DOSSIER

Valentina Marini

IMMAGINI,IMMAGINI, PERCEZIONIPERCEZIONI EE REALTÀREALTÀ DELL'UMBRIADELL' TRATRA ETÀETÀ MODERNAMODERNA EE CONTEMPORANEACONTEMPORANEA (SECOLI(SECOLI XVI-XX)XVI-XX)

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it Valentina Marini

IMMAGINI, PERCEZIONI E REALTÀ DELL'UMBRIA TRA ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA (SECOLI XVI-XX)

Progetto Co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE) nell’ambito del Programma Operativo Regionale (POR) Umbria, FSE “Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione” 2007-2013 e realizzato tramite il “Bando assegni di ricerca finalizzato al potenziamento dell’attività di ricerca e di trasferimento tecnologico nelle imprese, nelle università, nelle agenzie di ricerca pubbliche e private, nei centri di ricerca pubblici e privati, nei poli d’innovazione”.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it INDICE

Premessa Pag. 1

PARTE I L'UMBRIA TRA IMMAGINE CARTOGRAFICA, PERCEZIONE ERUDITA E REALTÀ POLITICO-AMMINISTRATIVA

Introduzione » 3 Umbria: regione «ideale» e regione «reale» » 5

Il dualismo umbro tra età antica e Medioevo » 6 La riscoperta del nome » 7 L’Umbria nelle partizioni amministrative del Cinquecento » 8

L’immagine della regione nella cartografia e nella geografia del XVI secolo » 13 L’Umbria nella percezione erudita del XVII secolo » 20 Realtà amministrativa della regione nel Seicento » 22 L’Umbria nella cartografia del Seicento e del Settecento » 23 Cartografia e realtà politico-amministrativa tra XVIII e XIX secolo » 27

Conclusioni » 30 Carte storiche » 32 Appendice » 108 Bibliografia essenziale » 145

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it I PARTE II L'UMBRIA NEI LIBRI DEI VIAGGIATORI STRANIERI DAL XVII AL XIX SECOLO

Introduzione Pag. 150 Il paesaggio » 161

Il sublime e il pittoresco: due aspetti dell'estetica del paesaggio » 161 La via Flaminia » 163 Fertili vallate e prospere pianure » 166 La Cascata delle Marmore » 167 Una folla di comparse: contadini, popolani, mendicanti e banditi » 180

Le città » 185 La via Flaminia tra Otricoli e Foligno » 185 e Assisi » 197

Umbria mistica e verde: nascita di uno stereotipo » 219 Conclusioni » 225 Catalogo iconografico » 227 Bibliografia essenziale » 246

PARTE III IL PRIMO PIANO REGIONALE DI SVILUPPO ECONOMICO DELL'UMBRIA

Introduzione » 254 Il primo Piano di sviluppo economico regionale (1960-1964) » 264 Raccolta documentaria » 276

Struttura, dinamica e problemi dell'agricoltura in Umbria » 278 L'evoluzione demografica dell'Umbria dal 1861 al 1961 » 322 Struttura, dinamica e problemi dell'industria in Umbria » 342

Bibliografia essenziale » 364 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it II PREMESSA

Il presente lavoro intende proporre al lettore una selezione di fonti cartografiche, iconografiche, letterarie, documentarie e bibliografiche per mezzo delle quali poter ripercorrere quella che è stata l’evoluzione attraverso i secoli dell’immagine dell'Umbria nella sua rappresentazione «reale» e nella sua percezione «ideale», descrivendo come si sia trasformata la realtà regionale alla luce delle modificazioni delle strutture territoriali, degli assetti di potere, delle dinamiche economico-sociali e del panorama culturale tra XVI e XX secolo. Le suddette fonti andranno a costituire la principale linea di sviluppo del tema della ricerca e saranno accompagnate da riferimenti biblio/sitografici di cui i lettori potranno avvalersi per effettuare ulteriori indagini e approfondimenti relativamente agli argomenti affrontati in questa sede. La ricerca si propone di fornire in tal modo materiali direttamente reperibili in rete ed elementi di contesto utili ai fini di una più approfondita conoscenza del territorio umbro, della sua storia e della sua identità.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 1 Parte I

L’UMBRIA TRA IMMAGINE CARTOGRAFICA, PERCEZIONE ERUDITA E REALTÀ POLITICO-AMMINISTRATIVA

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 2 Introduzione

L’Umbria ha raggiunto la sua unità amministrativa solo in epoca recente, ma il suo costituirsi in ente territoriale dai confini ben definiti, la determinazione della sua identità e della sua autonomia sono il frutto di un lungo processo storico-politico risultante dall’accorpamento di una pluralità di territori appartenenti a realtà tra loro molto diverse. L’inesistenza di confini fisici ed etnici ben definiti, l’estrema frammentazione politica e territoriale, la secolare marginalità dell’area umbra1, il caratteristico dualismo, la presenza di un diffuso reticolo di città e l’assenza di un reale polo di attrazione in grado di tenere assieme sotto il piano politico-amministrativo i vari territori hanno determinato nel corso dei secoli la creazione di un realtà territorialmente instabile e indefinita e di un tessuto amministrativo fortemente eterogeneo fatto di poteri feudali, laici e religiosi, autonomie comunali, forti realtà subregionali2. Malgrado i tentativi di centralizzazione e regionalizzazione operati dallo Stato Pontificio per tutta l’età moderna3, solo a seguito della costituzione della Provincia dell’Umbria nel 1860 si può parlare effettivamente di Umbria quale entità politico-amministrativa4. Appare evidente come la regione, venutasi così a creare, sia più il risultato di scelte burocratiche che il frutto di una vicenda unitaria. Nonostante le vicende storiche e politico amministrative mettano in evidenza le difficoltà nel definire, individuare e percepire la regione entro un quadro unitario e sottolineino la mancanza di una reale tradizione storica a sostegno dell’identità regionale dell’Umbria, durante l’età moderna è possibile individuare aspetti ed elementi utili alla ridefinizione del paradigma regionale nell’ottica di una visione più unitaria e di una logica identitaria. Gli sforzi, seppur fallimentari, operati dallo Stato Pontificio nella riorganizzazione dell’assetto territoriale, la discussione sviluppatasi in ambiente colto relativa alla percezione dei confini e alla regione come problema storico e la produzione cartografica di età moderna rappresentano il primo sistematico tentativo di ricomporre la

1 Sul tema della marginalità umbra vedi il saggio di A. Grohmann, Caratteri ed equilibri tra centralità e marginalità, in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, pp. 5-72. 2 H. Desplanques, Campagne umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell’Italia centrale, II, L’organizzazione del territorio, Perugia, Guerra, 1975, p. 142. 3 Per approfondire cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato Pontificio, Bologna, il Mulino, 1983. 4 Cui seguiranno le modificazioni del 1923 e 1927, con le quali, rispettivamente, si decreta la separazione del reatino e la divisione nelle due province di Perugia e Terni. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 3 regione come realtà storica, geografica, culturale e come soggetto politico-amministrativo, benché questo non abbia vanificato dubbi e incertezze sul modo di concepire e percepire l'entità e l'identità regionale5. Sulla base degli studi e dei lavori già esistenti sul tema, nella prima parte del presente lavoro si intende proporre un’analisi geografico-storica che contestualmente ricostruisca e ripercorra l’evoluzione dell’immagine della regione sia nella sua rappresentazione «reale», al fine di descrivere le variazioni dell’articolata e composita struttura territoriale e geopolitica dell’Umbria, tenendo soprattutto in considerazione la storia delle partizioni amministrative e la cartografia storica tra Cinquecento ed Ottocento, sia nella sua percezione «ideale», frutto della visione che dell’Umbria affiora dal contesto socio-culturale del tempo con particolare riguardo all’interpretazione datane da cartografi, geografi, storici ed eruditi. La lettura incrociata delle vicende storico-politiche, della produzione erudita e della documentazione cartografica ci permette non solo di comprendere le ragioni storiche, geografiche, politiche e culturali che hanno impedito all’Umbria di ricomporsi entro tratti identitari certi ed omogenei, ma ci consente anche di individuare i caratteri distintivi del profilo storico-geografico di questa regione, altrimenti «introvabile», e definire gli sviluppi che hanno caratterizzato la raffigurazione e la percezione del territorio regionale in un contesto socialmente e culturalmente più ampio. Lo studio presentato è accompagnato da una rassegna iconografica che riproduce alcune carte geografiche a stampa del territorio regionale realizzate tra XVI e XIX secolo al fine di offrire un raffronto anche visivo di quella che è stata l’evoluzione della rappresentazione e della percezione dell’Umbria e dei suoi confini nel corso dei secoli dell’età moderna. Ogni carta è accompagnata da relativa descrizione e associata ad un numero che ricorre, tra parentesi quadre, ogni qual volta nel corso della trattazione si fa riferimento alla relativa tavola presente nella raccolta. Integra il catalogo un’appendice che raccoglie la sintetica descrizione di una più ampia selezione di carte, realizzate e pubblicate da alcuni dei più noti cartografi, incisori ed editori tra XVI e XIX secolo, raffiguranti la regione e alcuni dei suoi territori.

5 Sul tema delle regioni italiane come problema storico vedi L. Gambi, Le «regioni» italiane come problema storico, in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, pp. 9-33. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 4 Umbria: regione «ideale» e regione «reale»

Il percorso che ha portato alla costituzione della regione Umbria, così come oggi la conosciamo, è stato lungo e non privo di incertezze, caratterizzato da una sostanziale difficoltà a riconoscere in essa un’entità rappresentativa di un’identità e di un’unità storica, politica, geografica, economica, culturale ed etnica. Se da un lato non è errato affermare che l’«idea» di Umbria inizia di fatto a configurarsi sin dall’epoca pre-romana, quando gli Umbri, antica popolazione della penisola da cui la regione prende il nome, ripiegarono nell’area compresa tra Tevere, Nera e Appennino a seguito dell’espansione etrusca e delle prime invasioni celtiche in Val padana6, e che il primo tentativo di costruzione di un’entità territoriale amministrativa che in sé racchiude il nome Umbria risale già all’età imperiale con l’istituzione della regio VI augustea, descritta anche da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia come la regione «che comprende l’Umbria e il territorio dei Galli al di qua di Rimini»; dall’altro è pur vero che il cristallizzarsi di evidenti elementi di discontinuità e instabilità, apparsi sin dall’origine della sua storia, così come le destabilizzanti vicende del Medioevo e la costituzione prima dei grandi comuni e poi delle signorie tre-quattrocentesche hanno svolto un’azione fortemente disgregante del tessuto territoriale, riducendo la regione ad un insieme di particolarismi, autonomie e poteri che hanno impedito a lungo ogni possibile tentativo di «regionalizzazione» politica e/o culturale ricollegabile alla moderna accezione di Umbria. Solo a partire dal XVI secolo si cerca di dare per la prima volta un contenuto a questa «idea» e una forma a questa entità così difficile da definire a causa dell’indefinitezza, della complessità e della marginalità che hanno caratterizzato il contesto umbro nel corso dei secoli.

6 Prima dell’arrivo degli Etruschi e dei Celti il territorio occupato dagli Umbri era molto più ampio dell’attuale territorio regionale, si estendeva ad est fino all’Adriatico, a nord raggiungeva la pianura del Po, a sud toccava la Lucania. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 5 Il dualismo umbro tra età antica e Medioevo Sin dall’antichità iniziano a manifestarsi quei limiti e quegli ostacoli che a lungo hanno pregiudicato la formazione di una regione dai caratteri più omogenei e unitari, a partire da quella dualità che, come nota Desplanques, sarà destinata a non scomparire mai completamente7. Già dal tempo degli Umbri e degli Etruschi si costituisce alla destra del Tevere una regione occidentale, patria degli Etruschi, in grado di stabilire più facilmente contatti con le contigue aree della Toscana e con il mare, alla sua sinistra una regione orientale, terra degli Umbri, più isolata e chiusa ai rapporti economici e culturali. La sconfitta dei due popoli italici ad opera dei romani nella battaglia del Sentino del 295 a.C sembra inserire il territorio in una politica più omogenea, ma la disfatta del Trasimeno per mano di Annibale nel 217 a.C. riaccentua il dualismo territoriale8. Anche la partizione amministrativa dell’Italia attuata dall’imperatore Augusto scompone il territorio regionale in più aree, identificando con il termine Umbria uno spazio più vasto dell’attuale che a grandi linee coincide con il territorio occupato in epoca precedente dagli Umbri. La regio VI augustea si costituisce di fatto in due subregioni separate dagli Appennini: ad ovest della catena montuosa l’Umbria propriamente detta – che però esclude Perugia, situata in Etruria (regio VII) –, e Norcia – inclusa nel Sannio (regio IV) –, e si estende fino ad Otricoli e al Casentino; ad est, lungo la costa adriatica, il cosiddetto ager Gallicus, compreso tra Rimini ed Ancora. La riorganizzazione amministrativa voluta da Diocleziano nel III secolo, che opera la distinzione tra la regione Flaminia et Picenum ad est e ad ovest l’area prima chiamata Tuscia et Umbria, poi semplicemente Tuscia, porta ben presto alla perdita dell’individualità amministrativa della regione e alla scomparsa, fino alla fine del XV secolo, del suo stesso nome. Tra V e XI secolo il grado di frammentazione territoriale viene enfatizzato dal decadimento delle campagne coltivate, dalla crisi delle strutture urbane sorte lungo i grandi assi di collegamento e dal susseguirsi delle invasioni barbariche dei Visigoti e degli Ostrogoti, dalla conquista bizantina e dall’occupazione longobarda. Durante l’Alto

7 Cfr. H. Desplanques, Campagne umbre, cit., pp. 141-145. 8 Nonostante la sconfitta del Trasimeno gli Umbri seguiranno per secoli le sorti del mondo romano, la cui influenza è ancora oggi evidente nella struttura di molte città umbre quali Terni, , Foligno e Città di Castello; in età romana nascono o rifioriscono città di rilievo come Tifernum, Iguvium, Perusia, Asisisum, Spoletium e Tuder; vaste aree paludose vengono prosciugate; viene tracciata la via Flaminia che collega Roma alla costa adriatica e che rivestirà notevole importanza anche nei secoli a venire; vengono fondate colonie; inoltre la centuriazione romana a Spello, Gubbio e Gualdo Tadino è tuttora testimoniata dal disegno particellare delle campagne. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 6 Medioevo la discesa dei Longobardi in Umbria porta ancora una volta alla divisione della regione in due blocchi ben distinti: il ducato longobardo di Spoleto e il corridoio bizantino, una stretta fascia di terra dell’Esarcato creata per collegare Ravenna con Roma e in cui rientrano centri quali Perugia, Gubbio, Orvieto, Narni, Amelia e . Perugia, fatta eccezione per un breve periodo di occupazione, viene salvata dall’invasione longobarda e rimane sotto il dominio bizantino sino all’VIII secolo quando entra nella sfera di influenza del papato. Il Ducato di Spoleto è l’unica parte della regione a mantenere per circa seicento anni una forte unità e una certa autonomia sia rispetto al papato che all’Impero9.

La riscoperta del nome Per tutto il Medioevo l’antica denominazione della regione, che identificava il territorio abitato dagli Umbri e che in età augustea individuava la regio VI, scompare, per riapparire solo sul finire del XV secolo grazie all’umanista Flavio Biondo che nella sua Italia Illustrata descrive la «regione chiamata da’ gli antichi Umbria, e da’ moderni il ducato di Spoleto»10. Il Biondo identifica con il termine Umbria solo la parte della regione coincidente con il Ducato di Spoleto, escludendo le aree poste alla destra del fiume Tevere. Come si vedrà ampiamente più avanti, questa sinonimia avrà molta fortuna, anche nella cartografia, tanto che si assisterà fino alle soglie del XIX secolo ad una identificazione condivisa e pressoché universalmente riconosciuta – fatta salva qualche eccezione – tra Umbria e Ducato spoletino che influenzerà di conseguenza anche il modo di percepire e rappresentare la regione11. Secondo l’opinione formulata da Renzo Paci e condivisa anche da Roberto Volpi, il nome di Umbria sarebbe invece ricomparso proprio nel XVI secolo ed inserito nel titolo del legato-governatore di Perugia (gubernator civitatis Perusinae et Provinciae Umbriae) con l’intento di fare della città il punto di riferimento della centralizzazione voluta dal governo centrale della Santa Sede.

9H. Desplanques, Campagne umbre, cit., p. 143. Fondato dai Longobardi nel 571 e annesso allo Stato della Chiesa sotto Innocenzo III, il Ducato comprendeva a grandi linee tutta la parte dell’attuale Umbria situata alla sinistra del Tevere, più alcune località che oggi appartengono alle Marche, come Sassoferrato e Visso. 10F. Biondo, Roma ristaurata, et Italia illustrata di Biondo da Forlì. Tradotte in buona lingua volgare per Lucio Fauno, in Venetia, per Michele Tramezzino, 1543. 11Il nome del Ducato si ricollega anche a quello di Valle di Spoleto o Valle Umbra, la quale va a identificare non solo la pianura attorno a Spoleto, ma tutto il bacino Assisi-Foligno-Spoleto (cfr. H. Desplanques, Campagne umbre, cit., p. 145). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 7 L’Umbria nelle partizioni amministrative del Cinquecento Nel Cinquecento la città di Perugia viene privata di ogni velleità autonomistica, ma in virtù della sua posizione e del suo prestigioso passato, viene individuata dal papato come nuovo polo del potere politico-amministrativo della «regione» ed elevata al rango di capoluogo della provincia. Dopo la breve parentesi di autonomia del 1527 che aveva portato al recupero del dominio del contado, alla distruzione delle prigioni del legato e alla creazione di un Consiglio perpetuo di cinquecento cittadini, la cosiddetta «guerra del sale» del 1540 sancisce il passaggio definitivo di Perugia sotto il dominio pontificio, passaggio simboleggiato dalla costruzione della monumentale Rocca Paolina per volere di papa Paolo III12. Ora l’intera storia della regione si lega inevitabilmente a quella dello Stato della Chiesa, a cui rimarrà soggetta fino al XIX secolo, venendo interessata da quel processo di centralizzazione assolutistica attuato dal papato volto a limitare o ridurre le autonomie locali, anche se questo non eliminerà spinte indipendentistiche e persistenze feudali13. Sebbene le notizie e i documenti relativi all’estensione e modificazione dell’antico contado e distretto perugino siano piuttosto scarse per il periodo alto medievale appare evidente il crescente potere della città di Perugia che grazie a riconoscimenti, atti ufficiali e sottomissioni raggiunge tra XII e XIII secolo un’estensione che a nord arriva fino a Città di Castello e Gubbio, a ovest fino al lago Trasimeno e Città della Pieve, a est raggiunge Nocera e Gualdo fino alla via Flaminia. Intorno alla metà del XIV secolo i confini soprattutto verso est e sud tendono a subire variazioni a causa delle frequenti lotte con Foligno, Assisi, Todi e Spoleto, mentre le liste di ville e castelli tributari del perugino a partire dalla seconda metà del Trecento fino al Cinquecento rivelano come i confini del contado perugino corrispondessero sostanzialmente a quelli indicati nella rappresentazione del cartografo Egnazio Danti e nella relazione di monsignor Innocenzo Malvasia del 1588-9014, disposta

12 Sulla guerra del sale L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860 a cura di G. Innamorati, II, Dal 1485 al 1860, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1960, pp. 126-150; R. Chiacchella, Per una reinterpretazione della «guerra del sale» e della costruzione della Rocca Paolina in Perugia, «Archivio Storico Italiano», 145 (1987), pp. 3-60. 13 Si rimanda all’intervento di R. Paci, La ricomposizione sotto la Santa Sede: offuscamento e marginalità della funzione storica dell’Umbria pontificia in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, pp. 207-225, in cui l’A. valuta l’impatto che la politica centralizzatrice dello Stato Pontificio ha avuto sulle varie realtà cittadine della regione a livello delle strutture amministrative, sociali ed economiche tra XVI e XIX secolo. Sulla storia di Perugia tra XVI e XIX secolo cfr. L. Bonazzi, Storia di Perugia, cit. 14 Cfr. A. Grohmann, Città e territorio tra Medioevo ed età moderna (Perugia, secc. XIII-XVI), II, Il territorio, Perugia, Volumnia, 1981, pp. 585-589. Per uno studio approfondito del territorio perugino tra documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 8 per ordine di Sisto V nell’ambito dell’iniziativa che prevedeva l’invio di un visitatore in tutte le province dello Stato Pontificio e rientrava nell’opera di riorganizzazione centralistica del dominio ecclesiastico. Tuttavia il tentativo del papato di creare una regione con Perugia capoluogo risulta essere questione alquanto complessa. Il governo provinciale deve fare i conti con una fitta trama di città e cittadine che danno vita ad un quadro disomogeneo sia sotto l’aspetto amministrativo, non permettendo di garantire un controllo effettivo sul territorio vista la sopravvivenza di particolarismi municipali e nobiliari, sia a livello normativo e di adeguamento delle strutture burocratiche. Il tentativo di centralizzazione operato dallo Stato Pontificio per permettere una più uniforme gestione dell’area infatti risulta non essere sufficientemente efficace vista l’esistenza di realtà locali che si configurano ognuna come centri di potere, che rivendicano una propria identità e una propria autonomia anche in ambito legislativo – basti pensare alla lunga permanenza degli statuti, anche in età moderna. La realtà regionale è oltretutto resa «più complessa dalla compresenza accanto alle città di feudi grandi e piccoli, antichi e recenti […], o addirittura di oasi di libertà come quella di Cospaia, piccolo villaggio sul confine toscano dimenticato fino al 1826 dallo Stato Pontificio per la sua stessa marginalità»15. L’incertezza nella definizione degli assetti politico-amministrativi dello Stato della Chiesa è quindi frutto della debolezza e dall’artificiosità della struttura territoriale, minata da forti interessi e particolarismi locali, oltre che delle diversità geomorfologiche, economiche e sociali dei territori periferici riuniti. L’artificiale configurazione geopolitica delle «regioni» pontificie non permette di superare quella che è la mentalità corrente dell’epoca, dominata da una visione «municipalistica», ereditata dal periodo delle autonomie comunali. Per lenire lo scarto tra la «regionalizzazione» voluta dal potere centrale e un «regionalismo» locale (frutto di dinamiche di carattere storico-politico, economico, sociale e culturale) che si lega alla difesa di autonomie e interessi da parte delle

Medioevo e Rinascimento cfr. ivi, pp. 585-1178. Un particolare studio relativo alla distribuzione delle ville e dei castelli nei cinque Rioni in cui è ripartito il distretto e il contado perugino è offerto da A. Bellucci, L’antico rilievo topografico del territorio perugino misurato e disegnato dal p. Ignazio Danti, «Augusta Perusia. Rivista di topografia, arte e costume dell’Umbria», II, 5-6 (1907), pp. 89-92; II, 7-8 (1907), pp. 118-126, in cui l’A. descrive, grazie all’esame di cinque diverse Rassegne del XIV e XV secolo, come il territorio perugino si è andato allargando e consolidando, prendendo come base la carta disegnata da Egnazio Danti alla quale ha aggiunto in colore rosso tutte le informazioni desunte da documenti legislativi circa la distribuzione amministrativa di ville e castelli. Sulla visita di Monsignor Malvasia in Umbria cfr. G. Giubbini e L. Londei, Ut bene regantur. La visita di mons. Innocenzo Malvasia alle comunità dell’Umbria (1587) – Perugia, Todi, Assisi -, Perugia, Volumnia, 1994. 15 R. Paci, La ricomposizione sotto la Santa Sede, cit., p. 213; cfr. A. Ascani, Cospaia. Sotria inedita della singolare repubblica, Città di Castello, s. n., 1965. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 9 élites cittadine, il governo centrale non può certo ignorare gli assetti politici ed istituzionali preesistenti, né prescindere dal consenso delle forze locali di periferia, espressione dei ceti dominanti, i quali si configurano come principali interlocutori del potere centrale, che tende così a disciplinare i rapporti con l’Umbria attraverso una serie di regolamentazioni pattizie, soprattutto con le singole città, che per tutto il periodo di antico regime riescono sostanzialmente a mantenere in vita le peculiarità dei vari territori, le loro gravitazioni economiche e geografiche, così come le loro consuetudini amministrative e tradizioni identitarie16. L’entrata di Perugia nell’orbita papale segna la fine del dominio sulla città della nobile famiglia dei Baglioni, ma ancora nel 1559 esiste di fatto uno «stato dei Baglioni», seppur ridotto a Spello, Cannara, Collemancio e Collazzone, la cui presenza, anche se su un’area ancora più ristretta, si protrarrà fino alla metà del secolo successivo17. Nel volume Le regioni introvabili, Roberto Volpi descrive così la situazione territoriale-amministrativa della regione nel primo quindicennio della seconda metà del Cinquecento: Gualdo Tadino è un covo di banditi e fuoriusciti, i governatori di Todi e Spoleto sono sostanzialmente autonomi, il governatore di Assisi parteggia per i Baglioni e quello di Terni viene destituito dal papa vista la sua incapacità nel gestire i disordini della città. Tra 1559-60, sotto il governo dell’arcivescovo di Rossano, futuro papa Urbano VII, Todi e Spoleto non rientrano più nella legazione; il Perugino, Terni, la Valtopina, Nocera, Sassoferrato, Castel della Pieve, Panicale e Bastia dipendono dal governo provinciale, ma Assisi, Trevi, Montefalco,

16 Per il governo provinciale non è quindi facile imporre il proprio dominio e far riconoscere la propria supremazia su una realtà territoriale di più ampio respiro, data la composita natura della costruzione amministrativa della provincia, che si realizza attorno alla figura del legato-governatore perugino, ed è costituita da aree che, anche se nominalmente sottoposte alla sua giurisdizione, tendono a gravitare verso le aree circostanti o sono riconosciute titolari di diritti, privilegi e autonomie che finiscono con il minare ed indebolire l’autorità del governatore provinciale. Cfr. R. Chiacchella, Regionalismo e fedeltà locali. L’Umbria tra Cinque e Settecento, Firenze, Nerbini, 2004.; il saggio di M. Caravale, La deputazione umbra e la storia locale italiana. L’Umbria nello Stato Pontificio, in P. Pimpinelli e M. Roncetti (a cura di), Una regione e la sua storia. Atti del Convegno celebrativo del Centenario della Deputazione (1896- 1996) (Perugia, 19-20 ottobre 1996), Perugia, s. n., 1998, pp.117-133 che offre una panoramica dei rapporti istituzionali che legarono la regione umbra allo Stato Pontificio in età moderna; la monografia di B.G. Zenobi, Le «ben regolate città». Modelli politici nel governo delle periferie pontificie in età moderna, Roma, Bulzoni, 1994, in cui l’A. delinea i tratti politici e istituzionali dello Stato Pontificio grazie all’esame delle realtà cittadine e del ruolo assunto dai patriziati locali nella definizione dei rapporti tra potere centrale e governo delle periferie pontificie di antico regime. Sulle classi dominanti a Perugia nel periodo pontificio cfr. E. Irace, Il ceto eminente pontificio tra governo della città e itineranza professionale: Perugia nel Cinquecento e nel Seicento, «Proposte e ricerche», 32, 1 (1994), pp. 30-45; Id., La nobiltà bifronte. Identità e coscienza aristocratica a Perugia tra XVI e XVII secolo, Milano, Unicopli, 1995. 17 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 69-70. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 10 Amelia, Cascia, Cerreto e Monteleone non ne fanno più parte, affidate a rappresentanti di singoli cardinali; Città di Castello viene sganciata dal governo provinciale di Perugia da Pio IV nel 1560. Come però risulta da un’ispezione effettuata solo cinque anni più tardi da Cipriano Piccolpasso, provveditore della provincia per la fortezza di Perugia, ed esposta nell’opera Le piante et i ritratti delle città e terre dell’Umbria sottoposte al governi di Perugia18, la situazione è nettamente cambiata. Città di Castello e buona parte dell’Umbria ad est del Tevere sono di nuovo sotto il governo di Perugia, ad eccezione di Gubbio, sotto il Ducato di Urbino; Fossato e Sigillo sono considerate castelli di Perugia; la legazione comprende inoltre Trevi, S. Lorenzo, Picciche, Visso, Cerreto e Cascia, a sud include Terni19, Narni e Rieti; Todi rientra in Umbria, mentre Amelia e Orvieto fanno parte del Patrimonio. Non viene incluso il marchesato di Castiglione e il Pievese20, ma Piegaro, Panicale e Paciano sono riconosciuti castelli di Perugia21. Con monsignor Monte Valenti (1574-1576) l’autorità del governo provinciale tende a consolidarsi grazie all’accentramento nelle sue mani dell’amministrazione della giustizia sottratta a governatori e podestà locali22 e ai fermi richiami rivolti ai governatori più irrequieti, come quelli di Foligno, Assisi, Nocera e Sassoferrato, anche se ciò non porta all’assoluto riconoscimento della sua autorità da parte dei centri sottoposti al suo governo e

18 Cfr. C. Piccolpasso, Le piante et i ritratti delle città e terre dell’Umbria sottoposte al governo di Perugia, a cura di G. Cecchini, Roma, s. n., 1963. 19 A seguito dei gravi fatti di sangue avvenuti in città nella notte del 22 agosto 1564 nello scontro tra «banderari» e nobili, papa Pio IV inviò in qualità di Governatore e Commissario per Terni, Monsignor Monte Valenti, che attuò una dura repressione che portò alla perdita per la città di ogni autonomia fiscale e all’assoggettamento del consiglio ad un governatore designato da Roma. Sulla rivolta dei banderari cfr. L. Silvestri, Collezione di Memorie Storiche tratte dai protocolli delle antiche riformanze della città di Terni dal 1387 al 1816 relative al suo stato politico morale civile industriale ed ai suoi rapporti colle altre città e luoghi convicini non che alla storia contemporanea. Parte prima, 4. ed., Arrone (TR), Thyrus, 2004, pp 304-306; V. Pirro, La rivolta dei Banderari, in M. Giorgini (a cura di), Terni. Storia Illustrata delle città dell’Umbria, 2 v., Milano, Sellino, 1993, I, pp. 115-124. 20 Il marchesato di Castel della Pieve, Chiusi e Castiglione fu creato da Pio IV a favore di Ascanio della Corgna. Castel della Pieve ne uscì dopo poco e nel 1590 il Pievese fu sottoposto ad un governatore dipendente dalla S. Consulta e si scisse dall’Umbria fino alla fine del Settecento. Il marchesato venne trasformato in ducato nel 1617 e solo nel 1647 tornò alla Camera apostolica, vivendo un periodo di relativo splendore e di piena autonomia da Perugia. Cfr. M.G. Donati Guerrieri, Lo Stato di Castiglione del Lago e i della Corgna, Perugia, Grafica, 1972. 21 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 70-72. 22 Cfr. T. Valenti, L’epistolario di mons. Monte Valenti da Trevi governatore di Perugia e dell’Umbria (1574-1575), «Bollettino della Regia Deputazione di Storia Patria per l’Umbria», 32, 86-88 (1934), XVI, 210 pp. Dall’epistolario emerge la figura di un uomo risoluto, fermo e severo nel ristabilire l’ordine nell’amministrazione dei vari comuni della provincia, così da far «ripigliare» al governo di Perugia «un poco di dignità e reputazione», visto che questa, a quanto scrive il Valenti, si era ridotta «a una mera e semplice Podesteria», aggiungendo che altrimenti non si sarebbe più detto «Gubernator Perusiae et Umbriae», ma «Umbrae», non essendo più «veramente governo, ma ombra». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 11 non pone fine a tentativi autonomistici e spinte centrifughe verso le aree confinanti 23. Sotto il suo governo comunque il territorio della legazione si amplia, includendo anche Gualdo Tadino e Monteleone di Spoleto e sul finire del secolo il potere del governatore è esteso anche a località come Bastia, precedentemente gravata da vincoli feudali24. La relazione redatta da mons. Malvasia qualche anno dopo, nel 1588-90, ben descrive la nuova realtà amministrativa della regione. Da questa emerge che dentro ai confini della provincia rientrano

dodici città et un buon numero di terre principali senza le castella di minor consideratione al numero di mille et più et senza le ville che di gran lunga eccedono. Le città sono Riete, Camerino, Nocera, Foligno, Todi, Perugia, Città di Castello, Assisi, Spoleto, Terni, Narni, Amelia; terre principali sono primieramente: Norcia, Spello et Bevagna, le quali già furono città per testimonio di Plinio et di Tito Livio […]; et al presente ancora mostrano una certa sembianza di città, considerata la grandezza di detti luoghi […]. L’estreme parti della provincia dell’Umbria sono: da levante la città di Riete, Monteleone, Cascia, Norcia, et Arquata, che confinano con […] luoghi dell’Abruzzo et […] della Marca; da settentrione Visse et Camerino et Sassoferrato che confinano con […] luoghi della Marca et […] stato del Duca d’Urbino; et tra settentrione e ponente vi è Città di Castello, che dalla parte settentrionale confina con […] luoghi di gentil huomini ugubbini, vassalli del signor duca d’Urbino et con Borgo San Sepolcro del granduca; da ponente vi è Perugia che confina parte con Cortona, parte con Chiusi et parte con Orvieto; da mezzo giorno Calvi, Orta et Otricoli sono l’ultimo suo termine che confinano con diversi luoghi della Sabina. Terre mediterranee, così chiamo quelle che sono poste nel mezzo della provincia, non a’ confini, sono Foligno, Todi, Spoleto, Assisi, Nocera, Terni, Narni, Spello, Bevagna, Montefalco, Trevi, Gualdo et altre che saria troppo lunga cosa il raccontarle25.

Per quanto concerne l’effettiva autorità del governatore di Perugia all’epoca di Malvasia, quest’ultima si estende alla città e al suo contado, a Castiglion del Lago, Montefalco, Trevi, Marsciano, Nocera, Gualdo e Sassoferrato, oltre che sui governatori di Foligno, Todi e Assisi che però cercano di sottrarsi per quanto possibile alla sua preminenza; nessuna giurisdizione viene invece esercitata su Spoleto e sulle altre città della parte meridionale della provincia come Terni, Amelia e Narni – i cui governatori dipendono direttamente da Roma -, su Città di Castello e sui territori inclusi nella «prefettura della Montagna» che comprende Norcia, Cascia, Visso, Monteleone, Cerreto e Poggiodomo,

23 In una lettera inviata il 20 agosto 1574 al cardinale Guastavillani mons. Monte Valenti si lamenta del fatto che i «governatori et officiali» non riconoscano la sua autorità «se non pro forma», non avvisando il governatore di quanto succede giornalmente. In particolare «il governatore di Assisi, il più freddo et inesperto officiale che sia in questo governo dà ad intendere di non haver niente che fare con questa corte», per questo non avvisa né delle piccole cose, né delle grandi, come omicidi e cause capitali (T. Valenti, L’epistolario, cit., p. 80). 24 R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., p. 73. 25 G. Giubbini e L. Londei, Ut bene regantur, cit., p. 57. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 12 governati da un prelato con titolo di prefetto26.

