UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO Dipartimento Di Scienze Umane E Sociali SCUOLA DI DOTTORATO in STUDI STORICI

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO Dipartimento Di Scienze Umane E Sociali SCUOLA DI DOTTORATO in STUDI STORICI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO Dipartimento di scienze umane e sociali SCUOLA DI DOTTORATO IN STUDI STORICI GLI STATUTA ALMÆ URBIS. IL DIRITTO MUNICIPALE A ROMA NELLA SECONDA METÀ DEL XVI SECOLO. Tutor: Candidata: prof. Marco Bellabarba dott. Maria Luisa Carlino XXIII ciclo (2007-2010) PREMESSA La ricerca sugli Statuta Almæ Urbis, gli ultimi statuti municipali di Roma in età moderna, e sulle modalità con le quali un lungo iter di riforma normativa fu portato avanti in seno alla media nobiltà municipale ha preso avvio da alcune riflessioni sulla situazione politico-istituzionale romana nel XVI secolo. Uno studio che indagasse l’intero processo di rinnovamento degli statuti cittadini e una chiarificazione delle competenze giurisdizionali nei numerosi tribunali dell’Urbe, ed in particolare del foro di Campidoglio, sono stati i primi obiettivi di indagine. Ripartendo dal punto di vista degli eruditi che per primi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, indagarono le vicende legate agli statuti municipali romani, divenuti ormai fonte storica, si è cercato di capire quali fossero le lacune maggiori lasciate dalla vecchia storiografia e quali i limiti di questa forma iuris di non sempre facile comprensione. La definizione di alcuni di questi limiti ha permesso inoltre di portare avanti un discorso più generale sull’oggetto ‘statuti’, prima di tentare un approccio più diretto con la fonte. Dei quasi quattrocento capitoli che compongono il corpus statutario romano, vi sono alcuni attraverso cui è possibile tratteggiare settori più o meno importanti della società, istituti giuridici e amministrativi, incarichi ufficiali, tempi e luoghi di celebrazioni solenni; ma se si vogliono considerare gli statuti come uno specchio bisogna pur sempre ricordare che si tratta di uno specchio deformante che altera la realtà, fornendo un’istantanea della società che invece è in continuo movimento. Non potendo dunque contare sulla sola fonte statutaria per provare a ricostruire una parte della società, non irrigidita dentro schemi prestabiliti, con l’ausilio di altri documenti coevi – dalle registrazioni d’archivio alla letteratura storica – è stato possibile, in un arco cronologico molto limitato, dare un’idea di come i romani si dividessero tra incombenze private, impegni pubblici, precetti religiosi e tempi della natura. Ciò ha consentito un primo approccio con quelle registrazioni capitoline, contenute nei libri decretorum, che tanta parte hanno avuto in questa ricerca: attraverso la lettura dei decreti conservati in Campidoglio è stato possibile ricostruire le fasi più importanti del processo lungo e I faticoso che, iniziato nei primi anni ’40 del Cinquecento, si è concluso nel 1580, con la bolla di conferma di Gregorio XIII. Le notizie ricavate dai registri capitolini, dunque, hanno non solo permesso di avere un punto di vista migliore su quella che doveva essere la società del tempo, ma di ricostruire anche il funzionamento dell’organismo deliberante comunale, il Consiglio di Campidoglio, che negli statuti tardo-cinquecenteschi aveva ricevuto per la prima volta una piena e completa normalizzazione. A ciò si aggiunga che i libri sono stati lo spazio usato dal comune per registrare mano mano le proposte fatte in sede di consiglio, le nomine delle commissioni e le elezioni delle stesse per la riforma degli statuti, promossa dal Popolo Romano e confermata dal sovrano pontefice. Procedendo con ordine e raggruppando i decreti per temi, alla fine è stato possibile formulare delle ipotesi sempre più credibili su come l’iter legislativo sia stato portato avanti. Ma dalle registrazioni di Campidoglio sono stati ricavati, altresì, i nomi di quei cives, che, impegnati in più deputazioni, parteciparono alla renovatio statutorum. Tra costoro, oltre ai membri della media nobiltà municipale, vi erano noti giuristi, alcuni dei quali non romani di nascita, che intervennero nel dibattito sulle istituzioni romane e contribuirono a portarlo avanti con la loro opera. Ma in quasi cinquant’anni di discussioni, modifiche, proroghe, sospensioni e aggiustamenti l’impegno profuso da ciascun deputato fu diverso. Solo un ristretto manipolo di uomini alla fine vi si dedicò con maggiore assiduità, e di questi, in ultimo, solo uno portò a maturazione l’intera opera: un giurista romano, Luca Peto. Nel corso della ricerca, inoltre, è stato evidente come l’ingerenza pontificia, con il procedere degli anni, si sia fatta sentire sempre più, sia nelle questioni prettamente inerenti il Popolo Romano, sia nello specifico nell’opera di riforma, che coinvolgeva l’organizzazione giuridica della città. La tesi è stata in parte rivolta a dimostrare come