacati: la storia del movimento sindacale ha origine nella grande fabbrica, dove è più facile informare e rendere i lavoratori maggiormente partecipi e compatti su obiettivi di comune interesse. Nelle imprese più piccole, quelle appunto con un numero di dipendenti inferiore alle 15 unità, le garanzie a tutela del posto di lavoro risultano indubbiamente minori. La politica di outsourcing si rende dunque complice della frammentazione dell’unità dei lavoratori e comporta, di conseguenza, un maggior individualismo fra i dipendenti: lo scontro non è più fra vertici aziendali e lavoratori ma tra chi rimane in azienda e chi viene esternalizzato, tra chi assumerà il ruolo del cliente e chi si troverà invece a lavorare per l’outsourcer. A rischiare non sono solo comunque i dipendenti ricollocati in aziende più piccole ma anche coloro che, avendo raggiunto una certa età, risultano di più difficile inserimento in un diverso contesto lavorativo. E qui vorremmo sottolineare le situazioni di ovvia tensione che possono verificarsi all’interno delle imprese dove si intende procedere con l’esternalizzazione attuando una politica di licenziamenti o di individuazione delle risorse da trasferire all’outsourcer, purtroppo abbastanza diffuse nella nostra attuale realtà economica e di lavoro. Quando l’outsourcer è un’azienda già operante e, come avviene il più delle volte, è nella fattispecie una multinazionale, il futuro dei dipendenti esternalizzati non si rivela molto più roseo: in questo caso l’obiettivo perseguito dall’outsourcer è quello di inglobare e concentrare quanto più possibile settori che potrebbero creare concorrenza, fino a dare origine a dei veri e propri monopoli; il personale interno viene pertanto assoggettato a politiche di riorganizzazione, tese più che altro a spostare le strutture aziendali dove il mercato del lavoro risulta più conveniente, particolarmente per quei settori dove il costo del lavoro è alto. Quindi, nulla di strano se, a seguito di nuove ristrutturazioni interne che riguardano questa volta l’azienda outsourcer, i dipendenti appena esternalizzati possono rischiare il trasferimento in altre sedi o, al peggio, il licenziamento. Inoltre le aziende estere offrono minori garanzie di stabilità rispetto a quelle

46 italiane: la chiusura di una multinazionale si rivela più semplice rispetto alla decisione di cessazione dell’attività, formulata da un’impresa made in Italy. Nei settori industriali, invece, le scelte di “emigrazione” prendono in considerazione non solo il costo della manodopera ma anche il rischio ambientale conseguente alla produzione. Se si tratta di industria inquinante, a maggior ragione conviene trasferire all’estero - in paesi dove le normative a tutela dell’ambiente sono meno rigide o, meglio del tutto inesistenti - tutto ciò che implica maggiori investimenti: impianti, dipendenti e…spazzatura29. In ogni caso il principale motivo per cui si esternalizza è quello di essere in linea con le esigenze di mercato, che sempre più chiede alle aziende di essere flessibili e veloci ai cambiamenti da esso imposti. Riorganizzazione, sburocratizzazione, snellimento dei processi, adeguamento tecnologico e al contempo qualità, affidabilità, efficienza e efficacia delle prestazioni sono un must della new economy, a cui le aziende devono adeguarsi, per rimanere sul mercato. Il ricorso all’outsourcing offre alle aziende nuove opportunità in termini di risorse, tempo, energie da convogliare nell’attività core, in modo da realizzare quest’ultima al meglio fino a diventarne specialisti e quindi in alcuni casi proporsi come outsourcer nel proprio settore30.

1.6 Quando e cosa si esternalizza

Prima di esternalizzare una parte della propria impresa è necessario però stabilire quale parte e soprattutto in cosa consista la parte in questione. Sembra una cosa ovvia, ma nella realtà si tratta di un aspetto che non risulta sempre di facile soluzione. Spesso come parte si intende una funzione aziendale e questo può andare bene quando vengono esternalizzati servizi ausiliari, come per

30 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 57-59.

47 esempio la gestione delle paghe e dei contributi piuttosto che il servizio di mensa o di sicurezza. Nell’industria invece, quando si sceglie di scorporare una specifica linea di prodotto, si procede con la deverticalizzazione attraverso il decentramento produttivo, teso ad abbattere i costi delle componenti della produzione, mediante il ricorso a fornitori esterni per l’acquisizione di semilavorati, eliminando così fasi del ciclo produttivo. Si parte da un diverso contesto quando l’esigenza di esternalizzare scaturisce dal fatto che l’impresa ha raggiunto dimensioni e struttura tali da renderne necessaria una riorganizzazione, volta a individuarne le componenti che incidono in maniera più pesante sui costi. In questa circostanza l’unità da prendere in considerazione è il processo, costituito da una serie di attività svolte da persone che avvalendosi di strumenti o apparecchiature, realizzano prodotti o servizi ben individuati, seguendo procedure interne all’azienda. L’articolazione delle procedure, il personale coinvolto, i flussi informativi formali e non formali necessari al raggiungimento dell’obiettivo finale non sono però sempre noti all’azienda, così come di solito non sono conosciuti con esattezza i costi e i tempi del processo, soprattutto se il risultato che esso vuole conseguire è un servizio o un bene che l’azienda utilizza al proprio interno, la cui quantificazione non incide direttamente sulle spese da imputare alla produzione collocata sul mercato. Infatti, i processi che l’azienda conosce meglio sono quelli che fanno parte del core business, quelli cioè che si rivolgono alla realizzazione di ciò che caratterizza la stessa impresa, per cui essa è stata costituita e che di conseguenza sa fare al meglio. Si tratta di processi il cui numero è limitato all’interno dell’azienda, più legati alle conoscenze e all’esperienza che essa possiede che alla proprietà di beni e strumenti. Specificatamente per questi processi, la misurazione dei costi da sostenere per la loro realizzazione è necessaria per determinare il prezzo con il quale l’azienda offre i suoi servizi o prodotti sul mercato e per calcolare l’utile guadagnato dalle vendite. Invece per i processi non core business la quantificazione di solito è fatta in maniera globale e la conoscenza delle varie fasi del processo non è riportata in

48 idonee procedure, la realizzazione delle quali a volte dipende esclusivamente dalla consuetudine, piuttosto che dal buon senso, dall’esperienza o dai rapporti di collaborazione tra i dipendenti. D’altra parte, la presenza di procedure stabilite e di rigida applicazione può anche rivelarsi come un ostacolo alla vita dell’azienda: immaginiamo quelle organizzazioni burocratizzate, dove processi lunghi e farraginosi richiedono il coinvolgimento di funzioni aziendali diverse, magari semplicemente per apporre una firma di validazione. Nel caso di voglia scegliere la strada dell’outsourcing, sia per processi formalizzati che per processi eccessivamente proceduralizzati, la loro determinazione deve essere seguita da un attento assessment, cioè un esame che valuti per ciascun processo due elementi importanti, riguardanti il rischio che comporterebbe per l’azienda la realizzazione del processo stesso da parte di terze parti e il grado di collegamento del processo al core business. A fronte di questi due elementi si potrà procedere alla collocazione di ciascun processo all’interno di una matrice di Venn (Figura 1.6). La matrice risulta organizzata in quattro quadranti: nell’area ad altro rischio e alto collegamento al core business sono inseriti tutti i processi che necessariamente devono rimanere in azienda, mentre al contrario tutto ciò che comporta un basso rischio e un minimo collegamento alla mission aziendale, facendo parte delle attività accessorie, può essere quindi esternalizzato. Per esempio un’azienda manifatturiera considererà le attività collegate le attività collegate alla gestione amministrativa del personale molto distanti dal proprio core business, per cui potrebbe ritenere più semplice avvalersi dei servizi offerti da un provider, che si occupa esclusivamente delle paghe e dei contributi, piuttosto che avere al proprio interno del personale addetto allo svolgimento di tali compiti. Nel grafico risultano presenti due aree critiche, quelle ad alto rischio, non legate al core business e, al contrario, quelle vicine alla mission, ma che non comportano alcun rischio per l’impresa. Un esempio di attività critiche del primo tipo, cioè quelle di cui l’azienda ha già valutato l’alto livello di rischio nel

49 Figura 1.6 Matrice di valutazione del rischio legato all’outsourcing

procedere all’esternalizzazione, benché non si tratti di attività legate al core business, è la gestione del sistema informatico, settore che in maniera sempre più diffusa viene affidato all’outsourcing. Nonostante nella maggior parte delle aziende questo settore sia sussidiario e di ausilio al core business, è comunque da valutare quanto il blocco dei sistemi informatici vada a impattare sull’intera funzionalità aziendale, quali siano i rischi da affrontare nel caso si verifichi un fermo macchina e quali vantaggi nel ricorrere a un fornitore esterno piuttosto che avvalersi di personale interno. Un esempio di alto collegamento al core business ma di basso rischio è quello della produzione di semilavorati all’interno di un’azienda industriale. Affidarsi a un fornitore esterno per l’acquisto di componenti che partecipino alla realizzazione del prodotto finito può rivelarsi un vantaggio in termini di

50 abbattimento dei costi se il fornitore esterno vende tali componenti a prezzi più bassi, perché utilizza una tecnologia più avanzata oppure sfrutta le economie di scala derivanti da una produzione intensiva. L’incognita da valutare è limita all’esigenza di ottenere i semilavorati in tempi e quantità idonee a soddisfare i ritmi della produzione interna, ma una gestione adeguata delle scorte e la presenza di altri fornitori sul mercato possono abbassare il livello del rischio e far propendere per la scelta dell’outsourcing. I processi che si collocano nei quadranti critici devono invece essere oggetto di un’approfondita considerazione da parte del committente, non solo nella fase decisionale ma anche durante la stesura del contratto di outsourcing, affinché le situazioni di rischio possano essere circoscritte anche a esternalizzazione effettuata, attraverso opportuni controlli che prevengano il verificarsi di situazioni pericolose per l’impresa. Non dovrebbero mai essere affidati in outsourcing i processi core business e ad alto rischio di realizzazione da parte di terzi: ma le aziende del futuro arriveranno anche a fare questo. All’individuazione dei processi da esternalizzare seguirà l’analisi dettagliata degli stessi processi, durante la quale verranno individuati gli obiettivi specifici, lo scopo, le persone coinvolte, i tempi, la gestione delle eccezioni, le criticità, l’escalation e soprattutto i costi, cioè tutti quegli elementi che servono per valutare se il ricorso all’outsourcing non si riveli piuttosto che un risparmio, un aumento delle spese, quando l’offerta dell’outsourcer comporti una spesa superiore a quella raggiunta all’interno. Inoltre la conoscenza dettagliata dei processi permette di comunicare con esattezza all’outsourcer cosa si vuole che egli realizzi. Tanto più il processo risulta complesso, poco noto, trasversale all’interno dell’azienda, tanto più sarà difficile organizzare il disegno procedurale. Spesso infatti le attività aziendali si sviluppano attraverso settori contabilmente distinti, benché facciano parte di un unico processo; pertanto l’impatto organizzativo risulta molto vasto da delineare: proprio in simili situazioni sarà importante che l’azienda acquisisca la conoscenza del processo, in modo da poterne affrontare, con il giusto approfondimento, il passaggio all’outsourcer. Il Business Process

51 Outsourcing31 (BPO) necessariamente si riferisce a un intero processo: non è possibile esternalizzare una mera attività, poiché l’unità di riferimento è quella che permette di realizzare un obiettivo specifico di business. Benché possa sembrare ovvio che non convenga rivolgersi a un fornitore esterno se prima non si conoscono con esattezza quali siano i costi effettivi che l’azienda sostiene al proprio interno, spesso nella realtà avviene che si decida per l’outsourcing anche quando non si ha ancora a disposizione una reale stima economica. C’è però un aspetto oggettivo da considerare: conviene esternalizzare quei processi che trovano sul mercato dei provider in grado di assicurare forniture a prezzi più bassi e con un livello di qualità uguale o superiore rispetto a quanto realizzato. Il ricorso all’outsourcing a parità di prezzo e qualità può essere giustificato solo per aziende la cui struttura sia diventata così faraonica o ingestibile da rendere improrogabile un intervento di frammentazione, finalizzato a recuperare flessibilità. Si tratta in questo caso delle politiche di downsizing, che comportano un alleggerimento della struttura aziendale attraverso la riduzione degli addetti a fronte del perseguimento sia di un pari fatturato che di un aumento dello stesso; tali politiche si sono sviluppate in Italia a partire dagli anni 90’, quando la nascita di nuove imprese, appartenenti al settore terziario specializzato, ha permesso il ricorso al mercato anche per quei processi fino allora svolti esclusivamente all’interno delle aziende. Un po’ quello che vent’anni prima era successo per le produzioni industriali, quando le catene di montaggio venivano robotizzate o scorporate per essere trasferite in aziende satelliti oppure spostate all’estero con le politiche di deverticalizzazione. Anche nell’ambito manifatturiero, a seguito della nascita di aziende specializzate, si sono venuti a creare nuovi servizi per i quali è possibile il ricorso

31 Con il tempo, tale definizione ha assunto le caratteristiche di categoria residuale atta ad ospitare tutti i servizi di outsourcing che non riguardano l’ambito dei sistemi informativi, includendo quindi qualunque processo aziendale dato in gestione a terzi parte dell’azienda. Tipicamente le funzioni aziendali più spesso oggetto di tali operazioni sono amministrazione, finanza e controllo, logistica e customer care.

52 all’outsourcing: pensiamo agli approvvigionamenti e alla logistica, comprensiva della gestione del magazzino, della distribuzione e del trasporto, alla gestione dei rifiuti, al riciclaggio, alla manutenzione degli impianti di produzione. Quindi a fronte della definizione e della quantificazione dei costi, relativamente ai processi che si vogliono esternalizzare, l’azienda deve procedere con l’attività di benchmark, finalizzata a confrontare i propri costi interni con le offerte che provengono dai fornitori presenti sul mercato, ammesso che ce ne siano. La scelta dell’outsourcer dovrà infine considerare il seguente rapporto:

푝푟푒푠푡푎푧푖표푛푖 푞푢푎푙푖푡à = ≥ 1 푏푖푠표푔푛푖 dove le prestazioni sono quelle offerte dall’outsourcer e i bisogni sono quelli dell’utente finale; tale rapporto deve essere maggiore di 1 per ottenere un livello di qualità uguale o superiore a quello che si ottiene con prestazioni sviluppate all’interno dell’azienda32. Le modalità che portano alla deverticalizzazione, cioè all’esternalizzazione di un ramo aziendale o della produzione di un manufatto, sono diverse a quelle che hanno come obiettivo l’esternalizzazione di un servizio. Ciò è dovuto, soprattutto alla difficoltà nella determinazione del risultato che si vuole raggiungere: il prodotto è un elemento oggettivo e l’outsourcing della produzione di un bene comporta la definizione delle specifiche a cui quest’ultimo dovrà risultare conforme, nonché la precisazione dei tempi e delle modalità relativi alla stessa fornitura. Conseguentemente devono essere previsti i controlli su ciò che viene realizzato in outsourcing, da effettuare in modalità periodica o su un campione, a seconda del tipo di bene che si vuole produrre e del livello di adeguatezza e qualità che l’outsourcer deve raggiungere: più il prodotto si rivela complesso, di alto valore o per il quale sia necessario garantire un elevato livello di conformità ai requisiti, maggiore dovrà essere l’attenzione nella definizione delle specifiche e più elevato il livello di dettaglio delle verifiche. Malgrado ciò, la

32 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 15 -18 e 19-21.

53 determinazione del risultato da raggiungere si basa su un elemento concreto qual è il prodotto stesso; diverso è invece quando si procede all’outsourcing di un servizio, che ha per sua natura, un carattere soggettivo e quindi è suscettibile di una valutazione personale, in relazione alle aspettative dell’utente che dovrà usufruirne. Intanto definiamo esattamente cosa si intende per servizio: si tratta della prestazione di lavoro, di natura essenzialmente intangibile, svolta a vantaggio di un committente, non necessariamente accompagnata dalla fornitura di un bene e che non sottintende un passaggio di proprietà. In fase di contrattazione, la definizione di tutto quello che attiene la fornitura del servizio risulta estremamente delicata, perché essa deve tener conto non solo di quanto si vuole erogare al committente. Nel contratto dovranno essere quindi stabiliti i requisiti del servizio, attraverso i quali devono essere delineate le esigenze da soddisfare, gli obiettivi da raggiungere, in termini di quantità, qualità, tempi e criteri di attivazione e di chiusura della prestazione. I soli requisiti non bastano comunque a determinare se il servizio, quando erogato, abbia raggiunto in tutto oppure in parte le aspettative del committente o, nel peggiore dei casi, si sia rivelato come un disservizio. Infatti, la definizione di una prestazione deve esprimere i requisiti in modo misurabile, attraverso l’uso di appropriate metriche e scale di valori, che consentano al fornitore e al committente di pervenire, anche per la fornitura di un servizio, a una valutazione oggettiva del risultato raggiunto. In questa fase, che potremmo chiamare di graduazione, sarà inoltre possibile definire più indicatori per una stessa prestazione, ciascuno riferito a un aspetto peculiare dello stesso servizio. Pertanto il fornitore, fissando i valori di riferimento minimi della prestazione, può stabilire, per ciascun indicatore, i propri livelli di servizio, che vengono descritti nel Service Level Agreement (SLA o “accordo di servizio”)33 redatto all’interno del contratto di fornitura o in un documento ad esso allegato.

33 Es. Nel caso della riparazione del guasto di un server, lo SLA potrebbe essere per quanto riguarda il tempo di intervento: “entro 3 ore lavorative dalla chiamata il tecnico deve iniziare la riparazione”; e per quanto riguarda il tempo di risoluzione: “entro 4 ore lavorative dall’inizio dell’intervento”.

54 Contestualmente e in modo analogo a quanto avviene per la fornitura di un prodotto vengono stabilite le penali, che il fornitore dovrà riscuotere dal committente, quando i risultati si riveleranno eccellenti. A differenza di quanto avviene in un contratto d’appalto, nella fornitura dei servizi non devono essere comprese le specifiche del servizio, cioè le attività, svolte dal fornitore, finalizzate all’erogazione della prestazione, a meno che non si tratti di outsourcing di base: il processo che porta alla realizzazione del servizio infatti fa parte del Service Level Management, di competenza del fornitore, il quale si impegna a organizzare al meglio le proprie risorse per raggiungere quanto pattuito negli SLA. Ciò comporta, da parte del committente, un minore aggravio in termini di controlli, che verteranno esclusivamente sulla considerazione del servizio finale e non sul processo di realizzazione dello stesso: è, infatti, di suo arbitrio solo cosa viene erogato e non come viene eseguito34. Infine parlando appunto di outsourcing di servizi, dobbiamo sottolineare in maniera particolare quella che è l’esternalizzazione dei sistemi informatici (ICT). La nascita della net-economy è stata l’elemento che reso più evidente come, per i settori che si occupano proprio dell’ICT interni alle aziende, sia fondamentale un adeguato e immediato adattamento ai nuovi prodotti e alle nuove tecnologie, e a volte imposti più dal mercato e dai mass media che resi necessari da reali esigenze di sviluppo aziendale. Alla fine degli anni 90’ le imprese hanno dovuto far fronte a una serie di emergenze: per i paesi dell’Unione europea si è dovuto provvedere all’allineamento all’euro, in tutto il mondo informatizzato si è dovuto far fronte al bug dell’anno 2000 (Y2K) 35 e al passaggio all’architettura TCP/IP (Transmission Control Protocol/ Internet Protocol), cioè a Internet.

35 Millennium bug, conosciuto anche come Y2K bug, è il nome che è stato attribuito ad un potenziale difetto informatico (bug) che avrebbe potuto manifestarsi al cambio di data dalla mezzanotte del 31 dicembre 1999 al 1º gennaio 2000 nei sistemi di elaborazione dati, sia personal computer che grandi elaboratori (mainframe) e controllori di processo dedicati embedded. Principalmente, il rischio derivava dalla possibilità che fossero ancora in uso rappresentazioni sintetiche della data, con le sole ultime due cifre per indicare l'anno. Questo metodo era stato in effetti molto utilizzato nella "preistoria" informatica,

55 Euro e Y2K hanno fatto capire alle aziende quanto fosse difficile gestire la manutenzione e l’implementazione di applicazione informatiche senza ricorrere a specialisti esterni: successivamente i problemi connessi all’adeguamento a un mercato web based hanno rafforzato questa idea. Così la strategia che consiglia di avvalersi di servizi preconfezionati, se non proprio affidati a terze parti esterne, si è confermata come quella più semplice da attuare, rispetto a quella più complessa che vede di avvalersi di proprie risorse interne per affrontare la modernizzazione e l’aggiornamento delle strutture e delle applicazioni. La nuova architettura, infatti, richiede infrastrutture diverse da quelle preesistenti e conseguentemente necessita di personale con un’idonea formazione, rivolta a implementare e gestire le nuovi soluzioni. Queste circostanze hanno quindi fatto prevalere la politica del ricorso a service provider esterni, se non proprio quella più drastica dell’outsourcing. Il carattere persuasivo dell’ICT ha influenzato la politica dell’outsourcing sotto un duplice. In primo luogo, le aziende al di fuori del circuito degli scambi informatizzati e che non si avvalgono più di un efficiente sistema informatico nella gestione dei propri processi sono destinate ad avere vita breve. In secondo luogo, le soluzioni e le applicazioni informatiche utilizzate da imprese appartenenti alle stesse aree di mercato sono fin qui sempre le stesse e quindi nel tempo il fatto che il mercato proponesse soluzioni “chiavi in mano" ha fatto si che le aziende impiegassero sempre meno le risorse interne in attività di progettazione, sviluppo, gestione e manutenzione dei sistemi ICT: la logica buy ha prevalso sulla logica make. C’è però da sottolineare che l’ICT, benché possa sembrare strumentale alla vita di un’azienda, sta diventando sempre più una parte strategica dell’impresa, a quando la memoria era scarsa e costosa. In queste condizioni, un sistema affetto dal bug avrebbe frainteso "2000" con "1900", con conseguenze difficili da immaginare. Già nella metà degli anni ottanta la comunità internazionale iniziò ad interessarsi al problema. Temendo conseguenze catastrofiche per l'economia o la salute, quali ad esempio il blocco delle centrali elettriche o nucleari, istituti bancari o reti di telecomunicazione, vi furono ingenti investimenti volti alla rimozione delle cause del bug. Il British Standards Institution (BSI) istituì la certificazione di conformità all'anno 2000 (Y2K compliance, in inglese) per i sistemi esenti o corretti in modo appropriato e che integrava anche il tema degli algoritmi per il calcolo degli anni bisestili. Al cadere della data critica non fu registrato nessun evento significativo dagli osservatori preposti.

56 prescindere dalla mission che essa intende perseguire. La correlazione tra business e ICT diventa sempre più stretta e pertanto le aziende rischiano di perdere in competitività con i propri clienti a causa della mancata o inefficiente realizzazione di un progetto informatico o del ritardo con cui esso viene reso operativo. Il settore ICT deve essere quindi posto costantemente sotto il controllo della governance36 aziendale che assume un forte rischio nel delegare a terzi processi di tipo strategico, quali sono appunto diventate le attività legate all’ICT. Proprio per questi motivi negli ultimi anni, per quanto riguarda questo settore, sempre più aziende si sta riappropriando dei servizi precedentemente esternalizzati (come abbiamo già visto nella parte della storia)37. In sintesi, l’oggetto del trasferimento, compatibilmente con una precedente analisi delle competenze distintive nell’ambito del business aziendale, può essere:

 parte o componente del processo produttivo;  intere fasi del processo produttivo;  attività ausiliare;  attività di supporto;  fasi elementari di centri funzionali;  processi di natura interfunzionale.  servizi (manutenzione, mensa, ecc.)

36 La locuzione governo d'impresa o governo societario (in lingua inglese corporate governance, informalmente e più genericamente governance) si riferisce l'insieme di regole, di ogni livello (leggi, regolamenti etc.) che disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente(diritto), pubblico o privato.

37 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, pp. 43-46 e 89-91.

57 1.7 Distinzione tra outsourcing e altre forme di esternalizzazione

La distinzione fra l’outsourcing e le altre tipologie di esternalizzazione non è immediata e facilmente definibile, in quanto esistono caratteristiche comuni fra tali forme. Gli elementi che caratterizzano un fenomeno di esternalizzazione sono sostanzialmente due:

 delega operativa assegnata al fornitore;  ampiezza e tipologia delle attività.

Riportando i due parametri sugli assi di un diagramma cartesiano è possibile evidenziare le varie tipologie di esternalizzazione: dalle subforniture, ai servizi, all’outsourcing, al BPO (business process outsourcing, outsourcing di interi processi aziendali) 38(Figura 1.7). La subfornitura è la forma di esternalizzazione più nota e diffusa. Il subfornitore è un erogatore esterno di prodotti o servizi che sottostà completamente alle direttive dell’azienda cliente. Il subfornitore in questo caso è il soggetto con determinate capacità di produzione, il cui prezzo deve essere minimizzato di continuo attraverso una comparazione con altre offerte proposte da altri fornitori, i quali, in caso di migliore offerta, potranno prendere il posto del loro collega. L’evoluzione della figura del subfornitore è però, oggi, protesa verso una maggiore professionalità; essa, infatti, è chiamata sempre più spesso a dare il proprio contributo nella progettazione o anche nella ricerca e sviluppo39. L’esternalizzazione dei servizi consiste nella delega dell’azienda dei servizi collaterali alla produzione (business services o producer services), come la

38 P. Gilotto, Outsourcing, op cit., pp.163-164.

39 A. Farchione (2006), L’outsourcing è spesso un modo interessante per conseguire un interessante vantaggio competitivo, p.42.

58 Figura 1.7 Tipologie di esternalizzazione

gestione del personale, i servizi informatici e i servizi di consulenza. Tale forma di esternalizzazione viene anche chiamata service contracting-out. L’outsourcing si distingue, quindi, dalle altre forme di esternalizzazione per una spiccata delega assegnata al fornitore che si spinge, nel caso del BPO, ad una delega sui processi fondamentali e primari dell’azienda quali: information tecnology, human resources, finance, costumer care, call center e accounting. Proprio per questa ragione, questo lavoro si concentrerà sull’outsourcing, trascurando le altre forme di esternalizzazione. Infatti, oggi l’outsourcing viene utilizzato dalle aziende per attività decisamente fondamentali, con una scelta effettuata non solo su variabili economiche, ma anche di natura strategica. Questo implica, che al contrario delle altre forme di esternalizzazione, l’outsourcing può comportare, in caso di errori di valutazione, conseguenze assai rilevanti per l’equilibrio aziendale.

59 1.8 Tipologie di outsourcing

L’outsourcing non ha un unico formato e le differenti tipologie che lo contraddistinguono variano in base al contesto in cui esso viene applicato: si va dal transfer outsourcing, in cui si assiste a un trasferimento all’outsourcer delle piena proprietà di un intero ramo di azienda40, allo spin-off, dove oltre al transfer outsourcing si intravede, da parte dell’impresa cedente, l’obiettivo di creare un fornitore del tipo one to many. In pratica chi ricorre all’outsourcing crea una nuova azienda, con una propri autonomia finanziaria, costituita con la parte esternalizzata dei propri dipendenti, strumentazioni e processi e della quale mantiene il controllo. La neonata azienda avrà come mission la vendita di servizi/prodotti prima realizzati all’interno della casa madre, la cui commercializzazione sarà rivolta non solo a essa ma anche a nuovi clienti: ciò avviene per le aziende che, avendo per esempio un efficiente centro elaborazione dati oppure un’ottima équipe di sviluppatori software, si organizzano per autonomizzare le proprie infrastrutture, beneficiando direttamente dei vantaggi dell’outsourcing, per ciò che riguarda la gestione interna, e indirettamente, per quanto attiene la vendita sul mercato dei servizi esternalizzati a nuovi clienti. In questo contesto è diverso l’atteggiamento dei quadri intermedi nella fase di trasferimento dell’impresa perché, a fronte della generazione di nuove opportunità di business, queste figure professionali possono in concreto beneficiare di incarichi più importanti e di prestigio nella nuova azienda che appunto si viene a costituire. Lo spin-off è di tipo group outsourcing quando la società a favore della quale è stato attutato il trasferimento rimane interamente controllata dal committente, oppure può comportare la nascita di una società a capitale misto, quindi si parlerà di outsourcing joint venture quando il settore trasferito viene incorporato in una

40 “Per ramo d'azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c. (così come modificato dalla L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica autonoma e organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, senza che sia necessaria anche la completezza materiale e l'autosufficienza del gruppo.”

60 nuova società a capitale misto formata da chi esternalizza e da altre aziende presenti sul mercato, secondo gli schemi propri della joint venture. In entrambe le situazioni si assiste a una differenziazione delle core competencies fra il committente e il fornitore, a una più forte condivisione dei rischi ma anche dei proventi. In ogni caso, per l’azienda che si viene a formare, si tratta di uno sviluppo delle conoscenze specifiche del settore, mentre l’azienda che esternalizza punta con maggiore sicurezza sull’instaurarsi di un rapporto di partnership con l’outsourcer, soprattutto quando, detenendone una quota maggioritaria, è in grado di influenzarne la strategia e le scelte. Inoltre, poiché il mercato italiano ha presentato, almeno fino a oggi, una maggiore sindacalizzazione rispetto a quello americano, c’è da osservare come spesso qui da noi si sia preferito operare attraverso strategie di spin-off o di joint venture per evitare problemi dovuti al trasferimento piuttosto che al licenziamento di risorse umane, difficoltà invece presenti nel simple outsourcing, dove si prevede la cessazione dell’attività sino a quel momento svolta all’interno dell’azienda e l’acquisto del prodotto/servizio sul mercato esterno. In questa fattispecie vengono quindi allineati le strumentazioni e i beni collegati alle attività che vengono a cessare, mentre, per quanto riguarda il personale, si ricorre direttamente al licenziamento, a meno che le risorse impegnate nel settore da esternalizzare non possano essere convertite a svolgere altre attività. Ancora diverso, è il full outsourcing o outsourcing globale, poiché il ramo d’azienda ceduto rimane in vita, mentre si assiste alla nascita di una partnership fra la parte cedente e l’outsourcer. A differenza di quanto avviene nello spin-off, nel full outsourcing l’azienda che ingloba al proprio interno i processi dell’azienda cedente o almeno una loro parte è già presente sul mercato e, benché il nome attribuito a questa modalità di outsourcing possa far immaginare diversamente, il committente potrebbe scegliere di lasciare al proprio interno alcune attività che preferisce, in accordo con l’outsourcer, mantenere in azienda: fondamentale è che egli condivida con l’outsourcer degli obiettivi comuni.

61 Il full outsourcing potrebbe implicare il transformational outsourcing quando, contemporaneamente all’esternalizzazione dei processi, committente e outsourcer procedono alla riorganizzazione degli stessi. A differenza del full, l’outsourcing di base prevede invece un pieno controllo da parte del committente sulle attività realizzate all’esterno: nessuna condivisione di obiettivi, quindi, ma un mero abbassamento dei costi di realizzazione e un mantenimento della struttura organizzativa, non solo tesa alla verifica dei risultati raggiunti ma articolata anche per sovrintendere gli aspetti strategici e gestionali. Ciò non è dettato da una mancanza di fiducia nei confronti del cliente, ma dal tipo di processo che si va esternalizzando e che potrebbe implicare una minore condivisione di intenti con l’outsourcer o il necessario controllo sulle funzioni portate all’esterno: da qui l’altro nome con il quale viene identificato, cioè quello di outsourcing funzionale. Inoltre si può ricorrere a fornitori diversi per processi diversi, stipulando più contratti, come previsto per il selective outsourcing, nel quale per esempio si può scegliere di delegare all’esterno le infrastrutture ICT, magari con una certa gradualità, secondo i seguenti step:

 facility management, per la cessione delle infrastrutture e della rete;  desktop outsourcing, finalizzato alla gestione esterna dei desktop e dei sistemi distribuiti;  application management, per la manutenzione di applicazioni e procedure software.

Il vantaggio di un outsourcing di tipo selective risiede nel fatto che, rivolgendosi a multiple-supplier, il committente differenzia il fornitore, non si sente vincolato alle scelte di quest’ultimo e indirettamente ne incoraggia la competitività e l’aggiornamento tecnologico e delle infrastrutture. Infine, si tratta sempre di outsourcing quando viene esternalizzato il servizio di riscossione di crediti con il factoring, dove il factor acquista dalle imprese clienti i crediti non ancora esigibili, che esse vantano verso i propri clienti.

62 Per le imprese più piccole invece, una soluzione è quella di creare società consortili, formate con la partecipazione di gruppi di aziende collegate per vincoli di territorialità, piuttosto che per l’appartenenza a un medesimo settore di mercato, a cui demandare la gestione per esempio del sistema informativo. I costi per la gestione vengono così suddivisi tra più soggetti, risultando di conseguenza accessibili, anche a piccole imprese, servizi di qualità e ad alto contenuto tecnologico41. Finora l’attenzione è stata focalizzata solo sulle imprese già operative o che, avendo al proprio interno le attività da esternalizzare, devono subire una trasformazione che non può prescindere da una certa complessità, mentre abbiamo detto che risulta una situazione differente per le aziende di nuova costituzione o che si rivolgono da subito a fornitori esterni per approvvigionarsi di prodotti/servizi fino a quel momento non realizzati al proprio interno. Per queste aziende, organizzarsi direttamente su una piattaforma di fornitura esterna può davvero rivelarsi la chiave vincente per raggiungere in tempi brevi alti profitti, perché per esse è possibile avvalersi dell’esperienza dei fornitori già presenti sul mercato, senza dover provvedere in proprio alla creazione di infrastrutture e alla ricerca del personale da formare o con l’opportuna competenza. In questo caso però, non si tratta di outsourcing, ma di una fornitura di servizi o di beni. Si è in presenza di fornitori di beni o di servizi che offrono un proprio prodotto, ben definito e del quale si conoscono prezzi e caratteristiche, a più clienti che lo richiedono sul mercato, in modalità one to many. Il termine outsourcing si riferisce invece a un servizio o alla produzione di beni personalizzati in base alle esigenze del committente, anzi è proprio quest’ultimo a demandare al fornitore esterno lo svolgimento delle attività, da stabilirne in quanto a prestazioni, modalità e obiettivi da raggiungere. In questo senso, con l’outsourcing si parla di un rapporto one to one, tra committente e outsourcer.

41 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 29-31.

63 Questa distinzione tra service providing e outsourcing si risolve a tutto vantaggio del primo, e consente al committente scelte più veloci: egli può, infatti, trarre beneficio da subito da attività offerte sul mercato da provider specializzati e delle quali percepisce il valore e l’esigenza dell’utilizzo nella propria azienda, ma sulle quali non intende effettuare investimenti, non avendo soprattutto l’interesse a fale diventare patrimonio della propria conoscenza. Di conseguenza si piò affermare che i servizi offerti da provider esterni godono di benefici della concorrenza e pertanto sono collocati sul mercato con prezzi sicuramente inferiori rispetto a quelli ottenuti in outsourcing, per lo stesso motivo per cui il prêt-à-porter risulta più conveniente rispetto all’abito su misura, specie se realizzato da un sarto famoso. Solitamente i contratti forniti da provider esterni sono realizzati secondo tariffe che tengono conto del consumo da parte del cliente e trattano servizi o prodotti preconfezionati, a differenza dell’outsourcing che parte invece da contratti quadro e ha un maggiore livello di rigidità, poiché generalmente considera una certa quantità di prodotto/servizio come base dell’accordo, che il committente si impegna comunque ad acquisire dall’outsourcer. La scelta dell’outsourcing richiede inoltre investimenti a maggior rischio da parte dell’outsourcer, poiché essi risultano convogliati esclusivamente alle esigenze del committente e non del mercato: infatti un’azienda fornitrice in modalità one to many adatterà la propria offerta in funzione alle richieste e in considerazione del proprio business. Infine, tra i firmatari del contratto di outsourcing viene a instaurarsi un rapporto di partnership, volto a realizzare intenti comuni, invece non necessario tra committente e fornitore42.

42 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 27-28.

64 1.9 Quattro macro-categorie: esternalizzazioni sempre più spinte

Il fenomeno dell’outsourcing può essere classificato in base alla vicinanza delle attività da esternalizzare al core business e alla complessità gestionale di tali attività43. Il primo criterio da considerare è la vicinanza delle attività, oggetto di esternalizzazione, al core business dell’azienda. Esistono, infatti, in ogni azienda processi che caratterizzano il business ed altri che possono essere definiti di supporto. Chiaramente non esiste una rigida separazione tra le due categorie, dal momento che le attività che per un’azienda sono di supporto, in un’altra costituiscono parte integrante del core business. Un esempio può essere rappresentato dal processo di distribuzione, che in un’azienda manifatturiera potrebbe essere di supporto ai processi produttivi mentre costituisce il core business per un’impresa di logistica. L’altro parametro di riferimento è il grado di complessità gestionale delle attività da cedere all’esterno: la complessità cresce all’aumentare del numero di attività che compongono un processo e all’aumentare del numero di interazioni e di relazioni che interessano le attività del processo44 . Combinando queste due dimensioni, vicinanza al core business e complessità, si possono individuare quattro tipologie di outsourcing: tradizionale, tattico, di soluzione, strategico (Figura 1.8). Solitamente i processi di esternalizzazione interessano dapprima le aree a supporto dell’attività aziendale (non rilevanti ai fini della competitività aziendale), attraverso quello che viene definito come l’outsourcing tradizionale, a cui ormai sempre più spesso le imprese si rivolgono perché meno complesso dal punto di vista dell’attuazione (complessità gestionale), scegliendo di intervenire solo in un secondo momento sul livello tattico, quello cioè

43 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, p.55.

44 E. Colombo, R. Toscano, Produrre o acquistare: dal calcolo economico alla strategia, pp. 25 e seguenti.

65 Figura 1.8 Le diverse tipologie di outsourcing

riguardante i processi più complessi, ancora lontani dal core business ma rivolti alle scelte a breve e medio termine. In particolare si fa riferimento ad attività come la gestione delle paghe, ai servizi di sicurezza e a tutte le attività connesse ai servizi comuni. La relazione che si instaura tra l’azienda e l’outsourcer non differisce significativamente dai rapporti di sub-fornitura: non avendo tali attività un rilevante impatto sulla gestione aziendale, possono essere esternalizzate senza la necessità di sviluppare una cooperazione strategica tra outsourcer e outsourcee, ovvero la relazione tra le parti può limitarsi a un orizzonte di breve-medio periodo, limitandosi a svolgere specifiche attività a basso valore aggiunto. Le modalità di esternalizzazione più vantaggiosa in tale ambito potrebbe essere il ricorso a società di servizi che già forniscono prestazioni ad altri clienti. Queste stesse aziende, sotto gli stimoli imposti dal mercato e mediante la capitalizzazione di esperienze, generalmente si sforzano di migliorare continuamente le loro prestazioni, quindi garantiscono

66 servizi di migliore qualità a costi più bassi rispetto alla gestione interna. L’outsourcing tattico è caratterizzato da prevalenti finalità di carattere economico come la riduzione dei costi fissi e la loro sostituzione con i costi variabili. In tal caso, le attività oggetto di outsourcing sono funzioni e attività aziendali distanti dal core business anche se potenzialmente in grado di contribuire al conseguimento del vantaggio competitivo. Le attività esternalizzate sono parti o funzioni ad elevata complessità gestionale, come ad esempio, la formazione del personale o lo sviluppo dei sistemi informativi. Generalmente si manifesta una significativa interazione tra outsourcee e outsourcer sotto l’aspetto operativo, sia in sede di definizione delle caratteristiche del servizio reso dal terzo, sia in fase di controllo e coordinamento dell’attività da quest’ultimo realizzata. Nonostante il più stretto rapporto che intercorre tra le parti rispetto all’outsourcing tradizionale e la durata normalmente di medio/lungo termine, a tale livello non si manifestano ancora forme di condivisione delle strategie tra outsourcee e outsourcer. Successivamente, le esternalizzazioni raggiungono livelli sempre più vicini al core business, fino ad arrivare a coinvolgere, con l’outsourcing di soluzione, le aree collegate allo sviluppo dell’attività principale dell’impresa: riguarda processi caratterizzati da bassa complessità gestionale, ma che hanno per oggetto quelle attività prossime al core business Ad esempio la cessione all’esterno dell’attività di internal auditing è un tipico intervento di outsourcing di soluzione. E qui entra in gioco la fiducia che il committente deve nutrire nei confronti del proprio outsourcer, per evitare che venga compromessa l’intera operatività aziendale: è un po’ come se l’azienda perdesse terreno sotto i piedi, poiché, da un punto di vista della sua struttura, essa resta priva di una buona parte della base della piramide, con cui si rappresenta l’organizzazione gerarchica ce l’ha caratterizzata fino all’arrivo della new economy. La rilevanza strategica dell’attività considerata richiede una durata della relazione normalmente di lungo periodo, un adeguato livello di fiducia, una visione comune delle rispettive strategie, la condivisione degli obiettivi e una stretta relazione tra le parti in tutte le fasi di svolgimento della relazione.

