Banditismo E Sequestri Di Persona in Sardegna
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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Electronic Thesis and Dissertation Archive - Università di Pisa Banditismo e Sequestri di Persona in Sardegna. Introduzione: La Tesi qui sviluppata studia l’argomento del banditismo e dei sequestri di persona in Sardegna. Il fenomeno viene analizzato trattando innanzitutto le possibili cause che han determinato il nascere di tale particolare forma di criminalità, oltre a visionare alcune interessanti teorie come, ad esempio, quelle degli antropologi Cesare Lombroso e Franco Cagnetta. Si passa poi ad una seconda fase in cui vedremo i principali fatti storici che han determinato le vicende banditesche, dunque i primi sequestri, le bardane, gli abigeati e le faide, a partire dal VXIII secolo sino agli anni ’60 del Novecento: è questo il periodo in cui si può parlare di Banditismo Sociale, di cui Graziano Mesina è probabilmente suo ultimo esponente. Dopodiché giungiamo alla seconda parte dell’elaborato che tratterà nello specifico lo sviluppo del fenomeno dei sequestri di persona a scopo di estorsione. Di questo verranno analizzate le caratteristiche generali, in Italia e in Sardegna, e le principali fasi che determinano il compimento del crimine stesso. Dopo aver seguito poi le vicende relative al più famoso bandito sardo del dopoguerra: Graziano Mesina, e dopo la ricostruzione del sequestro del noto cantautore Fabrizio De Andrè e di sua moglie, Dori Ghezzi, giungiamo alla parte conclusiva della tesi. Qui si tratteranno gli attuali sviluppi della criminalità e del banditismo in Sardegna, con le modifiche e i mutamenti che si son registrati negli ultimi anni. Mutamenti che vedono il fenomeno dei sequestri di persona “tradizionali”, lunghi dal punto di vista temporale (spesso molti mesi) e minuziosamente organizzati, oltre che economicamente dispendiosi per le bande stesse, in costante calo. Si sviluppano invece i cosiddetti “sequestri lampo”, più rapidi, meno rischiosi, e con un guadagno immediato rispetto a quelli tradizionali. Un sequestro che diviene sempre più un "affare" insomma: 1 soldi facili e puliti da reinvestire o in nuove attività criminose, che progressivamente prendono piede nell’isola, o nell’acquisto di beni immobili ed attività commerciali. Un “affare” nel quale son coinvolti, al giorno d'oggi, anche esponenti della borghesia cittadina, le vere e proprie menti delle bande. Li ritroviamo spesso, infatti, nel ruolo di "basisti" dei sequestri stessi. Dunque non più un crimine di sola origine agro-pastorale com’era in passato. Si conclude il tutto con l'analisi dell’ultimo sequestro di persona avvenuto nella regione: quello di Titti Pinna, allevatore di Bonorva, tenuto prigioniero dai suoi carcerieri per ben 253 giorni. In allegato tre interessanti documenti. Il primo relativo alla lettura del “Codice Barbaricino. La vendetta come ordinamento giuridico” secondo la trasposizione e codificazione effettuata dal giurista e filosofo isolano Antonio Pigliaru. Un secondo documento relativo ad uno studio svolto da alcuni docenti delle cattedre di storia e sociologia dell’Università di Sassari dal titolo “primo rapporto sulla criminalità: Sardegna, è nata la nuova mala” che analizza i mutamenti dei reati commessi nell’isola dal passato ai giorni nostri. Un terzo documento poi che tratta il fenomeno in questione dal punto di vista del sequestrato, in uno studio denominato: “il sequestro come evento traumatico” che presenta le conclusioni tratte da una serie di interviste cliniche effettuate ad un gruppo di vittime. Per finire l’ultima parte della tesi che si conclude con un’interessante ricerca giornalistica che scorre i principali avvenimenti storici, così come trattati nel corso di tutto l’elaborato, estrapolati da quotidiani sia sardi che nazionali. Un percorso parallelo che, seguendo l’andamento della tesi appunto, racconta i fatti dal punto di vista delle cronache giornalistiche di differenti periodici. Si conclude così il viaggio alla scoperta di quella che è la forma criminosa maggiormente conosciuta ed associata alla malavita sarda, ossia appunto il Banditismo e, nel particolare, il sequestro di persona a scopo estorsivo. 2 Capitolo 1: Le origini del banditismo. 