Università Degli Studi Roma Tre

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Università Degli Studi Roma Tre Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Scienze Politiche Scuola dottorale in Studi Europei ed Internazionali Ciclo XXVII La contemporanea duplicità dei beni culturali nelle zone di guerra: strumento di offesa e veicolo per la pace. Il caso dello Stari Most a dieci anni dalla sua ricostruzione. SSD SPS/07 Sociologia Generale Coordinatore: Prof. Leopoldo Nuti Tutor: Prof.ssa Maria Luisa Maniscalco Candidato: Enrico Strina Introduzione: Per un quadro storico-giuridico: da Napoleone al post-Balcani Napoleone e la pubblicità delle opere d'arte. La seconda guerra mondiale: nazismo e forze occidentali contro anche nel campo dei beni culturali. La risposta internazionale: le convenzioni dell'Aja (1954), dell'Unesco (1970) e la Unidroit (1995). La tutela in Italia. Il ruolo dei Carabinieri e La Società dello Scudo Blu (ICBS). Perché Mostar? Cap. 1 Le teorie del conflitto 1.1 Le teorie del conflitto dai classici alla post-modernità. I “padri fondatori”. 1.2 Le teorie del conflitto dai classici alla post-modernità. Gli autori contemporanei. 1.3 Il contributo della Peace Research. 1.4 L'etnia e i conflitti etnici: strutture e temi portanti. 1.5 La sociologia del nemico. 1.6 Una violenza inaudita: genocidi, pulizie etniche e crimini di genere. 1.7 La pulizia etnica culturale. Cap. 2 Per un approccio sociologico al conflitto sui beni culturali 2.1 Il problema dei beni culturali dai classici alla post-modernità: - il sacro in Durkheim - “l'elezione pubblica” dei beni culturali - arte, storia e memoria come elementi fondamentali del “sacro” (Halbwachs) - i beni culturali creano relazioni sociali. Dall'oggetto al soggetto. - Relazioni sociali e conflitto sui beni culturali - Grandi classici sui beni culturali: Hegel, Comte, Marx, Taine, Spencer, Riegl, Durkheim, Weber, Heidegger, Benjamin, Read, Lukàcs, Hauser, Baudrillard, Gadamer, Pomian, Adorno, Geertz, C. Levi-Strauss, Dessoir, Marcuse, Baxandall, Lotman, Assmann, Malraux, Bourdieu, Mario Rosa, J. Clifford, Luigi Marino, Remo Guidieri. - La “scelta” dei beni culturali: la prospettiva di Bourdieu. 2.1. I beni culturali nella dimensione di gruppo. 2.2. I beni culturali: i pensatori della modernità. 2.3. Beni culturali e memoria. Cap. 3 La guerra sui e con i beni culturali 3.1. Jugoslavia: una storia piena di contraddizioni. 3.2. Un conflitto “nuovo”. 3.3. Mostar, Dubrovnik, Sarajevo: casi eclatanti di distruzione di beni culturali. 3.4. Gli spazi sociali e la costruzione del senso collettivo d'appartenenza: il concetto di “spazio intensivo”. 3.5. Il Ponte: da una riflessione di G. Simmel. Cap. 4 La ricerca empirica 4.1 Temi e obiettivi della ricerca 4.2 Il disegno della ricerca (fase preliminare: la ricerca di sfondo, fase prima: la formulazione iniziale, fase seconda: la ricerca a Mostar) → “il disegno della ricerca. Dal quadro teorico al lavoro sul campo” 4.3. la metodologia e gli strumenti impiegati – le caratteristiche delle interviste – i risultati – eventuali collegabili aspetti recenti legati a distruzioni portate avanti dall'Isis. → “la metodologia e gli strumenti impiegati” 4.4 La sociologia visuale: un approccio ripensato per i beni culturali. 4.5 Interviste con foto-stimolazione sui beni culturali prima della distruzione e dopo la ricostruzione. 4.6 Il caso Mostar. Conclusioni Introduzione Per un quadro teorico In che modo due Convezioni, una firmata all'Aja nel 1954 e una promossa dall'Unesco nel 1970, il mana polinesiano e il carisma delle cose di Weber potrebbero avere dei fattori in comune? La risposta è da ricercarsi nella storia sociale dei beni culturali mondiali. Storia “sociale” perché il bene culturale diventa tale soltanto quando la comunità di riferimento effettua quel meccanismo di riconoscimento ed elezione “comune” verso un dato oggetto o luogo tale da elevarlo in una dimensione collettiva che scavalca quella privata. Nelle società più semplici questo ruolo era assolto da luoghi simbolici (come per esempio Stonehenge) o da oggetti basilari: proprio Max Weber, nel suo “Wirtschaft und Gesellschaft” (1922), designava con il termine “carisma” alcune “forze straordinarie” e per fare ciò prendeva come punto di riferimento il concetto già citato di “mana” per i polinesiani oppure quello di “orenda” per gli irochesi. Nelle società moderne invece tutto ciò viene “realizzato” e “trasformato” in modo più complesso e multiforme: il bene culturale diventa una “riserva di senso” verso la concezione del mondo, una chiave di lettura che definisce il noi dall'altro; il bene culturale inoltre rappresenta l'oggettivazione delle tradizioni di un determinato popolo, così rendendolo elemento che aiuta la creazione ed il mantenimento del sentimento di appartenenza ad una collettività. Che nelle società