67 In questo contesto, quindi, diventa indispensabile realizzare con l’outsourcer un approccio finalizzato a uno sviluppo economico e di business: si parla anche di rapporto di co-sourcing, che sottintende l’analisi delle aree da esternalizzare, svolta congiuntamente fra committente e outsourcer, rivolta a definire obiettivi, tempi contrattuali, modalità e livelli di servizio e che comporti lo snellimento e il miglioramento, se necessario, dei processi aziendali. L’ultima frontiera è quella dell’outsourcing strategico: si sceglie di portare fuori anche le attività cruciali e complesse. I vertici aziendali e il management continuano a presidiare tutte le aree di competenza ritenute strategiche per la competitività dell’impresa (core competencies), mentre tutte le altre attività possono essere delegate a terze parti in possesso di competenze specifiche e in grado di fornire lo stesso prodotto/servizio dell’azienda di origine con un costo più contenuto. In pratica, all’interno rimane solamente il marchio e un vertice aziendale, che ricorre esclusivamente a provider esterni, registi di ciò che in precedenza faceva parte anche del cuore aziendale. In questa concezione l’outsourcing può essere definito come il processo attraverso il quale le aziende assegnano stabilmente a fornitori esterni, per un periodo di tempo contrattualmente definito, la gestione operativa di una o più funzioni gestite all’interno. Questa tipologia di outsourcing rappresenta il più elevato grado di complessità della relazione. In questo caso, l’azienda affida a terzi, attività a elevata complessità gestionale molto vicine al core business, allo scopo di focalizzare le risorse sulle proprie core competencies. La necessità di contrastare gli effetti dell’incertezza nelle sue diverse componenti, induce le parti ad abbandonare l’ottica tipica dell’outsourcing tradizionale, informata alla sostituibilità della controparte, alla reciproca autonomia e alla ripartizione del valore, per sviluppare rapporti di carattere collaborativo caratterizzati dalla reciproca interdipendenza, dall’ottica generalmente di lungo periodo. Nell’outsourcing strategico si sviluppa una serie di relazioni orizzontali costituite da flussi di informazioni, transazioni e collegamenti relativamente durevoli tra attori che possiedono e utilizzano risorse simili e complementari. Tra outsourcer e outsourcee viene in questo contesto a delinearsi un sistema di azione sociale

68 caratterizzato da un comportamento dei membri finalizzato al conseguimento di obiettivi individuali ma congiunti con quelli degli altri attori coinvolti e dall’attivazione di meccanismi di interdipendenza attraverso la condivisione degli obiettivi, dei compiti, delle funzioni e dei risultati tra le unità coinvolte nella relazione 45. In quest’ultima tipologia di outsourcing non si instaura un semplice rapporto di fornitura ma un rapporto di partnership, caratterizzato d reciproca fiducia, fattiva collaborazione e trasparenza delle informazioni tra cliente e fornitore. Gli accordi che regoleranno i rapporti con i fornitori non saranno più a breve termine, né si ricorrerà al prezzo come unica variabile discriminante per la scelta del partner. Si creeranno delle alleanze che precedono investimenti congiunti, in grado di coinvolgere fornitori e utenti sul piano di co- progettazione e della co-produzione dei servizi 46 (Figura 1.9). Un esempio di attuazione di questa politica è dato dalle multinazionali e da imprese proprietarie di un brand che diventano general contractor, cioè coordinatrici dell’opera realizzata da altre imprese fornitrici, come hanno fatto, solo per citarne un paio, Benetton e Nike. Anche molte aziende produttrici di hardware e software realizzano notevoli riduzioni di costi avvalendosi del lavoro svolto da terze parti, magari da produttori localizzati in paesi del Terzo Mondo, che hanno però a disposizione personale altamente specializzato nella realizzazione della componentistica o nelle metodologie di programmazione, come l’India, o qualificate nel supporto clienti, con la possibilità di garantire un servizio 24 ore su 24, avvalendosi per esempio di un’organizzazione presente su 3 differenti continenti, che, sfruttando il fuso orario, lavora senza soluzione di continuità, magari dislocata in Irlanda, Arizona, Australia. Un’altra strada per i general contractor è quella di affidarsi al franchising, come avviene per esempio per i punti vendita McDonald’s. Alla fine di questi processi di riorganizzazione e di esternalizzazione rimane solo il nucleo “pensante”, che decide cosa vendere, dove, a chi e a quale prezzo; l’esecuzione del processo produttivo viene invece demandata a chi può

45 M.S. Macinati, Il ricorso all’outsourcing nel Ssn, op. cit.., p.123.

46 G. Nassimbeni, A. Detoni, S. Tonchia, L’evoluzione dei rapporti di sub-fornitura, pp.15 e seguenti.

69 Figura 1.9 Le principali differenze tra outsourcing strategico e tradizionale

realizzarlo a costi più competitivi e in paesi dove la pressione fiscale e i controlli sono meno forti47.

47 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 33-34.

70 1.10 Chi decide

Benché l’outsourcing coinvolga inizialmente le strutture aziendali operative e sussidiarie e solo in un secondo tempo interessi quelle tattiche, fino a rivolgersi solo in un’ultima fase alle aree strategiche, sono esclusivamente i vertici aziendali a proporre la politica dell’outsourcing, per aree che non sono di loro diretta competenza. Questo perché, mentre i vertici aziendali, soprattutto nelle grandi imprese, considerano con interesse l’outsourcing, i quadri intermedi e responsabili di funzione vedono con sospetto questa politica, che comporta di conseguenza una diminuzione del proprio prestigio in azienda. Ciò può esprimersi in atteggiamenti di demotivazione, che si riflettono sui dipendenti e quindi sull’intera conduzione dell’attività aziendale, fino ad arrivare a comportamenti che potrebbero ostacolare la decisione di esternalizzare. Sono quindi i top manager a scegliere l’outsourcing, in considerazione delle finalità strategiche di tale politica aziendale, a prescindere dal livello aziendale che esso andrà a interessare operativamente: il miglioramento degli indici di bilancio, della flessibilità e della liquidità che esso rende possibile consente alle aziende di apparire più competitive sui mercati azionari. E ovviamente in azienda sono proprio i top manager a essere più “sensibili” alle richieste dell’azionariato. Pertanto coloro che ricoprono la funzione di coordinamento a livello tattico, oppure svolgono un ruolo di direzione a livello operativo e sussidiario, si ritrovano a fare i conti con disposizioni che non scaturiscono da proprie esigenze di riorganizzazione, di abbattimento dei costi o dalla richiesta di maggiore specializzazione, emerse all’interno dell’area di loro competenza, ma da scelte riguardanti assetti già definiti, che magari colpiscono processi e settori con una buona e consolidata compagine organizzativa. Di solito i responsabili dei livelli tattici, operativi e sussidiari vengono coinvolti quando i giochi sono già fatti: sono interpellati solo al momento di trasferire all’outsourcer le competenze per la gestione dei processi da esternalizzare oppure per definire quali sono le attività che compongono l’unità da affidare

71 all’outsourcer, nel caso in cui non sia disponibile una documentazione opportuna oppure le conoscenze interne all’azienda si basino e vengano trasmesse esclusivamente attraverso rapporti interpersonali, pertanto non istituzionalizzati e codificati. Sicuramente non deve essere molto gratificante, per coloro che si trovano in una simile situazione, trasmettere ad altri la propria esperienza, magari costruita specialmente attraverso le capacità personali di trovare le soluzioni e i canali giusti per arrivare agli obiettivi richiesti, quando il traguardo da raggiungere è la perdita del ruolo acquisito in azienda. Se si considera che le prospettive offerte a costoro, siano essi dirigenti, quadri, livelli operativi, potrebbero risolversi in:

 un cambiamento delle funzione ricoperta e la conseguente ricollocazione all’interno dell’azienda, nel caso di simple outsourcing;  il trasferimento in una nuova azienda, magari con minori garanzie di stabilità;  il passaggio in una multinazionale, con una possibile dequalificazione del proprio lavoro si capisce perché si lamenti la mancanza di entusiasmo nella esternalizzazione da parte di tutti gli attori aziendali, top management escluso. Sembrano quindi un po’ ingenui i tentativi volti a creare a tutti i costi delle aree di consenso fra i dipendenti, quadri e opinione pubblica, facendo immaginare che la ricollocazione in azienda sottintenda lo svolgimento di un lavoro più interessante, perché più vicino al core business, oppure che il trasferimento in una nuova impresa comporti conseguentemente un miglioramento professionale ed economica già acquisita. Forse sarebbe più produttivo che il top management ascoltasse e non ignorasse quanto può provenire dai livelli a esso subordinati, senza temere che i suggerimenti possano essere frutto di immobilismo o di una mera salvaguardia degli interessi personali: chi è direttamente a contatto con i problemi riesce

72 spesso a trovare le soluzioni più idonee, che possono portare più facilmente a una maggiore produttività o a un effettivo risparmio sui costi. Conseguentemente allo sviluppo delle politiche di esternalizzazione, negli Stati Uniti sono nate nuove figure professionali, che si occupano di tutto ciò che riguarda l’outsourcing e riportano direttamente al top management: dalla scelta dei processi alle modalità di esternalizzazione, alla stesura del contratto, fino alle definizione della nuova organizzazione interna: sono i CRO (Chief Resource Officier), professionisti esperti nella risoluzione dei problemi e nel cogliere opportunità di cambiamento, ben retribuiti e ricercati per la propria esperienza nel settore, che svolgono il ruolo di focal point per la strategia di outsourcing, da svolgere sia all’interno dell’azienda che con l’outsourcer. Per quanto riguarda invece il personale coinvolto in mansioni di tipo operativo, c’è da sottolineare che l’esternalizzazione comporta anche una valorizzazione del lavoro: chi viene trasferito nell’azienda che gestisce l’outsourcing, ma anche chi rimane nell’impresa committente, verrà coinvolto in attività legate al core business e ciò porterà a una maggiore specializzazione nonché una vicinanza a quelli che sono traguardi aziendali, con il conseguente miglioramento degli aspetti motivazionali, economici e di carriera delle persone che vi lavorano48.

1.11 Le fasi di implementazione di una strategia di outsourcing

Le aziende che valutano la possibilità di realizzare un’operazione di outsourcing devono, in primo luogo, analizzare la convenienza sia economica che strategica, rispetto ad altre alternative e, contestualmente, focalizzare l’attenzione sulla scelta del partner. Successivamente, occorre esaminare gli sforzi rivolti prevalentemente alla

48 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 25-26 e 61-62.

73 gestione delle relazioni contrattuali e al controllo dei risultati. L’implementazione di una strategia di outsourcing si sviluppa, quindi, su due fasi: una di avvio e l’altra di gestione (Figura 1.10). Nella prima occorre definire i processi oggetto di un possibile intervento di outsourcing, attraverso una valutazione della loro rilevanza strategica in termini

Figura 1.10 Le fasi di implementazione di una strategia di outsourcing

di contributo alla formazione delle competenze distintive e di efficienza del loro svolgimento all’interno dell’azienda. Se in questa fase della valutazione si ritiene che la rilevanza strategica del processo non sia elevata e che i livelli qualitativi garantiti da prestazioni esterne siano maggiori, si può procedere ad una ridefinizione dei confini del processo e alla selezione del fornitore. Una volta scelto il partner, nella fase di gestione dell’operazione si avviano le trattative per la stipula del contratto, dove saranno previste le modalità di controllo della qualità delle prestazioni ottenute e le clausole sanzionatorie. Dopo la formalizzazione del contratto si procede al trasferimento delle attività dell’outsourcer che, con la collaborazione del responsabile del processo dell’outsourcing (process owner), provvederà a monitorare periodicamente l’andamento del servizio, al fine di evidenziare gli scostamenti rispetto ai risultati attesi e apportare le eventuali azioni correttive.

74 Per individuare le attività da concedere in outsourcing è necessario procedere ad un’attenta analisi delle competenze possedute dall’azienda. Tra queste andranno opportunamente distinte quelle di base, che contribuiscono in maniera significativa al conseguimento dei vantaggi competitivi, e quelle di supporto, che svolgono solo un ruolo di sostegno e di consolidamento delle competenze di base. Il primo passo, quindi, per determinare quali attività della catena del valore siano decentrabili all’esterno consiste nel definire il rapporto core business, cioè il nucleo essenziale delle proprie risorse e competenze, la cui esternalizzazione potrebbe compromettere la stessa sopravvivenza dell’azienda. Il vantaggio competitivo di un’impresa dipende, così come è emerso dallo studio di numerosi casi aziendali di successo49, non soltanto dal modo in cui ci si pone nei confronti del mercato e dei concorrenti ma anche dalla disponibilità di competenze distintive (core competencies) che le altre imprese non hanno e che difficilmente riescono ad acquisire in tempi brevi e a costi accettabili. Focalizzare l’attenzione sulle risorse interne induce l’impresa a basare le strategie di medio-lungo periodo su ciò che essa è in grado di fare, piuttosto che sui bisogni che cerca di soddisfare (Resporse Based Theory)50. Secondo Grant allorquando l’ambiente esterno è caratterizzato da continui mutamenti, formulare le strategie basandosi esclusivamente sui fattori esterni non appare un fondamento solido, mentre definire la propria identità sulla base delle risorse e delle competenze interne garantisce alla azienda una maggiore stabilità. Partire dall’analisi delle proprie capacità significa, infatti, fondare il proprio futuro su delle certezze (ciò che l’impresa è capace di fare), mentre pianificare sulla prospettiva di soddisfare le esigenze del mercato, estremamente variabili, difficili da individuare e, quindi, incerte, è estremamente rischioso poiché è probabile che non si disponga delle competenze necessarie51. Sotto questo profilo, l’impresa si identifica sempre di più come insieme di competenze, piuttosto che come

49 L. Sicca (1998), La gestione strategica dell’impresa, pp.14 e seguenti.

50 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, p.69.

51 R.M. Grant (1994), La gestione strategica dell’impresa, pp.24 e seguenti.

75 insieme di attività, ed eventuali rendite differenziali si ottengono non tanto grazie ai nuovi investimenti volti a scoraggiare l’ingresso nel mercato di concorrenti, quanto piuttosto alla capacità di produrre a minori costi e/o a qualità superiore grazie alla disponibilità di competenze difficilmente replicabili dai concorrenti, almeno in tempi brevi52. Le competenze possono essere tacite o esplicite53. Le prime, molto spesso applicate in maniera inconsapevole, sono rappresentate dalla conoscenza accumulata dal personale grazie all’esperienza maturata svolgendo determinate funzioni. Le seconde, definite anche codificabili, sono esplicitate in codici, norme e regole di comportamento e, quindi, sono acquisibili da chiunque abbia accesso alla relativa documentazione. Nella realtà operativa le due tipologie di competenze tendono a confondersi, per cui l’abilità nella risoluzione di un problema o nello svolgimento di una mansione è il frutto sia dell’esperienza soggettiva, sia delle modalità codificate nelle procedure organizzative. Il semplice possesso di una o più competenze non porta automaticamente l’impresa a raggiungere una posizione di vantaggio competitivo. E’ necessario a tal fine possedere competenze distintive, che siano comunque riconosciute ed apprezzate dal mercato. Le competenze sono inserite nella struttura profonda dell’organizzazione dell’impresa e sono da considerarsi conoscenze tacite, difficilmente codificabili e quindi inimitabili dai concorrenti e pertanto “distintive”. Per esempio la Illycaffè, leader in qualità nella produzione di caffè per espresso, ha registrato una crescita sostenuta grazie al possesso di competenze distintive. Fondata nel 1933, attualmente è il gruppo leader in Italia. Questo traguardo è stato raggiunto grazie all’eccellenza qualitativa del prodotto, testimoniata dalla doppia certificazione di qualità ottenuta negli anni ’90, ottenuta mediante la concentrazione di risorse in determinate competenze distintive che riguardano il processo produttivo: miscelatura, selezione elettronica di materia prima, degustazione dei lotti, raffreddamento ad aria, e pressurizzazione. Inoltre, la Illycaffè ha compreso

52 A. Lipparini (1997), Le competenze organizzative, pp. 26 e seguenti.

53 H. Itami (1988), Le risorse invisibili, pp.1 e seguenti; G. Bruni, B. Campedelli (1993), La determinazione, il controllo e la rappresentazione del valore delle risorse immateriali nell’economia delle imprese, pp. 16 e seguenti.

76 l’importanza delle relazioni per veicolare le competenze acquisite sviluppando rapporti di partnership con i fornitori di materie prime e con i centri universitari per quanto riguarda la ricerca e sviluppo54. Il successo di un’azienda si fonda, pertanto, su una o più competenze sviluppate in maniera superiore a quella dei concorrenti, in grado di differenziarla e che garantiscono un vantaggio competitivo su cui occorre investire. Quanto più è elevato il divario esistente tra le competenze dell’azienda rispetto a quello dei concorrenti tanto più difficile sarà per quest’ultimi annullare il vantaggio competitivo di quell’impresa. Ne consegue che ogni impresa dovrebbe essere indotta ad individuare e analizzare le proprie competenze ponendo al centro delle proprie strategie competitive quelle difficilmente imitabili. Al riguardo è emblematico il caso della Progressive Insurance, compagnia di assicurazioni di Cleveland con duecento sedi decentrate, la quale per accrescere il proprio vantaggio competitivo ha concentrato una buona parte degli investimenti sul processo di liquidazione delle richieste di indennizzo, avviando il programma cosiddetto di “evasione immediata“. Attraverso l’istituzione di un numero verde in cui convergono tutte le segnalazioni relative ai sinistri (rispetto alla procedura decentrata precedente) si è ridotto drasticamente il tempo di evasione (da 36 a 12 giorni), è diminuito il coefficiente di spesa (dal 35% al 24% della totalità dei premi) ed è incrementato del 70% il fatturato per addetto. Questi risultati hanno consentito l’azienda di poter praticare tariffe estremamente vantaggiose difficilmente imitabili dalla concorrenza55. Una corretta pianificazione strategica deve essere quindi coerente con le competenze distintive dell’impresa, le quali non solo devono essere sfruttate a pieno ma richiedono un continuo learning by doing per costruire vantaggi competitivi durevoli. Inoltre, queste stesse competenze, per durare nel tempo, devono essere quanto più diffuse e condivise mediante il coinvolgimento di molti livelli del personale e di tutte le funzioni organizzative.

54 A. Lipparini (1997), Le competenze organizzative, pp. 45 e seguenti.

55 M. Hammer (1998), Oltre il reengineering. Come i processi aziendali cambiano l’organizzazione e la nostra vita, pp. 165 -170.

77 L’individuazione delle competenze distintive all’interno dell’impresa contribuisce a risolvere uno dei principali problemi legati all’outsourcing: quali attività è opportuno cedere a terzi e quali attività è, invece, conveniente realizzare all’interno e/o acquisire dall’esterno. Per l’implementazione di un’operazione di outsourcing è necessario, quindi, procedere a una ricognizione delle competenze interne per individuare le competenze chiave al fine di evitare di cedere a terzi fattori strategici della catena del valore. Per un’efficace analisi è opportuna impostare la struttura organizzativa secondo una logica per processi che raggruppa le attività non in base ai criteri funzionali e gerarchici ma tenendo conto del contributo che insieme forniscono al prodotto-servizio per creare valore. Ciò che generalmente si riscontra nelle aziende è la scarsa consapevolezza dell’esistenza di tali processi, per i quali esistono notevoli difficoltà sia in fase di definizione che di identificazione. Ora vediamo nel dettaglio, quelle che sono le fasi di implementazione più importanti di una strategia di outsourcing: l’identificazione e la scelta dell’outsourcer, la negoziazione, la stipula del contratto e la valutazione e il controllo delle performance.

1.11.1 L’identificazione e la scelta dell’outsourcer

L’azienda, solitamente l’ufficio acquisti, individua una serie di possibili candidati sulla base del suo database e delle sue fonti, ma anche sulla base delle esperienze fatte in settori vicini a quello che stiamo esaminando. La rosa iniziale sarà costituita da un numero di aziende non piccolo (normalmente ne spuntano fuori almeno sei o sette dal cilindro), ma perché il lavoro sia efficiente ed efficace, oltre che per questioni di credibilità, è necessario fare una selezione e cercare di non superare le tre aziende. L’opportunità di non coinvolgere troppe aziende è legata al fatto che non si vuole perdere il contributo che queste imprese ci possono dare nel disegnare il processo ideale. Si tratta di una fase molto delicata, in cui la sensibilità tipica dell’ufficio

78 acquisti in termini di etica verso i fornitori si rivela preziosa ai fini dei rapporti futuri con queste aziende che, pur essendosi impegnate positivamente (spesso anche in termini economici), sono state poi escluse. La chiarezza delle regole sin dall’inizio e la trasparenza di ogni scelta sono due valori irrinunciabili, se si vuole avere un network di fornitori (che assomigliano sempre di più a partner) pronto a supportarci in ogni situazione anche in futuro. Infatti, chi è stato escluso oggi, può essere richiamato domani a partecipare ad un progetto diverso. E’ chiaro però che se un’azienda non riesce ad aggiudicarsi neanche un contratto, probabilmente significa che non ci sono le condizioni per collaborare (per eccessiva onerosità, incapacità di comprendere pienamente le nostre esigenze,…) e quindi tanto vale escluderla dai prossimi contratti. Le aziende da coinvolgere devono avere delle caratteristiche ben precise, che possiamo così riassumere:

 solidità finanziaria e distribuzione omogenea del portafoglio clienti;  competenza nel settore specifico;  conoscenza della nostra organizzazione;  struttura organizzativa in grado di soddisfare le richieste;  disponibilità ad assumersi impegni ben precisi in termini di risultati.

Potremo trovare tutte queste caratteristiche in un’azienda, ma alcune sono più importanti di altre. I potenziali outsourcer devono avere prima di tutto solidità finanziaria, ed un portafoglio clienti affidabile. Un outsourcer totalmente dipendente dal fatturato che potrebbe fare con noi, od esposto finanziariamente, oltre ad essere inaffidabile e a non poter garantire la continuità del servizio che invece in un rapporto di outsourcing è indispensabile, non ci consente quella libertà di manovra che invece si ricerca (altrimenti non si ricorrerebbe all’outsourcing). Inoltre, un outsourcer di questo genere tenderà a compiacere il committente in qualunque stravaganza senza dare un supporto critico al miglioramento del

79 processo, che al contrario deve essere un obiettivo costante di qualunque progetto di outsourcing. Un’indagine sulla situazione finanziaria di un’azienda costa poco e al contrario si rivela molto proficua per evitare che sorgano problemi in futuro. Un controllo dei dati dell’outsourcer è però sempre opportuno. Servirà a verificare la volontà di quest’ultimo di lavorare veramente insieme a noi, perché condivide il nostro progetto e il nostro spirito, e non semplicemente perché vuole portare a casa un contratto. E’ buona abitudine chiedere ad un potenziale outsourcer i suoi dati di fatturato e di profitto, ma è incredibile quanta gente ancora esista che tende a non dare spontaneamente queste informazioni (pur essendo di pubblico dominio). Un outsourcer di questo genere va indiscutibilmente scartato, soprattutto quando questi rifiuti provengono da dirigenti o amministratori, senza possibilità di appello. D’altro canto, per il committente è buona norma scegliere un outsourcer per il quale esso è un cliente di riferimento. Se quest’ultimo ha più sedi sul territorio nazionale, e c’è bisogno di assistenza tecnica sui suoi computer, scegliere un outsourcer che lavori in tutta Italia può essere una soluzione ottimale; ma se l’importo del contratto è molto basso rispetto alle dimensioni dell’outsourcer, quest’ultimo tenderà naturalmente a soddisfare prima le richieste di un cliente più importante. E’ a questo punto che vanno messi in conto anche gli altri aspetti degli scambi tra aziende, lo scambio di informazioni e l’indotto, aspetti che varieranno da caso a caso ma che sicuramente esisteranno. La competenza nel settore specifico è un altro fattore da controllare. Non vogliamo arrivare a decidere quanta gente ci vuole per fare una cosa, ma sicuramente dobbiamo essere convinti che la sua organizzazione è in grado di far fronte alle richieste che verranno. Non dimentichiamoci mai che l’outsourcer è di fatto un reparto del committente ed è quest’ultimo che risponde che nei confronti del cliente del livello del servizio. Per questo motivo il committente deve entrare nel processo dell’outsourcer, mettendo a disposizione anche le sue conoscenze, e magari dando la disponibilità a fargli del training, sempre con lo stesso scopo:

80 disegnare, ma soprattutto realizzare il processo ideale, vale a dire quello più efficiente al costo più basso possibile. Un’altra caratteristica, questa decisamente irrinunciabile, è la disponibilità dell’outsourcer a condividere il rischio che è inevitabilmente collegato a qualunque iniziativa imprenditoriale. Come è trasparente e chiaro il committente, altrettanto esso pretende dall’outsourcer. Verranno concordati insieme tutti gli aspetti del servizio che dovrà prestare, ma una volta fissati, ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. L’outsourcer dovrà perciò essere pronto ad accettare penali, che saranno commisurate all’entità del danno e all’importo del contratto, se il livelli del servizio non saranno raggiunti. Meccanismi di revisione automatica dei prezzi dovranno essere messi al bando, ma al contrario potrà essere sottoscritto un impegno a diminuire questi prezzi, o comunque i costi totali d’acquisto, mano a mano che il livello di confidenza con il nuovo processo aumenta. Dovrà essere inoltre programmato anche l’eventuale termine anticipato del contratto, sia per performance inadeguata, che per mutate esigenze del cliente (dalle quali non si può prescindere in progetti di questo tipo). Per selezionare a questo punto le aziende da coinvolgere è il caso di procedere con una serie di veloci incontri con quelli che, almeno sulla carta sembrano avere delle potenzialità, e sulla base del risultato di questi incontri scegliere tra le tre aziende che dovranno procedere nel progetto. E’ importante anche il profilo delle persone che si incontreranno. La presenza di un direttore dimostra interesse da parte dell’outsourcer per il progetto, anche se tutto va rapportato al tipo di azienda che viene interpellata. Gli incontri dovranno essere franchi, e tutte le problematiche messe sul tavolo, se necessario anche in maniera brutale. Si dovranno bilanciare gli aspetti positivi e quelli negativi, mettendo la giusta enfasi su entrambi, evitando di tacere cose anche sgradevoli che possano mettere in pericolo il successo del progetto. E’ inutile per esempio promettere all’outsourcer che tutti saranno felicissimi di dare la massima collaborazione, poiché così non sarà per problemi personali, disallineamento di obiettivi, non condivisione del progetto, o chissà quale altro motivo.

81 Sarà necessario affrontare ognuna di queste problematiche man a mano che si presentano, anche perché si dovranno affrontare inevitabilmente degli ostacoli lungo il cammino. Un altro aspetto da analizzare, soprattutto nel mondo dei servizi, è il fatto che grazie al ridotto costo delle tecnologie informatiche oggi aziende di dimensioni molto diverse possono in realtà fornire livelli di servizio ugualmente soddisfacenti. E’ importante non lasciarsi abbagliare da nomi altisonanti per giustificare livelli di prezzo motivati solo da alti costi di struttura, come al contrario non dare per scontato che, siccome un’azienda è più piccola, ci seguirà meglio. Altri elementi di cui tenere conto (ogni situazione va ovviamente valutata singolarmente) nella valutazione dell’outsourcer sono:

 conoscenza o meno del fornitore;  conoscenza del modo di lavorare del fornitore e della sua struttura (ad esempio la certificazione di qualità potrebbe diventare in certi casi una discriminante);  servizi analoghi già svolti per altri clienti;  tecnologia e disponibilità ad investire in essa;  altre aree di possibile collaborazione e sinergia;  sfruttamento commerciale del rapporto (una partnership tra due nomi noti nei rispettivi settori ha sicuramente un impatto dal punto di vista del marketing);  disponibilità del fornitore di seguirci in tutti gli aspetti del nostro progetto.

La valutazione dovrà essere sempre soggettiva e libera da preconcetti, e prendere in considerazione tutti gli aspetti citati in questo paragrafo, dando ad ognuno il giusto peso: tutti questi fattori assumono infatti un peso rilevante nell’impostazione di un corretto rapporto con l’outsourcer in quanto più il committente lo conosce e condivide le sue strategie commerciali, tanto maggiore

82 sarà la possibilità di successo del suo progetto e si potrà quindi realizzare una naturale estensione del rapporto e di altre attività56.

1.11.2 Negoziazione

Appare chiaro che in un progetto di outsourcing non ci si possa limitare ad accettare l’offerta di un fornitore, ma al contrario questa vada discussa in dettaglio, analizzando tutti gli aspetti, inclusi i margini di profitto che il fornitore si aspetta. Ogni informazione deve essere messa a disposizione perché l’offerta finale sia la migliore possibile, sotto tutti i punti di vista. Prendiamo come esempio un servizio di riscontro fatture, che sino ad oggi è stato fatto internamente con un sistema manuale. Finalmente la nostra azienda ha acquistato un software di gestione che consente di automatizzare parte di queste operazioni, ma vogliamo dare in outsourcing anche l’inevitabile parte manuale associata a questa operazione (inserimento dati, archiviazione dei documenti, preparazione di rapporti periodici, gestione del contenzioso con i fornitori, ecc.). La nostra richiesta di proposta potrà contenere delle indicazioni sul numero di documenti da gestire, una percentuale indicativa del numero di fatture che riportano errori, e sarà ancora più generica sul tempo necessario ad inserire i dati nel database. La negoziazione deve essere impostata in maniera costruttiva per entrambi, e finalizzata a mettere in evidenza quei margini eccessivi di cui parlavamo, e non ad una semplice riduzione di prezzo. Quest’ultima, alla quale tutti vogliamo arrivare (ma non è detto che sempre si ottenga), potrebbe, se non fatta sulla base di valutazioni oggettive che consentano una riduzione dei costi, a rapporti sbilanciati nei quali uno dei due vince a scapito dell’altro. Sappiamo bene che rapporti di questo genere sono destinati a durare solo nel breve periodo, e dopo pochi mesi infatti ci potremmo ritrovare davanti ad un bivio: riconoscere un

56 S. Valentini (1999), Gestire l’outsourcing, p. 67-71 e 80.

83 aumento del prezzo concordato, oppure ritornare alle fasi di analisi e cambiare l’outsourcer. Analizziamo i due scenari. Concordiamo in questa fase un prezzo che non consente all’outsourcer di recuperare i suoi costi, e quindi lo porta a lavorare in passivo. Una corretta valutazione della reale convenienza a lavorare con noi deve tenere tuttavia conto di tutto il business, in altre parole un outsourcer deve guadagnarci a lavorare con noi, complessivamente, non sul singolo processo, per cui è ammissibile che certi prodotti/servizi possano essere fatti al puro costo o magari anche rimettendoci dei soldi, poiché ci sono altri fattori in gioco. Un prezzo troppo basso, pur tenendo conto di tutti i fattori, espone il fianco a richieste di aumento di prezzo che, che oltre a far saltare il nostro budget, sono tipicamente più alte di quello che riusciremmo ad ottenere prima di assegnare il prodotto/servizio e firmare il contratto. Tali richieste inoltre, pur se pienamente motivate, possono metterci nella sgradevole situazione di essere costretti ad accettarle per mancanza di alternative a breve termine. Infine, mettendoci in una situazione di difficoltà, incrinerebbero il rapporto tra noi e l’outsourcer che abbiamo cercato di costruire con tanta cura. Il secondo scenario generato da prezzi troppo bassi è quello di una brusca interruzione del servizio o della fornitura del prodotto, sia per abbandono unilaterale dell’outsourcer, sia perché, come conseguenza delle richieste di aumento di prezzo di cui abbiamo parlato, non si trova un accordo e cessa il rapporto. Ciò può avvenire tra l’altro per incompatibilità tra le richieste avanzate ed il nostro budget, cosa che renderebbe impossibile una mediazione. Le conseguenze di un atto così traumatico sono facilmente immaginabili, e sono tanto più gravi in funzione della complessità del servizio/prodotto, della disponibilità di alternative sul mercato, e della sua strategicità per il nostro business. Se dobbiamo cambiare bruscamente il servizio di gestione del nostro numero verde, potremo attraversare un periodo di grave turbolenza dovuta necessariamente al più basso livello di know-how del nuovo fornitore. Cambiare il servizio di gestione della reception può al contrario essere fatto in pochi giorni, date le caratteristiche solitamente piuttosto standard di questo genere di attività.

84 Infine bisogna considerare che un revisione dei prezzi fa saltare tutto il meccanismo di valutazione della convenienza dell’outsourcing, e della comparazione delle offerte che si è basato su una lunga serie di considerazioni tutt’altro che casuali. La revisione del prezzo potrebbe confermare le nostre decisioni oppure no: in quest’ultimo caso tutto il processo va rianalizzato con cautela, in funzione delle motivazioni portate dall’outsourcer, delle modifiche intervenute rispetto alla conclusione della fase negoziale, del rapporto che si è impostato con l’outsourcer stesso e gli altri prodotti/servizi che gli sono stati assegnati. Difficile perciò in questa fase fissare delle regole valide sempre e comunque: dovranno essere fatte delle valutazioni che varieranno da caso a caso, ed una nuova negoziazione con l’outsourcer a risolvere il problema. Riassumendo, la negoziazione deve avere le seguenti caratteristiche:

 deve mettere in evidenza eccessivi margini di sicurezza da parte dell’outsourcer;  deve evidenziare processi dell’outsourcer con eventuali problemi per l’efficienza del prodotto/servizio;  deve garantire la certezza del prezzo corretto e la sua immodificabilità;  deve essere franca e aperta e molto poco tattica;  cliente ed outsourcer devono essere convinti entrambi della bontà della conclusione raggiunta.

Vediamo ora, su cosa si può negoziare. Un progetto di outsourcing che porta un soggetto esterno a svolgere/realizzare un qualunque servizio/prodotto per noi, facendolo diventa cioè un anello della catena che determina il successo od il fallimento della nostra attività, deve prevedere quindi una negoziazione. Tuttavia questa negoziazione va portata avanti secondo criteri precisi, e non può seguire la regola del tubetto di dentifricio, anche se l’obiettivo rimane sempre quello di avere il miglior servizio al costo più basso possibile. Il modo di arrivarci non è però quello di tagliare unilateralmente le offerte ricevute del 20% (come alcuni

85 manuali consigliano), ne quello di dare informazioni fuorvianti per ottenere un impegno del quale poi pretenderemo il rispetto da posizioni di forza. Il cammino da seguire per arrivare a determinare il giusto prezzo è quindi un cammino da portare avanti insieme con il fornitore, che deve essere quindi convinto di ciò che sta andando a firmare. L’impatto sulle nostre attività è troppo grande per permettere dei ripensamenti di chiunque. Immaginate cosa vuol dire trovare le risorse, addestrarle, acquistare apparecchiature, software e quant’altro server per portare avanti quel servizio perché non abbiamo trovato un accordo con l’outsourcer, il tutto ovviamente fatto in tempi brevissimi con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità e di costi. Vediamo quindi come va portata avanti questa negoziazione. Data la particolarità del prodotto/servizio, dovremo mantenere alcuni punti fissi, che fanno parte dell’autonomia del fornitore e che non possiamo sindacare. Dobbiamo conoscerli per poter valutare correttamente la sua proposta ma possiamo accettarli o rifiutarli, non possiamo pretendere di cambiarli. I fattori classici sono:

 il costo orario;  gli overhead (la percentuale di ricarico dovuta ai costi di struttura);  il costo del personale di supervisione.

Non possiamo discutere se un imprenditore decide di pagare il doppio le proprie persone rispetto al mercato. Se nonostante questo, la sua offerta è competitiva (le sue persone in sostanza hanno una produttività doppia degli altri) è una cosa che riguarda lui. Così come, se decide di comprare un grattacielo per ospitare i suoi uffici, ancora una volta si tratta di una sua scelta. Il numero delle persone con il ruolo di supervisore (che spesso fanno parte dei costi di struttura, e non sono messe in evidenza nei costi dell’offerta) è infine un altro fattore affidato alla libera scelta dell’imprenditore. Su tutto il resto si può al contrario discutere. In particolare possiamo vedere insieme se il numero di persone previsto è sufficiente oppure eccessivo, se le

86 attrezzature che intende acquistare sono adeguate o al contrario sono esagerate (ai fini del servizio/prodotto che deve darci/fornirci), se il sistema di scambio dei documenti non può essere reso più efficiente con l’utilizzo di strumenti diversi, o qualunque altro aspetto possa servire ad ottimizzare i costi previsti. Si può anche arrivare a discutere il margine di profitto previsto, nonostante siano ancora molti i fornitori ad essere reticenti sull’argomento, mettendo sul tavolo altri elementi come la disponibilità a far fare lo stesso servizio/prodotto a società collegate, oppure affidargli altri servizi/prodotti dai quali si possono ricavare delle sinergie. E’ bene ricordare che tutto ciò deve svolgersi nell’ambito di una normale dialettica tra il cliente e il fornitore, dove a quest’ultimo spetta la parola finale sull’offerta, e noi dobbiamo scegliere se accettarla o meno. Qualunque negoziazione, nel momento in cui si chiude, cancella tutto il percorso fatto per arrivare alla proposta finale. L’imprenditore deve essere, infatti, libero di organizzarsi come meglio crede per soddisfare le esigenze del suo cliente, in questa fase ancora potenziale. Spesso, si ha la tendenza a disegnare noi la sua organizzazione, a dire quante persone ci devono essere, come gestirle, e quant’altro ci viene in mente dalla nostro posizione privilegiata di cliente. Tutto ciò è possibile, purché non sia fatto con arroganza, altrimenti ci si ritorcerà contro. Facciamo qualche esempio, sempre riferendoci al servizio di riscontro fatture. La proposta elaborata dal fornitore conterrà delle ipotesi che saranno per la maggior parte a favore di quest’ultimo. Diventa quindi indispensabile sedersi al tavolo ed analizzare queste ipotesi una per una allo scopo di verificare quali sono realistiche e quali no. Ipotizzare ad esempio che ci vogliano 15 minuti per inserire ogni fattura porta automaticamente a definire il numero di persone necessarie, una volta che è noto il numero di fatture da trattare. Una modica al software, l’installazione di una linea telefonica ad alta velocità, un sistema di codifica sono solamente alcune delle idee che potrebbero venire in un confronto tra cliente e fornitore, al fine di avere una maggiore efficienza. Ecco quindi, che con poche modifiche marginali

87 si riesce ad avere un incremento della produttività, che porta ad una riduzione dei costi per il fornitore e quindi ad un prezzo più basso. A questo punto, ottenuta un’offerta che abbia previsto i miglioramenti che sono stati ipotizzati, bisogna porsi un ultimo scrupolo prima di assegnare il lavoro al fornitore prescelto. Questa fase, infatti, non deve portare a stravolgimenti del prodotto/servizio, ma solo a miglioramenti, altrimenti si è commesso un errore di superficialità nelle fasi iniziali del progetto. Porre come pregiudiziale, nella richiesta di proposta, la presenza costante di personale del fornitore presso i nostri uffici, e poi arrivare alla conclusione che il lavoro si può fare tranquillamente dalla sede del fornitore, permettendogli un miglior utilizzo delle proprie risorse, porta un vantaggio indebito a questo fornitore, e fa saltare il risultato della comparazione delle offerte. E’ perciò compito dell’ufficio acquisti decidere come procedere in questo caso, che si verifica piuttosto di frequente, soprattutto, come dicevamo, quando la fase di analisi è stata affrontata in maniera superficiale. Se interviene un grosso cambiamento nelle caratteristiche del servizio, è buona norma coinvolgere i fornitori che più si erano avvicinati all’offerta risultata poi convincente nella prima fase, e chiedere una riquotazione. Questo per due motivi: il primo, legato alla correttezza che sempre ci deve distinguere quando facciamo le nostre scelte a favore di qualcuno o contro qualcun altro, il secondo, perché potremmo perdere l’opportunità di avere un prezzo ancora più basso derivante da sinergie non possibili nella prima fase. La fase negoziale si conclude, infine, con una lettera d’intenti. Siamo arrivati ad identificare il fornitore ed a raggiungere un accordo di principio su cosa vogliamo effettivamente fare, e sulle principali modalità di esecuzione, oltre che sul relativo costo. Prima di passare alla fase successiva è bene dare, nei casi più complessi e impegnativi, una formalizzazione all’accordo raggiunto attraverso una lettera d’intenti. In questa lettera, che il cliente invia al fornitore, e questo normalmente firma per accettazione, viene sancito l’impegno ad assegnare il prodotto/servizio a quell’outsourcer, purché siano rispettate nella fase successiva di implementazione, e quindi di disegno del processo a livello operativo, le premesse concordate durante la negoziazione. Come detto, la lettera d’intenti non

88 è uno strumento sempre necessario. Nei casi più complessi tuttavia, quando la fase di implementazione richiede tempo e risorse in quantità non trascurabili, e soprattutto quando i rapporti con l’outsourcer sono recenti, emettere una nota sintetica (di solito non più lunga di una pagina) fornisce ad entrambi maggiore tranquillità per affrontare le fasi successive. In alcuni casi l’outsourcer dovrà provvedere ad effettuare investimenti ed a prendere impegni con altri soggetti, per rispettare i tempi, ed affrontare questa fase senza alcun tipo di impegno da parte del cliente mette un certo nervosismo che si riflette poi nella qualità delle risorse assegnate, e nella quasi certa diluizione dei tempi in attesa di qualche certezza in più. Ogni volta che ne vale la pena è bene quindi evitare di generare queste situazioni, fornendo queste certezze, che saranno ancora più condizionate. La lettera d’intenti contiene di solito l’impegno ad assegnare il servizio/prodotto a quel fornitore, una descrizione sintetica del prodotto/servizio stesso (cercando di mettere in luce gli aspetti che si considerano più critici), il costo relativo e i risultati attesi. E’ sempre bene allegare a questa lettera anche l’offerta finale presentata dal fornitore. Il contratto farà quindi riferimento a questa lettera e conterrà inoltre tutte quelle clausole atte a garantire il successo del nostro progetto57.

1.11.3 Il contratto di esternalizzazione

Dal punto di vista giuridico, l'esternalizzazione può essere definita come "l'accordo con cui un soggetto (committente o outsourcee) trasferisce in capo ad un altro soggetto (outsourcer, o provider, o vendor, o partner,) alcune funzioni necessarie alla realizzazione dello scopo imprenditoriale". Recentemente la Cassazione se ne è occupata definendolo come "il fenomeno che comprende tutte le possibili tecniche mediante cui un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi che sono estranei alle competenze di base (l'attività centrale)" (sentenza n.21287/2006). Si tratta di un negozio nato

57 S. Valentini (1999), Gestire l’outsourcing. I passi fondamentali per avere successo in un processo di ottimizzazione, p. 86-92 e 96-97

89 dalla prassi di Common law, non ha una disciplina specifica nell'ordinamento italiano e rientra dunque nei contratti atipici. L'esternalizzazione può di fatto avvenire in molti modi e le parti possono regolarla utilizzando sia contratti tipici che contratti misti. I negozi tipici più utilizzati a tale scopo sono:

 il contratto d’appalto;  il contratto di agenzia;  il contratto d’opera;  la subfornitura.