1.1 Vari approcci teorici: Varie son le domande che mi spingono allo sviluppo di questo mio breve excursus sul fenomeno del banditismo, in quella che è una delle regioni più belle, affascinanti e misteriose del bacino del Mediterraneo, la Sardegna. La Sardegna è stata da secoli oggetto di numerose dominazioni straniere: a partire dai Cartaginesi, poi Romani, Vandali, Saraceni, sino alla presenza delle repubbliche marinare di Pisa e Genova, per poi passare alla dominazione di Aragonesi e Spagnoli e infine dall’inizio del XVII secolo in mano ai Savoia, sino al 1861 quando ci fu l’unificazione del Regno d’Italia. Queste dominazioni, portarono talvolta dei giovamenti ma, per contro, spesso e volentieri, andarono a scapito del progresso economico e sociale dell’isola. <<I Sardi, costretti a rifugiarsi sulle montagne per sfuggire agli invasori (Arabi, Romani, Cartaginesi, Spagnoli, ecc) vissero nel totale isolamento, gelosi e fieri della loro indipendenza>> Queste le parole di Antonio Pigliaru1 nel suo libro dal titolo: “Il codice della vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” 2, che poi continua: <<Dalle montagne scendevano a valle solo per approvvigionarsi in vista dei lunghi e rigidi inverni e per compiere razzie (le famose bardane) e rapine (i così detti abigeati), indirizzati verso coloro che avevano strappato via le loro terre>> occupandole illegittimamente. Crimini che si sviluppavano dunque con un intento ben preciso che ardeva nel chiaro sentimento di rivalsa. La vendetta dunque, e il desiderio di 1 Antonio Pigliaru, nato a Orune (Nuoro) nel 1922, è morto prima di compiere i quarantasette anni, nel 1969, a Sassari. Là aveva trascorso gran parte della sua vita e insegnava all'università Dottrina dello stato (...). Fondatore di Ichnusa , leggendaria rivista sarda, la sua opera scientifica più nota è La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (Giuffrè, 1959): si ristampa e si discute ancora. 2 A. Pigliaru, Il Banditismo in Sardegna, La Vendetta Barbaricina come ordinamento giuridico , Giuffrè editore, Milano, 1993. Cfr. pag. 135 “Così Pigliaru voleva disinnescare le regole del codice barbaricino”. 3 riappropriarsi di quanto dovuto, alla base dei primi fenomeni di criminalità nell’isola. Piccoli fenomeni che fanno da sfondo al successivo sviluppo del Banditismo. Quando si parla di banditismo, ci si riferisce ad una particolare zona della Sardegna: La Barbagia. Un vero e proprio universo a se, una sorta di isola nell’isola, caratterizzata da un paesaggio selvaggio; una regione aspra e montuosa, dura a cadere sotto dominazioni straniere. Impenetrabile e inaccessibile, dunque, per chiunque non vi fosse nato. Barbagia, nome derivante dal latino “barbaria” proprio perché è una zona che, resistente alla colonizzazione Romana, si latinizzò in ritardo rispetto al resto dell’isola. Il termine “barbus” designava infatti coloro che non parlavano i dialetti latini. Ed è proprio qui, nella selvaggia e fiera Barbagia, dove percorriamo un itinerario che ci permette di trovare le radici del così detto “Banditismo”. Fenomeno che ha negli anni contribuito a creare un immagine distorta delle genti di Sardegna. Una regione violenta insomma. Una società comandata da delle leggi proprie, talvolta in contrasto con le leggi comuni. Un codice non scritto, il così detto “Codice Barbaricino” 3 che regola i rapporti intercomunitari in questa particolare zona dell’isola. La cultura Barbaricina, una cultura dunque di oppressi, che però, per contro, mai accettò l’oppressione vera e propria, lottando gelosamente, per la propria indipendenza e libertà. Lotta per la quale queste genti subirono azioni repressive, violenze di ogni genere da parte delle classi dominanti, censure e pregiudizi, contro quella che era una radicata diversità etnica e culturale. E, come ben sappiamo, le diversità sempre stentano ad esser accettate, a farsi capire, a far valere le proprie idee. A divenire “normalità” insomma. Agli inizi degli anni ’50 si 3 Per secoli il “codice barbaricino” dettò legge nella Sardegna centrale. Esso è l'insieme delle norme non scritte che per secoli hanno regolato la vita della Barbagia, nella Sardegna centrale. Le "leggi" del codice venivano rispettate dalla comunità: la violazione comportava la punizione dei colpevoli direttamente per mano della parte offesa. Il primo ad usare il termine “codice barba ricino” e' stato il filosofo del diritto Antonio Pigliaru, nel volume "La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico" (1959). Cfr. pp. 136-140 “Nell’analisi di Antonio Pigliaru le leggi della vendetta sono un codice di guerra”e “trecento anni di Sardegna criminale”. 4 giunse addirittura a etichettare questa area della Sardegna con l’appellativo di: “Zona Delinquente” 4 popolata da individui, geneticamente e per natura portati al delitto, infetti dal “virus della violenza” 5, protrattosi di generazione in generazione, irrimediabilmente. Alla cultura barbaricina, caratterizzata dalla pastorizia, dall’ignoranza, dall’isolamento, dalla diffidenza e da un velo di mistero, fu attribuito lo “ status ” discriminante di “cultura criminale”. Rifiutandosi di capire quali erano in realtà le vere cause del disagio che sfociò in questo “fenomeno” che stiamo qui cercando di analizzare e di capire. Fenomeno che fu studiato e osservato seguendo varie vie, ma che permane, ancora oggi incompreso