L’immagine della regione nella cartografia e nella geografia del XVI secolo Per tutto il XVI secolo cartografi e geografi faticano ad inquadrare la reale situazione territoriale. Nelle rappresentazioni cartografiche cinquecentesche la «regione» infatti risulta essere più il frutto di una permanenza storico-culturale che si rifà alle fonti classiche e alla tradizione medievale, che il risultato delle dinamiche e degli sviluppi della realtà politico- amministrativa. In generale l’estrema dinamicità e mutevolezza delle varie compagini territoriali dovute a permute, convenzioni, conflitti, ingerenze, poteri giurisdizionali incerti o non riconosciuti aveva spinto molti cartografi e geografi a rifiutare un inquadramento delle regioni entro limiti rigidi e ben precisi. Alla fine del XV secolo Flavio Biondo nella sua corografia dell’Italia sostiene che la regione è una realtà che muta nel tempo, per cui non ritiene l’Italia presente ragguagliabile a quella antica27; anche il noto cartografo Giovanni Antonio Magini sul finire del secolo successivo a prefazione della raccolta cartografica Italia pone una breve «Descrizione historica dell’Italia» che si sofferma sulle «varie divisioni dell’Italia secondo le mutazioni de’ tempi», ma, a differenza del Biondo, Magini prosegue illustrando anche il fine che intende perseguire nel corso della sua opera e cioè la «divisione hodierna dell’Italia secondo il Dominio de i potentati c’hoggidi la governano». Come dimostrano le stesse parole del cartografo padovano tra Cinquecento e Seicento, seppure sussista quel carattere generale di incertezza legato alla definizione del territorio regionale, si registra un progressivo mutamento di approccio al tema delle «regioni» italiane. Infatti, nonostante nel dibattito prevalga un’impostazione che privilegia il ricorso alla tradizione dotta, con la metà del secolo – e soprattutto proprio a seguito della diffusione dell’Italia del Magini – inizia a svilupparsi un certo interesse per la definizione dei confini

26Ivi, p. 40. In particolare Città di Castello riesce ad ottenere una certa autonomia dal governo provinciale, staccandosi in maniera definitiva nel 1593, così che il Tifernate nei due secoli a seguire sarà considerato sia nella pubblicistica che nella prassi amministrativa provincia a parte; Spoleto rifiuterà con decisione la subordinazione al governo di Perugia e di fatto la sua inclusione nella legazione rimarrà semplicemente formale, non andando ad intaccare la sua autonomia. Invece, l’area del Nursino e zone circostanti per ragioni storiche e geografiche tenderanno per lo più a gravitare verso aree più vicine, come il Ducato di Camerino o l’Abruzzo (cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 74-78). 27L’Italia Illustrata offre una descrizione delle diciotto regioni continentali individuate dal Biondo principalmente sulla base del trattato di Plinio, oltre che su un’ampia varietà di testi di altri autori antichi (Strabone, Tolomeo, Anonimo Ravennate, ecc.), che tuttavia in taluni casi non manca di verificare e aggiornare alcuni dei dati indicati dagli antichi geografi. Si tratta di un’opera non solo compilativa, ma anche di cernita critica che intende definire i mutamenti occorsi nel tempo. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 13 politici e amministrativi dei territori. Anche per quanto riguarda l’Umbria questa discussione da un lato trova fondamento nella tradizione erudita, dall’altro esprime una concezione che si propone di registrare i mutamenti derivanti dal consolidamento del potere pontificio, che, nell’ambito del proprio disegno accentratore, spingeva verso la formazione di strutture territoriali centralizzate ed efficienti così da superare le frantumazioni comunali e i residui feudali. In questo dibattito si inserisce innanzitutto il contributo di Flavio Biondo che nella sua opera, Italia Illustrata, per la prima volta dopo secoli riprende il termine Umbria per identificare, sulla scorta della tradizione dotta, la regione compresa tra Appennini, Tevere e Aniene, coincidente con l’antico Ducato di Spoleto (Umbria sive Ducatus Spoletanus), collocando l’Orvietano e il Perugino in Etruria. Secondo il Biondo, a nord l’Umbria comincia con i castelli di Montedoglio e Pratolino, include , Città di Castello e Gubbio, a est lo spartiacque appenninico segna il confine con la Marca e vi rientrano sicuramente Cerreto, Cascia, Triponzo, Norcia, Leonessa, Visso, Scheggino, Arrone, Rieti e il lago di Piediluco. Più incerta è l’attribuzione dell’area al di là di Otricoli «ultra quod Sabinae fines Tyberim attingunt»28, Sabina, che, sulla base di quanto detto, è da considerarsi parte dell’Umbria, ma alcuni elementi, quali l’importanza della regione nei tempi antichi e l’eccezionalità del paesaggio, spingono l’autore forlivense a proporne una specie di trattazione a parte. Traggono ispirazione dal Biondo il Breviarium di Zaccaria Lilio, che però attribuisce più decisamente il Vettore alla Marca e riconnette all’Umbria la Sabina, e la Cosmographia universale del tedesco Sebastian Münster. Anche il veneto Domenico Mario Nigro si muove sulla scia tracciata dal Biondo anche se considera due regioni nettamente distinte l’Umbria e la Sabina e sotto il peso della tradizione colta pone Norcia in Sabina, mentre Cascia, Leonessa e Rieti sono considerate umbre e Amatrice e Accumuli sono elencate come centri della Marca. La divisione in regioni adottata da Raffaello Maffei, detto il Volaterrano non ricalca invece quella del geografo forlivense. Sull’Umbria Maffei sembra discostarsi dalle fonti classiche, offrendo della regione una visione più aggiornata. L’Umbria viene così distinta dalla Sabina, incerta rimane l’attribuzione di Narni, Terni e Norcia, mentre Otricoli viene indicata come località umbra. Come il Biondo, anche il bolognese Leandro Alberti nell’opera Descrittione di tutta Italia pone Perugia in Toscana, ma in merito all’Umbria non accetta la sua assoluta identificazione con il Ducato di Spoleto, infatti nella

28 Citazione tratta da R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., p. 14. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 14 sua trattazione non manca di sottolineare come in realtà «al presente per maggior parte ella è dimandata Ducato di Spoleto»29 e vi include Città di Castello, Gubbio, Assisi, Norcia, Terni e la Sabina30. Singolari eccezioni nella definizione del territorio regionale sono rappresentate dalla descrizione della regione fornita da Alessandro Andrea che, nell’opera Della guerra di campagna di Roma, nota come il Ducato sia posto in Umbria e non si identifichi quindi con l’intero territorio regionale, e, nel panorama della cartografia regionale, dalla Carta d’insieme dell’Umbria [4] elaborata da Cipriano Piccolpasso. La sua tavola ripropone da un punto di vista tecnico l’impostazione dei coevi prodotti a stampa, ma sotto l’aspetto geopolitico rompe con gli standard tradizionali dell’epoca. La sua raffigurazione pone l’accento su due confini politici, quelli con lo «stato di Fiorenza» e con lo «stato di Urbino» e soprattutto accorpa all’Umbria il Perugino, scelta che per lungo tempo non verrà più riproposta e che tantomeno trova riscontro nelle carte pubblicate in alcuni dei più noti atlanti della seconda metà del secolo, dal Theatrum orbis terrarum di Abraham Ortelius (vedi Territorio di Perugia. Perusia [10]), allo Speculum orbis terrarum di Gerard De Jode, fino alle molteplici pubblicazioni del Mercator (Gerard Kremer) tra cui la Italiae, Sclavoniae et Greciae tabulae geographicae, dove il Perugino viene aggregato sistematicamente alla Tuscia o Etruria31, come risulta dalle tavole della Tuscia e della Marchia Anconitana cum Spoletano Ducatu [7]. Tra XV e XVI secolo la cartografia grazie alle scoperte geografiche, alle nuove conoscenze della cartografia nautica, alla riscoperta della Geografia di Tolomeo, all’invenzione della stampa, alla crescente domanda di informazioni e per ragioni di natura politica e militare conosce un significativo sviluppo. Dal XVI secolo in poi la scienza cartografica viene maggiormente incontro all’esigenza di descrizione e raffigurazione del territorio che si lega alla costruzione dello Stato moderno, il quale deve rispondere anche a necessità di pianificazione e controllo del territorio sotto l’aspetto amministrativo e fiscale: la cartografia diviene quindi un «servizio di stato»32. La carta inizia così a dimostrarsi più 29 L. Alberti, Descrittione di tutta Italia di F. Leandro Alberti bolognese, nella quale si contiene il sito di essa, l’origine, Et le Signorie delle Città, & delle Castella, co i nomi Antichi, & Moderni, i Costumi de’ Popoli, le conditioni de Paesi. Et più, gli huomini famosi, che l’hanno Illustrata, i Monti, i Laghi, i Fiumi, le Fontane, i Bagni, le Minere, con tutte l’opre meravigliose in lei dalla Natura Prodotte, in Vinegia, Appresso Pietro de i Nicolini da Sabbio, 1551, c. 72 v. 30 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 13-22. 31 R. Volpi, L’Umbria nella cartografia, cit., p. 20. 32 C. Migliorati, La cartografia dell’Umbria nei secoli XVI-XVIII, in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 15 attenta agli scopi della committenza, diventando, sempre più, espressione diretta del potere che utilizza le immagini geografiche e cartografiche anche con lo scopo di costruirsi un’identità e un’unità, spesso fittizia, facendo leva sulla «funzione pubblicitaria e psicologica» delle carte33, trasformate in strumenti ideologici di consenso e di propaganda. Per volere degli stessi governi si ordinano rilievi sul territorio che tra l’altro daranno un significativo impulso allo sviluppo della cartografia regionale. Per quanto riguarda l’Umbria, la Descrittione del territorio di Perugia Augusta e dei luoghi circonvicini [3], stampata a Roma nel 1580 da Mario Cartaro e disegnata sulla base di rilievi effettuati da Egnazio Danti nel 1577, è la prima specifica carta a stampa della regione. Fu commissionata dai signori di Perugia e mons. Ghisleri, governatore della Romagna, probabilmente con l’intento di distinguere il territorio Perugino dalla Toscana, nell’ambito della quale era solitamente raffigurato, oltre che di descrivere il dominium della città. I rilievi effettuati dal Danti per la realizzazione della suddetta tavola costituiscono anche la base della nuova versione della stessa carta inserita nel Theatrum orteliano del 1584, Perusini agri [6], della grande pittura murale eseguita da Egnazio Danti per l’Aula del Palazzo del Governatore di Perugia34, andata perduta nel 179835, e di alcuni degli affreschi

rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, p. 98. 33 Cfr. G. Mangani, Introduzione, in A. Ortelio, Teatro del mondo, Firenze, Istituto Geografico Militare, 2008, pp. XIII-XV. 34 Nella lettera inviata al priore don Vincenzo Borghini, Egnazio riferisce del lavoro da lui realizzato a Perugia nell’estate del 1577: «Trovandomi questa state a Perugia per cagione di visitare mio fratello amalato, fui richiesto da quei signori et dal Governatore di fare la Corografia di quel contado, il che misi in esequitione, levandone la pianta in 28 giornate; notai ogni cosa segnalata, et ritrassi poi di penna in mano ogni cosa dal naturale, i monti, i fiumi principali et fabriche segnalate, specialmente de’ castelli che ce ne sono 223, con un pezzo di via Flaminia, et dieci commendi di che rendono ai 7000 scudi, et due di Santo Stefano con undici altre badie. Notavo poi luogo per luogo la qualità dell’aria, l’acque, le terre, quello che si producevano, il governo de’ castelli, se erano de’ signori particulari, et gli abitatori a che più attendevano et simili altre cose. Con la quale diligenza feci poi in Perugia nel Palazzo un quadro sulla calcina disegnato con la punta del pennello et con li monti ombrati, et colorito poi d’acquerelli, grande 15 piedi, ove feci poi tutte le strade principali di colore bianco, et la divisione de’ quartieri di linee rosse». In una annotazione aggiunta nell’edizione del 1586 dell’opera Trattato del Radio Latino, in cui descrive con ampi commenti lo strumento ideato da Latino Orsini chiamato «radio latino» «per prendere qual si voglia misura, et positione di luogo tanto in cielo come in terra», il Danti ci fornisce ulteriori dati in merito ai suoi lavori topografici, informando di aver fatto uso di questo pratico apparecchio per la realizzazione della pianta di alcune province: «per comandamento della santa et gloriosa memoria di Papa Gregorio XIII l’anno 1577 et 78 et 79 et 80 ho levato con questo medesimo strumento agevolissimamente la pianta di più provincie come fu tutta la Romagna, una gran parte dell’Umbria et del Latio, et di Sabina, et tutto il Territorio di Perugia, et di Bologna et grandissima comodità mi arecò di poterlo piegare et spiegare senza smontare da cavallo et anco il poterlo portare all’arcione, senza impiccio nessuno». Nella stessa opera inoltre l’A. ricorda come il padre Giulio avesse inventato uno strumento per il rilevamento del territorio e avesse prima di lui effettuato il rilievo del Perugino. È probabile quindi che il Danti ricorse anche all’opera del padre per la realizzazione delle sue carte. 35 Cfr. L. Bartolini, Bibliografia, «Giornale di erudizione artistica», II (1873), p. 175. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 16 presenti nella Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano, tra cui quelli intitolati Perusinus ac Tifernas e Umbria [5]36. Si tratta indubbiamente di prodotti frutto di una particolare concezione di realtà regionale, espressione della cultura dotta e urbana del tempo, ma ciò nonostante queste rappresentazioni riescono a mettere in evidenza sia le ragioni del potere politico e della committenza, «unificando città e territorio, come teatro del potere del principe, a cui città e territorio devono la loro soggezione»37, sia alcuni dei tratti salienti del panorama geografico della regione: le montagne, la collina, le terre di pianura intorno al Tevere, e soprattutto le città e i numerosi insediamenti sparsi per il territorio. L’insufficienza di adeguati metodi di rappresentazione e di conoscenze che permettano accurati rilevamenti del territorio non possono però che rendere la riproduzione cartografica sommaria e lacunosa. Ciò crea dei problemi in particolare nella raffigurazione dell’orografia: l’Appennino umbro-marchigiano è ritratto con monti a cono ombreggianti che forniscono un disegno concettualizzato ed astratto, non particolarmente fedele alla realtà; la campagna viene quasi completamente ignorata dalla cartografia ufficiale;

36 Il successo ottenuto con il rilievo del territorio perugino e di altre regioni e l’interessamento di Iacopo Boncompagni, gli valsero l’incarico di cosmografo e matematico pontificio sotto papa Gregorio XIII, oltre che il compito di rilevare l’intero Stato della Chiesa e disegnare i cartoni delle quaranta carte geografiche della Galleria del Belvedere in Vaticano, affrescate da pittori da lui diretti. Su Egnazio Danti cfr. G.B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle loro opere ordinate e pubblicate da Gio. Battista Vermiglioli, I, Perugia, tipografia di Francesco Baduel, presso Vincenzo Bartekku e Giovanni Costantini, 1829, pp. 366-370 e Elogio di Ignazio Danti in Opuscoli, II, Perugia, 1826, pp. 115- 144; V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, Firenze, Le Monnier, 1854, pp. 275-312; V. Palmesi, Ignazio Danti, «Bollettino della Regia Deputazione di storia Patria per l’Umbria» 5 (1899), pp. 81-125; L. Pascoli, Vite de pittori, scultori, ed architetti perugini. Scritte, e dedicate alla maestà di Carlo Emanuel Re di Sardegna da Lione Pascoli, Roma, Per Antonio de’ Rossi, nella Strada del Seminario Romano, 1732, pp. 147-151; R. Almagià, Monumenta Cartographica Vaticana, II, Carte geografiche a stampa di particolare pregio o rarità dei secoli XVI e XVII esistenti nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1948, pp. 14-15; Dizionario biografico degli italiani, XXXII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1986, pp. 659-663 alla cui relativa voce oltre alla biografia sono presenti più accurati riferimenti bibliografici sull’autore; la monografia di G. Capone, Egnazio Danti 1536-1586. Perugino dell’Ordine del Predicatori. Il suo tempo e la sua opera di artista e di scienziato. Vescovo di Alatri, Alatri, Arti Grafiche Tofani, 1986, 288 pp., che ripercorre la vicenda biografica del Danti; per notizie più compite sull’attività di Danti come cartografo e sul ciclo della Galleria delle Carte Geografiche in Vaticano cfr. R. Almagià, Monumenta Cartographica Vaticana, III, Le pitture murali della Galleria delle Carte Geografiche, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1952; L. Gambi, Egnazio Danti e la Galleria delle Carte geografiche in L. Gambi, A. Pinelli (a cura di), La galleria delle carte geografiche in Vaticano, II, Testi, Modena, Panini, 1994, pp. 83-96. Anche il Pastor nella sua Storia dei papi dalla fine del Medio Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri Archivi., IX, Storia dei Papi nel periodo delle Riforme e restaurazione cattolica. Gregorio XIII (1572-1585), Roma, Desclée, 1925, pp. 837-840, riferisce del lavoro del Danti nella Galleria del Belvedere, offrendo inoltre alcuni commenti in merito all’esecuzione artistica delle carte. 37 A. Grohmann, Perugia, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 7. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 17 particolarmente minuziosa è invece la rappresentazione dell’idrografia e l’indicazione dei ponti lungo i corsi d’acqua38, in quanto importanti punti di passaggio. Minore attenzione viene invece riposta alla delineazione dei percorsi stradali, che tuttavia trovano spazio in alcune carte disegnate da cartografi locali39. Ma l’elemento che più di tutti viene rappresentato è il centro abitato, il cartografo si fa così interprete del nuovo ruolo egemone ricoperto dalle città40. Oltre alle già ricordate carte del Danti, le tavole di Gellio Parenzo e di Gregorio Mansi, rispettivamente intitolate Pianta de tutto il territorio dominio et destretto della città de Spoleto et lochi che li confinano (1597) [8] e Pianta dell’illustrissima città di Todi e suo territorio (1633) [16], nel rappresentare il dominium dei centri di Spoleto e Todi, indicano le numerose località soggette al loro controllo, facendo della carta un utile strumento a disposizione degli amministratori locali. Interessante notare anche la proiezione iconografica che viene associata alla raffigurazione del centro abitato, spesso rappresentato con una simbologia che ritrae la città o il castello attraverso il profilo di mura e campanili, come nella già citata tavola del Danti, Umbria [5], in cui le varie località sono rese in color carminio e disegnate con gruppi di edifici con una piccola immagine prospettica, quasi a mettere in luce gli edifici più significativi. Particolarmente suggestive in tal senso sono anche la tavola di Silvestro Pepi, La provincia di S. Francesco (1632) [15], e la Provincia S. Francisci seu Umbriae cum confinijs (1649) [19], che trae spunto dalla carta del Pepi, che, attraverso stilizzate ma eleganti vedute prospettiche, segnalano le varie località in cui si insediarono i monaci dell’Ordine dei Cappuccini, mettendo inoltre in risalto quella

38 C. Migliorati, La cartografia dell’Umbria, cit., pp. 102-103. Nelle carte cinque-seicentesche il corso d’acqua è un importante elemento del territorio per le attività agricole ed economiche, utile alla delimitazione delle pertinenze, ma anche pericoloso, essendo soggetto ad esondazioni in grado di recare danno agli insediamenti, alle colture e alla viabilità (F. De Meo, Le acque negli atlanti, cit., p.34). In merito allo studio dell’idrografia del territorio regionale attraverso la cartografica storica si rimanda più nello specifico al volume a cura di A. Grohmann, L’Umbria e le sue acque. Fiumi e torrenti di una regione italiana, Perugia, Electa, 1990, 161 pp. e in particolare ai saggi di F. Bettoni, La bonifica della Valle Umbra e alcuni documenti cartografici del XVII e XVIII secolo, pp.78-86 in cui l’A. esamina il problema del prosciugamento delle paludi e la regolamentazione delle acque attraverso le testimonianze fornite dalla cartografia del Seicento e Settecento; F. De Meo, Le acque negli atlanti, cit., pp. 34-44 che propone uno studio diacronico e sincronico della raffigurazione dei corsi d’acqua dell’Umbria attraverso le carte geografiche dal XVI al XIX secolo; C. Migliorati, Il controllo delle acque nella cartografia tra XVI e XIX secolo, pp. 99-112 relativo ai lavori di prosciugamento e bonifica delle terre paludose e alle operazioni di prevenzione delle inondazioni condotti in Umbria tra XVI e XIX secolo; C. Migliorati, La cultura cartografica dal XVI al XIX secolo: paesaggio, territorio, progetto, pp. 113-122 che attraverso l’analisi di numerosi documenti cartografici relativi ad alcune zone umbre, testimonia l’evoluzione della cultura cartografica tra la metà del XVI e la fine del XVIII secolo. 39 Nelle pitture del Danti le strade principali sono dipinte di bianco, assumendo notevole risalto; nella carta del Moroncelli un certo rilievo viene dato alla raffigurazione della viabilità principale – la via Flaminia e altre strade nel territorio di Perugia, a est di Spoleto la strada di Val di Narco, ecc. 40 C. Migliorati, La cartografia dell’Umbria, cit., pp. 103-104. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 18 dimensione mistica che ha caratterizzato l’Umbria nei secoli. Lo studio di una regione come l’Umbria, storicamente così incerta e indefinita, non può prescindere dalla considerazione di carte dedicate ad aree ad essa circonvicine, come la Marca, l’Etruria, il Patrimonio e il territorio di Roma. Alla prima metà del Cinquecento risalgono i primi esempi di carte regionali che raffigurano parti della regione, tra cui si possono citare la Chorographia Tusciae [1] di Bellarmato risalente al 1536, la Marcha de Ancona Nova (1548) di Giacomo Gastaldi, la Nova Descrittione di Tutto il Territorio de Roma (1563) di Paolo Forlani, la Marca d’Ancona (1564) di Vincenzo Luchini e il Novo et vero dissegno della Marca d’Ancona, con li suoi confini (1565) [2] di Ferrando Bertelli che deriva da un prototipo anteriore al 1548 che si trova inserito tra le Tavole Nuove della Geografia di Tolomeo curata da Giacomo Gastaldi. Si tratta tuttavia di carte che risultano prive di ogni delimitazione dei confini. Del resto nella cartografia della prima età moderna le regioni non sono ancora entità ben delimitabili nei loro contorni, anche perché la carta traspone sul piano grafico la concezione propria degli umanisti che identifica aree di transizione piuttosto che confini precisi tra una regione e un’altra, questo sia per i continui scambi economici, culturali e linguistici che si instaurano tra le varie aree, sia perché si tratta di realtà dinamiche, in continua evoluzione41. Solo in un secondo momento con l’affermarsi della geografia e della cartografia politica inizia a prefigurarsi un concetto di regione simile all’attuale, concetto che nell’Ottocento acquisterà piena dignità scientifica, permettendo così di registrare le nuove regionalizzazioni volute dal potere centrale. Ancora nel tardo-Cinquecento si assiste quindi ad una sostanziale incapacità da parte dei cartografi di percepire la realtà politico-amministrativa regionale, tendenza questa che tra l’altro si protrarrà a lungo. Fattore determinante da un lato è il policentrismo urbano, che si traduce nella presenza di una molteplicità di centri medi e piccoli che rivendicano ognuno la propria autonomia; dall’altro il dualismo territoriale che ha caratterizzato il contesto umbro fin dall’antichità e che fino all’Ottocento non ha permesso una effettiva ricomposizione della regione sotto il segno di un’identità politico-territoriale dai caratteri certi. Il Perugino e il Ducato hanno rappresentato i due principali nuclei territoriali della regione: il primo con a capo la città di Perugia, che, come visto, a partire dalla metà del XVI

41R. Volpi, L’Umbria nella cartografia, cit., p. 19; sui concetti di confine e frontiera in età moderna si veda in particolare E. Fasano Guarini, L’Italia descritta tra XVI e XVII secolo: termini, confini, frontiere, in A. Pastore (a cura di), Confini e frontiere nell’età moderna. Un confronto fra discipline, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 81-106. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 19 secolo, per volere della Santa Sede assume il ruolo di capoluogo di una provincia articolata, disomogenea e difficile da controllare; il secondo, che mantiene maggiori caratteri di uniformità grazie al favore derivatogli in tal senso sia dalla tradizionale identificazione con il termine Umbria che da una componente territoriale storicamente più definita42.

L’Umbria nella percezione erudita del XVII secolo Per i cartografi del Cinquecento l’Umbria non esiste come entità amministrativa, ma dal XVII secolo il tema delle regioni diviene più sentito oggetto di analisi tra geografi, storici ed eruditi. Il giurista Guido Panciroli adatta alla situazione dell’epoca la divisione in diciassette regioni adottata in età tardo-imperiale da cui ne emerge che l’Umbria è compresa tra Piceno, Sabina ed Etruria; il Botero invece si riallaccia alla tradizione umanistica che assegna all’Umbria Sansepolcro, Amelia e Camerino; Phlipp Clüver sostiene invece che tra suddivisione «storiche» e «moderne» non esista piena continuità. Nella sua Italia antiqua, corredata da carte che sono il frutto di un puntuale studio delle fonti e di uno scrupoloso lavoro di rilevamento sul territorio, l’Umbria antica [13] è estesa dall’Adriatico fino alla latitudine di Ravenna, separata dall’Etruria attraverso una linea puntinata e non comprende Perugia e il Trasimeno, che rientrano invece nella tavola dedicata all’Etruria; l’Umbria moderna, secondo la presente suddivisione in regioni, si identifica invece con il Ducato di Spoleto di cui ancora fa parte Gubbio, mentre Perugia e Orvieto sono incluse nel Patrimonio43.

42 Nella cartografia di età moderna, oltre alle rappresentazioni del Perugino e del Ducato di Spoleto, si registrano anche carte specifiche di altri territori che hanno contribuito a formare l’attuale Umbria. Si tratta di carte raffiguranti l’area dell’Orvietano e quella del Tifernate, quest’ultima in genere associata alle raffigurazioni del Ducato di Urbino, trasformato poi in legazione dello Stato Pontificio, nel quale fino a buona parte del XIX secolo rientra anche l’Eugubino. Per l’Orvietano si possono menzionare la Urbisveteris Antiquae Ditionis descriptio di Danti (1583), le carte dell’Ortel Territorio di Orvieto. Oropitum (1598) e Orvietum. Oropitum (1609), il Territorio di Orvieto del Magini (1599-1600) [11], L’Umbria ed i territori di Perugia, e di Orvieto Di nuova Projezione di Antonio Zatta (1783) [29], la Die Landschaft Umbria mit den Gebiethen von Orvieto und Perugia. Nro 470 di von Reilly (1798 ca.) e la Carta del Territorio d’Orvieto e Territorio di Perugia di Bernardino Olivieri (1803). Per il Tifernate si segnalano in particolare le carte: Ducato di Urbino di G. A. Magini (1596 ca.), Legatione del Ducato di Urbino con le Diocesi, e Governo di Città di Castello di Filippo Titi [23] (1697), Legazione d’Urbino e governo di Città di Castello Di nuova Projezione di Zatta (1783), Carta del Ducato di Urbino di Bernardino Olivieri (1803). Per quanto riguarda l’Eugubino cfr. R. Covino, Le partizioni amministrative nell’Eugubino dal 1631 all’Unità, in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, pp. 485-492 in cui l’A. ripercorre le variazioni amministrative del territorio in questione dal 1631, anno della devoluzione del Ducato di Urbino allo stato ecclesiastico, fino al 1860. Per il periodo precedente cfr. R. Paci, Politica ed economia in un comune del Ducato di Urbino: Gubbio tra ’500 e ’600, Urbino, Argalia, 1966. 43 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 151-154, 157-159. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 20 Il tema dell’unità regionale è affrontato in maniera più sistematica nelle opere di Ferdinando Ughelli, Durante Dorio e soprattutto Ludovico Jacobilli. L’Italia Sacra di Ferdinando Ughelli, pur essendo opera di erudizione e storia ecclesiastica, sovente si addentra nell’ambito della geografia rifacendosi molto alla divisione in province ecclesiastiche e soprattutto in diocesi la cui maggior stabilità garantisce una più chiara definizione rispetto alla divisione regionale legata all’evolversi degli eventi e alle più svariate elaborazioni erudite. Nell’Umbria, per la prima volta dopo il Piccolpasso, confluisce non solo la tradizionale zona a sinistra del Tevere, ma anche Perugia, capoluogo della provincia. Durante Dorio, autore di una Descriptio Umbriae e di un Commentaria Rerum Umbriae, nella sua Istoria della famiglia Trinci pubblicata nel 1638 cerca di conferire all’area umbra una effettiva unità politica. Ludovico Jacobilli subisce l’influenza di Dorio e sia nel Discorso della provincia dell’Umbria che nel De Umbria provincia attribuisce alla regione una continuità tra epoca pre-romana e presente, ammettendo tuttavia la rottura parziale nel tardo impero e Alto Medioevo a seguito della costituzione di un’unica provincia di Tuscia et Umbria. Si riallaccia poi all’immagine della regione fornita dal Biondo e dall’Alberti coincidente con il Ducato di Spoleto, delineandone però i contorni in maniera più precisa: Otricoli, Calvi, Lugnola, Stroncone, Piediluco e Leonessa ne fanno parte, vi è compreso tutto il versante occidentale dei Sibillini, Serravalle di Chienti e Camerino e più a Nord anche Sassoferrato e l’Eugubino fino all’abbazia di Fonte Avellana; comprenderebbe inoltre San Sepolcro, la fascia fino alle sorgenti del Tevere e le si annette Perugia come capoluogo di provincia «resedendo in essa il Legato, ò il Governatore generale, & il principal Tribunale di questa Provincia»44. Con la sua opera Jacobilli tenta di superare la dicotomia esistente tra territorio Perugino e Ducato di Spoleto e di definire almeno culturalmente un’unità tra aree molto eterogenee attraverso un significativo lavoro di ricerca e di approfondimento nel campo della letteratura, dell’arte, della tradizione popolare e religiosa45, rivolgendo inoltre particolare attenzione alla città come soggetto in grado di organizzare il territorio e tentando di identificare rapporti di gerarchia tra i vari

44 L. Jacobilli, Discorso della provincia dell’Umbria in Vite de’ Santi e Beati dell’Umbria, e di quelli, i corpi de’ quali riposano in essa Provincia. Tomo primo. Descritte dal Sig. Lodovico Iacobilli da Foligno protonot. Apostolico. Con un discorso dell’Umbria, In Foligno, Appresso Agostino Alterii, 1647, p. 12 [ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1971]. 45 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 155-156, 163-165. Si veda inoltre il saggio di M. Duranti, Ludovico Jacobilli e la scoperta di una regione, l’Umbria, in Id. (a cura di), Ludovico Jacobilli erudito umbro del ’600, Foligno, Biblioteca Jacobilli, 2004, pp.23-39. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 21 centri della regione attraverso la distinzione in urbes, oppida e oppidula46. Nonostante questi tentativi di ricerca di elementi identitari e unitari, la regione continua ad essere percepita come un «insieme di città» che malgrado la spinta centralizzatrice attuata dal governo pontificio in età moderna mantengono i loro statuti, il territorio e la supremazia sulle campagne47. Nel 1660 il geografo siciliano Giovan Battista Nicolosi nell’opera dell’Hercole e studio geografico in poche righe ben riassume molti degli aspetti che hanno caratterizzato la percezione della regione in età moderna, identificando ancora l’Umbria come «la potente Giurisdittione de’ Duchi di Spoleto» che «giace tra l’Appennino et il Tevere, confinando con la Sabina et Abruzzo» e che «è piena […] di molte Città et luoghi nobilissimi»48.

Realtà amministrativa della regione nel Seicento Anche dal punto di vista amministrativo, nel corso del Seicento la regione continua ad essere una realtà composita e artificiosa anche se in alcuni suoi tratti risulta più definita e meno incerta rispetto al passato e più ampia del territorio sottoposto alla giurisdizione del governo di Perugia. Nel 1656, ad esempio, per l’Umbria vengono censite le diocesi di Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Città della Pieve, Città di Castello, Todi, Terni, Narni, Amelia, Nocera, Rieti e l’abazia di Ferentillo e nell’elenco delle cancellerie e segreterie della comunità (1638) figurano sia località che godono di ampia autonomia come Citerna, Spoleto, Cascia, Norcia e Gualdo, sia centri che occupano una posizione molto periferica, come Calvi, Labro, Arquata e Visso49. Per tutto il XVII secolo, la fisionomia della legazione umbra rimane di fatto sostanzialmente inalterata. Il coinvolgimento in due fasi della regione nella guerra per il Ducato di Castro non incide a livello della struttura territoriale della legazione50. Le uniche

46 R. Volpi, Il termine «Umbria» in età moderna, in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, p. 117. 47 H. Desplanques, Campagne umbre, cit., p. 162. 48 G.B. Nicolosi, Dell’Hercole e studio geografico di Gio. Battista Nicolosi dottore di sacra teologia. Tomo primo. Nel quale si descrive generalmente il Globo Terrestre secondo l’essere, che ricevette dalla Natura; Secondo le Formalità, che gli hà dato l’Intendimento Humano; et secondo il Ripartimento dello stato presente, datoli dalla Guerra, e dalla Pace, in Roma, nella Stamperia di Vitale Mascardi, 1660 p. 269 [ristampa anastatica a cura dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo, 1991]. Sull’Umbria e altre città della regione si rimanda alle pp. 262-263; 269-270; 272. 49 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 121-122. 50 Nel settembre 1642 viene invaso il feudo di Castiglione del Lago e Chiugi ad opera delle truppe alleate di Odoardo Farnese; nell’estate del ’43 il fronte di guerra si sposta dal Pievese e dal Trasimeno verso il capoluogo e il Tevere e nell’autunno dello stesso anno coinvolge la Fratta e il Tifernate. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 22 differenze riscontrabili in ambito territoriale sono a livello interno la scomparsa dello «stato dei Baglioni» con il recupero da parte della Santa Sede di Bettona nel 1648; a livello di confini esterni l’unica novità è rappresentata dall’accordo raggiunto sui confini tra Narni e Collescipoli nel 1602; per ragioni di carattere più che altro storico-geografico l’Eugubino rimane invece estraneo al territorio umbro51.

L’Umbria nella cartografia del Seicento e del Settecento Nel frattempo, con la cartografia del Seicento si assiste al progressivo superamento del modello umanistico basato su una concezione «ideale» della regione che si muoveva nel solco della tradizione storico-erudita, mentre va crescendo l’interesse per la definizione della regione «fattuale», così come risulta dalla realtà della situazione politico- amministrativa. Per quasi tutta l’età moderna la carta si configura come fonte «stratificata» nella quale convergono e coesistono visioni soggettive/collettive e realtà oggettive suscettibili di molteplici interpretazioni e letture che vanno dal profilo storico-artistico-culturale – attribuibile all’ordinario ricalco di fonti preesistenti, alla sedimentazione dotta, alla sensibilità artistica del tempo e alla visione del cartografo mediata dalla sua esperienza formativa – alla rappresentazione della struttura politico-amministrativa – legata alle contingenze politiche e ai tentativi di registrare realtà amministrative o progetti ed aspirazioni dell’ambiente cui il prodotto è destinato, facendo della carta, fino al XIX secolo, un prodotto d’élite, strettamente legato agli scopi della committenza; dall’evoluzione tecnico-scientifica delle metodologie di misurazione e rappresentazione del territorio – che presuppone nuove percezioni dello spazio –, fino all’aspetto socio-antropologico – in cui «finisce per rispecchiarsi una sorta di immaginario collettivo»52 che racchiude visioni socialmente più ampie, le quali emergono oltre che dall’interpretazione fornita dai cartografi, dal contributo dato da esponenti del mondo dell’erudizione e dai propositi di sovrani e amministratori, anche dalle relazioni di corrispondenti, diplomatici ed ambasciatori, personaggi appartenenti alla realtà locale, pubblicisti, viaggiatori53 (siano essi

51 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 121-125. 52 R. Volpi, L’Umbria nella cartografia, cit., p. 19. 53 Nel corso dell’età moderna si moltiplicano le pubblicazioni delle memorie di viaggio – soprattutto dei numerosi viaggiatori stranieri che visitano la penisola, meta principale di quel fenomeno di mobilità sociale noto con il nome di Grand Tour – che forniscono anche utili indicazioni di carattere geografico. Gli stessi viaggiatori per compiere i loro viaggi si affidano all’uso di carte geografiche, corografie e guide che riportano l’indicazione degli itinerari da percorrere, le poste e i cambi di cavalli, le distanze, i tempi di percorrenza e l’ubicazione delle dogane. Tra le varie guide utilizzate dai viaggiatori tra fine documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 23 pellegrini, nobili, scrittori o artisti) a cui il cartografo ricorre per disporre di ulteriori elementi utili alla realizzazione della carta. Il ruolo svolto dal Magini nel definire il passaggio dalla rappresentazione della regione «ideale» di tradizione dotta, alla raffigurazione di una regione «reale» basata sulle partizioni politico-amministrative è senz’altro significativo. Le carte maginiane hanno costituito un importante punto di riferimento per la produzione cartografica tra XVII e inizio XVIII secolo, sul piano sia tecnico che culturale. Nella sua famosa raccolta di carte geografiche, Italia, pubblicata postuma dal figlio Fabio nel 1620, Magini cerca di liberarsi delle permanenze culturali di matrice erudita, discostandosi dalla produzione cartografica precedente e facendo affidamento più su documenti ufficiali, relazioni, corrispondenze di collaboratori locali, piuttosto che su fonti iconografiche e geografiche esistenti. Particolare attenzione viene infatti rivolta ai confini politici e territoriali, che fino ad allora non erano mai stati indicati con esattezza nelle carte. Per quanto riguarda l’Umbria, Magini realizza una sorta di compromesso tra tradizione e situazione reale. Nella sua raccolta cartografica appare una carta dal titolo Umbria, overo Ducato di Spoleto [12] che include i governi di Todi, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Narni, Norcia e racchiude una larga porzione della Sabina con Greccio e il contado reatino fino ad Arnaro e Rocca Sinibalda. Il Perugino e l’Orvietano sono separati sia dalla Toscana che dall’Umbria e raffigurati in tavole a parte intitolate Territorio Perugino [9] – che non comprende il Tifernate rappresentato, come provincia autonoma, con il Ducato di Urbino nel quale rientrano anche Gubbio, Costacciaro, Scheggia, Apecchio, la repubblica di Cospaia e il feudo di Montone – e Territorio di Orvieto [11] – con la quale si rimarca l’effettiva autonomia dalla provincia del Patrimonio. In generale tutta la cartografia del XVII e XVIII secolo prende come modello l’Italia del cartografo padovano, massimo rappresentante della cartografia pregeodetica. Risente dell’influsso della cartografia maginiana Jodocus Hondius che nella carta dal titolo Umbria Perugino [14], raffigura come provincia a parte sia il Perugino che il Tifernate, mentre XVIII e inizio XIX secolo si segnalano le opere Direzione pe’ i viaggiatori in Italia colla notizia di tutte le poste, e loro prezzi (1771), Vera guida per chi viaggia in Italia con la descrizione di tutti i viaggi e le sue poste (1775) e Itinerario italiano ossia descrizione dei viaggi per le strade più frequentate, corredate da carte che raffigurano gli itinerari di viaggio. Da guida fungono anche gli stessi diari di viaggio. Di grande diffusione furono il Nouveau Voyage d’Italie fait en 1688 di François Maximilien Misson, il Remarks on several parts of in the year 1701, 1702, 1703 (1705) di Joseph Addison, il Voyage en Italie (1768) di Joseph-Jérôme de Lalande e l’opera di J.C. Eustace A classical tour through Italy (1813). Per maggiori notizie in proposito si rimanda alla seconda parte del presente lavoro relativa alla letteratura di viaggio. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 24 l’Umbria è composta dai governi posti al di là del Tevere, seppure differenze rispetto al Magini siano riscontrabili sui lati sud ed est della regione; la carta d’Italia di Matteo Greuter distingue anch’essa il Perugino dall’Umbria, anche se manca il confine con la Marca, da Colfiorito a scendere, e Città di Castello è considerata nel Ducato di Urbino; di evidente derivazione maginiana sono la carta Umbria overo Ducato di Spoleto [17] di Henricus Hondius e quella dall’omonimo titolo di Joan e Cornelius Blaeu [18], compresa nell’Atlas novus che raccoglie tutte le carte dell’Italia del Magini. La Descrittione dello Stato della Chiesa e della Toscana [20] del 1669 di Michel Antoine Baudrand, basata su un prototipo maginiano di Nicolas Sanson, vede distinti il contado di Città di Castello, Perugino, Orvietano e Umbria, in cui rientra la Sabina. Non si discostano dall’impostazione maginiana neanche la carta di Frederick de Wit, Status Ecclesisticus et Magnus Ducatus Thoscanae (1688) [21], e la Novissima et accuratissima Delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae (1730) [26] del Seutter54. Novità nella rappresentazione dell’Umbria sono invece rilevabili nella carta pubblicata a Roma nel 1697 da Filippo Titi, Legatione del Ducato d’Urbino con la diocesi, e governo di Città di Castello [23], in cui il Tifernate è indicato come provincia a parte e il confine del Perugino è segnato con scrupolosa precisione, riconoscendo a Perugia località quali Sigillo, Fossato, Gualdo Tadino, Gaifana e Sassoferrato. Nella raccolta Umbria D.D.P. Coronelli pubblicata nel 1708 da Vincenzo Coronelli (autore tra l’altro di un Territorio di Perugia [22]) mentre la raffigurazione dell’Umbria [24] ricalca quella tradizionale che esclude il Perugino, le carte dedicate ai singoli territori denotano maggiore attenzione agli effettivi spostamenti territoriali e dal loro insieme scaturisce una visione più unitaria di quanto non appaia a prima vista. Novità sono presenti anche nella Tavola generale della provincia dell’Umbria nuovamente corretta et ampliata secondo lo stato presente (1712) [25] dell’abate Silvestro Amanzio Moroncelli di cui non fanno parte né l’Eugubino né il Tifernate, ma che ingloba sia il Perugino che tutti i territori posti sull’altra sponda del Tevere, attribuendo alla regione una concezione più unitaria55, e soprattutto nella tavola dei gesuiti Christopher Maire e Ruggero Boscovich, Nuova Carta Geografica dello Stato Ecclesiastico (1755) [27], in cui la regione assume, rispetto a tutte le precedenti rappresentazioni, una configurazione più simile all’attuale, risultante dall’insieme di cinque

54Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 165-173; pp.233-234 per la carta del Seutter. 55Cfr. Ivi, pp. 242-244. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 25 comparti territoriali: Città di Castello, il Perugino, Città della Pieve, l’Orvietano e l’Umbria. La tavola, eseguita per incarico di papa Benedetto XIV tramite il cardinale Valenti, segretario di stato e camerlengo, aveva quale scopo quello di rettificare le inesattezze presenti nelle precedenti carte dello Stato Pontificio grazie a metodi di rilevamento più innovativi56. Il valore di questa carta è ancora più significativo se si pensa che fino al Settecento la suddivisione in regioni, soprattutto dell’Italia centrale, riprende quella maginiana, provocando ritardi nel ritrarre le nuove realtà politico-amministrative, come è possibile osservare nelle carte di J.B. Homann, di Matthäus Seutter e nell’atlante pubblicato dagli stampatori veneziani Albizzi nel 1750. Questa carte mantengono sostanzialmente le partizioni proposte dal cartografo padovano e non riescono a descrivere in maniera adeguata i cambiamenti dell’assetto amministrativo e la configurazione territoriale delle province pontificie57. Nonostante la professionalità e la scientificità del prodotto realizzato dai due gesuiti, che privilegiarono una regionalizzazione basata sull’aspetto geografico e sull’applicazione delle misurazioni geodetiche, l’impostazione proposta da Maire e Boscovich trova piena affermazione solo a partire dalla fine del secolo. Nelle carte incise da Zuliani nell’Atlante novissimo sulla base delle mappe di Antonio Zatta, sono evidenti gli influssi derivanti dalle osservazioni di Maire e Boscovich nell’individuazione delle province, tra cui l’Umbria (L’Umbria ed i territori di Perugia, e di Orvieto di nuova projezione [29]), che viene però suddivisa in quattro aree e non più cinque: Perugino, Pievese, Orvietano e Umbria propriamente detta. Questa suddivisione trova conferma nel Nuovo Atlante geografico universale pubblicato dalla Calcografia Camerale nel 1792, nel quale sono contenute le tavole che rappresentano lo Stato Pontificio incise da Giovanni Maria Cassini (relativamente all’Umbria si vedano Lo Stato Ecclesiastico delineato sulle ultime osservazioni e diviso nelle sue Provincie [30] e La Legazione d’Urbino, la Marca, l’Umbria, lo Stato di

56 L’intellettuale francese Joseph-Jérôme Lefrançais de Lalande nel celebre Voyage d’un françois en Italie fait dans les années 1765-1766 riferisce che presso l’altura di Torre Maggiore «P. Boscovich aveva collocato uno dei segnali dei suoi triangoli, per misurare i gradi della terra fra Roma e Rimini; i contadini di queste parti, pensando che volesse fare dei sortilegi, distrussero i segnali, e gli fecero provare più volte gli inconvenienti della stupida ignoranza che regna ancora in queste campagne» (Citazione tratta da A. Sorbini, La via Flaminia. Otricoli Narni Terni Spoleto Foligno nei racconti dei viaggiatori stranieri del Settecento, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1997, p. 143). 57 Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 232-235. Il Settecento rappresenta un periodo di stallo non solo per la cartografia, ma anche per l’intera tematica regionalistica, che non conosce ulteriori spunti di riflessione e di approfondimento in merito al dibattito sulle regioni che si era sviluppato nel secolo precedente. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 26 Camerino, i territori di Perugia e di Orvieto ed il Governo di Città di Castello [31]). Anche nella Pianta Corografica di una porzione della Provincia dell’Umbria (1763) [28], disegnata da Giuseppe Palazzi sulla base dei rilievi effettuati dall’architetto Paolo Posi e dedicata al settore nord-occidentale dell’odierna Umbria, è possibile individuare la chiara influenza di Maire e Boscovich; pur mancando i confini tra le province, trattandosi di una carta stradale, la tavola sembra infatti inserire Perugino e Tifernate in Umbria, a cui l’autore vi aggrega anche l’Eugubino o almeno una sua parte58. La visione dei due studiosi è inoltre ripresa con qualche modifica dalle carte di Bernardino Olivieri stampate dalla Calcografia Camerale nel 180359. Il superamento dell’opera dei due matematici si ha con la pubblicazione nel 1805 de Lo Stato Ecclesiastico diviso nelle sue provincie con le regioni adiacenti delineato sulle ultime osservazioni di Giovanni Maria Cassini che poté avvalersi di metodi di misurazione e rilevazione più precisi e accurati.