L’appalto, disciplinato dall’art.1655 del codice civile e definito come “il contratto mediante il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro”. L’appaltatore quindi si obbliga nei confronti di un committente o di un appaltante. La Legge Biagi ha invece abrogato la legge del 23 ottobre 1960 n.1369, sul “Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro”, con la quale il legislatore faceva divieto “all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario”. Tale normativa risultava anacronistica in relazione della Legge n.196/1997 sul lavoro interinale, il citato Pacchetto Treu, che aveva già introdotto nel mercato italiano forme di lavoro temporaneo o in affitto. Per l’imprenditore che si avvale del contratto di appalto sono comunque previsti degli obblighi, in solido con l’appaltatore, in relazione alle attività svolte all’interno del settore organizzativo dell’azienda committente, compreso quanto previsto dal D. Lgs 626/1994, in ambito di igiene e sicurezza sul lavoro. Il contratto di agenzia, è disciplinato dagli articoli 1742 e seguenti del codice civile, dalla contrattazione collettiva e dalla legislazione speciale, si ha quando “ una parte (agente) assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto di

90 un’altra (preponente), verso la retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”; la figura dell’agente è quella di un collaboratore autonomo, che si incarica dell’organizzazione dell’attività svolta, nonché si accolla il rischio che essa comporta, a fronte della ricezione da parte del preponente di tutte le informazioni necessarie per l’attività di promozione presso i clienti. Gli agenti sono tenuti all’iscrizione presso in un apposito ruolo presso le CCIAA, benché la mancata iscrizione non renda nulla il contratto, mentre il preponente deve corrispondere all’agente le provvigioni in base ai servizi e prodotti forniti al cliente, indipendentemente dal pagamento effettuato da quest’ultimo. Anche in questo tipo di contratto ritroviamo le tre figure previste nell’outsourcing: il preponente, cioè colui che da mandato per eseguire un’attività, che nel caso specifico del contratto di agenzia è la promozione di affari, e l’agente, che, in modo analogo all’outsourcer, deve organizzare in proprio l’attività da svolgere secondo le direttive del committente e le aspettative del cliente. Il contratto d’opera, è disciplinato dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile ed è il contratto con cui una parte si obbliga, verso un corrispettivo, a compiere un'opera o un servizio in favore di un’altra, con lavoro prevalentemente proprio o dei familiari e senza vincolo di subordinazione. Il prestatore è tenuto ad eseguire l’opera dedotta in contratto, rispettando le modalità stabilite dal committente e le regole dell’arte. In caso di mancato rispetto delle indicazioni della committenza, al prestatore d’opera può essere fissato un congruo termine entro cui uniformarsi alle condizioni stabilite in contratto, decorso inutilmente il quale il committente può recedere dal contratto e richiedere il risarcimento dell’eventuale danno. La subfornitura è definita dalla Legge n.192/1998 come il contratto con il quale un imprenditore si impegna a eseguire, per conto di un committente, lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime, fornite dal committente, oppure si impegna a fornire prodotti o servizi destinati a essere incorporati o utilizzati dal committente all’interno di un proprio ciclo produttivo o nella produzione di un bene conforme a prototipi o la cui progettazione è fornita dallo stesso committente o realizzata in collaborazione con il subfornitore. La subfornitura è spesso impiegata nel settore nel settore industriale, dove la realizzazione esterna

91 di una o più componenti di un processo produttivo viene affidata dalle grandi imprese al cosiddetto “indotto”, formato da piccole e piccolissime aziende che lavorano quasi esclusivamente sulle commesse di una sola impresa principale e che spesso vengono a creare veri e propri distretti industriali. Si ha l’outsourcing se quanto realizzato da attività produttiva dal committente, che precedentemente ne curava direttamente la realizzazione, al fornitore. Altre soluzioni, più orientate alla flessibilità del lavoro, per realizzare l’esternalizzazione sono il comando o il distacco, il contratto di consulenza e il lavoro in affitto. Il comando o il distacco è definito dall’art. 8, comma 3, della Legge n.236 del 19 luglio 1993, il cui intento è esclusivamente quello di disciplinare situazioni dirette a evitare riduzioni del personale e che non implica la cessazione del precedente rapporto di lavoro, ma solo una sua modificazione nell’esecuzione, nel senso che tale obbligo del lavoratore di prestare la propria opera viene temporaneamente svolto in favore di un altro soggetto, quello appunto presso il quale il datore di lavoro ha disposto il distacco precedente. In questo tipo di contratto, trattandosi di una situazione temporanea, rimangono a carico dell’impresa distaccante tutti gli obblighi contributivi e assicurativi, mentre quelli in materia di igiene e sicurezza sul lavoro devono essere osservati dall’impresa distaccataria. Tale normativa vale anche all’interno dei gruppi aziendali, nonché per attività di lavoro svolta all’estero, benché in questo ultimo caso, in tema di disciplina del lavoro, si faccia riferimento agli accordi internazionali. Anche se non è un vero e proprio outsourcing, ci troviamo comunque di fronte a una situazione in cui si sperimenta una situazione di alleggerimento della forza lavoro. Infine, facendo riferimento al contratto di consulenza e al lavoro in affitto parliamo dei free lance: lavoratori che offrono la propria professionalità direttamente al servizio delle aziende o tramite aziende di consulenza. Solitamente i free lance sono professionisti, organizzati in proprio nello svolgimento dell’attività, della quale viene valutato il risultato: pertanto non sono vincolati a un orario o a alcun elemento che comporti subordinazione nei confronti del committente, così come non possono impartire direttive ai

92 dipendenti del proprio committente. L’impresa può avvalersi di altri tipi di prestazioni, previsti dalle normative prima citate, Legge Biagi e precedente Pacchetto Treu, che non gravano come costi fissi sui bilanci aziendali e hanno una durata determinata e carattere di saltuarietà. Tali forme di lavoro flessibile non riguardano direttamente l’outsourcing, ma vengono sempre più ampiamente impiegate dall’outsourcer58.

a) Tutela dei dipendenti in caso di trasferimento o cessione del ramo di azienda

Diritti e tutela in caso di cessione di ramo d’azienda riguardano essenzialmente il contratto pregresso. Il lavoratore non ha la garanzia di essere ceduto ad un'azienda che ha analoghe prospettive industriali e di crescita professionale personali, misurabili come fatturato, utile e quota di mercato, numero di dipendenti o produttività del lavoro. La legge non prevede restrizione alla libertà di cessione nemmeno ad azienda in utile e in forte crescita, e dunque con un'elevata produttività del lavoro (fatturato e utile per addetto). Le normative di interesse sono:

 art. 2112 del Codice Civile (6 commi);  art. 47, legge 428/1990 (6 commi);  art. 1 e 2 del Decreto Lgs. 18/2001 (sostituisce l'intero articolo di cui al punto 1) e i commi da 1 a 4 di cui al punto 2));  art. 31 e 32 (Titolo IV) del Decreto Lgs. 276/2003 (integra il comma 5 di cui al punto 1) e ne aggiunge un sesto).

58 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 11-13.

93 In ambito comunitario:

 la Direttiva 1977/187/CE, non più vigente, per promuovere l'armonizzazione delle legislazioni nazionali relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori e chiedere ai cedenti e ai cessionari di informare e consultare in tempo utile i rappresentanti dei lavoratori;  la Direttiva 1975/129/CEE del Consiglio, del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi(5), e delle norme legislative già in vigore nella maggior parte di essi;  la Direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro;  la Direttiva 1998/50/CE;  la Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti;  la Direttiva 2002/14/CE.

La cessione di ramo d'azienda dovrebbe avere un carattere di eccezionalità, ma nell'individuazione delle persone non esiste un limite al numero di cessioni di ramo d'azienda in cui un dipendente può essere coinvolto nell'arco della vita lavorativa. L'art. 2112 del codice disciplina il trasferimento del ramo di azienda o della cessione di un suo ramo autonomo. La norma prevede che il rapporto di lavoro prosegue con l'imprenditore che subentra, ed il lavoratore conserva tutti i diritti che aveva in precedenza. L'art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428, ribadisce che, in caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Introduce la non-applicabilità della tutela ai lavoratori che restano alle dipendenze

94 dell'azienda alienante, e che siano eventualmente assunti dall'acquirente in data successiva al trasferimento di azienda. Salvo questo caso, il nuovo contratto di lavoro non può essere peggiorativo nel caso di fusione o acquisizione, e quindi il trattamento retributivo globale del lavoratore, il livello di inquadramento e la mansione corrispondente devono essere uguali o migliori di quelle del rapporto di lavoro precedente. Analoga considerazione non è valida per eventuali contratti integrativi interni, stipulati a livello aziendale fra sindacati e imprenditore. Se il sindacato firma un accordo favorevole all'esternalizzazione o ad una fusione, il lavoratore perde tutti i benefit e bonus che erano contemplati nel contratto di secondo livello dell'azienda di provenienza. Prima della riforma Treu la cessione doveva preservare l'unità e il valore economico dell'azienda, e tipicamente riguardava cespiti non strumentali all'attività produttiva, quali tipicamente i servizi di pulizia e sorveglianza e altri processi di supporto, che non erano visti e non creavano valore economico per il cliente finale. Era definito ramo d'azienda un'entità funzionale ed autonoma all'interno del perimetro d'impresa. La legge prevedeva tre requisiti:

• autonomia; • funzionalità; • preesistenza del ramo rispetto al momento della cessione.

In base a questi requisiti, potevano essere cedute società, divisioni, reparti o unità funzionali che erano anche strumentali all'attività produttiva. Il requisito di funzionalità e autonomia restringeva l'ambito delle aree esternalizzabili, ed è stato abrogato per un certo periodo; con la legge del 5 luglio 2002 erano le parti contraenti a definire il ramo d'azienda, che viene a poter essere praticamente qualunque ambito d'impresa. Il Decreto Lgs. n. 18 del 21 febbraio 2001 sostituisce l'art. 2112 del Codice Civile e i primi 4 commi della 428/1990. La Direttiva 2001/23/CE è sostanzialmente identica alla 1977/87/CE, amplia le tipologie contrattuali di applicazione, estendendola ai contratti a tempo

95 determinato e interinali (art. 1), mentre limita in modo altrettanto forte le situazioni di impresa. L'art. 5 limita drasticamente l'applicazione delle tutele dei lavoratori in caso di "procedura fallimentare o analoga situazione di insolvenza,[...], o in caso di grave crisi economica quale definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un'autorità pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario". Infine, al comma 4 di tale articolo, non recepito dalle leggi italiane, la Direttiva prevedeva il rischio di abusi, di trasferimenti di lavoratori ad aziende fatte fallire, con lo scopo di licenziare e/o di cedere ad altre aziende quote di debiti dell'impresa: "Gli Stati membri adottano gli opportuni provvedimenti al fine di impedire che l'abuso delle procedure di insolvenza privi i lavoratori dei diritti loro riconosciuti a norma della presente direttiva". Il Decreto Lgs. 18/2001 recepisce la Direttiva e modifica la 128 del 1990, ma non negli ultimi due commi, appunto quelli che già prevedevano restrizioni al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda. La legge n. 223 del 23 luglio 1991 afferma un principio nella direzione opposta della libertà di licenziamento. Con la nozione di licenziamento collettivo, per riduzione o trasformazione dell'attività, si presenta la possibilità di licenziare con la causale di esigenze tecnico-produttive. In caso di cessione di ramo d'azienda, o in un periodo precedente di ridimensionamento dell'azienda, questa legge può essere utilizzata, in contrasto con la giurisprudenza successiva. Nel 1991, questa legge e il precedente decreto citato anticipano una successiva tendenza della giurisprudenza europea, manifestata con la Direttiva del 2001. La Direttiva 2001/23/CE è richiamata dalla seguente Direttiva 2002/14/CE, che impone di conciliare obblighi informativi e di consultazione dei sindacati con le esigenze di riservatezza aziendali, unitamente a sanzioni pecuniarie e penali, in merito all'andamento presente e alla probabile evoluzione dei risultati economici e dell'occupazione. La Legge n. 39 del 1º marzo 2002 ha dato delega al Governo per l'attuazione di varie direttive comunitarie, fra le quali è citata la Direttiva 2001/23/CE. Con questo atto era inteso da parte del Parlamento che si rendevano necessarie

96 modifiche e/o integrazioni al vigente Decreto Lgs. 18/2001, che questo non attuava completamente la Direttiva comunitaria. Il Patto per l'Italia del 5 luglio 2002 (o "Patto Scellerato" come fu chiamato da alcuni all'epoca, Rassegna Online – Governo, Patto per l’Italia, documento integrale) prevedeva la revisione del Decreto Lgs. 18/2001 per la parte che modifica l'art. 2112 del Codice Civile, e il recepimento della Direttiva 2001/23/CE, in materia di armonizzazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda . Il successivo Decreto Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003, art.32, (recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge n. 30 del 14 febbraio 2003, la Legge Biagi) modifica il quinto comma all'art. 2112 del Codice Civile, aggiungendovi una nuova definizione di trasferimento di ramo d'azienda: "Qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento" . Introduce anche un sesto comma, all'art. 2112 del Codice Civile, che interessa un altro ambito, quello dei rapporti del subappaltatore con i fornitori. Diversamente da quanto previsto il 5 luglio 2002, il citato Decreto 276/2003 non modifica (nemmeno ne fa menzione) né la 428/1990 né il Decreto Lgs. 18/2001, ma opera direttamente sull'art. 2112 del Codice Civile. Recepisce la Direttiva 2001/23/CE e la successiva 2002/14/CE dell'11 marzo 2002 (EUR-Lex – 32002L0014 – IT) in tema di armonizzazione delle norme di informazione e consultazione dei lavoratori. Il Decreto del 2003 ribadisce che l'individuazione dell'area da esternalizzare

97 spetta all'azienda alienante e acquirente, come nella precedente normativa del 5 luglio 2002, e il fatto che debba essere "funzionalmente autonoma", ed elimina gli ampi ambiti di esternalizzazione, introdotti dal precedente provvedimento. L'esternalizzazione di un ramo d'azienda, sebbene individuabile direttamente dai contraenti, ne risulta impugnabile se non rispetta i requisiti di autonomia e funzionalità. Il Decreto Lgs. 276/2003 non ripristina, tuttavia, il requisito di preesistenza ("articolazione funzionalmente autonoma...identificata come tale..al momento del suo trasferimento"). La tutela dell'art. 2112 non è estesa esplicitamente alla totalità dei dipendenti dell'impresa alienante, e la legge n. 428 del 1990 comma 5, non più modificata, ammette la sua disapplicazione in parte o a tutti i dipendenti dell'impresa cedente. Il comma 6 opera in modo analogo nei confronti di quanti, rimasti presso l'azienda alienante, sono assunti dall'acquirente in data successiva al trasferimento di azienda. Il Decreto Lgs. n. 18 del 2001 modifica i commi da 1 a 4 di tale legge, mentre gli ultimi due, citati prima, sono tuttora vigenti nel testo originario. Il requisito di funzionalità impediva di esternalizzare persone di aree funzionali o sedi di lavoro differenti, oppure la situazione anomala di una persona esternalizzata, mentre la collega che svolge la stessa mansione, possa continuare al lavorare per l'azienda acquirente. Per eliminare delle aree aziendali, si creava un unico "contenitore-ramo d'azienda" nel quale, dalle più varie funzioni aziendali, sono trasferite le persone che si intende cedere all'esterno. La scelta sull'esternalizzazione si è spostata in questo modo da una strategia d'impresa impersonale, che giudica le mansioni, ad un giudizio sulle singole risorse umane, potenzialmente discriminatorio e iniquo. Secondo l'articolo 2112, la decisione di cessione da parte dell'imprenditore non può essere unilaterale e vige l'obbligo di esame congiunto con le rappresentanze sindacali; diversamente, la legge configura esplicitamente un reato di condotta antisindacale, in capo all'imprenditore. Il principio non vale solo nel caso dei diritti disciplinati dalla legge o dal contratto, ma anche nel caso in cui il diritto del lavoratore trova il proprio

98 fondamento nella prassi aziendale, in una volontà del datore di lavoro che si è tradotta in un uso consolidato nel tempo. L'art. 2558 codice civile regola la continuazione dei contratti di lavoro a carattere non personale e ribadisce che "l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa (che non abbiano carattere personale)". Analogo principio è sancito dalla direttiva della CEE n. 187 del 14 febbraio 1977, (modificata dalla direttiva n.50 del 1998), la quale stabilisce che, in caso di cessione di azienda, il trasferimento all'impresa cessionaria del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti dell'azienda ceduta ha luogo automaticamente. La Corte di Giustizia Europea, con la decisione del 24 gennaio 2002, ha però affermato la facoltà dei dipendenti di opporsi al trasferimento presso la cessionaria. La Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lavoro n. 19379 del 28 settembre 2004) ha stabilito che la richiesta del dipendente, a cessione avvenuta, di riprendere servizio presso la cedente, dove lavorava in precedenza, costituisce la rinuncia al trasferimento del rapporto di lavoro all'acquirente, ma non richiesta di cessazione del rapporto di lavoro. Per effetto di tale rinuncia, il lavoratore resta dipendente dell'impresa cedente. Se il dipendente non è iscritto ai sindacati che sottoscrivono l'accordo (perché membro di un sindacato interno minoritario oppure non iscritto ad alcuna rappresentanza sindacale), non esiste alcun accordo di cessione di ramo d'azienda fra lui e il datore di lavoro, per cui il trasferimento all'impresa acquirente rappresenta una decisione unilaterale dell'imprenditore, che è inefficace. Tale interpretazione vale anche quando i sindacati firmatari hanno per iscritti (e quindi rappresentano) una larga maggioranza dei dipendenti. L'estensibilità dei contratti ai non iscritti al sindacato non è infatti prevista per i contratti a livello di singola azienda e imprenditore. Il dipendente ha diritto ad un nuovo contratto di lavoro che preveda lo stesso contratto nazionale di riferimento, livello di inquadramento e relativa mansione, retribuzione lorda annua e modalità di pagamento, tipologia (a termine o contratto a tempo indeterminato).

99 Se la cessione di ramo d'azienda avviene all'interno dello stesso gruppo. Essa è trasparente ai dipendenti che si accorgono di un semplice cambiamento della ragione sociale nel cedolino della busta paga. Se la cessione avviene fra società non appartenenti allo stesso gruppo, allora viene chiuso il precedente contratto con liquidazione del trattamento di fine rapporto (TFR), e il lavoratore deve firmare un nuovo contratto. La garanzia di un contratto a tempo indeterminato può essere limitata in vari modi:

 cessione ad una piccola società o cooperativa che fallisce dopo alcuni anni: il licenziamento è molto probabile in caso di fallimento;  cessione ad una società controllata, creata ad hoc dall'azienda acquirente.

Può essere un'impresa a termine, ad esempio una joint venture con la società cedente, legata ad un progetto, in cui nell'Atto Costitutivo è scritto chiaramente che sarà sciolta alla sua naturale scadenza; oppure un'impresa a termine che lavora su commessa, legata ad un appalto con la società cedente, e che assume a tempo indeterminato con la clausola di licenziamento non appena gli appalti terminano. Con la flessibilità introdotta nella cessione del ramo d'azienda, e nelle tutele per la riassunzione dei lavoratori, viene meno di fatto anche la stabilità di reddito, spesso attribuita al lavoro a tempo indeterminato. L'art. 2112 impone il mantenimento dei contratti collettivi a tutti i livelli, non la contrattazione individuale. Benefit, superminimo e altre condizioni di maggio favore, scritte nel contratto di assunzione, sono perse durante un trasferimento di azienda. L'art. 2112 tutela la retribuzione e la mansione, non la stabilità del posto di lavoro. I precedenti vincoli di autonomia, funzionalità, preesistenza al momento della cessione, riducevano le casistiche di esternalizzazione, ma non garantivano ugualmente la stabilità. È comune avere delle piccole società, reparti o funzioni (rispondenti a autonomia, funzionalità e preesistenza) con meno di 15 dipendenti da cedere ad aziende che ugualmente non superano tale soglia. Al

100 lavoratore esternalizzato è garantita la tutela obbligatoria, le 4 mensilità con cui può essere licenziato da un'azienda che ha meno di 15 dipendenti, non la tutela reale. Le citate Direttive 1977/187/CE e 2001/23/CE, all'art. 4, non applicato nell'ordinamento italiano vigente, prevedono che Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento. La cessione di ramo d'azienda è illegittima se non sussiste l'autonomia funzionale dell'unità ceduta rispetto al cedente, che devono essere due soggetti economici e giuridici separati. Ad esempio l'esternalizzazione potrebbe essere un modo per applicare retribuzioni minori o licenziare del personale. L'accertamento dei requisiti di imprenditorialità di chi acquisisce il ramo di azienda, in termini di organizzazione dei mezzi e gestione del rischio, è essenziale per stabilire la legittimità della cessione. La simulazione e frode di una cessione d'azienda, tramite l'interposizione di un soggetto terzo non imprenditore, facente riferimento a datore di lavoro originale, potrebbe risultare conveniente perché:

 sotto i 15 dipendenti, esiste libertà di licenziamento (si applica la tutela obbligatoria, non la tutela reale), un licenziamento individuale è molto meno costoso di uno collettivo, che prevede, fra l'altro, un'indennità di mobilità;  passando all'azienda ceduta, il lavoratore perde benefit e superminimi individuali, salvo che vi sia un sindacato interno, e un accordo fra questi e il cedente che preveda di mantenere superminimi individuali;  il cedente può attribuire al cessionario quote di debiti e un minimo di proprietà, insufficiente a garantire la copertura degli oneri di un licenziamento collettivo o di un fallimento: i dipendenti, per ottenere le proprie spettanze, l'indennità di mobilità o eventuali risarcimenti potrebbero esercitare diritto di rivalsa e pignoramento limitatamente alla frazione di patrimonio conferita al cessionario, e ai diritti degli altri creditori.

101 a.1) Volontarietà del lavoratore

L'art. 1406 c.c. attribuisce valore decisivo al consenso del contraente ceduto. In base all'art 2112 c.c. il passaggio alle dipendenze del cessionario è automatico, e non richiede nemmeno una preventiva informazione dei lavoratori. L'art. 2112 pone questo automatismo insieme ad altre tutele per i lavoratori, quindi non come strumento di flessibilità, quanto come tutela della stabilità occupazionale. In alcuni ordinamenti europei, è espressamente previsto il diritto di opposizione del lavoratore alla cessione, anche in presenza di accordo con le rappresentanze sindacali. La Corte di Giustizia Europea ha chiarito che il diritto di opposizione è da intendersi come libertà dei lavoratori di scegliere il proprio datore, come impossibilità di obbligare un dipendente a passare alle dipendenze del cessionario In alcuni casi, la possibilità di rifiuto del lavoratore è subordinata ad un effettivo peggioramento delle condizioni retributive e/o di lavoro, ovvero è comunque consentita in quanto parte delle sue libertà fondamentali di persona. La Corte di Giustizia UE ha delegato gli Stati membri a disciplinare le conseguenze giuridiche ed economiche del rifiuto di passare al cessionario. Nell'ordinamento italiano ciò configura giusta causa di licenziamento per il cessionario, e comporta la cessazione del rapporto di lavoro. Altrove, il lavoratore ha il diritto alla reintegra in altri reparti, in analoga mansione o in mansioni peggiorative nell'azienda cedente. Se è facile per il datore provare l'indisponibilità di posizioni di un certo tipo, l'assunzione di personale con competenze analoghe o in posizioni con job description paragonabile a quelle del personale oggetto di cessione, costituisce prova a favore di un reintegro dei lavoratori esternalizzati. Nel caso di possibile reintegra nella cedente, a seguito del rifiuto, diventa più rilevante il confronto fra vecchie e nuove condizioni di lavoro, come condizione restrittiva per l'ammissione al beneficio della reintegra nell'azienda cedente.

102 a.2) Diritto di opposizione e azienda dematerializzata

Il diritto di opposizione deriva dal fatto che la normativa deve tutelare due diritti costituzionali, il fondamentale e prevalente diritto al lavoro e ad un'occupazione stabile, con la libertà di impresa. Ne scende che il diritto di opposizione non sussiste laddove il rapporto di lavoro sia trasparente e insensibile alle variazioni della proprietà imprenditoriale. Ne sono un esempio le cessioni di filiali da una banca all'altra, che eventualmente comportano una variazione delle procedure informatiche e delle esigenze di formazione del personale, a fronte di un servizio erogato che resta il medesimo. Più in generale, dove la cessione riguarda beni strumentali e fisici oggetto di ammortamento, è più probabile che non vi sia un mutamento del mansionario dei dipendenti ceduti, e quindi del contratto collettivo applicabile, e delle condizioni retributive e di lavoro. La giurisprudenza non prevedeva un diritto di opposizione perché i casi di cessione erano molto meno frequenti prima degli anni novanta, e l'oggetto delle stesse riguardava aziende a forte intensità di capitale in cui la cessione comportava variazioni molto meno significative delle condizioni di lavoro. La cornice della normativa evolve radicalmente con l'avvento di piccole aziende fondate sulle conoscenze specifiche dei dipendenti, piuttosto che su beni strumentali, e la nuova dimensione del fenomeno di esternalizzazione. a.3) Nullità dell'esternalizzazione e reintegra

La legge italiana sanziona le false esternalizzazioni, finalizzate alla messa in mobilità e al licenziamento dei lavoratori. La dichiarazione di illegittimità comporta la reintegra del lavoratore in capo al precedente datore di lavoro. La disciplina è la stessa per la somministrazione di lavoro, secondo la 176 del '93 e la consolidata giurisprudenza precedente, che tale decreto va a sostituire59.

59 it.wikipedia.org

103 1.11.4 I controlli

All’azienda, nella maggior parte dei casi, conviene mantenere al proprio interno il controllo sulla qualità dei prodotti o dei servizi che le verranno forniti. Se partiamo dalla constatazione che nella maggioranza dei casi vengono esternalizzati processi che non sono noti nel loro svolgimento, ci rendiamo conto di quanto possa diventare difficile espletarne un efficace controllo quando gli stessi processi vengono svolti da terze parti. Nelle aziende solitamente il ricorso all’outsourcing è direttamente proporzionale al livello di complessità dei processi da esternalizzare e la scelta dei servizi e dei prodotti da affidare all’outsourcer molto spesso si basa su considerazioni che hanno poco a che fare con il risparmio sui costi - a volte neanche conosciuti-, venendo inoltre a mancare il confronto tra ciò che l’outsourcer si impegna a fornire. Pertanto, il risultato delle politiche di esternalizzazione si riduce nell’ottenere dal fornitore dei servizi/prodotti con un livello di qualità, che potrebbe rivelarsi inferiore rispetto a quello prima realizzato all’interno, con costi di realizzazione invariati, se non addirittura in aumento. Nel caso in cui ci si avvalga dell’outsourcing per la realizzazione di manufatti, il committente dovrà essere molto attento a stabilire contrattualmente nel dettaglio i requisiti del prodotto che vuole ottenere, procedendo a verifiche a campionatura, piuttosto che su un certo numero di pezzi realizzati, o attuando direttamente il simple outsourcing, che, come già visto, lascia al committente il controllo sul ciclo di produzione. Le politiche di controllo saranno approntante in relazione alle quantità da realizzare, in base alla categoria merceologica di appartenenza del prodotto e al livello di qualità che si vuole ottenere. Benché la difettosità di una parte della componentistica di un prodotto possa inficiare la qualità complessiva e pertanto la definizione dei controlli da attuare si riveli come un punto cruciale per la riuscita del rapporto di outsourcing, possiamo dire, che nell’ambito delle aziende manifatturiere, il ricorso all’esternalizzazione si rivela meno complicato da attuare rispetto alla fornitura

104 di un servizio: ciò è dovuto all’oggettività del prodotto, che risulta più facilmente verificabile. Il controllo sui servizi comporta invece un’organizzazione più complessa, derivante proprio dalla soggettività e dalla difficoltà nella misurazione di un servizio. Sia nel caso della realizzazione di un prodotto che in quello dell’erogazione di un servizio, rimane quindi l’esigenza di avere a disposizione nella propria azienda dei “controllori” in grado di capire come ottenere un prodotto/servizio conforme alle aspettative: l’azienda committente dovrebbe prevedere al proprio interno figure professionali con un livello di specializzazione adeguato per la valutazione dell’operato dell’outsourcer e che parallelamente predisponesse gli strumenti necessari, da mettere a disposizione di queste figure, per effettuare i controlli previsti. Risulta quindi in parte falsa l’affermazione secondo cui con l’esternalizzazione vengono eliminati i costi di addestramento del personale interno in relazione al settore di competenza dell’outsourcer: infatti coloro che si occupano di controllare quanto realizzato dall’outsourcer o quanto da lui proposto in fase di contrattazione devono essere necessariamente in possesso delle professionalità che permettono di giudicare l’adeguatezza della fornitura. Il committente dovrà avvalersi di personale informato e aggiornato per svolgere al meglio queste attività, soprattutto se vorrà ottenere dall’outsourcer un risultato altrettanto valido e all’avanguardia per quanto riguarda tecniche, metodologie e strumentazione da impiegare. Inoltre committente e outsourcer dovrebbero procedere alla formazione di un comitato direttivo (steering committee) composto dai responsabili dei processi (process ower) e dai responsabili di contratto (contract manager) che periodicamente si occupino di effettuare il monitoraggio su quanto avviene in entrambe le aziende e siano in grado di delineare nuove richieste o eliminare problemi e controversie sull’interpretazione dei requisiti dei prodotti/servizi, modificandoli e adeguandoli alle esigenze dell’impresa e del mercato.

105 E’ quindi utile avere a disposizione un sistema di misurazione delle performance efficace ed efficiente e che abbia quindi le seguenti caratteristiche:

 la periodicità delle misurazione deve essere calcolata in modo che i numeri ottenuti abbiano significato statistico. Misurare ogni operazione in linea generale non serve, tuttavia è auspicabile farlo ogni volta che sia possibile, facendo magari ricorso all’utilizzo della tecnologia. Misurare troppo poco, o in maniera frammentata o troppo concentrata, non fornisce garanzie sull’attendibilità dei numeri ottenuti e può portare a conclusioni sbagliate;  la misurazione deve essere agevole, ed, ogni volta che sia possibile, automatica. Se è troppo complesso effettuare quella misura, fatalmente si smetterà di misurare;  il risultato della misurazione deve essere elaborato e trasformato in indici che individuano lo scostamento rispetto all’obiettivo;  gli indici devono essere facilmente comprensibili, e adeguati.

Altrettanto importante è il modo in cui le informazioni vengono distribuite all’interno dell’organizzazione. Vediamo anche in questo caso le principali caratteristiche di un sistema di reporting all’altezza della situazione:

 il rapporto periodico sui risultati delle misurazioni deve contenere pochi numeri, che devono essere presentati in forma di indici, e comunque di scostamento rispetto all’obiettivo. Deve poter essere compreso con un colpo d’occhio, e non deve bisogno di una lettura approfondita;  sono quindi da evitare numeri assoluti, che non forniscono indicazioni sulla situazione in relazione a quanto è stato invece programmato. Ogni volta che sia possibile, è opportuno utilizzare grafici, immediatamente comprensibili a qualunque livello;  la distribuzione del rapporto deve avvenire con una periodicità tale da consentire le azioni correttive, e deve essere legato alla criticità del

106 servizio/prodotto fornito. Tanto maggiore è l’impatto di quest’ultimo sul nostro business, tanto più frequente dovrà essere il rapporto. In questo modo le azioni correttive potranno essere più o meno traumatiche e più efficaci. La periodicità deve essere quindi legata al periodo di impatto negativo sul cliente, che può essere più o meno lungo in funzione del tipo di prodotto/servizio;  la lista di distribuzione del rapporto, cioè le persone che devono essere informate sull’andamento del progetto, riveste anch’essa importanza. Inoltre il rapporto dovrà essere pensato in funzione dei suoi destinatari, che saranno di due tipi: persone che devono essere informate perché hanno responsabilità funzionale, e persone che hanno bisogno dell’informazione per mettere in piedi le azioni correttive;  la struttura del rapporto quasi sempre è a due livelli, in funzione dei due tipi di destinatari che abbiamo appena visto. Ai responsabili funzionali andrà una pagina sintetica con l’indicazione principalmente degli scostamenti e delle azioni messe in campo per correggere tali scostamenti, mentre ai responsabili delle azioni correttive andrà anche il risultato di tutte le misurazioni;  il rapporto deve essere emesso dal process owner interno, che avrà il compito di mettere in evidenza le eventuali azioni correttive che si renderanno necessarie, ed aggiornerà la direzione sullo stato della azioni correttive annunciate nei rapporti precedenti.

E’ quindi molto importante avere delle misurazioni il più possibile oggettive in quanto gli indici sono la base sulla quale poggia il rapporto tra committente e outsourcer, e ad essi sono affidati i pagamenti di penali o premi. Sono quindi numeri che vanno inseriti nel contratto e dai quali non si può derogare se non in presenza dell’evidenza di un errore nella fase di analisi, o di mutate condizioni. Maggiore sarà l’oggettività di questi indici, maggiore sarà l’impegno di entrambe le organizzazioni al raggiungimento degli obiettivi fissati. Anche il clima nel quale si lavorerà sarà più positivo, perché sarà sotto gli occhi di tutti, anche dei

107 più scettici, che in un progetto di outsourcing non mancano mai, il risultato cui ha portato la collaborazione tra cliente e fornitore. Ovviamente ci sono delle controindicazioni di ogni eccesso di trasparenza. Basta una piccola deviazione, e gli osteggiatori del progetto ci si attaccheranno per dimostrare il fallimento, dimenticando tutti gli altri aspetti positivi. Non dimentichiamo che un progetto di outsourcing ha bisogno di consenso per poter avere successo, poiché, a causa della forte integrazione del fornitore nell’organizzazione del committente, anche persone a livello piuttosto basso sono chiamate a dare un contributo importante, in un senso o nell’altro, alla realizzazione di un processo veramente fluido ed efficace. Infine l’aspetto legale. Il rapporto con l’outsourcer non dovrebbe avere bisogno di affrontare questo aspetto, ma ogni rapporto si costruisce nel tempo, giorno dopo giorno. All’inizio di un progetto con un nuovo outsourcer con il quale non si è mai lavorato, non si può certo pretendere di fidarsi completamente di lui, ne può essere vero il contrario. La chiarezza nella fase iniziale, e la formalizzazione di tutti gli aspetti critici riveste quindi maggiore importanza, perché maggiori sono le probabilità di discutere con il contratto alla mano. I parametri che determineranno il successo o meno del progetto, come e da chi questi verranno misurati, come sarà legato ad essi il minore o maggiore profitto, e come verranno applicate le penali in caso di risultati inadeguati per colpa del fornitore, tutto questo deve essere concordato prima della firma del contratto, e non possono essere rimessi in discussione in continuazione. Le misurazioni devono essere fatte in modo da evitare ogni contestazione, e comunque devono essere tali da non far mai arrivare ad una causa civile, situazione che potrebbe verificarsi quando i risultati tardano ad arrivare e si cominciano ad utilizzare tutti gli strumenti a disposizione (tra questi rientra il blocco dei pagamenti) perché gli impegni presi vengano mantenuti. L’outsourcing non è quindi il semplice demandare a terze parti la soluzione dei propri problemi di riorganizzazione aziendale, come spera il cliente oppure vuol far credere chi offre il servizio: l’outsourcer non conosce le esigenze del committente e quindi non è in grado da

108 subito di fornire un apporto adeguato, almeno fino a quando non entrerà nel contesto della vita aziendale. Solo allora potrà operare nel modo più opportuno60.

1.12 I vantaggi

Lasciare in azienda i soli processi vicini al core business permette di concentrarsi su ciò che si sa fare meglio, impegnando risorse e investimenti in attività rivolte alla ricerca di vantaggi in concorrenza con il proprio settore. Si tratta di convogliare il management verso obiettivi primari, specializzandosi nel proprio ambito, e di delegare ad altri ciò che non fa parte della propria esperienza e professione. Le risorse liberate dall’esecuzione di compiti marginali possono essere così impiegate a tempo pieno in attività più importanti e conseguentemente i dipendenti, coinvolti in attività facenti parte della mission aziendale, possono trarre maggiore motivazione e gratificazione nello svolgimento del proprio lavoro. Si evita quindi il rischio di vedere fuggire dall’azienda personale valido, per il quale magari sono stati effettuati investimenti nella formazione, ma che non intravede adeguate prospettive di crescita professionale poiché collocato in settori o in attività non di rilievo. Quindi, l’azienda attraverso la concessione in outsourcing delle attività, può permettersi di concentrarsi sul proprio core business dal momento che diminuisce il numero di attività svolte al proprio interno. Aspetto di rilevante importanza, in quanto, l’azienda è in base a queste attività che crea la sua posizione competitiva sul mercato e dove deve creare un gap rispetto ai competitors. Come

60 G.Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 71-73

S. Valentini (1999), Gestire l’outsourcing. I passi fondamentali per avere successo in un processo di ottimizzazione, p. 86-92 e 96-97

109 conseguenza di questa considerazione possiamo, inoltre, sottolineare che l’azienda può concentrare i suoi investimenti e le sue energie in queste attività. Attraverso la concentrazione su fasi del processo produttivo definite critiche dall’azienda, e liberandosi da attività a basso valore aggiunto, essa potrà focalizzare i suoi investimenti e potenziare quelle attività decisive nel processo di creazione di valore. Inoltre, attraverso tale scelta strategica, si liberano risorse che possono ricollocarsi in quelle fasi considerate critiche. Molto importante è capire, che nel contesto competitivo odierno, l’azienda non può avere il controllo di tutte le fasi del processo produttivo, ma soprattutto non può svolgere tutte le attività ad un livello di prestazione ottimale. Questo perché ci sono aziende che si focalizzano su un particolare servizio/prodotto e riescono a stare al passo con le nuove tecnologie presenti sul mercato. Un’impresa che svolge molte attività, ovviamente, ha rilevanti difficoltà fisiologiche nel monitorare tutti gli aspetti di tutta la catena del valore. Quindi, aspetto da tenere fortemente in considerazione è la difficoltà delle aziende di fronteggiare alla complessità tecnologica61. Con la concentrazione sul core business, l’azienda riesce a sviluppare elevate competenze. Il potenziamento delle core competencies ha elevati risvolti sul vantaggio competitivo dell’impresa rispetto alla concorrenza. Infatti, creare questo tipo di conoscenze permette di creare barriere all’entrata nei confronti dei concorrenti presenti e futuri. Maggiore è il gap di core competencies tra l’azienda e i suoi concorrenti, maggiore sarà la probabilità che l’impresa si trovi in una condizione di leadership sul mercato. L’accrescimento delle conoscenze deve essere continuativo nel tempo, in caso contrario il vantaggio competitivo dell’azienda nell’ambito delle competenze verrà eroso. Oggi non è possibile permettersi momenti di distrazione e di titubanza, in quanto i concorrenti, nel medesimo istante, cercano di limitare il gap creato. Un elemento critico per le aziende, quindi, è quello dato dalla difficoltà di reperire personale con skill adeguati, perché non si è in grado di valutare a fondo

61 P.F. Camussone (1995), L’outsourcing dei sistemi informativi: vantaggi, rischi e principali riflessi organizzativi, pp. 15 e seguenti.

110 le professionalità di cui si ha bisogno, oppure perché si tratta di figure la cui offerta sul mercato è inferiore alla domanda. Con il ricorso a risorse esterne è invece possibile avvalersi di specialisti sempre aggiornati, senza dover sostenere investimenti in tecnologia e formazione, convogliando i costi per l’aggiornamento del personale esclusivamente sui settori chiave dell’impresa. Le aziende terziste di concentrano su particolari fasi del processo produttivo, Questo consente ad esse di indirizzare forti investimenti su tali attività, acquisendo anche quelle che sono le migliori tecnologie presenti sul mercato e monitorando le innovazione del settore. I fornitori, quindi raggiungono livelli di specializzazioni professionali elevatissimi. Più i servizi/prodotti da esternalizzare implicano ricerca e sviluppo, soprattutto sotto il profilo della tecnologia, maggiore sarà il rischio nel trattenerli all’interno dell’azienda: il pericolo è quello di non riuscire a essere al passo con i tempi, sbagliando gli investimenti nello studio e nell’implementazione di soluzioni che potrebbero rivelarsi non competitive. Collegato a quanto detto fino ad ora, si può capire che nella logica dell’outsourcing vi è una maggiore flessibilità nell’acquisizione di nuove tecnologie in evoluzione62. Questo è spiegabile dal fatto che l’azienda, focalizzandosi sul proprio core business, si concentra e monitora le innovazioni interessate a quelle attività. Stesso discorso per i fornitori che sviluppano livelli innovativi eccellenti nei loro settori specifici, con il risultato che il processo produttivo viene svolto con le migliori tecnologie presenti sul mercato63. Quindi, attraverso l’opzione buy si ripartisce tra più fonti esterne il rischio legato agli sviluppi di tecnologie e componenti. Aspetto decisamente da tenere in considerazione, in quanto l’impegno in termini di risorse umane e economiche per sviluppare nuove tecnologie e competenze all’interno è tutt’altro che trascurabile. L’azienda in questo modo riesce a trasferire l’impegno al terzista, che si accolla il rischio economico-finanziario dell’attività di ricerca e sviluppo delle tecnologie e delle conoscenze.

62 C. Facchini (2006), Il processo di esternalizzazione dei servizi: fasi e strumenti, Azienditalia, N.3, p.218.

63 L. Manganelli (1997), Snidata: i vantaggi dell’outsourcing. L’impresa, N.5, pp. 52-55.

111 Una collaborazione con un’azienda fornitrice può portare dei vantaggi, anche, sul ciclo di progettazione del prodotto. Molte aziende, addirittura, progettano i nuovi prodotti insieme, tanto che gli ingegneri di una e dell’altra azienda lavorano a stretto contatto. I risultati di queste collaborazioni portano sicuramente benefici sui tempi di progettazione, che vengono molto ridotti, in conseguenza del continuo scambio di idee di più persone con conoscenze anche diverse. Ridurre il tempo di progetto di un prodotto è fortemente importante perché il mercato ha dei tempi molto veloci. È importante ridurre il tempo che intercorre dal momento in cui il bisogno viene rilevato e quando lo stesso viene soddisfatto. Il rischio può essere quello di soddisfare richieste già soddisfatte o che non sono più rilevanti per conto del cliente. Inoltre, l’azienda può beneficiare di vantaggi di tipo sinergico 64 che però si possono ottenere solo quando si instaurano tra le parti rapporti di partnership, basati su intensi rapporti di fiducia relazionale 65. Per cui non solo si tende ad agire coerentemente con le obbligazioni contratte, ma si crea un clima di cooperazione che favorisce lo sviluppo in comune di iniziative innovative con la condivisione dei costi e dei relativi rischi. Grazie a questa scelta, infatti, entrambe le aziende che partecipano all’iniziativa vedranno ampliati i limiti delle proprie capacità innovative e pertanto non saranno costrette a farsi totalmente carico di tutti i costi e i rischi connessi ai risultati dei programmi di ricerca e sviluppo di quel determinato processo . Sotto questo profilo, occorre anche considerare che il fornitore elabora le decisioni di investimento sulla base della combinazione delle prospettive di mercato di tutte le imprese clienti, la cui diversificazione permette di conseguire un frazionamento dei rischi. Svolgere l’attività all’esterno porta, anche, ripercussioni positive alla catena del valore. In particolare le esigenze della clientela vengono soddisfatte in maniera più puntuale e precisa. Grazie, infatti, ad un servizio offerto dai fornitori con un

64 M. Merlino, S. Testa, A. Valivano, Opportunità e limiti dei processi di outsourcing: esperienze nella logistica, Economia & Management, N.3, p.107.

65 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, p. 93.

112 livello qualitativo decisamente elevato, l’azienda soddisfa le richieste dei clienti in maniera più precisa. Inoltre se le collaborazioni vengono organizzate bene, soprattutto a livello di canali comunicativi, il prodotto offerto dall’azienda può essere consegnato al cliente nei tempi richiesti, riducendo moltissimo la possibilità di ritardi di consegna. Questo aspetto è di rilevante importanza, in quanto la qualità del servizio e il tempo di consegna sono due variabili che influenzano notevolmente la percezione del prodotto/servizio definito dall’azienda nei confronti del cliente. Grazie alla combinazioni di alcuni fattori come economie di scala, economie di apprendimento e innovazione di processo, dovute alla maggior specializzazione del fornitore, l’azienda dovrebbe beneficiare di una riduzione complessiva dei costi operativi. Le economie di scala, che permettono la riduzione dei costi medi unitari in corrispondenza di aumenti della capacità produttiva, sono ottenute dai terzisti in quanto aggregando ordinativi di più clienti, non solo beneficia di un maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori ma può impiegare una capacità produttiva maggiore rispetto a quella necessaria all’azienda cliente se producesse l’attività internamente. Le economie di apprendimento, che permettono anch’esse la diminuzione dei costi medi unitari, sono ottenute dal fornitore grazie alle precedenti esperienze di implementazione di soluzioni analoghe presso altre aziende. Quanto più il processo esternalizzato è specialistico tanto maggiori saranno gli effetti delle economie di apprendimento in termini di riduzione degli sprechi, difetti e tempi di lavorazione. In questo caso, infatti, il perfezionamento di certe mansioni ottenuto dal fornitore specializzato difficilmente potrà essere raggiunto da un’azienda coinvolta nella gestione di numerose e diverse attività 66 . Infine, ulteriori vantaggi di costo possono essere conseguiti grazie all’innovazione di processo che il fornitore dovrebbe perseguire mediante l’applicazione ed eventualmente la sperimentazione di nuovi metodi di produzione, al fine di impiegare per ciascuna unità prodotta quantità inferiori di input.