moderne il concetto di bene culturale sia più complesso lo dimostra anche la definizione che gli viene data dalla Convenzione dell'Aja: “i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, come i monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici; i siti archeologici; i complessi di costruzioni che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico; le opere d'arte; i manoscritti, libri ed altri oggetti di interesse artistico, storico, o archeologico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o di archivi o di riproduzioni dei beni sopra definiti (...)” Si parla quindi di innumerevoli forme fisiche, sia che siano di provenienza artistica, sia che si tratti di luoghi reali riconosciuti dalle collettività di origine. Un meccanismo esaltante: il conflitto. La dimensione del conflitto, armato o non armato, tradizionale o non tradizionale, diventa quindi un meccanismo esaltante alcune dinamiche e problematiche inerenti alle società moderne: con il suo contenuto “estremizzante”, il conflitto tende ad esacerbare le differenze tra le parti in causa aumentando le aree di contatto “polemizzabili” dagli attori partecipanti. La distruzione dei beni culturali nei teatri di guerra è ormai storia consolidata e da tutti conosciuta: sin dall'antica Grecia abbiamo testimonianze sull'intangibilità dei luoghi sacri, come i santuari di Delfi, Delos o Olimpia; i codici cavallereschi proteggevano le chiese e i monasteri dagli assalti di guerra. Volgendo lo sguardo anche dall'altra parte del globo, è sicuro che gli antichi codici induisti sui conflitti armati preservassero i templi e i luoghi di culto; anche le consuetudini del Giappone feudale del XVI secolo contemplavano istruzioni simili. Ma il problema è in realtà tutt'ora attuale: la Convenzione dell'Aja del 1954 nasce infatti a seguito del Secondo conflitto mondiale, mentre la Convenzione Unesco del 1970 segue di pochi anni l'indipendenza dei paesi africani e asiatici dalle potenze coloniali occidentali, in risposta alle richieste di quei paesi che rivendicavano il possesso dei beni culturali sottratti dalle madre-patria. E' quindi con la Seconda guerra mondiale che il mondo occidentale è tornato ad accendere la luce su questo tema: nonostante il massacro umano avvenuto durante quel conflitto, alcuni anni dopo ci fu la volontà, a livello internazionale, di far emergere anche la devastazione dei beni culturali. Il regime nazista per primo perpetrò una politica di sistematica distruzione di scuole, sinagoghe, centri culturali e cimiteri proprio per azzerare la presenza ebraica in Germania ed in Europa. La politica di quella elite politica al tempo dominante aveva individuato nella distruzione del patrimonio culturale degli ebrei una componente del genocidio, poiché la sola eliminazione fisica non sarebbe bastata a cancellare per sempre la cultura ebraica: le opere sarebbero sopravvissute al sacrificio umano. Una dinamica simile si sarebbe poi ripetuta ad esempio in ex-Jugoslavia, all'interno di uno di quei conflitti che Mary Kaldor ha classificato tra le “nuove guerre”: in questo caso rimangono di rilievo le distruzioni della biblioteca di Sarajevo così come i danni inflitti alla storica città di Mostar, alla città di Dubrovnik e alle chiese ortodosse in Kosovo. Tema iniziale di questa ricerca sarà proprio indagare e comprendere le cause e le dinamiche di queste azioni in un ampio raggio storico. Come hanno agito le elite dominanti? In che modo hanno deliberato la distruzione di importanti e fondanti simboli culturali? In questo caso, la letteratura presente, sia storica che sociologica ci aiuterà a dirimere alcune questioni cruciali. Un problema attuale La tutela dei beni culturali, visti in particolar modo nella loro dimensione sociale ed etnica, è quindi una questione che si è posta alla ribalta del dibattito internazionale sin dal periodo subito successivo alla seconda guerra mondiale. Sarebbe però inesatto dire che l'interesse su queste tematiche sia “montato” soltanto a partire dagli anni '50 dello scorso secolo: in epoca moderna già Napoleone era stato l'artefice delle prime clausole di acquisizione delle opere d'arte ottenute come trofeo di guerra e proprio durante il periodo napoleonico nacque il museo. Anche il Congresso di Vienna espresse il proprio parere, sancendo il principio della restitutio in integrum, senza però riuscire a dargli la giusta efficacia. L'attuale problema dei beni culturali è in definitiva composto da due diversi fattori: il primo è la restituzione dei beni sottratti negli ultimi 3 secoli dalle potenze europee a scapito degli altri paesi del globo. Le rivendicazioni vanno ben oltre le Convenzioni Unesco del 1970 (che prevede la restituzione dei beni sottratti dal 1970 in poi ai paesi vittima di spoliazioni) e la Convenzione
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