il Campidoglio, in una fase così delicata come quella postconciliare vissuta a Roma, seppe destreggiarsi, riuscendo, anche se per periodi di tempo limitati e questioni specifiche, a non cedere sul proprio ruolo. Ma, la situazione romana di fondo, con la presenza costante del cono d’ombra pontificio ed i conflitti sulla giurisdizione dei fori nei tribunalia Urbis, furono un forte deterrente per ogni spinta in avanti. Una fase non trascurabile della ricerca è stata quella volta a capire, dunque, quanto e in che modo il pontefice, con i suoi emissari, divenne parte attiva della riforma statutaria. E, una volta approvata e pubblicata la riforma, ci si sarebbe chiesto, quanto credito gli statuta Urbis avessero ricevuto nei tribunali e, soprattutto, a quali fori fossero rivolti; e, ancora, se la II conferma pontificia li avesse posti sullo stesso piano delle disposizioni papali. L’ultima fase dell’indagine, infatti, è stata indirizzata alla definizione, sempre nei limiti che la fonte normativa imponeva, del ruolo degli statuti all’interno dell’ordine giuridico vigente a Roma, e all’interpretazione che hanno dato i pratici, nell’idea che solo in questo modo si potesse comprendere l’effettiva valenza di questa forma iuris. Ma, non da ultimo, proprio le diverse interpretazioni dei giuristi sono state causa di ulteriori questioni, incentrate per lo più sull’applicazione degli statuti e sui fori di competenza. Un richiamo alla storiografia più recente, per capire quali possano essere le prospettive da seguire, chiude questa ricerca. III CAPITOLO PRIMO Lo specchio degli statuti Nel 1580, con l’approvazione da parte del pontefice dei nuovi statuti municipali, si ebbe il momento culminante di un lungo iter legislativo. Punto d’arrivo di una normativa statutaria che si era sviluppata nel pieno Trecento, l’emanazione dei nuovi statuti corrispose al tentativo da parte del comune di partecipare attivamente all’organizzazione della città. Veniva confermata, ancora una volta, una fonte del diritto che, sebbene avesse iniziato un lento ma inesorabile declino, sarebbe stata ancora a lungo applicata nei tribunali e commentata dai giuristi. Gli Statuta Almæ Urbis, all’interno di un complesso sistema giuridico, tra la fine del XVI e la prima metà del XVIII secolo, costituirono, infatti, il fondamento da cui partire per istruire un processo, dirimere una questione, o anche semplicemente risolvere una lite. Furono anche lo specchio in cui si vide riflessa una parte della società: le manifestazioni ufficiali, le solenni processioni, gli scambi, il commercio, le adunanze, tutto ciò (solo per fare alcuni esempi) era descritto e formalizzato dagli statuti. Essi rappresentarono, dunque, nel loro insieme, una fonte giuridica e una storica. La prima fu indagata da subito, poiché gli statuti in quanto diritto positivo erano stati oggetto di un’attenta interpretazione da parte dei pratici; la seconda, trascurata a lungo, ebbe nuova luce nel secolo XIX, «per eccellenza il secolo della storia» 1, ad opera di alcuni giuristi eruditi. 1. 1. Un interesse “storico” L’interesse nei confronti degli statuti municipali fu un fenomeno che si sviluppò molto lentamente ed in maniera particolare. Gli studi di storia locale e municipale in Italia, infatti, per tutto il Settecento e i primordi dell’Ottocento furono opere individuali, per 1 B. CROCE, Storia della storiografia, p. 19. 1 LO SPECCHIO DEGLI STATUTI lo più di iniziativa privata 2, e spesso anche di carattere “antiquario” 3. Un punto di vista così ristretto avrebbe costituito una lacuna, la cui profondità sarebbe stata avvertita solo in seguito. Ancora attuali le parole che più di un secolo fa aveva pronunciato Vito La Mantia 4, erudito giurista siciliano, tra i primi ad interessarsi agli statuti romani anche da un punto di vista storico. Nel constatare la scarsa attenzione mostrata dai commentatori nell’indagare le origini degli statuti 5, lo studioso si richiamava ad uno di questi in particolare, che nei primi del Seicento appose dei commenti, anche se parziali, al testo statutario romano: «e Fenzonio, che nel secolo XVII scriveva elaborate annotazioni sul primo libro degli Statuti, non ricercò le storiche notizie, neanco pei capitoli che commentava, mentre a lui, che fu pure senatore di Roma, sarebbero riuscite agevoli le indagini negli archivi romani» 6. Gli Statuta Almæ Urbis avevano suscitato, in coloro che si erano avvicinati per studiarne il contenuto, considerazioni quasi unicamente di carattere giuridico; non a caso, chi si era accostato a questa fonte, fino a tutto il XVIII secolo, era stato per lo più un giurista di professione. Solo alcuni dotti ed eruditi, sul finire del Settecento, «trassero dagli statuti quelle notizie soltanto di che abbisognavano pel loro scopo» 7: un pacato rimprovero era mosso da chi, incaricato ufficialmente, si sarebbe invece impegnato a pubblicare l’intero corpus normativo, ricostruendo
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