66 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, p. 90 e seguenti

113 La cessione di attività e la possibilità di stipulare con i fornitori contratti che prevedono compensi basati sul volume delle prestazioni, permette all’outsourcee di beneficiare di una trasformazione della propria struttura dei costi. In particolare, con la cessione di attività si riducono i corrispondenti costi fissi relativi al personale, agli ammortamenti, alle spese amministrative e commerciali, per cui la struttura dei costi si presenta più flessibile, con riflessi positivi sul rischio operativo della combinazione produttiva e sul valore dell’impresa. Grazie all’aumento del valore dell’impresa per effetto della riduzione del rischio operativo, l’azienda riuscirà ad attrarre capitali dal mercato a condizioni più vantaggiose, che a loro volta saranno investiti nelle attività legate alla core business per rafforzare ulteriormente il suo vantaggio competitivo. A seguito dell’eliminazione delle capitalizzazioni per i processi non core, l’azienda ottiene inoltre una maggiore liquidità da reinvestire nelle attività principali. Così l’outsourcing diventa un sistema per risolvere le difficoltà finanziarie in cui potrebbe trovarsi: infatti con il trasferimento al provider di impianti, macchine, veicoli, licenze, essa ottiene una liquidità immediata ma anche veri e propri finanziamenti, in considerazione del fatto che i beni vengono solitamente venduti al loro valore di iscrizione al bilancio, che potrebbe risultare superiore rispetto ai prezzi di mercato; dalla differenza fra il valore di vendita e quello reale dei beni il committente riesce ad ottenere indirettamente un prestito dall’outsourcer, che magari ne richiederà il rimborso attraverso il pagamento del servizio/prodotto in seguito offerto. Parallelamente al flusso di cassa positivo, ottenuto a fronte dei disinvestimenti, l’outsourcing permette di migliorare gli indici di bilancio, come il ROI67. Nell’epoca della new economy, il mercato è molto sensibile ai valori riportati dagli indicatori di funzionalità aziendale.

67 Il ROI (Return on Investment) è dato dal rapporto fra :

푟푖푠푢푙푡푎푡표 표푝푒푟푎푡푖푣표 푥 100 푐푎푝푖푡푎푙푒 푖푛푣푒푠푡푖푡표 dove il risultato operativo è determinato dalla differenza fra il valore e il costo della produzione, esclusi ricavi e costi atipici, cioè quelli che non si riferiscono all’attività produttiva aziendale, mentre il capitale investito è calcolato sull’insieme delle attività aziendali, come quelle immobilizzate e correnti. Il ROI è

114 Con una politica aziendale rivolta alla riduzione dei costi (cost cutting), i costi fissi di bilancio risultano così abbattuti, mentre le spese riguardanti prodotti/servizi acquisiti in outsourcing, rientrando fra i costi di gestione dell’azienda, vengono inserite fra gli elementi variabili della contabilità. Si tratta di flessibilizzazione della struttura dei costi, attraverso la quale l’azienda, avvalendosi di una struttura organizzativa più agile, può rispondere con tempi più rapidi alle variazioni del mercato, anche a quelle di tipo strutturale: l’organizzazione gerarchica, che caratterizzava le imprese industriali della old economy, mal si addice alle esigenze di un mercato in cui sono necessarie strutture aziendali dinamiche e funzionali ai cambiamenti. L’internazionalizzazione dei mercati permette inoltre di reperire in altri paesi prodotti e servizi più competitivi sotto l’aspetto dei prezzi e magari anche della qualità; un ulteriore motivo per cui si ricorre all’esternalizzazione infatti proprio quello di acquisire dall’esterno gli stessi prodotti/servizi, o perlomeno beni similari, a un prezzo più vantaggioso, che a seguito della burocratizzazione interna dell’azienda, oppure a causa della difficoltà nella gestione o nel controllo dei processi di lavoro, non è più possibile conseguire in modo efficiente al proprio interno. Dopo quanto detto, possiamo dire che l’esternalizzazione permette, da un lato, di liberare risorse tecniche, umane e finanziarie da impiegare in attività che possono contribuire a consolidare e sviluppare il vantaggio competitivo dell’impresa attraverso il potenziamento delle sue core competencies, dall’altro lato, di recuperare efficienza nei processi meno critici per la gestione, sullo sviluppo dei quali l’azienda non può o non intende investire le proprie risorse. Potremmo quindi asserire che le politiche di outsourcing sono un risultato che la tecnologia, con l’avvento e lo sviluppo di Internet, e la globalizzazione dei mercati hanno reso realizzabili in qualsiasi settore.

uno dei più importanti indici di redditività aziendale perché segnala la potenzialità di reddito dell’impresa.

115 In sintesi, possiamo così riassumere quelli che sono i vantaggi che le aziende possono ottenere con il ricorso all’outsourcing e che spingono sempre più a considerare e a intraprendere tale politica:

 possibilità di concentrarsi sul proprio core business con l’obiettivo di incrementare il vantaggio competitivo;  maggiore liquidità a disposizione per finanziare direttamente i core business e fronteggiare eventuali difficoltà finanziarie;  personale più motivato e gratificato nello svolgimento del proprio lavoro;  eliminazione di una parte dei costi fissi e loro sostituzione con costi variabili (es. costi personale, ammortamenti, ecc.);  controllo diretto sui costi del processo;  miglioramento degli indici di bilancio (es. ROI);  servizi/prodotti forniti da specialisti, sempre aggiornati, a prezzi più bassi rispetto a quelli disponibili internamente all’azienda ;  maggiore flessibilità nell’ acquisizione di nuove tecnologie di evoluzione e si ha, quindi la possibilità di accollare al terzista il rischio economico- finanziario dell’attività di ricerca e sviluppo in tecnologie e conoscenze;  riduzione dei tempi di progettazione dei prodotti;  benefici derivanti dalle sinergie in caso di partnership (es. condivisione delle conoscenze e dei rischi);  possibilità di un’offerta di servizi/prodotti più adattabili sia alle esigenze del committente che a quelle di mercato (soddisfazione clienti in termini di qualità e tempi di consegna);  possibilità di reperire, grazie all’intenazionalizzazione, prodotti/servizi migliori sotto il profilo della qualità e del prezzo in altri paesi;  di conseguenza, possibilità di aumentare o decrementare la fornitura del prodotto oppure la quantità del servizio da erogare, senza dover affrontare problemi organizzativi;

116 1.13 I rischi organizzativi, strategici, economici e operativi

La strategia di outsourcing pur garantendo numerosi vantaggi, comporta anche numerosi rischi. Innanzitutto parliamo di rischi organizzativi e strategici, che sono da tenere seriamente in considerazione. Svolgere all’esterno un’attività, significa smobilitare la struttura interna per i prodotti/servizi ceduti all’esterno. L’azienda deve tenere ben presente la possibilità che il personale si demotivi68. La conseguenza è la creazione di un clima interno scarsamente propositivo con maggiore probabilità di conflitti interni a danno della cultura aziendale e delle stesse performance. L’outsourcer è uno specialista, quindi saprà offrire soluzioni migliori rispetto a quelle che le aziende possono trovare al proprio interno. Questa affermazione non ha una valida spiegazione nel caso in cui l’outsourcer impieghi gli stessi dipendenti esternalizzati dalla casa madre: in questo contesto non si capisce perché, tutto ad un tratto, le medesime persone, dopo essere state escluse tra l’altro dall’azienda dove erano precedentemente impiegate, dovrebbero essere incentivate a lavorare meglio e con maggiore professionalità. Trovarsi in una nuova realtà organizzativa e dover ricominciare daccapo con l’inserirsi all’interno di un nuovo gruppo potrebbe comportare piuttosto un sentimento di demotivazione, anziché uno stimolo a far meglio, soprattutto se ciò è proposto da un’organizzazione che prevede minori garanzie per i lavoratori. Anche quando l’outsourcer si avvalga di una propria struttura organizzativa, con personale esperto e formato alle mansioni da svolgere, e non debba ricorrere alle prestazioni di lavoro degli ex dipendenti esternalizzati, sarà necessario prevedere un periodo di integrazione delle risorse dell’outsourcer nella nuova realtà lavorativa, prima che esse possano operare in modo ottimale. Pertanto, l’azienda che ricorre all’outsourcing risparmierà sui costi di gestione del personale interno, ma dovrà mettere in conto un probabile rallentamento della propria attività e un dilatarsi dei tempi nel raggiungimento dei risultati, dovuti a una fase di assestamento della nuova organizzazione venutasi a concretizzare.

68 A. Boin, M. Merlino, A. Savoldelli (1998), Outsourcing uno strumento operativo o una moda?, p.52.

117 Dal canto proprio l’outsourcer dovrà garantire continui investimenti nella formazione dei propri dipendenti e nelle tecnologie impiegate a svolgere la sua attività. Però sembra più probabile che, una volta instaurato un rapporto di dipendenza, dove il committente è in una posizione di subordinazione rispetto all’outsourcer, quest’ultimo possa tranquillamente decidere di vendere al proprio cliente ciò che esso ritiene più vantaggioso, magari risparmiando proprio sui costi della formazione o decidendo di non effettuare investimenti in settori come per esempio quello tecnologico, che è invece in continua evoluzione. Inoltre, osservando quanto sta avvenendo nel mercato del lavoro anche nel nostro paese, ci si accorge che le aziende di nuova costituzione comprese le multinazionali, quando aprono nuove sedi, sempre più spesso si avvalgono delle prestazioni di personale giovane e con contratto flessibile, termine che, in questo caso, più che descrivere attività caratterizzate da dinamismo e da un’alta richiesta sul mercato, sotto intende invece un lavoro precario e sottopagato. Quindi, sorgono forti dubbi sull’esperienza e la motivazione nel lavoro di chi sa di avere un collocazione temporanea e non si sente parte integrante dell’azienda e quindi sulla maggiore efficienza dell’outsourcer rispetto a quanto viene realizzato da lavoratori interni. Ovvio che non sarà conveniente spendere in formazione e addestramento, in specializzazione, in tecniche di comunicazione e customer care, quando ci si avvale di personale occupato in modo temporaneo oppure di tipo occasionale; non ci sarà neppure l’esigenza di conoscere esattamente quale sia l’esperienza che tale personale ha effettivamente maturato, quali reali conoscenze da esso acquisite, nonché notizie certificate sulla sua identità: tutto ciò costa troppo, anche per l’outsourcer, che avrà invece, come un qualsiasi altro imprenditore, l’obiettivo di tenere basse le spese della propria azienda, soprattutto quando non gli sarà possibile aumentare i prezzi di vendita dei prodotti o servizi offerti. Se il cliente si dovesse lamentare dell’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione dall’outsourcer, esso non dovrà far altro che sostituire la risorsa in questione e, trattandosi di lavoratori temporanei, tale avvicendamento non determinerà un aggravio di costi a proprio carico: a subirne

118 il rallentamento nell’operatività, a causa dell’inserimento nel contesto lavorativo di un nuovo arrivato, sarà invece proprio il cliente. Tra i rischi dell’utilizzo di lavoratori temporanei o precari c’è poi quello derivante dalla durata del tempo determinato del contratto di lavoro: una volta che esso si conclude, non è più possibile fare riferimento alla persona che ha curato una certa attività per risolvere i problemi che possono sorgere in momenti successivi; spesso diventa difficile semplicemente ricontattare la persona che ha realizzato il lavoro, magari solo con finalità di conoscere maggiori dettagli su quanto è stato fatto. Chi si avvale dell’attività svolta da personale impiegato in modo temporaneo dovrebbe prioritariamente definire gli obiettivi e liberare la persona dal vincolo lavorativo solo quando si è più sicuri che quanto prefissato sia stato pienamente raggiunto: ciò può avvenire solo a seguito di un controllo puntuale su quanto viene realizzato e diventa irrinunciabile quando ci si rivolge a lavoratori temporanei per lo svolgimento di mansioni per le quali sono richiesti un importante apporto personale e un elevato grado di professionalità. A essere demotivati non sono comunque solo coloro che passano alle dipendenze dell’outsourcer o che da lui vengono reclutati per svolgere un lavoro a termine o di tipo precario: anche chi rimane in azienda e viene ricollocato o riconvertito su altri incarichi potrebbe non accogliere con entusiasmo la politica di cambiamento, mentre chi resta operativo nel proprio settore, impiegato in attività di controllo su quanto viene svolto dall’outsourcer, potrebbe considerare questo nuovo ruolo una perdita di prestigio, magari perché non si avvarrà più di un suo staff, mentre non sono da escludere situazioni di tensione fra chi rimane in azienda e chi viene trasferito, che si vedrà defraudato del posto di lavoro. Le aziende quindi rischiano di creare un clima generale di sfiducia e di insicurezza fra i propri dipendenti, senza d’altra parte conseguire un effettivo miglioramento dei risultati69. Quindi l’operazione incontra resistenze a quasi tutti i livelli della struttura gerarchica aziendale oltre che dalle rappresentanze sindacali. Mentre a livello di

69 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 63-69.

119 top management si riscontra una consapevolezza abbastanza diffusa dei vantaggi dell’outsourcing, i responsabili di funzione percepiscono l’operazione come un rischio di perdita di potere all’interno dell’azienda e reagiscono molto spesso ostacolando il corretto svolgimento del rapporto con il provider70. In linea generale, lo scorporo di un’attività viene percepito come un atto di sfiducia da parte dell’alta direzione, soprattutto nei confronti dei dipendenti addetti ai processi che si intende esternalizzare. Questi ultimi possono interpretare la delega a terzi come una sottostima del loro operato e reagire manifestando frustrazione per le aspettative di carriera e quindi una forte demotivazione verso gli incarichi affidati. In particolare, questo malcontento può contribuire alla fuga delle risorse più qualificate verso altre imprese, molto spesso concorrenti, ancor prima che la scelta di outsourcing venga presa. È evidente che questo disagio genera costi aggiuntivi difficilmente quantificabili e allo stesso tempo non opportunamente preventivati e che tuttavia possono compromettere la convenienza economica di tutta l’operazione. Per ridurre questi rischi sarebbe opportuno, nelle fasi preliminari del contratto, che il management dell’azienda fosse estremamente riservato, anche per evitare di creare agitazione tra i dipendenti per i cambiamenti di cui non si ha ancora la certezza. Una volta presa la decisione, occorre spiegare al personale le motivazioni che hanno reso necessario il ricorso all’outsourcing nonché le conseguenze che l’operazione determinerà a livello organizzativo: la chiarezza dell’informazione costituisce una delle condizioni necessarie perché si instauri una collaborazione efficace tra il personale delle aziende coinvolte nell’operazione. Nelle aziende che hanno adottato efficacemente gli strumenti di comunicazione, supportati in alcuni casi da corsi rivolti ai dipendenti e finalizzati al superamento dei problemi legati al passaggio ad una nuova organizzazione e ad una nuova cultura aziendale, è stato riscontrato che l’outsourcing ha rappresentato per i dipendenti trasferiti nella struttura dell’azienda fornitrice un’opportunità di riqualificazione professionale e una modalità per acquisire nuove esperienze e nuovi skill. Il trasferimento dei dipendenti rappresenta,

70 G. Cuneo (1994), Aziende più competitive se cambiano i confini, L’impresa, N.5, pp. 10 e seguenti

120 tuttavia, uno dei maggiori ostacoli per la definitiva implementazione dell’outsourcing, a causa delle rigidità che caratterizzano ancora oggi il sistema di relazioni industriali. Pertanto, per qualsiasi iniziativa di outsourcing che comporta il trasferimento di personale è necessario predisporre in anticipo adeguati sistemi per incentivare i dipendenti ad accettare i cambiamenti e contestualmente prevedere, di intesa con le rappresentanze sindacali, idonee misure di ricollocamento. Sotto il profilo del coinvolgimento del personale, un ulteriore sforzo dell’outsourcer sta nel favorire la partecipazione dei manager responsabili del processo esternalizzato e che con molta probabilità rimarranno all’interno dell’azienda con compiti di controllo della qualità del servizio erogato dal fornitore. Disporre per queste mansioni, determinanti per la buona riuscita dell’iniziativa, di dirigenti non adeguatamente motivati e preparati, rappresenta una delle cause più frequenti di contrapposizione, se non addirittura rottura delle relazioni, con le società fornitrici. Ciò che accade molto spesso è che dirigenti abili a gestire aspetti tecnici di un determinato processo, non necessariamente risultano capaci di assumere le responsabilità di interpretare le esigenze interne, comunicarle al fornitore e verificare la qualità dell’output e quindi continuano ad occuparsi di problematiche tecniche di competenze dell’account manager della società fornitrice, generando sovrapposizione e conflitti71. Dal punto di vista organizzativo, oltre ai problemi legati all’impiego di personale interno – fuori dall’azienda o da ricollocare all’interno della stessa – possono presentarsi delle situazioni di incertezza, a fronte di un contratto firmato con l’outsourcer che potrebbe rivelarsi poco dettagliato per quanto riguarda:

 i risultati che si vogliono conseguire;  le modalità attraverso le quali tali risultati saranno raggiunti e la relativa tempistica;  l’attribuzione delle competenze tra personale interno e outsourcer.

71 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, p. 100.

121 Problemi di tipo organizzativo possono emergere anche nel caso opposto, a causa di un contratto definito con un livello di dettaglio troppo alto, nonché per un’eccessiva rigidità, da parte dell’outsourcer, nell’applicazione delle stesse clausole contrattuali. Quello che prima veniva realizzato comunque da personale interno ora verrà commissionato a un fornitore, che sarà ben attento a rispettare e a far rispettare al committente gli accordi sottoscritti: l’outsourcer non ha alcuna convenienza a dare più di quanto pattuito. Inoltre, la creazione di nuove imprese, a fronte delle politiche di riorganizzazione e successiva cessione di rami aziendali, e la nascita di provider portano a immaginare la formazione di numerosi organismi, satelliti ad altre aziende, in concorrenza tra loro nell’offerta di servizi e prodotti. Ciò farebbe sperare in un aumento dell’occupazione, nonché in un miglioramento della qualità di ciò che viene offerto sul mercato e delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Nella realtà le cose risultano un po’ diverse: spesso l’outsourcer è una multinazionale, che non ha alcun interesse a operare in competizione con altri fornitori, ma che cerca di crearsi una specie di monopolio dell’ambito del proprio mercato. Pertanto spesso le politiche di outsourcing portano una concentrazione nelle mani di pochi di ciò che prima veniva realizzato da molti: infatti una volta che un ramo aziendale viene esternalizzato, esso può essere più facilmente inglobato in realtà aziendali di maggiori dimensioni che, puntando su prodotti e servizi realizzati in modalità simili a quelle delle catene di montaggio industriali e usufruendo dunque di economie di scala, raggiungono l’obiettivo della produzione a bassi costi. Ovvio che ciò non comporta conseguentemente la realizzazione di servizi di qualità, personalizzati alle esigenze dei clienti, anzi potremmo dire che si arrivi, al contrario, a un’omologazione dell’offerta. Facciamo l’esempio dell’esternalizzazione di un call-center, organizzato per fornire la soluzione a problemi che si presentano a un’utenza predefinita: in questo caso l’addetto a rispondere al telefono potrebbe avere a disposizione un sistema per il riconoscimento del chiamante, attraverso il numero telefonico collegato ad un archivio, che gli consentirà di acquisire elementi aggiuntivi per

122 l’individuazione dell’utente. Malgrado ciò, sarà difficile che l’operatore preposto al servizio demandato in outsourcing sappia concretamente quali siano la funzione aziendale e le esigenze della persona che ha effettuato la chiamata, perché si tratterà di una realtà completamente diversa da quella in cui egli opera. Anzi potrebbe perfino trovarsi a lavorare contemporaneamente per differenti aziende del medesimo settore, ciascuna con una propria struttura organizzativa, a cui dovrà garantire servizi di tipo standard: in tali circostanze difficilmente l’operatore potrà fornire un servizio personalizzato e qualitativamente migliore rispetto a quello erogato da un operatore interno, che si sente parte integrante dell’azienda. Se il servizio call-center è offshore, oltre alla diversa identità aziendale, saranno i differenti ambiti culturali e di costume, connessi alla localizzazione degli attori in differenti paesi, a rendere ancora più difficile il relazionarsi tra operatore e utente. Non basta quindi che un addetto al call-center in India parli la stessa lingua di un newyorkese a far si che venga instaurato un contatto efficace, perché sono in gioco altri elementi della comunicazione: per questo motivo una multinazionale ha deciso di tornare indietro, riportando il proprio call-center in occidente dopo una negativa esperienza di offshore. Nella fornitura di semilavorati facenti parti della componentistica di un prodotto, si assiste invece a questa sequenza di avvenimenti: le linee di produzione vengono scorporate e affidate a terzi fornitori e in particolare ad aziende più piccole, dove, spesso i lavoratori non godono degli stessi privilegi garantiti ai loro colleghi delle imprese medio-grandi; pertanto sono le condizioni di lavoro a subire un peggioramento mentre la qualità del componente realizzato non viene alterata; solitamente queste imprese vengono poi rilevate da aziende di dimensioni maggiori, in grado di beneficiare delle economie di scala, analogamente a quanto già descritto per la fornitura di servizi, con il risultato di avere una produzione uniforme e clienti diversi che acquistano uguali componenti. Ciò porterà anche in questo caso a un’omologazione dei prodotti realizzati. Facciamo l’esempio della produzione di semilavorati da utilizzare in una produzione di automobilistica: se in un primo momento le vetture di ciascuna

123 industria risultavano fortemente differenziate, non solo per la progettazione ma anche per la progettazione ma anche per gli accessori installati, per la componentistica del motore o della scocca, ora vetture di marchi diverse sono assemblate con componenti realizzati da uno stesso produttore; quest’ultimo si avvale del risparmio sui costi, raggiunto attraverso le economie di scala, per riuscire a mantenere i prezzi a un livello più basso rispetto a quelli realizzati quando la produzione era completamente curata all’interno delle aziende clienti. Facendo però un po’ di conti ci si accorge che, complessivamente sul mercato, il numero dei lavoratori addetti a un processo che è stato esternalizzato non risulta aumentato, anzi, al contrario, viene proprio a diminuire: se per esempio 10 dipendenti nell’azienda A si occupavano di un certo processo volto alla realizzazione del prodotto X, nel momento in cui X viene acquistato all’esterno dall’outsourcer B, si renderà inutile l’attività dei 10 lavoratori interni. La nuova azienda B, che produrrà X, non impiegherà 10 dipendenti come faceva precedentemente A, perché ricorrerà a economie di scala finalizzate a ridurre i costi. Infatti, se i costi di X sul mercato fossero esattamente uguali a quelli conseguiti prima della scelta dell’outsourcing, per A non sarebbe conveniente ricorrere a questa politica. Pertanto i lavoratori impiegati a produrre X saranno necessariamente in un numero minore nell’azienda B, e nel momento in cui essa deciderà di fornire il suo prodotto anche ad altre aziende, il numero degli occupati in quest’ultime diminuirà, ma non crescerà in ugual misura quello degli occupati in B. Quindi, ci troviamo in una situazione in cui, aziende delle stesso settore si trovano ad assemblare gli stessi semilavorati: è come se tutti producessero la stessa cosa72. Da non sottovalutare, il rischio da parte dell’azienda della perdita di controllo del fornitore. Occorre considerare che i terzisti possono avere dei comportamenti opportunistici causati dalla situazione di dipendenza dell’azienda da quest’ultimo. Soprattutto nel caso che il fornitore:

72 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 67-69 e 83-85.

124

 svolga una fase del processo produttivo fortemente strategico per l’azienda o che risulti assai rilevante per l’effettuazione del prodotto.  riveli l’unico fornitore sul mercato in grado di realizzare il processo così come è stato richiesto dal committente

In questo caso l’azienda non può liberarsi facilmente del partner, in quanto potrebbe svelare e trasferire competenze rilevanti per la posizione competitiva sul mercato o, magari, occorrerebbe molto tempo per trovare un altro fornitore all’altezza del compito. In questo caso l’azienda è in una posizione decisamente sfavorevole perché non riesce a controllare il proprio fornitore, anzi è lui stesso che detta le condizioni. Le conseguenze di questa situazione sono molto negative e hanno delle sicure ripercussioni nelle performance dell’azienda con una distruzione di valore. Tutto ciò dipende, anche dal potere contrattuale delle parti interessate. Ovviamente nel caso in cui l’acquirente non abbia una forza contrattuale adeguata tale da soffrire quella del fornitore, l’azienda andrebbe incontro alla situazione in cui vede notevolmente ridotto il proprio potere contrattuale, a causa della sua dipendenza nei confronti del fornitore, e ciò potrebbe risultare maggiormente pericoloso se il contratto ricopre un arco temporale piuttosto lungo e non preveda revisioni periodiche, necessarie invece a rendere possibili gli adeguamenti da attuarsi in relazione alle sopravvenute esigenze del committente oppure a determinate mutazioni del mercato. Non dimentichiamo che la flessibilità è la parola chiave dell’attuale economia, quindi anche l’outsourcer deve essere in grado di garantirla al proprio committente. Più l’attività dell’outsourcer risulta personalizzata ai bisogni del committente, più diventa difficile per quest’ultimo rivolgersi ad un altro fornitore: pertanto il rischio di dipendenza assume una connotazione esclusivamente operativa nel caso in cui le attività in outsourcing non risultino legate al core business, mentre il rischio rivestirà un carattere drammaticamente strategico quando il committente non sarà più in grado di svincolarsi dall’outsourcer per la realizzazione di processi strettamente connessi alla propria mission. Nel

125 momento in cui l’azienda indebolisce le proprie competenze, perché demandate all’esterno, potrebbe incontrare grossi problemi a trovare un nuovo fornitore o a ritornare sui propri passi. L’azienda nella selezione di quelle attività da relegare all’esterno potrebbe compiere degli errori che nel breve periodo sono difficilmente risolvibili. Le conseguenze possono essere drastiche per l’azienda, in quanto se si perde il controllo di una variabile critica per il successo del proprio core business, questa ha influssi sicuramente negativi sulla propria posizione competitiva. In queste situazioni si possono perdere le skill critiche per l’azienda e addirittura sviluppare skill sbagliate. L’impresa se decide in maniera sbagliata, concedendo in outsourcing un’attività critica per essa, focalizzandosi successivamente su una fase strategicamente non rilevante, potrebbe perdere il suo vantaggio competitivo rispetto ai competitors con la conseguenza di non creare più valore. Scegliendo l’ipotesi buy, inoltre, si perde il know-how specifico di quella particolare fase produttiva, perché l’attività viene svolta dal personale del fornitore, mentre il nostro capitale umano o viene trasferito in altre funzioni oppure vengono assorbite dal provider73. Oltre che tali competenze, si perdono quelle conoscenze cosiddette potenziali, che si potevano venire a creare grazie alle collaborazioni tra più funzioni nello svolgimento delle attività. Ponendo l’analisi sul cliente finale, l’azienda potrebbe aver difficoltà di controllo dl livello di servizio offerto al cliente74. Per poter effettuare un controllo su tale variabile, occorre che il fornitore disponga di un adeguato sistema di misurazione delle sue performance. Si richiede, quindi, un requisito non sempre presente nelle piccole imprese e difficilmente raggiungibile a causa degli ingenti investimenti necessari. Inoltre l’azienda deve dotarsi di sistemi di comunicazione e di un’interfaccia che permetta di monitorare i livello del servizio del fornitore. È da considerare che per raggiungere questo obiettivo sono necessari notevoli

73 R. Comes (2005), Ma quale outsourcing?, Sistemi e impresa, N.3, pp. 10-12.

74 A. Boin, M. Merlino, A. Savoldelli (1998), Outsourcing uno strumento operativo o una moda?, p.52.

126 investimenti oltre che un elevato bagaglio di competenze necessarie per gestire il monitoraggio. Infine, non è da sottovalutare la perdita di contatto diretto con il cliente finale, nel caso in cui vengono esternalizzate fasi del processo produttivo verso valle della catena del valore. L’azienda deve far attenzione a non perdere troppo di vista i bisogni del cliente e le sue esigenze, e quindi deve essere brava a sviluppare rapporti di collaborazione con i partner che siano in grado di avere un contatto con il cliente e che rapportino in modo corretto all’azienda. Ma l’aspetto fondamentale da prendere in considerazione è che in seguito alla strategia di outsourcing è possibile perdere il controllo e il coordinamento dell’attività ceduta all’esterno75. Dal punto di vista produttivo, la cessione all’esterno di attività può comportare la perdita di sinergie tra processi aziendali. Quanto più risorse di impresa sono impiegate direttamente e congiuntamente per la produzione di una stessa componente o di uno stesso servizio, tanto più aumenta non solo l’efficienza ma anche la possibilità interazione tra individui con competenze diversificate. Con l’outsourcing questo processo di interazione può essere ridimensionato se non addirittura annullato. L’azienda che ricorre all’outsourcing rischia, inoltre, di perdere il controllo su di una variabile, cioè il processo concesso in outsourcing, che in futuro potrebbe risultare critico per la sua competitività76. Il decentramento di una specifica area di attività, infatti, comporta inevitabilmente una perdita di know-how difficilmente recuperabile, soprattutto, quando quel processo è interessato da intense innovazioni tecnologiche. Le conseguenze potenziali della perdita di controllo delle attività esternalizzate sono molteplici: irreversibilità della scelta strategica di outsourcing; riduzione dei livelli di efficienza delle aree di gestione collegate all’attività ceduta all’esterno; aumento della competitività delle aziende concorrenti che hanno sviluppato all’interno quella determinata attività.

75 A. Ricciardi (2000), L’outsourcing strategico, pp. 95-100.

76 A. De Paolis (2000), Outsourcing e valorizzazione delle competenze, p.35.

127 In primo luogo, la perdita di competenze rende l’eventuale ipotesi di rientro del processo, eccessivamente onerosa e di fatto quasi impossibile da realizzare tecnicamente, qualora venissero a mancare i benefici attesi 77 . In particolare, l’onerosità e la difficoltà operativa della reversibilità della scelta di outsourcing, sono strettamente correlate alla complessità gestionale e alla vicinanza del processo al core business: quanto più l’attività ceduta all’esterno è caratterizzata da una gestione operativa tecnologicamente avanzata e vicina al core business, tanto più difficoltoso e oneroso risulterà il ripristino delle capacità e delle strutture organizzative necessarie per riavviarla all’interno dell’azienda. In secondo luogo, le stesse aree di attività, le cui prestazioni dipendono da quelle dei processi sviluppati all’esterno, potrebbero registrare riduzioni nei livelli di efficienza della loro gestione. In terzo luogo, mentre le aziende si impoveriscono di conoscenze, delegando all’esterno la gestione di determinati processi, la tecnologia continua la sua evoluzione e nel medio periodo, potrebbe trarre vantaggio in termini di competitività le aziende che hanno continuato la gestione di quei processi al loro interno sviluppando economie di apprendimento. Analizzando, invece, i rischi di carattere economico, possiamo dire che questi rappresentano uno degli aspetti più critici dell’outsourcing poiché i costi dell’operazione sono piuttosto elevati e di difficile valutazione. Molto spesso accade che le spese effettive superano di gran lunga quelle preventivate e i risparmi ottenuti si rilevano inferiori a quelli attesi. Oltre ai costi esplicitati nel contratto, bisogna considerare i costi transazionali (la ricerca e la selezione del fornitore, la discussione dei preventivi di spesa, ecc.), i costi di coordinamento per verificare che le prestazioni vengano eseguite nel rispetto delle disposizioni contrattuali ed i costi d’implementazione: penali per la risoluzione anticipata di contratti di locazione; indennità di liquidazione corrisposte a personale licenziato o trasferito e così via. Occorre poi sostenere i costi per la realizzazione di un’efficiente sistema di

77 L. Berta, E. Chierichetti, S. Monteserrato (2007), Outsourcing: Fondmenti teorici e diffusione nei sistemi economici, Amministrazione e Finanza. I corsi, pp. 5 e seguenti.

128 controllo per fronteggiare i rischi tipici di una scelta di outsourcing: qualità delle prestazioni al di sotto dei livelli programmati, violazioni di segreti industriali, crescita imprevista della domanda, instabilità economico-finanziaria del fornitore, riluttanza del fornitore ad investire in nuove tecnologie. Una delle cause principali della difficile quantificazione dei costi dipende dalle asimmetrie informative che si generano tra fornitore e cliente 78 , soprattutto quando i fornitori sono i soli ad avere accesso alle informazioni e ai dati del mercato e sono restii a comunicarli all’acquirente. In particolare, quando la scadenza del contratto è piuttosto protratta e le aree di attività coinvolte dall’operazione sono piuttosto ampie, il cliente potrebbe essere indotto a sottostimare i costi per la difficile preventivazione dei carichi di lavoro e per le oggettive difficoltà a prevedere l’evoluzione delle future esigenze aziendali di medio-lungo periodo. Con la rapida evoluzioni delle tecnologie, è molto probabile infatti che la struttura dei costi attuale non risulti rappresentativa della dinamica dei costi futuri. In particolare, trascurare ad esempio le ipotesi di un andamento decrescente dei costi marginali di acquisto, di aumenti di produttività e di applicazioni di nuove tecnologie che potrebbero ridurre i costi medi di produzione, significa cedere di fatto potenziali guadagni ai fornitori. Poiché, il successo dell’outsourcing dipende in larga misura della disponibilità a instaurare rapporti di partnership tra cliente e fornitore, la presenza di queste asimmetrie informative, se non colmate durante le fasi di sviluppo dell’operazione, tende ad inclinare le relazioni di cooperazione tra le controparti, tanto da compromettere la buona riuscita dell’iniziativa. Per ridurre questo rischio sarebbe opportuno stipulare contratti di durata media più breve, in particolare per quei processi caratterizzati da sviluppi difficilmente prevedibili dalla tecnologia, ed inoltre predisporre un’apposita struttura (steering committee), composta da manager di entrambe le aziende contraenti, con il compito non solo di monitorare i risultati conseguiti e valutarli in base agli obiettivi prefissati, ma anche di prevenire e risolvere eventuali cause di conflittualità tra le due organizzazioni.

78 A. De Paolis (2000), Outsourcing e valorizzazione delle competenze, pp. 36 e seguenti.

129 Sempre dal punto di vista economico, adesso ci soffermeremo su un rischio che molte volte non viene preso in considerazione quando si affrontano tale problematiche. Creare un rapporto collaborativo con aziende fornitrici ha delle conseguenze sul potere negoziale dell’azienda 79 . Avere un rapporto con un terzista riduce il potere negoziale dell’azienda stessa nei suoi confronti. Sappiamo quanto sia importante in un mercato avere un forte potere contrattuale per avere servizi di qualità molto elevati a costi contenuti. Ovviamente se utilizziamo un fornitore per svolgere attività anche critiche per il nostro business, non siamo più in grado di dettare le condizioni a nostro piacimento. Occorrerà sottostare anche alle esigenze del partner e alle sue condizioni di scambio. Per l’azienda esistono anche rischi di tipo operativo nello svolgere all’esterno parti del processo produttivo. Scegliendo l’ipotesi make, cioè svolgendo tutte le fasi di lavorazione all’interno dei confini aziendali si ha sicuramente un maggior controllo del processo produttivo. Rivolgersi all’esterno comporta la riduzione di tale controllo, in quanto parte del processo viene svolto da un soggetto diverso dalla nostra azienda. Anche cercando di far attenzione nella selezione e monitorando continuamente l’opera del fornitore non è possibile avere il controllo dei processi in modo assoluto. Occorre tenere in considerazione che tra azienda e fornitore sottoscrivono un contratto dove vengono ben definite le clausole e l’oggetto dello stesso. Il fornitore è molto difficile che vada al di là dell’accordo, anche se l’azienda è in condizione di difficoltà. Quello che si vuole dire è che il fornitore è molto rigido nell’osservanza del contratto, e nel caso in cui l’azienda chieda dei maggiori quantitativi o una maggiore prestazione al di là delle clausole contrattuali, difficilmente tali richieste verranno soddisfatte. Analizzando in modo più approfondita i rapporti tra fornitori e aziende, un’eccessiva dipendenza dal provider può rivelarsi estremamente rischiosa, soprattutto quando si ricorre ad unico fornitore, per cui l’esito dell’operazione dipende prevalentemente dalla qualità delle competenze, dalla gestione, della tecnologia e dalla capacità di servizio di quest’ultimo. Nell’attuale dinamismo dei mercati, nessuna azienda oggi è in grado di eccellere

79 P.F. Camussone (1995), L’outsourcing dei sistemi informativi, p.20 e seguenti.

130 in tutti questi ambiti, per cui l’azienda cliente affidandosi ad un unico provider si preclude l’opportunità di trarre vantaggio dalle numerose tecnologie e dai servizi innovativi e di alta qualità offerti da altre aziende, senza trascurare il fatto che la capacità del fornitore possono diminuire nel corso della durata del contratto e quelle dei concorrenti viceversa aumentare. Questa eccessiva dipendenza può determinare, tra l’altro, uno squilibrio della forza contrattuale a vantaggio del fornitore, e indurre quest’ultimo a irrigidirsi nei confronti di richieste di deroghe di erogazione del servizio da parte del cliente. Per questi motivi, le aziende che intendono cedere all’esterno un’attività dovrebbero avere come obiettivo primario la massimizzazione della flessibilità, in modo da poter esercitare diverse opzioni man mano che le circostanze e conseguentemente le esigenze si evolvono. A tale scopo, è opportuno scegliere di stipulare accordi di breve periodo rinnovabili a scadenza con più fornitori, molto spesso in concorrenza tra loro, dove siano previsti incentivi in caso di conseguimento di risultati in termini di riduzione dei costi e aumenti della produttività. Un ulteriore accorgimento, in tal senso, potrebbe essere quello di evitare un eccessivo livello di coinvolgimento da parte del futuro provider al momento di orientare la scelta sull’opportunità o meno di cedere all’esterno un determinato processo. Quando la selezione del fornitore si realizza prima di definire la decisione, si corre il rischio, infatti, di stabilire una relationship caratterizzata da una debolezza contrattuale dell’azienda cliente. La differenziazione tra rischio organizzativo, economico, strategico e operativo, reperibile non è però così concretamente applicabile alla politica di outsourcing, perché nella realtà le demarcazioni tra le differenti categorie di rischio non risultano così nette e si può facilmente passare da una categoria a un’altra ben più critica. Facciamo un esempio: una qualsiasi azienda che non si occupi di informatica troverà lontane dalla propria mission le attività collegate alla gestione delle strutture hardware e software, compresa l’attività di help desk, rivolta alla soluzione di problemi riscontrabili da parte degli utenti che lavorano per l’azienda. Si tratta di attività che solitamente non risultano collegate in modo

131 diretto al core business; pertanto il fermo dei sistemi informativi dovrebbe essere classificato come rischio di tipo operativo. La verità è che in molti casi anche il rischio operativo incide fortemente sulle attività strategiche dell’azienda. Se in una banca il blocco dei computer non consente l’utilizzo di un’applicazione in un frangente in cui è indispensabile svolgere una certa funzione oppure tale fermo si protrae oltre un certo tempo, magari perché l’addetto all’help desk, non conoscendone le ripercussioni o sottovalutandole, non ritiene opportuno procedere all’escalation, allora tutto il sistema aziendale rischia di perdere efficienza e di conseguenza il raggiungimento della mission può subire seri contraccolpi. Neanche una differenziazione dei fornitori, a fronte di diversi processi da esternalizzare, può aiutare le aziende a risolvere il problema della dipendenza: rimanendo sempre nel settore ICT, immaginiamo per esempio di attuare il ricorso a più outsourcer, ciascuno con una propria specializzazione: uno per la gestione della rete, uno per le infrastrutture, un altro per le applicazioni informatiche. A fronte del sorgere di un problema, la cui spiegazione non risulta da subito chiara, si rischia di vedere rimbalzare la responsabilità della soluzione fra i tre differenti fornitori, secondo la logica poco nobile dello “scarica barile”. Magari il tutto può essere ulteriormente esasperato dal fatto che il committente no avrà più disponibili al proprio interno le professionalità, le competenze e gli strumenti che gli permettono di individuare la causa del problema e il tipo di intervento necessario, come invece avveniva prima di ricorrere all’outsourcing, quando tali mezzi erano in suo possesso e da lui governati80.

80 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 67-69 e 83-85.

132 1.14 Da fornitore a partner

Quando si ricorre a una politica di outsourcing non lo si fa per delegare interamente al fornitore la responsabilità dell’approvvigionamento del prodotto o dell’erogazione del servizio, ma per lavorare in un’ottica collaborativa. Il contratto ha tanto più possibilità di successo quanto più il committente si rivolge all’outsourcer per instaurare un rapporto di partnership fino a ottenere relazioni di comakership, quando il fornitore realizza, in esclusiva per un unico committente e su specifiche contenenti un elevato livello di personalizzazione, il prodotto/servizio per forniture strategiche. In questa circostanza il committente deve avere la massima fiducia su quanto viene realizzato dall’outsourcer, poiché non potrà ricorrere, in tempi brevi, ad altri fornitori nella disperata ipotesi in cui la fornitura o i servizi, realizzati dal provider, si rivelassero non all’altezza delle aspettative. La comakership è quindi una delle tipiche situazioni di sole outsourcing: siamo nel caso in cui il prodotto/servizio non è offerto genericamente dal mercato, e per questo è necessario disegnarlo insieme al fornitore. L’outsourcer utilizza l’esperienza del committente, che potrebbe, com’è nella maggior parte dei casi, già svolgere/realizzare internamente quel servizio/prodotto e decide di darlo in outsourcing, trasferendo le sue conoscenze, ed aiutando il fornitore a mettere in piedi la sua organizzazione che dovrà avere quelle caratteristiche di snellezza e flessibilità non raggiungibili altrettanto facilmente al suo interno. Tutto questo è più facile se esiste già un rapporto consolidato nel tempo tra le due parti. L’esternalizzazione implica quindi un travaso di conoscenze fra le due parti: oltre al trasferimento di strumentazioni, immobilizzazioni e personale, il committente cede il proprio al proprio outsourcer informazioni importanti, quali le modalità di svolgimento dei processi interni alla propria azienda, processi che, sebbene possano venire trasformati in un’ottica di velocizzazione e quindi di eliminazione dei passaggi burocratici e delle ridondanze, racchiudono al proprio interno la pregressa esperienza raggiunta dal committente.