Cartografia e realtà politico-amministrativa tra XVIII e XIX secolo Nel XVIII secolo si ha una trasformazione importante del governo provinciale della regione a seguito di riforme che «ridisegnano la mappa delle competenze territoriali dei rappresentanti pontifici in Umbria» e che «sembrano riflettere la nuova realtà di rapporti tra Perugia e gli altri Comuni»60. Il sostanziale ridimensionamento delle prerogative della giurisdizione e del governo perugino sulle altre città dell’Umbria viene sancito nel 1730 da Clemente XII con un provvedimento ufficiale che muta il titolo del governatore perugino da gubernator civitatis Perusinae, et Provinciae Umbriae a gubernator civitatis, territorii et comitatus Perusini, riducendo la giurisdizione del governatore alla sola città di Perugia e al suo contado, privandola di fatto di ogni forma di autorità nei confronti delle città rette da governatori di breve, cioè Assisi, Foligno, Nocera e Todi. Come scrive Caravale: «con questa articolazione, dove l’unità regionale dei primi secoli dell’età moderna sfumava in una pluralità di circoscrizioni territoriali, l’Umbria sarebbe giunta alla riorganizzazione della Repubblica romana prima e dell’Impero napoleonico poi»61. Gli sviluppi successivi della cartografia sono legati proprio al periodo di dominazione napoleonica, che rappresenta un momento importante per quello che riguarda la

58 Cfr. ivi, pp. 260-263. 59 Per l’Umbria vedi Carta della provincia dell’Umbria, Carta del Territorio d’Orvieto e Territorio di Perugia, Carta del Ducato di Urbino, Carta della Sabina 60 M. Caravale, La deputazione umbra, cit., p. 130. 61 Ivi, p. 121. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 27 ridefinizione dei rapporti tra potere centrale e amministrazioni locali e la configurazione delle strutture territoriali in province «reali», affidate a governatori che ora godono di un potere indiscusso e non più limitato nelle competenze. Ora infatti si costituiscono le province con il significato che oggi attribuiamo a queste ripartizioni territoriali sotto l’aspetto geografico e politico-amministrativo. Dopo l’invasione francese, con l’istituzione della Repubblica Romana Giacobina (1798-1799), il territorio viene suddiviso in otto dipartimenti. L’Umbria viene ripartita nei due dipartimenti del Trasimeno, con capoluogo Perugia, e del Clitunno, con capoluogo Spoleto, ben delineati nella Carta del Territorio della Repubblica Romana divisa ne suoi Dipartimenti [32] edita da Niccolò Pagni e Lorenzo Bardi nel 1799. Nel 1809 la regione viene inglobata nell’Impero francese e le due delegazioni si uniscono nel Dipartimento del Trasimeno con capoluogo Spoleto, facendo assumere alla regione una fisionomia molto simile all’attuale, come emerge dalla carta di Andrea Alippi, Dipartimento del Trasimeno per l’Anno 1812 [33], che ben evidenzia la suddivisione del dipartimento nei circondari di Spoleto, Todi, Foligno e Perugia, disegnando una regione la cui configurazione risulta avvicinarsi molto a quella odierna, seppur ancora senza l’Eugubino e con l’aggiunta di località oggi poste nel Lazio (Acquapendente) e nelle Marche (Visso). La ridefinizione degli assetti politico-amministrativi dello Stato Pontificio durante il periodo francese trova conferma nel motu-proprio di Pio VII, con cui nel 1816, a seguito del restaurato potere pontificio, si cerca di mettere ordine alla difformità «di usi, di leggi, di privilegi» vigenti nello Stato e di riorganizzare l’amministrazione pubblica, consentendo l’applicazione in tutto il territorio della stessa normativa generale. Lo Stato viene suddiviso in undici province, comprendenti diciassette delegazioni. In Umbria vengono nuovamente istituite le delegazioni di Perugia, che comprende i governi distrettuali di Foligno, Todi e Città di Castello, e Spoleto, che include i distretti di Norcia e Terni. Seguiranno rettifiche territoriali sotto il pontificato dello stesso Pio VII, di Leone XII e, tra 1831 e 1833, di Gregorio XVI, la cui ripartizione rimarrà nelle sue linee fondamentali fino al 1860. Pio IX apporta alcune modifiche che tuttavia non portano al superamento della ripartizione gregoriana, ma in seguito agli editti emanati dal cardinale Antonelli nel novembre 1850 la regionalizzazione venutasi a creare permette, in linea teorica, l’estensione a tutto lo Stato del principio di uniformità, concretizzandosi nel raggruppamento delle province in alcune

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 28 grandi aree regionali e che per la legazione dell’Umbria riunisce Perugia, Spoleto e Rieti62. I mutamenti della struttura amministrativa dello Stato Pontificio occorsi nella prima metà del XIX secolo si riflettono anche nella cartografia dell’epoca. Con l’Ottocento, a seguito dell’affermarsi di metodi più scientifici di rilevamento e per venire incontro alle nuove esigenze di rappresentazione del territorio volte a registrare le regionalizzazioni volute dal potere centrale, la cartografia non può che adeguarsi alla nuova situazione amministrativa, andando a perdere parte del fascino che aveva ricoperto in precedenza sia sotto l’aspetto estetico, sia dal punto di vista culturale, subordinandosi quasi totalmente alle scelte del potere politico. Questo vale per la Nuova carta geografica dello Stato Pontificio delineata a norma degli ultimi trattati e del Riparto Territoriale de’ 26 novembre 1817 [34] incisa da Francesco Valenti e l’atlante di Giovanni Maria Cassini del 1824 che richiamano la riforma del 1816-17, così come per la Carta Corografica dello Stato Pontificio [35] di Spinetti e il secondo volume dell’Atlante geografico degli Stati Italiani [36] pubblicato da Attilio Zuccagni Orlandini nel 1844 che registrano la situazione a seguito della riforma gregoriana. Gli eventi della seconda metà del XIX secolo portano all’effettiva costituzione politico-amministrativa dell’Umbria. Soffocata brutalmente la ribellione del 1859 scoppiata a Perugia, lo Stato Pontificio non riesce ad impedire l’occupazione dell’Umbria da parte dello stato sardo tra l’11 e il 14 settembre 1860, che dà subito vita ad un governo provvisorio per amministrare le ex province pontificie e guidarle verso l’annessione al Regno d’Italia. A dirigere questa fase di transizione viene inviato, in qualità di Commissario straordinario, il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli che, oltre a liquidare le vecchie strutture del governo pontificio, con decreto emanato il 15 dicembre 1860 costituisce la provincia dell’Umbria composta da Perugia, capoluogo, e dai circondari di Spoleto, Orvieto, Terni, Rieti e Foligno, con l’aggregazione della giusdicenza di Gubbio63.

62 R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., p. 306; cfr. A. Ventrone, L’amministrazione dello Stato pontificio dal 1814 al 1870, Roma, Ediz. Universitarie, 1942, p. 39. 63 G.B. Furiozzi, La provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870, Perugia, Provincia di Perugia, 1987, p. 6. In merito al problema del distacco delle ex-province vedi anche pp. 39-45. Cfr. Carta Corografica della Provincia dell’Umbria del 1863, compilata ed incisa da Cesare Sacchetti, e Pianta della Provincia dell’Umbria [37] incisa da Giulio Delicati nel 1867. La costituzione della provincia dell’Umbria non fu priva di opposizioni e resistenze. In particolare, l’inclusione nella provincia delle ex-delegazioni di Rieti e Orvieto non seguiva ragioni storiche ed economiche che giustificassero la loro appartenenza alla nuova partizione amministrativa. Lo stesso Pepoli per quanto riguarda Rieti riconosceva che questa potesse «aver interesse ad appartenere ad altra circoscrizione amministrativa», ma che non intendeva al momento provvedervi; mentre Orvieto, da sempre più legata allo Stato della Chiesa e al Granducato di Toscana da interessi economico-commerciali, richiedeva di essere aggregata a . Il marchese Pepoli in poco più documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 29 Conclusioni

Il riparto di Pepoli non modifica in maniera sostanziale le gravitazioni delle diverse località, ma da esso emerge una significativa novità: a Perugia viene riconosciuto lo status di unico capoluogo della regione, mentre Spoleto va progressivamente a perdere il ruolo, che aveva ricoperto per secoli, di «capoluogo di provincia». Tra Ottocento e Novecento si assiste inoltre allo sviluppo della grande industria a Terni, soprannominata per questo la «Manchester italiana», che diviene pertanto il nuovo centro predominante del comparto meridionale della regione. Sotto l’aspetto amministrativo questo ha portato allo svilupparsi di un dibattito relativo alla necessità di riorganizzare l’ordinamento provinciale istituendo una seconda provincia con Terni come capoluogo. Il dibattito troverà soluzione durante il periodo fascista in ragione del riordino delle autonomie locali attuato dal regime al fine di ovviare al problema di capillare controllo del territorio da parte delle autorità centrali64. Nel 1923 Rieti viene aggregata al Lazio e nel 1927 viene decretata l’istituzione della provincia di Terni che va a comprendere il circondario di Terni, Orvieto – da cui vengono separati i comuni di Città della Pieve, Paciano e Panicale, inseriti nella provincia di Perugia – e il comune di Baschi. Con il 1970 si assiste infine all’effettiva creazione dell’istituto regionale previsto dalla Costituzione repubblicana del 1948. Nonostante l’Umbria si sia rivelata essere una regione storicamente instabile, mutevole e indefinita – tanto nella prassi politico-amministrativa, quanto nell’immagine e nella percezione collettiva –, lo studio della cartografia, delle vicende storiche e delle partizioni amministrative e le osservazioni offerte da geografi, storici ed eruditi in merito alla realtà umbra durante l’età moderna dimostrano tuttavia che già a partire dal Cinquecento sia

di cento giorni realizzò un’intensa azione riformatrice in tutti i rami dell’amministrazione, trasformando profondamente le strutture dello Stato e della vita pubblica. Ne sono testimonianza i 290 provvedimenti da lui emanati nel corso del suo breve mandato e pubblicati nel 1861 dalla Stamperia reale a Firenze in due volumi recanti il titolo Atti ufficiali pubblicati dal marchese G. N. Pepoli, Regio Commissario generale straordinario e in un terzo volume intitolato Leggi, decreti e regolamenti del Regno per l’attivazione della nuova legislazione nelle province dell’Umbria, promulgati nelle province medesime con decreto del Commissario generale straordinario del 19 dicembre 1860. Alcuni atti del commissario generale straordinario sono riportati anche da P. Monacchia, Il 1860 nelle Carte Pepoli, in A. Bartoli Langeli e D. Sini (a cura di), Dallo Stato della Chiesa al Regno d’Italia. Fonti per la storia del biennio 1860-1861, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 2011, pp. 39-109. Sul periodo risorgimentale in Umbria si rimanda inoltre alla bibliografia di V. Angeletti (a cura di), L’Umbria e il Risorgimento. Rassegna bibliografica, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 2011. 64 Sul dibattito relativo alla costituzione della provincia di Terni cfr. R. Covino, L’Umbria meridionale delle partizioni amministrative pontificie alla provincia di Terni, in Id. (a cura di), Dal decentramento all’autonomia. La Provincia di Terni dal 1927 al 1997, Terni, Provincia di Terni, 1999, pp. 52-66. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 30 possibile rintracciare una forma, seppure primitiva, di «coscienza regionalistica» e testimoniano che l’Umbria, per quanto artificiale, eterogenea «introvabile» e «immaginaria», sia sempre esistita, non solo come semplice astrazione, ma come realtà dinamica che si evolve, nella forma e nella sostanza, con il succedersi delle epoche e degli eventi.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 31 CARTE STORICHE

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 32 Negli ultimi anni il rinnovato interesse per la cartografia storica ha accresciuto il numero di pubblicazioni, convegni e mostre di natura cartografica, producendo interessanti studi che hanno contribuito a definire geograficamente, storicamente e politicamente quelli che sono stati i mutamenti dell’ambito territoriale regionale. I documenti cartografici non sono solo meri strumenti grafici di raffigurazione del territorio, ma rappresentano una sintesi in forma visiva di modelli artistici e culturali, conoscenze scientifiche e tecniche, finalità pratiche e strategie politiche, esigenze amministrative, fiscali, militari e realtà insediative, strutture territoriali e percezioni visive che fanno della carta, seppur con diversi limiti, uno strumento di indagine estremamente prezioso sia per il geografo che per lo storico. La carta si rivela essere fonte essenziale ai fini dell’indagine geo-storica, in grado di fornire ulteriori elementi utili all’interpretazione diacronica dello spazio e alla ricostruzione di quella che è stata l’evoluzione dell’immagine e della percezione della regione e dei suoi confini nel corso dei secoli. La carta geografica non è quindi solo bella da vedere, ma rappresenta anche un interessante e importante strumento di lettura e conoscenza del territorio e della sua storia. Per questo si intende offrire una raccolta di alcune significative carte raffiguranti il territorio umbro in età moderna, così da permettere al lettore di osservare come si sia effettivamente evoluta l’immagine della regione tra XVI e XIX secolo e come la realtà territoriale e politico–amministrativa sia stata recepita, interpretata e «fotografata» dalla cartografia dell’epoca, affiancando a ciascuna tavola una scheda esplicativa volta a facilitare la lettura di ogni carta riprodotta e indicativi riferimenti bibliografici utili per il reperimento di ulteriori informazioni cartografiche1. Le carte selezionate, disposte cronologicamente, raffigurano alcuni dei territori che nel corso dell’età moderna hanno contribuito a formare l’attuale Umbria. Si tratta di carte che ritraggono principalmente il Ducato di Spoleto/Umbria e il Perugino, ma non mancano alcuni esempi di tavole dei territori di Orvieto, del Ducato di Urbino e Città di Castello, della Marca d’Ancona e dell’Etruria, oltre che alcune rappresentazioni cartografiche dello Stato della Chiesa di cui l’Umbria era parte.

1 Per consentire al lettore un'adeguata osservazione delle rappresentazioni cartografiche qui selezionate, ciascuna carta è accompagnata da un link che consente di visualizzare la versione ad alta risoluzione della rispettiva tavola descritta nella scheda esplicativa. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 33 1. Chorographia Tusciae Autore Girolamo Bellarmato (1493-1555) Anno 1536 Tecnica intagliata in legno Dimensioni basi di mm 1120 e 1080; altezza di mm 785 Forma trapezoidale Note stampata in quattro fogli; graduata ai margini, priva di scala; l’originale è conservato in esemplare unico molto deteriorato presso l’Archivio di Stato di Firenze. La Chorographia Tusciae, stampata a rapporto con l’entità della popolazione, Roma nel 1536, ha rappresentato un corrispondendo minori figure a località di modello cartografico almeno per mezzo 40-60 fuochi, le altre via via più grandi a secolo. Riprodotta anche nel Theatrum località più popolose». orbis terrarum (1570) di Abraham Ortel, fu Le fortezze sono indicate con un torrione e di riferimento per molti cartografi tra cui le sedi dei vescovati con una croce. Giacomo Gastaldi, Cornelius de Jode, Salamanca, Forlani, Bertelli, Mercator. Bibliografia L’autore è l’architetto, ingegnere e Cfr. F. Ammanniti, La cartografia italiana cartografo senese Girolamo Bellarmato. dall’inizio dell’era moderna all’Atlante È la più antica carta a stampa del Magini, pp. 160-166; C. Migliorati, La rappresentante una parte dell’attuale cartografia dell’Umbria nei secoli XVI- Umbria. La Tuscia, a cui la tavola si XVIII, pp. 101, 104; C. Perini, L’Italia e le riferisce, è compresa tra Magra, Tevere ed sue regioni nelle antiche carte Appennino e include anche il Perugino e geografiche, pp. 100-101; L. Rombai, La l’Orvietano. Il Tevere divide la Tuscia dal nascita e lo sviluppo della cartografia a Lazio, dalla Sabina e dall’Umbria. Firenze e nella Toscana, pp. 91, 93-94; F. Ottima è la raffigurazione dell’orografia, Ronca e A. Volpini (a cura di), Alla ricerca soprattutto nella rappresentazione delle dei confini. L’Umbria nella cartografia catene maggiori; l’idrografia è di buona storica dal XVI secolo all’unità d’Italia, fattura e precisione; la pianura è pp. 64-65; F. Ronca, A. Sorbini, A. Volpini tratteggiata. Secondo quanto annotato (a cura di), Carte d’Italia. 1482-1861, pp. dall’autore nella lunga dedica a Valerio 146-147. Vedi inoltre F. De Meo, Le acque Orsini, sottoscritta dall’autore e datata negli atlanti e nella cartografia ufficiale, p. 1536, la carta si basa «su rilievi, misure e 36. Indicazioni relative alle proprietà osservazioni eseguite percorrendo a cavallo geometriche della carta in F. Ammannati, la più gran parte del territorio […] «Chorographia Tusciae». Note sulla l’attenzione maggiore è stata posta nella geometria della carta di Girolamo rappresentazione delle località abitate la Bellarmato, pp. 278-289. cui figurazione è quanto a grandezza, in

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 34 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 35 2. Novo et vero dissegno della Marca d’Ancona, con li suoi confini Autore Ferrando Bertelli (sec. XVI; attivo 1559-1584 ) Anno 1565 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 280x402 Note sui quattro lati compaiono i nomi dei punti cardinali con il nord-est in alto. Non vi è scala.

La carta deriva da un prototipo anteriore al 1570), Gerardo de Jode (Speculum,1578) e 1548 che si trova inserito tra le Tavole del Mercator (Atlas, 1589). Nuove della Geografia di Tolomeo curata La tavola riprodotta qui di seguito, di da Giacomo Gastaldi. Nel corso del XV mediocre fattura, è dedicata alle Marche, secolo la Geografia di Tolomeo ha ma comprende anche parte dell’Abruzzo e rappresentato il modello geografico per del Ducato di Spoleto, estendendosi fino eccellenza. Riscoperta in Europa proprio alla zona del Trasimeno. nel Quattrocento, ha dato un notevole La rappresentazione dell’orografia e impulso allo sviluppo della geografia e dell’idrografia è piuttosto elementare e la della cartografia. Con il Cinquecento però raffigurazione dei laghi, in particolare grazie all’ampliamento delle conoscenze quello di Norcia (lago di Pilato) e quello di geografiche e all’eccezionale progresso Colfiorito, è fuori misura. Errori sono della cartografia si giunge al completo riscontrabili nell’ubicazione e superamento della rappresentazione denominazione dei centri abitati. tolemaica della terra e dell’Italia. Gli editori moderni si sentirono in dovere di Bibliografia aggiungere alle tradizionali 27 carte Cfr. R. Almagià, Documenti cartografici antique un certo numero di carte moderne, dello Stato Pontificio, pp. 11-12; C. Perini, per correggere o integrare intere parti del L’Italia e le sue regioni, cit., p. 97; F. mondo ignorate dall’Alessandrino, fino a Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le antiche che non si arrivò alla realizzazione di terre del Ducato di Spoleto. I territori di raccolte interamente moderne, con poche o Spoleto e Terni nella cartografia dei secoli addirittura nessuna carta di tipo tolemaico. XVI-XIX, pp. 42-43; Cfr. G. Mangani e F. Il tramonto dell’opera di Tolomeo è Mariano, Il disegno del territorio. Storia segnato in maniera definitiva dalla della cartografia delle Marche, pp. 100- pubblicazione dei famosi atlanti di carte 104. moderne di Abraham Ortel (Theatrum,

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 36 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 37 3. Descrittione del territorio di Perugia Augusta e dei luoghi circonvicini del P.M. Danti da Perugia matematico dello Studio di Bologna Autore Egnazio Danti (1536-1586) Anno 1577 disegno – 1580 incisione Tecnica incisione in rame Incisore Mario Cartaro Dimensioni mm 620x800

La carta, stampata a Roma nel 1580 da compare la scritta ’campagna’; infine, a Mario Cartaro e disegnata nel 1577 sulla nord della città, tra Perugia e ’Fratta’, il base di rilievi effettuati da Egnazio Danti, distanziamento dei monticelli giustifica la fu commissionata dai signori di Perugia e dicitura ’Pian della Teverina’». mons. Ghisleri, governatore della Romagna L’A. dimostra una certa attenzione anche probabilmente con l’intento di distinguere nella rappresentazione dei confini, seppure il Perugino dalla Toscana, nell’ambito della non siano segnalati quelli con l’Urbinate, il quale era solitamente raffigurato, oltre che contado Tifernate e quelli con la Toscana a descrivere il dominium della città. È la nord del Trasimeno, che presumibilmente prima carta a stampa della regione ed è si possono far coincidere con il corso del stata di ispirazione per molti cartografi torrente Niccone fino alla sua confluenza successivi. Le omologhe carte presenti nel con il Tevere. Theatrum orteliano (1601) e nell’Italia del In alto è destra è raffigurata la Magini (1620) sono di derivazione personificazione della città, seduta su un dantiana. carro trainato da due grifi alati. Sottostante Perugia è rappresentata al centro della alla figura sono presenti alcune indicazioni tavola, particolare evidenza è rivolta alla in latino di carattere storico e celebrativo. Rocca Paolina con la caratteristica struttura Dedicata al governatore generale della a tenaglia. La piana di Assisi risulta Santa Chiesa, Iacopo Boncompagni, è dominata dalla città, la cui struttura urbana firmata dall’incisore nel margine inferiore. è illustrata attraverso una piccola pianta prospettica, mancano comunque altri Bibliografia evidenti elementi distintivi del territorio. Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo Come nota Francesca de Meo, il Danti territorio. Incisioni dal XV al XIX secolo, I, pone «in evidenza la dissimmetria dei [Carte, piante, vedute], pp. 14-15; F. De versanti della valle del Tevere: a sud di Meo, Le acque negli atlanti e nella Perugia, nella destra idrografica un lieve cartografia ufficiale, cit., pp. 36, 40, 42; tratteggio continuo ed allungato dà conto Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili. dei sedimenti villafranchiani e spiega la Centralizzazione e regionalizzazione dello scritta ’collina’; nella sinistra idrografica, Stato Pontificio, p. 140 ; C. Perini, L’Italia nell’area delimitata a sud dal ’Chiagio F.’, e le sue regioni, cit., p. 106.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 38 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 39 4. Carta d’insieme dell’Umbria Autore Cipriano Piccolpasso (1524-1579) Anno 1578-79 Dimensioni mm 455x420 circa

Il disegno non risale all’epoca della La carta povera di località, appare anche ricognizione voluta da Pio IV ed effettuata piuttosto rudimentale per l’orografia e dal Piccolpasso, provveditore alla fortezza l’idrografia; non presenta né orientazione di Perugia, nel 1565, in quanto fa parte di né scala. Nonostante sia scadente dal punto un manoscritto databile tra 1578-79 che di vista tecnico, la tavola riveste una certa raccoglie disegni e piante delle città e importanza essendo una delle prime fortezze dell’Umbria. La raccolta raffigurazioni dell’Umbria che comprende comprende anche un accurato disegno del anche il Perugino e tutta la zona del lago Trasimeno e dintorni, che accompagna Trasimeno, scelta questa che a lungo non uno scritto sulla battaglia del Trasimeno, in verrà riproposta nella cartografia cui sono ben indicati i «confini di posteriore. Fiorenza». La carta dell’Umbria qui riportata Bibliografia abbraccia il territorio fino ad e a Cfr. R. Almagià, L’Italia di G. Antonio Borgo S. Sepolcro a nord, fino a Camerino Magini e la cartografia dell’Italia dei e Norcia ad est, fino a Civita ducata e secoli XVI e XVII, pp. 68-69; R. Volpi, Il Narni a sud, fino ad Orvieto e Cortona ad recupero del termine «Umbria» in età ovest. Nella carta vengono indicati «il stato moderna, p. 114; R. Volpi, L’Umbria nella di Fiorenza e suoi confini con il stato cartografia, 1993, p. 20. Vedi anche C. ecclesiastico» e «i confini del stato di Piccolpasso, Le piante et i ritratti delle Urbino», anche se molto probabilmente il città e terre dell’Umbria sottoposte al segno giallo che li contraddistingueva si è governo di Perugia, a cura di G. Cecchini, cancellato con il tempo. Roma, s. n., 1963.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 40 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 41 5. Umbria Autore Egnazio Danti (1536-1586) Anno 1580-81 Tecnica affresco Dimensioni mm 3240x4360 Note orientazione con rosa dei venti. Ha il sud in alto.

La carta rappresenta l’antico Ducato di zone montane; pianura e collina sono Spoleto con il territorio di Camerino e fa dipinte in vari toni di verde. parte del ciclo di quaranta affreschi Particolareggiata è l’idrografia del realizzato nella Galleria delle Carte territorio e la raffigurazione dei centri Geografiche o del Belvedere in Vaticano. abitati che sono resi in color carminio e Porzioni dell’attuale territorio umbro si disegnati con gruppi di edifici con una ritrovano anche negli affreschi intitolati piccola immagine prospettica – quasi a Perusinus ac Tifernas (costituito dai mettere in luce gli edifici più significativi – territori di Perugia e Città di Castello con il e con alcune piantine – come quella di bacino del Trasimeno e una parte della Val Orvieto; le sedi episcopali sono sormontate di Chiana), Etruria (che comprende anche da una croce d’oro. I nomi sono scritti in il Perugino e l’Orvietano), Latium et nero e oro, alcuni dei quali in latino. Sabina (nella quale figurano centri come Maggiore rilievo viene dato alla città di Terni, Narni e Otricoli), Patrimonium S. Spoleto, al centro dell’affresco. Petri (in cui compare la città di Orvieto, Probabilmente postuma, del 1613, è la che viene oltretutto raffigurata in un raffigurazione della veduta speciale della riquadro a parte) e Urbini Ducatus (che città, posta in un riquadro a parte. descrive il Ducato di Urbino così come era fino al 1631 e arriva ad includere la piana Bibliografia di Gubbio). Una parte almeno dei territori Cfr. R. Almagià, Monumenta raffigurati fu rilevata personalmente dal Cartographica Vaticana, III, Le pitture Danti nel 1580, mentre non si conoscono murali della Galleria delle Carte eventuali altre fonti di riferimento. Geografiche, pp. 38-39; F. Ammanniti, La Nell’affresco figura la rappresentazione di cartografia italiana dall’inizio dell’era due avvenimenti storici: l’assedio di moderna all’Atlante del Magini, cit.; L. Spoleto da parte di Annibale e la Gambi e A. Pinelli (a cura di), La galleria liberazione di papa Leone III dalla delle Carte Geografiche in Vaticano, II, prigionia ad opera del duca di Spoleto Testi, in particolare L. Gambi, Egnazio Guinigiso. Danti e la Galleria delle Carte La rappresentazione dell’orografia è resa geografiche, pp. 83-96; L. Gambi e A. secondo i canoni geo-iconografici del Pinelli (a cura di), La galleria delle Carte Cinquecento. Il disegno del rilievo è molto Geografiche in Vaticano, III, Carte, nello efficace con coni ammassati e colorati di specifico vedi fogli nn. 4 (Etruria), 5 verde e bruno a cui sono frammiste (Perusinus ac Tifernas), 6 (Patrimonum S. colorazioni tese a dare maggiore risalto alle Petri), 7 (Umbria), 27 (Urbini Ducatus).

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 42 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 43 6. Perusini agri; exactissima novissimaque descriptio auctore Egnatio Dante Autore Egnazio Danti (1536-1586) Anno 1584 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 370x510

Autore della rilevazione è il perugino Questa versione, seppur meno scenografica Egnazio Danti, frate domenicano, di quella del Cartaro, è comunque ricca matematico, cosmografo, scienziato, sotto il profilo geografico e presenta pittore, architetto, poi vescovo di Alatri, fu numerosi centri abitati. Manca una figura di rilievo nel panorama culturale l’indicazione delle strade, vengono invece cinquecentesco italiano ed europeo. segnati i ponti. Tra i centri abitati spicca Ricoprì prestigiosi incarichi a Firenze a Perugia, resa attraverso una pianta servizio del Granduca Cosimo de’ Medici, scenografica, mentre le altre località sono elaborando le mappe che decorano la Sala individuate con più sommarie delle Carte di Palazzo Vecchio, a Bologna raffigurazioni, di maggiore o minore come docente presso l’Università, e a grandezza a seconda dell’importanza delle Roma presso la corte di Papa Gregorio stesse. XIII, in cui realizzò il ciclo di mappe nella galleria delle carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano (vedi tav. 5). Bilbiografia La carta è tratta dal Theatrum Orbis Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo Terrarum di Abraham Ortel, primo territorio, cit., pp. 16-17; P. Giorgi, La cartografo a citare le sue fonti per le carte terra e l’acque. La rappresentazione a (le tavole riportano infatti i i nomi degli stampa del Trasimeno dal ’500 all’800, autori delle rilevazioni e delle notizie 2003, pp. 20-21; F. Ronca e A. Volpini (a cartografiche). cura di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. La tavola orteliana del territorio perugino 46-47; Cfr. R. Volpi, Le regioni introvabili, riprende la Descrittione del territorio di cit., p. 140. Perugia del 1580 (vedi tav. 3).

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 44 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 45 7. Marchia Anconitana cum Spoletano Ducatu Autore Gerard Kremer, noto come Mercator (1512-1594) Anno 1589 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 353 x 452

La carta è opera del geografo, matematico, Le informazioni cartografiche sono desunte astronomo, cartografo e topografo per quanto concerne il territorio di Perugia fiammingo, Gerard Kremer, noto anche dalle carte dantiane. come Mercator. Ricevette una formazione Da notare una certa cura nella classica e studiò matematica con Gemma raffigurazione dell’idrografia e Frisius all’Università di Lovanio. dell’orografia, manca invece la definizione Perseguitato dall’Inquisizione si trasferì nel dei confini politici. 1522 a Duisburg, dove venne nominato Tra le città del Ducato Mercator annovera cosmografo ducale nel 1563. Nel 1578 Gubbio, Nocera, Foligno, Assisi, pubblicò la sua edizione della Geographia Montefalco, Spoleto, Cerreto, Terni e Todi. di Tolomeo. La carta nonostante pecchi di qualche La tavola qui riportata fu edita per la prima imprecisione nella rilevazione topografica volta nella raccolta Italiae, Sclavoniae et del territorio, è molto curata sotto l’aspetto Greciae Tabulae Geographicae, integrata incisorio e ornata da un elegante cartiglio. nel 1595 da altre carte dello stesso autore nell’Atlas sive cosmographicae Bibliografia meditationes de fabrica mundi et fabricati Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo figura, cosmografia in cinque volumi che territorio, cit., pp. 18-19; P. Giorgi, La fu curata dal Mecator solo in piccola parte, terra e l’acque, cit., pp. 24-25; F. Ronca e la restante fu portata a termine dal figlio A. Sorbini (a cura di), Le antiche terre del Rumoldo nel 1602. Ducato di Spoleto, cit., pp. 40-41; vedi Nell’opera del Mercator non esiste una anche G. Mangani e F. Mariano, Il disegno carta specifica dell’Umbria, tuttavia la del territorio, cit., pp. 126-132; F. Ronca e tavola dedicata alla Marca d’Ancona e al A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei Ducato di Spoleto rappresenta anche il confini, cit., pp. 48-49. Vedi inoltre F. De Perugino e l’area trasimenica, tutto il Meo, Le acque negli atlanti e nella contado di Città di Castello e alcuni centri cartografia ufficiale, cit., p. 40. dell’Orvietano.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 46 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 47 8. Questa è la pianta de tutto il territorio dominio et destretto della città de Spoleto et lochi che li confinano [...] Autore Gellio Parenzio (sec. XVI) Anno 1597 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 318x362 Note orientazione con rosa dei venti. Ha il sud-est in alto.

