Biblioteca Nazionale Braidense Scene di conversazione La cameretta portiana, 1810 c. di Giuseppe Bossi Testi presentati da Francesca Valli e Duccio Tongiorgi letti da Camilla Violante

VITTORIO ALFIERI (1786) Opere varie filosofico-politiche, in prosa e in versi, vol. III, Parigi, 1801

Sublime specchio di veraci detti, Mostrami in corpo e in anima qual sono: Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; Lunga statura, e capo a terra prono;

Sottil persona in su due stinchi schietti; Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; Giusto naso, bel labro, e denti eletti; Pallido in volto, più che un re sul trono:

Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; Irato sempre, e non maligno mai; La mente e il cor meco in perpetua lite:

Per lo più mesto, e talor lieto assai, Or stimandomi Achille, ed or Tersite: Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

UGO FOSCOLO (1801) “Nuovo Giornale de’ Letterati” di Pisa, tomo 4, 1802

Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido acceso, e tersi denti, Capo chino, bel collo, e largo petto;

Giuste membra; vestir mondo e negletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo, avversi a me gli eventi:

Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto sovente e solo; ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquieto, tenace:

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Errar, pentirmi, e alla ragion dar lode, Ma retta al cor; cercar or gloria or pace, E da morte aspettar fama, e riposo.

ALESSANDRO MANZONI (1801) Capel bruno: alta fronte: occhio loquace: Naso non grande e non soverchio umile: Tonda la gota e di color vivace: Stretto labbro e vermiglio: e bocca esile:

Lingua or spedita or tarda, e non mai vile, Che il ver favella apertamente, o tace. Giovin d’anni e di senno; non audace: Duro di modi, ma di cor gentile.

La gloria amo e le selve e il biondo iddio: Spregio, non odio mai: m’attristo spesso: Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.

A l’ira presto, e più presto al perdono: Poco noto ad altrui, poco a me stesso: Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

CARLO PORTA Brindes de Meneghin all’Ostaria. Ditiramb per el matrimonni de S.M. l’Imperator con Maria Luisa I.R. arziduchessa d’Austria (, Poesie a cura di Dante Isella, Milano 2000)

L’è la nostra patronscina Ona bella todeschina In sul primm fior de l’etaa, Viva, pronta, spiritosa Come on vin noeuv domà faa. El cerin l’è on moscatell Ch’el consola, ch’el rallegra: Lusen i oeucc come dò stell, Negher pù dell’uga negra. La soa front l’è majestosa; I ddu laver hin rubin; L’è la pell on lacc e vin. Bell el coll, el stomegh bell, Bej i brasc, bella statura: Per fornirla l’è on modell D’ona scoeura de pittura. (…) Ma che serva? la natura Per i coss prezios e car L’ha tegnuu curt la mesura, Giust per rendj pussee rar. Hin i perla, hin i diamant Piscinitt, e hin olter tant

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Gross i auguri, gross i zucch. Anca el gran Lissander Magn Che l’ha faa tant badalucch Col so coo, coj so campagn, L’eva piccol , eppur Dari L’è andaa là coj pitt all’ari. E poeù ai curt: Napoleon El pù grand de tucc i grand No l’è minga on candiron. Catt incustra all’Inghilterra Ai sò trappol, ai so intrigh! S’hin i dagn della soa guerra L’ess al bruso di sò spezzi, Me n’importa proppi on figh, Chè per mì quist hin inezzi. Mì per mì, quand gh’hoo del scabbi, Del bon pan, del bon formaj, Sont allegher come on matt, No gh’hoo rabbi- no gh’hoo guaj, Stoo de pappa, stoo de re; Mandi a fass el cicolatt, Me n’impippi del caffè.