133 L’instaurarsi di un rapporto di comakership sottintende una forte dipendenza anche dal lato del fornitore: lavorando in esclusiva per il committente, in caso di risoluzione del contratto, l’outsourcer si troverà immediatamente senza cliente. Mentre il committente passa a una logica di totale acquisto – buy -, il fornitore si ritrova a condividere le responsabilità e gli obiettivi del committente, per il quale dovrà realizzare – make – attività concatenate in interi processi. Questo è il motivo per il quale l’outsourcer cerca di ottenere contratti di lunga durata - di almeno cinque o addirittura dieci anni – in modo di avere anche la possibilità e il tempo di conoscere meglio la realtà organizzativa del cliente, con l’obiettivo di aumentare sia il proprio margine di profitto che quello del committente. Quindi la figura dell’outsourcer deve essere percepita dal committente come quella di un partner: il successo della politica di outsourcing è dato dalla compartecipazione degli obiettivi che committente e outsourcer devono raggiungere. C’è però da osservare che se l’obiettivo del committente è quello di abbattere i costi, quello dell’outsourcer, è al contrario quello di massimizzare i propri risultati, in termini di profitto: si tratta quindi di politiche diametralmente opposte e che si sviluppano su logiche antitetiche. Outsourcer e committente partono da ottiche diverse, benché lavorino l’uno per eseguire i processi dell’altro, nello stesso contesto aziendale. L’outsourcer è un’azienda a se, che ovviamente tende a perseguire il proprio profitto, e nel caso in cui sia costituita in struttura societaria deve rendere conto ai propri azionisti su quanto viene realizzato; a suo vantaggio giocano l’esperienza nello svolgere la propria attività, attraverso processi agili, ottenendo così risparmi derivanti dall’utilizzo di tecnologie sofisticate e appropriate e dal ricorso a economie di scala oppure dall’impegno di personale che comporti minori costi. Questo non deve però far pensare che l’outsourcer non veda nel cliente l’opportunità di aumentare il proprio profitto. E se l’outsourcer lavora in esclusiva per un solo cliente, a maggior ragione dovrà cercare forme che gli permettano di acquisire vantaggi economici, cercando di aumentare, dove possibile, i volumi della fornitura oppure risparmiando sui costi. In entrambi i

134 casi l’outsourcer cercherà di legare quanto più possibile il committente a se, per evitare il rischio derivante dalla perdita del cliente; una delle strategie più facili da applicare, per arrivare a questo obiettivo, è quello di estraniare il committente dalla conoscenza dei processi che prima facevano parte della sua esperienza di lavoro, creando una sorta di dipendenza che non ha nulla a che fare con il rapporto di partnership. Dall’altra parte, il committente ha come obiettivo quello di ottenere prezzi bassi dal fornitore, al quale chiederà comunque prodotti/servizi di livello alto: si tratta di trovare il giusto equilibrio nel classico rapporto tra domanda e offerta, che non implica necessariamente la qualità ottimale della fornitura, come invece abitualmente pubblicizzato dai provider, e neppure la determinazione del prezzo più basso: nel caso in cui si realizzasse appieno quest’ultima circostanza, l’outsourcer ne uscirebbe chiaramente svantaggiato. L’elemento che lega tra di loro outsourcer e committente è il contratto che essi devono rispettare: perciò un efficiente outsourcer non farà altro che onorare i livelli di servizio definiti. Ciò che è extra contratto non potrà essere preteso dal committente, se non a fronte di una nuova negoziazione. Solitamente attività accessorie, non sono comprese nel contratto di outsourcing, ma che necessariamente possono essere svolte solo dal fornitore, vengono fatte pagare al committente a prezzi alti. Il committente deve essere in grado di valutare le proposte che provengono dall’outsourcer, sia dal punto di vista economico sia per ciò che riguarda una possibile attuazione tecnica e procedurale, per evitare di dover accertare qualsiasi suggerimento provenga dal proprio outsourcer, che naturalmente avrà tutto l’interesse a offrire di più al cliente, magari anche in mancanza di una vera esigenza, ma con il solo obiettivo di guadagnarci il più possibile. Quindi, generalmente con l’outsourcing chi ottiene il maggior guadagno non sono sicuramente i dipendenti, da qualunque parte essi si trovino, non il committente, ma direttamente l’outsourcer, in particolare il top management e azionisti dell’azienda outsourcer, in caso di

135 strutture societarie, attraverso un aumento dei profitti conseguiti a fronte dell’attività imprenditoriale condotta81. Concludendo, possiamo dire che può esserci una differente ampiezza delle condivisioni tra azienda e outsourcer. Una strategia di outsourcing può sottintendere diverse modalità di legame con il partner-fornitore del servizio o del prodotto che si decide di esternalizzare. Quindi le relazioni possono essere di due tipi:

 durature e strutturali, dove i reciproci interessi del cliente e dell’outsourcer si concretizzano in forme di collaborazione di lungo periodo regolate normalmente da contratti pluriennali o da partnership azionarie e comporta significative condivisioni di obiettivi economici e strategici, nonché impegni congiunti per lo sviluppo del servizio affidato in outsourcing;  contingenti o occasionali, dove cliente ed outsourcer sono legati da un accordo stipulato per risolvere specifiche esigenze, in genere non ripetitive, collegate a processi di bassa complessità e per fini quasi esclusivamente di contenimento di costi.

81 G. Ventricelli (2004), Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, p. 35-36 e 75-77.

S. Valentini (1999), Gestire l’outsourcing. I passi fondamentali per avere successo in un processo di ottimizzazione, p. 94.

136 CAPITOLO 2

Il caso Pagani Automobili S.p.A

2.1 La storia

2.2.1 Horacio Pagani: le origini e gli studi

Horacio Pagani nasce il 10 novembre 1955 a Casilda 82 , piccolo villaggio agricolo della pampa argentina. Figlio di un fornaio di origini piemontesi (il nonno paterno emigrò in Argentina alla fine dell’Ottocento) e di una pittrice, fin da piccolo mostra la sua incredibile voglia di conoscere, progettare e realizzare tutto ciò che è velocità e design. In particolare sogna di poter progettare e costruire potenti auto italiane. Già a 12 anni, modellando la creta e scolpendo il legno, realizza i primi modellini di auto dando forma al suo concetto e alla sua filosofia di supercar( 1967). A 15 anni progetta e assembla una mini moto (1971). Nel frattempo il giovane Horacio si appassiona e si innamora del mondo, delle idee e della filosofia del grande maestro del

82 E’ una città argentina, capoluogo del dipartimento di Caseros nella provincia di Santa Fe.

137 Rinascimento Leonardo da Vinci. Questa passione lo porterà in ogni suo progetto a coniugare arte e scienza, creatività e perfezione, tradizione e innovazione, permettendogli così di realizzare delle auto innovative e al di fuori dei tradizionali schemi.

Dopo essersi diplomato in un istituto tecnico, Horacio studia disegno industriale all’Università di La Plata83 (1972-1974) e disegno meccanico all’università di Rosario84(1975). Nel 1979 il Team ufficiale Renault di Formula 285, riconosce le sue doti artistiche e ingegneristiche e gli permette di realizzare una vettura che gareggia sulle piste argentine.

83 E’ una città argentina e capitale della provincia di Buenos Aires. La città è situata a circa 60 km a sud- est dalla città di Buenos Aires ed è abitata da 790.616 abitanti. Questa città ha una delle università più importanti d'Argentina, la UNLP (Università Nazionale di La Plata), che richiama studenti da tutta la nazione e dà alla città una ricca vita culturale giovanile.

84 Capoluogo dell'omonimo dipartimento, è la città più grande e popolosa della provincia argentina d Santa Fe. È situata a circa 300 km a nord della capitale Buenos Aires, e il suo porto sul margine occidentale del fiume Paranà è fra i più importanti del paese. L'area metropolitana di Rosario (denominata Grande Rosario) è al terzo posto per numero di abitanti in Argentina, dopo quelle di Buenos Aires e di Cordoba.

85 E’ stata una seria automobilistica codificata nel 1948 dalla Federazione Internazionale dell’Automobile come serie cadetta rispetto alla Formula 1 nella gerarchia dei campionati per monoposto che comprendeva F1, F2 e F3. Dal 2009 tale categoria è stata reintrodotta con lo scopo di creare una categoria propedeutica alla Formula 1, a basso costo. Dal 2013 non è più prevista questa categoria.

138

139 2.1.2 Arrivo in Italia: Ferrari e Lamborghini

Nel 1982 l’amicizia con Juan Manuel Fangio 86 (pilota argentino che vinse 5 mondiali di F1,anche con la Ferrari) e Oreste Berta (meccanico argentino di auto da corsa di fama internazionale), idoli di Horacio sin da bambino, permette al giovane designer di arrivare in Italia e precisamente a Modena. La città romagnola è nota come luogo sacro e capitale dei motori, ed è qui che, in particolare, hanno la sede due famosissime aziende di automobili da corsa italiane: Ferrari e Lamborghini. Prima prova a inviare una lettera a Enzo Ferrari, sponsorizzato da Fangio e Berta, ma non riesce a farsi assumere in quanto la Ferrari collabora già con il famosissimo designer italiano Sergio Pininfarina. Pagani invece riesce a convincere l’Ing. Alfieri87 della Lamborghini a mettere alla prova le sue capacità, con le seguenti parole:

86 Juan Manuel Fangio (Balcarce, 24 giugno 1911 – Buenos Aires, 17 luglio 1995) è stato un pilota automobilistico argentino, campione del mondo di Formula 1 nel 1951, 1954, 1955,1956 e 1957. Nella massima serie automobilistica disputò un totale di 52 Gran Premi, vincendone 24 e salendo per 35 volte sul podio. Ottenne inoltre 29 pole position e un totale di 48 partenze dalla prima fila. Il suo record di 5 titoli mondiali ha resistito per 48 anni ed è stato eguagliato e superato solamente nel 2002 e 2003, da Micheal Schumacher. Detiene a tutt'oggi la più alta percentuale di pole position realizzate in carriera, il pilota argentino è infatti partito in prima posizione nel 55,8% dei Gran Premi disputati; a 46 anni e 41 giorni è inoltre il corridore più anziano ad avere conquistato un titolo mondiale. Da molti considerato il più grande pilota di Formula 1 di tutti i tempi aveva uno stile di guida preciso ma allo stesso tempo spettacolare oltre che una profonda conoscenza della meccanica essendo stato coinvolto nel settore delle riparazioni fin da ragazzino. Corridore completo, seppe distinguersi anche in competizioni a ruote coperte, da ricordare i suoi numerosi piazzamenti alla Mille Miglia, la vittoria alla Carrera Panamericana nel 1954, al Nürburgring nel 1955 e alla 12 Ore di Sebring nel 1956 e nel 1957.

87 Giulio Alfieri (Parma, 10 luglio 1924 – Modena. 20 marzo 2002) è stato un ingegnere italiano attivo nel campo automobilistico. Lavorò con la dal 1953, dove fu fondamentale per lo sviluppo di autovetture da strada e da competizione tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta. Alfieri è comunque

140 - “Fatemi pulire per terra, ma ricordatevi che sono venuto per costruire la più bella macchina del mondo! “

Nel 1984 viene assunto come operaio di terzo livello nel reparto carrozzeria, poi diventa consulente ed infine responsabile del nascente reparto compositi. In breve tempo diventa esperto di un nuovo materiale aereospaziale dalle caratteristiche straordinarie che viene applicato per la prima volta sulle auto sportive: la fibra di carbonio. Come responsabile e grande esperto dei materiali compositi, insiste molto per applicare e utilizzare la fibra di carbonio sulle auto da strada (carrozzeria e componentistiche) della Lamborghini. L’azienda modenese non è dello stesso parere e si rifiuta di applicare questa idea, in quanto la fibra di carbonio ha ancora costi troppo elevati (forni dedicati, operai specializzati, ecc.). Nel 1984 collabora con il team che costruisce la “Countach Evoluzione”, prima vettura in fibra di carbonio. In seguito a questa collaborazione diventerà il responsabile del design della Anniversario (1987).

principalmente ricordato per la progettazione della Maserati 3500 GT (1957) e della Maserati Birdcage (1961), entrambi utilizzanti una lega leggera per la carrozzeria. Lasciò la Maserati nel 1975, e nello stesso anno lavorò per la Lamborghini, con Ubaldo Sgarzi, su motori V8 e V12 (1975-1987).

141

2.1.3 Horacio Pagani Composite Research e Modena Design

Nel 1988, convinto che i materiali compositi sarebbero divenuti la tecnologia di costruzione delle future supercar e guidato dal suo spirito imprenditoriale, decide di fondare la società “Horacio Pagani Composite Research”. Ed è proprio nel 1988 che confida al suo amico Fangio, il suo progetto di costruire un’auto che rifletta la filosofia del grande pilota argentino. Fangio apprezza molto l’idea e da la disponibilità a Horacio di dare il proprio nome alla futura auto : “Fangio F1”. Con la promessa che la vettura monterà un motore Mercedes, inizia l’evoluzione di un progetto che porterà alla progettazione e alla costruzione della Pagani Zonda nel 1999. Infatti fu proprio nel 1988 che apparvero i primi disegni della futura vettura(all’epoca chiamata Fangio F1).

142

Nel periodo 1988-1991 continua a lavorare per la Lamborghini come collaboratore esterno, dando un contributo fondamentale per la realizzazione di auto come la Diablo (1990) e la L30 (1991). La sua collaborazione è rivolta alla definizione del design e all’ingegneria della carrozzeria (costruzione modelli, stampi e trasferimento del know-how alla Lamborghini per la costruzione di carrozzerie in materiali compositi avanzati con un sistema innovativo).

143 Pagani però, ha in mente già da molto tempo di dedicarsi alla produzione in proprio di una nuova Gran Turismo, che diventi il punto di riferimento nel suo segmento di mercato. Così nel 1991 decide di fondare la “Modena Design”, che era una società che si occupava di fornire servizi di design, progettazione, engineering e di costruire particolari in materiali compositi avanzati.

La società collaborò e diventò fornitrice di numerose società auto sportive e di moto:

- Nissan: studio spoiler per vettura da corsa nel 1992

- Lamborghini: collabora alla definizione dello stile della Diablo Anniversary nel 1992 e al design interni automobili tra il 1994 e il 1997

- Aprilia: engineering , stampi e costruzione di componenti per moto da corsa 250 e 400 che gareggiano nel campionato del mondo tra il 1994 e il 1997. Grazie anche a questa collaborazione l’Aprilia conquista per ben 3 anni conseguitivi il titolo mondiale piloti nella classe 250 con Max Biaggi(1994-1996) e un titolo costruttori sempre nella categoria 250.

144

- Renault France: engineering, stampi e costruzione prototipo progetto “NEXT” tra il 1995 e il 1996

- Ferrari: stampi e costruzione componenti motore F1 tra il 1995 e il 1996

- Berman: design, engineering, modelli, stampi e componenti per Move/ Suzuki Vitara/Dahiatsu nel 1996.

145 - Dallara88 F3: stampi e costruzione componenti in materiali compositi avanzati nel 1997. In quell’anno la vince sia il campionato italiano F3 con Olivier Martini sia il campionato inglese F389 con Johnny Kane.

Nel 1992 nasce la ragione sociale della Pagani automobili. Tra il 1992 e il 1993 inizia il progetto e nasce il primo prototipo della Fangio F1 (progetto C8): una gran turismo in materiali compositi avanzati.

88 La Dallara Automobili è un'azienda italiana costruttrice di automobili da competizione, fondata nel 1972 a Varano de’ Melegari dall'ingegner Gian Paolo Dallara. Le competenze distintive della Dallara sono tre: la progettazione e produzione, utilizzando materiali compositi in fibra di carbonio, l’aerodinamica (galleria del vento e CFD) e la dinamica del veicolo (simulazioni e testing).La Dallara è oggi presente in tutti i campionati F3, è il fornitore unico di vetture ai campionati IndyCar, Indy Lights, GP2, GP3, World Series by Renault e Super Formula, realizza vetture per campionati addestrativi (Formulini) e partecipa alla categoria Grand-Am. In Formula 1 ha gareggiato dalla stagione 1988 a quella del 1992, quale fornitrice dei telai della Scuderia Italia.

89 La Formula 3, spesso abbreviata F3, è forse la più importante categoria automobilistica di monoposto in circuito per piloti emergenti, snodo tra le serie promozionali monomarca e il professionismo. La F3 è articolata in campionati nazionali o continentali che si svolgono, o si sono svolti, in Europa, Asia, Sud America e Oceania, mentre il regolamento tecnico è definito dalla Federazione Internazionale dell’Automobile che, a partire dal 1950, ha adottato la categoria come parte di un percorso comprendente Formula 3, Formula 2 (successivamente Formula 3000 e ora GP2) e poi Formula 1. Il grande successo e la storia della serie ha fatto sì che non pochi piloti passassero direttamente dalla F3 alla F1 senza il passaggio intermedio.

146 In quel periodo, tramite Juan Manuel Fangio, conosce i vertici della Mercedes- Benz e dopo due anni riesce ad ottenere la fornitura dei motori AMG, interamente realizzati a mano. Nel 1993 vengono svolti i test aereodinamici del prototipo nella galleria del vento della Dallara a Varano Melegari (Parma). La nuova vettura supersportiva viene terminata nel 1998 con il nome di Pagani Zonda90, in onore di un vento delle Ande. Il nome viene cambiato per rispetto verso Fangio che muore nel 1995. Essa è costruita a mano, ha il telaio in fibra di carbonio e il suo design è ispirato ai prototipi Mercedes-Benz Frecce d’argento gruppo C 91(categoria autovetture da corsa nella quale gareggiavano sport prototipi coupé tra il 1982 e il 1993).

90 E’ un vento che soffia da ovest-sudovest, piuttosto secco e polveroso, ed è simile al föhn o foehn nelle Alpi europee. Questo vento soffia molto spesso dalle cime e crinali delle Ande cilene, trascinando detriti e polveri sul versante orientale della cordigliera delle Ande. Lo Zonda è un vento secco a genesi circumpolare (Polo Sud). Inizialmente, le acque dell' Oceano Pacifico lo rendono moderatamente umido, ma poi perde la sua umidità nell'ascesa con espansione, raffreddamento e condensazione del vapore in acqua piovana che precipita sotto forma di neve per lo più sulle montagne del Cile (con crinali alti più di 4.000 metri, e picchi oltre i 6 km), ed in seguito subisce una compressione e riscaldamento nella discesa dai crinali, fino alla Patagonia e le Pampas. Il vento Zonda può superare i 120 km/h.

91 Nell'ambito degli sport automobilistici gestiti dalla FIA, il Gruppo C è stata una categoria di autovetture da corsa nella quale gareggiavano sport prototipi coupé e venne introdotta nel 1982, assieme al Gruppo A per le automobili da turismo ed il Gruppo B per GT sportive. Fu istituita per sostituire sia il Gruppo 5 (automobili coupé come la Porsche 935) che il Gruppo 6 (sport prototipi aperti come la Porsche 936). Il regolamento tecnico di Gruppo C venne utilizzato nel Campionato Mondiale Sportprototipi come classe regina e nelle altre corse di sport-prototipi intorno al globo. L'anno finale di questa categoria fu il 1993.

147

2.1.4 Pagani Auto S.p.A

Il 1999 rappresenta un anno fondamentale nella storia di Horacio Pagani in quanto fonda la Pagani Automobili S.p.A a San Cesario sul Panario, in provincia di Modena. Pagani decide quindi di collocare la propria azienda, o atelier come piace chiamarla a lui, nelle vicinanze di altre aziende automobilistiche storiche produttrici di supercar, quali: Ferrari (circa a 19 km) e Lamborghini (circa 50 km). La struttura dell’azienda è interamente progettata da lui ed è più simile a uno studio artistico o una piccola bottega artigianale piuttosto che a una fabbrica. In un unico stabilimento di modeste dimensioni e con spazi contenuti sono presenti il reparto assemblaggio, il reparto laminazione, la produzione delle componenti in fibra di carbonio e l’ufficio progettazione. Non occorre un’azienda di grandi dimensioni perché la Pagani decide di concentrarsi esclusivamente sul suo core business, cioè la produzione della fibra di carbonio e la progettazione e l’assemblaggio dell’auto, esternalizzando la produzione di tutte le altri componenti quali: motore, cambio, sospensioni, ruote, pneumatici, ecc.

148

Nel logo dell’azienda, la scritta Pagani Automobili Modena è racchiusa in un’ellisse: questa forma geometrica è alla base del patrimonio e dell’idea stilistica della Pagani. L’ellisse Pagani è molto più leggera di un ovale e di un quadrato e non è un’ellisse matematica ne tantomeno il risultato di due circonferenze raccordate da un terzo raggio. Al contrario, questa è schiacciata e allungata, ridisegnata tante volte quante il suo difficile obiettivo ha richiesto: ottenere una forma capace di coniugare morbidezza, eleganza, leggerezza, snellezza e ricercatezza 92 . Per

92 M. Bottoni(2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.79

149 Horacio l’ellisse sarà il punto di partenza da cui cominciare a disegnare le sue fantastiche auto. Horacio inizia la sua attività ispirandosi alle idee e al pensiero di Leonardo Da Vinci, con particolare rifermento a un concetto del grande artista toscano:

“Arte e scienza possono camminare mano nella mano”

Il designer spiega così questa sua filosofia:

“ […] L’esperienza mi ha insegnato che il design non è altro che il riflesso di una cultura contemporanea guidata dal cammino condiviso tra arte e scienza. E’ grazie al progresso tecnologico che si può inventare e sviluppare il Nuovo, dall’architettura alla nautica alle automobili. Alimentare la cultura del sogno in una civiltà molto dinamica e veloce, richiede un saper-fare rinascimentale, dove antico e nuovo si combinano per sconfinare nell’ordinario […]”93.

Quindi l’obiettivo del designer italo-argentino è realizzare un’auto che possa essere vista sia come un’opera d’arte sia come un prodigio dell’ingegneria. In altre parole esso ritiene che il designer deve essere capace di rendere bella una cosa funzionale e per fare questo è necessaria una ricerca quasi maniacale del particolare. Ed è proprio perseguendo questo obiettivo che riesce ad ottenere un grande successo e a realizzare la sua prima auto che progettava ormai da molti anni: la Pagani Zonda.

93 M. Bottoni(2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.67-68

150 2.1.5 Pagani Zonda: il grande successo

Al Salone di Ginevra del 1999, Pagani presenta la Zonda C12: la prima auto realizzata nell’atelier di San Cesario sul Panaro.

La lettera “C” del nome è stata scelta per fare una dedica alla moglie Cristina. Pagani, entusiasta per aver raggiunto il suo obiettivo, afferma:

"Tutti i progetti sono interessanti quando smettono di esserlo per trasformarsi in realtà”

La vettura è equipaggiata con motore V12 Mercedes-Benz M120 da 5987 cc da 394 cv, ha la carrozzeria in fibra di carbonio, raggiunge i 330 km/h(da 0 a 100 km/h in meno di 4 secondi) ed è omologata per la circolazione. Il motore è collocato in posizione centrale per massimizzare le performance in termini di coppia, potenza e peso contenuto.

151 L’elevato utilizzo di materiali compositi avanzati, per la realizzazione della carrozzeria e del telaio, rende l’auto rigida e allo stesso tempo leggera, senza sacrifici per il confort. L’auto, piccola fuori e confortevole dentro, svela ai suoi passeggeri un universo esclusivo nel quale la realtà si confonde con il sogno, grazie agli interni ispirati a culture passate, presenti e future. E’ proprio la difficoltà e l’ambizione nel creare una vettura senza tempo con forme e particolari fortemente emotivi e armonici, che accompagna l’attenzione e la cura del design verso i particolari più nascosti e tecnici. Questo modello fu riprodotto in soli 5 esemplari, di cui solo 3 furono messi in vendita al prezzo di 320 000 dollari. Le altre due vetture furono rispettivamente usate per il crash test e come vetture da esposizione. Oggi è rimasta una sola Zonda C12 (quella con il telaio numero 3). Con la presentazione di questa vettura inizia il grande successo del designer italo-argentino, delle sue auto e della sua azienda. Nel 2000, la Zonda C12 viene equipaggiata di un motore più potente (una versione elaborata dalla AMG del motore M120) e nasce così la Zonda C12 S. Il motore ha una cilindrata di 7 litri (7010 cc) che esprime un potenza massima di circa 500 cv. Il peso dell’auto scende di 10 kg grazie ad alcuni accorgimenti, come l’adozione di uno scarico più leggero.

152 Dal punto di vista estetico si contraddistingue per un nuovo alettone posteriore e per il frontale che prende ispirazione dal mondo della Formula 1. Inoltre questa vettura è disponibile anche in versione spider. Nel 2002 nasce la Zonda C12 S 7.3, che monta un motore Mercedes-Benz M120 V12 da 7,3 litri con bielle in titanio che sprigiona 555 cv e che è capace di scatenare una coppia94 di 620 Nm a soli 2000 giri fino ad arrivare a 750 Nm a 4050 giri. In questa versione, la Zonda, viene dotata per la prima volta del controllo di trazione, ha un telaio in cromo-molibdeno95 che sostiene il motore e un impianto di aspirazione appositamente progettato che avvolge quest’ultimo. La supercar ha un design aggressivo e imponente seguito da un suono feroce, ma una volta saliti a bordo tutto cambia: si percepisce un comfort inaspettato grazie alla silenziosità del motore, alla luminosità della cupola, all’ottima insonorizzazione e alla quasi totale assenza di vibrazioni. Ogni cliente ha la possibilità di scegliere, a seconda dei propri gusti, i materiali, i dettagli in alluminio e in fibra di carbonio e le finiture esclusive come le pelli pregiate lavorate e cucite a mano. L’azienda per questa vettura dichiara una velocità massima di 350 km/h, che varia a seconda della personalizzazione della configurazione aereodinamica del proprietario. Questa versione della supercar verrà prodotta in 17 esemplari coupé e in 12 roadster: Zonda Roadster

94 La coppia motrice è il momento meccanico applicato dal motore a una trasmissione. Essa viene utilizzata per ricavare la potenza del motore tramite una formula fisica che utilizza il valore di coppia insieme a quello di rotazione a cui è stato rilevato. A parità di cilindrata i motori diesel, per le loro caratteristiche, hanno una coppia massima maggiore di quelli a benzina, ma generalmente sono più limitati nelle rotazioni massime, e per questo motivo hanno minore potenza massima dei motori a benzina. Tuttavia anche se il regime di rotazione massimo dei diesel è generalmente inferiore a quello dei motori a benzina, la differenza di potenza tra i due sistemi in rapporto alla cilindrata è estremamente ridotta. L'unità di misura della coppia è il Nm (newtonmetro) o kgm (chilogrammetro); il kgm è 9,81 Nm.

95 L'acciaio nichel-cromo-molibdeno fa parte degli acciai da bonifica, cioè adatti a sopportare carichi elevati, urti e soprattutto a resistere a fatica (carico di rottura Rm = 1200 N/mm2). L'acciaio 40NiCrMo6 è uno dei migliori di questa categoria, perfetto compromesso tra resistenza meccanica e tenacità. È di solito trattato con la tempra, in acqua o in olio, e con il rinvenimento a circa 620 °C, ma presenta una buona penetrazione della tempra anche con raffreddamento in aria. Questo acciaio è utilizzato per la costruzione di componenti soggetti a forte sollecitazione sia statica che dinamica quali alberi ' manovella, bielle, ingranaggi, pistoni, giunti, parti di motori a combustione interna, fucili, catene antifurto. Le catene antifurto di acciaio nichel-cromo-molidbeno cementato sono reputate tra le migliori poiché è necessario un flessibile per spezzarle.

153

Tabella 2.1 - Scheda tecnica Zonda C12 S 7.3

Motore  Mercedes-Benz M 120 7.3 AMG 12 cilindri a V di 60°, cilindrata 7291 cc Potenza Massima  (kW) cv/giri: (408) 555/5900 Coppia Massima  Nm/giri: 750/4050 Trasmissione  Motore posteriore longitudinale centrale  Trazione posteriore con differenziale autobloccante  TCS standard

Frizione  Bi-disco Cambio  Meccanico a 6 marce (+ RM) Freni  4 dischi Brembo autoventilanti: anteriori 355 con pinza a 4 cilindretti e posteriori 335 con

154 pinza a 4 cilindretti  Servofreno idraulico  ABS standard Sterzo  TRW pignone e cremagliera servoassistito Ruote  Cerchi in lega OZ 18” Pneumatici  Michelin Pilot Sport: anteriori 255/40/18 e posteriori 345/35/18 Sospensioni  4 ruote indipendenti a triangoli sovrapposti  Braccio superiore a bilanciere con molla elicoidalee ammortizzatore regolabile Öhlins  Barra anti-rollio  Bracci in lega di alluminio Struttura  Cella centrale in fibra di carbonio  Telaio anteriore e posteriore in tubi di acciaio al Cr Mo;  Carrozzeria in fibra di carbonio “MD system” Dimensioni  Lunghezza 4395 mm;  Larghezza 2055 mm;  Altezza 1151 mm;  Passo 2730 mm;  Peso a secco 1280 kg Prestazioni  0-100 km/h in 3,7 secondi;  rapporto peso/potenza : 2,30 kg/cv

155 Sempre in quell’anno viene fondata la Carsport Zonda, da Tom Weickardt (proprietario delle American Viperacing), Toine Hezemans (proprietario della Carsport Holland) e Paul Kumpen (titolare della GLPK), con lo scopo di creare la prima versione da corsa della Zonda su licenza Pagani. Il primo esemplare viene alla luce pochi mesi dopo l’accordo, proprio a Modena. La Zonda GR è un’elaborazione della C12 S, fatta sulla base dei regolamenti FIA(federazione internazionale dell’automobilismo) e dell’ACO 96 (Automobile Club dell'Ovest) per poter così gareggiare nella categoria GT. Alla C12 S vengono aggiunti dei diffusori anteriori e posteriori per migliorare l’aereodinamica, delle nuove sospensioni e dei nuovi freni.

Grazie ad un nuovo radiatore più grande e un nuovo sistema di lubrificazione, ora il motore sprigiona ben 600 cv e raggiungeva i 7500 giri/min.

96 L'Automobile Club de l'Ouest (con riferimento alla regione occidentale della Francia) è la più grande associazione motoristica francese. Fondato nel 1906 da appassionati di sport motoristici, ha sede a Le Mans. Ha istituito la nota competizione automobilistica della 24 Ore di Le Mans. Gli scopi usuali dell'associazione sono la tutela degli interessi degli associati in materia di costruzione e manutenzione stradale, scuole guida e divulgazione di concetti di sicurezza nella guida e la introduzione di innovazioni tecnologiche nelle vetture di nuova progettazione. Mantiene anche un servizio di pronto intervento stradale a favore degli associati.

156 Questa vettura parteciperà alla 12 ore di Sebring (U.S.A) e alla 24 ore di Le Mans (Francia) con scarso successo. Nel 2004 viene creata su richiesta di un cliente americano una versione unica e più potente di questa supercar: la Zonda C12 S Monza. La vettura viene presentata al Motor Show di Parigi e rispetto alla versione C12 S aveva un tetto in carbonio, lo scarico libero, un nuovo alettone più largo, finestrini in plexiglas, un impianto di scarico sprovvisto di silenziatore e catalizzatore, i cerchi Speedline (azienda inglese specializzata nei cerchi sportivi) con dado di serraggio rapido, le sospensioni Öhlins (azienda svedese specializzata nelle sospensioni per auto e moto da corsa) a 5 regolazioni e altri accorgimenti per ridurre il peso e migliorare l’efficienza in pista. La potenza del motore è di ben 680 cv e l’auto supera i 350 km/h.

Al Salone dell’automobile di Ginevra del 2005 viene presentata la Zonda F, una vettura dedicata all’amico pilota Juan Manuel Fangio (la F rappresenta l’iniziale

157 del pilota) nel nome, nel logo e nel concetto. Per la prima volta dal 1999, la Zonda viene profondamente rivista sia nel telaio che nell’aerodinamica. Infatti, l’auto ha uno scarico idroformato completamente nuovo, un air-box97 progettato secondo gli standard della Formula 1, un nuovo spoiler e un nuovo disegno dei gruppi ottici anteriori. L’auto monta un’evoluzione dell’M120 V12 da 7291cc da 12 cilindri, che eroga ben 602 cv e 780 Nm di coppia ed è anche più leggero.

Il cliente, con questa supercar, ha per la prima volta la possibilità di avere, su richiesta, una carrozzeria esclusiva in carbonio a vista e quindi non verniciata. La Pagani nel rispetto della tradizione e della passione per le auto storiche del grande Fangio mette una grande attenzione nella cura dei dettagli interni: il volante Nardi (azienda di Varese specializzata nei volanti da corsa), le rifiniture in legno e il nuovo cruscotto ispirato ai principi del mestiere degli antichi

97 La scatola dell'aria, la scatola filtro o air-box è un contenitore con funzione di gestione dell'aria in ingresso al sistema d'alimentazione, all'interno normalmente contiene il filtro dell’aria, in pratica serve a gestire e regolare il flusso d'aria per la miscela "aria/carburante" poi diretta al motore. Spesso nei motori usati in competizioni sportive, al fine di raggiungere ottimizzazioni di rendimento a scapito della durata stessa degli organi meccanici, la scatola dell'aria non contiene filtri ed è conformata per ottimizzare la velocità d'approvvigionamento dell'aria richiesta dalla combustione del motore.

158 orologiai. Il peso è ridotto al minimo grazie all’impiego di particolari in titanio, alluminio e Inconel98. I collettori di aspirazione presentano lunghezze ottimizzate per i regimi di potenza e forme più sofisticate, grazie all’ausilio della tecnologia Hydroforming 99 (idroformatura) per la modellazione ad alta pressione. La sagoma dell’ari-box è stata progettata con l’obiettivo di distribuire il flusso d’aria in maniera uniforme su tutta la bancata, i collettori di scarico sono stati posizionati in uno spazio predefinito rispettando gli standard di Formula 1 e l’impianto di scarico garantisce un miglior flusso di emissione dei gas. Questa versione verrà prodotta in una serie limitata di 25 esemplari.

98 E’ un marchio registrato dell'azienda statunitense Special Metals Corporation e fa riferimento alla famiglia delle superleghe a struttura austenitica a base di nichel-cromo. Altri nomi commerciali usati per indicare questa lega sono Chronin, Altemp, Haynes, Nickelvac e Nicrofer. L'Inconel è una lega, principalmente a base di nichel (48%-72%) e cromo (14%-29%). Presenta un'ottima resistenza all' ossidazione alle alte temperature ed alla corrosione; per queste sue caratteristiche viene impiegato in parti di turbine a gas, nel settore petrolifero (per esempio per il rivestimento interno dei tubi) e nell' industria chimica.

99 L'idroformatura è un modo efficiente ed economico per dare forma a metalli malleabili quali alluminio od ottone per ottenere pezzi leggeri, strutturalmente rigidi e robusti. Essa consente di realizzare forme dotate di concavità, che sarebbero difficili o impossibili senza stampaggio in stampo solido standard. Ad esempio nel caso dell’alluminio un tubo cavo viene posto in uno stampo negativo avente la forma del pezzo finale desiderato. Pistoni idraulici ad alta pressione poi iniettano un fluido a pressione molto elevata nell'alluminio così da farlo espandere fino a farlo corrispondere allo stampo. I pezzi idroformati spesso si possono realizzare con un rapporto peso-rigidità e un costo unitario inferiore rispetto a pezzi stampati o stampati e saldati tradizionali.

159 Tabella 2.2 - Scheda tecnica Zonda F

Motore  Mercedes-Benz AMG 12 cilindri a V di 60°48 valvole; cilindrata 7291 cc Potenza Massima  (kW) cv/giri: (443) 602/6150 Coppia Massima  Nm/giri: 760/4000 Rapporto Peso/Potenza  2,04 kg/cv Clubsport–version*  (kW) cv/giri: (478) 650/6200;  Nm/giri: 780/4000.  Rapporto Peso/Potenza: 1,89 kg/cv Impianto di aspirazione  Alluminio/avional idroformato MHG-System  Impianto di scarico in acciaio/Inconel idroformato Trasmissione  Motore posteriore longitudinale centrale  Trazione posteriore con differenziale autobloccante Frizione  Bi-disco Cambio  Meccanico a 6 marce (+ RM) Impianto frenante  B4 dischi Brembo autoventilanti  Servofreno idraulico Freni in acciaio  Anteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 6 pistoncini  Posteriori 355x32 mm con pinza monolitica a 4 pistoncini Freni in carbo-ceramica*  Anteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 6 pistoncini

160  Posteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 4 pistoncini Sterzo  TRW pignone e cremagliera servoassistito Ruote  Cerchi forgiati in lega alluminio/magnesio APP monolitici: anteriori 19 pollici e posteriori 20 pollici Pneumatici  Michelin Pilot Sport 2: anteriori 255/35/19 e posteriori 335/30/20 Sospensioni  4 ruote indipendenti a triangoli sovrapposti  Braccio superiore a bilanciere con molla elicoidale e ammortizzatore regolabile Öhlins  Barra anti-rollio  Bracci in lega di alluminio e magnesio Struttura  Cella centrale in fibra di carbonio  Telaio anteriore e posteriore in tubi di acciaio al Cr Mo  Carrozzeria in fibra di carbonio “MD System” Dimensioni  Lunghezza 4435 mm;  Larghezza 2055 mm;  Altezza 1141 mm;  Passo 2730 mm;  Peso a secco 1230 kg (senza Comfort Pack e con freni CCM) Distribuzione peso  46% anteriore

161  54% posteriore(in ordine di marcia) Carico aereodinamico  ~600 kg a 300km/h (versione Clubsport)  Distribuzione del carico aerodinamico: ~270 kg anteriore e ~330 kg posteriore Diagnostica*  TMD Sistema di diagnostica a distanza Texa Mobile Diagnostic Sicurezza  Impianto ABS/Traction Control Bosch  Scocca centrale in carbonio con roll-bar in tubo d’acciaio e fibra di carbonio  Struttura anteriore e posteriore in carbonio e acciaio al Cr Mo per assorbimento energia in caso d’urto Prestazioni  0-100 km/h in 3,6 secondi  0-200 km/h in 9,8 secondi  Accelerazione laterale: 1,4 g in assetto Clubsport;  Frenata: 200-0 km/h in 4,4 secondi  Velocità massima: oltre 345 km/h *Optional su richiesta

162 Nel 2006 sempre a Ginevra viene presentata la Zonda F Roadster, cioè la versione scoperta della Zonda F. Questa versione si differenzia dalla coupé per il tetto removibile e apribile in fibra di carbonio (solo 5 kg di peso) nella parte centrale e in tela nella parte inferiore, e per un motore con 50 cv in più. La supercar, anche in assenza del tetto, riesce a fornire la stessa prestazione della coupé in termini di velocità massima. Questo è reso possibile dai miglioramenti…….. dell’aereodinamica e del telaio rigido a livello flessionale e torsionale, quali: lo sviluppo di specifici rinforzi nella zona dei brancardi100 e del serbatoio, di roll-bar101 progettati per assolvere anche una funzione strutturale del telaio, e di compositi in fibra di carbonio tridirezionale ad alto modulo. Tutto questo è dimostrato dal fatto che la Zonda F ha fatto registrare un tempo di 7:29 sul circuito tedesco del Nürburgring (Nordschleife). Una prestazione molto vicina a quella della versione Clubsport. Ne sono stati prodotti 22 esemplari.

100 Il brancardo è la parte inferiore del sottoporta di una vettura. Si misura in genere dalla fine dell' arco passaruota anteriore, fino all'inizio dell'arco passaruota posteriore.

101 Il roll-bar, anche scritto rollbar, è una struttura protettiva predisposta per proteggere gli occupanti di una vettura in caso di ribaltamento o incidente di qualsiasi genere e gravità. È generalmente costruito utilizzando acciao ad alta resistenza, poiché deve essere in grado di sostenere il peso dell' automobile senza rompersi. È un dispositivo per la sicurezza utilissimo e perciò molto impiegato sulle macchine da rally come ad esempio le World Rally , le monoposto da corsa e sulle cabrio. I veicoli senza tettuccio sono infatti più soggetti a rischi durante un incidente.

163 Tabella 2.3 - Scheda tecnica Zonda F Roadster

Motore  Mercedes-Benz AMG 12 cilindri a V di 60°48 valvole, cilindrata 7291 cc Potenza massima  (kW) cv/giri: (478) 650/6200 Coppia massima  Nm/giri: 780/4000 Rapporto Peso/Potenza  1,89 kg/cv Impianto di aspirazione  Alluminio/avional idroformato MHG-System Impianto di scarico  Collettore costruito in Inconel idroformato con rivestimento ceramico e silenziatore in titanio Trasmissione  Motore posteriore longitudinale centrale  Trazione posteriore con differenziale autobloccante Frizione  Bi-disco Cambio  Meccanico a 6 marce (+ RM) Impianto frenante  4 dischi Brembo autoventilanti  Servofreno idraulico Freni in carbo-ceramica  Anteriore 380x34 mm con pinza monolitica a 6 pistoncini  Posteriore 380x34 mm con pinza monolitica a 4 pistoncini Sterzo  TRW pignone e cremagliera servoassistito Ruote  Cerchi forgiati in lega

164 alluminio/magnesio APP monolitici: anteriori 19 pollici e posteriori 20 pollici Pneumatici  Michelin Pilot Sport 2: anteriori 255/35/19 e posteriori 335/30/20 Sospensioni  4 ruote indipendenti a triangoli sovrapposti  Braccio superiore a bilanciere con molla elicoidale e ammortizzatore regolabile Öhlins; barra anti-rollio  Bracci in lega di alluminio e magnesio Struttura  Cella centrale in fibra di carbonio  Telaio anteriore e posteriore in tubi di acciaio al Cr Mo  Carrozzeria in fibra di carbonio “MD System” Dimensioni  Lunghezza 4435 mm  Larghezza 2055 mm  Altezza 1141 mm  Passo 2730 mm  Peso a secco 1230 kg Distribuzione peso  46% anteriore  54% post. (in ordine di marcia) Carico aereodinamico  ~600 kg a 300km/h  Distribuzione del carico aerodinamico: ~270 kg

165 anteriore e ~330 kg posteriore Diagnostica  TMD Sistema di diagnostica a distanza Texa Mobile Diagnostic Sicurezza  Impianto ABS/Traction Control Bosch Scocca centrale in carbonio con roll-bar in tubo d’acciaio al Cr Mo e fibra di carbonio  Struttura anteriore e posteriore in carbonio e acciaio al Cr Mo per assorbimento energia in caso d’urto Prestazioni  0-100 km/h in 3,6 secondi  0-200 km/h in 9,8 secondi  Accelerazione laterale: 1,4 g  Frenata: 200-0 km/h in 4,4 secondi  Velocità massima: oltre 345 km/h

Nel 2007 al Salone di Ginevra, attraverso un modellino in scala viene svelata in anteprima la Zonda R, che poi verrà presentata ufficialmente al Vienna Auto Show nel gennaio del 2009. Questa è un’auto completamente nuova, senza alcun legame con le altre Zonda, pensata per l’utilizzo su pista e quindi non omologata per la circolazione stradale. La Zonda R viene utilizzata anche come vettura da laboratorio, per studiare le soluzioni tecniche da adottare successivamente sul nuovo modello della Pagani: la Huayra(2011). Concepita come un’evoluzione della Zonda F, essa è dotata di un propulsore da corsa M120 Mercedes AMG

166 V12 da 6 litri da 750 cv (motore della Mercedes-Benz CLK GTR) garantito per durare almeno 5000 km in pista e imbullonato direttamente alla monoscocca centrale, di un sistema di scarico realizzato in Inconel 625 (superlega di Nichel- Cromo) rivestito in materiale ceramico per un’ottimale dissipazione del calore e di una carrozzeria in una particolare lega di carbonio-titanio che garantisce la massima deportanza possibile e che alla vista assume una particolare trama a V. Rispetto alla vettura da strada da cui deriva è più lunga di 394 mm ed ha un passo aumentato di 47 mm, le carreggiate più larghe di 50 mm, le sospensioni realizzate in Avional (lega di alluminio temprata) più leggere, il cambio sequenziale trasversale sincronizzato X-Trac (azienda britannica specializzata nei cambi sportivi) che consente cambi di marcia in 20 millisecondi, un profilo aereodinamico rivisto e dotato di appendici (es. spoiler) per ottenere maggior carico aereodinamico (maggiore spinta verso il basso), l’apertura delle farfalle mediante cavo meccanico che migliora e garantisce una maggiore reattività del propulsore, la componente elettronica curata da Bosch e un serbatoio aeronautico in gomma con 4 pompe che aumentano la rapidità e l’efficienza del pescaggio. Inoltre la vettura è dotata di altri accorgimenti di natura sportiva come l’attacco al serbatoio per il rifornimento rapido, il sistema di telemetria, i freni Brembo in carbo-ceramica102, il roll-bar a gabbia in tubo d’acciaio, le cinture di sicurezza a 5 punti, i sedili in monoscocca di carbonio Toora (azienda bergamasca) su misura omologati FIA (federazione internazionale dell’automobilismo) e conformi agli ultimi standard Hans103, le ruote forgiate in magnesio con dado centrale e i martinetti (cric) pneumatici di sollevamento per consentire un rapido cambio gomme. Il peso a secco di 1070 kg è stato conseguito mediante l’impiego di

102 I dischi in carbo-ceramica sono strutturalmente simili a quelli in carbonio ma hanno le superfici caricate con silice. In questo modo si ottiene un disco leggero come quello in carbonio ma con una superficie durissima che consente di far lavorare ad attrito delle pastiglie in carbo-composito. In questo modo si ottiene un grande coefficiente di attrito, frenate potenti e una durata dell'impianto di oltre 100.000 km. 103 Il sistema HANS (Head And Neck Support) è un supporto di sicurezza utilizzato in molti sport automobilistici e nelle competizioni di motocross. Esso agisce riducendo il rischio d'infortuni al complesso testa-collo, come la frattura della base cranica.