L’autore della carta è Gellio Parenzio, confine tra le due province umbre; a ovest ingegnere militare al servizio della giunge quasi a Massa Martana, arrivando Repubblica Veneta e del Gran Ducato di sino ai castelli di S. Giovanni e Toscana, divenne podestà di Giano Pustignano. dell’Umbria nel 1584. Della sua attività Di particolare interesse è la tabella dei come cartografo resta solo la carta del centri abitati distinti in quattro categorie a territorio di Spoleto, stampata per la prima seconda dell’importanza con l’indicazione volta a Roma nel 1597, dal titolo Questa è del numero di fuochi. la pianta de tutto il territorio dominio et La ristampa del 1630 posseduta dalla destretto della città de Spoleto et lochi che Biblioteca Vaticana contiene notevoli li confinano fatta con giusta osservazione aggiunte e varianti rispetto all’edizione da loco a loco dal Cap.no Gellio Parentio originaria: è inserita ad esempio la de Spoleto. rappresentazione della Cascata delle L’intento dell’autore è quello di descrivere Marmore, la località di Valli Castelli e sono quanto più precisamente possibile il aggiunti numerosi centri nel territorio di dominium della città e offrire un utile Cascia. strumento a coloro che ricoprono incarichi nell’amministrazione del contado. Bibliografia La carta è realizzata sulla base di una serie Cfr. R. Almagià, Monumenta di ricognizioni condotte sul posto Cartographica Vaticana, II, Carte dall’autore. La rappresentazione della Valle geografiche a stampa di particolare pregio e della viabilità principale, tracciata con o rarità dei secoli XVI e XVII esistenti linea puntinata, è abbastanza precisa. Il nella Biblioteca Apostolica Vaticana, p. 67; disegno dell’orografia è predominante, R. Almagià, L’Italia di G. Antonio Magini, anche se la raffigurazione della montagna cit., p. 68; F. Ronca e A. Sorbini (a cura spoletina presenta imprecisioni. di), Le antiche terre del Ducato di Spoleto, La carta permette di osservare la vastità del cit., pp. 42-43; R. Volpi, Le regioni territorio spoletino, che alla fine del introvabili, cit., pp. 141-142; F. Ronca e A. Cinquecento si estende sulla fascia Volpini (a cura di), Alla ricerca dei confini, preappenninica da Sellano a S. Anatolia di cit., pp. 52-53. Vedi inoltre F. De Meo, Le Narco e da qui a Monteleone; a sud-ovest è acque negli atlanti e nella cartografia limitata da una linea prossima all’attuale ufficiale, cit., p. 40, 42.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 48 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 49 9. Territorio Perugino Autore Giovanni Antonio Magini (1555-1617) Anno 1597- 1600 ca. Tecnica incisione in rame Incisore Arnoldo di Arnoldi (XVI-XVII sec.) Dimensioni mm 355 x 423

Astronomo, cartografo, matematico e battaglia dei romani contro Annibale), astrologo padovano, Giovanni Antonio generalmente molto rare nelle carte del Magini completò i suoi studi di filosofia a Magini; per il territorio di Assisi vi è Bologna, dove dal 1588 insegnò corrispondenza con la rappresentazione matematica. Fu in corrispondenza con offerta dal Magini nella carta del Ducato di importanti scienziati dell’epoca come Spoleto. Brahe, Ortel e Keplero. Sostenitore del I centri abitati segnalati sono numerosi e sistema geocentrico, come cartografo ben posizionati; l’idrografia è compilò un atlante geografico d’Italia, particolareggiata, l’orografia è resa tramite pubblicato postumo dal figlio Fabio con il coni con ombreggiatura a destra. titolo L’Italia data in luce da Fabio suo Sono delineati con precisione i confini tra figliolo (1620), da cui è tratta la tavolo qui territorio Perugino e aree limitrofe; si riprodotta. L’Italia è una raccolta di carte distinguono in particolare il Fiorentino, geografiche frutto di un inteso lavoro di parte dello Stato di Urbino, del Ducato di ricerca che l’autore ha compiuto Spoleto, del Senese e dell’Orvietano. consultando non solo le fonti cartografiche La dedica di Fabio Magini è ad Enea esistenti, ma anche documenti ufficiali, Magnani, Conte di Thetule e Senator di relazioni, corrispondenze di collaboratori Bologna. locali, rivolgendo particolare attenzione Questa è una delle poche carte dell’Italia alla definizione dei confini politico- maginiana a non presentare tracce di amministrativi. correzioni effettuate sul rame. In questa carta, la raffigurazione del Perugino e del Marchesato di Castiglione Bibliografia riprende sicuramente dalla carta del Danti Cfr. R. Almagià, L’Italia di G. Antonio del 1580, da cui desume le note Magini, cit., pp. 66-67; F.R. Cassano, orografiche, idrografiche e la nomenclatura Perugia e il suo territorio, cit., pp. 20-21; dei centri abitati oltre che alcune P. Giorgi, La terra e l’acque, cit., pp. 34- indicazioni storiche (la «Rotta de Romani» 35; F. Ronca e A. Volpini (a cura di), Alla sulla sponda settentrionale del Trasimeno; ricerca dei confini, cit., pp. 58-59. «Trasumena Rovinata» in riferimento alla

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 50 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 51 10. Territorio di Perugia. Perusia Autore Abraham Ortel o Ortelius (1528-1598) Anno 1598 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 77x102

Abraham Ortel, nato ad Aversa, fu che approfondisce e precisa alcuni cartografo contemporaneo e amico del riferimenti geografici, soprattutto in Mercator. Rimasto orfano in giovane età, si relazione all’idrografia (vedi Cassano pp. dedicò agli studi umanistici e storici, 26-27). Nell’edizione del Teatro del mondo impegnandosi poi come alluminatore di del 1598 è presente anche una carta del carte in un laboratorio cartografico in cui territorio di Orvieto che non riporta il apprese l’arte della cartografia. Tra il 1550 confine con il Patrimonio, di cui forse è e il 1560 compì numerosi viaggi in ancora considerata parte, ma cerca di Francia, Italia e Germania. La sua opera delineare quelli con il Perugino e l’Umbria, principale è il Theatrum Orbis Terrarum, nonostante la presenza di qualche errore, una raccolta di 70 carte moderne di tutto il come ad esempio l’inclusione di Marsciano mondo, realizzate da diversi autori ed nell’Orvietano, che invece nella carta qui incise su 53 fogli da Francesco Hagenburg. presentata risulta rientrare nel Perugino. Il Theatrum, pubblicato in sette lingue e La rappresentazione della tavola riprodotta trentasei edizioni, rappresenta uno dei più di seguito è piuttosto approssimativa e noti atlanti del Cinquecento. imprecisa nell’idrografia, nell’orografia e La tavola appartiene alla versione di nell’indicazione dei centri abitati, formato ridotto del Theatrum orteliano. raffigurati i maggiori tramite semplici Della stessa carta esistono altri modelli: un vedutine prospettiche. Una linea Perusinus Ager. Perusia (fine XVI sec.- tratteggiata separa il Perugino dal inizio XVII sec.), tavola pubblicata in una Fiorentino, dall’Urbinate e dall’Orvietano. delle edizioni latine della versione in formato ridotto del Theatrum, denominata Bibliografia Epitome, sostanzialmente analoga Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo all’esemplare qui riportato, salvo l’assenza territorio, cit., pp. 22-23; P. Giorgi, La delle vedute prospettiche, tranne che nel terra e l’acque, cit., pp. 26-27; Cfr. R. caso di Perugia (vedi Cassano pp. 24-25) e Volpi, Le regioni introvabili, cit., pp. 141, un Territorio di Perugia. Perusia (1601) 142.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 52 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 53 11. Territorio di Orvieto Autore Giovanni Antonio Magini (1555-1617) Anno 1599-1600 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 397x353

Per la realizzazione della carta il Magini ha correttamente. I confini sono delimitati sicuramente attinto dalla Urbisveteris tramite linea puntinata. Antiquae Ditionis descriptio di Egnazio La tavola non sembra aver subito Danti, pubblicata nel 1583 e realizzata per correzioni per l’area dell’Orvietano vero e Monaldo Monaldeschi della Cercara proprio, mentre sul rame variazioni si «Signore di Trivinano e Canonico di S. riscontrano nella parte del territorio di Pietro a Roma». Todi. Come nota l’Almagià, analogie tra le due Il titolo è racchiuso nel bel cartiglio in alto carte sono riscontrabili nell’orografia, a sinistra; la dedica al vescovo di Bagnorea nell’idrografia, nella raffigurazione del mons. Ruini è inserita nel cartiglio in corso del Tevere e nella collocazione di basso. molti centri abitati per la zona a nord del lago di Bolsena, tra questo e la Paglia e per Bibliografia l’area tra la Paglia e la Chiana; minori sono Cfr. R. Almagià, L’Italia, di Giovanni invece le somiglianze per l’area a ovest e a Antonio Magini, cit., pp. 67-68; F. Ronca e nord-ovest del lago di Bolsena che riprende A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei nelle linee generali dalla raffigurazione confini, cit., pp. 62-63. Un’accurata dello Stato di Siena che deriva dal descrizione della carta del Danti è offerta Buonsognori. La tavola del Magini da S. Manglaviti, Urbisveteris antiquae presenta inoltre molte località assenti in ditionis descriptio. La prima quella del Danti; per la raffigurazione del rappresentazione cartografica a stampa lago di Bolsena, il Magini ha attinto dalla del territorio orvietano nell’anno giubilare carta del Bellarmato. 1583, Orvieto, s. n., 2002 [estratto da L’orografia è sommaria, mentre più precisa «Bollettino dell’Istituto storico artistico è la delineazione della rete idrografica. La orvietano», 50-57 (1994-2001)]. Vedi carta riporta un buon numero di centri inoltre F. De Meo, Le acque negli atlanti e abitati, posizionati abbastanza nella cartografia ufficiale, cit., pp. 38, 42.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 54 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 55 12. Umbria, overo Ducato di Spoleto Autore Giovanni Antonio Magini (1555-1617) Anno 1601-1607 Tecnica incisione in rame Incisori Arnoldo di Arnoldi (sec. XVII), Benjamin Wright (1575-1613) Dimensioni mm 470x372

L’incisione è ripresa dall’atlante di nella raffigurazione dei centri abitati e Giovanni Antonio Magini intitolato Italia, nella rappresentazione dell’orografia, così pubblicato postumo, nel 1620, a cura del come le numerose raschiature dei confini figlio Fabio. (confine meridionale del territorio di Todi e L’importanza della città di Spoleto è parte di quello tra Todino e Spoletino) e desumibile dalla sua collocazione, non degli stessi centri abitati (specie a ovest e a casuale, al centro della carta. Il Perugino e sud-ovest dello spoletino e a sud di l’Orvietano sono considerati staccati Spoleto) indicano, come nota l’Almagià, dall’Umbria che invece comprende i che la tavola potrebbe essere stata incisa a governi di Todi, Assisi, Foligno, Spoleto, più riprese e realizzata grazie all’ausilio di Terni, Narni e Norcia. fonti ricevute in tempi successivi dal Ad eccezione del territorio di Assisi, la cartografo padovano. carta è ricca di indicazioni sia per L’opera è impreziosita, in alto a destra, da l’idrografia che per i centri abitati, un cartiglio con il titolo e da uno, in basso particolare attenzione viene rivolta ai a destra, che riporta la dedica di Magini al confini politici e territoriali, mentre la cardinale Francesco Barberini. raffigurazione dell’orografia è piuttosto arbitraria. Il Tevere separa il Ducato di Bibliografia Spoleto da Orvieto e dal Patrimonio; la Cfr. R. Almagià, L’Italia di G. Antonio Sabina comprende solo la parte Magini, cit., pp 68-70; F.R. Cassano, meridionale dell’attuale provincia di Rieti, Perugia e il suo territorio, cit., pp. 28-29; mentre il contado reatino fino ad Arnaro F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le (oggi Ornaro) e Rocca Sinibalda è antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., considerato in Umbria. L’area delle pp. 44-45; F. Ronca e A. Volpini (a cura Marmore e della conca reatina è occupata di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 66-67. da una fitta rete di specchi lacustri di Vedi inoltre F. De Meo, Le acque negli svariate forme, collegati dal Velino e altri atlanti e nella cartografia ufficiale, cit., pp. rami fluviali. Le differenze individuabili 40, 42.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 56 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 57 13. Umbriae Antiquae descriptio Autore Philipp Clüver (1580-1622) Anno 1624 Tecnica incisione in rame Incisore Nicolaes Geelkercken (1585-1656) Dimensioni mm 281x365

La carta è tratta dall’opera Italia Antiqua, l’indicazione dei nomi dei fiumi e delle del geografo e storico tedesco Philipp principali città citate in lingua latina. Clüver, considerato il fondatore della La rappresentazione dell’antica Umbria geografia storica per aver per primo compare anche nella carta Etruriae Latii dimostrato che per la ricostruzione Umbriae Piceni Sabinorum et Marsorum geografica è necessaria la ricognizione Vetus et Nova Descriptio (vedi Cassano pp. diretta dei luoghi. 44-45; Giorgi pp. 38-39; Ronca, Sorbini La tavola offre una rappresentazione della pp. 56-57) che offre una raffigurazione regione che ricalca i confini dell’Umbria complessiva delle terre occupate dagli antica, occupata dal popolo degli Umbri, antichi popoli dell’Italia centrale con estesa fino all’Adriatico e alla latitudine di relativa delimitazione delle varie aree Ravenna. L’Umbria è separata dall’Etruria, tramite linea puntinata e denominazione dalla Sabina e dalle terre dei Piceni e dei dei luoghi secondo la dicitura latina e Lingoni con una linea puntinata; non moderna. comprende Perugia e il lago Trasimeno che rientrano in Etruria (vedi Cassano pp. 40- Bibliografia 41, Etruriae Antiquae descriptio ). Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo L’Appennino è delineato efficacemente territorio, cit., pp. 42-43; F. Ronca e A. tramite mucchi di talpa più fitti e più Sorbini (a cura di), Le antiche terre del grandi rispetto al resto del territorio; la Ducato di Spoleto, cit., pp. 54-55; F. Ronca raffigurazione dei principali corsi d’acqua e A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei e degli affluenti è accurata, così come confini, cit., pp. 74-75.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 58 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 59 14. Umbria Perugino Autore e inc. Jodocus Hondius II (1594-1629) Anno 1626 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 181x249

Jodocus Hondius II fu figlio dell’incisore, Pescara del Tronto, Arquata e tutta la cartografo ed editore fiammingo Jodocus catena dei Sibillini. Hondius I, il quale ristampò l’Atlas del Fonti iconografiche di riferimento furono Mercator aggiungendovi 40 mappe. molto probabilmente i famosi atlanti L’opera conobbe vasta fortuna, tanto che mercatoriani. ne venne stampata anche una versione La raffigurazione dell’orografia e tascabile intitolata Atlas minor (questi dell’idrografia sebbene più dettagliata atlanti sono noti come «serie Mercator- rispetto alla carta dal titolo Ecclesiasticum Hondius»). A seguito della morte del padre, Dominium (vedi Cassano pp. 48-49; Giorgi Jodocus, il fratello Henricus insieme alla pp. 42-43; F. Ronca e A. Sorbini pp. 60- madre e al cognato Jan Jansson, hanno 61), contenuta nella stessa raccolta, risulta continuato la sua opera. essere sommaria, così come povera e Tratta dalla Nova et accurata Italiae approssimativa è l’indicazione dei centri Hodiernae descriptio, edita ad Amsterdam abitati. nel 1626, la carta, che risente dell’influsso della cartografia maginiana, raffigura come Bibliografia provincia a parte sia il Perugino che il Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo Tifernate, mentre l’Umbria, intesa come territorio, cit., pp. 46-47; P. Giorgi, La Ducato di Spoleto, è composta dai governi terra e l’acque, cit., pp 44-45; F. Ronca e posti al di là del Tevere, il quale segna il A. Sorbini (a cura di), Le antiche terre del confine nel tratto di Monte Castello e Ducato di Spoleto, cit., pp. 58-59; F. Ronca Corbara, quindi dal Nera alle Marmore (da e A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei ciò risulta che Amelia e Terni sono umbre, confini, cit., pp. 76-77. R. Volpi, Le regioni mentre Narni è in Sabina). Rieti è ancora in introvabili, cit., pp. 166-167. Umbria, come ad est risultano farne parte

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 60 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 61 15. La provincia di S. Francesco Autore Silvestro Pepi Anno 1632 Dimensioni mm 285x390

Autore della carta è il padre cappuccino ma si concentra sulla raffigurazione dei Silvestro Pepi. Nato a Panicale, fu centri sedi di conventi – ritratti attraverso segretario di tre Ministri Generali interessanti vedute prospettiche – dell’ordine. Durante i viaggi compiuti al comprendendo Gubbio e Perugia ed loro seguito prese appunti di carattere escludendo la Sabina e Orvieto. geografico e geopolitico, arrivando alla Nel complesso la carta presenta evidenti realizzazione dell’opera nota come Atlante imprecisioni nell’ubicazione dei luoghi e cappuccino, da lui realizzata su incarico nell’orientamento; piuttosto sommaria è del ministro generale dei Cappuccini, nel l’orografia e la delimitazione dei confini. quale è contenuta la tavola che raffigura la provincia di San Francesco. Bibliografia La rappresentazione della provincia non Cfr. A. Melelli, L’Atlante cappuccino: tiene conto né delle partizioni politico- notazioni storico-geocartografiche, pp. amministrative né della tradizione dotta, 199-202.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 62 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 63 16. Pianta dell’illustrissima città di Todi e suo territorio

Autore Gregorio Mansi (sec. XVII) Anno 1633 Tecnica incisione in legno Incisore Tomaso Tomassi (sec. XVII) Dimensioni mm 530x393

Dell’attività del Mansi, geografo e piccole vedute di altre cittadine mettono in cartografo nativo di Todi, l’unica rilievo alcuni dei monumenti più documentazione a noi giunta è la carta del significativi; l’ubicazione dei centri abitati territorio di Todi. è sufficientemente esatta. A destra in alto in un rettangolo compare lo I monti sono disegnati a grandi coni, con stemma di Todi e la scritta: «Pianta ombre a destra. I confini sono identificati dell’Illustrissima città di Todi e suo da una linea punteggiata, le strade territorio»; a sinistra in alto, la targa con presentano una doppia linea punteggiata. stemma vescovile e la dedica: Nei primi dell’800 la tipografia Scalabrini «All’Illustriss. e Reverendiss. Sig. e ha ristampato alcune copie della carta Padron Colendiss. Mons. Diego Sensale eliminando dalla matrice titolo, dedica e Governator di Todi». stemma; pertanto questi spazi nelle La carta non riporta datazione, ma è ristampe rimangono bianchi. sicuramente del 1633 dato che Diego Sensale fu governatore di Todi solo in Bibliografia quell’anno. Cfr. R. Almagià, Monumenta La tavola rivolge particolare attenzione alla Cartographica Vaticana, II, cit., p. 56; F. raffigurazione delle numerose località Ronca e A. Volpini (a cura di), Alla ricerca soggette al dominio della città di Todi, dei confini, cit., pp. 78-79; vedi anche R. situata al centro della carta, di cui viene Volpi, Le regioni introvabili, cit., p. 178. fornita una pianta prospettica, mentre

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 64 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 65 17. Umbria overo Ducato di Spoleto Editore Henricus Hondius Anno 1636 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 382x490

Carta tratta dall’opera Gerardi Mercatoris a sinistra, al di fuori dell’Umbria, e resa Atlantis Novi Pars Tertia [...], di evidente attraverso una stilizzata e ridotta veduta derivazione maginiana. Nella stessa prospettica. La suddivisione territoriale è raccolta rientrano anche la carta Stato evidenziata da diverse colorazioni e la della Chiesa. Dominium Ecclesiasticum in configurazione orografica è ben resa con Italia (vedi Ronca e Sorbini pp. 66-67; monticelli prospettici più o meno marcati e Cassano pp. 52-53) e una tavola dal titolo correttamente disposti. Territorio Perugino (vedi Cassano pp. 54- 55). Bibliografia Spoleto, al centro della carta, è raffigurata Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo con una pianta con dimensioni molto più territorio, cit., pp. 56-57; F. Ronca e A. grandi rispetto agli altri centri abitati, Sorbini (a cura di), Le antiche terre del compresa Perugia che è localizzata in alto Ducato di Spoleto, cit., pp. 68-69.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 66 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 67 18. Umbria overo Ducato di Spoleto Editori Joan e Cornelius Blaeu (sec. XVII) Anno 1640 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 386x505

La tavola è tratta dalla terza parte quello di Otricoli. Lungo i Sibillini il dell’opera Theatrum Orbis Terrarum, sive confine marchigiano sembra coincidere Atlas Novus, pubblicata ad Amsterdam nel con lo spartiacque, tranne che nella parte 1640 da Joan e Cornelius Bleau, figli del settentrionale della catena, dove il Bove è cartografo, navigatore olandese e tutto umbro; nel Vissano i castelli di disegnatore di atlanti Willem Blaeu. Joan e Mevale e Chiusita sono considerati in Cornelius continuarono l’attività del padre Umbria. dopo la sua morte, avvenuta ad Amsterdam La carta è dedicata «all’Eminentissimo et nel 1638. L’opera comprende tutte le carte Reverendissimo Principe Francesco maginiane dell’Italia, tra cui quella dello Cardinale Barberino Vicecancellario e Stato della Chiesa (vedi Cassano, pp. 36- Nepote della S.S. Urbano VIII». 37). La carta è pressoché identica a quella di Bibliografia Henricus Hondius (vedi carta 17) e di Jan Cfr. F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le Jansson (vedi Ronca e Sorbini pp.72-73 e antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., Cassano pp. 64-65). pp. 70-71; R. Volpi, Le regioni introvabili, Come nella carta del Magini è segnalato il cit., p. 170. passaggio di Calvi alla Sabina, ma non

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 68 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 69 19. Provincia S. Francisci seu Umbriae cum confinijs Anno 1649 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 229x327

La tavola è tratta dall’opera si insediarono i monaci dell’Ordine dei Chorographica descriptio Provinciarum et Cappuccini. Conventum Fratrum Minorum S. Francisci Il territorio di Perugia, Città di Castello, capucinorum, predicatorum, sacerdotum, l’area del Ducato e una piccola parte del clericorum, et laicorum universorum Lazio (Amatrice, Monte Reale, alta valle eiusdem ordinis collection […] iussu S.R.P. del Tronto) formano la provincia di S. Joannis a Montecaliero Ministri Generalis Francesco. communi utilitati, Augustae Taurinorum, La rappresentazione orografica e 1649. idrografica è sommaria e imprecisa, così L’atlante di cui la tavola fa parte prende come l’ubicazione e la distanza relativa dei spunto dalla Chorographica descriptio centri. provinciarum realizzata da padre Silvestro da Panicale nel 1632 per uso personale del Bibliografia Vicario Generale, quale utile strumento di Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo viaggio per le visite pastorali. territorio, cit., pp, 58-59; P. Giorgi, La La carta è una delle 51 incisioni presenti terra e l’acque, cit., pp. 50-51; F. Ronca e nell’atlante tematico, commissionato dal A. Sorbini (a cura di), Le antiche terre del Ministro generale dell’Ordine dei Ducato di Spoleto, cit., pp. 88-89; F. Ronca Cappuccini Giovanni da Moncalieri e e A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei raffigura, attraverso stilizzate vedute confini, cit., pp. 82-83. prospettiche, le 42 sedi conventuali in cui

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 70 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 71 20. Descrittione dello Stato della Chiesa e della Toscana Autore Michel Antoine Baudrand (1633-1700) Anno 1669 Tecnica incisione in rame Incisore Giovanni Lhuilier Dimensioni mm 438x560 Note Priva di orientazione; la scala è espressa in miglia italiane, leghe francesi e miglia tedesche

La carta è tratta dal Mercurio Geografico, all’abate Felice Rospigliosi, nipote di papa stampato a Roma da Giovanni Giacomo de Clemente IX, e inserita nel cartiglio i cui Rossi. elementi principali sono ripresi da Le notazioni geografiche sono desunte un’incisione di Henricus Hondius nella dalla tavola del Sanson, Estat de l’Eglise et quale figurano la personificazione della de Toscane (1647) (vedi Cassano pp 68-69; Chiesa, affiancata dagli apostoli Pietro e Ronca e Sorbini pp. 76-77), basata sul Paolo. prototipo maginiano del 1620. La tavola vede distinti il contado di Città di Bibliografia Castello, Perugino, Orvietano e Umbria, in Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo cui rientra la Sabina. Come nota Cassano, territorio, cit., pp. 78-79; F. Ronca e A. il valore dell’incisione è più storico- Sorbini (a cura di), Le antiche terre del artistico che scientifico. Ducato di Spoleto, cit., pp. 98-99; R. Volpi, La dedica di Gian Giacomo de Rossi è Le regioni introvabili, cit., pp. 172-173.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 72 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 73 21. Status Ecclesiasticus et Magnus Ducatus Thoscanae Autore Frederick de Wit (1630-1706) Anno 1688 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 495x584

Autore della carta e il matematico e Cetona figura nell’Orvietano. Ben delineati cartografo olandese, Frederick de Wit. risultano i confini; la nomenclatura è in Dopo aver svolto il suo apprendistato con latino e i centri maggiori sono resi con il famoso cartografo Willem Blaeu, nel stilizzate piante topografiche. 1648 fondò una tipografia ad Amsterdam Notevole il cartiglio raffigurante un che produceva carte di terra, carte nautiche monumento sul quale si ergono le e atlanti celebri per la loro fattura e personificazioni del Papato e del precisione. De Wit è noto in particolare Granducato. come autore dello Zeekarten, uno dei migliori atlanti nautici dell’epoca. Bibliografia La tavola qui inserita è tratta dall’opera Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo Atlas Maior e raffigura lo Stato della territorio, cit., pp. 82-83; P. Giorgi, La Chiesa e il Granducato di Toscana. Di terra e l’acque, pp. 64-65; F. Ronca e A. ispirazione maginiana, la carta vede nella Sorbini (a cura di), Le antiche terre del Marca Sigillo, Fossato e Gualdo Tadino; Ducato di Spoleto, cit., pp. 110-111; R. Apecchio e Cospaia sono nel Tifernate; Volpi, L’Umbria nella cartografia, 1993, p. Monte Santa Maria Tiberina è in Toscana e 23; R. Volpi, Le regioni introvabili, p. 173.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 74 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 75 22. Territorio di Perugia Autore Vincenzo Maria Coronelli (1650-1718) Anno 1696 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 260x386

Autore della carta è Vincenzo Coronelli, nell’Isolario dell’atlante veneto, si ispira frate francescano, illustre teologo alle tavole del Danti del 1580 e 1584 e al matematico, cartografo e produttore di Territorio Perugino del Magini ed è globi. Nato a Venezia, studiò a Roma nel particolarmente accurata. La città di collegio di S. Bonaventura, laureandosi in Perugia è sita al centro della carta e teologia; ricoprì poi la carica di segretario raffigurata attraverso un’abbozzata pianta provinciale e assistente del maestro di tutto scenografica in cui figura anche la Rocca il territorio della terraferma di Venezia. Nel Paolina, elemento ripreso dalla carta del 1677 lasciò tale incarico per dedicarsi Danti del 1580. interamente agli studi di geografia. Fondò La tavola è dedicata da P. Francesco Maria nel 1684 a Venezia l’Accademia Ferri di Marsciano dell’Accademia degli cosmografica degli Argonauti. L’anno Argonauti al Priore Bernardino Angelo successivo fu nominato cosmografo Carucci, Ministro Provinciale e Com. pubblico della Repubblica di Venezia. Nel Generale dei Minori Conventuali nella 1701 divenne padre generale dell’ordine, Provincia di San Francesco. carica lasciata nel 1704. In Francia venne a contatto con i più famosi cosmografi del Bibliografia tempo e si dedicò ad una intensa attività Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo cartografica. Costruì due famosi globi per territorio, cit., pp. 84-85; P. Giorgi, La Luigi XIV, incise circa 500 mappe e terra e l’acque, pp. 66-67; F. Ronca e A. pubblicò l’ Atlante Veneto in tredici volumi Volpini (a cura di), Alla ricerca dei confini, (1690-1699). cit., pp. 92-93. La carta qui riprodotta, inclusa

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 76 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 77 23. Legatione del Ducato D’Urbino con le Diocesi, E Governo di Città di Castello Autore Filippo Titi Anno 1697 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 340x540

Autore della carta è l’architetto, cartografo e il governo di Fano. ed erudito tifernate Filippo Titi. Si dedicò Nella carta il Tifernate è indicato come agli studi giuridici, dilettandosi anche provincia a parte su cui gravitano i «luoghi nell’arte della pittura. Ordinato sacerdote feudali» di Monte Santa Maria, Pietralunga nel 1658, divenne canonico della cattedrale e Apecchio; il confine del Perugino è e protonotario apostolico di Città di segnato con precisione, riconoscendo a Castello. Come cartografo eseguì il Perugia località quali Sigillo, Fossato, disegno di diverse carte geografiche e Gualdo Tadino, Gaifana e Sassoferrato, vedute che si contraddistinguono per la mentre Gubbio rientra ancora nel Ducato di nitidezza e la bellezza del tratto: Diocesi e Urbino. territorio di Città di Castello, già detto La rappresentazione dell’orografia è a Tiferno, dedicata all’Ill.mi Signori mucchi talpa, fitta e accurata è la Gonfalonieri, Priori e quaranta nobili di toponomastica e l’idrografia. detta città; Carta del Marchesato del La carta è dedicata da Filippo Titi Monte S. Maria (1676); Veduta di Città di «all’Em.mm e Rev.mo Pri.pe, il Signore Castello (1687). La Legatione del Ducato Cardinale Gasparo Carpegna Vicario di N. di Urbino (1698); la Legatione della Sig.re». Romagna (1699) e la Legatione del Ducato di Ferrara compaiono, come quella qui Bibliografia riportata, nel Mercurio Geografico del De Cfr. G. Mangani e F. Mariano, Il disegno Rossi. del territorio, cit., pp. 186-187; F. Ronca e La tavola rivolge particolare attenzione alla A. Volpini (a cura di), Alla ricerca dei delineazione dei confini, segnalati con una confini, cit., pp. 90-91; R. Volpi, L’Umbria linea tratteggiata grazie alla quale si nella cartografia, cit., p. 24. Notizie distinguono la Legazione della Marca di biografiche su Titi in G. Mangani, Carte e Ancona, il Governo di Perugia, il cartografi delle Marche. Guida alla Granducato di Toscana, la Diocesi e il cartografia storica regionale (sec. XVI- Governo di Città di Castello, la legazione XIX), pp. 76-77. di Romagna, la Repubblica di San Marino

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 78 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 79 24. Umbria Autore Vincenzo Maria Coronelli (1650-1718) Anno 1708 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 128x183

Tratta dall’opera Umbria D.D.P. Coronelli, confine orientale non dissimile la raffigurazione è quella tradizionale dall’odierno tra Umbria e Marche. Il dell’Umbria, ne sono infatti esclusi il territorio di Nocera inizia a nord di Perugino e l’Orvietano. La regione risulta Valtopina e vi compaiono anche Gualdo e essere composta dai territori di Assisi, Gaifana che non sono più considerate Nocera, Foligno, Spoleto, Norcia, Cascia, località delle Marche. Altrettanto rilevante Rieti, Narni, Amelia e Todi. è l’inserimento nella raccolta di un Con una linea puntinata sono individuate le Territorio di Gubbio, che corregge alcuni singole partizioni subregionali. Assente è errori della carta generale e riprende la l’indicazione a livello grafico dei principali tradizione erudita che vuole la città in gruppi montuosi, mentre più attenzione è Umbria, e la presenza di un Territorio di rivolta all’indicazione dei centri abitati e Monte-Falco. L’opera contiene inoltre all’idrografia, nonostante manchi il specifiche carte dei territori di Terni, Todi, riferimento toponomastico del fiume una carta del Marchesato di Monte S. Velino. Maria e una della diocesi di Narni. Unico elemento che denota una certa attenzione ai più recenti sviluppi territoriali Bibliografia riguarda il recupero di Otricoli, mentre Cfr. D.D.P. Coronelli, Umbria 1708, s. l., s. Calvi è ancora in Sabina. n., 1969; F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Maggiore puntualità è invece riscontrabile Le antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., nelle carte del Coronelli, contenute sempre pp. 140-141; R. Volpi, Le regioni nella stessa opera, che descrivono i singoli introvabili, cit., p. 242; F. Ronca e A. territori. La rappresentazione del territorio Volpini (a cura di), Alla ricerca dei confini, di Foligno, ad esempio, lascia intuire un cit., pp. 98-99.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 80 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 81 25. Tavola generale della provincia dell’Umbria nuovamente corretta et ampliata secondo lo stato presente Autore Silvestro Amanzio Moroncelli (1652-1719) Anno 1712 Tecnica incisione in rame Stampatore D. de Rossi Dimensioni mm 421x568

La carta è opera dell’abate fabrianese particolare attenzione alla rappresentazione Silvestro Amanzio Moroncelli, geografo, idrografica. cosmografo, topografo e produttore di Dell’Umbria non fanno parte né globi. Disegnò due globi per la Biblioteca l’Eugubino né il Tifernate, ma la carta Alessandrina di Roma e due per quella di ingloba sia il Perugino che tutti i territori S. Giorgio Maggiore a Venezia, posti sull’altra sponda del Tevere. La dedicandone alcuni a diversi personaggi provincia a nord inizia all’altezza di Fratta, illustri (quello Celeste per il cardinale al limite del governo di Città di Castello, e Albani di Urbino, quello Celeste e annovera Fossato, Sigillo e Sassoferrato, Terrestre per il Principe Odescalchi di con un settore che arriva fino alle pendici Milano e il globo Terrestre e Celeste per del Catria; a ovest comprende Cristina di Svezia che lo nominò suo Castiglionese e Pievese; a sud include cosmografo). ancora il Reatino; a est arriva a Tratta dal Mercurio Geografico overo comprendere Castelluccio e il versante guida geografica in tutte le parti del occidentale dei Sibillini. La carta offre una mondo, la carta rappresenta la provincia visione abbastanza corretta del confine dell’Umbria quale articolazione marchigiano; il confine con l’Urbinate è amministrativa dello Stato Pontificio, ma ricostruito con insolita precisione; meno ritrae anche la parte settentrionale del corrispondenti alla realtà i limiti Viterbese e della Sabina e porzioni di dell’Orvietano. territorio confinanti (la Marca di Ancona, L’incisione è dedicata a Monsignor parte dell’Abruzzo, del Ducato di Urbino e Scipione de Ricci, il cui stemma è posto a del Granducato di Toscana). decoro della ricca cornice del cartiglio. Per la realizzazione della carta Moroncelli si è ispirato alle carte inserite negli atlanti Bibliografia maginiani e mercatoriani, ampliando Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo tuttavia la porzione di territorio territorio, cit., pp. 90-91; P. Giorgi, La considerata, unendo i dati cartografici e terra e l’acque, pp. 76-77; F. Ronca e A. operando alcune correzioni. La tavola si Volpini (a cura di), Alla ricerca dei confini, caratterizza per la sua accuratezza formale cit., pp. 100-101. e per la ricchezza dei contenuti, riponendo

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 82 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 83 26. Novissima et accuratissima Delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae Autore Matthäus Seutter, il giovane (1678-1757) Anno 1730 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 501x583

Autore della carta è il cartografo tedesco dell’Orvietano fatte salve alcune modifiche Matthäus Seutter. A Norimberga fu che vedono l’attribuzione di Castelluccio apprendista incisore presso il noto editore alla Marca con tutti i Sibillini e di mappe J.B Homann. Nei primi anni del l’assegnazione all’Umbria di due strisce 1700 Seutter lasciò Homann per costituire alla destra del Tevere – all’altezza di una sua casa editrice cartografica Corbara – normalmente attribuite indipendente ad Augusta. L’abilità e all’Orvietano che viene esteso verso ovest l’impegno di Seutter gli valsero il titolo di fino a comprendere Sorano. «Geografo della corte imperiale» presso La nomenclatura è in latino e i centri Carlo VI. Seutter continuò a pubblicare maggiori sono raffigurati con una stilizzata fino alla sua morte avvenuta nel 1757. pianta topografica. Il cartiglio risulta ricco L’attività fu allora rilevata dal figlio Carl di riferimenti simbolici che rimandano Albrecht. Dopo la morte di quest’ultimo all’iconografia ecclesiastica, alla pace, alle l’attività venne divisa tra la nota impresa arti. Probst e la società emergente di Tobias Conrad Lotter, che sarebbe poi divenuto Bibliografia uno dei più importanti cartografi del suo Cfr. R. Almagià, Documenti Cartografici tempo. dello Stato Pontificio, p. 44; F.R. Cassano, Tratta dall’Atlas Novus sive Tabulae Perugia e il suo territorio, cit., pp. 102- Geographicae totius orbis […], la carta 103; F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le delinea lo Stato della Chiesa e il antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., Granducato di Toscana. Rispetto all’atlante pp. 160-161; R. Volpi, Le regioni maginiano invariati rimangono i confini introvabili, cit., pp. 233-234. del Tifernate, del Perugino, dell’Umbria e

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 84 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 85 27. Nuova Carta Geografica dello Stato Ecclesiastico Autori Cristopher Maire (1697-1767), Ruggero Boscovich (1711-1787) Anno 1755 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 1165x640 in tre fogli, mm 380x640 foglio singolo

Questa carta, opera dei due noti astronomi tra Marca e Urbinate sono soggette al e matematici Cristopher Maire e Ruggero governo di Perugia due isole in territorio Boscovich. È stata realizzata attraverso un eugubino o marchigiano); 3) Città della accurato lavoro di misurazione, basato su Pieve; 4) l’Orvietano; 5) l’Umbria in senso osservazioni geodetiche ed astronomiche, stretto (compresa tra Appennino e medio per determinare l’esatta ubicazione dei corso del Tevere, di cui fanno parte Gualdo luoghi raffigurati. A differenza della Tadino, Gaifana e Nocera, il Vissano, la cartografia precedente non ha una matrice catena dei Sibillini fino ad Arquata e in storico-erudita, ma si basa su metodologie direzione della Sabina Polino, Arrone, di rilevazione scientifica, che assegnano Collestatte, Terni e Narni. Tra Alviano e alla carta una maggiore affidabilità e Penna Teverina, il Tevere separa l’Umbria precisione, sebbene, come avvertono gli dal Patrimonio). autori «i confini tanto di tutto lo Stato, La carta è dedicata dagli autori a papa quanto de’ territori sono stati messi per lo Benedetto XIV, che conferì, su indicazione più a occhio, essendovene molti anche del cardinale Valenti (segretario di Stato e litigiosi o incerti». camerlengo grande appassionato di Nella tavola superiore a quella raffigurata cartografia), ai due studiosi l’incarico sono descritte le caratteristiche ufficiale per la stesura della stessa al fine di metodologiche e le fonti dell’opera; in correggere le inesattezze presenti nelle quella centrale, ove è rappresentato il carte dello Stato fino ad allora pubblicate. territorio umbro-marchigiano, è offerta una La tavola è stata ripubblicata nel 1770 tavola dei nomi di antiche denominazioni nell’edizione francese del trattato del 1755 di città, castelli e fiumi; nel foglio nel quale Maire e Boscovich esposero le successivo sono inserite diverse tipologie loro teorie scientifiche. di scale di misurazione, le prime due delle quali compaiono nel foglio centrale. Bibliografia Per quanto concerne l’Umbria la regione Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo risulta dall’insieme di cinque componenti: territorio, cit., pp. 118-119; G. Mangani e 1) il governo di Città di Castello (che F. Mariano, Il disegno del territorio, cit., comprende verso la Toscana Cospaia e pp. 194-195; F. Ronca e A. Sorbini (a cura Citerna, verso l’Eugubino Pietralunga e in di), Le antiche terre del Ducato di Spoleto, direzione del territorio di Perugia Montone cit., pp. 182-183; F. Ronca e A. Volpini (a e Montecastelli); 2) il Perugino (che si cura di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. estende da Fratta a Deruta, comprende 104-195; F. Ronca, A. Sorbini, A. Volpini Marsciano e il Castigionese, include una (a cura di), Carte d’Italia, cit., pp. 134- parte del Pievese con Piegaro e Paciano, a 135; R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., sud prende Casa Castalda e a nord Fossato pp. 256-257. di Vico e Sigillo, mentre lungo il confine documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 86 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 87 28. Pianta Corografica di una porzione della Provincia dell’Umbria […] Autore Paolo Posi Disegnatore Giuseppe Palazzi Anno 1763 Tecnica incisione in rame Incisore Giuseppe Vasi Dimensioni mm 395x486