Brindisi di Meneghino all’Osteria: ditirambo per il matrimonio si S.M. l’imperatore Napoleone con Maria Luisa d’Austria I.R. Arciduchessa d’ Austria ( traduzione di Dante Isella) (…) E’ la nostra padroncina una bella tedeschina sul primo fiore dell’età, viva, pronta, spiritosa come un vino nuovo appena fatto. La ciera è un moscatello che consola, che rallegra: luccicano gli occhi come due stelle, neri più dell’uva nera. La sua fronte è maestosa; i due labbri sono rubini; è la pelle un latte-e-vino. Bello il collo, il seno bello, belle le braccia, bella statura: per finirla è un modello d’una scuola di pittura! (…) Ma che serve? La natura, per le cose preziose e care, ha tenuto corta la misura, proprio per renderle più rare. Piccole sono le perle, piccoli i diamanti, e altrettanto sono grosse le angurie, grosse le zucche. Anche il grande Alessandro Magno, che ha fatto tanto chiasso con la sua testa, con le sue campagne, era piccolo, eppure Dario è andato là a gambe all’aria. E poi, alte corte: Napoleone, il più grande di tutti grandi, non è mica uno spilungone. Canchero all’Inghilterra, alle sue trappole, ai suoi intrighi! Se sono i danni della sua guerra l’essere senza le sue spezie, non me ne importa proprio un fico, ché per me sono inezie. Io per me quand’ho del vino, del buon pane, del buon formaggio, sono allegro come un matto, non ho rabbie, non ho guai, sto da papa, sto da re; mando a farsi benedire il cioccolato, me ne impippo del caffè.

CARLO PORTA Per la mort del bravissem pittor e letterato Giusepp Boss (Carlo Porta, Poesie a cura di Dante Isella, Milano 2000)

L’è mort el pittor Boss! Jesuss per lu ! Sclamen, e passen, i fedel cristian; I pretocch vicciuritt freghen i man E disen: Mej! on candirott de pù;

Quij del mestee, ch’el veden in di fu, Goden de vess tant manch intorna al pan; I ricch ozios ghe dan del barbasgian 3

A vesses sbolgiraa per la virtù;

I malign che hin pù spess che i galantomm O de riff o de raff, o indrizz o stort, Cerchen, se ponn, de spiscinigh el nomm;

E mì per consolamm del mè magon Ghe dighi a sto grand omm che se l’è mort L’è pur anch foeura d’on gran mond cojon.

Per la morte del bravissimo e letterato Giuseppe Bossi ( traduzione di Dante Isella )

“E’ morto il pittore Bossi! Pace all’anima sua”, esclamano, e passano, i fedeli cristiani; i preti scagnozzi si fregano le mani e dicono: “Meglio ! un cero di più!”; quelli del suo mestiere, che lo vedono tra i “fu”, godono di restare uno in meno intorno al pane; i ricchi oziosi gli danno del barbagianni ad essersi rovinato per l’arte; i maligni, che sono più numerosi che i galantuomini, o di riffe o di raffe o per dritto o per storto, cercano, se possono, di sminuirgli il nome; e io, per consolarmi del mio dolore, gli dico, a questo grande uomo, che se è morto è pur anche fuori da un gran mondo coglione.

GIOVANNI BERCHET Epistola a Felice Bellotti in morte di Giuseppe Bossi, 1816 (Giovanni Berchet, Opere edite e inedite curate da Francesco Cusani, Milano 1863)

(….) Ma alle glorie D’Italia qual sarà l’inno che basti? Segno a gente straniera, e dal Latino Onor divisa e corsa e vilipesa; Pur l’Italia di sè non obbliata Primiera emerse, e dalla lunga notte Suscitò le Arti all’avvilita Europa. Né col favor di un Dio, che all’infelice Nessuno era propizio infra gli Dei, Ma sol con la perpetua prepotenza Delle menti l’Italia i propri figli Fè invidiati e grandi. E voi, materne Aure, salvete: o voi, Soli diffusi Che serenaste i giorni a Raffaello, Salvete; poi che a Bossi anco voi deste Virtù a dedurre dal veduto Eliso L’ardua materia al suo arduo lavoro. Non è quegli il Petrarca ? A pié de colle Ecco i seguaci all’amoroso canto, Uomini egregi, egregie donne. Intento Altri bee l’armonia, e la ridice Ai giovinetti; taciturno in core Altri se la ripone; altri alla vetta Protende la persona. Ed io li veggo , Li riconosco tutti. Oh come vaga Si riposa Vittoria a mezzo il clivo, E lampeggiando i lumi fuor del peplo,

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Michelangiolo guarda, e i versi accetta: Michelangiolo a cui nulla parea (Tua colpa, Amor) delle Arti imitatrici Tener già tre corone, e d’una quarta Pregò il suo Genio; e quei d’un lauro il cinse.