167 sospensioni con componenti forgiati in AvionAl104, di parti strutturali in ErgAl105 sviluppate dal gruppo modenese Aspa a supporto del motore e della scatola del cambio, e di bulloneria Poggiopolini in titanio.La vettura raggiunge i 100 km/h in 2,7 secondi e raggiunge i 350 km/h. La Zonda R è la dimostrazione di come l’atelier modenese, al pari degli stilisti, sia capace di rafforzare la propria unicità anche nelle opere più estreme, senza compromettere il comfort del pilota. Viene realizzata in soli 15 esemplari e venduta ad un milione e mezzo di euro. La Zonda R nel giugno del 2010 ottiene, nella categoria vetture derivate da un modello stradale, il record del vecchio circuito del Nürburgring (Nordschleife) percorrendo i 20,832 km in 6 minuti e 47 secondi e abbassando il vecchio record di ben 11 secondi (Ferrari 599XX nell’aprile 2010). Il record viene stabilito anche grazie alla collaborazione della Pirelli che per l’occasione fornisce alla Pagani gli pneumatici Pirelli P Zero Slick progettati in esclusiva per la Zonda R.

104 Il Duralluminio (anche chiamato avional, duraluminum o dural) è il nome commerciale di uno dei primi tipi di lega di alluminio temprata. I principali costituenti sono rame, magnese e magnesio.

105 L'ErgAl è una lega di alluminio che si contraddistingue per un'ottima resistenza meccanica (la migliore fra tutte le leghe di alluminio convenzionali) ma maggiore suscettibilità agli agenti corrosivi, a causa della presenza dello zinco. Questa debolezza può essere corretta tramite l'aggiunta di piccole dosi di argento o zirconio.

168 Tabella 2.4 - Scheda tecnica Zonda R

Motore  Mercedes-Benz AMG - M120 12 cilindri a V di 60°, 48 valvole,  cilindrata 5987 cc, lubrificazione a carter secco Potenza Massima  (kW) cv/giri: (551) 750 / 7.500.

Coppia Massima  Nm/giri: 710/5.700 Corsa  80,20 mm Alesaggio  89,00 mm Controllo di trazione  12 Stadi - Controllo trazione Bosch  Motorsport

Impianto di aspirazione  Farfalle singole per cilindri,  azionate meccanicamente

Impianto di scarico  Inconel idroformato con  rivestimento ceramico

Trasmissione  Motore posteriore longitudinale centrale   Trazione posteriore con differenziale autobloccante

Cambio  XTRAC 672 su specifica progetto, trasversale sequenziale infusione in magnesio   6 marce ad innesti frontali con sistema di robotizzazione Automac Engineering

Impianto frenante  4 dischi Brembo Carbon-Ceramic  autoventilanti

169  Servofreno idraulico  Impianto ABS 12 Stadi - Bosch Motorsport Race ABS

Dischi  Anteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 6 pistoncini   Posteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 4 pistoncini

Ruote  Cerchi forgiati monolitici APP: anteriori 19 pollici e posteriori 20 pollici Pneumatici  Pirelli P Zero Zonda R: anteriori  255/35/19 e posteriori 335/30/20

Sospensioni  4 ruote indipendenti a triangoli sovrapposti  Bracci forgiati in AvionAl  Braccio superiore a bilanciere con molla elicoidale e ammortizzatore regolabile Öhlins  Barra anti-rollio

Struttura  Monoscocca centrale in Carbonio- Titanio, motore semi portante  Spaceframe anteriori e posteriori in  Cr Mo  Carrozzeria in fibra di carbonio MD System

Dimensioni  Lunghezza 4886 mm  Larghezza 2014 mm  Altezza 1141 mm  Passo 2785 mm  Peso a secco 1070 kg

170 Sicurezza  Gabbia roll-bar in tubo d’acciaio al Cr Mo  Sedili monoscocca in carbonio compatibili HANS  Cinture a cinque punti

Prestazioni  0-100 km/h in 2,7 secondi   Velocità massima: oltre 350 km/h

Rapporto Peso/Potenza  1,43 kg/cv

Sempre nel 2009, su richiesta specifica del dealer Pagani di Hong Kong, viene realizzata la versione stradale della Zonda R: la Zonda Cinque. Il nome deriva dal fatto che la vettura viene realizzata in soli 5 esemplari, ognuno dei quali venduto ad 1 milione di euro. L’inconfondibile livrea è appunto destinata a soddisfare il desiderio di 5 facoltosi appassionati. Essa viene definita come:

“La più estrema Zonda da strada mai creata”

L’auto è dotata di un motore M297 Mercedes-Benz AMG V12 da 7,3 litri che sviluppa 678 e 780 Nm e che permette all’auto di raggiungere i 100 km/h in 3,4 secondi e di superare i 350 km/h. Uno splitter anteriore più grande, un alettone posteriore regolabile, un fondo piatto e uno scivolo posteriore modificato soddisfano le esigenze di un carico aereodinamico di 750 kg, quando la vettura è lanciata oltre i 300 km/h. Il sistema di aspirazione è dotato di nuove prese d’aria sul tetto e sul cofano posteriore, per alimentare il motore e incrementare il flusso d’aria ai dischi dei freni e all’intero gruppo portamozzi 106 . I cerchi monolitici sono forgiati in

106 In meccanica il portamozzo è quell'elemento che permette la giunzione tra il mozzo con la sospensione e lo sterzo o il telaio, a seconda della tipologia del mezzo e della sua applicazione.

171 alluminio e magnesio dalla APP, mentre gli pneumatici sono i Pirelli PZero Corsa che sono appositamente dedicati e sviluppati per il team Pagani. A differenza di tutti i modelli precedenti (esclusa la Zonda R) che sono equipaggiate con un cambio manuale, la Zonda Cinque è la prima Pagani a montare un cambio sequenziale con comandi al volante (Cima a 6 marce robotizzato) ed è la prima vettura da strada con un telaio in carbo-titanio. Inoltre si caratterizza per le sospensioni in Ergal e titanio realizzate in collaborazione con la svedese Öhlins (grazie alle ricerche effettuate su specifiche Pagani), i freni Brembo con servofreno, l’ABS Bosch, il controllo della trazione, i dischi in carbo-ceramica autoventilati con pinze a 6 pistoncini all’anteriore e 4 al posteriore che consentono alla vettura di fermarsi in 2,1 secondi se viaggia a 100 km/h e in 4,3 secondi se viaggia a 200 km/h.

Gli interni rimangono molto raffinati ma rivelano il carattere sportivo nei dettagli: sedili in pelle con cinture a 4 attacchi, monoguscio in carbonio Pagani e roll-bar in acciaio cromo-molibdeno rivestiti in carbonio e leve ergonomiche dietro il volante. Grazie all’utilizzo dei materiali compositi quali fibra di carbonio, titanio e l’Ergal (lega di alluminio) l’auto pesa 1210, cioè 20 kg meno

172 della Zonda F e avendo così un’impressionate rapporto peso/potenza: 1,7 Kg/Cv contro gli 1,9 Kg/Cv della Ferrari Enzo

Tabella 2.5 - Scheda tecnica Zonda Cinque

Motore  Mercedes-Benz AMG: potenza di 678 CV e coppia di 780 Nm Monoscocca  In carbo-titanio Centraline  Bosch, Traction control + ABS  Bosch

Impianto di scarico  Inconel titanio rivestito con  trattamento ceramico

Sospensioni  Magnesio e titanio

Cambio  Sequenziale Cima 6 marce,  robotizzato Automac engineering

Ruote  APP monolitiche forgiate in  alluminio e magnesio: anteriori 9x19 e posteriori 12,5x20

Pneumatici  Pirelli PZero: anteriori 255/35/19 e  posteriori 335/30/20

Sedili  Racing Pagani in carbonio, rivestiti  di pelle

Freni  Brembo in carbo-ceramica autoventilanti con servo freno idraulico: anteriori 380x34 mm con  pinza monolitica a 6 pistoni e posteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 4 pistoni posteriore

Peso  1210 Kg senza liquidi

Distribuzione dei pesi  47% anteriori

173  53% posteriore (in ordine di marcia)

Prestazioni in accelerazione  0-100 Km in 3.4 secondi   0-200 km in 9.6 secondi

Prestazioni in frenata  100-0 km in 2.1 secondi   200-0 km in 4.3 sec.

Massima accelerazione laterale  1,45 G (con pneumatici stradali,  NO CUP)

Carico aereodinamico a 300 km/h  750 kg

Nello stesso anno viene presentata anche la Zonda Cinque Roadster che mantiene le stesse caratteristiche della Zonda Cinque.

Il telaio in carbo-titanio viene riprogettato per compensare il tetto mancante. La dotazione di un cambio sequenziale robotizzato multi-programma e di sospensioni regolabili sono pensate per adattare la supercar a qualunque uso e stile di guida: dal rilassante viaggio lungo le colline toscane alla corsa sul

174 circuito del Nürburgring. Anche questa versione della Zonda verrà prodotta in soli 5 esemplari. Nel 2010 per celebrare il 50° anno delle Frecce Tricolori (313° Gruppo Addestramento Acrobatico dell’Aereonautica Militare) e come tributo alla Pattuglia Acrobatica Nazionale (la più numerosa al mondo) viene annunciata la Zonda Tricolore che sarà prodotta in 3 esemplari. Essa è una versione modificata della Zonda Cinque e si distingue da essa per il colore della livrea (azzurra con bande tricolori) che richiama quella degli Aermacchi MB-339A della Pattuglia Acrobatica Nazionale (aerei a 2 posti capaci di raggiungere gli 898 km/h), per i cerchi color oro e per le luci a led.

Nel corso degli anni sono stati inoltre realizzati alcuni modelli unici di Zonda. La Zonda GJ derivata da una Zonda C12, che dopo un incidente viene riparata nella fabbrica Pagani e aggiornata con il pacchetto ad alte prestazioni F con l’installazione del nuovo propulsore Mercedes-Benz AMG V12 da 7,3 litri dalla potenza di 550 cv.

175 La Zonda HH derivata da una Zonda Cinque Roadster a cui è stato cambiato il colore originale bianco in blu. La Zonda RAK derivata da una Zonda Cinque a cui è stato cambiato il colore originale bianco in giallo. La Zonda Absolute, derivata dalla Zonda Cinque, che presenta il corpo in fibra di carbonio non verniciato e solcato al centro da un tricolore che si estende fino all’air-box. La Zonda 760 RS è una versione ad alte prestazioni che prende il nome dalla potenza sviluppata dal motore Mercedes-Benz AMG V12 da 6 litri, cioè 760 cv. Questo modello raggiunge i 100 km/h in meno di 3 secondi e supera i 350 km/h. La Zonda Uno che sfoggia una colorazione azzurra con bande sportive nere ed è equipaggiata con un propulsore Mercedes-Benz AMG V12 da 7,3 litri dalla potenza di 700 cv. La Zonda LH ,derivata dalla Zonda 760 RS e appositamente realizzata per il pilota di Formula Uno Lewis Hamilton. Si distingue dalla 760 RS per il cambio manuale a 6 rapporti e per una livrea violacea.

La Zonda PS realizzata per un acquirente britannico e derivata dalla Zonda F, ma implementa anche alcune componenti della Zonda R e della Zonda C9.

176 Presenta una colorazione blu lucido, un nuovo spoiler posteriore, una nuova presa d’aria sul tettuccio ed altre appendici aereodinamiche. La Zonda 764 Passione che ha una carrozzeria non verniciata per mettere in risalto le varie componenti in carbonio. Ha una meccanica identica alla Zonda 760 LH. La Zonda 760 Fantasma è la quarta della serie 760 e l’ultima one-off/edizione speciale realizzata dalla casa automobilistica modenese in quanto la Mercedes ha posto fine alla produzione del propulsore V12 da 7,3 litri che equipaggia queste vetture. È il frutto di un attento lavoro di ricostruzione di un esemplare incidentato riprendendo i tratti estetici delle altre 760. È dotata di un frontale con luci a led, di svariate appendici aereodinamiche, di un grosso alettone posteriore, di una presa d’aria sul tetto e di un cambio sequenziale. Dal 1999 al 2010 sono stati prodotti circa 140 esemplari di Pagani Zonda. Nel 2013, nonostante il passaggio nel 2011 al nuovo modello Pagani Huayra, in occasione del nono raduno Pagani viene presentata una nuova versione ancora più spinta della Zonda : la Zonda Revolucion. Il nome sta ad indicare un’evoluzione della già estrema Zonda R. A riguardo di quest’ ultimo modello Horacio Pagani afferma :

“ I limiti sono fatti per essere superati. Sapevamo che Pagani Zonda R era già un’auto velocissima, la più veloce di sempre sul circuito del Nürburgring. Sapevamo che sarebbe stato molto difficile riuscire a progettare e realizzare una vettura ancora più estrema. Ma grazie alla creatività ed al lavoro di tutto il centro stile di Pagani Automobili, gli ingegneri, e tutta la Famiglia Pagani, siamo riusciti a creare sia un oggetto bellissimo che una supercar ancora più veloce. Un’automobile che sono sicuro elettrizzerà tutta la nostra clientela e tutti i fan di Pagani Automobili sparsi nel mondo”.

177 La vettura è pensata sia per essere utilizzata in pista sia come oggetto da collezione ed è vista come il culmine della celebrazione di performance, tecnologia e arte applicata a una vettura da pista. La Zonda Revolucion è dotata di un motore Mercedes-Benz AMG M120 12 cilindri da 6 litri che sprigiona l’incredibile potenza di 800 cv e 730 Nm di coppia, garantendo un rapporto peso potenza di 748 cv per tonnellata. Grazie alla monoscocca centrale in carbo-titanio il peso viene ulteriormente ridotto fino a 1070 kg e l’auto si avvicina sempre di più ad una monoposto di Formula Uno.

Infatti, essa è dotata di :

- Appendici aereodinamiche sui cofani anteriori e lo stabilizzatore verticale montato sul cofano posteriore; - un sistema DRS (Drag Reduction System) sull’ala posteriore che permette di ridurre la resistenza aereodinamica (favorendo per esempio i sorpassi in pista) e che il pilota può comandare in qualsiasi momento. Il sistema ha

178 due modi di funzionamento: uno manuale (attivabile dal pulsante DRS sul volante) che fa passare l’ala dalla posizione di massimo a quella di minimo carico aereodinamico al presentarsi di una accelerazione laterale di +/- 0,8 g a una velocità minima di 100 km/h, e uno automatico (tenendo premuto il pulsante DRS per più di due secondi) che rispetta le condizioni messe a punto dagli ingegneri Pagani durante le fasi di sviluppo; - un cambio sequenziale trasversale in magnesio che permette cambiate in 20 millisecondi; - un controllo di trazione sviluppato da Bosch con 12 differenti regolazioni; - un rinnovato sistema ABS; - un impianto frenante che monta dischi Brembo CCMR di ultima generazione derivati dall’esperienza in Formula Uno, che sono più leggeri del 15% rispetto ai dischi CCM , che vantano una maggiore rigidezza e temperature di esercizio più basse durante l’utilizzo estremo in pista e per questo ben 4 volte più duraturi.

L’auto viene venduta a 2,2 milioni di euro più tasse.

Tabella 2.6 - Scheda tecnica Zonda Revolucion

Motore  Mercedes-Benz AMG - M120 - 12 cilindri a V di 60°, 48 valvole,  cilindrata 5987 cc, lubrificazione a carter secco

Potenza massima  (kW) cv/giri: (551) 800 / 8.000.

Coppia massima  Nm/giri: 730/5.800

Corsa  80,20 mm

Alesaggio  89,00 mm

Controllo trazione  12 Stadi - Controllo trazione Bosch  Motorsport

179 Impianto di aspirazione  Farfalle singole per cilindri,  azionate meccanicamente

Impianto di scarico  Inconel idroformato con  rivestimento ceramico

Trasmissione  Motore posteriore longitudinale centrale   Trazione posteriore con differenziale autobloccante

Cambio  XTRAC 672 su specifica progetto, trasversale sequenziale infusione in magnesio   6 marce ad innesti frontali con sistema di robotizzazione Automac Engineering

Impianto frenante  4 dischi Brembo CCMR Carbon- Ceramic autoventilanti  Servofreno idraulico  Impianto ABS 12 Stadi - Bosch Motorsport Race ABS

Dischi  Anteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 6 pistoncini   Posteriori 380x34 mm con pinza monolitica a 4 pistoncini

Ruote  Cerchi forgiati monolitici APP: anteriori 19 pollici e posteriori 20 pollici Pneumatici  Pirelli P Zero Zonda R: anteriori 255/35/19 e posteriori 335/30/20 -  anteriori 255/645/R19 e posteriori 335/705/R20

180 Sospensioni  4 ruote indipendenti a triangoli sovrapposti  Bracci forgiati in AvionAl  Braccio superiore a bilanciere con molla elicoidale e ammortizzatore regolabile Öhlins  Barra anti-rollio

Struttura  Monoscocca centrale in Carbonio- Titanio, motore semi portante Spaceframe anteriori e posteriori in  Cr Mo  Carrozzeria in fibra di carbonio MD System

Dimensioni  Lunghezza 4886 mm  Larghezza 2014 mm  Altezza 1141 mm  Passo 2785 mm  Peso a secco 1070 kg

Sicurezza  Gabbia roll-bar in tubo d’acciaio al Cr Mo  Sedili monoscocca in carbonio compatibili HANS  Cinture a cinque punti

Prestazioni  0-100 km/h in 2,6 secondi   Velocità massima: oltre 350 km/h

Rapporto Peso/Potenza  1,34 kg/cv

La Zonda Revolucion segna la fine della produzione della serie Zonda.

181 2.1.6 Pagani Huayra: l’evoluzione

Nei primi anni del nuovo millennio l’impegno delle grandi case automobilistiche ha portato alla luce vetture incredibili ed eccezionali come la Bugatti Veyron, la Porsche GT, la Ferrari Enzo, la Mercedes McLaren SLR. La pressione esercitata dalla concorrenza spinge Horacio, nonostante le vendite vertiginose della Zonda, a non adagiarsi sugli allori e a fare diversi riflessioni riguardo il futuro della sua supecar e a quello che potrà essere una nuova Pagani. Il designer decide quindi di realizzare una vettura completamente nuova nella forma, nella dinamica, nelle dimensioni e nelle tecnologie visto che il progetto della Zonda ormai risale ai primi anni 90’. Horacio vuole inseguire un nuovo sogno, cioè quello di costruire una macchina perfetta senza perdere l’essenza della sua filosofia e del suo pensiero Leonardiano, a costo di mettere a rischio la sua reputazione e il futuro della compagnia. E’ così che nasce nel 2003, anno della presentazione della Zonda S Roadster, il progetto C9 che porta alla realizzazione e alla presentazione della Pagani Huayra nel 2011. Il nome dell’auto deriva da Huayra-Tata107, un dio del vento che comanda le brezze, i venti e gli uragani che investono le montagne della cordigliera Andina. Quindi Pagani prende ispirazione dall’elemento dell’aria e spiega così il motivo:

“L’eternità dell’elemento aria nelle sue varie espressioni è diventato determinante nella definizione del concetto formale e via via una fonte di ispirazione in grado di ricevere continui stimoli perché ovunque guardi trovi qualcosa di motivante: gli aerei a turbina, il silenzio di un aliante, l’eleganza nei

107 Si narra che Huayra -Tata viva sulle alture e nelle vallate abbandonandole solo per dimostrare la propria forza alla moglie, Pachamama, dea della Madre Terra. Con la sua potenza il dio del vento Huayra Tata può sollevare le acque del lago Titicaca (situato tra la Bolivia e il Perù) e trasformarle in pioggia che riversa sulla fertile Pachamama( significa madre terra in lingua quechua). Quando Huayra Tata riposa, le acque ed i fiumi sono tranquilli.

182 movimenti di quanto l’aria muove…ma anche la violenza e la forza che essa riesce a sprigionare”108

Infatti l’obiettivo è quello di realizzare una vettura dalle caratteristiche tecniche uniche e con potenza e velocità impressionanti unite però a un lato più dolce e femminile. L’auto ha una doppia personalità: una sportiva e una da auto di tutti i giorni. Tutto questo per risvegliare i sensi e creare un’emozione unica. Pagani richiama il concetto di emozione esplicitando quella che è la missione della sua azienda:

“Cercare cosa crea emozione nel cliente per portarlo a spendere un milione di euro per un’auto, quando sul mercato ci sono auto che fanno di tutto e che costano 40 volte meno di una Pagani”

E secondo lui l’emozione si crea seguendo quella che è da sempre la sua filosofia: combinare l’arte con la sapienza ingegneristica:

108 Intervento di Horacio Pagani in apertura della presentazione privata della Huayra a Milano, 18 febbraio 2011

183 “Molti artisti hanno un grande difetto che è quello di creare per se stessi, perciò esprimono la loro arte per soddisfare la propria natura umana. La prima cosa è capire che ciò che fai lo devi vendere a qualcuno, deve essere una cosa che va a soddisfare un certo tipo di cliente, un certo tipo di mercato. Allora vuol dire che quello che tu devi fare per poter vendere queste macchine, per poter creare questi oggetti e dare continuità alla ditta e al progetto, è fare delle cose che vadano in qualche modo a fare scattare il meccanismo dell’emozione, il meccanismo del toccare il cuore, quella cosa che ti stuzzica e che non è neanche misurabile. Ti va a toccare il cuore quando è stata fatta per te. Se tu riesci a individuare quel gruppo di persone, quella categoria che ha un milione di euro a disposizione, che ha vissuto in una certa maniera, che si è emozionato guardando determinate cose; e se tu vai a mettere dentro l’oggetto che fai queste cose che hanno fatto emozionare queste persone, hai più possibilità di successo rispetto a qualcosa che tu fai secondo il tuo concetto. Un cliente tra i 50-60 anni vuole l’orologio meccanico Patek Philippe 109 , vuole toccare le cose, vuole sentire la materia, vuole sentire delle emozioni, vuole avere delle cose che comunicano con lui e che parlano lo stesso linguaggio. Perciò se tu devi fare un qualcosa per una persona che ha 50 anni, fai il confronto con te stesso e dici: ‘ ma io quando avevo 20 anni, quando non avevo soldi per comprarmi qualcosa, cosa avrei voluto comprarmi ?’. Nel fare questo progetto devi vedere anche le altre cose che creavano emozione in queste persone, perciò l’architettura che c’era in quegli anni, il modo in cui si vestiva la gente in quegli anni, gli orologi che si compravano, i mobili…Quale era il mondo quando tu avevi un’età in cui volevi avere certe cose ma non avevi i soldi, perciò avevi soltanto il desiderio di questa cosa. Allora se tu utilizzi questo concetto, questa fase creativa, hai rispettato certe esigenze o certi parametri che sono legati al tuo cliente e non hai fatto qualcosa per te stesso. In sostanza, la missione del designer è quella di migliorare la qualità della vita delle persone e di conseguenza tu devi pensare,

109 Patek Philippe & Co. è un'azienda svizzera produttrice di orologi di lusso, tra le più antiche e prestigiose del mondo.

184 tu devi cercare il tuo talento, la tua capacità di trasformare un sogno che stai facendo in qualcosa di materiale”110.

La struttura dell’auto è ispirata all’ala di un aereo e quindi si è reso necessario scavare la parte anteriore del fondo per prolungare il percorso dell’aria diminuendo così la differenza di velocità tra la parte superiore e quella inferiore, permettendo così di limitare la tendenza dell’auto a sollevarsi in velocità. Per realizzare ciò, si sono rese necessarie simulazioni aereodinamiche sulle matematiche della modellazione fisica e virtuale. La vettura, rispetto alla Zonda, è più lunga (passo maggiore di 70mm), ha una posizione di guida più arretrata(di 40 mm) e un abitacolo più spazioso: la vasca è più grande ed è in grado di offrire una maggiore abitabilità della macchina. La silhouette è morbida, di facile lettura, snella, filante, con linee che hanno un inizio e una fine netto; non vi sono linee fredde e spigolose. La nuova auto eredita il carattere sportivo della Zonda, ma è più elegante e meno corsaiola: ha un corpo muscoloso ma più morbido, affilante e slanciato. Gli otto anni necessari a completare la Huayra sono stati utilizzati per studiare e perfezionare le numerose soluzioni tecniche che nel frattempo erano state utilizzate sulle vetture della famiglia Zonda (come ad esempio il telaio in carbonio e titanio). In particolare la Zonda R è stato un laboratorio fondamentale per questo progetto. Tutto ciò ha permesso di condividere concetti tecnici, materiali, studi scientifici, formali e di sicurezza. Le 4700 componenti di cui è composta l’auto sono state progettate e riprogettate fino a quando non sono risultate perfette e quindi di gradimento per Horacio. Nella sua filosofia ogni oggetto deve essere bello e funzionale, cioè realizzato con i migliori materiali e funzionalmente perfetto, ma allo stesso tempo deve essere un’opera d’arte.

110 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.105-106.

185 Ogni variazione di queste componenti deve essere valutata dagli ingegneri sia dal punto di vista estetico ma anche a livello aereodinamico, prima al computer con una galleria del vento virtuale e poi nella vera e propria galleria del vento.

Davide Pizzo, progettista storico del progetto C9, spiega così la questione:

“[…]Penso che ogni pezzo della macchina sia stato ridisegnato almeno tre o quattro volte, perché era necessario un miglioramento. E’ difficile progettare un componente e pensare che vada bene subito, perché può essere migliorato per se stesso e per altri componenti vicino a lui. Quando una macchina è composta da più di 4.000 componenti, tutti questi devono convivere tra di loro”111.

111 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.75.

186 Si pensi che ogni componente è numerato e marchiato Pagani e che i 1200 bulloni in titanio necessari per assemblare l’auto (definiti delle opere d’arte) costano ben 96000 euro: ben più del costo di molte auto. Anche dal punto di vista estetico il percorso è stato estremamente lungo: si è partiti da un centinaio di bozzetti per arrivare, dopo numerose ricerche e soluzioni scartate, alla linea definitiva. In particolare si è iniziato con i modelli sul computer, per poi passare a 8 modelli in scala e per infine arrivare a un modello 1:1 in legno. Pagani passa molte ore intorno al modello in legno, osservandolo in tutte le posizioni e cercando di capire la forma da ogni suo angolo. In questo modo riesce ad avere una percezione completa dei volumi e di come corrono le linee. Grazie a questa analisi dettagliata e quasi maniacale esso decide che alcune linee della carrozzeria devono essere più marcate. Anche il collaudo su strada è un aspetto che Pagani non trascura e che ritiene fondamentale. La Huayra viene testata per ben 1 milione di chilometri (25 volte il giro del mondo) dal collaudatore Davide Testi che ,oltre ad individuare i possibili problemi, effettua tutti i settaggi necessari: come ad esempio quello dell’ ESP112 Bosh113 che controlla ogni ruota in maniera autonoma e assicura al conducente di non perdere il controllo in qualsiasi situazione. Un aspetto rivoluzionario di questa supercar è sicuramente la soluzione aereodinamica utilizzata: essa va a stravolgere tutte le regole in ambito di aereodinamica nelle auto sportive ed è degna di Leonardo da Vinci. Nelle auto sportive l’obiettivo è massimizzare la portanza e minimizzare la resistenza per ottimizzare la prestazione. Il problema per Horacio è che questo di

112 L’ESP(Electronic Stability Program o Elektronisches Stabilitätsprogramm) è un sistema elettronico per il controllo della stabilità dell’ automobile, che agisce in fase di sbandata, regolando la potenza del motore e frenando le singole ruote con differente intensità in modo tale da ristabilizzare l'assetto della vettura. Tale dispositivo è efficace nel correggere sia eventuali situazioni di sovrasterzo o sottosterzo, che si possono verificare in caso di errata impostazione di una curva, sia in caso di improvvisa deviazione di traiettoria, evitando lo sbandamento del veicolo.

113 La Robert Bosch GmbH è un'azienda multinazionale tedesca, la maggiore produttrice mondiale di componenti per autovetture, che ha rapporti d'affari con pressoché la totalità delle aziende automobilistiche esistenti al mondo.

187 solito si ottiene attraverso un alettone/spoiler (che permette alla macchina di rimanere aderente al terreno ad alte velocità), che però lui considera un compromesso nonostante l’abbia già adottato per la Zonda. Il designer infatti vuole esclusivamente linee fluide e continue. Anche in questo caso Horacio trova la soluzione ispirandosi alle ali dell’aereo, che varia il suo angolo di incidenza tramite flap a seconda delle esigenze. Si decide infatti di adottare un sistema a 4 flaps o ipersostentatori che agiscono indipendentemente: due sul cofano anteriore, subito davanti alle prese d’aria, e due all’estremità del cofano posteriore. Si passa dall’aereodinamica passiva all’aereodinamica attiva.

Essi vengono controllati in automatico dal computer di bordo (centralina) che regola l’incidenza di questi profili in funzione di parametri come la velocità, accelerazione e angolo di sterzata. Il risultato è una vettura che muta in continuazione la propria sagoma, per garantire il minimo attrito con l’aria e la massima deportanza possibile. Quindi offrono all’auto maggiore aderenza solo quando è necessario.

188

Sul rettilineo essi si abbassano minimizzando la resistenza (che diventa irrisoria), massimizzando l’accelerazione e permettendo all’auto di raggiungere i 370 km/h. Appena si schiaccia il freno i flaps si alzano come accade nell’ala di un aereo e fungono da aereo-freni. Ma è nelle curve che il sistema da il meglio di se. In una curva percorsa ad alta velocità la vettura tende a sbandare e la massa viene scaricata verso l’esterno cosicché la parte interna degli pneumatici perde aderenza e si è costretti a rallentare per non sbandare. In questo caso gli ipersostentatori si sollevano aumentando la portanza e l’aderenza: in particolare i flaps interni si sollevano in maniera maggiore per andare a contrastare la tendenza dell’auto a sbandare e aumentando così la sicurezza e la velocità di percorrenza. Questo sistema è stato testato all’autodromo di Monza, per il fatto che questa pista presenta un lunghissimo rettilineo che richiede basso carico aereodinamico, ma anche delle curve ad alta velocità e delle frenate molto importanti.

189

La stessa centralina che controlla l'incidenza dei flap mobili regola anche l'altezza dell'avantreno, per ottimizzare il flusso d'aria verso il diffusore

190 posteriore. Anche il motore rappresenta un elemento di novità rispetto alla Zonda. La Zonda infatti in tutte le sue versioni ha sempre montato motori Mercedes AMG aspirati. Per la Huayra invece Pagani decide di utilizzare un motore turbo: il Mercedes- Benz V12 M158 AMG Bi-Turbo da 5980 centimetri cubici capace di erogare ben 700 cv nella versione standard e 730 cv nella versione hi-power, oltre che ad una coppia di 1000 Nm nella versione standard e 1100 Nm nella versione hi-power.

Questo cambiamento viene fatto per ottenere più potenza e prestazione migliori, ma anche per rientrare negli standard delle emissioni, così da poter effettuare una vendita legale in ogni parte del mondo. Nel complesso la Huayra risulta più leggera della Porsche 911 GT2 RS, ha una volta e mezzo la sua coppia e ha lo stesso rapporto coppia/peso della Bugatti Veyron Super Sport.

191

Il motore è appositamente realizzato (costruzione a mano) dalla Mercedes-Benz sulla base delle specifiche Pagani dopo 5 anni di ricerca e di duro lavoro, riuscendo così a fornire alla Pagani il 12 cilindri più efficiente in termini di emissioni di CO2 e di consumo. Il propulsore non consente solo di muovere una vettura di 1350 kg, ma anche di erogare la potenza in modo lineare (non in due tempi) così da evitare problemi in termini di sicurezza e i continui interventi dei dispositivi elettronici. Unico aspetto negativo di questo cambiamento è il suono emesso da questo tipo di motorizzazione: rispetto al motore aspirato questo propulsore ha un rombo debole e soffocato. Un rumore non degno dell’erede della Pagani Zonda. Questo problema viene superato da Horacio rivolgendosi a Martin Haegele della MHG GROUP: un maestro nei tubi di scappamento e capace di modellare qualsiasi tipo di suono in qualsiasi ambito.

192 Esso crea appositamente per la Pagani un sistema di scarico che invece di fungere da silenziatore funge da amplificatore (l’argomento verrà successivamente approfondito nella parte dedicata ai fornitori). Gli scarichi sono in titanio e Inconel, concepiti per essere il più leggeri possibile (l’impianto di scarico completo pesa meno di 10 Kg) e, allo stesso tempo garantire un flusso dei gas di scarico il più libero possibile I due radiatori posizionati ai lati della bocca anteriore garantiscono l’efficienza degli intercooler 114 , posti sopra la testa dei cilindri. Questo circuito di raffreddamento a bassa temperatura è stato progettato per funzionare anche in luoghi nei quali la temperatura ambientale supera i 50 °C. La lubrificazione del

114 L'Intercooler (il cui nome deriva da inter - intermedio, e cooler - raffreddatore) o interrefrigeratore, è un dispositivo generalmente utilizzato nei motori a combustione interna turbocompressi. Si tratta di uno scambiatore termico del tipo aria/aria o aria/acqua, che raffredda l'aria in uscita dal turbocompressore prima che entri nel motore. Il fine di questa operazione è quello di immettere l'aria nel motore alla temperatura ottimale per la combustione.

193 carter è a secco 115 : questo ha consentito di eliminare la coppa dell’olio e collocare quindi il motore il più basso possibile, avendo quindi il centro di gravità meno distante da terra. Al fine di limitare quanto più possibile il numero di tubi ed allacciamenti nel motore, e di conseguenza risparmiare peso, il serbatoio di espansione è montato direttamente sul motore. Sempre per lo stesso motivo, le paratie degli intercooler fungono da serbatoio del circuito refrigerante. Per ottimizzare i consumi, la richiesta di carburante è controllata da un microprocessore su ogni pompa, rilasciando quindi solo la quantità di cui ha veramente bisogno il motore. Questo riduce l’energia necessaria a far funzionare le pompe del carburante e riduce gli sprechi dovuti all’eccesso di carburante trasportato e riscaldato nei condotti.

115 Il carter motore è una scatola, un contenitore, un involucro o uno scudo in materiale rigido che racchiude e protegge il motore e ne favorisce o ne mantiene la corretta lubrificazione. Può essere di vari tipi: carter secco, carter umido e carter pompa. Il carter secco, rispetto al carter umido è più complicato: infatti per la lubrificazione non usa la coppa dell'olio, poiché esso viene recuperato dalla pompa di recupero in un serbatoio separato e da tale serbatoio, tramite la pompa di mandata, viene spruzzato all'interno del motore, per lubrificare i vari organi. Il vantaggio di questo sistema è di avere un motore più compatto e difatti è molto utilizzato nelle moto di grossa cilindrata, ma un altro grande vantaggio è dato dall'evitare lo spostamento laterale dell'olio in curva, fenomeno che si presenta in particolar modo con le automobili e simili ed è questo il motivo principale per cui è stato adoperato su questi mezzi, inoltre questo tipo di ausilio fa sì che non ci sia più sbattimento d'olio in coppa e apporta una lieve refrigerazione alla temperatura dell'olio.

194 Il cambio è un 7 marce sequenziale montato trasversalmente ed è fornito dall’azienda britannica Xtrac. L’adozione di un meccanismo a doppia frizione è stato scartato, perché avrebbe comportato un aumento del peso di circa 70 kg, a fronte di una velocità di cambiata di poco superiore. Inoltre la trasmissione Xtrac, a differenza dei sistemi Dual Clutch (cambio a doppia frizione), è in grado di gestire l’enorme coppia (oltre 1000 Nm) proveniente dal propulsore AMG. Il telaio è una struttura monoscocca realizzata in una speciale lega di carbonio- titanio, già vista sulla Zonda R, che a parità di peso è più resistente della fibra di carbonio semplice. Sempre per risparmiare peso, il telaio ingloba, in un tunnel che passa tra i sedili, i condotti dell’aria condizionata e del circuito di raffreddamento, per evitare di montare componenti aggiuntivi. Le sospensioni, che ricordano quelle delle auto da corsa, sono collegate al telaio tramite quattro semi-telai in cromo-molibdeno, che garantiscono massima rigidità, peso minimo e aiutano a dissipare energia in caso di urto. La geometria delle sospensioni è stata concepita per mantenere il comportamento dinamico della Zonda anche sulla Huayra, che risulta leggermente più lunga. Come per il telaio, anche le sospensioni, realizzate in Avional, indipendenti e a doppio braccetto, sono state prima testate sulla Zonda R. Gli ammortizzatori regolabili sono forniti dalla Öhlins.

195 Altri aspetti da sottolineare sono la presenza di:

- un portabagagli su misura in pelle

- una presa d’aria che evoca quella di un jet supersonico

- le portiere ad ali di gabbiano

196 - gli specchietti retrovisori ispirati gli occhi di una donna

- la pulsantiera ispirata a un clarinetto

197

- il quadrate prodotto da un orologiaio svizzero.

Tabella 2.7 - Scheda tecnica Huayra

Motore  Mercedes-AMG M158 V12 Bi- Turbo Cilindrata  5980 cc Potenza  730 cv Coppia  1.000 Nm Cambio  7 marce sequenziale trasversale  Sistema robotizzazione AMT con programmi di guida Dimensioni  Lunghezza: 4605 mm  Passo: 2795 mm  Altezza: 1169 mm

198  Larghezza corpo vettura: 2036 mm Peso a secco  1.350 kg (Valore indicativo, a seconda dei modelli e delle versioni) Distribuzione dei pesi  44% anteriore  56% posteriore

La difficoltà per gli operai, i tecnici e meccanici nell’assemblaggio è inizialmente notevole perché è tutto completamente diverso dalla Zonda, ma soprattutto perché non ci sono manuali da seguire e quindi essi devono capire cosa fare andando a tentativi, passo dopo passo. Semplificando, le fasi dell’assemblaggio sono le seguenti:

- costruzione telaio anteriore e posteriore - fissaggio delle componenti meccaniche sul telaio (ABS, sterzo, ecc) - montaggio sospensioni - telaio anteriore e posteriore fissati alla cabina centrale - montaggio scarichi - cablaggio (autentico schema nervoso auto) - sistemazione componenti interne (pannelli fibra in fibra di carbonio lucidati, morbida pelle, ecc.) - montaggio componenti esterne in materiale composito (cofano, sportelli, ecc.)

Il primo assemblaggio richiede 3 settimane. La prima presentazione della Huayra, come era successo con la Zonda R, avviene con un evento prestigioso ed esclusivo all’head quarter della Pirelli a cui sono presenti solo i concessionari, i clienti effettivi, i potenziali clienti e un numero selezionato di giornalisti internazionali.

199 Successivamente l’auto viene presentata a livello mondiale al Salone di Ginevra del 2011, anche se non ancora ultimata e quindi non ancora pronta per essere consegnata ai clienti. Nonostante questo e nonostante il vertiginoso prezzo di 1 milione di euro, i clienti iniziano le ordinazioni e nel giro di poco tempo tutte le 60 Huayra previste dalla produzione vengono prenotate. Oltre alle presentazioni ufficiali la Pagani promuove la nuova supercar anche attraverso dei video di breve durata su DeusVenti.com e su Youtube, cambiando totalmente la veste grafica al proprio sito e attraverso il videogioco Need for Speed: Shift 2 Unleashed (vettura in esclusiva).116 Si pensi che la casa automobilistica modenese ha investito circa il 10% del proprio fatturato per la commercializzazione, il marketing e gli eventi legati alla nuova vettura. Solo dopo 11 mesi dal lancio a Ginevra, Horacio decide che la Huayra è pronta: viene così consegnata la prima vettura. Nel 2012 sono state prodotte 25 Huayra, mentre nel 2013 la produzione è aumentata attestandosi su 40 nuove vetture. Rispetto alla Zonda la nuova vettura si posiziona in una fascia di mercato completamente diversa sotto 2 punti di vista:

- accessibilità: per la Huayra è prevista una produzione quasi raddoppiata rispetto a quella della Zonda (da 140 a circa 200-250 unità), che inoltre ha visto raddoppiare il suo prezzo dall’inizio produzione ad oggi. - tipologia di cliente: la Zonda con il suo design accattivante e aggressivo, il carattere corsaiolo, lo stile di guida legato alla meccanica e la sua rumorosità è richiesta da un pubblico giovane, mentre la Huayra con un design più elegante e lo stile di guida legato all’elettronica è richiesta anche da un pubblico più anziano.