Carta dal titolo Pianta Corografica di una misurazioni fatte dal Maire e dal porzione della Provincia dell’Umbria, Boscovich per la loro Nuova Carta nella quale vengono delineate, la Via del Geografica dello Stato Ecclesiastico. La Furlo, che da Foligno conduce a rappresentazione è accurata sia dal punto di Cantiano, e l’altra nuova, che viene vista orografico che idrografico e riporta i proposta dalle Città di Perugia e Gubbio percorsi stradali con i relativi punti di […]. posta. Tavola interessante e particolare, dalle Ai lati dell’immagine centrale compaiono pregevoli fattezze, compiuta «per ordine una serie di disegni che raffigurano dell’Emo Sig. Cardinal Carlo Rezzonico particolari delle zone attraversate dai Camerlengo della S.R.C., in occasione percorsi segnalati. della visita fatta da Monsignor Illmo., e Revmo. Felice Faustino Savorgnano per Bibliografia commando di S. Santità PP Clemente Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo XIII». territorio, cit., pp. 122-123. Vedi inoltre F. I rilievi compiuti da Paolo Posi tengono De Meo, Le acque negli atlanti e nella sicuramente in considerazione le cartografia ufficiale, cit., p. 40.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 88 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 89 29. L’Umbria ed i territori di Perugia, e di Orvieto di nuova projezione Editore Antonio Zatta (ca. 1730-1804) Anno 1783 Tecnica incisione in rame Incisore Giuseppe Zuliani (1763-1830) Inc. iscrizioni Giovanni Pitteri (1702-1786) Dimensioni mm 327x420

La carta, contenuta nell’Atlante novissimo L’orografia e l’idrografia risultano pubblicato tra il 1779 ed il 1785 da piuttosto dettagliate, così come Antonio Zatta a Venezia, tenta di l’indicazione di località maggiori e centri ricomporre in una sola tavola tre dei grandi minori. territori dell’Umbria moderna: il Ducato di Il cartiglio raffigurante una torre e un Spoleto, l’Orvietano e il Perugino, casolare sulla sponda di un fiume identifica tralasciando tuttavia altre aree importanti un paesaggio agrario che più si adatta alla quali il Tifernate e l’Eugubino campagna romana. (rappresentati nella carta dal titolo L’Atlante contiene anche una carta de Lo Legazione d’Urbino e governo di Città di Stato della Chiesa diviso nelle sue Castello Di nuova Projezione) e la parte a provincie Di nuova Projezione del 1782 sud di Terni (con i centri di Stroncone, (vedi Ronca e Sorbini pp. 204-205) Collescipoli e Otricoli raffigurati nella carta intitolata Il Patrimonio di S. Pietro e Bibliografia la Sabina, Di nuova Projezione). Cfr. P. Giorgi, La terra e l’acque, cit., pp. A differenza della carta di Maire e 206-207; F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Boscovich l’Umbria diventa una regione Le antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., costituita da quattro aree: Perugino, pp. 108-109; F. Ronca e A. Volpini (a cura Pievese, Orvietano e Umbria propriamente di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 106- detta. Tuttavia la carta non presenta altre 107. Vedi inoltre F. De Meo, Le acque significative novità rispetto alla Nuova negli atlanti e nella cartografia ufficiale, carta. cit., p. 40.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 90 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 91 30. Lo Stato Ecclesiastico delineato sulle ultime osservazioni e diviso nelle sue Provincie Autore e inc. Giovanni Maria Cassini (1745-1824) Anno 1791 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 350x470

La tavola è opera di Giovanni Maria diciassette delegazioni. Cassini, chierico regolare somasco, La carta è tratta dal Nuovo atlante geografo e cartografo oltre che pittore ed geografico universale. Delineato sulle incisore della Calcografia Camerale a ultime Osservazioni di Giovanni Maria Roma. Cassini fu uno degli ultimi Cassini, dato alle stampe tra il 1792 e il sferografi italiani del Settecento ed i suoi 1801, e raffigura le varie provincie del globi ebbero una notevole diffusione, così dominio pontificio. L’opera pur basandosi come il suo Nuovo Atlante Geografico sui dati cartografici di Maire e Boscovich Universale in tre volumi. Nel 1793 presenta alcuni aggiornamenti e pubblicò una Carta generale dell’Italia precisazioni in merito alle coordinate divisa nei suoi stati e Province, delineata geografiche. sulle ultime osservazioni e incisa dal P. Il titolo è incorniciato da un cartiglio in cui Gio. M. Cassini; nel 1805 fu stampata una è raffigurata la personificazione della prima versione del Lo Stato ecclesiastico Chiesa cattolica, indicata come custode diviso nelle sue province con le regioni della Fede cristiana, resa simbolicamente adiacenti, suddivisa in 15 fogli, che da un tempio posto a fianco della figura nell’edizione del 1824 porta il titolo di femminile. Stato Ecclesiastico diviso nelle sue legazioni e delegazioni con le regioni Bibliografia adiacenti, richiamando la riforma di Pio Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo VII del 1816 che aveva suddiviso lo Stato territorio, cit., pp. 142-143. Pontificio in undici province comprendenti

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 92 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 93 31. La Legazione d’Urbino, la Marca, l’Umbria, lo Stato di Camerino, i territori di Perugia e di Orvieto ed il Governo di Città di Castello Autore Giovanni Maria Cassini (1745-1824) Anno 1791 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 352x483

La carta, anch’essa contenuta come la puntuale è anche l’indicazione dei confini, precedente, nel Nuovo atlante geografico, mentre scarsa attenzione è rivolta ha come fonte la tavola dei padri gesuiti all’orografia. Maire e Boscovich. Il titolo, il luogo e l’anno di stampa sono La suddivisione territoriale, espressa racchiusi in un elegante cartiglio che chiaramente nel titolo della tavola, per raffigura una scena agricolo-pastorale. quanto riguarda l’Umbria comprende ad est l’alta valle del Nera, con Visso, Bibliografia Fematre, Croce, il M. Rotondo e i centri di Cfr. F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le Arquata, Vezzano Pescara e Pretara, ad antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., ovest vi rientrano Bettona, Ripabianca, pp. 214-215; F. Ronca e A. Volpini (a cura Fratta e Corbara, a sud Terni, Narni e di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 110- Amelia, mentre Orte ne è fuori, e a nord 111; R. Volpi, Le regioni introvabili, cit., p. arriva fino a Gualdo. 261; vedi anche G. Mangani e F. Mariano, L’idrografia e la viabilità primaria sono Il disegno del territorio, cit., pp. 190-191. tracciate con precisione, abbastanza

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 94 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 95 32. Carta del Territorio della Repubblica Romana divisa ne suoi Dipartimenti Editori Niccolò Pagni (sec. XVIII-XIX), Lorenzo Bardi (sec. XVIII-XIX) Anno 1799 Tecnica incisione in rame Dimensioni mm 790x558

La carta rappresenta il territorio della rappresentazione dell’insediamento umano. Repubblica Romana Giacobina (1798- I numerosi centri abitati, differenziati a 1799) divisa in otto dipartimenti, a loro seconda dell’importanza, sono volta suddivisi in Distretti, Cantoni e correttamente posizionati. I confini sono Comuni. tracciati con una linea tratteggiata. Il territorio umbro risulta ripartito nei due dipartimenti del Trasimeno, con capoluogo Bibliografia Perugia, e del Clitunno, con capoluogo Cfr. F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le Spoleto. Le notevoli dimensioni della carta antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., permettono un elevato grado di dettaglio. pp. 228-229; ; F. Ronca e A. Volpini (a cura L’idrografia e la rete viaria sono di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 114- accuratamente delineate, mentre il disegno 115; F. Ronca, A. Sorbini, A. Volpini (a dell’orografia è piuttosto approssimativo. cura di), Carte d’Italia, cit., pp. 168-169. Particolare attenzione è riposta alla

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 96 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 97 33. Dipartimento del Trasimeno per l’Anno 1812 Autore Andrea Alippi (sec. XIX) Anno 1812 Tecnica incisione in rame Incisore Pietro Ruga (sec. XIX) Dimensioni mm 182x200

La tavola rappresenta il Dipartimento del Nonostante le piccole dimensioni, la carta Trasimeno, che riunisce le delegazioni di è accurata nel disegno e nella disposizione Perugia e Spoleto, suddiviso nei circondari degli elementi geografici; l’idrografia è di Spoleto, Todi, Foligno e Perugia. precisa, le strade sono indicate con doppia Costituito in seguito all’annessione del linea puntinata e sono riportate le stazioni territorio all’Impero napoleonico (1809- di posta. I centri abitati sono divisi in 1814), nel 1814, con la sconfitta di capoluoghi di Circondario, Cantone e Napoleone, il Dipartimento tornerà a far Comune. parte dello Stato Pontificio. La carta disegna un territorio che si Bibliografia avvicina molto alla fisionomia dell’attuale Cfr. F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le Umbria, sebbene ancora manchi antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., l’Eugubino e comprenda verso sud-ovest il pp. 240-241; F. Ronca e A. Volpini (a cura territorio oggi laziale di Acquapendente e di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 128- verso est la località attualmente 129. marchigiana di Visso.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 98 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 99 34. Nuova carta geografica dello Stato Pontificio delineata a norma degli ultimi trattati e del Riparto Territoriale de 26 novembre 1817 Autore Luigi Antonio Senes Trestour di Antibo (sec. XIX) Anno 1824 Tecnica incisione in rame Incisore Francesco Valenti (XIX sec.) Dimensioni mm 1105x620

La carta, delineata in base al Riparto che riportano svariati dati dai «Tragitti Territoriale del novembre 1817, distingue dalla Capitale ai Capiluoghi delle la Delegazione di Perugia (che comprende Legazioni e Delegazioni e da questi alle oltre al Perugino il Governo di Città di prime poste estere» con tanto di distanze, Castello) e l’Umbria. La tavola rappresenta tempi di percorrenza, poste ed alberghi con il primo passo verso la successiva relative tariffe fino a notizie sulla costituzione della regione Umbria, che portuosità dei mari Adriatico e Tirreno. ancora non comprende l’autonoma Eleganti illustrazioni di vascelli riempiono Delegazione di Spoleto, Gubbio, che fa i vuoti degli angoli di nord-est e sud-ovest; parte della Delegazione di Urbino e Pesaro, a lato dell’angolo a sinistra della carta è e Orvieto, nella Delegazione di Viterbo. presente un ritratto del Duca di Blacas Pregevole dal punto di vista tipografico, la d’Aulps, cui la carta è dedicata, mentre a tavola si contraddistingue anche per il lato di quello destro è raffigurato lo grande numero di informazioni riportate stemma principesco della prestigiosa relativamente all’insediamento umano, alla famiglia della Provenza. descrizione dei confini, della rete stradale e delle poste. Meno attenzione è rivolta Bibliografia all’idrografia e all’orografia, resa Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo quest’ultima attraverso monticelli territorio, cit., pp. 164-165; F. Ronca e A. prospettici disposti senza rispettare la reale Sorbini (a cura di), Le antiche terre del configurazione. Ducato di Spoleto, cit., pp. 254-255. Ai lati della carta sono poste delle tabelle

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 100 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 101 35. Carta Corografica dello Stato Pontificio [...] Autore Gaetano Spinetti (sec. XIX) Anno 1837 Tecnica incisione in rame Incisore Alessandro Moschetti (sec. XIX) Dimensioni mm 1695x925 (totale), mm565x925 foglio singolo

La carta si compone di 3 fogli che Confinante col Mare Adriatico e misurano complessivamente mm Mediterraneo». 1695x925, il foglio singolo misura invece La carta risulta essere particolarmente mm 565x925. Nel primo foglio, in alto a precisa nella delimitazione dei confini tra sinistra compare il dettagliato titolo, Carta delegazioni e per l’attenta rappresentazione Corografica dello Stato Pontificio delle vie di comunicazione principali e indicante le Dogane, i posti armati dalla secondarie rese simbologicamente in base truppa di Finanza, le strade Doganali, la alla loro rilevanza. L’ importanza dei centri fascia bimiliare di divieto, e alle Dogane abitati si rileva dalla diversa grandezza dei estere che corrispondono alle Pontificie, caratteri tipografici. L’idrografia è ben che informa puntualmente sul contenuto evidenziata; l’orografia pone bene in della carta; il foglio centrale riporta a risalto la catena appenninica. sinistra la tabella dei segni convenzionali; nell’ultimo foglio in basso a sinistra viene Bibliografia raffigurata la Delegazione di Benevento, a Cfr. F. Ronca e A. Sorbini (a cura di), Le destra in una tabella compare l’«Indice antiche terre del Ducato di Spoleto, cit., delle Strade Legali di Comunicazione fra le pp. 264-265; F. Ronca e A. Volpini (a cura Dogane Pontificie e le Dogane Estere con di), Alla ricerca dei confini, cit., pp. 134- la Distanza distinta in miglia nonché dei 135. Porti e Scali Legali per la Parte dello Stato

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 102 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 103 36. Carta Moderna dello Stato Pontificio Autore e edit. Attilio Zuccagni Orlandini (1784-1872) Anno 1844 Tecnica incisione in rame Incisori Giacinto Maina e V. Stanghi Dimensioni mm 740x598

La carta è tratta dalla Corografia fisica pp. 274-275; F. Ronca e A. Volpini pp. storica statistica dell’Italia, costituita da 136-137) una della Delegazione di Orvieto 19 tomi e atlante (1835-45), del geografo e (Volpi, L’Umbria, p. 117) e una Carta statistico fiorentino Attilio Zuccagni dello Stato Pontificio sotto il dominio dei Orlandini, che fu inoltre autore del grande Romani e nel Medio Evo (vedi Ronca e Atlante geografico, fisico e storico della Sorbini, pp. 272-273). Toscana in 20 tomi (1828-32). In questa tavola l’assetto amministrativo Come per la carta dello Spinetti, anche dello Stato Pontificio viene riportato l’Atlante Geografico degli Stati Italiani, dettagliatamente e si articola in venti pubblicato a Firenze nel 1844 da Zuccagni delegazioni. La Legazione di Perugia è Orlandini a corredo della Corografia suddivisa in quattro Distretti, che fisica, rappresenta un’ottima fonte per comprendono dieci Governi e quarantatré ricostruire le variazioni decretate rispetto Comuni; quella di Spoleto, segnalata con il alle precedenti partizioni. n. XIII, racchiude tra i centri principali Oltre alla carta qui riportata l’Atlante Terni, Narni, Amelia, Norcia e Visso. contiene anche una Carta orografica e idrografica dello Stato Pontificio (vedi Bibliografia Cassano p. 170; Ronca e Sorbini, p. 270), Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo una carta relativa alla Delegazione di territorio, cit., pp. 172-173; P. Giorgi, La Perugia (vedi Cassano p. 174; Ronca e terra e l’acque, cit., pp. 136-137; F. Ronca Volpini pp. 138-139), una della e A. Sorbini (a cura di), Le antiche terre Delegazione di Spoleto (Ronca e Sorbini, del Ducato di Spoleto, cit., pp. 268-269.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 104 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 105 37. Pianta della Provincia dell’Umbria Anno 1867 Tecnica litografia Incisore Giulio Delicati (XIX secolo) Dimensioni mm 715x500

La carta mostra l’estensione della Pieve, Paciano e Panicale, inseriti nella Provincia dell’Umbria a seguito dell’Unità provincia di Perugia – e il comune di d’Italia. L’area è divisa nei circondari di Baschi. Perugia, Foligno, Orvieto, Spoleto, Terni e La carta indica oltre alle città anche i Rieti (che passerà al Lazio nel 1923). percorsi stradali principali e secondari. Qualche anno dopo, nel 1927, verrà decretata l’istituzione della provincia di Bibliografia Terni che andrà a comprendere il Cfr. F.R. Cassano, Perugia e il suo circondario di Terni, Orvieto – da cui territorio, cit., pp. 182-183. verranno separati i comuni di Città della

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 106 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 107 APPENDICE

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 108 Nelle pagine che seguono si intende presentare un ampio elenco di carte raffiguranti l’Umbria e alcuni dei suoi territori, realizzate e pubblicate da alcuni dei più noti cartografi, incisori ed editori di età moderna, al fine di integrare la raccolta proposta precedentemente ed offrire al lettore un ulteriore strumento di ricerca. Le carte sono ripartire per autore, intendendo per autore il nome di colui con il quale la carta è conosciuta al pubblico (ad es. nel caso di carte di derivazione maginiana è indicato l’editore e non il nome del cartografo). Per ciascuna carta sono riportate le caratteristiche principali (titolo, anno, dimensioni, tecnica e, quando presente, l’opera da cui è tratta) seguite da indicative note descrittive. Le informazioni sono state desunte principalmente dai volumi di Roberto Volpi, Le regioni introvabili e L’Umbria nella cartografia, dall’opera di Francesca Romana Cassano, Perugia e il suo territorio, dal volume di Pietro Giorgi, La terra e l’acque, dai cataloghi delle mostre Le antiche terre del Ducato di Spoleto, Alla ricerca dei confini. L’Umbria nella cartografia storica dal XVI secolo all’unità d’Italia e Carte d’Italia 1482-1861. Per le carte di Egnazio Danti della galleria del Belvedere si rimanda in particolare al terzo volume dei Monumenta Cartographica Vaticana intitolato Le pitture murali della Galleria delle Carte Geografiche e all’opera in due volumi La galleria delle Carte Geografiche in Vaticano, corredata da un «portafoglio» che contiene la riproduzione e descrizione delle singole carte. Oltre alle pubblicazioni sopra indicate, chiunque fosse interessato a reperire ulteriore materiale cartografico relativo al territorio regionale può ricorrere anche alla consultazione di diversi cataloghi cartografici disponibili online. Tra questi si segnalano il catalogo opac della Biblioteca Universitaria di Genova, il website cartografico della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia , il portale Internet Culturale. Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche italiane , la biblioteca digitale Gallica, il sito del progetto Europeana, la sezione del sito dell’Istituto Geografico Militare dedicata alla carte antiche e i cataloghi della Biblioteca Nacional de Portugal e dell’Universitä Bern. I numeri tra parentesi quadre si riferiscono alle carte riprodotte e descritte in maniera più esaustiva nella sezione «Carte storiche»; i link indicati in alcune delle carte sottoelencate consentono di visualizzare le rispettive tavole in versione digitalizzata ad alta risoluzione.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 109 Andrea Alippi

Dipartimento del Trasimeno per l’Anno 1812 [33] 1812 mm 182x200 Incisione in rame Incisore: Pietro Ruga La tavola rappresenta il dipartimento del Trasimeno creato nel 1809 a seguito dell’annessione del territorio alla Francia. La carta è accurata nel disegno e nella disposizione degli elementi geografici; l’idrografia è precisa; le strade sono indicate con doppia linea puntinata; sono riportate le stazioni di posta. I centri abitati sono divisi in capoluoghi di Circondario, Cantone e Comune. La carta ben evidenzia inoltre la suddivisione del dipartimento nei circondari di Spoleto, Todi, Foligno e Perugia. Link: goo.gl/FSLHK7

Girolamo Bellarmato

Chorographia Tusciae [1] 1536 basi di mm 1120 e 1080; altezza di mm 785 Intagliata in legno Si tratta della più antica carta a stampa raffigurante una parte dell’Umbria. La Tuscia, a cui la tavola si riferisce, include anche il Perugino e il Viterbese. Ottima è la raffigurazione dell’orografia, l’idrografia è di buona fattura e precisione. Nella dedica a Valerio Orsini l’autore dichiara che la carta si basa «su rilievi, misure e osservazioni eseguite percorrendo a cavallo la più gran parte del territorio» e che «l’attenzione maggiore è stata posta nella rappresentazione delle località abitate». La carta è stata poi incisa in rame ed inserita nel Theatrum Orbis Terrarum di Ortelius (1570 ed edizioni successive). Link: goo.gl/rmvbYj

Pieter Bert

Descriptio Tractus Perusini. Tractus Perusinus 1602 mm 95x130 Incisione in rame In: Petrii Bertii Tabularum Geographicarum contractarum libri quinque, cum luculentis singularum tabularum explicationibus, Amsterdam 1602. La carta presenta molte affinità con le carte orteliane relative al territorio perugino. Numerose sono le imprecisioni nell’individuazione dell’esatta ubicazione dei centri abitati. Non è presente la delimitazione dei confini. L’ovest è in alto.

Descriptio Agri Orvietani. Ager Orvietanus 1616 mm 100x135 Incisione in rame In: P. Bertij tabularum geographicarum contractarum libri septem.: In quibus tabulae documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 110 omnes gradibus distinctae, descriptiones accuratae, caetera supra priores editiones politiora... Ridotta è l’indicazione dei centri abitati; imprecisioni si registrano nell’individuazione esatta dei luoghi. Non sono indicati i confini. L’est è in alto.

Marchia anconitana 1616 mm 93x133 Incisione in rame In: P. Bertij tabularum geographicarum contractarum libri septem [...] Oltre alla Marca la carta rappresenta parte del Ducato di Spoleto e arriva a comprendere Perugia e il Trasimeno.

Ferrando Bertelli

Novo et vero dissegno della Marca d’Ancona, con li suoi confini [2] 1565 mm 280x402 Incisione in rame La carta deriva da un prototipo anteriore al 1548 che si trova inserito tra le Tavole Nuove della Geografia di Tolomeo curata da Giacomo Gastaldi. L’incisione è dedicata alle Marche, ma va a comprendere anche parte dell’Abruzzo, l’area di Perugia fino al Trasimeno, il Tifernate, l’Eugubino e parte del Ducato di Spoleto. La rappresentazione dell’orografia e dell’idrografia è piuttosto elementare; errori si riscontrano nell’ubicazione e nella denominazione dei centri abitati. Link: goo.gl/z6lzw8

Joan Blaeu

Umbria overo Ducato di Spoleto 1662 mm 380x494 Incisione in rame In: Geographiae blavianae. Volumen octavum, quo Italia, quae est Europae liber XVI continentur, Amstelaedami, labore & sunptibus Ioannis Blaeu, 1662* Carta di derivazione maginiana, ripresa dal Theatrum orbis Terrarum del 1640.

Territorio Perugino 1662 mm 380x495 Incisione in rame In: Geographiae blavianae. Volumen octavum..., 1662* Carta di impostazione maginiana che riprende in particolare quella dello Jannson del 1647. Più curato risulta essere il disegno dell’orografia. Diverso è il cartiglio che incornicia il titolo; presente inoltre il cartiglio della scala.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 111 Territorio di Orvieto 1662 mm 380x494 Incisione in rame In: Geographiae blavianae. Volumen octavum..., 1662 Carta del territorio di Orvieto di derivazione maginesca; ben delineati sono i confini dell’Orvietano. Nota: l’intero volume è consultabile e scaricabile al seguente link: goo.gl/HaXJzW

Ducato di Urbino 1662 mm 380x496 Incisione in rame In: Geographiae blavianae. Volumen octavum..., 1662 La carta raffigura l’intero Ducato di Urbino e il contado di Città di Castello. Ben delineati sono i confini tra i vari territori.

Joan e Cornelius Blaeu

Umbria overo Ducato di Spoleto [18] 1640 mm 386x505 Incisione in rame In: Theathum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus. Tertia Pars cum Appendice I e II Partium antehac Editarum, Amsterdami, Apud Ioh. & Corleium Blaeu, 1640. Ristampato in latino, francese, olandese e tedesco dal 1640 al 1655. Copia della carta maginiana, pressocché identica alla carta dello Hondius e dello Jansson dall’omonimo titolo. Link: goo.gl/Zmb78s

Willem e Joan Blaeu

Stato della Chiesa, con la Toscana 1635 mm. 366x504 Incisione in rame In: Theatrum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus; in quo Tabulae et Descriptiones omnium Regionum, Editae a Guiljel. et Ioanne Blaeu. Pars Secunda, Apud Guiljelmum et Iohannem Blaeu, Amsterdami, 1635 (Atlante pubblicato in più edizioni) Carta di derivazione maginiana, pregevole e accurata nell’idrografia e nella rappresentazione dei centri abitati. Presenta i confini tra gli Stati, segnati con marcate coloriture, e quelli delle partizioni interne, indicati con linea tratteggiata. Link: goo.gl/6A3yvA goo.gl/Z1TfkL

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 112 Michael Antoine Baudrand

Descrittione dello Stato della Chiesa e della Toscana [20] 1669 mm 438x560 Incisione in rame In: Mercurio geografico overo guida geografica in tutte le parti del mondo conforme le tavole geografiche del Sansone Baudrand e Cantelli..., stampato a Roma da Giovanni Giacono de Rossi Le notazioni geografiche sono desunte dalla tavola del Sanson, Estat de l’Eglise et de Toscane (1647), basata sul prototipo maginiano del 1620. La tavola vede distinti il contado di Città di Castello, Perugino, Orvietano e Umbria, in cui rientra la Sabina. Link: goo.gl/qJjFsb

Bartolomeo Borghi

Lo Stato Pontificio diviso nelle sue particolari provincie 1788 mm 333x250 Incisione in rame Incisore: Filippo Conti In: Atlante Geografico dell’Ab. Bartolomeo Borghi corredato di prospetti istorici, politici, civili, naturali di ciascheduno stato pubblicato a spese di Rosa Parigi e del Cav. Giulio Cesare Bertolini, Siena, da Vincenzo Pazzini Carli, 1788-1800. La carta si ispira alla tavola di Maire e Boscovich, rispetto alla quale riporta anche il disegno delle strade principali. In Umbria sembrano rientrarvi il Perugino, il Governo di Città di Castello e lo Spoletino. L’Orvietano fa parte del Patrimonio mentre l’Eugubino è ancora nella Legazione d’Urbino. In alto a destra, in un riquadro, compare una piantina dello Stato di Avignone.

Stati Romani Parte di Mezzo 1819 mm 294x227 Incisione in rame In: Atlante Geografico dell’Ab. Bartolomeo Borghi..., 1788-1800. La carta deriva da quelle del Cassini e dei gesuiti Maire e Boscovich. L’orografia è schematica; l’idrografia segnala i nomi dei fiumi principali anche se manca l’indicazione del Velino. I pochi centri abitati segnalati sono ben collocati. I confini sono ben delineati. Il Borghi non tiene conto della suddivisione del territorio umbro tra Delegazione di Perugia e quella di Spoleto sancita da Pio VII nel 1816, ma riunifica le due partizioni sotto il nome di Umbria. Link: goo.gl/ok3jex

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 113 Ruggero Giuseppe Boschovich

Partie de milieu de l’Etat de l’Eglise contenant la Legation d’Urbin, La Marche, l’Ombrie, avec le Territories d’Orvieto, de Perouse et de Città di Castello 1776 mm 458x617 Incisione in rame In: Atlas Universel Dressé sul les Meilleures Cartes Modernes, Venise par P. Santini, rue, S.te Justine, Chez M. Remondini, 1784. La carta si contraddistingue per l’elevato grado di precisione dei vari elementi geografici e per l’esatta delineazione dei confini dei vari territori. Numerosi sono i centri abitati riportati e ben definita è la rete stradale. Link: goo.gl/YXqx56

Ruggero Giuseppe Boschovich e Cristopher Maire

Nuova carta Geografica dello Stato Ecclesiastico [27] 1755 mm 1165x640 in tre fogli, mm 380x 640 foglio singolo Incisione in rame Stampata a Roma nella Calcografia della R.C.A. A Pié di Marmo, 1755. La carta è stata realizzata attraverso un accurato lavoro di misurazione, basato su osservazioni geodetiche ed astronomiche, per determinare l’esatta ubicazione dei luoghi raffigurati. Non ricchissima di particolari, la carta è tuttavia molto precisa sia nell’idrografia che, come detto, nella localizzazione dei centri abitati; l’orografia è invece più sommaria. L’Umbria risulta dall’insieme di cinque comparti territoriali: Città di Castello, Perugino, Città della Pieve, Orvietano e l’Umbria in senso stretto, compresa tra Appennino e medio corso del Tevere. Link: goo.gl/yweMxa

Carta Geografica dello Stato della Chiesa Granducato di Toscana e de’ stati adjacenti 1770 mm 790x585 Incisione in rame La carta, considerata dall’Almagià uno dei migliori prodotti cartografici della seconda metà del XVIII secolo, si caratterizza in particolare per l’accurato disegno e per le numerose indicazioni toponomastiche dei centri abitati, correttamente ubicati. In alto a destra un riquadro contiene delle annotazioni che precisano le fonti cartografiche di riferimento e gli autori delle osservazioni e misurazioni per i vari territori rappresentati.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 114 Philippe Briet

L’Umbrie, le Perusin, le Duche d’Urbin la Marche d’Ancone 1649 In: Parallela geographica Italiae veteris et novae. Auctore Philippo Brietio abbavillaeo, societatis Jesu sacerdote, Parisiis, Sebastiani Cramoisy, 1649 mm 145x189 Incisione in rame La carta presenta le delimitazioni dei territori dell’Umbria, intesa come Ducato di Spoleto, del Perugino, del Tifernate, del Ducato d’Urbino, che comprende ancora l’Eugubino, e della Marca d’Ancona. Un riquadro in alto a destra raffigura il "lago di Perugia". Nota: l’opera contiene anche una carta dal titolo Le Patrimoine de St. Pierre, la Champaigne de , les Sabins et le Territoire d’Orvieto (mm 144x194). Link di accesso all’opera: goo.gl/guXRbB Link: goo.gl/SzfDEH

Tusciae et Umbriae Accurata Delineatio 1649 mm 158x194 Incisione in rame In: Parallela geographica Italiae veteris et novae..., 1649 La carta, dal disegno piuttosto accurato, ritrae le antiche regioni dell’Umbria e della Tuscia. Link: goo.gl/zMJL73

Giovanni Francesco Camocio

Novo et vero dissegno della Marca di Ancona con le sui confini MDLXIII 1563 mm 281x401 Incisione in rame La carta si ispira a quella del Gastaldi del 1548 a cui apporta alcune modifiche. Link: goo.gl/cmWm8p

Giovanni Maria Cassini

Lo Stato Ecclesiastico delineato sulle ultime osservazioni e diviso nelle sue province [30] 1791 mm 357x482 Incisione in rame In: Nuovo Atlante Geografico Universale. Delineato sulle ultime Osservazioni, Roma, Presso la Calcografia Camerale, 1792-1801. Carta semplice; nel complesso soddisfacente è la rappresentazione dei principali elementi geografici, l’indicazione dei centri abitati e dei confini dei principali territori dello Stato. Link: http://purl.pt/3456/3

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 115 La legazione d’Urbino la Marca l’Umbria lo stato di Camerino i territori di Perugia e di Orvieto e il Governo di Città di Castello [31] 1791 mm 352x483 Incisione in rame In: Nuovo Atlante Geografico Universale. Delineato sulle ultime Osservazioni, Roma, presso la Calcografia Camerale, 1792-180. La suddivisione territoriale è espressa chiaramente nel titolo della tavola. L’idrografia e la viabilità primaria sono tracciate con precisione, abbastanza puntuale è anche l’indicazione dei confini, mentre scarsa attenzione è rivolta all’orografia. Link: http://purl.pt/3457/3 http://maps.bpl.org/id/14617

Lo Stato Ecclesiastico diviso nelle sue provincie con le regioni adiacenti delineato sulle ultime osservazioni 1805 mm 1980x1870 misura complessiva della tavola; 389x620 foglio singolo Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale Grande carta in 15 fogli. Rispetto alle precedenti raffigurazioni, le misurazioni risultano essere più precise. I centri abitati sono numerosi e ben posizionati. Notevole è la cura sul piano tecnico-grafico. Particolareggiata è la rete viaria; i confini di Stato sono indicati con linea tratteggiata, quelli interni tra i vari territori, governi o legazioni sono resi con linea puntinata. Per l’Umbria si vedano i fogli nn. 5 e 8.

Lo Stato Ecclesiastico diviso nelle sue legazioni e delegazioni con le regioni adiacenti delineato sulle ultime osservazioni dal P. D. Gio.M. Cassini 1824 mm 320x620 foglio singolo Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale Nuova edizione della carta del 1805 che richiama la riforma di Pio VII del 1816, riportando anche l’indicazione delle Delegazioni e dei vari Governi di cui queste si compongono.

Giovanni Battista da Cassino

Provincia S. Francisci seu Umbriae 1712 mm 240x340 Incisione in rame In: Chorographica descriptio provinciarum, et conventum f.f. Min. S. Francisic Capucinorum, olim quorundam fratrum labore, industria, delineata, sculpta, impressa, iussa A.R.P. Joannis a Montecaliero..., Mediolani 1712. La tavola riporta gli insediamenti dei cappuccini presenti nel territorio. La carta, piuttosto semplice e approssimativa, molto probabilmente deriva da quella delineata nell’Atlante commissionato da Giovanni da Moncalieri nel 1649.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 116 Philipp Clüver

Umbriae antiquae descriptio [13] 1624 mm 281x365 Incisione in rame Incisore: Nicolaus Geelkercken In: Philippi Cluverii Italia antiqua..., Lugduni Batavorum, ex officina Elseviriana, 1624. La carta rappresenta l’antica Umbria che si estende dal Tevere all’Adriatico e fino alla latitudine di Ravenna; sono fuori dai confini dell’Umbria Perugia e l’area trasimenica. Link: goo.gl/C499qd

Etruriae antiquae descriptio 1624 mm 284x363 Incisione in rame Incisore: Nicolaus Geelkercken In: Philippi Cluverii Italia antiqua..., Lugduni Batavorum, ex officina Elseviriana, 1624 La carta raffigura il territorio etrusco. Perugia viene raffigurata in alto sulla destra, ad est del lago Trasimeno. Link: goo.gl/HNQNCm

Etruriae Latii Umbriae Piceni Sabinorum et Marsorum Vetus et Nova Descriptio 1624 mm 213x258 Incisione in rame In: Philippi Cluverii introductionis in universam geographiam tam veterem quam novam libri IV, Amsterdam, 1624 (Ristampe 1667, 1676, 1683, 1711, 1729) La carta raffigura le terre abitate dagli antichi popoli dell’Italia centrale, delimitate da linea puntinata.

Etruria, Latium, Umbria. etc. 1661 mm 124x110 Incisione in rame In: Introductionis in Universam Geographiam Tam veterem quam novam libri VI..., Amstelodami, Ex Officina Elzeviriana, 1661. La carta non presenta l’indicazione dei confini delle varie aree rappresentate; alquanto approssimativa è la raffigurazione dell’orografia, più attenta è l’indicazione dell’idrografia.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 117 Vincenzo Maria Coronelli

Territorio di Perugia [22] 1696 mm 386x260 Incisione in rame In: Isolario dell’atlante veneto, Venezia, 1696. La carta si ispira alle tavole del Danti del 1580 e 1584 e al Territorio Perugino del Magini ed è particolarmente accurata. Link: goo.gl/9dRB8c

Umbria [24] 1708 mm 128x183 Incisione in rame In: Umbria D.D.P. Coronelli, 1708 Abbastanza numerosa è l’indicazione dei centri abitati. Le partizioni subregionali sono indicate con linea puntinata. Nota: dell’atlante Umbria fanno parte anche specifiche carte dei territori di Foligno, Montefalco, Nocera, Gubbio, Terni, Todi, una carta della diocesi di Narni e una del Marchesato di Monte S. Maria. Link: goo.gl/SkMGnc

Egnazio Danti

Descrittione del territorio di Perugia Augusta e dei luoghi circonvicini del P.M. Danti da Perugia matematico dello Studio di Bologna [3] 1577 disegno – 1580 incisione mm 620x800 Incisione in rame Incisore: Mario Cartaro Prima carta a stampa della regione; fu fonte di ispirazione per molti cartografi successivi. La tavola è realizzata sulla base di rilievi effettuati da Egnazio Danti nel 1577; fu commissionata dai signori di Perugia e mons. Ghisleri, governatore della Romagna, probabilmente con l’intento di distinguere il Perugino dalla Toscana oltre che descrivere il dominium della città. Link: goo.gl/rKfNPt

Umbria [5] 1580-1581 mm 3240x4360 Affresco Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano La carta rappresenta l’antico Ducato di Spoleto con il territorio di Camerino. La rappresentazione dell’orografia è resa secondo i canoni geo-iconografici del Cinquecento. Particolareggiata è l’idrografia e la raffigurazione dei centri abitati resi in color carminio e disegnati con gruppi di edifici con una piccola immagine prospettica. Ha il sud in alto. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 118 Link: goo.gl/mf7XWQ

Perusinus ac Tifernas 1580-1581 mm 3250x4370 Affresco Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano La carta ritrae i territori di Perugia e Città di Castello, con il Trasimeno e parte della Val di Chiana. La resa grafica del rilievo è convenzionale; l’idrografia è dettagliata; i centri abitati sono raffigurati con vedutine prospettiche e piantine in color carminio. I confini sono segnalati da una linea dorata. Le sedi vescovili sono indicate da una croce latina in oro, le commende degli ordini religiosi cavallereschi da una croce greca sempre color oro. La raffigurazione del territorio di Perugia, più dettagliata rispetto al Tifernate, si basa sui rilievi compiuti dal Danti nel 1577 per ordine di mons. Ghisleri e dei Priori di Perugia. Il sud è in alto.

Urbini Ducatus 1580-1581 mm 3280x4210 Affresco Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano La carta raffigura il Ducato di Urbino che si estende dall’Adriatico fino alla piana di Gubbio. L’idrografia è ben delineata, il disegno dell’orografia è poco efficace. Numerosi sono i centri abitati segnalati; non sono presenti confini.