Misero Bossi! ed anche a lui le Muse Veniano; ed anche a lui tutta applaudia La famiglia delle Arti; e per lui chiari I destini volgeano ai patrj studi. Misero! E allor che al suo desto intelletto Fiorian più le speranze; e allor che grave D’alto sapere i dì lunghi implorava E bastanti à suoi sommi intendimenti, La luce gli sfuggì, misero! e giacque.

Sciogli un carme funereo; un carme insegna Tosto , o Felice, alle Itale donzelle, Perché poi le pietose ai loro amanti Lo insegnino piangendo; ed abbia un nome Sempiterno il tuo Bossi . A te si addice, Però che il puoi, versar lacrime illustri. Dunque rompi i silenzi; e la soave Malinconia che a te l’anima pasce Derivi al canto. E ti sorregga Amore La mestissima cetra; Amor che primo Inspira i vati, Amor senza di cui Non è bella mortal cosa veruna.

ERMES VISCONTI Discorso recitato da Ermes Visconti il giorno 16 maggio 1818 per l’inaugurazione fattasi nella del monumento consacrato alla memoria di Giuseppe Bossi pittore

Giuseppe Bossi non è il solo uomo insigne, mancato di vita in Milano ai nostri giorni; ma fu il primo alle di cui esequie siano concorsi amici, artisti, letterati, concittadini e connazionali ragguardevoli, uniti dal dolore, dall’affezione e da sentimento patriottico. Fu il primo al di cui feretro venisse recitato un elogio non prescritto dall’etichetta, ma dettato da intimi impulsi del cuore. È il primo a cui una società d’Italiani zelanti consacri un monumento magnifico. Perché non si vide alcun segno d’amor patrio, non il menomo indizio d’entusiasmo nazionale quando morirono Beccaria e Parini? Perché i tempi erano differenti e meno illuminati. Le idee liberali si sono diffuse, la connessione degli studj con tutto il ben pubblico è più conosciuta, lo spirito pubblico presentemente si esercita in una sfera d’oggetti più vasta e più varia.

GIUSEPPE ROVANI Cento anni (1859-1864)

Nella sala delle Cariatidi, non al tutto allora compiuta, ma così ornata di velluti e veli e frange auree e festoni e fiori, che a nessuno appariva qual parte di essa avessero lasciato in sospeso l'architettura e le arti sorelle, fervevano le danze, ma fervevano più nei cuori caldissimi degli ufficiali e delle dame sospiranti in segreto agli spallini ed ai petti onorati di aquile ferree, che nel muover dei passi misurati a convenzionale lentezza. La musica era diretta da Alessandro Rolla e dal Pontelibero. 5