116 Pagani sfrutta la solida partnership con la compagnia di videogiochi E.A. (Electronic Arts).

200 2.2 L’azienda oggi

2.2.1 Struttura ed organizzazione

La Pagani automobili S.p.A attualmente ha circa 60 dipendenti tra operai e impiegati (compresi Horacio, la moglie e i figli), ha circa 20 dealer (concessionari autorizzati) nel mondo e vende le proprie auto principalmente negli Emirati Arabi, in Cina, in Giappone e negli U.S.A. Infatti il mercato Nord Americano rappresenta più del 40% del fatturato per le vetture Pagani, mentre quello Asiatico circa il 35%. L’azienda modenese ha aumentato la propria rete commerciale tra il 2011 e il 2012 e i rivenditori autorizzati sono presenti in:

-Asia (Hong Kong, Cina, Tailandia, Giappone, Arabia Saudita, Singapore, Malesia, ecc.) - Europa (Regno Unito, Germania, Spagna, Svizzera) - America (U.S.A, Cile, Brasile)

I dealer sono attrezzati per fare le revisioni, i tagliandi e per riparare i danni di piccola entità: in caso di danno grave l’auto viene riparata esclusivamente nella sede centrale in Italia. Il cliente ha la possibilità di ordinare l’auto presso uno di questi rivenditori autorizzati sparsi nel mondo, ma la soluzione migliore (consigliata dalla Pagani) rimane quella di recarsi direttamente in azienda. Ad Horacio infatti piace incontrare il cliente di persona ed entrare in sintonia con esso: in questo modo è sicuro di vendere al cliente un auto che soddisfi pienamente le sue esigenze e che si allinei con le sue emozioni. Spesso il designer si rivolge al nuovo cliente dicendogli:

“Bene vuoi acquistare una delle nostre vetture! Per prima cosa voglio che ci incontriamo nel tuo luogo di lavoro, nel tuo ufficio, nel tuo garage dove tieni

201 tutte le tue vetture più belle, in modo che io possa interpretare i tuoi gusti, che possa vedere come vivi, che possa vedere che cos’è che ti stimola”117.

Il legame con il cliente è quindi molto forte e intimo e ognuno di essi fa parte della famiglia Pagani. Questa relazione viene rafforzata ogni anno anche attraverso l’organizzazione del raduno ufficiale Pagani. Nella giornata passata a San Cesario sul Panaro, il cliente viene inoltre seguito e consigliato anche dagli ingegneri e dai designer: in questo modo ha lo possibilità di poter personalizzare a proprio piacimento l’auto nel migliore dei modi. Esso ha la possibilità di scegliere gli interni(alcuni materiali e colori), la colorazione della carrozzeria e qualsiasi altro tipo di personalizzazione (es. verniciatura della testa del motore; installazione diverse luci a led). Raramente il cliente accetta le configurazioni standard e non fa quindi riferimento a un catalogo o da un listino prezzi: solitamente esso è già molto preparato e vuole tramutare in realtà un suo sogno. Spesso il suo desiderio è avere una personalizzazione non ancora realizzata e quindi per ogni vettura si moltiplicano le difficoltà e aumenta inevitabilmente il prezzo. In particolare si procede alla misurazione del cliente per poter così assettare gli interni (sedile, distanza dai pedali, ecc.) in relazione a queste misure. Anche nel caso di acquisto attraverso un dealer, il rapporto commerciale viene comunque sempre gestito in prima persona dal costruttore, il quale stabilisce i termini di vendita, di pagamento, di ordine e di garanzia con l’obiettivo di garantire il linguaggio Pagani su tutta la catena distributiva. Per quanto riguarda la Huayra, i tempi di consegna dal momento dell’ordinazione si attestano sull’anno e mezzo. Per questo Horacio nel 2013 ha deciso di spostarsi in un nuovo stabilimento più grande (vicino a quello vecchio) per velocizzare la produzione. L’intero trasferimento è previsto nel giro di un anno. Il primo reparto a spostarsi è stato quello dell’assemblaggio.

117 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.100.

202 Per ogni auto vengono predisposti 3 libri che permettono la tracciabilità di qualsiasi operazione relativa ad essa. Così si individuano meglio le cause e i responsabili (ognuno mette la firma per le operazioni che ha compiuto) nel caso di eventuali problemi o incongruenze. Nella sede di San Cesario sul Panaro è presente anche un piccolo museo ed inoltre la Pagani da la possibilità di effettuare visite guidate all’interno della fabbrica. Gli appassionati, oltre che ad assistere alla produzione dell’auto, hanno la possibilità di osservare i modellini, le foto, gli oggetti di design esclusivi creati da Horacio e le autovetture.

203

204

205 2.2.2 Situazione economico – finanziaria

Oggi la Pagani Automobili S.p.A è partecipata al 100% dalla Società “ Horacio Pagani S.p.A” a cui paga annualmente delle royalties (circa 200.000 €) per svolgere l’attività di costruzione, vendita, progettazione styling e design di automobili a marchio “Pagani”. Il marchio Pagani ad oggi è valutato circa 200 milioni di euro. Il 18 dicembre 2012 l’azienda ha acquisito una partecipazione totalitaria nella società “PAGANI WORLDWIDE LLC”. Quest’ultima è stata costituita al 1311 di Sutter Street a San Francisco in California (U.S.A). La Pagani Automobili S.p.A ha un capitale sociale di 536.000 € e investe ingentemente ogni anno in ricerca e sviluppo. Dal 2008 al 2011 gli investimenti in ricerca e sviluppo hanno riguardato un unico progetto: attività di ricerca e sviluppo a favore di innovative e originali soluzione tecniche e tecnologiche per il settore automotive, in riferimento a molteplici tematiche quali motoristica, nuove tipologie di materiali, cambio, stabilità dinamica del veicolo e sistema di frenata. Nel 2012 si è aggiunto un secondo progetto: attività di ricerca e sviluppo a favore di nuove soluzioni tecniche e tecnologiche in riferimento a nuove linee di prodotti.

Tabella 2.8 – Investimenti in Ricerca e Sviluppo (2008-2012)

2008 2009 2010 2011 2012 Investimenti 2.065.465 610.255 3.630.181 608.500 2.310.269 in R&S

Dal 2007 al 2011 l’azienda ha conseguito risultati economici positivi e mostrato una situazione economica, patrimoniale e finanziaria solida e costante nel lungo periodo, mentre nel 2012 si è avuto un netto cambio di tendenza.

206 Tabella 2.9 – Fatturato e Utile (2007-2012)

2007 2008 2009 2010 2011 2012 Fatturato 6.575.756 5.747.158 12.975.579 12.406.294 13.374.632 9.815.727

Utile 300.912 304.812 832.440 408.122 515.015 - 1.377.875

Questo è dovuto al fatto che nel corso di questo esercizio la società è stata interessata da un profondo processo di riorganizzazione rilevando una significativa perdita di esercizio. Infatti il 2012 e successivamente il 2013 sono anni di grandi cambiamenti per l’azienda in quanto viene consegnata la nuova vettura Pagani Huayra, viene ampliata la produzione e costruita una nuova fabbrica più grande (nelle vicinanze della sede storica).

Tabella 2.10 – Indicatori di redditività (2009-2012)

2009 2010 2011 2012 R.O.E 40,22 % 16,47 % 17,21 % (85,32 %) R.O.I 7,84 % 5, 70 % 5,48 % (11,24 %) R.O.S 8,21 % 7,16 % 6,04 % (18,65 %)

Per migliorare il risultato operativo e per raggiungere una situazione di maggior equilibrio economico gestionale, l’Organo amministrativo ha elaborato successivamente un Piano Industriale che va ad identificare le azioni necessarie per raggiungere questi obiettivi. La Pagani automobili S.p.A rispetto ad alcuni dei suoi principali competitors, come Ferrari e Lamborghini, si attesta su livelli decisamente inferiori e quasi non paragonabili di fatturato e di numero di auto vendute.

207 Infatti, nel 2012 la Ferrari ha venduto ben 7318 auto fatturando ben 2,43 miliardi di euro, mentre la Lamborghini ha venduto 2083 auto fatturando 469 milioni di euro

2.3 La strategia di outsourcing della Pagani

2.3.1 Introduzione

La Pagani Automobili S.p.A si contraddistingue per una totale concentrazione delle proprie energie sui propri core business: progettazione, materiali compositi e assemblaggio auto. Analizzando il caso della Huayra vediamo infatti che l’azienda modenese produce internamente solo il 5% dell’auto, andando ad esternalizzare il restante 95%, cioè circa 4000 componenti. L’azienda internalizza tutto il processo di innovazione dalla progettazione alla realizzazione per quanto riguarda tutta la componentistica in carbonio, mentre esternalizza la fase produttiva relativa alla parte telaistica progettata dall’ufficio tecnico. Questa politica estrema di outsourcing è praticata non tanto per ridurre i costi di produzione, ma con l’obiettivo di riuscire ad offrire al cliente il miglior prodotto esistente sul mercato, con riferimento ad ogni singola componente dell’auto. Chiaramente alla fine c’è anche un vantaggio in termini di costi perché produrre tutta l’auto internamente significherebbe dover avere un’azienda molto più grande di quella della Pagani e quindi dover sostenere maggiori costi di struttura, di personale, di ricerca e sviluppo, ecc. Horacio ha impiegato anni per mettere su una rete internazionale di collaboratori fidati che gli permettessero di realizzare l’auto perfetta. Esso si è recato personalmente da ogni fornitore per esprimere le proprie esigenze stabilendo fin da subito le sue condizioni di collaborazione.

208 Parliamo appunto di collaborazione e non di fornitori, proprio perché Pagani è riuscito a stabilire un rapporto speciale con ognuna di queste aziende: in alcuni casi, imprimendo una nuova filosofia di lavoro, ha addirittura permesso ad esse di acquisire nuovi clienti e di crescere. Essere un collaboratore di Pagani è equiparabile ad un atto di fede in quanto all’inizio si fanno delle cose che probabilmente non tutti comprendono, percepiscono o ritengono indispensabili. Horacio si caratterizza per voler rifare ogni componente fino a quando non la ottiene così come la vuole e come la sente: i prodotti Pagani sono personalizzati e curati in maniera ossessiva. Il fornitore deve quindi accettare a priori le regole proposte quotidianamente da Pagani e la relativa mole di lavoro richiesta per far si che il cliente possa ritenersi soddisfatto del progetto stesso. Esso deve essere pronto a rilavorare il pezzo nel caso in cui Horacio non sia soddisfatto ed è quindi necessario avere la sua stessa cura maniacale verso il particolare e la sua stessa passione per essere in grado di accettare di dover di nuovo lavorare per altri giorni allo stesso pezzo, anche solo per qualche linea o per qualche piccola sfumatura. Le partnership durature e di successo sono quelle in cui i collaboratori mostrano la stessa passione verso il mestiere, la stessa attenzione e lo stesso entusiasmo di Horacio. Il rapporto invece diventa difficoltoso e senza una prospettiva di lungo periodo quando il partner ritiene che tutto questo sia una perdita di tempo. Per capire meglio quello che è la relazione del collaboratore con il designer italo- argentino, è molto utile la spiegazione di Maurizio Meschiari dell’Aspa S.r.l:

“Comunicare con persone come Horacio Pagani richiede secondo me la capacità di azzerarsi in quel momento, perché è l’unico modo di spalancare le porte. Azzerarsi non come persona in quanto essere, a lui in particolare non piacciono gli ‘yes man’. Se tu vuoi ricevere e capire chi ti sta di fronte devi avere questa capacità, di dimenticare per un attimo chi sei e lasciare che l’altro possa entrare in te. Poi dopo devi avere, penso, la capacità di filtrare l’altro, di

209 capirlo, di porgli i tuoi limiti, di prendere quello che è importante di lui, di capire che l’altro ti presenta nella sua interezza e anche con dei difetti, con delle cose che non ti piacciono. Non puoi giocare alla pari dal punta di vista del suo saper-fare, perché non sei alla pari. Ma puoi giocare alla pari solo con la dignità umana, e lui questo secondo me lo apprezza molto”

Pagani ha chiaramente scelto quelli che riteneva essere i migliori partner strategici sul mercato. Horacio è un costruttore come quelli di una volta, quasi unico al giorno d’oggi, e chi compra un’automobile da lui si trova a stretto contatto con l’uomo che l’ha pensata, l’ha progettata, ha visto ogni singolo particolare, ha voluto essere il primo a guidarla e collaudarla personalmente, prima di consegnarla al cliente. Esso cura fino all’ultimo dettaglio con il cliente: ad esempio coinvolge tutto il personale nella presentazione della vettura al momento del ritiro e fa molti voli in aereo per andare a firmare le finiture degli ultimi contratti.118 I fornitori allo stesso modo dei clienti, nel momento del bisogno, hanno sempre la possibilità di parlarci direttamente e personalmente: Horacio non è abituato a delegare o a non curare questo aspetto.

2.3.2 Core Business

a) Materiali compositi

Pagani oltre ad essere un grandissimo designer è anche un esperto assoluto dei materiali compositi e in particolare della fibra di carbonio e del Carbon-titanium. Horacio ha sviluppato questo know-how ai tempi della Lamborghini divenendo poi uno dei “guru” in materia. Come abbiamo visto nella parte dedicata alla storia dell’azienda, Pagani decide alla fine degli anni 80’ di abbandonare la

118 Michele Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.92 e 100.

210 storica ditta di auto modenese, proprio perché questa non voleva puntare sul nuovo materiale. La consapevolezza di avere una competenza esclusiva e l’obiettivo di produrre le componenti in materiale composito migliori al mondo gli hanno permesso di mettersi in proprio ed arrivare al successo del giorno d’oggi. La fibra di carbonio è una struttura filiforme, molto sottile, realizzata in carbonio con la quale si costruisce una grande varietà di materiali detti compositi in quanto le fibre sono "composte" ovvero unite assieme ad una matrice, in genere di resina (ma può essere in metallo o in plastica) la cui funzione è quella di tenere in "posa" le fibre resistenti (affinché mantengano la corretta orientazione nell'assorbire gli sforzi), di proteggere le fibre ed inoltre di mantenere la forma del manufatto composito. Essa è composta principalmente da due derivati, la pece119 e la PAN120, le quali vengono lavorate con diversi trattamenti termici in ambiente inerte per poi diventare fibra, e passate poi attraverso le filiere per diventare fili di carbonio121. Per la realizzazione di strutture in composito le fibre di carbonio vengono dapprima intrecciate insieme a organizzare veri e propri panni in tessuto di carbonio e poi, una volta messi in posa, vengono immersi nella matrice. Tra le sue caratteristiche spiccano l'elevata resistenza meccanica, la bassa densità, la capacità di isolamento termico, resistenza a variazioni di temperatura e all'effetto di agenti chimici, buone proprietà ignifughe. Di contro il materiale risulta non

119 La pece è un liquido altamente viscoso di colore nero ricavato da bitume o da legni resinosi. È una sostanza impermeabile, nonché un potente collante.

120 Il poliacrilonitrile, spesso indicato con l'acronimo PAN, è il polimero ottenuto dalla polimerizzazione dell'acrilonitrile. Viene prodotto in mezzo acquoso, a temperatura di 40-55 °C, tramite l'utilizzo di catalizzatori (persolfato di potassio, potassio idrossilammina disolfonato biidrato e solfato ferroso). La prima fibra acrilica ottenuta, nota col nome commerciale Orlon, fu prodotta dalla DuPont nel 1950 ed era costituita da poliacrilonitrile. L'uso di questo polimero è principalmente rivolto alla produzione di fibre sintetiche resistenti all'invecchiamento, a tarme, ad agenti fisici e chimici e caratterizzate da notevoli proprietà meccaniche. Il PAN viene utilizzato anche come precursore per ottenere fibra di carbonio ad alta qualità.

121 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.88.

211 omogeneo e presenta spesso una spiccata anisotropia, ovvero le sue caratteristiche meccaniche hanno una direzione privilegiata.

Essa ha un eccellente forma specifica e un’elevata versatilità che consente di produrre straordinari oggetti del desiderio. Il carbon-titanium è formato da un filo di carbonio e da un filo di titanio. Il tessuto offre alte prestazioni meccaniche ed elastiche, ma presenta una lavorazione più complicata rispetto ai tipici tessuti, dovuta ad una minore maneggevolezza e alla maggiore solidità del filo di titanio122. In entrambi i casi si parte da un tessuto morbido prodotto esclusivamente per la Pagani in Giappone che viene tessuto in Germania e poi imbevuto di resina in Italia: naturalmente solo Horacio conosce l’intero procedimento. Il tessuto, che è avvolto in dei rotoli, viene innanzitutto tagliato: a mano o attraverso dei plotter di taglio. Successivamente, si passa alla così detta fase di laminazione: il tessuto viene disposto in degli stampi in lega leggera o in materiale composito dove esso

122 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.88.

212 aderisce grazie alla resina di cui è imbevuto. Anche se il processo sembra semplice c’è da sottolineare che per ottenere un buon risultato occorre curare ogni dettaglio attentamente e quindi occorre un’ottima manualità. A seconda del tipo di componente che si vuole ottenere vengono sovrapposti più strati di tessuto, anche in più direzioni.

Gli scarti del tessuto vengono riutilizzati, a differenza di quelli ‘cotti’, che vengono eliminati (polvere, scarti, ecc.). Ogni componente viene poi ricoperta con un tessuto di Teflon123 per non far fuoriuscire la resina e da una tessuto traspirante per garantire l’uscita dell’aria. A questo punto si procede, grazie

123 Il politetrafluoroetilene (PTFE) è il polimero del tetrafluoroetene. Normalmente è più conosciuto attraverso le sue denominazioni commerciali Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon, in cui al polimero vengono aggiunti altri componenti stabilizzanti e fluidificanti per migliorarne le possibilità applicative. È una materia plastica liscia al tatto e resistente alle alte temperature (fino a 200 °C e oltre), usata nell'industria per ricoprire superfici sottoposte ad alte temperature alle quali si richiede una "antiaderenza" e una buona inerzia chimica. Le padelle da cucina definite "antiaderenti", sono tali perché ricoperte all'interno di uno strato di PTFE (Teflon).È inoltre il materiale con il coefficiente di attrito più basso conosciuto.

213 all’ausilio di una pompa, a mettere sottovuoto ogni pezzo. Questa operazione è necessaria per far si che si possano mettere le componenti in forno (autoclave).

Sono necessari tempo, pressione e temperatura adeguati per solidificare le componenti: la pressione è circa di 6 bar, la temperatura è compresa tra i 140 °C e i 275 °C e il tempo richiesto è circa di 2 ore. Ogni pezzo viene poi ispezionato dal responsabile dei materiali compositi (Roberto Malmuso) e se conforme viene inviato al reparto taglio. In questa parte dell’azienda gli operai devono indossare la maschera e una protezione integrale per non introdurre nei polmoni la polvere di carbonio che è potenzialmente letale.

b) Assemblaggio

Le varie componenti in fibra di carbonio vengono assemblate prima della verniciatura: ogni giuntura deve essere perfettamente allineata e la qualità è così

214 elevata che molti clienti scelgono di avere dei pezzi in carbonio lucidato invece che verniciato.

Parlando appunto dell’assemblaggio Horacio afferma:

“Tutto viene rifinito a mano perché la mano dell’artista riesce a dare quel valore aggiunto che una macchina per quanto precisa non riesce a dare”.

In linea con questa affermazione, spiega quella che è l’importanza dell’intellettualità manuale:

“Io mi chiedevo sempre quale era la chiave del Rinascimento, perché in quel momento li sono state fatte queste cose. Allora sono arrivato ad una conclusione personale, che la chiave del rinascimento è stata l’intellettualità manuale. Partiamo ora dalla parola ‘arte’: deriva dalla parola ‘arto’, ‘pressione delle mani’. Io credo che questa gente che viveva nel Rinascimento era gente intelligente, creativa e capace, che ragionava, pensava e si faceva tutte le idee sui progetti; che poi cercava di trasmettere alla mani questa idea che poi si materializzava toccando la materia e gli strumenti. Alla fine tutto viene

215 trasmesso tramite le mani. Credo che tra la mente che crea e che pensa, e le mani che seguono e che realizzano, ci sia un passaggio naturale tramite il cuore. Parliamo di un qualcosa che è completamente soggettivo, e tutte queste cose che hanno un valore che non si riesce a misurare sono tutte soggettive. Questo passaggio che attraversa il cuore è quello che da il valore aggiunto alla tua opera: se tu hai fatto un lavoro col cuore lo riesci a trasmettere. Perciò io credo che le persone che lavorano qui dentro abbiano intelligenza, cuore, manualità e perciò si vede negli oggetti che facciamo. Come si trasmette questo è molto difficile nel mondo in cui viviamo, perché è un mondo completamente pieno di materialismo. Noi viviamo distratti e quelle cose non le vediamo più. Perciò anche qui dentro purtroppo siamo fatti di persone, e comunque viviamo anche in questo ambiente che magari non è il migliore. Quello che noi cerchiamo sempre di più di poter fare è di trasmettere questi valori. E’ una fatica: è più difficile trasmettere questi valori che disegnare una macchina. Disegnare una macchina è un gioco. Qua siamo in Italia. In Italia siamo creativi, fantasiosi, bugiardi, egocentrici, egoisti, simpatici; perciò abbiamo tutte queste caratteristiche. La difficoltà che si trova oggi in Italia, un po’ dappertutto è questa mancanza del lavoro in team, allora devi fare in modo di convincere le persone che oggi col mondo che c’è lavorando in team si riescono a raggiungere certi risultati. Lavorare in team vuol dire essere prima di tutto umile, poi umiltà e consapevolezza sono due cose che vanno insieme. Il fatto di essere consapevole di quelle che sono le tue capacità, di quelle che sono anche le tue mancanze. Se tu riesci a resettarti ogni giorno su questi concetti di umiltà riesci a lavorare bene con lui, come me, con quell’altro; se tu invece continui a credere che sei un fenomeno, noi abbiamo parlato adesso, io ti ho raccontato la mia vita, però c’è stato comunque sempre un vetro qua in mezzo dove certi messaggi non sono passati. La difficoltà più grande che si trova in questo momento è quella di motivare le persone e la motivazione delle persone è la lotta più grande per poter portare avanti una realtà come questa.

216 Come si fa? Cercando di responsabilizzare le persone, cercando di fargli capire che sono importanti e che la ditta ha bisogno di loro, e che ognuna è un pilastro di questo stabile che altrimenti crolla. Non ho altre ricette. E’ stata un’avventura non indifferente anche quando abbiamo costruito questa fabbrica. Considera che sono arrivato con mia moglie in Italia con due biciclette e una tenda in affitto, perciò non avevamo niente. Oggi abbiamo un marchio che è arrivato a 200 milioni di euro. Della strada è stata fatta. Se negli anni ’90 – dopo la guerra del Golfo – facevi uno studio di marketing ‘una macchina così può avere successo?’ e chiedevi a mille, tutti e mille ti dicevano di ‘no!’. Però sono quei momenti li dove l’essere umano deve utilizzare quella che è l’intuizione e deve pensare che comunque la gente prima o poi vorrà continuare a sognare. La stessa ricetta l’abbiamo utilizzata quando è arrivata la crisi nel 2008. Tutti i fabbricanti si sono messi a fare delle macchine elettriche, così a Ginevra 2009 ce n’erano ben 55 progetti. Noi quell’anno abbiamo detto ‘dobbiamo fare dei progetti ancora più costosi, dobbiamo fare delle macchine ancora più affascinanti’. Se guardiamo le vetture che c’erano al Salone di Ginevra nel 2008 erano delle macchine che costavano 800.000 euro, mentre le macchine che abbiamo presentato nel 2009 partivano da 1.300.000 euro. Praticamente abbiamo raddoppiato il prezzo, però siamo riusciti a venderle tutte e ancora oggi abbiamo gli ordini di allora che stiamo smaltendo. Noi siamo convinti che tutti noi – dal primo all’ultimo – vogliamo continuare a sognare, lavoriamo per continuare a credere che il mondo comunque cambierà, tornerà ad essere bello e che se tu smetti di sognare smetti anche di vivere”124.

124 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.108-110.

217 c) Progettazione

La progettazione dei prodotti è di competenza dell’ufficio tecnico, costituito da una decina di persone: progettisti, tecnici e specialisti dell’area elettronica. Il numero ridotto di personale in quest’area ha effetti positivi e negativi sulla cultura organizzativa dell’azienda. Da una parte, si crea un clima despecializzato in cui poche persone svolgono il lavoro di tante persone: si allungano in maniera inevitabile i tempi procedurali. Dall’altra parte, un’organizzazione più snella consente un più efficace ed efficiente interfacciamento, riducendo possibili conflitti interni e semplificando i trasferimenti informativi, diversamente da quanto avviene nelle grandi aziende che vedono una maggiore rischiosità nei flussi comunicativi. Una volta formulato il new concept, Horacio Pagani lo trasmette ai suoi più stretti collaboratori dell’ufficio tecnico spiegandone la forma a parole, mimandola, con una serie di aggettivi e con degli schizzi realizzati a mano su carta. Dopodiché esso valuta l’affinità tra il suo pensiero e l’interpretazione che i progettisti danno ad esso: questo passaggio porterà a successive modifiche e affinamenti dell’idea iniziale. In questa azienda ci sono due tipi di progettazione: meccanica e stilistica. Sono due funzioni che s’interfacciano reciprocamente per procedere in modo parallelo: si ha uno scambio continuo di informazioni fino alla realizzazione del prodotto finito. Quindi partire dal telaio o dall’estetica non è il problema principale, in quanto si giunge alla soluzione considerando contemporaneamente entrambi gli aspetti. Per prevenire possibili interferenze negative tra i progettisti estetici della componentistica in carbonio ed i progettisti strutturali della componentistica meccanica, occorre dare inizio ai lavori riconoscendo quelle parti che sono chiaramente definite a priori. Pertanto, creare la cellula abitativa della vettura non significa considerare solo la determinata altezza media del suo utente, ma anche il fatto che dovrà incastonarsi in quella silhouette di macchina desiderata senza trascurare le esigenze degli altri componenti e dei valori di performance, inclusa la sicurezza.

218 Nella progettazione si seguono 3 principi:

 Semplicità: i progettisti mirano ad ottimizzare il più possibile la semplicità di realizzazione, preferendo un allungamento dei tempi di progettazione piuttosto che sprecare energie umane e finanziare nella fase produttiva. Le componenti devono essere facilmente fabbricabili e non devono essere complicate da montare.  Praticità: concepire una vetture facile da montare non significa che sia altrettanto facile da smontare. Solo ponendo grande attenzione alla convivialità dei componenti meccanici ed estetici è possibile migliorare l’individuazione di difetti o guasti sulla vettura, e garantire un servizio di assistenza e riparazione più celere (es. solo 6 viti per estrarre l’intera cover frontale del lato passeggero).  Passione: ricerca maniacale della finitura e del particolare deve unire tutte le componenti in modo tale che ciascuna di esse, se analizzate individualmente, rifletta lo stesso trattamento passionale di qualunque altro componente (es. il pedale dell’acceleratore che è stato ridisegnato ben cinque volte). 125

125 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.76-78.

219 2.3.3 Partner strategici

a) ASPA S.r.l

L’ASPA, come, la Pagani è un’azienda di alluminio………… modenese che si trova per l’appunto a soli 15 km di distanza. Essa collabora ormai con Pagani da oltre un decennio e, insieme ad essa, è impegnata nella creazione di oggetti d’arte in materiali innovativi, pregiati ed esclusivi. Antonio Gerardi, titolare dell’azienda, all’inizio di questa partnership si è trovato in difficoltà perché non capiva la filosofia di Horacio e quindi i possibili risultati di questa collaborazione:

“Mi ricorderò sempre un giorno che ero sull’autostrada Campogalliano – Verona e ho avuto la fortuna di avere per un po’ di chilometri vicino una delle prime macchine che lui stava provando su questo tratto autostradale. Sono stato attraversato da un qualche cosa di estremamente piacevole nella vista e nel suono che questa automobile riusciva a sprigionare. Li ho cominciato ad interessarmi a chi fosse Pagani. Tutti si chiesero se fosse l’ennesimo tentativo di costruire una supercar a Modena, ma nessuno c’avrebbe scommesso un centesimo. Poi per un caso fortuito ci siamo conosciuti, perché lui paradossalmente all’inizio ha avuto difficoltà a trovare realtà che lo potessero seguire per lo spirito che voleva portare avanti. E noi che avevamo un’officina che era adoperata a fare anche altre cose, abbiamo creduto in questo progetto, all’inizio a piccoli passi; poi ci siamo buttati in una cosa impegnativa anche da un punto di vista economico. L’esserci riuscito secondo me è frutto della sua

220 capacità, ma anche frutto di tutti gli interlocutori che sono riusciti in qualche modo a stargli vicino”126.

In realtà questa collaborazione cambia la sua vita e quella della sua azienda. Nella parte storica della fabbrica, già esistente prima della collaborazione con Pagani, si producono componenti per la nautica, per l’aereonautica e motori aereodinamici. Essa è efficiente e funzionale, ma allo stesso tempo è sporca, rumorosa e maleodorante. Tutti questo va nettamente in contrasto con la filosofia di Horacio, che è costantemente alla ricerca della perfezione. Proprio per questo motivo e quindi per poter avviare la collaborazione con Pagani, l’ASPA decide di costruire una struttura distinta accanto alla fabbrica principale. Questa nuova divisione è dotata di macchinari all’avanguardia e di sistema di aria condizionata, è ben illuminata, ordinata e pulita. In questo modo l’ASPA è in grado di eseguire le lavorazioni come le richiede Pagani.

126 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.90-91.

221 In questa parte dell’azienda, a differenza della parte storica, dove vengono prodotte componenti che non possono essere oggetto di molte modifiche in quanto già riviste e omologate (processo organizzativo e gestionale tipico dell’imprenditoria), si effettuano le personalizzazioni estreme: ricostruzione o rivisitazione quotidiana dei pezzi richiesta da Pagani al momento della prenotazione o anche successivamente all’acquisto.

In questo modo il costruttore automobilistico da la possibilità e la soddisfazione al cliente finale di poter scegliere e modellare i dettagli della vettura. Qui si svolge un’attività non comune nell’industria automotive, tranne per le applicazioni Motosport estreme, quali la Formula 1, dove i costi non sono il fattore decisivo: ricavare parti dal pieno (blocco) di alluminio. La Pagani Huayra infatti conta ben oltre 1000 parti ricavate dal pieno, in varie leghe di alluminio aereonautico, acciai inossidabili e titanio, a seconda della funzione che devono svolgere. Persino il nome della vettura, posto sul paraurti posteriore, nasce in un processo di lavorazione di 24 ore da un blocco di alluminio.

222

Il componente che ha richiesto il maggior tempo per la sua creazione e il suo sviluppo è il centro-ruota (portamozzo).

223 Dopo un anno di lavorazione l’ASPA propone un primo prototipo di centro-ruota alla Pagani. Però a Horacio questo pezzo non piace ne esteticamente ne per il fatto che ha troppi bulloni e troppe componenti: infatti più componenti ci sono più sono le parti che si possono rompere. L’azienda modenese quindi dopo un altro anno di duro lavoro e di grandi sforzi riesce a dare a Pagani quello che vuole: un centro- ruota monoblocco. Questa soluzione garantisce un peso inferiore e una riduzione dei costi di produzione. Anche il pedale dell’acceleratore è stato riprogettato ben cinque volte per il semplice motivo che eccedeva di 35 grammi il peso da lui desiderato.

Il collaboratore modenese è abituato a rivedere in media le componenti dalle sei alle dieci volte prima di giungere alla sua versione definitiva, anche se spesso si procede a delle modifiche quasi impercettibili: se Horacio decide di apportare dei cambiamenti in nome dell’innovazione allora ASPA procede senza esitazione a sostenere un nuova spesa per la stessa voce.

224 L’ASPA grazie a questa collaborazione e quindi alla nuova filosofia (“ogni pezzo ha un anima”) impressa da Pagani ha avuto la possibilità nel corso di questo decennio di crescere e di acquisire oltre 15 nuovi clienti. Infatti, Gerardi sottolinea così l’importanza di questa partnership:

“Horacio riesce a spingerti e a spingere chi ha creduto in questo tipo di maratona, perché fino all’ultimo giorno non puoi immaginare che cosa ci sarà da fare per la presentazione, soprattutto quando ci sono degli eventi importanti che sente sulla sua pelle non come funzionario che deve portare l’ultima automobile al salone, ma che deve portare la sua creatura al salone. Ha dei momenti di sofferenza che solamente chi è a un livello importante e intimo riesce ad avere. Non è la prima volta che all’ultimo momento, proprio come il miglior sarto che deve vestire la persona e portare questo vestito al massimo dei livelli, ci sia qualcosa da cambiare. Io devo molto a Pagani, per averci dato la possibilità, perché sia chiaro trovare realtà che ti diano la possibilità di fare quello che Pagani fa quotidianamente non sono tante, neanche aziende a noi vicine e molto importanti hanno tutta questa ‘cucina’ di cose nuove di progetti così entusiasmanti da fare tutti i giorni. Noi oggi per la Huayra facciamo 800 pezzi. Se io non ho chi mi propone tutti i giorni e mi spinge a fare un certo tipo di allenamento, io rimango fermo al palo, perché con le macchine continuo a fare pezzi in produzione dove devo spingere un pulsante e basta. Invece un pezzo di Pagani è frutto di scelte, strategie, di un darsi da fare anche per cercare, andando a scoprire un indotto vicino a noi che può dare una soluzione che fa crescere anche noi. Io devo tanto a Pagani per quanto riguarda la possibilità che ci ha dato nel poter crescere insieme a lui, perché credo che non siano tante le aziende disponibili a questo tipo di cose. Oggi abbiamo una parte d’azienda che sta mettendo a frutto, queste conoscenze, questo modo di saper stare sul mercato di un certo livello, che ci ha portato a collaborare anche con realtà che prima non erano assolutamente avvicinabili”.127

127 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.98-99.

225 b) Brembo

La Brembo è un’azienda bergamasca produttrice di impianti frenanti per veicoli, specializzata nel settore moto e auto ad altre prestazioni. I freni di Brembo sono dispositivi standard per auto Aston Martin, Porsche, Ferrari, Lamborghini e per altre auto ad alte prestazioni come Ford GT, Dodge Viper ed alcune versioni speciali della Jaguar XRK. La Brembo ha sottoscritto un contratto di fornitura con l'Alfa Romeo nel 1964 ed è diventato il fornitore ufficiale di componenti frenanti per Moto Guzzi nel 1972. Altre auto che utilizzano questi sistemi frenanti sono: Abarth Grande Punto, Maserati GranTurismo S, Infiniti G35, Acura TL, Nissan GTR, Nissan 350 Z, Nissan Sentra, Subaru Impreza WRX e Mitsubishi Lancer Evolution. Anche le seguenti case motociclistiche utilizzano sistemi frenanti Brembo: Cagiva, Ducati, MV Agusta, Aprilia, Bimota, BMW, Harley-Davidson, Husqvarna, KTM, IMZ-Ural, Yamaha, Triumph Motor Company, TM Racing. Essi vengono montati anche sulle autovetture da Formula 1, come la Ferrari, e i team di Moto GP di Yamaha e Ducati. Oltre alla sede legale in Italia (6700 dipendenti) essa ha filiali in Brasile, Cina, Giappone, Messico, America del Nord, Polonia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Essa è leader e punto di riferimento nella progettazione e nella produzione di impianti frenanti con design e tecnologie innovative, e come tale si prende gran parte del merito dei record di frenata dei veicoli Pagani sin dal 1999. Brembo oltre a produrre sistemi frenanti possiede anche le fabbriche per la lavorazione delle materie prime: quindi in azienda viene seguito ogni passo del processo, dalla raffinazione della materia prima alla distribuzione del prodotto finito, compresa la prototipazione, il montaggio dei componenti e il collaudo. La Pagani Huayra adotta freni Carbo-Ceramici (CCM) testati precedentemente al Nürburgring con la Zonda R. Essa quindi ha un sistema collaudato che è perfettamente adatto anche alle situazioni più critiche. La riduzione di peso, ottenuta da Brembo con l’adozione di freni Carbo-Ceramici rispetto ai normali

226 dischi di ghisa, permette alla Huayra un eccezionale comportamento sia in uso sportivo che nella guida di tutti i giorni. Il materiale composito ceramico prodotto da Brembo garantisce un elevato coefficiente di attrito in tutte le condizioni di impiego che rimane costante durante la frenata a tutte le velocità, consentendo al guidatore di ottimizzare la forza da applicare al pedale. Questa importante proprietà è difficile da ottenere con ghisa tradizionale. Le pinze frenanti sono collegate ad una campana di metallo che rende possibile installare l'unità direttamente sul mozzo della ruota. Il fissaggio è brevettato con un sistema innovativo, con deformazione elastica tra fascia frenante e campana. Questo è il risultato di uno studio accurato che permette le differenti dilatazioni termiche tra i materiali dei due elementi frenanti. Inoltre, a temperature elevate, la deformazione limitata dei dischi Carbo-Ceramici CCM assicura l'accoppiamento perfetto tra disco e pastiglia. Questa importante qualità

227 non è facilmente ottenibile con dei dischi in ghisa, che tendono a deformarsi quando sono soggetti a sollecitazioni termiche gravi e prolungate. Inoltre, la durezza del materiale ceramico composito garantisce una lunga vita al disco. c) Gruppo Dani

Dani è oggi l'unione di due concerie, specializzate in settori diversi. Gruppo Dani, che produce pelli per arredamento, calzatura e pelletteria, e Dani Automotive, che produce pelli per automotive primo impianto. Alle due sedi produttive italiane di Vicenza, che impiegano circa 600 persone, si aggiungono poi due filiali commerciali estere, negli Usa e in Cina, e uno stabilimento per il servizio taglio in Nord Africa. Dani Automotive produce pelli pieno fiore e croste, sia intere che tagliate, destinate a diversi impieghi: volanti, sedili, pannelli, cuffie per pomelli, leve del cambio, cruscotti, poggiatesta e braccioli, soddisfacendo i più elevati standard del settore. Il completo controllo dell’intero ciclo produttivo delle pelli, da grezzo a finito, garantisce infatti ai clienti affidabilità e costanza qualitativa, seguendo le linee guida della certificazione ISO/TS 16949128. I laboratori interni assicurano inoltre il pieno rispetto delle specifiche tecniche dei capitolati forniti dalle case automobilistiche. Le Pelli hanno una rifinizione duratura, resistente a graffi, sfregamenti prolungati e temperature estreme: il corretto bilanciamento tra naturalità della pelle e studiati interventi chimico industriali, donano alla pelle Dani consistenza e durabilità.

128 Le ISO TS 16949 sono norme specifiche di qualità definite dall' ISO e relative all'applicazione delle più generali ISO 9000 (definiscono i requisiti per la realizzazione, in una organizzazione, di un sistema di gestione della qualità, al fine di condurre i processi aziendali, migliorare l'efficacia e l'efficienza nella realizzazione del prodotto e nell'erogazione del servizio, ottenere ed incrementare la soddisfazione del cliente) nel settore Automotive, volute e sostenute dai produttori di autovetture. Emesse per la prima volta nel 1999 sono state elaborate dalla International Automotive Task Force (IATF), di cui fanno parte anche le maggiori case automobilistiche mondiali (BMW, Daimler, FIAT, Ford, General Motors, Gruppo PSA, Renault e Volkswagen), sono state modificate l'ultima volta con le ISO/TS 16949:2009.

228

Nel 1950 Angelo Dani ha iniziato la produzione di pelli nel settore dei guanti. Nel 1970 la leadership è stata tramandata ai suoi sei figli che sono stati responsabili della crescita, dello sviluppo, della produttività e dell’espansione, aprendo anche importanti filiali negli Stati Uniti e Cina. Oggi il gruppo è in grado di fornire pelle di alta qualità per molte applicazioni, tra cui l’automotive, l’aeronautica, la nautica da diporto, tappezzeria, indumenti, calzature e pelletteria. La collaborazione con Pagani inizia nel 2005: l’azienda vicentina è da quel momento la responsabile della creazione di alcuni degli interni più esclusivi che si siano mai visti in un veicolo di lusso. La pelle, in esclusiva per la Pagani Huayra, prodotta da Dani nel suo impianto di produzione vicino a Vicenza, è un perfetto esempio di lavoro su misura. Specifici colori e texture129 possono essere creati secondo i desideri del cliente. In un

129 Con la parola texture si vuole specificare un particolare trattamento della superficie liscia artificiale o naturale, su cui vengono applicate incisioni particolari o simili allo scopo di renderla ruvida, oppure per specificare la ruvidezza assunta da una superficie che è stata sottoposta a tale trattamento.

229 laboratorio, la pelle scelta deve superare una serie di gravi test prima di essere deliberata per l’uso sulla Huayra. Questi test sono necessari per assicurare che la pelle personalizzata raggiunga i più severi standard del settore, conservandone l’aspetto originale. Essendo un prodotto naturale, la pelle è soggetta a lievi alterazioni nel tempo, ma il cliente della Huayra ha la garanzia che la sua pelle può essere riprodotta fedelmente anche dopo molti anni con il medesimo colore ed la medesima lavorazione originale.

d) Mercedes - AMG

Mercedes-AMG è un'azienda tedesca nota per la collaborazione con Mercedes-Benz finalizzata alla progettazione e realizzazione dei modelli sportivi del marchio tedesco. Fu fondata nel 1967 da Hans Werner Aufrecht e Erhard Melcher nella cittadina tedesca di Großaspach (situata nel land del Baden- Wuttemberg). Unendo le iniziali dei due cognomi e l'iniziale della cittadina, si ottiene l'acronimo A-M-G. Essa si caratterizza per il fatto che ogni propulsore viene assemblato in fabbrica ad opera di un singolo tecnico, secondo la filosofia "Un uomo, un motore" tipica della casa. A riscontro di ciò, ogni motore AMG presenta una targhetta con la firma dell'addetto che ne ha curato l'assemblaggio. Ad oggi la fabbrica di Affalterbach130 conta 63 meccanici addetti all'assemblaggio dei propulsori. Mercedes-AMG è un partner della Pagani fin dall'inizio nel 1999. Essa ha costruito più di 150 motori su misura per la Pagani Automobili negli ultimi dieci

130 Affalterbach è un comune tedesco di 4.625 abitanti, situato nel land del Baden-Wurttemberg.

230 anni che hanno spinto le Pagani verso numerosi record e premi sulle piste e strade di tutto il mondo. Il Dr. Martin Hart (Head of Powertrain Calibration) sintetizza così l’esperienza con Pagani:

“Per gli ingegneri Mercedes-AMG, i progetti Pagani sono quasi un parco giochi ideale, per spingere la fantasia e la tecnologia verso le prestazioni più alte in campo motoristico. Per quattro anni un team di specialisti ha girato il mondo per affinare un motore che si abbina perfettamente con il carattere di questa straordinaria vettura. Essendo io il responsabile della calibrazione del Powertrain131 di tutti i modelli AMG, ho avuto la possibilità di testimoniare i progressi nello sviluppo della vettura nel corso degli ultimi 4 quattro anni […] Come tradizione AMG vuole, anche per Huayra la nostra filosofia è “ un uomo – un motore”. Gli ingegneri più qualificati operano solamente su un singolo motore per volta; un impegno concreto che testimonia la precisione e la qualità AMG. Ogni motore è testato sul banco di prova per quasi mezz’ora in tutte le condizioni di regime e di carico prima di essere spedito alla Pagani. Qualità artigianale, prestazioni sublimi e passione. Mercedes-AMG condivide questi valori con Pagani Automobili e siamo entusiasti di vedere le ali di Huayra che si dispiegano oggi in volo così da spingere il rapporto tra i due marchi verso vette sempre più alte”.132

La parola “performance” è scritta nel DNA della Mercedes-AMG e l’M158 della

131 Il gruppo motopropulsore, in un veicolo a motore, è l’insieme di componenti che producono e trasferiscono la potenza e la coppia al mezzo in cui si muove il veicolo stesso, cioè alla strada, all’acqua oppure all’aria. Il gruppo motopropulsore include il motore con tutti i suoi componenti (l’alimentazione, l'acceleratore, il sistema di raffreddamento, l’impianto di scarico, l’accensione, la batteria, ecc.), la trasmissione (comprensiva della frizione, del cambio, del differenziale, dell’eventuale albero di trasmissione, dei giunti, ecc. ) e gli organi finali (ruote motrici, cingoli, eliche, ecc.). A volte per “gruppo motopropulsore” si intende solamente il motore e la trasmissione, ed in senso più ampio il termine include tutti i componenti utilizzati per trasformare l’energia immagazzinata (chimica, solare, nucleare, potenziale, ecc.) in energia cinetica per la propulsione del veicolo, che può possedere le ruote oppure non averle.