Etruria 1580-1581 mm 3220 x4310 ca. Affresco Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano La carta rappresenta i territori compresi tra Magra, Tirreno, valle del Tevere e Appennino tosco-emiliano e raffigura parte del Lazio, dell’Umbria, della Romagna e dell’Emilia. I confini sono tracciati in oro; le strade sono delineate in bianco o bruno. Numerosi sono i centri abitati resi attraverso piantine o vedute. Ottima è la raffigurazione dell’idrografia.

Patrimonium S.Petri originale 1580-1581; rifacimento 1636-1637 mm 3140x4200 ca. Affresco Galleria delle Carte Geografiche o del Belvedere in Vaticano La carta presente nella Galleria, opera di Luca Holstenio, sostituisce l’originale del Danti, molto criticato dai contemporanei Filippo Pigafetta e Giovanni Antonio Magini. La tavola ritrae il Patrimonio di San Pietro, parte dell’Umbria e l’Orvietano. L’orografia è convenzionale, migliore è la resa dell’idrografia; ricca e precisa è la toponomastica e ben descritti sono i centri abitati. La città di Orvieto viene raffigurata in un riquadro a parte.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 119 Urbisveteris Antiquae Ditionis descriptio 1583 mm 420x670 Incisione in rame La carta ritrae il territorio di Orvieto. L’orografia sembra essere l’elemento dominante della raffigurazione con monti rappresentati a «mucchi di talpa»; ben delineato è il reticolo idrografico. La città di Orvieto è disegnata con una pianta prospettica piuttosto accurata. Link: goo.gl/NTvHDK

Perusini agri; exactissima novissimaque descriptio auctore Egnatio Dante [6] 1584 mm 370x510 Incisione in rame In: Theatrum Orbis Terrarum, Anversa C. Plantin, 1584 (Pubblicato in più edizioni) La carta pubblicata nel Theatrum orteliano riprende la Descrittione del territorio di Perugia del 1580. La tavola è ricca sotto il profilo geografico; numerosi sono i toponimi riportati. Link: goo.gl/zwPYjP

Giulio Delicati

Pianta della Provincia dell’Umbria [37] 1867 mm 715x500 Litografia La carta, incisa da Giulio Delicati, mostra l’estensione della Provincia dell’Umbria a seguito dell’Unità d’Italia. La Provincia è divisa nei circondari di Perugia, Foligno, Orvieto, Spoleto, Terni e Rieti. La carta indica oltre alle città anche i percorsi stradali principali e secondari. Link: goo.gl/Fhf2W2

Cyprian Eichovious pseudonimo di Matthias Quad

Umbria Spoletinus Ducatus 1603 mm 100x145 Incisione in rame In: Delitiae Italiae et Index viatorius, indicans itinera urbe Roma ad omnes in Italia aliquas quoque extra italiam civitates et oppida, quorum indicantur Deliciae, siue quid in eorum singulis delicati, rari visuque digni sit:..Huic libello visum fuit addere tabellas geographicas Italiae aliquarumque circa ipsam insularum,...Authore Cypriano Eichouio, Ursellis, ex officina typographica Cornelij Sutorij, 1603 Oltre al Ducato di Spoleto la carta raffigura anche i territori di Perugia, Città di Castello, parte della campagna di Roma, dell’Abruzzo e della Marca. L’orografia e l’idrografia sono approssimative; i pochi centri abitati sono ubicati abbastanza correttamente, manca tuttavia l’indicazione di centri importanti come Terni, Norcia e Foligno. Una linea puntinata delinea i confini in maniera imprecisa. Nota: la raccolta Delitiae Italiae comprende anche una carta dal titolo Orvietum (mm documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 120 95x120).

Nicolas de Fer

Les Etats de l’Eglise, et de Toscane 1702 mm 234x340 Incisione in rame In: Cartes Nouvelles et Particulieres Por la Guerre d’Italie. Pubblicato a Parigi nel 1702 La carta riporta i confini territoriali e quelli delle ripartizioni interne. Scarso è il dettaglio della rappresentazione degli elementi geografici. Link: goo.gl/Xfr6eq

Paolo Forlani

Nova Discrittione di Tutto il Territorio de Roma 1563 mm 315x462 Incisione in rame La carta raffigura la campagna di Roma, parte del Lazio e del territorio umbro con Terni, Narni, Norcia, Stroncone e Coldiscipolo. Deriva dalla carta della Campagna di Roma di Eufrosino della Volpaia rispetto alla quale riporta molti meno particolare; la tavola non risulta essere molto dettagliata e precisa. Link: goo.gl/FbmZjL

Giacomo Gastaldi

Marcha de Ancona Nova 1548 mm 130x170 Incisione in rame In: La Geografia di Claudio Ptolomeo Alessandrino, con alcuni comenti et aggiunte fattevi da Sebastiano Munsero Alemanno, Venezia, 1548. Prima rappresentazione a stampa delle Marche che raffigura anche parte del Ducato di Spoleto. L’orografia è quella convenzionale del periodo a mucchi di talpa; l’idrografia è sproporzionata. Erronea è l’ubicazione di molti centri abitati; numerose inesattezze si riscontrano nella toponomastica. Link: goo.gl/XANlFK

Johann Baptist Homann

Status Ecclesiastici Magnique Ducatus Florentini Nova Exhibitio 1712 mm 488x578 Incisione in rame In: Atla Novus Terrarum orbis imperia, regna et status exactis geographicè demonstrans, opera Iohanni Baptistae Homanni..., Norimbergae, 1712. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 121 La carta è considerata una delle migliori derivazioni della carta del Magini. Ben evidenziati sono i confini politico-amministrativi. Link: goo.gl/wd5FqP

Jodocus Hondius II

Umbria. Umbria Perugino [14] 1626 mm 181x249 Incisione in rame In: J. Hondius, Nova et accurata Italiae Hodiernae descriptio..., Lugduni Batavorum, apud Bonaventuram et Abrahamum Elsevir, 1626 (Rispampa 1627); Atlas portatif…, Henri Du Sauzet, edizioni 1734 e 1738; Atlas minor, Gerard Kremer, 1676 (ed. Tedesca) La tavola, che risente dell’influsso della cartografia maginiana, raffigura come provincia a parte sia il Perugino che il Tifernate, mentre l’Umbria, intesa come Ducato di Spoleto, è composta dai governi posti al di là del Tevere. L’indicazione dei centri abitati è scarna, approssimativa è la loro ubicazione. Povero è il dettaglio dell’orografia e dell’idrografia. Link: goo.gl/tNvsBa

Ecclesiasticum Dominium 1626 mm. 181x249 Incisione in rame In: Nova et accurata Italiae Hodiernae descriptio..., Lugduni Batavorum, apud Bonaventuram et Abrahamum Elsevir, 1626; Atlas portatif…, Henri Du Sauzet, edizioni 1734 e 1738; Atlas minor, Gerard Kremer, 1676 L’incisione raffigura lo Stato Pontificio. La carta riporta i confini amministrativi indicati con linea puntinata. L’orografia è approssimativa, maggiore attenzione è rivolta al dettaglio idrografico.

Henricus Hondius

Umbria overo Ducato di Spoleto [17] 1636 Incisione in rame mm 382x490 In: Gerardi Mercatoris Atlantis Novi Pars Tertia, Italiam, Graeciam & maximas insulas Maris Mediterranei, nec non Asiam, Africam atque Americam continens, Editio ultima Sumptibus & typis aeneis Henrici Hondij, Amstelodami, 1636 (Pubblicato in più edizioni) Carta di derivazione maginiana. Spoleto, al centro della carta, è raffigurata con una pianta con dimensioni molto più grandi rispetto agli altri centri abitati, compresa Perugia che è localizzata in alto a sinistra, al di fuori dell’Umbria, e resa attraverso una stilizzata e ridotta veduta prospettica. La suddivisione territoriale è evidenziata da diverse colorazioni e la configurazione orografica è ben resa con monticelli prospettici più o meno marcati e correttamente disposti. Link: goo.gl/Pek9g3

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 122 goo.gl/ROhRfZ Stato della Chiesa. Dominium Ecclesiasticum in Italia 1636 mm 417x518 Incisione in rame In: Gerardi Mercatoris Atlantis Novi Pars Tertia ..., 1636 La carta riprende da quella dello Stato della Chiesa con la Toscana di Willelm e Joan Blaeu. La differenza più evidente si registra negli eleganti cartigli posti su tre angoli della tavola. Link: goo.gl/X4r09J

Territorio Perugino 1636 mm 382x490 Incisione in rame In: Gerardi Mercatoris Atlantis Novi Pars Tertia..., 1636 La carta è desunta dalla carta dall’omonimo titolo presente nell’atlante del Magini. L’unica differenza è nel cartiglio meno elaborato rispetto alla carta maginiana. Nota: dell’opera Gerardi Mercatoris Atlantis Novi Pars Tertia si segnalano inoltre una carta del Ducato di Urbino che raffigura l’Eugubino, il contado di Città di Castello e una parte del Perugino e una tavola del Territorio di Siena con il Ducato di Castro nella quale vengono rappresentati anche i territori di Perugia e Orvieto. Link: goo.gl/PAkWDw goo.gl/2NE5fl

Jan Jansson

Territorio di Orvieto 1636 mm 382x488 Incisione in rame In: Gerardi Mercatoris Atlantis Novi Pars Tertia..., 1636; Theatrum Italiae in quo regna, dominia et ducatus ejus tam in genere, quam in specie et illorum provinciae describuntur, et tabulis aeneis, iisque de novo in lucem editis, & quam accuratissimis illustrantur quorum catalogum sequens pagina indicabit, typis Ioannis Ianssonii, Amstelodami, 1636. Ben marcata è la delimitazione del territorio Orvietano che confina ad est con il territorio di Todi, ad ovest con lo Stato di Siena, a nord con il Perugino, a sud con il Ducato di Castro e il Patrimonio. Link: goo.gl/b7EUYL goo.gl/QjpiYm

Umbria overo Ducato di Spoleto 1647 mm 385x490 In: Atlas Novus Sive Theatrum Orbis Terrarum: In quo Hispaniae, Italiae, Asiae, Africae, nec.non Americae. Tabulae & Descriptiones luculentissime. Tomus Tertius, Amstelodami, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 123 apud Ioannem Ianssonium, 1647 (Pubblicato in più edizioni) Carta di evidente derivazione maginiana. Link: goo.gl/5HXM5i

Territorio Perugino 1647 ca. mm 38x49 Incisione in rame In: Atlas Novus Sive Theatrum Orbis Terrarum..., 1647; Atlas minor sive Cosmographia Blaviana, Pars Tertia, Amsterdam W.J. E J. Blaeu, 1650. La carta si ispira a quella maginiana del 1597-1600. Link: goo.gl/T7pAef

Stato della Chiesa con la Toscana 1647 mm 41,7x52,8 Incisione in rame In: Atlas Novus Sive Theatrum Orbis Terrarum..., 1647. Variante della carta dello Stato della Chiesa di Hondius (1636). I confini politici sono tracciati con linea puntinata. L’orografia è sommaria, con maggiore dettaglio è delineata la rete idrografica.

Pieter van den Keere

Descriptio Tractus Perusini. Perusia 1605 mm 86x123 Incisione in rame In: Paul van Merle, Paulli G.F.P.N. Merulae Cosmographiae generalis Libris tres; Item Geographiae particuralis Libri quattuor Quibus Europa in genere; speciatim Hispania, Gallia, Italia describuntur. Cum Tabulis geographicis aeneis, Amsterdam Ex officina Plantiniana Raphelengij, 1605. La carta è desunta dalle tavole orteliane del territorio di Perugia sia per le indicazioni oro- idrografiche, che per l’ubicazione e denominazione delle varie località.

Gerard Kremer, noto come Mercator

Marchia Anconitana cum Spoletano Ducatu [7] 1589 mm 353 x 452 Incisione in rame In: Italiae, Sclavoniae, et Graeciae tabule geographice, Per Gerardum Mercatorem Illustrissimi Ducis Julie Clivier, & c. Cosmographum Duysburgi editae. Cum gratia & privilegio, Duisburg, 1589. Le informazioni cartografiche sono desunte, per quanto concerne il territorio di Perugia, dalle carte dantiane; da notare una certa cura nella raffigurazione dell’idrografia e

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 124 dell’orografia, manca invece la definizione dei confini politici. Le località maggiori sono raffigurate con stilizzate vedutine prospettiche. La tavola rappresenta anche tutta l’area del Perugino con il lago Trasimeno e il contado di Città di Castello. Link: goo.gl/xFPH9f

Tuscia 1589 mm 330x463 Incisione in rame In: Italiae, Sclavoniae, et Graeciae tabule geographice..., 1589. La bella tavola del Mercator riprende la carta del Bellarmato, anche se più ricca risulta essere la toponomastica. La tavola comprende tutto il contado di Città di Castello, il Perugino, parte del Ducato di Spoleto, della Marca e della campagna di Roma. Non sono presenti confini. Link: goo.gl/NOc6ny

Marcha Anconitana cum Spoletano Ducatu 1607 mm 147x185 Incisione in rame In: Atlas Minor Gerardi Mercatoris a I. Hondio plurimi aeneis tabulis auctus atque illustratus. (Numerose edizioni dal 1607 al 1651) Povera di località, la carta si contraddistingue per l’indicazione, attraverso varie colorazioni, dei territori della Marca e del Ducato di Spoleto e di parte della Romagna e della Toscana. Le località maggiori sono raffigurate con stilizzate vedutine prospettiche. Buona è la rappresentazione dei corsi d’acqua, mentre i bacini lacustri appaiono alquanto sproporzionati.

Marcha Anconitana cum Spoletano Ducatu 1607 mm 147x185 Incisione in rame In: Atlas Minor Gerardi Mercatoris a I. Hondio plurimi aeneis tabulis auctus atque illustratus. Versione leggermente semplificata rispetto alla precedente. Non compare l’indicazione dei confini. Sufficientemente dettagliata è la rete idrografica. Il cartiglio è meno elaborato.

La Toscane. Tuscia 1613 Incisione in rame mm 187x257 In: Atlas minor, presso J. Hondio, Amsterdam 1613. La carta, inserita in una delle edizioni tarde e di formato ridotto dell’atlante del Mercator, oltre alla Toscana – che comprende anche l’area trasimenica – ritrae il Perugino, l’Orvietano e parte del Ducato di Spoleto.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 125 Marchia Anconitana cum Spoletano D. 1630 mm 188x255 Incisione in rame Incisore: Pieter van den Keere In: Gerardi Mercatoris Atlas sive Cosmographicae Meditationes de Frabrica Mundi et fabrica figura. De novo multis in locis emendatus et Appendice auctua Sydio Iudoci Hondij. Amsterodami, Sumptibis Johannes Cloppenburg (Atlante pubblicato in varie edizioni dal 1630 al 1676) Assenti sono le delimitazioni confinarie tra i vari territori. Le località maggiori sono raffigurate con stilizzate vedutine prospettiche. Il reticolo idrografico è sufficientemente dettagliato.

Dominium Ecclesiasticum in Italia 1648 mm 157x206 Incisione in rame Incisore: Pieter van den Keere In: Atlas minor, das ist: Eine kurtze jedoch gruendliche Beschreibung der Gantzen in zwey Theile abgentheilt … Amstelodami, ex officina Ioannis Ioanssonii, 1648. Carta molto accurata; presenta numerosi toponimi anche se si registrano inesattezze in alcuni nomi di luogo e qualche mancanza nella registrazione di importanti centri abitati (es. Rieti). I confini politici-amministrativi sono delineati tramite linea puntinata.

Guillaume de L’Isle

Carta geografica dello Stato della Chiesa 1750 mm 330x430 Incisione in rame In: Atlante novissimo, che contiene tutte le parti del mondo, nel quale sono esattamente descritti gl’Imperi, le Monarchie, Stati, Repubbliche del Sig.re Guglielmo de l’Isle, vol II, in Venezia presso Giambattista Albrizzi, 1750. Carta di derivazione maginiana, di fattura mediocre, sommaria nella rappresentazione dell’idrografia e dell’orografia. Oltre allo Stato della Chiesa la carta raffigura quasi tutto il Granducato. La tavola presenta un’impostazione seicentesca e manca completamente di riferimenti stradali. Una linea tratteggiata delinea i confini tra gli Stati; la linea puntinata segnala invece le partizioni subregionali. Notevole è il cartiglio per il suo significato allegorico. Link: goo.gl/vt0YPu

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 126 Vincenzo Luchini

La Marca d’Ancona 1564 mm 350x495 Incisione in rame Carta che presenta evidenti elementi di novità rispetto alle precedenti. La toponomastica è sufficientemente precisa; l’idrografia e l’orografia risultano piuttosto vaghe e approssimative. Link: goo.gl/f4s2oN

Giovanni Antonio Magini

Ducato di Urbino 1596 ca. (prima stesura), 1599 (stesura definitiva) mm 345x460 Incisione in rame Incisori: Arnoldo di Arnoldi, Benjamin Wright In: Italia di Gio. Ant. Magini data in luce da Fabio suo figliuolo Al Serenissimo Ferdinando Gonzaga duca di Mantova e di Monferrato etc. Cum Prvilegio. Bononie Impensis Ispius Auctoris, 1620, Oviverius Gattus Inv. & fe. (Ristampe 1632, 1642) La carta del Ducato di Urbino è una delle più antiche del Magini. La carta che presenta analogie con la carta di Egnazio Danti Urbini Ducatus, copre rispetto a quest’ultima un territorio più esteso, raffigurando anche tutto il contado di Città di Castello, parte del Perugino, del Fiorentino, della Marca e della Romagna. Ben delineati i confini. Link: goo.gl/xzVp8f

Territorio Perugino [9] 1597- 1600 ca. mm 355 x 423 Incisione in rame Incisore: Arnoldo di Arnoldi In: Italia di Gio. Ant. Magini...,1620 La raffigurazione del Perugino e del Marchesato di Castiglione riprende dalla carta del Danti del 1580. I centri abitati segnalati sono numerosi e ben posizionati; l’idrografia è particolareggiata, l’orografia è resa tramite coni con ombreggiatura a destra. Sono delineati con precisione i confini tra territorio Perugino e aree limitrofe. Link: goo.gl/1dkWI9

Territorio di Orvieto [11] 1599-1600 mm 350x398 Incisione in rame In: Italia di Gio. Ant. Magini...,1620 Per realizzare questa carta il Magini ha sicuramente attinto dalla Urbisveteris Antiquae Ditionis descriptio (1583) di Egnazio Danti, dalla carta del territorio senese di Stafano Buonsignori del 1584 e dalla tavola della Toscana del Bellarmato e sue derivazioni. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 127 L’orografia è sommaria, più precisa è la delineazione della rete idrografica. La carta riporta un buon numero di centri abitati, posizionati abbastanza correttamente. I confini sono delimitati tramite linea puntinata. Link: goo.gl/Rpwq4g

Umbria, overo Ducato di Spoleto [12] 1601-1607 mm 470x372 Incisione in rame Incisori: Arnoldo di Arnoldi, Benjamin Wright In: Italia di Gio. Ant. Magini...,1620 Il Perugino e l’Orvietano sono considerati staccati dall’Umbria che invece comprende i governi di Todi, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Narni e Norcia. Ad eccezione del territorio di Assisi la carta è ricca di indicazioni sia per l’idrografia che per i centri abitati, particolare attenzione viene rivolta ai confini politici e territoriali, mentre la raffigurazione dell’orografia è piuttosto arbitraria. Link: goo.gl/mdgqvC

Stato della Chiesa 1607 mm. 372x434 Incisione in rame Incisore: Benjamin Wright In: Italia di Gio. Ant. Magini...,1620 Oltre allo Stato della Chiesa la tavola rappresenta l’intera Italia centrale. I confini territoriali sono delineati con doppia linea puntinata; le varie partizioni dello Stato sono invece indicate con una singola linea puntinata. L’incisione è di notevole qualità dal punto di vista scientifico e storico-artistico. Link: goo.gl/a2teSA

Patrimonio di S. Pietro Sabina et Ducato di Castro 1620 mm 363x465 Incisione in rame In: Italia di Gio. Ant. Magini..., 1620 La tavola rappresenta anche parte dell’Orvietano e dell’Umbria, intesa come Ducato di Spoleto. Link: goo.gl/JHEH2I

Gregorio Mansi

Pianta dell’illustrissima città di Todi e suo territorio [16] 1633 mm 530x393 Incisione in legno Incisore: Tomaso Tomassi La tavola rivolge particolare attenzione alla raffigurazione delle numerose località soggette documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 128 al dominio della città di Todi, situata al centro della carta, di cui viene fornita una pianta prospettica, mentre piccole vedute di altre cittadine mettono in rilievo alcuni monumenti più significativi; l’ubicazione dei centri abitati è sufficientemente esatta. I monti sono disegnati a grandi coni, con ombre a destra. I confini sono identificati da una linea punteggiata, le strade presentano una doppia linea punteggiata. Link: goo.gl/ibxnHT

Matthäus Merian

Stato della Chiesa con la Toscana Herschafften der Rom Kirchen und Grosshertzogthumb Florenz 1688 mm 279x359 Incisione in rame In: Topographia Italiae das ist Warhaffte und Curiose Beschreibung Italien Sambt Einen Anhang von Konigreich Morea, Franckfurt, Bey Matthaei Merians Sell Erben, 1688. L’incisione deriva indirettamente dalle carte dello Stato della Chiesa con la Toscana che Henricus Hondius e Jan Jansson realizzarono sulla base di prototipi mercatoriani.

Francesco Mingucci

Stati dei Ser.mi della Rovere 1626 mm 520x500 Acquerello In: Stati, Dominii, Città, Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Prencipi della Rovere tratti dal naturale, 1626. La carta, che raffigura il Ducato di Urbino, è posta ad apertura del manoscritto sopra citato. L’orografia è resa attraverso i cosiddetti mucchi di talpa; convenzionale è anche la rappresentazione della rete idrografica, che comunque risulta essere ben rilevata. Numerosi sono i toponimi indicati. I centri abitati, ubicati con buona approssimazione, sono raffigurati in rosso, mediante disegni differenti a seconda della loro entità ed importanza. Il sud-ovest è in alto. Link: goo.gl/6tb0l0

Stati dei Ser.mi della Rovere 1626 mm 545x504 Acquerello In: Stati, Dominii, Città, Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Prencipi della Rovere tratti dal naturale, 1626. La carta è pressoché identica alla precedente. Tuttavia, mentre la tavola iniziale delinea lo Stato di Urbino nel suo complesso grazie ad una colorazione piuttosto omogenea fra il giallo e il marrone chiaro, questa, posta alla fine del codice, mette in evidenza, con diverse tonalità di colore, anche i singoli territori del Ducato.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 129 Giovanni da Moncalieri

Provincia S. Francisci seu Umbriae cum confinijs [19] 1649 mm 229x327 Incisione in rame In: Chorographica descriptio Provinciarum et Conventum Fratrum minorum S. Francisci Capucinorum…, a.r.p. Joannis de Montecaliero ministri generali communi utilitati, 1649 (Edd. 1643, 1654) La carta fa parte dell’Atlante commissionato da Giovanni da Moncalieri, ministro generale dei cappuccini, per mostrare i luoghi in cui si insediarono i monaci dell’ordine. L’idrografia e l’orografia sono sommarie; imprecisa è la localizzazione dei centri. Link: goo.gl/9ByJso

Silvestro Amanzio Moroncelli

Tavola Generale della Provincia dell’Umbria nuovamente corretta et ampliata secondo lo stato presente [25] 1712 mm 421x568 Incisione in rame In: Mercurio Geografico overo guida geografica in tutte le parti del mondo, Conforme le tavole geografiche del Sansone Baudrand e Cantelli..., stampato a Roma da Giovanni Giacomo de Rossi. La carta rappresenta la provincia dell’Umbria, ma anche la parte settentrionale del Viterbese e della Sabina e porzioni di territorio confinanti. Per la realizzazione della carta Moroncelli si è ispirato alle carte inserite negli atlanti maginiani e mercatoriani. La tavola si caratterizza per la sua accuratezza formale e per la ricchezza dei contenuti. Link: goo.gl/K2c9Ty

Pieter Mortier

Umbria ou Duché de Spolete 1704 mm 384x498 Incisione in rame In: Nouveau Théâtre d’Italie..., Amsterdam par le soins de Pierre Mortier Libraire 1704- 1705 (Opera pubblicata in più edizioni) Carta di derivazione maginiana. Il cartiglio è ripreso dalla tavola di Schenk e Valk.

Jean Baptisce Nolin

Etats de l’Eglise... 1702 mm 474x642 Incisione in rame In: Théatre de la guerre en Italie..., stampato da J.B. Nolin, 1702. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 130 Per la realizzazione della carta l’Autore si è ispirato alle tavole del Magini e di Giacomo Cantelli da Vignola. Il rilevamento dei confini è accurato. Link: goo.gl/dFc7U8

Bernardino Olivieri

Carta della Sabina 1802 mm 429x494 Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale La tavola è una derivazione della carta dello Stato della Chiesa di Boscovich. L’orografia è schematica; l’idrografia è dettagliata e precisa. La rete viaria è segnata con doppia linea puntinata. Le città principali sono indicate con piccole piante topografiche, i centri minori con dei trattini. I confini sono delineati con linea tratteggiata e puntinata. Centri come Otricoli e Collescipoli rientrano in Sabina, mentre al confine figurano le città di Terni e Narni. Bello il cartiglio con il titolo.

Carta della provincia dell’Umbria 1803 mm 523x400 Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale La carta presenta numerosi elementi geografici. I centri abitati sono raffigurati con stilizzate piante topografiche. La rappresentazione dell’orografia è sommaria, più dettagliato è il disegno dei corsi d’acqua. Da notare come mentre nella carta precedente Narni sia collocata in Umbria, in questa tavola la città è collocata in Sabina. Notevole ed elegante il cartiglio. Link: goo.gl/f3y1Om Carta del Territorio d’Orvieto e Territorio di Perugia 1803 mm 443x502 Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale La bella carta è frutto dell’elaborazione delle misurazioni compiute da Maire e Boscovich per la loro carta dello Stato della Chiesa. La rete viaria è delineata con particolare precisione; numerosi sono i centri abitati segnalati. Dettagliata è l’idrografia, mentre sommaria è l’orografia. Bello il cartiglio che incornicia il titolo.

Carta del Ducato di Urbino 1803 mm 380x500 Incisione in rame Stampata a Roma presso la Calcografia Camerale La tavola comprende anche i territori di Città di Castello e Gubbio. L’orografia è a monticelli; l’idrografia è piuttosto dettagliata; sono tracciate le strade principali e i confini. Elegante il cartiglio. Link: goo.gl/Fu6VMV documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 131 Abraham Ortel

Territorio di Perugia. Perusia [10] 1598 mm 77x107 Incisione in rame In: Il Theatro del mondo di Abramo Ortelio. Nel quale distintamente si dimostrano in tavole tutte le Provincie, Regni, & Paesi del Mondo al presente conosciuti; con la descrittione della citta, Castelli, Monti, Mari, Laghi & fiumi di essi; Le popolationi, i costumi, le ricchezze, & altri particolari desiderabili. Ridotto dalla forma grande in questa piccola, per maggiore commodità di ogniuno. Con una tavola delle cose piu degne che nell’opera si contengono. In Brescia, Appresso la Campagna Bresciana, Con Licenza de Superiori, 1598 La rappresentazione della tavola è piuttosto approssimativa e imprecisa nell’idrografia, nell’orografia e nell’indicazione dei centri abitati, raffigurati i maggiori tramite semplici vedutine prospettiche. Una linea tratteggiata separa il Perugino dal Fiorentino, dall’Urbinate e dall’Orvietano. Link: goo.gl/FjxrSy

Territorio di Orvieto. Oropitum 1598 mm 77x106 Incisione in rame In: Il Theatro del mondo di Abramo Ortelio…, 1598 Una linea puntinata delimita i confini, tuttavia la carta del territorio di Orvieto non riporta il confine con il Patrimonio, di cui forse è ancora considerata parte, ma cerca di delineare quelli con il Perugino e l’Umbria, nonostante la presenza di qualche errore (es. inclusione di Marsciano nell’Orvietano). Nota: in questa edizione del Theatro dell’Ortel è presente anche una carta della Tuscia (mm 78x110) nella quale figurano parte dei territori di Perugia, Orvieto e Città di Castello. La tavola è visionabile al seguente link goo.gl/Qogvk0 Link: goo.gl/9H5NSu

Territorio di Perugia. Perusia 1601 mm 95x120 Incisione in rame In: Breve compendio del Theatro orteliano. Rispetto all’esemplare del 1598 la carta approfondisce e precisa alcuni riferimenti geografici, soprattutto in relazione all’idrografia. I confini del Perugino sono delimitati da una linea tratteggiata.

Orvietum. Oropitum 1609 mm 82x123 Incisione in rame In: L’Epitome du Theatre de l’Univers d’Abraham Ortelius: Nouvellement recognue, augmente, et restauré de meseure Geographique, par Michel Coignet Mathemat. D’Anvers. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 132 Antuerpiae Sumptibus Ioannis Bapt. Vrintii An., 1609 La carta è sostanzialmente identica a quella del 1598 nella collocazione e denominazione dei centri abitati – non figurano le sole località di Migliano a nord e di Agnarea a sud – alcuni dei quali rappresentati attraverso stilizzate vedute prospettiche (Orvieto, Bolsena, Acquapendente, Monte Fiascone, Baschi).

Perusinus Ager. Perusia fine XVI-inizio XVII secolo mm 83x117 Incisione in rame In: L’Epitome du Theatre de l’Univers d’Abraham Ortelius..., 1609 La carta è sostanzialmente identica a quella del 1598 sia per quanto riguarda l’ubicazione che per la denominazione dei luoghi. Più nitido è il corsivo usato per l’indicazione dei nomi dei centri abitati. Nota: porzioni del territorio umbro sono raffigurate anche nelle carte della Tuscia (mm 83x123), Florentinum Dominium (mm85x125) e Urbini Ducatus (mm 83x123).

Niccolò Pagni e Lorenzo Bardi

Carta del Territorio della Repubblica Romana divisa ne suoi Dipartimenti [32] 1799 mm 790x558 Incisione in rame La carta edita da Pagni e Bardi raffigura la situazione territoriale vigente durante il periodo della Repubblica Romana Giacobina (1798-1799) e mostra l’Umbria ripartita nei dipartimenti del Trasimeno, con capoluogo Perugia, e del Clitunno, con capoluogo Spoleto. Le notevoli dimensioni della carta consentono un elevato livello di dettaglio nella rappresentazione degli elementi geografici. L’idrografia è dettagliata, il disegno orografico è approssimativo. I centri abitati sono numerosi e ben posizionati. Link: goo.gl/Muy202

Gellio Parenzio

Questa è la pianta de tutto il territorio dominio et destretto della città de Spoleto et lochi che li confinano fatta con giusta osservazione da loco a loco dal Cap.no Gellio Parentio de Spoleto [8] 1597 mm 318x362 Incisione in rame La carta descrive il dominium della città di Spoleto ed è realizzata sulla base di una serie di ricognizioni condotte sul posto dall’autore. La rappresentazione della Valle e della viabilità principale, tracciata con linea puntinata, è abbastanza precisa. Il disegno dell’orografia è predominante, anche se la raffigurazione della montagna spoletina presenta imprecisioni. Interessante è la tabella dei centri abitati distinti in quattro categorie a seconda dell’importanza con l’indicazione del numero di fuochi. Link: goo.gl/bb9LUH

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 133 Silvestro Pepi

La provincia di S. Francesco [15] 1632 mm 285x390 In: Atlante Cappuccino La rappresentazione della provincia non tiene conto né delle partizioni politico- amministrative né della tradizione dotta, ma si concentra nella raffigurazione dei centri sedi di conventi, comprendendo Gubbio e Perugia ed escludendo la Sabina e Orvieto. Nel complesso la carta presenta evidenti imprecisioni nell’ubicazione dei luoghi e nell’orientamento, piuttosto sommaria è l’orografia e la delimitazione dei confini. Link: goo.gl/NLZDJR Cipriano Piccolpasso

Carta d’insieme dell’Umbria [4] 1578-1579 mm 455x420 ca. La carta povera di località, appare piuttosto rudimentale per l’orografia e l’idrografia, non presenta né orientazione né scala. Nonostante sia scadente dal punto di vista tecnico, la tavola riveste una certa importanza essendo una delle prime raffigurazioni dell’Umbria che comprende anche il Perugino e tutta la zona del Trasimeno, scelta questa che a lungo non verrà riproposta nella cartografia posteriore. Link: goo.gl/iSmb1F

Paolo Posi

Pianta Corografica di una porzione della Provincia dell’Umbria, nella quale vengono delineate, la Via del Furlo, che da Foligno conduce a Cantiano, e l’altra nuova, che viene proposta dalle Città di Perugia e Gubbio… [28] 1763 mm 395x486 Incisione in rame Disegnatore: Giuseppe Palazzi Incisore: Giuseppe Vasi Carta interessante e particolare, dalle pregevoli fattezze. Il titolo informa compiutamente sul contenuto della tavola. I rilievi compiuti da Paolo Posi tengono sicuramente in considerazione le misurazioni fatte dal Maire e dal Boscovich. Link: goo.gl/SVeSbh

Franz Johann Joseph von Reilly

Das Herzogthum Urbino mit der Grafschaft Citta di Castello 1791 ca. m 260x305 Incisione in rame In: Schauplatz der fünf Theile der Welt, mit bestaendiger Rücksicht auf die besten Orginal Werke in drey Theile zusammengetragen von einer Gessellschaft Geographen, Vienna, F.J.J documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 134 von Reilly, 1789-1806. La carta raffigura i territori del Ducato di Urbino e il contado di Città di Castello. Le delimitazioni confinarie sono indicate con linea tratteggiata. Non particolarmente numerosi sono i centri abitati segnalati. Il disegno dell’orografia è sommario.

Die Landschaft Umbria mit den Gebiethen von Orvieto und Perugia. Nro 470 1798 ca. mm 286x330 Incisione in rame In: Schauplatz der fünf Theile der Welt..., 1789-1806. La carta raffigura L’Umbria e i territori di Orvieto e Perugia. Le delimitazioni confinarie sono indicate con linea tratteggiata. Non particolarmente numerosi sono i centri abitati segnalati.

Antonio Rizzi-Zannoni

Territorio di Perugia e Città di Castello 1802 mm 390x6,5 Incisione in rame La carta descrive accuratamente i dettagli politici e fisici del territorio.

Girolamo Ruscelli

Toscana Nuova Tavola 1561 mm 172x253 Incisione in rame In: Espositioni et Introdutioni Universali sopra tutta la Geografia di Tolomeo, Venezia, 1561. (Pubblicata in più edizioni) La carta presenta riferimenti storico- eruditi. Tutta la regione ad ovest del Tevere, comprese Perugia ed Orvieto, è definita Tuscia.

Tavola nova della Marca d’Ancona 1561 mm 195x260 Incisione in rame In: Espositioni et Introdutioni Universali sopra tutta la Geografia di Tolomeo, Venezia, 1561. La carta si basa sulla Geografia di Giacomo Gastaldi. L’orografia è schematica, a mucchi di talpa, l’idrografia è sproporzionata. La tavola raffigura anche parte del Ducato di Spoleto e del Perugino, il Tifernate e l’Eugubino.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 135 Cesare Sacchetti

Carta Corografica della Provincia dell’Umbria sulla proporzione di 1:86.400 tratta per cura dalla Deputazione Provinciale della Carta della Direzione del Catasto nell’Umbria 1863 mm 520x435 foglio singolo Litografia Grande carta composta di 16 fogli, del tutto simile alla Carta Topografica dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana stampata a Vienna nel 1851 per ordine dell’Imperial Regio Istituto Geografico Militare Austriaco. L’idrografia e l’orografia sono molto dettagliate; la viabilità è precisa; i centri abitati sono ben posizionati. Sono inoltre indicate le stazioni di posta, le chiese, i ponti e molti altri dati ripresi dall’originale austriaco. Per visualizzare i singoli fogli di cui si compone la carta clicca qui.

Carta Corografica della Provincia Umbra compilata ed incisa da Cesare Sacchetti di Orte sulla scorta della carta Austriaca coll’aggiunta delle nuove strade e ferrovie attivate e in corso di costruzione a tutto l’anno 1863 1864 mm 520x416 Litografia Come suggerisce lo stesso titolo il Sacchetti ha dedotto tutti i dati geografici dalla carta austriaca dello Stato Pontificio e del Granducato di Toscana. La tavola raffigura la Provincia dell’Umbria dopo l’Unità d’Italia. I confini sono delineati da una linea formata da piccole crocette; una linea tratteggiata delimita i confini di circondario; le stazioni di posta sono ben indicate; l’idrografia è molto dettagliata; molto ricca è la toponomastica.

Thomas Salmon

Carta Geografica del Stato della Chiesa 1758 mm 322x414 Incisione in rame In: Lo stato presente di tutti i Paesi e Popoli del Mondo Naturale, Politico, e Morale con nuove osservazioni, e correzioni degli Antichi e Moderni Viaggiatori, Napoli, Vincenzo Mazzolla a Fontina Medina, 1758. Ben delineati sono i confini tra gli Stati; le confinazioni dei vari comparti territoriali sono rese con linea puntinata. L’area del Ducato di Spoleto è indicata con il termine «Ombria».

Nicolas Sanson d’Abbeville

Estats de l’Eglise et de Toscane 1648 mm 430x565 Incisione in rame In: Cartes généra les de toutes les parties du monde, ou les empires, monarchies, républiques, estats, peuples, & c. De l’Asie, de l’Afrique, de l’Europe, & de l’Amerique, tant anciens que nouveaux, sont exactement remarqués & distinqés suivant leur estenduë. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 136 Par les Sieurs Sansos d’Abbeville, géograpges ordinaires du roy. Pubblicato a Parigi, da Pierre Mariette, 1654. Per la delineazione della carta il Sanson ha fatto ricorso ai dati geografici evidenziati nelle tavole maginiane del 1620, apportandovi alcuni elementi di novità frutto di ricerche personali. L’opera in particolare presenta variazioni relativamente ai dati astronomici, ai confini e alla nomenclatura, ridotta e riportata in lingua francese. Come nota Almagià, la carta è di notevole pregio sia per l’idrografia che per l’indicazione dei centri abitati. Link: goo.gl/DznHYq

Pieter Schenk

Continentis Italiae Pars Media, Seu Prima Meridionalis; Ecclesiae Status Tredicum, et Magni Ducatus Toscani Dominium ac Territoria exhibens 1703 mm 488x580 Incisione in rame In: Atlas Contractus, sive Mapporum Geographicarum Sansiunarum auctarum et correctarum Noca Congeris..., Amsterdam, Pieter Schenk, 1705 ca. La carta risulta particolarmente rilevante per la quantità dei toponimi in essa indicati.