I vecchi, che erano vivissimi nel 1810, e vivono ancora oggi, e tennero dalla natura una tempra così robusta, e il tubere della giovialità così pronunciato, e pilori a macina di costruzione così prodigiosa che ancora s'arrischiano a vegliare ad ora tardissima; e se c'è una festa che esca dalla sfera comune, son là pronti in cravatta bianca prima dei giovani ad assaporarla, ci assicurano colle mani sul petto, che se le beltà femminili, per qualità e quantità, sono oggi in una condizione ancor molto prospera, mezzo secolo fa fiorivano con insuperabile rigoglio; ma sopratutto ci assicurano che oggidì la razza grande è quasi spenta affatto la razza delle donne, vogliamo dire, dai colli e dalle braccia di Giunone; o che, volendo lasciare in pace le olimpiche deità, potrebbero servire allo statuario per modellare qualcuna delle virtù teologali. […] Affollatissimi intorno a quel gruppo di stelle si vedevano i senatori, i conti, i baroni, i commendatori di fresca data. Dei senatori si distinguevano Veneri, Boara, Prina, Borioli arcivescovo d'Urbino, giovane di bell'aspetto, trasmutato nelle vesti in modo che di vescovile non mostrava più nulla se non forse il bianco della camicia trinata; Boara e Brême portavano il gran cordone della corona di ferro. Cavalieri recentissimi erano il marchese Trivulzi, il cugino del ministro Prina, che era provveditore del liceo di Novara, il ciambellano Martinengo, i professori Borda e Tamburini brevettati tutti nella grande sfornata dell'ottobre 1809, insieme con tanti altri che avevano avuto il merito di essere arrivati in tempo. A costoro e dalla sala e dalle tribune guardava la curiosità maschile; ma la femminile pareva concentrasse il fuoco collettivo delle sue pupille sull'alta maestosa figura del pittore Giuseppe Bossi, che in assisa di panno color caffè a bottoni d'acciajo volgeva la parola ad un ometto piccolo, tutto vestito di nero con eletta semplicità. Il pittor Bossi poteva contare trentadue anni, e quantunque fosse tanto trasandato nel vestito, che comunemente lo chiamavano il foldone, era caro alle dame; caro tanto, che i mariti ringhiavano sordamente alla sua comparsa come cani sospettosi. Ma egli era bello di una bellezza all'antica, in istile greco-romano. Portava i capelli alla brutus, fitti, lunghi, ricci, fulvo-cupi, cadenti a ciocche pittoresche sulla fronte fino a toccare la regione dei sopraccigli, che aveva folti e piegati in così elegante arco, come se Fidia ci avesse messo lo stecco. E come augusto era l'arco del sopracciglio, insigni erano la linea del naso e i contorni della bocca e del mento; dalla qual cosa ognuno può farsi capace guardando uno studio fatto sul vero dal pittore Appiani. Ad una bellezza così eccezionale dava risalto, e fors'egli lo sapeva, la negligenza medesima che metteva nell'acconciatura; negligenza portata a tal segno, che molti sospettavano costasse molto pensiero precisamente a lui che ostentava di non pensarci; ma anche noi, ai nostri giorni, abbiamo conosciuto un elegante giovane, che poi uscì dalla folla, il quale faceva tali studj sulla negligenza del vestito, che tutti i giorni rinnovava sempre lo stesso sbaglio nell'abbottonarsi il bianco panciotto alla Robespierre. Con tutto ciò le fisiche qualità del pittor Bossi non avrebbero bastato a mettere il capogiro nel bel sesso, se non ci fosse stata in lui quella prodigiosa versatilità di intelletto e di attitudini, che ne costituivano un'individualità veramente distinta. Dopo Leonardo, sebbene in una sfera meno eccelsa, egli fu il primo fra gl'illustri italiani, che abbia rappresentato in sè solo i caratteri di cinque o sei uomini. Pittore, poeta, scrittore, oratore, musico. Come pittore ci diede il disegno del Parnaso; come scrittore i suoi studj d'alta critica intorno a Leonardo; come oratore i suoi discorsi accademici; come poeta, segnatamente nel vernacolo, fu emulo di Porta, e tale emulo che Porta medesimo ne ingelosì; della musica sapeva quanto potea bastare per innestare sul piano delle variazioni leggiadre a quelle poesie che, nel crocchio amico e per puro passatempo, improvvisava declamando. A ciò si aggiunga una vena inesauribile di epigrammi arguti e di buon genere, una grande scorrevolezza di spirito, un fare penetrante e lusinghiero, un'amabilità continua. Ma rare volte è inamabile chi fu il prediletto della natura e della fortuna. Ci vorrebbe un'indole da cannibale per essere arcigni e rozzi sotto alla pioggia dei dolci sguardi e dei cari sorrisi e delle lodi e dell'ammirazione universale. Diciam questo perché non si creda che noi facciamo il panegirico al pittor Bossi, il quale aveva poi un gran difetto, quello di lasciarsi troppo facilmente vincere dalle continue tentazioni; anzi se ne gloriava e vantava, e ci annetteva tanta importanza, da tener nota delle sue più minute avventure e speranze amorose, in un diario ch'egli giorno per giorno scriveva, e che noi abbiam potuto vedere. 6