132 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.99.

231 Huayra è l'apice dei motori prestazionali di AMG: con una potenza di 730hp e una coppia che supera i 1000Nm. Il motore doveva essere piccolo, leggero, turbo, ma con la risposta della valvola a farfalla di un motore aspirato. In una macchina che pesa meno di 1.400 kg è di vitale importanza che il motore risponda alla minima sollecitazione dell’acceleratore. Il disegno del sistema di turbo compressione e di aspirazione, è il risultato di queste richieste. La lubrificazione a carter secco con 2 pompe di pescaggio e una pompa a pressione garantisce che la lubrificazione del motore sia assicurata durante le più dure condizioni di guida. Il propulsore è progettato per resistere ad accelerazioni laterali di oltre 1,7 G. Performance per Mercedes-AMG e Pagani significa anche performance per tutti i giorni. Il motore della Pagani Huayra è affidabile quanto qualsiasi altro motore Mercedes-AMG e incoraggia i passeggeri a concentrarsi sull'essenziale: il piacere di guida. I collaudatori AMG hanno superato dure prove per dare ai futuri proprietari di

232 Pagani Huayra il meglio, viaggiando per i continenti, dal Circolo Polare Artico in Svezia alla Death Valley USA, per assicurarsi che il V12 fosse perfetto anche nelle più improbabili e difficili condizioni di utilizzo. La Pagani Huayra fissa un nuovo punto di riferimento nel risparmio di carburante ed emissioni di CO2 nella categoria dei 12 cilindri nel NEDC 133(Nuovo ciclo di guida europeo) di 13 l/100km. Maestri meccanici scelti assemblano singolarmente e artigianalmente ogni motore di produzione per la Pagani Huayra e appongono, alla fine dell’assemblaggio, la propria firma sul motore: un impegno per la tradizione Mercedes-AMG di precisione e qualità. Ogni motore è testato per quasi mezz'ora a tutte le velocità e a tutte le condizioni di carico presso il banco di prova, prima di essere inviato alla Pagani per il matrimonio finale con la macchina. Artigianalità, prestazioni, passione. Mercedes-AMG condivide questi valori con Pagani Automobili.

133 Il Nuovo ciclo di guida europeo è un ciclo di guida definito dalle direttive comunitarie, costituito dalla ripetizione di quattro ECE-15 driving cycle ed un Extra-Urban driving cycle. Esso vuole rappresentare l'uso tipico di una vettura in Europa ed è utilizzato, tra l'altro, per valutare i livelli di emissione inquinante dei motori.

233 e) MHG GROUP

MHG GROUP è l’azienda del “maestro dei tubi di scappamento” Martin Haegele, colui che è in grado di modellare il suono. Egli è specializzato nel rendere più bello il suono del motore. La collaborazione inizia già con la Zonda F e la Zonda R e questo permette alla MHG di accumulare l’esperienza necessaria a soddisfare i severi requisiti per il sistema di scarico della Huayra. Tra Horacio e Haegele c’è stata piena sintonia fin dal primo momento, in quanto entrambi adorano la tecnologia allo stesso modo, specialmente se impiegata per costruire oggetti belli. Il problema principale della nuova vettura è che essa non monta più un motore aspirato ed è dotata di un motore turbo: esso garantisce più potenza e maggiori prestazioni, ma al contempo emette un rombo debole e soffocato. In poche parole un rumore non degno dell’erede della Zonda e quindi la Huayra ha bisogno di qualcosa di speciale. Il turbo compressore permette di aumentare la potenza attivando prima una ventola azionata dai gas di scarico bollenti e poi attivando una seconda turbina che pompa una quantità maggiore di ossigeno nei cilindri. Il problema è che questo meccanismo interrompe il flusso dei gas di scarico andando a soffocare il meraviglioso boato del motore V12. Haegele spiega così la questione:

“E’ come otturarsi una narice e quindi il turbocompressore non consente al suono di viaggiare come avviene in un motore naturalmente aspirato”

234

Il maestro tedesco decide quindi di utilizzare il sistema di scarico in maniera innovativa: non come silenziatori (normale funzione della marmitta), ma come amplificatore. Egli costruisce un impianto (14 sezioni) che separa i fumi di scappamento di ogni turbina facendoli passare in 2 tubi separati per migliorare la qualità del suono. Dopodiché i fumi attraversano le marmitte che fungono, come detto, prima da amplificatori: nella camera vuota si crea un eco che amplifica il suono. Haegele lascia all’interno dei tubi un piccolo spazio vuoto con una funzione simile a quella di un foro del flauto. Solo così l’aria può fluire tranquilla e produrre un boato notevole. I tubi di scarico sono costruiti a mano in una lega di titano ultraleggero che viene chiamata Inconel 6 (nelle auto comuni si usa l’acciaio) che è resistente al calore e non è più pesa della plastica. Per creare la particolare forma ellittica della marmitta della Huayra si ricorre ad un processo di idro-formatura. In questo processo un tubo lineare viene riempito d’acqua e viene messo in uno stampo all’interno di una pressa idraulica (2100 bar). Il liquido si espande all’interno del tubo e così la barra di titanio millimetrica viene plasmata nella

235 forma desiderata. Molte parti con geometrie complesse e sezioni critiche sono idro-formate, così da rendere inutile la saldatura in alcuni settori e migliorando l'affidabilità: "Non saldare, è la miglior saldatura ". In ogni caso il processo di saldatura TIG 134 garantisce l’affidabilità dei collegamenti e delle articolazioni. Le parti idro-formate, i tubi e gli interni sono poi assemblati a mano. La marmitta assemblata viene lucidata prima che le venga data la colorazione blu scuro, che è la sua firma. Per ottenere questo, è richiesto uno specifico processo di trattamento in un forno. Solo la combinazione tra una temperatura e un tempo di esposizione al calore esatto dà il colore desiderato: è un processo naturale che si ottiene senza l’aggiunta di additivi o sostanze chimiche. Eventuali impronte digitali o impurità nel materiale non farebbero superare al prodotto finale il controllo qualità. L’assemblaggio finale sulla maschera avviene a mano. Una volta assemblato, il peso completo dello scarico è inferiore ai 10 kg: un valore straordinario. Altra funzione molto importante dell’impianto di scarico è quella di far rientrare le vetture Pagani nei limiti delle emissione rendendo così possibile la vendita in maniera legale in ogni paese del mondo.

134 La saldatura TIG (Tungsten Inert Gas) o GTAW (Gas Tungsten Arc Welding), secondo la terminologia AWS (American Welding Society), è un procedimento di saldatura ad arco con elettrodo infusibile (di tungsteno), sotto protezione di gas inerte, che può essere eseguito con o senza metallo di apporto. La saldatura TIG è uno dei metodi più diffusi, fornisce giunti di elevata qualità, ma richiede operatori altamente specializzati. Questa tecnologia di saldatura fu sviluppata inizialmente per l'industria aeronautica nel corso della Seconda guerra mondiale per sostituire sugli aerei i rivetti con saldature (molto più leggere a parità di resistenza).

236 f) Pirelli

Pirelli è una società per azioni, con sede a Milano, specializzata nella produzione di pneumatici per automobili, moto e veicoli industriali. Fondata a Milano nel 1872 dall’ingegnere Giovanni Battista Pirelli è oggi il quinto operatore mondiale nel settore degli pneumatici in termini di fatturato. L'azienda, che conta una presenza industriale in 13 paesi del mondo con 22 stabilimenti e una presenza commerciale in oltre 160 paesi, è tra le aziende leader nei prodotti ad elevato contenuto tecnologico, il cosiddetto segmento Premium. Pirelli è presente fin dal 1907 nelle competizioni sportive ed è attualmente fornitore esclusivo del Campionato di Formula 1, del Campionato di Superbike e di altri importanti campionati monomarca. Focalizzata negli pneumatici, che oggi costituiscono il 99% dei ricavi, l'azienda è presente anche nel settore dell'abbigliamento e accessori con il progetto di moda high-tech PZero e opera anche nei settori dell'ambiente, in particolare nelle fonti rinnovabili di energia e della mobilità sostenibile (combustibili alternativi e filtri antiparticolato), attraverso Pirelli Prodotti e Servizi per l'Ambiente. La sede principale di Pirelli è ospitata nel quartiere milanese della Bicocca, area che oggi ospita anche uno dei più importanti poli universitari italiani (Università degli studi di Milano-Bicocca), e sedi culturali quali il Teatro degli Arcimboldi e Hangar Bicocca, uno dei maggiori centri espositivi di arte contemporanea di cui la stessa Pirelli è socio fondatore e promotore. La prima collaborazione tra Pirelli e Pagani risale al 2005, ma è nel 2007 che il rapporto tra i due marchi si rafforza maggiormente, quando Pagani batte il record del giro sul circuito del Nürburgring (Nordschleife) per la prima volta, in partnership con Pirelli. Il secondo successo al cosiddetto inferno verde risale all’estate del 2010, quando la Pagani Zonda R ha percorso 20,83 km in soli 6 minuti e 47 secondi, equipaggiata con pneumatici Pirelli P Zero™ Slick (misura 265/645-19TL, 325/705-20TL) progettati specificamente per la Zonda R e che

237 derivano da una combinazione di design e materiali innovativi derivati dalle corse.

Francesco Gori, amministratore delegato della Pirelli, spiega così la partnership con Pagani:

“Pirelli è leader indiscussa nel segmento dei veicoli di altissime prestazioni, le cosiddette supercar. Anche se noi preferiamo chiamarle ‘prestige’, un concetto che supera quello di premium e che è ben definito nel mondo dell’automotive. Sono quelle auto che vanno oltre la normalità, sia a livello prestazionale che a livello di prezzo. Anche se sono numeri piccoli, parliamo sempre di produzioni di circa 800/1000 veicoli all’anno per un certo numero di anni, le produzioni rimangono quindi di approccio industriale. Con Pagani il discorso è diverso. Pagani per ogni macchina che costruisce, chiede di fare qualcosa di nuovo, ci chiede il vestito su misura, che possa incrementare sempre di più le prestazioni dell’auto. Poi ci chiama pochi giorni prima dicendo che vorrebbe andare al Nürburgring a battere il record. Se riusciamo a soddisfare Pagani riusciamo a soddisfare tutti. E’ uno stimolo continuo per i nostri tecnici, per i nostri uomini, che lavorano con un cliente che richiede sforzi eccezionali. Questo impegno però non ci ripaga solamente da un punto di vista della visibilità e del prestigio, ma permette anche di lavorare in maniera più approfondita e aiuta ad evolvere tutto il concetto di pneumatico, modificando alla radice i concetti tradizionali della

238 programmazione industriale dei grandi produttori di pneumatici. Qui siamo ad un livello veramente sartoriale, al vestito su misura; molto più personale e particolareggiato rispetto a quello della Formula 1, nella quale, stabilite le caratteristiche a inizio stagione, lo sviluppo quasi si ferma. Pagani chiede delle prestazioni elevate, anche in mancanza dell’effetto di raffreddamento che coinvolge lo pneumatico di Formula 1, essendo scoperto. Le supercar oggi hanno poi un’altra problematica, quella della spalla dello pneumatico che si va sempre di più assottigliando. Pagani è un trend-setter in questo campo: anticipa; e ci chiede di essere un passo avanti rispetto alle tendenze attuali, sia nelle forme dimensionali, che nei nuovi design”.135

Per rafforzare e migliorare le caratteristiche della nuova Pagani Huayra, Pirelli Research ha sviluppato pneumatici con mescole e soluzioni per ridurre la resistenza al rotolamento, pur aumentando le caratteristiche prestazionali, sia in termini di sicurezza che in piacere di guida. Inoltre, tali pneumatici hanno un impatto ambientale ridotto. La Pagani Huayra indossa il P Zero™ di misura 255/35ZR19 (96Y) XL e 335/30ZR20 (104Y). La tecnologia di base è già utilizzata su altri P Zero™ di diverse dimensioni ed ora vanta quasi 200 utilizzi ufficiali come primo equipaggiamento. Questo significa che le massime prestazioni sono garantite per un utilizzo estremo, senza tuttavia compromettere la sicurezza, che deve essere sempre garantita, sia per strada che in pista e sul bagnato. Ogni aspetto legato alla sicurezza è stato curato soprattutto per tenere conto della dinamica con la quale si verificano gli incidenti più frequenti su vetture ad alte prestazioni con motore posteriore. Pirelli utilizza un nuovo bi- componente per il posteriore, che consente una grande tenuta laterale, massima stabilità e permette velocità molto elevate, aumentando la precisione di guida e eliminando il deterioramento anche della parte anteriore. Pirelli ha anche utilizzato un nuovo processo produttivo (già sperimentato con le gomme slick della Zonda R), che garantisce la massima precisione nella produzione.

135 M. Bottoni (2012), Design-Driven Business: Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, p.100.

239 g) Salt Interiors

La Salt Interiors è una piccola fabbrica artigianale di Torino, fondata nel 1969, specializzata nella lavorazione pelli e che produce da decenni lussuosi interni per automobili, aerei privati ed elicotteri. Essa annovera tra i suoi clienti più illustri la Mercedes-Benz, la Dodge, la Lamborghini, ecc. Pagani sceglie questa azienda perché secondo lui essa sa pensare al di fuori degli schemi. Per la Salt lavorare con Horacio è una sfida importante, ma al contempo molto difficile perché si devono raggiungere i massimi livelli e non è ammesso sbagliare. Gli interni in pelle fanno parte dell’effetto finale che l’auto deve produrre sui sensi: vista, tatto e olfatto. Pagani è molto esigente con la Salt, in quanto desidera una pelle per gli interni della Huayra, che sia come quella delle borse delle donne. Nel primo incontro, infatti, Horacio mostra ai nuovi collaboratori proprio una borsa da donna e questi quasi spaventati si mettono le mani nei capelli e dicono che è una cosa praticamente impossibile. Il problema principale è soprattutto quello di assicurare la resistenza di tale tipo di pelle che va completamente in contrasto con l’utilizzo quotidiano dell’auto. Dopo un anno di lavoro e centinaia di prove in conceria e in laboratorio la Salt riesce a produrre una pelle soffice e resistente. Al piano terra dell’azienda si uniscono le parti in pelle con quelle in materiale composito inviate da Modena: sedili, pannelli laterali e cruscotto. Inizialmente viene montata e modellata l’imbottitura di schiuma, poi la pelle viene tagliata su misura e viene fatta aderire con grande attenzione come se stesse tornando sull’animale da cui deriva e infine viene fissata con una colla particolarmente elastica che viene essiccata con un phon.

240 h) Sonus faber

Sonus faber, letteralmente “suono fatto a mano”, rappresenta il tentativo perfettamente riuscito, ed in continua evoluzione, di coniugare tecnologia avanzata, design raffinato e maestria artigiana. Dalla sua nascita nel 1983 come piccolo laboratorio artigiano, fino alla creazione degli stabilimenti di Arcugnano (VI), Sonus faber continua ad essere un’eccellenza del Made in Italy: artigianalità, tecnologia, innovazione, sapiente attenzione nella scelta di forme e materiali e fiducia nella grande forza del proprio Team. Sono questi i valori che caratterizzano la storia del brand di Arcugnano e che ne hanno accompagnato il cammino sino ad oggi; in continua evoluzione, pronti alle sfide ed abituati ad un mondo che cambia, ma pur sempre gli stessi, sicuri e forti delle radici su cui poggiano. Sonus Faber è oggi parte del portafoglio prodotti di Fine Sounds Group, la holding proprietaria dei marchi Audio Research, leader nella produzione e vendita di componenti elettronici audio High-Definition Vacuum- Tube (valvolari) e Solid State (a stato solido), Wadia Digital, una delle aziende che per prime si sono dedicate alla riproduzione dell’audio digitale ad alte prestazioni, che è stata all’avanguardia nella tecnologia delle docking station per iPod e iPhone Apple, Sumiko, importatore e distributore dei migliori componenti audio nel Nord America; Fine Sounds Group ha recentemente acquisito McIntosh Laboratory, il più importante produttore americano di sistemi ad alta fedeltà, leader mondiale nei sistemi di home entertainment di prestigio e da oltre 60 anni nei sistemi audio di massima qualità. Con queste importanti acquisizioni frutto del progetto imprenditoriale del Dott. Mauro Grange (Amministratore Delegato di Sonus faber e Fine Sounds Group) di fatto Sonus faber insieme alle sue “sorelle” americane costituisce il più grande gruppo mondiale del settore High-End, ovvero del mercato dei diffusori acustici e delle elettroniche audio più sofisticate e prestigiose del mondo. La recente acquisizione di McIntosh, con sede a Binghamton – NY, rappresenta

241 per Fine Sounds un “marquee investment” il cui obiettivo strategico è quello di offrire prodotti che sono i migliori al mondo nella loro categoria. Un gruppo internazionale che impiega 270 dipendenti. Quella con Sonus Faber, azienda tra le migliori al mondo nella produzione di diffusori acustici high-end, è l’ultima, in termini cronologici, delle molte collaborazioni stipulate da Horacio. L’annuncio di questa partnership è infatti molto recente ed è stato dato al Salone di Ginevra del 2013. Pagani, insieme ad essa, ha sviluppato un sistema audio esclusivo per la Pagani Huayra. Il problema da risolvere è stato quello di sostituire l’impianto stereo di serie disturbato dal rombo del motore con uno nuovo, migliorato. Per questa sfida, Sonus faber ha superato le proprie competenze nella riproduzione del suono: prendendo ispirazione dalla natura in Carbo-Titanio della Huayra, sono stati sviluppati nuovi ed innovativi coni in carbonio e magneti in neodimio che uniscono estrema rigidità, minor peso e altissime performance. Riecheggiano le prestazioni estreme della Huayra nel nuovo impianto Sonus faber, che sprigiona una potenza di 1.200 Watt triplicando così le prestazioni dell’impianto standard: 2 tweeters136, 2 midwoofers137, 2 drivers coassiali, un subwoofer138 e due amplificatori per una resa che non teme confronti.

136 Il tweeter è un altoparlante dedicato a riprodurre le frequenze alte della gamma audio. Nei tweeter classici la bocca di emissione ha un diametro minore degli altri altoparlanti (midrange e woofer), ed è calcolata per riprodurre al meglio le frequenze di cui si occupa.

137 Il midwoofer è un woofer, o diffusore acustico, che riproduce suoni a medio-bassa frequenza.

138 Un subwoofer (o "sub") è un woofer, o un diffusore acustico, dedicato alla riproduzione di suoni a bassa frequenza definiti anche bassi. Il campo di frequenza tipico di un subwoofer utilizzato nell' elettronica di consumo è di circa 20-200 Hz, per la musica dal vivo professionale circa 35-120 Hz e nei sistemi certificati THX circa 20-80 Hz. Il subwoofer viene utilizzato per aumentare l'estensione delle basse frequenze, insieme a diffusori che coprono le bande di frequenza più elevate.

242

Il Digital Sound Processor 139 permette inoltre al suono dell’intero sistema di essere “calibrato su misura”, a seconda del gusto musicale di ciascun cliente, trasformando così l’abitacolo della Huayra in una sala da concerto, in uno stadio, o in qualunque altro ambiente si possa desiderare.

139 Il processore di segnale digitale o digital signal processor (abbreviazione comunemente utilizzata: "DSP") è un processore dedicato e ottimizzato per eseguire in maniera estremamente efficiente sequenze di istruzioni ricorrenti (come ad esempio somme, moltiplicazioni e traslazioni) nell' elaborazione di segnali digitali. I DSP utilizzano un insieme di tecniche, tecnologie, algoritmi che permettono di trattare un segnale continuo dopo che è stato campionato. Rappresenta il sistema hardware per operare l'elaborazione numerica dei segnali.

243

244 3. CONCLUSIONI

Come già anticipato nella prefazione, l’obiettivo di questa tesi è di illustrare gli aspetti teorici dell’outsourcing per andare poi a fare un confronto con il caso pratico della Pagani Automobili S.p.A.: in questo modo riusciamo a interpretare meglio quella che è la strategia di outsourcing dell’azienda modenese e, in particolare, a capire quelli che sono i motivi e le logiche alla sua base. La Pagani, come abbiamo ampiamente visto nella seconda parte, attua una strategia di outsourcing “estrema”: ben il 95% delle componenti delle auto viene prodotta all’esterno. L’azienda modenese, invece, si concentra sul restante 5%, che è di massima importanza per il successo dell’azienda e che coincide con quelli che sono i suoi core business: materiali compositi, progettazione e assemblaggio. La scelta di esternalizzare una parte così importante della produzione non è legata, come nella maggior parte dei casi, alla riduzione dei costi (in media si parla del 15%): facciamo riferimento ai costi fissi (macchinari, struttura, ecc.) e in particolare ai costi del personale (lavoro, addestramento, formazione, gestione, ecc.). Esternalizzando, infatti, le aziende riescono a sostituire una parte dei costi fissi con i costi variabili e ciò gli permette di mantenere o migliorare gli indici di bilancio (ROI, ecc.) e il fatturato, e al contempo di continuare a fornire al cliente un servizio della stessa qualità (o a volte anche superiore). Queste scelte, anche se permettono di ottenere tali vantaggi, portano spesso a una demotivazione del personale e una riduzione dello spirito di squadra. Alla Pagani, invece la situazione è completamente opposta: tutti sono fieri di lavorare in questa azienda, lo spirito di squadra è forte e tutti sono molto motivati nello svolgere il proprio lavoro. Questo anche per merito di Horacio, che a differenza di molti imprenditori e manager, è sempre il primo ad arrivare in azienda ed è sempre a stretto contatto con i propri dipendenti: il designer italo-argentino è molto esigente, ma al contempo anche molto comprensivo e questo gli permette di ottenere il massimo dai suoi collaboratori. Tutto ciò, permette a Pagani di non

245 correre il rischio che le risorse più qualificate dell’azienda decidano di lasciare la sua impresa per andare dai concorrenti. Pagani non attua tale politica, neanche per un motivo di riduzione del tempo di sviluppo del prodotto: Horacio, come abbiamo visto, ha impiegato molti anni per progettare e produrre le proprie auto. La sua “mania” per la perfezione fa si, che il tempo (inteso come time to market) non sia la sua maggiore priorità. Si pensi, che ogni componente è stata riprogettata dai partner almeno quattro o cinque volte e che quindi ciò ha fatto allungare parecchio le tempistiche. Ad esempio, l’ASPA ha dovuto fare più di un anno di ricerche e di progetti sul centro-ruota per riuscire ad accontentare le richieste di Pagani. C’è però da dire, che il tempo di consegna estremamente lungo (un anno e mezzo) per la Huayra, ha spinto l’imprenditore, nel 2013, a costruire una nuova fabbrica per velocizzare la produzione e che quindi negli ultimi anni, il fattore tempo ha assunto un’importanza maggiore nelle gerarchie di Horacio. Detto ciò, il vero motivo che spinge Pagani a far produrre all’esterno oltre 4000 componenti è la qualità: esso ha la necessità di avere per la propria auto i migliori pezzi esistenti sul mercato. Il suo obiettivo, infatti, è di creare l’auto migliore al mondo (con riferimento ad ogni singola componente) e quindi, per fare ciò ha bisogno di affidarsi ai partner che gli garantiscono l’eccellenza qualitativa e tecnologica per ogni componente: parliamo dei maggiori esperti mondiali in motori, sospensioni, freni, interni, tubi di scappamento, ecc. Pagani pur essendo un uomo di grande cultura non ha tutte le competenze specifiche che sono necessarie per realizzare ogni parte dell’auto in maniera perfetta e all’avanguardia. Naturalmente, questo non esclude il fatto che esso parteciperà in maniera attiva alla progettazione e alla realizzazione di ognuna di esse. Gli outsourcer non vengono selezionati sulla base dei prezzi offerti, ma sulla base di ciò che possono offrire in termini di risorse e competenze. Il know-how dei partners, però, non è l’unico aspetto importante per Horacio: esso, infatti, a differenza di quanto succede nella maggior parte dei casi, si reca personalmente nella sede del fornitore esplicitando le sue richieste e le sue esigenze (che a volte sono al limite dell’impossibile) e stabilendo fin da subito le sue condizioni di

246 collaborazione. Questo gli permette di capire se il potenziale fornitore ha la sua stessa passione verso il mestiere, la sua stessa attenzione e il suo stesso entusiasmo e, quindi, se è veramente disposto a intraprendere un rapporto di collaborazione che va al di della semplice fornitura e che richiede un impegno veramente elevato. Anche se ha richiesto molti anni, tutto ciò ha permesso a Pagani di instaurare delle relazioni del tutto speciali con i suoi partners (parliamo di una rete internazionale): non parliamo più di semplici fornitori, ma di collaboratori. Essi allo stesso modo dei clienti, nel momento del bisogno, hanno sempre la possibilità di parlare personalmente con lui: Pagani non è abituato a delegare o a non curare questo aspetto. In alcuni casi, imprimendo una nuova filosofia di lavoro, ha addirittura permesso ai partner di acquisire nuovi clienti e di crescere (vedi il caso ASPA S.r.l). E quindi, come sottolineato nell’ultimo paragrafo del primo capitolo, riscontriamo nel caso Pagani un esempio emblematico di rapporto di partnership tra committente e provider e non più di semplice rapporto committente – fornitore. Il designer italo-argentino si occupa, come abbiamo visto, in prima persona di tutte le fasi di implementazione della strategia di outsourcing: dalla selezione del fornitore alla stipula del contratto. Normalmente, invece, è l’ufficio acquisti che si occupa di queste cose, individuando una rosa di papabili fornitori sulla base di certi requisiti, che possono essere individuati fra i seguenti:

 solidità finanziaria e distribuzione omogenea del portafoglio clienti;  competenza nel settore specifico;  conoscenza della propria organizzazione;  struttura organizzativa in grado di soddisfare le richieste;  disponibilità ad assumersi impegni ben precisi in termini di risultati.  conoscenza o meno del fornitore;  conoscenza del modo di lavorare del fornitore e della sua struttura (ad esempio la certificazione di qualità potrebbe diventare in certi casi una discriminante);  servizi analoghi già svolti per altri clienti;

247  tecnologia e disponibilità ad investire in essa;  altre aree di possibile collaborazione e sinergia;  sfruttamento commerciale del rapporto (una partnership tra due nomi noti nei rispettivi settori ha sicuramente un impatto dal punto di vista del marketing);  disponibilità del fornitore di seguirci in tutti gli aspetti del nostro progetto.

Ovviamente anche Pagani farà riferimento, per la scelta dei fornitori, in maniera più o meno ampia, ai requisiti prima indicati. Pur ribadendo che il motivo principale per cui Pagani decide di esternalizzare è la qualità, non possiamo negare che alla fine, l’azienda modenese ottiene anche dei vantaggi in termini di :

 costi, perché produrre tutta l’automobile internamente significherebbe avere un’azienda molto più grande di quella della Pagani e quindi dover sostenere maggiori costi di struttura, di personale (lavoro, addestramento, formazione, gestione, ecc.), di ricerca e sviluppo, ecc. Pagani, quindi, grazie alla strategia di outsourcing ha una struttura dei costi molto flessibile che gli da maggiori possibilità di rispondere in tempi rapidi alle esigenze del mercato;  flessibilità, che è un fattore sempre più importante in un contesto mutevole come quelli oggi, dove i cicli di vita dei prodotti si stanno riducendo drasticamente. Essa ha molta flessibilità soprattutto nell’acquisizione di nuove tecnologie: infatti essa si rivolge ai migliori esperti mondiali per la produzione di oltre 4000 componenti dell’auto (95%).  Riduzione del rischio economico-finanziario in attività di ricerca e sviluppo in tecnologie e conoscenze non strettamente legate al core business;  liquidità da reinvestire nel core business, in quanto ha la possibilità di concentrarsi esclusivamente su di esso e di reinvestire parte del fatturato

248 (tra il 10% e il 30 %) in ricerca e sviluppo o per superare le principali difficoltà finanziarie.  possibilità di aumentare o decrementare la fornitura del prodotto, senza dover affrontare problemi organizzativi;  possibilità di offrire al cliente un prodotto che soddisfa le sue esigenze, in quanto Pagani offre ai propri clienti un livello massimo di personalizzazione dell’auto e questo riesce a farlo grazie anche al grande sostegno e al grande impegno dei partners.

Un altro aspetto, per cui Horacio si distingue, è quello dei controlli sui pezzi prodotti dal fornitore. Normalmente nella realizzazione di manufatti, il committente dopo aver stabilito contrattualmente, in maniera dettagliata, i requisiti del prodotto che vuole ottenere, procede a verifiche a campionatura o su un numero di pezzi realizzato. L’imprenditore italo-argentino invece controlla personalmente ogni singolo pezzo e sarà lui a decidere se quest’ultimo rispetta gli standard qualitativi e, mi permetto di dire artistici, da lui stabiliti. Horacio, quindi, ha un totale controllo sui processi produttivi esternalizzati e sul livello qualitativo delle componenti che andranno poi a formare l’auto destinata al cliente finale. Sottolineiamo il fatto che, parliamo, nel caso della Pagani, di outsourcing come particolare forma di esternalizzazione che si distingue dalle altre (subfornitura, servizi e BPO) per una spiccata delega assegnata al fornitore, e che oggi viene utilizzato dalle aziende per attività decisamente fondamentali, con una scelta effettuata non solo su variabili economiche, ma anche di natura strategica. Questo implica, che al contrario delle altre forme di esternalizzazione, l’outsourcing può comportare, in caso di errori di valutazione, conseguenze assai rilevanti per l’equilibrio aziendale: come ad esempio perdere conoscenze critiche per aver selezionato in maniera errata le attività da esternalizzare. La tipologia di outsourcing scelta dall’azienda modenese è il selective outsourcing, che come visto nella parte teorica, permette al committente, che si rivolge a un multiple-supplier, di differenziare il fornitore e di non sentirsi

249 vincolato alle scelte di quest’ultimo. In questo modo il committente ne incoraggia indirettamente la competitività e l’aggiornamento tecnologico e delle infrastrutture. Nello specifico possiamo parlare di sole outsourcing, perché siamo nel caso in cui il prodotto/servizio non è offerto genericamente dal mercato, e per questo è necessario disegnarlo insieme al fornitore : gli outsourcer utilizzano l’esperienza di Pagani, che trasferendo le sue conoscenze, li aiuta nella realizzazione di questo obiettivo. Siamo, quindi, in una situazione, dove l’azienda modenese instaura delle relazioni comakership con i fornitori: essi realizzano, spesso, in esclusiva pezzi con elevato grado di personalizzazione per l’azienda modenese. Date queste circostanze, Pagani deve avere la massima fiducia su quanto viene realizzato dall’outsourcer, poiché non potrà ricorrere in tempi brevi, ad altri fornitori nella disperata ipotesi in cui la forniture realizzate dal provider si rivelassero non all’altezza delle aspettative. Fatto sta, che Horacio ha selezionato, in maniera molto accurata, dei partners veramente molto flessibili e competenti, che soddisfano qualsiasi sua esigenza e che quindi difficilmente esso si troverà nella situazione di avere una fornitura di scarsa qualità. Non siamo, in uno di quei casi, dove il fornitore non va al di la degli accordi e si limita a fare quello che è stabilito contrattualmente: le esigenze di Pagani sono mutevoli e non si possono limitare con delle semplici clausole contrattuali. Possiamo dire, che l’azienda modenese non corre il rischio di trovarsi in una situazione dove viene a mancare l’elemento alla base del successo della politica di outsourcing: la compartecipazione e la convergenza degli obiettivi da raggiungere tra committente e outsourcer. Infatti, può accadere che se l’obiettivo del committente è di abbattere i costi, quello dell’outsourcer, è al contrario quello di massimizzare i propri risultati, in termini di profitto. La grande competenza di Horacio, fa si che ciò non accada: esso, infatti, è sempre in grado di fare delle valutazioni puntali e corrette, sia in termini economici che tecnico/procedurali. Più in generale, invece, possiamo parlare di outsourcing di soluzione (macro categoria), dove le esternalizzazioni raggiungono livelli sempre più vicini al core business, fino ad arrivare a coinvolgere, le aree collegate allo sviluppo

250 dell’attività principale dell’impresa. E qui entra in gioco la fiducia che il committente deve nutrire nei confronti del proprio outsourcer, per evitare che venga compromessa l’intera operatività aziendale: è un po’ come se l’azienda perdesse terreno sotto i piedi, poiché, da un punto di vista della sua struttura, essa resta priva di una buona parte della base della piramide, con cui si rappresenta l’organizzazione gerarchica. La rilevanza strategica dell’attività considerata richiede una durata della relazione normalmente di lungo periodo, un adeguato livello di fiducia, una visione comune delle rispettive strategie, la condivisione degli obiettivi e una stretta relazione tra le parti in tutte le fasi di svolgimento della relazione. In questo contesto, diventa indispensabile realizzare con l’outsourcer un approccio finalizzato a uno sviluppo economico e di business: si parla anche di rapporto di co-sourcing, che sottintende l’analisi delle aree da esternalizzare, svolta congiuntamente fra committente e outsourcer, rivolta a definire obiettivi, tempi contrattuali, modalità e livelli di servizio e che comporti lo snellimento e il miglioramento, se necessario, dei processi aziendali. E’ importante notare come, nel caso Pagani, in realtà ritroviamo anche alcuni aspetti dell’outsourcing strategico, come ad esempio il fatto che i vertici aziendali e il management continuino a presidiare tutte le aree di competenza ritenute strategiche per la competitività dell’impresa (core business), mentre tutte le altre attività possono essere delegate a terze parti in possesso di competenze specifiche e che sono in grado di fornire lo stesso prodotto dell’azienda di origine a un costo più contenuto. Tra outsourcer e outsourcee viene in questo contesto a delinearsi un sistema di azione sociale caratterizzato da un comportamento dei membri finalizzato al conseguimento di obiettivi individuali ma congiunti con quelli degli altri attori coinvolti e dall’attivazione di meccanismi di interdipendenza attraverso la condivisione degli obiettivi, dei compiti, delle funzioni e dei risultati tra le unità coinvolte nella relazione. In quest’ultima tipologia di outsourcing non si instaura un semplice rapporto di fornitura ma un rapporto di partnership, caratterizzato da reciproca fiducia, fattiva collaborazione e trasparenza delle informazioni tra cliente e fornitore. Gli accordi che regoleranno i rapporti con i fornitori non saranno più a breve termine, né si

251 ricorrerà al prezzo come unica variabile discriminante per la scelta del partner. Si creeranno delle alleanze che precedono investimenti congiunti, in grado di coinvolgere fornitori e utenti sul piano di co-progettazione e della co-produzione dei servizi. Detto ciò, il fatto che all’interno rimanga solamente il marchio e un vertice aziendale, regista di ciò che in precedenza faceva parte del cuore dell’impresa (ricorrendo esclusivamente a provider esterni), non riguarda quello che accade nel caso Pagani. Quindi, possiamo dire che la tipologia di outsourcing adottato dalla Pagani si pone a metà strada tra l’outsourcing di soluzione e quello strategico. Infine, ci sentiamo di dire, che l’azienda modenese con l’attuazione di questa forte esternalizzazione non perde in termini di competitività nei confronti delle aziende concorrenti, che magari sviluppano internamente una maggiore percentuale di componenti dell’auto.

252 BIBLIOGRAFIA

Siti Internet:

 http://www.pagani.com

 http://it.wikipedia.org

 http://www.aspa-srl.it/

 http://www.brembo.com

 http://www.gruppodani.com

 http://www.mercedes-amg.com

 http://www.mhg-fahrzeugtechnik.de

 http://www.pirelli.com

 http://www.salt.to.it

 http://www.sonusfaber.com

 http://www.ageabruzzo.it

 http://www.ilsole24ore.com

 http:// www.nationalgeographic.it/

253 Televisione:

 Megafabbriche italiane: Pagani Huayra (National Geographic Channel, 2012)

Libri:

 Arcari A.M, L’outsourcing: una possibile modalità di organizzazione delle attività dei servizi, 1996, Economia & Management, N.4.

 Berta L., Chierichetti E., Monteserrato S., Outsourcing: Fondamenti teorici e diffusione nei sistemi economici, Amministrazione e finanza. I corsi, N.1, 2007.

 Boin A., Merlino M. , Savoldelli A., Outsourcing uno strumento operativo o una moda?, Sistemi e impresa, N.1, 1998.

 Bottoni M., Design-Driven Business. Quando lo spirito di innovazione anima la cultura d’impresa, Arezzo 2012.

 Bruni G., Campedelli B, La determinazione, il controllo e la rappresentazione del valore delle risorse immateriali nell’economia delle imprese, Sinergie, N.30 , 1993.

 Camussone P.F., L’outsourcing dei sistemi informativi, vantaggi, rischi e principali riflessi organizzativi, Economia & Management, N.3, 1995.

 Cantone L., Outsourcing e creazione di valore, Milano, 2003.

254  Colombo E. , Toscano R., Produrre o acquistare: dal calcolo economico alla strategia, Amministrazione e Finanza, N.3.

 Comes R. , Ma quale outsourcing?, Sistemi e impresa, N.3, 2005.

 Costaguta M. , Maggiore flessibilità con l’outsourcing, L’impresa, 1996.

 Cuneo G., Aziende più competitive se cambiano i confini, L’impresa, N.5, 1994.

 Daft R.L, Organizzazione aziendale, edizione italiana a cura di Nacamulli R.C.D, Boldizzoni D, Milano, 2004.

 De Paolis A., Outsourcing e valorizzazione delle competenze, Milano, 2000.

 Facchini C, Il processo di esternalizzazione dei servizi: fasi e strumenti, Aziendaitalia, N.3, 2006.

 Farchione A. , L’outsourcing è spesso un modo per conseguire un interessante vantaggio competitivo, PMI, N.7, 2006.

 Ferrando P.M., Subfornitura e approvvigionamenti nell’evoluzione del sistema aziendale, Milano, 1987.

 Fumagalli L. – Di Ciocco P., L’outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione. La centralità delle persone nelle aziende di servizi, Milano, 2002.

 Gilotto P. , Outsourcing, Amministrazione e finanza. Oro, N.3.

255  Gilotto P. Outsourcing tra teoria e strategia: fattori di successo e possibili sviluppi, Amministrazione e Finanza, N.9, 2004.

 Grant R.M, La gestione strategica dell’impresa, 1994, Bologna.

 Hammer M., Oltre il reengineering. Come i processi aziendali cambiano l’organizzazione e la nostra vita, Milano, 1998.

 Hinterhuber H, Stuhec U., Competenze distintive e outsourcing strategico, Finanza marketing e produzione, N.6, 1996.  Invernizzi G., Strategia aziendale e vantaggio competitivo, Milano, 2008.

 Itami H., Le risorse invisibili, Torino, 1988.

 Lanzavecchia E., I segreti dell’esternalizzazione per il vantaggio competitivo, L’impresa, N.6, 1995.

 Lipparini A, Le competenze organizzative, 1997, Milano.

 Manganelli L., Snidata: i vantaggi dell’outsourcing. L’impresa, N.5, 1997.

 Macinati M.S. , Il Ricorso all’outsourcing nel Ssn: I risultati di un’indagine empirica, Macosan, N.57, 2006.

 Martini S.B., Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Pisa 2008.

 Merlino M, Testa S. Valivano A., Opportunità e limiti dei processi di outsourcing: esperienze della logistica, Economia & Management, N.3.

256  Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Il fenomeno delle esternalizzazioni in Italia. Indagine sull’impatto dell’outsourcing sull’organizzazione aziendale, sulle relazioni industriali e sulle condizioni di tutela dei lavoratori, Roma 2011.

 Nassimbeni G., Dentoni A., Tonchia S., L’evoluzione dei rapporti di subfornitura, Sviluppo & organizzazione, N.137.

 Puppo G., Outsourcing, Rischi e cautele, Logistica management, N.166, 2006.

 Quinn J.B., Hilmer F.G., Outsourcing strategico: istruzione per l’uso, L’impresa, N.10, 1995.

 Ricciardi A., Informatica aziendale e outsourcing, Economia & Management, 1993.

 Ricciardi A., L’outsourcing strategico, Milano, 2000.

 Serra M.C, L’outsourcing come nuova tecnica gestionale, PMI, N.9, 2003.

 Sicca L., La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti, 1998, Padova.

 Tracogna A., Outsourcing strategico e imprese virtuali. Vecchi e nuovi terzismi nel mercato globale, Sinergie, Trieste, N.63, 2004.

 Valentini S., Gestire l’outsourcing, Milano, 1999.

 Ventricelli G., Outsourcing. Conviene davvero esternalizzare?, Parma. 2004.

257

258 Ringraziamenti

Dedico, innanzitutto, questo lavoro ai miei genitori. Li ringrazio fortemente per tutto il sostegno dato nel corso dalla mia vita, soprattutto, in quest’ultimo periodo per me molto impegnativo. Desidero ringraziare anche Letizia per essere stata al mio fianco in questi due ultimi anni di studi, supportandomi soprattutto nei momenti difficili. Un ringraziamento speciale alla mia compagna di studi e amica, Elena, con cui ho condiviso tutto il mio percorso universitario e che mi ha fornito sempre un grande sostegno, spingendomi a dare sempre il massimo. Ringrazio la Dottoressa Lucia Talarico che mi ha seguito nella stesura della tesi. I suoi consigli, nel corso del lavoro, sono stati davvero molto importanti. Ringrazio, inoltre, tutti i miei amici e tutte le persone a me care con cui ho passato molti momenti della mia vita.

Lucca, Maggio 2014

Gianluca Pisani

259