Matthäus Seutter

Novissima et accuratissima delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae [26] 1730 mm 501x583 Incisione in rame Incisore: Matthäus Seutter In: Atlas novus sive Tabulae Geographicae totius orbis faciem partes, imperia, regna et provincias exhibentes, exactissima cura iuxta recentissima observation, aeri incisiae et venum expositae à Matthaeo Seutter chalcogr. Augustae Vindelicorum, Win, 1730. La carta raffigura lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana. La nomenclatura è in latino e i centri maggiori sono raffigurati con una stilizzata pianta topografica. Il cartiglio risulta ricco di riferimenti simbolici. Link: goo.gl/vtvFdf

Novissima et accuratissima delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae 1735 mm 498x583 Incisione in rame In: Grosser Atlas..., 1735 ca. La affinità con la Novissima et accuratissima delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae del 1730 sono non soltanto tecnico-scientifiche ma anche stilistiche e formali. Diverso è il cartiglio. Link: goo.gl/bL03Zd goo.gl/7JHmXC goo.gl/IALWTB documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 137 Novissima et accuratissima delineatio Status Ecclesiae et Magni Ducatus Hetruriae 1744 mm 205x263 Incisione in rame In: Atlas minor precipua orbis terrarum imperia, regna et provincias, Germaniae potissimum, tabellis 50. Exacte delineatis sistens, usui militiae ducum ac peregrinantium maxime accommodatus, opera Matthaei Seutteri…, Augustae Vindelicoum, 1744. Rispetto alle carte presenti nell’Atlas Novus e nel Grosser Atlas è minore il numero dei centri abitati indicati; l’idrografia è molto semplificata. Link: goo.gl/hecu3m

Valerio Spada

Territorio di Perugia 1650 ca. mm 360x455 Incisione in rame La tavola riprende come fonte il Perusini agri di Egnazio Danti, da cui vengono desunte la nomenclatura, la posizione dei centri abitati, l’orografia e l’idrografia.

Gaetano Spinetti

Carta Corografica dello Stato Pontificio indicante le Digane, i posti armati dalla truppa di Finanza, le strade Doganali, la fascia bimiliare di divieto, e alle Dogane estere che corrispondono alle Pontificie [35] 1837 mm 1695x925 in 3 fogli; mm 565x925 foglio singolo Incisione in rame Incisore: Alessandro Moschetti Il titolo ben informa sul contenuto della carta che risulta essere particolarmente precisa nella delimitazione dei confini tra delegazioni e per l’attenta rappresentazione delle vie di comunicazione principali e secondarie, rese simbologicamente in base alla loro rilevanza. L’ importanza dei centri abitati si rileva dalla diversa grandezza dei caratteri tipografici. L’idrografia è ben evidenziata; l’orografia pone bene in evidenza la catena appenninica. Link: goo.gl/K6a33X

Filippo Titi

Legazione del Ducato d’Urbino con la diocesi e Governo di Città di Castello [23] 1697 mm 340x540 Incisione in rame La tavola rivolge particolare attenzione alla delineazione dei confini, segnalati con una linea tratteggiata grazie alla quale si distinguono la Legazione della Marca di Ancona, il Governo di Perugia, il Granducato di Toscana, la Diocesi e il Governo di Città di Castello, la legazione di Romagna, la Repubblica di San Marino e il governo di Fano. Link: goo.gl/JcEwrP documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 138 goo.gl/KM0jLo

Pietro Todeschi

Carta dello Stato del Papa et del Grā Duca di Toscana 1670 ca mm 357x474 Incisione in rame La carta è tratta dalla tavola del Magini Stato della Chiesa, in particolare si ispira alla versione dello Jansson.

L.A.S. Trestour Di Antibo

Nuova Carta geografica dello Stato Pontificio delineata a norma degli ultimi trattati e del Riparto Territoriale de 26 Nov. 1817 [34] 1824 mm 1105x620 Incisione in rame Incisore: Francesco Valenti Carta apprezzabile sia per la resa tipografica che per il numero di informazioni in essa presenti. Scarsa attenzione è rivolta all’idrografia e all’orografia. Link: goo.gl/NPR4Ct

Giovanni Battista Urints

Ducatus Urbini Nova et exacta descriptio 1606 mm 381x487 Incisione in rame In: Theatrum Orbis Terrarum, 1608 (altre edd. nel 1609 e 1612) Fonte della carta è probabilmente l’Urbini Ducatus di Egnazio Danti. L’orografia è a coni di talpa e distribuita su tutto il territorio senza seguire un preciso criterio; ben delineata l’idrografia; numerosi i ponti segnalati. Una linea punteggiata indica i confini tra i vari feudi; tutte le località sono rappresentate con il simbolo della casetta, le maggiori con il castello e la cinta muraria. Nella carta figura tutto il territorio Eugubino.

Gerard e Leonard Valk

Status Ecclesiasticus Magnus Ducatus Florentiae et Reso. Lucae, Complectens Ducatus Urbini, Spoleti, Braciani et Castr; Marchion. Anconae, Urbis ditiones Roman Patrimonium S. Petri, Orvietum, Florentiam, Pisan et Senam, cum supra et Subjacentibus regionibus. 1710 ca. mm 492x580 Incisione in rame In: Atlantis sylloge Compendiosa…or Nova totius Geographia telluris projectio, 1710 ca. Molte le somiglianze con la carta dello Schenk. Le numerose indicazioni toponomastiche vanno a discapito del disegno dell’orografia. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 139 Link: goo.gl/KDcE4j

Francesco Vallardi

Circondario di Fuligno e di Perugia 1867-1897 mm 520x345 Incisione in rame In: Atlante corografico, orografico, idrografico e storico dell’Italia, Milano F. Vallardi (1867-1897 ca.). La carta riprende l’impostazione della carta Delegazione di Perugia di Attilio Zuccagni Orlandini pubblicata nel 1844, a cui vengono apportati gli aggiornamenti conseguenti le modificazioni territoriali occorse dopo la metà del secolo. Tra questi in particolare si segnalano l’inclusione dell’Eugubino e l’attribuzione di Città della Pieve, Paciano e Piegaro al circondario di Orvieto.

Circondario di Orvieto 1850 mm 350x530 Incisione in rame In: Atlante corografico, orografico, idrografico e storico dell’Italia, Milano F. Vallardi (1867-1897 ca.). La carta riprende quella relativa alla Delegazione di Orvieto di Attilio Zuccagni Orlandini pubblicata nel 1844; rispetto a quest’ultima la tavola del Vallardi è più aggiornata.

Gilles Robert de Vaugondy

Etat de l’Eglise et Duché de Toscane 1748 mm 165x209 Incisione in rame In: Atlas portaif, universel et militaire, composé d’aprés les meilleures cartes, tant gravées, que manuscrites, des plus célebrès géographes et ingénieurs. Par M. Robert, géographe ordinaire du Roi. Paris, chez l’Auteur, 1748. La carta indica le principali città e i confini politici ed amministrativi; la catena appenninica è ben raffigurata seppure il disegno sia estremamente semplificato.

Carte du Grand-Duché de Toscane 1776 mm 480x570 Incisione in rame La carta rappresenta parte del territorio di Perugia, l’Orvietano e il Tifernate. Link: goo.gl/dT9qMx

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 140 Cristoph Weigel

Tabula Etruriae et Status Ecclesiastic. 1724 mm 331x403 Incisione in rame In: Atlas Manualis..., edito a Norimberga da Weigel e Koehler, 1724. Numerosi sono i centri abitati indicati nella carta, alcuni dei quali non ubicati in maniera precisa. Vengono indicati i confini politco-amministrativi.

Edward Wells

A new Map of Latium Etruria and as much of Ancient Italy, as lay Between Gallia Cisalpina and Graecia magna, Shewing their Principal Divisions, Cities, Towns, Rivers, Mountains, & c. 1700 mm 362x488 Incisione in rame In: A new Sett of Maps Both of Ancient and Present Geography, Oxford, 1671. Carta schematica e approssimativa che mostra le antiche regioni dell’Italia centrale. I confini sono segnalati da linea tratteggiata. L’orografia è assente; sono indicati i corsi d’acqua principali.

Robert Wilkinson

Estates of the Church Grand Duchy of Republic of Lucca 1809 mm 300x 240 Incisione in rame In: A General Atlas, being a Collection of Maps of the World and Quarters, the principal Empires, kingdoms…, Londra, 1809. Chiaramente delineati sono i confini delle varie partizioni territoriali. Una tabella a sinistra della carta riporta l’elenco delle dodici delegazioni dello Stato Pontificio. La toponomastica è scarna; essenziale è la rappresentazione dell’orografia.

Frederick de Wit

Status Ecclesiasticus et Magnus Ducatus Thoscanae 1688 mm 495x584 Incisione in rame In: Atlas Minor, Amstelodami, apud Fredericum De Wit, 1688. La carta si rifà indirettamente alla carta dello Stato della Chiesa del Magini. Ben delineati risultano i confini; la nomenclatura è in latino e i centri maggiori sono resi con stilizzate piante topografiche. Notevole il cartiglio raffigurante un monumento sul quale si ergono le personificazioni del papato e del Granducato.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 141 Link: goo.gl/5alPwp

Le Gran Duché de Toscane 1726 mm 234x297 Incisione in rame Nella carta del Granducato figurano parti dei territori di Perugia, Città di Castello e Orvieto.

Antonio Zatta

Lo Stato della Chiesa diviso nelle sue provincie di nuova Projezione 1782 mm 328x422 Incisione in rame Incisore: G. Zuliani In: Atlante Novissimo, illustrato ed accresciuto sulle osservazioni e scoperte fatte dai più celebri e più recenti geografi. Tomo III, , Venezia, presso Antonio Zatta, 1779-1785. La carta molto accurata, riporta a quella di Maire e Boscovich. Di particolare effetto è la raffigurazione dell’orografia. Le partizioni interne sono delineate con linee colorate. Link: goo.gl/8mCPla

L’Umbria ed i territori di Perugia, e di Orvieto Di nuova Projezione [29] 1783 mm 327x420 Incisione in rame Incisore: G. Zuliani In: Atlante Novissimo..., 1779-1785. La carta tenta di ricomporre le aree del Ducato di Spoleto, dell’Orvietano e del Perugino; rispetto all’Umbria attuale mancano i territori di Città di Castello e Gubbio che Zatta pone nella carta Legazione d’Urbino e governo di Città di Castello Di nuova Projezione e quelli a sud di Terni, raffigurati nella carta dal titolo Il Patrimonio di S. Pietro e la Sabina, Di nuova Projezione. L’orografia e l’idrografia risultano piuttosto dettagliate, così come l’indicazione di località maggiori e centri minori. Link: goo.gl/ZGdBZV

Legazione d’Urbino e governo di Città di Castello Di nuova Projezione 1783 mm 327x420 Incisione in rame Incisore: G. Zuliani In: Atlante Novissimo..., 1779-1785. Ben delineati i confini. L’orografia e l’idrografia risultano piuttosto dettagliate, così come l’indicazione di località maggiori e centri minori. Link: goo.gl/i4Hcgj

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 142 Attilio Zuccagni Orlandini

Carta Moderna dello Stato Pontificio [36] 1844 mm 740x598 Incisione in rame Incisori Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani, delineato sopra le migliori e più moderne mappe, per servire di corredo alla Corografia fisica, storica e statistica dell'Italia di Attilio Zuccagni-Orlandini, II, 1844. La carta si contraddistingue per l’estremo dettaglio con cui viene riportato l’assetto dello Stato Pontificio. Link: goo.gl/fbCsJ0

Carta orografica e idrografica dello Stato pontificio 1844 mm 691x541 Incisione in rame Incisori: Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani,..., II, 1844. La carta, come richiama lo stesso titolo, si caratterizza per l’accurata delineazione degli aspetti fisici del territorio. Due riquadri riportano le indicazioni delle altitudini dei centri principali e dei principali prodotti minerali. Link: goo.gl/IbZgUU

Carta dello Stato pontificio sotto il dominio dei Romani e nel Medio Evo 1844 mm 695x541 Incisione in rame Incisori: Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani,..., II, 1844. Carta storica dello Stato Pontificio che si caratterizza per la denominazione latina e medievale dei luoghi e per l’indicazione delle strade consolari e altre antiche vie di comunicazione. Link: goo.gl/MiAXJI

Delegazione di Perugia 1844 mm 530x340 Incisione inrame Incisori: Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani,..., II, 1844. La delegazione è divisa nei distretti di Perugia (capoluogo), Todi, Foligno e Città di Castello. La carta indica le città vescovili, i capoluoghi di Distretto, Governo e Comune. Particolare attenzione è rivolta alla descrizione della rete stradale. L’orografia è ben raffigurata, ben evidenziata è l’idrografia. Link: goo.gl/kS0M0T documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 143 Delegazione di Spoleto 1844 mm 400x585 Incisione in rame Incisori: Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani,..., II, 1844. Carta dalla grande scala che permette un elevato grado di dettaglio. L’orografia è ben raffigurata; ben evidenziata è l’idrografia; precisa è la rete viaria; esatta è la delimitazione dei confini politici. Link: goo.gl/0rC76T

Delegazione di Orvieto 1844 mm 380x590 Incisione in rame Incisori: Giacinto Maina e V. Stanghi In: Atlante geografico degli Stati italiani,.., II, 1844. I confini a nord e ad est della delegazione prefigurano quelli delineatesi nel 1927 con la creazione della provincia di Terni. Link: goo.gl/vKdw0f

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 144 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 149 Parte II

L’UMBRIA NEI LIBRI DEI VIAGGIATORI STRANIERI DAL XVII AL XIX SECOLO

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 150 Introduzione

L’Italia è sempre stata meta di numerosi viaggiatori, ma se fino al XV secolo il viaggio ha seguito ragioni principalmente religiose e utilitaristiche (mercantili, commerciali, diplomatiche, belliche), nel corso del Cinquecento, e ancor più a partire dalla fine del secolo successivo, prende piede una nuova nozione di viaggio, tipica dell’uomo moderno: in ragione di una curiosità fattasi più audace, del desiderio di sapere e di conoscenza, il viaggio acquisisce una specifica valenza pedagogica, trasformandosi in esperienza fondamentale della formazione ed educazione dei giovani aristocratici europei, prende così vita quel fenomeno di «mobilità sociale» noto con il nome di Grand Tour1. Il viaggio di studio era già diffuso tra gli umanisti; nel Seicento era prassi comune nell’educazione di un gentiluomo soggiornare in un’università o un collegio religioso italiano, ma ora non basta più apprendere attraverso i libri, o attraverso la sola frequentazione di scuole, biblioteche e archivi, si privilegia un approccio empirico alla realtà, basato sull’esperienza diretta dei luoghi. Non è un caso quindi che la nascita di questa idea di viaggio abbia origine proprio in Inghilterra, patria dell'empirismo, da dove poi si diffonde. La base filosofica che diede a questa forma di viaggio di istruzione una solida valenza educativa fu data dai precetti esposti da Francis Bacon nel trattato intitolato Of Travel (1615) nel quale il filosofo inglese forniva al viaggiatore utili consigli per l’organizzazione del viaggio: dal corredo materiale di cui dotarsi alla formazione linguistica e culturale necessaria per muoversi al meglio nel paese di destinazione e per trarre il massimo profitto dal viaggio, dalle persone influenti da contattare ai luoghi da visitare2. Bacon nel suo saggio aveva esordito con queste parole: «Travel, in the younger sort, is

1 Per approfondire sul Grand Tour in Italia vedi C. De Seta, L’Italia nello specchio del «Grand Tour», in Storia d’Italia. Annali, V, Il paesaggio, a cura di Id., Torino, Einaudi, 1982, pp. 127-263; C. De Seta, L’Italia del Grand Tour. Da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa, 1992; A. Brilli, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 1985; A. Brilli, Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale dal XVI al XIX secolo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 1987; A. Brilli, Un paese di romantici briganti. Gli italiani nell’immaginario del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 2003; Viaggiatori del Grand Tour in Italia, a cura di G.E. Viola, Milano, Touring Club, 1987. Si rimanda inoltre alla bibliografia contenuta nei volumi di A. Sorbini Perugia nei libri di viaggio dal Settecento all’Unità d’Italia, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1994, pp. 23-24, e La via Flaminia. Otricoli Narni Terni Spoleto Foligno nei racconti dei viaggiatori stranieri del Settecento, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1997, p. 35. 2 Cfr. F. Bacon, Saggi, 2 v., Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1961, I, pp. 360-361. La fortuna di quest’opera ha dato vita ad una abbondante manualistica che elargiva numerosi consigli sulle cose da portare, da fare, da conoscere e da osservare nel corso del viaggio. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 151 a part of education, in the elder, a part of experience», ma già prima di lui, Michel de Montaigne scriveva:

Viaggiare mi par essere un utile esercizio. Lo spirito è continuamente costretto a notare cose nuove e sconosciute. Come ho detto spesso, non conosco miglior scuola formativa nella vita che quella di proporre ad essa la diversità di tante altre vite, modi d’essere ed usi. Bisogna far ad essa gustare l’infinità varietà di forme della nostra natura umana3.

Nelle parole dello scrittore e giurista francese, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, è possibile scorgere i primi percepibili segnali di un cambiamento dell’idea di viaggio, che va oltre l’esperienza di viaggio utilitaristico e mistico-religioso che per secoli aveva rappresentato il più consueto modo per viaggiare: non più solo il viaggio d’«affari» o di studio o il viaggio quale momento importante per la vita spirituale del pellegrino medievale, ma il viaggio come tappa imprescindibile del percorso pedagogico dell’individuo, strumento di scambio intellettuale e confronto culturale. Il Grand Tour nasce così come esperienza formativa per i giovani rampolli dell’aristocrazia europea, soprattutto inglesi, di età compresa tra i sedici e i ventidue anni. Il giovane, accompagnato da un tutore, che aveva lo scopo di organizzare il percorso e fare in modo che l’esperienza fosse la più proficua possibile, visitava, in un arco di tempo compreso mediamente tra i venti e i trenta mesi, diversi paesi europei: dalle Fiandre alla Germania, dalla Svizzera alla Francia, per poi raggiungere l’Italia, per i più meta agognata del viaggio. Sul finire del XVI secolo il desiderio di curiosità intellettuale dell’aristocrazia europea, l’interesse per la cultura classica e per la moderna articolazione politica della penisola (che per Joseph Addison costituì il più eccentrico e variegato museo di forme politiche esistente al mondo), la passione per le arti, anche le più frivole, hanno fatto dell’Italia la meta principale del Grand Tour; nemmeno guerre, pestilenze, persecuzioni religiose, banditi e briganti riuscirono ad interrompere la consuetudine del viaggio nel Bel Paese. A Roma, da sempre meta privilegiata da pellegrini e stranieri provenienti da tutta Europa attratti dalla spiritualità e dalle bellezze della città eterna, ben presto si aggiungono Milano, Venezia, Bologna, Firenze e Napoli. Del resto l’Italia con la sua ricchezza di monumenti e i suoi reperti, con la bellezza della campagna toscana e il «sublime» panorama alpino, con il suo clima mite, le sue accademie e biblioteche, i suoi teatri e le sue cento città incarnava una

3 M. de Montaigne, Essais, III, IX. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 152 serie di significati e di miti culturali, naturalistici, politici, artistici, religiosi come anche mondani di estrema suggestione. Al viaggio furono infatti progressivamente attribuite non solo funzioni educative ed iniziatiche, ma anche proprietà taumaturgiche e associati desideri di evasione ed appagamento estetico ed edonistico. Ben presto ai giovani eredi delle casate aristocratiche si affiancarono facoltosi giovani della borghesia in ascesa, artisti, scrittori, scienziati, malati, intere famiglie borghesi, uomini e donne attratti dal viaggio quale fonte di conoscenza e di piacere. La prassi del viaggio pedagogico che si consolidò tra XVII e XVIII secolo, da un lato favorì lo sviluppo delle tendenze cosmopolite dell’Illuminismo che, dopo il periodo delle grandi scoperte geografiche, aprirono ulteriormente lo spirito europeo a nuove prospettive e orizzonti culturali e antropologici, promuovendo l’incontro tra intellettuali, aristocratici, diplomatici, artisti, studenti, favorendo la circolazione degli uomini, delle idee e del sapere in tutta Europa e consentendo inoltre di spostare sempre più a sud i confini estremi del viaggio, oltre la piana di Paestum fino a raggiungere la Sicilia; dall’altro contribuì al nascere di una forma letteraria che molta fortuna conobbe tra Sette e Ottocento, la cosiddetta letteratura odeporica frutto di quell’esercizio erudito che portò i viaggiatori europei ad annotare nei loro diari dati, esperienze, impressioni e suggestioni destate dai luoghi attraversati, diari che si trasformarono spesso e volentieri in pubblicazioni di successo utilizzate da altri viaggiatori come delle vere e proprie guide4. Già in epoca medievale si erano diffuse «guide» rivolte in particolare ai pellegrini che indicavano ai visitatori i luoghi di maggiore interesse per la presenza di reliquie e resti sacri. Una segnalazione in particolare meritano i Mirabilia Urbis Romae5, che rientravano nella

4 Il vasto successo di pubblico è testimoniato dalle parole dagli stessi contemporanei: Addison sul «Tatler» scrive che «non ci sono libri dai quali traggo maggior diletto di quelli che narrano di viaggi»; mentre il curatore inglese dei Travels di Moritz ritiene che «uno dei tratti caratteristici del nostro secolo è la passione della gente per i libri di viaggio». 5 Scritti probabilmente dal canonico di San Pietro, Benedetto, all’interno di un’operetta di carattere amministrativo-liturgico, il Liber Polypticus (1140-1143), i Mirabilia rientravano nella radicata pratica degli Itineraria che consigliavano il visitatore indicando elenchi di siti di particolare interesse per la presenza di reliquie e resti sacri. Secondo l’intento dell’autore, i Mirabilia, più che imporsi come vera e propria guida, si proponevano di celebrare la grandezza, i resti e le memorie dell’antica Roma caput mundi. Solo in un secondo momento l’opera divenne un punto di riferimento per i pellegrini in visita a Roma, e costituì il prototipo su cui furono realizzate le numerose guide che nei secoli a seguire avrebbero illustrato ai visitatori le meraviglie della città di Roma. Scritti all’inizio solo in latino, i Mirabilia furono riprodotti con aggiunte e modifiche da autori italiani e stranieri e tradotti in tedesco, italiano, spagnolo, francese, conoscendo notevole diffusione. Nelle prime edizioni a stampa, dal 1475 circa, alla parte topografica del testo che illustrava la descrizione delle meraviglie di Roma antica (oltre ai tradizionali luoghi di culto, anche i principali monumenti pagani) vennero affiancate le Indulgentiae ecclesiarum urbis Romae, che guidavano il pellegrino nella visita delle Sette Chiese e di altri luoghi di documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 153 pratica degli Itineraria medievali. Queste «guide» che consigliavano al pellegrino la visita delle «meraviglie» della Roma antica (non limitandosi a segnalare solo i tradizionali luoghi di culto, ma indicando anche i principali monumenti pagani), da un lato favorirono la rinascita di un interesse per l’antico e lo studio dei classici, dall’altro si rivolsero al pellegrino intendendo allo stesso modo soddisfare la sua natura di viaggiatore animato sia da spirito religioso che da desiderio di curiosità e conoscenza dei luoghi che attraversava e visitava. Lo svilupparsi di un interesse reale per la scoperta dei luoghi fu favorito anche dalla diffusione degli atlanti geografici, che a partire dal XVI secolo raccolsero carte e vedute di città e paesi riferite a diverse regioni della Terra conosciuta, destinati anch’essi ad influenzare la curiosità e gli itinerari dei futuri viaggiatori. All’inizio l’Atlante, come scrivevano Ortel e più avanti i famosi editori fiamminghi Blaeu, non era considerato altro che un insieme di immagini che avrebbe permesso di viaggiare standosene comodamente seduti a casa propria, ma a partire dal XVI secolo al viaggio dell’immaginazione si sostituì il viaggio reale6, che culminò proprio nella pratica del Grand Tour. Le opere e le guide consultate dai viaggiatori prima di partire, oltre a costituire utili strumenti di preparazione e supporto per il viaggio, incidevano sulla scelta degli itinerari. Roma, come detto, era la meta principale del viaggio in Italia e per il viaggiatore diretto verso la città santa, l’Umbria era una tappa di passaggio quasi obbligata. Chi decideva di sostare in Umbria lo faceva più per necessità che per scelta, la regione infatti non costituì fin oltre la metà del XVIII secolo una particolare attrattiva per il viaggiatore che tutt’al più si fermava per visitare il Tempio della Minerva ad Assisi, il Ponte di Augusto a Narni, il Ponte delle Torri a Spoleto, il Tempietto del Clitunno e la Cascata delle Marmore presso Terni. I testi maggiormente utilizzati come guide dai viaggiatori che nel Seicento hanno attraversato la regione furono, oltre all’Italia Illustrata del Biondo e alla Descrittione di tutta Italia dell’Alberti7, l’Itinera Italiae di Franz Schott, il Voyage of Italy di Lassels e sul

pellegrinaggio, contenenti anche descrizioni delle reliquie conservate in città e precise spiegazioni su come acquistare le indulgenze. 6 Cfr. G. Mangani, Introduzione, in A. Ortelio, Teatro del mondo, Firenze, Istituto Geografico Militare, 2008, pp. VIII-XI; R. Dubbini, Geografie dello sguardo. Visione e paesaggio in età moderna, Torino, Einaudi, 1994, pp. 10-15. 7 Cfr. F. Biondo, Roma ristaurata, et Italia illustrata di Biondo da Forlì. Tradotte in buona lingua volgare per Lucio Fauno, in Venetia, per Michele Tramezzino, 1543; L. Alberti, Descrittione di tutta Italia di F. Leandro Alberti bolognese, nella quale si contiene il sito di essa, l’origine, Et le Signorie delle Città, & delle Castella, co i nomi Antichi, & Moderni, i Costumi de’ Popoli, le conditioni de Paesi. Et più, gli huomini famosi, che l’hanno Illustrata, i Monti, i Laghi, i Fiumi, le Fontane, i Bagni, le documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 154 finire del secolo il Voyage d’Italie di Francois Maximilien Misson8. Franz Schott è autore della prima vera guida dell’Italia, pubblicata nel 1600 con lo scopo di fornire ai lettori, in particolare pellegrini che si recavano a Roma in occasione dell’Anno Santo, una pratica guida ricca di indicazioni su itinerari da seguire, bellezze naturali e storico-artistiche da visitare. Il tragitto descritto da Schott prevede che si giunga in Umbria passando per Loreto, da qui si procede in direzione di Foligno, centro di cui l’autore sottolinea il fervore cittadino e mercantile: «La città è ricca di mercantia, e specialmente nel tempo della fiera vi concorre gran gente per comperar confetture. È piccola, ma allegra. Ha anco una porta fabricata splendidamente con gran artificio; di dove i cittadini cacciarono i Longobardi, che facevano forza per entrarvi»; non prevede una sosta a Perugia e Assisi che quantomeno non dimentica di menzionare: «Se desideri veder Perugia, la qual è lontana vinti miglia, camina verso Occidente per dove a man destra vedrai nel monte Assisi Città, nella quale sta il corpo di san Francesco con la sua Chiesa Sontuosissima, e la Chiesa degli Angeli»; prosegue lungo la via Flaminia verso Spoleto di cui si sofferma a descrivere «la campagna ridente […] e piena d’ogni sorta di frutti, di vignaletti, d’horti, e di luoghi pieni d’olive, piantati di mandorle innalzati fino al cielo da Properzio, da Virgilio, e da altri Poeti»9; «per la valle di Strattura, chiusa da altissimi monti, per sassi e balze dell’Apennino» si arriva a Terni, si prosegue poi per Narni «posta in monte erto, e di difficile ascesa» e si raggiunge infine Otricoli con le sue «gran rovine», ultima tappa del percorso umbro della Flaminia10. La guida di Lassels, The

Minere, con tutte l’opre meravigliose in lei dalla Natura Prodotte, in Vinegia, Appresso Pietro de i Nicolini da Sabbio, 1551. 8 Soprattutto tra XVI e XVII secolo chi scrive è uno storico e un erudito che più che realizzare veri e propri resoconti di viaggio redige delle guide caratterizzate da descrizioni sobrie e distaccate che ricoprono una funzione più che altro informativa con la quale si forniscono al viaggiatore quelle indicazioni di carattere storico, artistico-architettonico, paesaggistico più significative di un dato luogo. Tra le guide italiane per viaggiatori pubblicate nel corso del XVII secolo si segnalano Il burattino veridico di Giuseppe Miselli (1682) e il Nuovo itinerario delle poste per tutto il mondo (1608) di Ottaviano Codogno che tratta dell’inizio del servizio postale vero e proprio, con l’espandersi della potenza della famiglia Taxis nel campo delle comunicazioni postali a partire dall’ultimo quarto del XV secolo. Codogno passa poi a trattare delle distanze, dell’itinerario delle poste, dei viaggi dei pellegrini, dei principali mercati italiani, dando suggerimenti e fornendo notizie sulle cose rimarchevoli che possono rendere piacevole e interessante il viaggio, con notizie riguardanti non soltanto il continente europeo, ma anche l’Africa e il Giappone. In questo volume l’Umbria vi appare citata in ben sei percorsi di rilievo nell’ambito dei collegamenti dell’Italia centrale (Roma-Perugia; Roma Venezia; Perugia- Firenze; Fossombrone Perugia; Roma-Loreto; Firenze-Roma). 9 F. Schott, Itinerario, overo Nova descrittione de’ viaggi principali d’Italia di Francesco Scoto, nella quale si hà piena notitia di tutte le cose più notabili, & degne d’esser vedute, et aggiontoui in quest’ultima impressione le descrittioni di Udine Palma nuoua Sacille Sicilia Malta di tutto il mondo in tre modi del Latio della Palestina, overo Terra Santa, Padova, Per Matteo Cadorino, 1659, pp. 280-281. 10 Cfr. ivi, pp. 284-286. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 155 Voyage of Italy, andò progressivamente a sostituire quella dello Schott, soprattutto tra i viaggiatori inglesi. Del suo passaggio in Umbria ha lasciato una vivida descrizione della pianura umbra di cui ne apprezzò la morfologia, l’abbondanza «di tutto quello che l’occhio e il cuore possono desiderare» e i monti «coperti di città». Particolare fortuna conobbe anche l’opera del Misson, che scrisse le sue memorie di viaggio in forma epistolare con molte citazioni, osservazioni e commenti oltre che con un’appendice ricca di utili consigli. Egli giunse in Umbria nel marzo 1688 da Loreto e arrivato a Foligno dopo aver percorso una terribile strada tra le rocce gli sembrò «una delle più belle cose del mondo», anche se la città non presentava nulla di considerevole; poco distante è Assisi piccolo centro che conserva le ossa di san Francesco la cui devozione è infarcita di «ridicole fiabe»; di Spoleto descrisse il Tempio della Concordia, la Rocca e il Ponte delle Torri oltre alla Cattedrale e alla Porta di Annibale, definendo però la città povera e poco popolata; apprezzò la strada per Terni e si recò alle cascate, consigliando al viaggiatore una deviazione alla cittadina di Cesi; visitò infine Narni, disabitata e senza finestre, e il ponte di Augusto, per dirigersi poi verso Roma11. Per quanto riguarda il Settecento tra le opere più consultate dai viaggiatori in visita in Italia si possono citare per gli inglesi quella di Addison, per i francesi quella di Misson e dalla seconda metà del secolo quella di Lalande – che ebbe vasto successo, ciò dovuto alla scrupolosa documentazione consultata e alla precisione delle sue descrizioni – e per i tedeschi il volume del Volkmann. Tra Sette e Ottocento con l’avvento del turismo di massa la tradizione del Grand Tour scompare e, complice il sensibile aumento del numero di viaggiatori, nasce la vera e propria guida turistica. Tra le varie guide pubblicate in Italia per i forestieri tra fine XVIII e inizio XIX secolo si segnalano le opere Direzione pe’ i viaggiatori in Italia colla notizia di tutte le poste, e loro prezzi (1771), Vera guida per chi viaggia in Italia con la descrizione di tutti i viaggi e le sue poste (1775) di Francesco Tiroli, entrambe con testo francese a fronte, e la celebre guida turistica Itinerario italiano che contiene la descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle Città principali d’Italia con carte geografiche (1800 ed edizioni successive), in cui l’Umbria viene descritta attenendosi alle informazioni del Lalande. I francesi usarono inoltre le guide del Perrot e di Valery, mentre gli inglesi si servirono dal 1820 delle guide dell’editore Murray; molto lette

11 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri in Umbria 1500-1940, Perugia, Volumnia, 1992, pp. 61-62. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 156 furono anche quelle scritte da John Chetwode Eustace e da Joseph Forsyth12. È significativo notare che nel Settecento, ad eccezione dell’opera di Lalande, città come Perugia e Assisi non fossero segnalate nei volumi degli altri autori citati e che queste del resto non facessero parte degli itinerari dei viaggiatori che scendevano o risalivano la penisola. In Umbria infatti le vie maggiormente percorse dai viaggiatori, ovvero la via Flaminia che il viaggiatore raggiungeva passando per Ancora e Loreto e che toccava i centri di Foligno, Spoleto, Terni, Narni, Otricoli, e l’antica via Francigena che da Firenze giungeva a Roma, escludevano proprio le città di Perugia e Assisi13. Il generale isolamento di Perugia e Assisi negli itinerari del Grand Tour è da ricercarsi anche in una sostanziale mancanza di attrattive rispetto a quelli che erano gli interessi del viaggiatore dell’età dei lumi, all’incessante e spasmodica ricerca delle vestigia dell’antichità. Non secondario è il fatto che le percezioni e le immagini che i viaggiatori si creavano su di un dato luogo si costruivano sulla base di filtri culturali e di condizionamenti di natura sociale, antropologica, politica ed ideologica. Nella tradizione della letteratura odeporica l’interesse dei viaggiatori più che per il «paese reale» era infatti per quell’immagine idealizzata, segnata da pregiudizi e stereotipi, che dell’Italia si era affermata in Europa. Questa immagine si era formata su una visione spesso tutt’altro che diretta dei luoghi visitati, ma anzi risentiva fortemente della mediazione letteraria, storica e artistica (fonti letterarie, storiche e documenti iconografici si costituivano infatti quali strumenti essenziali per la formazione di una mentalità collettiva). Le letture compiute dai viaggiatori prima di partire per i loro viaggi (fonti letterarie, diari di altri viaggiatori, guide pratiche, opere erudite) non solo accompagnavano la visita e suggerivano itinerari e luoghi da visitare, ma influenzavano notevolmente la visione e la percezione del viaggiatore di fronte a quel paesaggio, quell’opera, quel monumento, destando l’ambita ammirazione e, a volte,

12 Sulle guide usate dai viaggiatori nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento cfr. ivi, pp. 65-68, 85- 90. 13 Il libricino dal titolo Le poste necessarie a corrieri, per l’Italia, Francia, Spagna, & Alemagna, aggiuntovi anchora gli nomi de tutte le fiere, che si fanno per tutt’il mondo pubblicato a Brescia nel 1562 rappresenta il primo itinerario postale italiano e ci dà conto del percorso postale più antico che attraversava la regione che da Roma giungeva a Firenze passando per Otricoli, Narni, Terni, Stettura, Protte, Santo Rocchio, Santa Maria de li Angioli, Foligno e Perugia. Tuttavia tale percorso fu poco battuto fino alla bonifica della metà del Settecento della Val di Chiana, nota per le frequenti alluvioni e pestilenze. Sulla viabilità in Umbria vedi A. Grohmann, Aperture e inclinazioni verso l’esterno: le direttrici di transito e di commercio, in Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978, pp. 55-95. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 157 inaspettate delusioni. Questo dava spesso vita ad un tipo di letteratura piuttosto ripetitiva e poco originale, che aggiungeva poco o nulla alle descrizioni e alle narrazioni fornite dai più; non di rado il pedissequo ricalco delle fonti preesistenti faceva sì che nelle relazioni dei viaggiatori venissero riportate per filo e per segno le stesse descrizioni e citazioni, gli stessi preconcetti e luoghi comuni, e che frequentemente ricorressero anche gli stessi errori ed inesattezze. Parallelamente si affermò il genere del vedutismo di interesse topografico che, tramite disegni, dipinti, stampe e incisioni, contribuì a fissare le immagini stereotipate di paesaggi e città, con i loro monumenti e le loro reliquie14. Pertanto, sulla base di ciò che avevano letto e visto, coloro che si accingevano a partire per l’Italia sapevano già ciò che avrebbero ricercato e amato e ciò che al contrario avrebbero odiato e ignorato nel loro percorso. Ma negli oltre due secoli in cui si sviluppò tale fenomeno la stessa esperienza del viaggio mutò con il mutare del gusto, della sensibilità estetica ed intellettuale e della realtà culturale e politica della società dell’epoca. Se il grantourist che giunge in Italia nel Sei- Settecento è un viaggiatore che intende soddisfare la sua curiosità enciclopedica, spinto dall’interesse per la cultura classica, per lo studio dei sistemi legislativi, politici e amministrativi, ma anche dall’amore per l’arte nelle sue varie forme, tra XVIII e XIX secolo il gusto, la sensibilità e gli interessi di chi si mette in viaggio per raggiungere il Bel Paese cambiano. La ricerca del paesaggio sublime e pittoresco, la riscoperta del Medioevo, con la sua forte carica di fede, misticismo e spiritualità, la rivalutazione estetica dell’arte dei «primitivi» e una maggiore attenzione alla realtà sociale e all’attualità storico-politica degli stati attraversati (quale conseguenza del diffondersi delle idee liberali e di una radicale trasformazione della società che nel corso dell’Ottocento ha visto il progressivo affermarsi della borghesia, sul piano politico ed economico, e lo svilupparsi della società industriale di massa), hanno inevitabilmente avuto ripercussioni sia sulle categorie di soggetti coinvolti nei viaggi, sia sulla scelta degli itinerari, oltre che sulle stesse relazioni di viaggio che si presentano sotto una nuova veste narrativa e descrittiva. A differenze delle relazioni settecentesche, che tendevano più ad informare, fornire dati, esaltare l’oggettività delle narrazioni che ad emozionare il lettore, in epoca romantica le pagine dei diari di viaggio si

14 C. De Seta, L’Italia nello specchio del «Grand Tour», in Storia d’Italia. Annali, V, Il paesaggio, a cura di Id., Torino, Einaudi, 1982, p. 135; cfr. C. De Seta Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino, Bollati Boringhieri, 1999; M.A. Fusco, Il topos tra vedutismo e turismo nei secoli XVIII-XIX in Storia d’Italia, V, Il paesaggio, a cura di C. De Seta, Torino, Einaudi, 1982, pp. 764-785. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 158 fanno meno monotone e ripetitive, compaiono umori, stati d’animo, impressioni ed emozioni suscitate dall’osservazione di opere d’arte, monumenti e paesaggi, dei quali i viaggiatori cercano di cogliere il genius loci, lo spirito del luogo. Tutto questo ha fatto sì che tra tardo Settecento e primo Ottocento anche l’Umbria con i suoi paesaggi sublimi e pittoreschi (Cascata delle Marmore in testa, ma non meno ammirati saranno gli Appennini, il lago Trasimeno, il lago di Piediluco e le Fonti del Clitunno), con i suoi santi (primo tra tutti san Francesco) e con le sue medievali città e cittadine ricolme delle testimonianze artistiche dei «primitivi» (tra cui proprio Perugia e Assisi, prima quasi completamente ignorate, con i loro Perugino, Giotto e Cimabue), venisse a godere rispetto ai secoli precedenti di maggiore attenzione da parte dei viaggiatori stranieri, soprattutto tedeschi15. A partire dal XIX secolo lo sguardo dei viaggiatori si allarga e si svincola dai soliti itinerari, rivalutando vecchi tracciati, fino a quel momento poco battuti ma non per questo meno affascinanti, o creandone di nuovi. A poco a poco nell’itinerario dei viaggiatori che si recano in Umbria entrano così non solo le città di Perugia e Assisi, ma anche centri minori quali, ad esempio, Todi, Spello, Città della Pieve, Gubbio e Orvieto. Nella seconda metà dell’Ottocento l’interesse dei viaggiatori per l’Umbria crescerà ulteriormente, da terra di semplice transito si trasformerà in una delle mete privilegiate del viaggio in Italia. Di questa accresciuta importanza ce ne danno testimonianza alcuni volumi pubblicati dai viaggiatori tra la seconda metà del XIX e gli inizi del XX secolo. Nel 1862 Trollope dà alle stampe A lenten journey in Umbria and the Marches, nel 1896 Jacques C. Broussolle pubblica Pèlerinages Ombriens, e ancora, nel 1905 Edward Hutton presenta il volume The cities of Umbria e due anni dopo René Schneider fa stampare l’Ombrie. L’âme des cités et des paysages; per non parlare poi dei libri dedicati alla figura di san Francesco, tra i quali non si possono non citare quello di Henry Thode Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia (1885), La vita di S. Francesco d’Assisi pubblicata nel 1893 da Sabatier e quella di Johannes Jørgensen del 1907. Proprio grazie al richiamo dato dal francescanesimo dalla fine dell’Ottocento Assisi e l’Umbria attireranno un numero sempre crescente di turisti e di pellegrini alla

15 Tra questi si segnala la presenza di molti pittori e artisti che riprodussero nelle loro tele i romantici paesaggi umbri. Soprattutto i pittori di gusto nazzareno tra cui Koch, Overbeck, Pfott e Veit o i puristi come Rehbenitz e altri ancora che nella prima metà dell’Ottocento si insediarono a Roma e frequentarono spesso anche l’Umbria dedicandole vedute e ritratti. Alcuni artisti frequentarono il salotto perugino della marchesa Florenzi che riuniva artisti e letterati stranieri protetti dal re di Baviera, spesso ospite della marchesa (M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 90). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 159 ricerca dei luoghi francescani, ma non solo; l’aura di santità che promana dalla vicenda del santo assisiate pervaderà l’intera regione che ora vede emergere anche altre eccezionali figure mistico-religiose (in particolare quelle delle numerose sante e beate umbre fra le quali Chiara d’Assisi e Rita da Cascia, ma anche Chiara da Montefalco e Angela da Foligno). Prende inoltre piede il mito dell’Umbria verde che si identifica quale immagine più peculiare del paesaggio umbro. D’ora in avanti i viaggiatori andranno alla ricerca dell’Umbria terra di santi, di bellezze naturalistiche, d’arte e di artisti. Attraverso l’analisi della letteratura di viaggio attinente al territorio umbro e grazie al ricorso alla bibliografia esistente sul tema, nella seconda parte di questa ricerca si intende realizzare uno studio dei resoconti di alcuni viaggiatori venuti a contatto con la realtà umbra tra Seicento ed Ottocento, che, tenendo conto dell’influenza della mentalità, della sensibilità e della cultura degli osservatori nella percezione e nella connotazione del territorio e del paesaggio metta in evidenza i tratti più significativi che hanno contribuito alla creazione delle immagini più rappresentative della regione e alla formazione di un’identità umbra universalmente condivisa e riconosciuta. L’attenzione verrà rivolta in particolare a quei luoghi e quei paesaggi più ricercati e ammirati dai viaggiatori lungo il percorso della via Flaminia, la strada umbra più transitata dai viaggiatori diretti o di ritorno da Roma durante il Grand Tour, con riferimenti alle principali attrazioni naturalistiche (in particolare la Cascata delle Marmore) e artistico-architettoniche (tra cui il Ponte di Augusto presso Narni e il Ponte delle Torri a Spoleto) che i viaggiatori avevano modo di incontrare durante il tragitto, e alle realtà cittadine di Perugia e Assisi. Segue una sezione illustrativa che presenta al lettore una raccolta di alcune raffigurazioni pittoriche, stampe, incisioni, disegni, risalenti per la maggior parte ai secoli XVIII e XIX, in cui sono rappresentati quei paesaggi, quei panorami, quei monumenti tanto apprezzati e decantati dai viaggiatori nei loro diari di viaggio.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 160 Il paesaggio

Il sublime e il pittoresco: due aspetti dell’estetica del paesaggio16 Nel Cinque e Seicento il panorama più ammirato dai viaggiatori era quello delle terre fertili e coltivate, legato all’ideale classico che associava la bellezza alla fecondità; le regioni montuose, incolte e improduttive erano invece considerate sgradevoli e pericolose. Questo atteggiamento lo si riscontra ancora nel primo Settecento: nella natura si ricerca per lo più l’ordine e l’armonia che possono essere dati un campo ricco di messi, da colline coperte di frutti, da fertili pianure coltivate. Ma nel corso del XVIII secolo si assiste ad un cambiamento significativo: la natura come oggetto di ammirazione estetica, in grado di suscitare sentimenti e sensazioni di piacere, non è più quella delle ordinate campagne inglesi che richiamano le geometrie e la precisione del modello del giardino all’italiana o alla francese ma è quella selvaggia, desolata, aspra e tenebrosa di uno spazio aperto e incontaminato, di un deserto incolto, «un ammasso confuso di montagne accavallantesi le une sulle altre, di rocce e precipizi profondi o d’una prodigiosa distesa d’acqua […]. Ma se il bello o lo straordinario accompagnano questa grandezza, come un mare agitato, un cielo cosparso di stelle o di meteore, o un vasto paesaggio in cui si vedano dei ruscelli, dei boschi, delle rocce e dei prati, allora il piacere aumenta in proporzione alle cause che lo producono»17; più selvaggia è la scena, più è forte il suo potere di suscitare emozioni. Le parole di Addison ci aiutano a comprendere questo nuovo gusto estetico che individua nelle emozioni forti, terrificanti, tumultuose, quali quelle che possono essere suscitate da mari tempestosi, profondi burroni, alte montagne, violente eruzioni, la linfa del proprio piacere. Il rifiuto dell’ordine e delle simmetrie nella sensibilità settecentesca, soprattutto inglese, esprime un desiderio di libertà e di evasione che trova risposta nella contemplazione della natura e del paesaggio, in cui l’osservatore proietta il proprio stato d’animo, riflette le proprie paure ed incertezze. Questo processo di trasformazione del gusto dei viaggiatori ha avuto probabilmente origine nella pittura, in particolare nei dipinti del pittore napoletano Salvator Rosa – le cui

16 Sul tema dell’estetica del paesaggio si segnalano R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Palermo, Novecento, 1994; R. Dubbini, Geografie dello sguardo, cit.; R Milani, Il pittoresco. L’evoluzione del gusto tra classico e romantico, Roma-Bari, Laterza, 1996; K. Thomas, L’uomo e la natura. Dallo sfruttamento all’estetica dell’ambiente 1500-1800, Torino, Einaudi, 1994. Si rimanda inoltre alla bibliografia contenuta nel volume di A. Sorbini La via Flaminia, cit., p. 35. 17 Citazione tratta da A. Sorbini La via Flaminia, cit., p. 10. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 161 opere, dominate da cieli tempestosi, antri oscuri, rocce, cascate e mari burrascosi, godranno nel Settecento di grande fortuna in Inghilterra – e nella diffusione dei paesaggi italiani raffigurati da altri artisti del Seicento come Claude Lorrain e Nicolas Poussin. La pittura ha infatti contribuito a creare una nuova immagine dell’Italia e dei suoi paesaggi, valorizzandone i tratti sublimi e pittoreschi e amplificando ulteriormente l’interesse dei viaggiatori per il Bel Paese. È in Inghilterra che si sviluppa questa nuova sensibilità estetica, con la scoperta nel Seicento del trattato Del Sublime del I secolo d.C., attribuito a Pseudo Longino, e con la pubblicazione del saggio di Edmund Burke dal titolo A philosophical inquiry into origin of our ideas of Sublime and Beautiful in cui l’autore inglese offre una prima riflessione teorica di «sublime» definito come «l’orrendo che affascina». Anche Kant, dapprima nelle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime del 1764, in cui si sentono le influenze di Burke e altri autori inglesi, poi nella Critica del giudizio del 1790, si era soffermato sul significato del sublime. Secondo Kant il sublime deriverebbe dal conflitto tra sensibilità e ragione, generando un sentimento di sgomento e allo stesso tempo di piacere determinato sia dall’infinitamente grande (sublime matematico) sia dai grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che mettono in risalto la fragilità dell’uomo al cospetto della grandiosità terrificante della natura (sublime dinamico)18. Se la categoria estetica del viaggiatore settecentesco è quella del sublime, quella del viaggiatore romantico è quella del pittoresco. Nata anch’essa in Inghilterra all’inizio del XVIII secolo, quest’ultima trova la sua prima formulazione solo sul finire del Settecento grazie alle teorizzazioni di William Gilpin e Uvedale Price e conoscerà poi clamorosa fortuna nella produzione letteraria ed artistica europea. La magnificenza della natura e del paesaggio e il piacere da questi suscitato sono dati ora dalle irregolarità dei tratti, dalle rovine abbandonate, dal paesaggio aspro e selvaggio: specchi d’acqua increspati, alberi nodosi e coperti di muschio, sentieri tortuosi, rocce, foreste, ruderi e vestigia antiche, capretti, asini, cerbiatti, figure di zingari, mendicanti e nobili purché decaduti, sono questi gli elementi caratteristici del paesaggio pittoresco.

18 Cfr. A. Sorbini, «Orribilmente bella!». Viaggiatori stranieri al cospetto della Cascata delle Marmore, «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria», 54, fasc. II, (2007), pp. 293-295. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 162 La via Flaminia Durante i secoli in cui si è sviluppato il fenomeno del Grand Tour una delle strade più percorse dai viaggiatori di tutta Europa che arrivavano e provenivano da Roma, la meta più ambita del viaggio in Italia, fu la via Flaminia, voluta nel 220 a.C. dal console Caio Flaminio per collegare l’Urbe all’Ager Gallicus.

Viaggio da Roma ad Ancona tratto da «Guida per il viaggio dell’Italia in posta» (1776)

Proprio lungo il tragitto della via Flaminia i viaggiatori hanno modo di godere di un paesaggio vario e articolato, fatto sia di valli fertili, dolci colline coltivate e piacevoli specchi d’acqua come anche di montagne aspre e selvagge, oscure foreste e vertiginose cascate, elementi i primi particolarmente apprezzati tra Cinque e Seicento, i secondi dalla seconda metà del XVIII secolo in poi. Fino al Seicento infatti un dato territorio veniva osservato e valutato essenzialmente in base ai suoi aspetti storico-ambientali, quindi per la fertilità del suolo, le colture, l’intervento degli uomini sulla terra, successivamente, in concomitanza con lo svilupparsi dell’esperienza del viaggio di conoscenza e formazione e in virtù di una rinnovata attenzione nei confronti della natura, il paesaggio assume nuove connotazioni, si carica di nuovi significati, simbolici ed affettivi, diventando, al pari delle arti, fonte di godimento estetico. Questa evoluzione del concetto di paesaggio va di pari passo con l’instaurarsi di un nuovo rapporto uomo-natura che si concretizza tra XVIII e XIX secolo nelle categorie estetiche del sublime e del pittoresco, categorie che il viaggiatore, soprattutto romantico, sarà pienamente in grado di cogliere ed apprezzare, come dimostrano le numerose relazioni di viaggio che, nella forma e nei contenuti, rivelano il nuovo modo di percepirlo rappresentarlo e descriverlo. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 163 Per tutto il XVI e XVII secolo aveva prevalso in chi viaggiava un atteggiamento distaccato e pragmatico che nei diari redatti dai grandtourists di tutta Europa si traduceva in descrizioni piuttosto asettiche, infarcite di notazioni storiche ed antiquarie, prive di impressioni personali e di emotività, che il più delle volte non facevano altro che riportare quanto già illustrato dalle guide in uso all’epoca, tra cui, ad esempio, quelle del Biondo, dell’Alberti e dello Schott19. Con l’avvento dell’Illuminismo la tendenza all’oggettività e al pragmatismo permane. Il carattere didattico-informativo delle relazioni settecentesche presupponeva infatti una narrazione corredata da dati oggettivi e incentrata principalmente sul viaggio in quanto tale. La redazione di queste relazioni per il viaggiatore dell’età dei lumi costituiva un utile e indispensabile esercizio letterario che richiedeva la necessità di documentarsi, ricorrendo non solo a quanto già scritto da altri viaggiatori, ma anche a testi di storia, arte, archeologia riguardanti i luoghi da visitare; il viaggio era per cui un modo per soddisfare la propria curiosità e voglia di conoscenza volta ad osservare e verificare quanto appreso dalla consultazione di libri e dai resoconti di altri viaggiatori oltre che dalla frequentazione di biblioteche ed archivi. Il viaggiatore settecentesco si sottraeva così a qualunque coinvolgimento emotivo, operando nei confronti del paesaggio una sorta di distacco estetico che gli consentiva di far prevalere la ragione anche al cospetto delle più grandi manifestazioni della natura che venivano osservate e studiate con l’occhio scrupoloso del naturalista, del filosofo, dello scienziato. Ma nella seconda parte del secolo i resoconti si arricchiscono di particolari, informazioni e impressioni soggettive, entra in scena l’io narrante, che prenderà progressivamente il sopravvento, consentendo di sviluppare una nuova sensibilità narrativa e descrittiva, inaugurata dall’opera di Sterne Sentimental Journey (1768), e che troverà più piena affermazione con il Romanticismo. Se fino alla fine del Seicento il viaggiatore, oltre a rivolgere la propria attenzione alle vestigia del passato e alla memoria del classici, è più incline ad annotare i tratti armoniosi e la bellezza oggettiva dei luoghi visitati, soffermandosi ad osservare la natura quale scenario in cui si esplica l’azione dell’uomo, il cambiamento avvenuto nella sensibilità della società soprattutto centro e nord europea tra XVIII e XIX secolo fa sì che il viaggiatore riesca a cogliere nel paesaggio elementi di suggestione che spaziano progressivamente dalla

19 Fynes Moryson ad esempio nel suo Itinerary descrivendo la parte del viaggio relativa all’Umbria si rifà esplicitamente alle pagine dell’opera dell’Alberti, Descrittione di tutta Italia, dedicate al Ducato di Spoleto. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 164 descrizione di terre fertili e di ricche coltivazioni, all’ammirazione di oscure foreste, ripide montagne, profondi dirupi e fragorose cascate fino al richiamo suscitato dal fascino dell’antico con le sue rovine che non testimoniano più la grandiosità dell’opera umana che sfida il tempo e la natura, ma al contrario ispirano una sensazione di disfacimento delle cose prodotte dall’uomo, dando allo spettatore l’impressione del tempo che passa e di una natura sopraffattrice. Dalla fertile vallata di Terni e dalle prospere pianure fra Spoleto e Foligno alla «tremenda sublimità» della Cascata delle Marmore, dalla natura selvaggia e pericolosa che avvolge il tratto montano del passo della Somma ai numerosi ruderi disseminati lungo il tragitto fino ai pittoreschi borghi e paesi sospesi sui costoni di ripide montagne e alte colline, la varietà paesaggistica che i viaggiatori incontrano passando per la via Flaminia sarà in grado di soddisfare i gusti e le aspettative di molti.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 165 Fertili vallate e prospere pianure Giungendo in Umbria non c’è quasi viaggiatore che non spenda almeno qualche parola per descrivere le valli che circondano le città di Terni, Spoleto e Foligno: belle, fertili, gradevoli, ricche di ogni bene, sono queste le definizioni che ricorrono più frequentemente nelle pagine ad esse dedicate; nulla a che vedere con il sublime e il pittoresco che i viaggiatori incontrano lungo la strada di Colfiorito o alla Cascata delle Marmore. L’abate Richard, giunto in Umbria nel 1762, aveva così descritto la valle tra Terni e Narni: «le terre sono ben coltivate, e divise da gelsi, pioppi, alberi da frutto di ogni genere, i poggi sono coperti da vigne e olivi; si vedono, dalla parte del vallone che le montagne riparano dai venti del nord, delle belle piantagioni di aranci e limoni; infine questo vallone delizioso, così come l’ho visto io in primavera, assomiglia alla reale descrizione che Milton fa del paradiso terrestre, e offre in ogni dove gli spunti più gradevoli per la pittura»20. Ma da Montaigne a Moryson, da Nicolas Bernard a Le Sieur de Rogissart, da Jean Baptiste Labat a John Moore, in molti non mancano di sottolineare la bellezza e la fertilità della conca ternana, il verde lussureggiante della pianura, le montagne ricche di olivi21, le coltivazioni di aranci e limoni, fino alle rape smisurate22. L’immagine che della conca ternana ci offrono gli italiani non differisce molto da quella degli stranieri, anzi in alcuni casi sono proprio i viaggiatori stranieri a prendere spunto per le loro descrizioni da alcune delle più famose guide italiane dell’epoca. Numerosi sono anche i viaggiatori che si soffermano nella descrizione della pianura spoletina e folignate. Sul finire del Seicento Rogissart, nella sua guida Les délices de Italie, a proposito dei dintorni di Foligno riferisce che «sono molto piacevoli; da ogni lato ci sono terre fertili, e cariche di belle messi, colline gradevoli, coperte di vigne, olivi, mandorli, e altri alberi, non meno utili per la vita, che gradevoli alla vista»23; Bernard de Montfaucon,

20 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 122; cfr. J. Richard, Description historique et critique de l’Italie ou Nouveau mémoires sur l’Etat acque de son Governement, des Sciences, des Artes, du Commerce , de la Population et de l’Histoire Naturelle, 6 v., Dijon, 1766, VI, pp. 421-422. 21 Molti sono i viaggiatori che fanno cenno alla coltivazione degli olivi nella zona della conca ternana, tra cui Goethe che giuntovi alla fine dell’ottobre 1786 registra: «Comincia ora la raccolta delle olive. Viene fatta a mano; altrove si abbacchiano con le pertiche. Se l’inverno arriva precoce, quelle non raccolte rimangono sugli alberi fino a primavera. Oggi su un terreno sassoso, ho visto degli ulivi enormi e vecchissimi». 22 Il riferimento alle rape smisurate è probabilmente ripreso dalla Descrittione di tutta Italia dell’Alberti, che si conferma essere una delle opere più consultate dai viaggiatori che si apprestavano a compiere il viaggio in Italia. 23 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 55; cfr. Rogissart, Les délices de l’Italie, ou Description exacte de ce Pays, des ses principale Villes, et de toutes les raretez, qu’il contient, 3 v., Amsterdam, 1706, I, p. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 166 monaco benedettino ed erudito vissuto tra XVII e XVIII secolo, nel suo Diarium Italicum, frutto del viaggio tenuto in Italia negli anni 1698-1701, sempre a proposito di Foligno nota come la città sia posta «in una bellissima pianura fertile, piena di gelsi, ordinati simmetricamente»; e ancora nel primo quindicennio del secolo Caylus descrive così la piana fra Spoleto e Foligno: «La pianura fertile e gradevole, che mi ha dato l’idea della valle di Tempe, è l’ornamento di questa regione, e nello stesso tempo la soddisfazione degli occhi. Vi si trovano campi, seminati, vigne e boschi. Non si può immaginare nulla di più gradevole perché numerosi ruscelli bagnano questa pianura dove gli alberi, tenuti ad una determinata altezza, permettono ancora la visione del panorama»24. Per il pastore protestante inglese Thomas Henry White la piana di Spoleto «ha tutto il pittoresco e il sublime senza malinconia […] ogni nuova svolta apre un altro prezioso scrigno di paesaggio»25. Persino Goethe nel suo frettoloso passaggio in Umbria annota: «il tratto di strada fino a Foligno è stato per me una delle più amene e delle più deliziose passeggiate che abbia mai fatto. Per quattro ore buone di cammino si procede alle falde di un monte, mentre a destra si stende un’ubertosa vallata»26.

La Cascata delle Marmore Il sublime, così come il pittoresco, trovano in Umbria uno dei luoghi di espressione più emblematici. Oltre allo scenario «sublime e terribile» offerto dagli Appennini, uno dei paesaggi che più di ogni altro colpisce in tal senso la sensibilità del viaggiatore è senza dubbio la Cascata delle Marmore, in grado di suscitare un fascino che sconvolge e coinvolge i sensi; interdetto e sgomento al cospetto della sublime maestosità della Cascata, l’animo di chi osserva è travolto allo stesso tempo da sentimenti di meraviglia e sconcerto, stupore e spavento. La fortunata espressione «orrida bellezza», che assurgerà a canone principe della suggestione pittoresca, si deve all’acuta riflessione del pittore Salvator Rosa che nel 1662 scrive: «Vidi a Terni […] la famosa cascata del Velino, fiume di Rieti, cosa da far spiritare ogni incontentabile cervello per la sua orrida bellezza»27; questa identificazione conoscerà

261. 24 Tra i viaggiatori era molto in uso ricorrere al paragone con la valle di Tempe per indicare un luogo che corrispondeva all’antica bellezza rurale greca. Si tratta di una valle situata in Tessaglia celebrata da molti scrittori antichi per la sua suggestiva bellezza. 25 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri in Umbria 1500-1940, Perugia, Volumnia, 1992, p. 119. 26 J.W. Goethe, Viaggio in Italia. 1786-1788, trad. di E. Zaniboni, Firenze, Sansoni, 1980, pp. 119-120; cfr. Italiänische Reise, Stuttgard-Tübingen, 1816-1817. 27 Cfr. A. Brilli, Un paese di romantici briganti. Gli italiani nell’immaginario del Grand Tour, Bologna, il documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 167 piena rivalutazione nella forza espressiva delle parole del poeta inglese Byron grazie alle quali la Cascata, definita «impareggiabile» e «orribilmente bella»28, si consacrerà come topos del «sublime naturale» oltre che del viaggio in Italia. Ma il mito della bellezza della Cascata si diffonde tra i viaggiatori già nel corso del Seicento, per poi affermarsi definitivamente nel secolo successivo, rappresentando un po’ per tutti «uno degli spettacoli più belli che la natura possa offrire». Lo scrittore e parlamentare francese Misson, uno dei primi viaggiatori che tratta in maniera più esaustiva della Cascata, nel 1688 così la descrive:

Il fiume Velino ha origine sulle montagne, a dodici o tredici miglia dal punto in cui va a precipitare: passa dal lago di Luco [Piediluco], a nove miglia dalla sua sorgente e ne fuoriesce grande più del doppio di quando vi è entrato. Allorché arriva alla cascata, la valle che si appresta a lasciare sembra quasi una montagna in confronto alla profondità che l’aspetta. Lì dunque questo fiume, che manteneva già un’andatura accelerata, si getta tutto d’un tratto da una ripida roccia, alta trecento piedi, e cade nel vuoto su un’altra roccia contro la quale le acque battono con una violenza tale, da risollevarsi ad un’altezza doppia rispetto a quella della Cascata, sotto forma di una nuvola che crea una pioggia perenne. Quest’acqua polverizzata va a formare, insieme al sole, un’infinità di arcobaleni che si moltiplicano, spariscono, si incrociano e volteggiano a seconda del modo in cui si combinano, degli spruzzi dei flutti e dello spessore di questa nuvola d’acqua. La vista di questo spettacolo provoca uno stupore che non so descrivervi. Data la pendenza del letto, il fiume sembra affrettare il suo corso prima di precipitarsi; i flutti gareggiano per stabilire chi si getterà per primo. Quando sono in aria, si scontrano, rumoreggiano, spumeggiano, si urtano e si respingono, si abbracciano gli uni agli altri e ricadono infine in un abisso da loro stessi scavato; ne fuoriescono furiosi, qualcuno dall’apertura di una roccia, altri da un’altra. Rumoreggiando e mormorando ancora un

Mulino, 2003, p. 41. 28 Byron fu colpito da tre suggestivi specchi d’acqua della regione: la Cascata delle Marmore, le Fonti del Clitunno e il lago Trasimeno ad ognuno dei quali dedica delle strofe del poema narrativo Childe Harold’s Pilgrimage ispirato ai viaggi compiuti dal poeta durante il suo Grand Tour tra il 1812 e il 1817. Queste sono le parole con cui Byron descrive la Cascata nel Pellegrinaggio del giovane Aroldo: «Rimbombo di acque! Dalla scoscesa altura il Velino fende il baratro consunto dai flutti. Caduta di acque! Veloce come la luce, la lampeggiante massa spumeggia, scuotendo l’abisso. Inferno di acque! là dove queste urlano e sibilano e ribollono nell’eterna tortura; mentre il sudore della loro immane agonia, spremuto da questo loro Flegetonte, abbraccia le nere rocce che circondano l’abisso, disposte con dispietato orrore, e sale in spuma verso il cielo, per ricaderne in un incessante scroscio, che, con la sua inesausta nube di mite pioggia, reca un eterno aprile al terreno attorno, rendendolo tutto uno smeraldo: - quanto profondo è l’abisso! E come di roccia in roccia il gigantesco Elemento balza con delirante salto, abbattendo le rupi che, consunte e squarciate dai suoi feroci passi, concedono in abissi uno spaventoso sfogo alla poderosa colonna d’acqua che continua a fluire e sembra piuttosto la sorgente di un giovane mare, divelto dal grembo di montagne dalle doglie di un nuovo mondo, che non soltanto la fonte di fiumi che scorrono fluenti in numerosi meandri attraverso la valle! Volgiti indietro! Vedi, dove esso si avanza simile ad una Eternità, quasi che dovesse spazzar via tutto ciò che trova sul suo cammino, affascinando l’occhio col Terrore - impareggiabile cateratta, orribilmente bella! ma sul margine, da una parte all’altra, sotto lo scintillante mattino, posa un’iride tra gli infernali gorghi, simile alla Speranza presso un letto di morte, e, inconsunta nelle sue fisse tinte, mentre tutto là attorno è dilaniato dalle acque infuriate, innalza serenamente i suoi fulgidi colori con tutti i loro raggi intatti, e sembra, tra l’orrore della scena, l’Amore che sorveglia la Follia con immutabile aspetto». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 168 po’, vanno infine ad unirsi alle acque del piccolo fiume Nera, ingrandendole almeno di tre quarti. È così che va a finire il povero Velino29.

A differenza delle narrazioni fornite da altri viaggiatori nel corso del Settecento, il testo di Misson, che costituirà per diversi anni il vademecum di molti grandtourists, manca ancora di quel coinvolgimento emotivo che renderà il paesaggio, al pari dell’arte, oggetto di contemplazione e godimento estetico30. Questo passaggio si realizza durante il XVIII secolo allorché la natura inizia ad essere percepita secondo la categoria estetica del sublime, facendo sì che lo sguardo del viaggiatore si soffermi sugli elementi del paesaggio dal forte impatto visivo ed emozionale, in grado di scaturire sensazioni che nell’osservatore destano uno stupore sconcertante, un piacere terrificante, un «dilettoso orrore» che mette in risalto la caducità umana di fronte alla maestosità e alla potenza della natura. Questo portò molti a mettersi in viaggio per raggiungere l’orlo del precipizio, gli scogli del mare in tempesta, le bocche dei vulcani e ovviamente il bordo di vertiginose cascate. La verticalità, lo scorrere travolgente delle acque, il frastuono delle stesse che precipitano richiamano tutti gli aspetti tipici del sublime e in quanto tali risultano essere fonte di piacere31. Come molti suoi contemporanei, l’abate Jérôme Richard, ad esempio, non può non subire il «piacevole orrore» della Cascata delle Marmore, il salto d’acqua più famoso d’Europa: «voglio parlare della famosa cascata che è a tre o quattro miglia da Terni, la più bella che ci sia in Europa. È una di quelle singolarità meravigliose della natura che stupisce per la magnificenza del suo spettacolo, e che non si può trattenere dall’ammirare», e aggiunge:

bisogna convenire che questo spettacolo è molto al di sopra di tutte le meraviglie dell’arte; è unico, e nessuna potenza umana potrà imitarlo; è così eccezionale, così vario che la stessa pittura non potrebbe che darne un’idea. Tutte queste cose riunite formano un quadro brillante e maestoso al quale il rumore dell’acqua, la forte pendenza delle rocce, l’attenzione che bisogna avere passando da una parte all’altra per non precipitare, e il silenzio che si è obbligati a tenere, perché non ci si può intendere tanto il rumore è

29 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque. La cascata delle Marmore e la valle di Terni nell’immaginario occidentale, Milano, Motta, 2007, p. 20; cfr. M. Misson, Nouveau voyage d’Italie fait en 1688, 4. ed., 3 v., La Haye, 1702, I, pp. 335-336; trad. it. Viaggio in Italia, trad. e cura di G.E. Viola, Palermo, L’epos, 2007. 30 Cfr. A. Sorbini, «Orribilmente bella!», cit., pp. 285-288. 31 Ivi, p. 295. Anche il viaggiatore francese Jean-Baptiste-Marie Guidi ce ne dà una chiara idea quando scrive: «il rumore del torrente, il furore con il quale l’acqua si rialza nella sua caduta, il fruscio che fa attraverso le rocce per andarsi a gettare nel Nera, causano un certo orrore, mescolato al piacere che assale e riempie di ammirazione» (A. Sorbini, La via Flaminia., cit., p. 180; cfr. J.-B.-M. Guidi, Lettres contenant le journal d’un voyage fati à Rome en 1773, 2 v., Genève, 1783, I, p. 187); l’irlandese Anna Browbell Jameson viene invece completamente sopraffatta dal «tuffo pazzesco della acque» e dal «fragore assordante» che incutono in lei «uno sgomento vicino al terrore». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 169 forte; suscitano qualche cosa di terribile32.

L’inadeguatezza della pittura, così come della scrittura, nel rendere questa incredibile manifestazione della natura, viene espressa da diversi viaggiatori e costituisce un espediente retorico che non fa altro che sottolineare lo stupefacente insieme di fenomeni naturalistici e bellezze paesaggistiche che questo luogo è in grado di offrire alla sensibilità e all’estro del pittore, del poeta, dello scrittore33. Nel 1783 anche il canonico tedesco Friedrich Johann Lorenz Meyer aveva commentato: «invano la pittura ha tentato di rendere queste grandi scene della natura, di cui il movimento e la vita sono l’essenza. Ho visto numerosi quadri dove abili mani hanno tentato di fissarle tutta la loro arte non ha prodotto che imitazioni fredde e inanimate», per poi aggiungere: «La lingua non ha parole per esprimere il sentimento profondo e esaltato che produce»; nonostante quest’ultima annotazione, egli non si esime dal fornire una appassionata descrizione della Cascata che richiama l’estetica del sublime:

Da qualsiasi punto si guardi la cascata del Velino, di lato, dall’alto o dal basso, essa offre lo stesso carattere di sublimità; si vede in ogni dove l’immagine di una forza che soggioga tutto; da ogni parte essa è ugualmente grande e maestosa. Scendendo circa trecento passi sul fianco della cascata per andarsi a collocare su di un pianoro sporgente della montagna, si vede l’onda spumeggiante staccarsi dalla roccia con il fragore del tuono e disegnare nella caduta una immensa arcata. Sulla umida polvere, che come nebbia avvolge in lontananza questa enorme colonna d’acqua, i raggi del sole dispiegano tutte le sfumature dell’arcobaleno. Il fragore è reso più solenne dal fresco verde del fogliame che copre la montagna e dalla schiuma argentata del torrente. Nella caduta il fiume si riversa in un vasto bacino di pietra, da dove le acque rigurgitano gorgogliando. La sua massa, divisa da grossi massi di roccia, dà vita a mille altre piccole cascate. Riunite, cadono nella Nera che, dopo un corso fino a quel punto

32 A. Sorbini, La via Flaminia., cit., pp. 122-123; cfr. J. Richard, Description historique et critique de l’Italie, cit., pp. 421, 423. 33 Il geografo Philippe Petit-Radel scrive: «i pittori hanno fatto a gara per dipingere questo bel fenomeno della natura, ma nessuno di loro è ancora riuscito a rendere col pennello la vita, il movimento ed il fragore che animano la scena» (cfr. P. Petit-Radel, Voyage historique, choréographique et philosophique dans les principales villes de l’Italie en 1811 et 1812, 3 v., Paris, 1815, I, pp. 336-337) e Percey Shelley ritiene che «le parole (e tanto meno la pittura) non potrebbero renderne la bellezza»; per von Kotzebue «è impossibile descrivere o dipingere questa cascata d’acqua». Ma chi meglio di altri esprime il senso di inadeguatezza della pittura nel rappresentare la Cascata è William Rae Wilson: «lo scenario è il più pittoresco, nel suo genere, che mente possa concepire ma è inadatto ad essere rappresentato in un dipinto, come si può ben immaginare: perché? Perché lo spettacolo sconcerta il pittore e si pone come sfida alla sua arte. L’incessante rombo e il movimento, il vortice dell’acqua e della spuma non possono essere rappresentati da alcun materiale della tavolozza; né l’impressione di magnitudine può essere resa da una semplice scala. Il pittore può inserire una serie di piccoli numeri nel suo dipinto che potrebbero aiutarci ad indovinare le misure; ma questo tipo di misurazione non riesce mai a dare l’effetto della vastità reale, e senza la sua piena comprensione, una cateratta su tela non rende un effetto maggiore di quello che fa una grondaia che trabocchi dal tetto di una casa» (A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 105). Numerosi sono gli artisti che hanno trovato nella Cascata delle Marmore una fonte di ispirazione, tra questi si possono citare il francese Hubert Robert, l’inglese John «Warwick» Smith, il paesaggista tedesco Jacob Philipp Hackert e il famoso pittore francese Camille Corot (cfr. A. Sorbini, «Orribilmente bella!», cit., pp. 312-316). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 170 tranquillo, diventa n torrente furioso che si precipita verso Terni con una impetuosità terribile. Il rumore del tuono, i cui più violenti scoppi non producono nell’aria che una scossa passeggera, non possono servire da paragone con questo muggito ininterrotto della cascata, con questo fracasso spaventoso che raddoppia gli echi delle montagne vicine. Infine, questo magnifico spettacolo della cateratta in mezzo ai monti che la circondano e l’aspetto delizioso dei boschetti di fichi, di olivi e di limoni che abbelliscono la valle dove la rumorosa Nera prosegue la sua corsa impetuosa, formano un insieme meraviglioso, il cui effetto, unico nella specie, non può essere riprodotto. 34

Allo stesso gesto retorico ricorre circa quarant’anni dopo il poeta, scrittore e politico francese Alphonse de Lamartine nelle cui parole, cariche di suggestione e di significati, anche simbolici, riecheggia ancora viva la stessa poetica del sublime che si manifesta appieno di fronte allo stupefacente spettacolo della Cascata:

non cercheremo di descriverlo. Non c’è lingua umana che possa tradurre le sensazioni prodotte da quei giochi dell’onnipotenza divina. La massa d’un fiume cui manchi di colpo il suo letto; la profondità incommensurabile dell’abisso che l’inghiotte, la polverizzazione in schiuma soltanto con la resistenza dell’aria ch’esso schiaccia cadendo; lo specchio trasformato a vista in vapori che si disperdono al vento del loro stesso volatilizzarsi, e che fuggono ai quattro angoli del cielo come uno stormo d’uccelli giganteschi, o che si aggrappano ai fianchi perpendicolari della montagna, come Titani precipitati che cerchino di reggersi ai cornicioni del firmamento; le trasparenze versi o azzurrine delle lingue d’acqua che nel momento in cui esse incontrano improvvisamente il vuoto, sembrano cristallizzare; la luce del sole nascente che le trafigge, e che ci si fonde in mille schizzi con tutti i bagliori del prisma; l’urto in basso, il rumore in alto, l’eterno temporale, l’angoscia sublime che stringe il cuore, e che non trova nemmeno un grido per rispondere a questa folgorazione dello spirito. Questa scena non ha parole, ma svenimenti, vertigini, turbini, brividi e pallori per il linguaggio; l’uomo precipitato con il fiume è polverizzato prima di lui, cadendo con l’immaginazione, in questo inferno d’acqua!35

Moltissimi sono i viaggiatori che tra XVIII e XIX secolo si sono cimentati nella descrizione della sublime cateratta. Se non tutti ne ricordano la sua natura artificiale36, quasi nessuno dimentica di fornire una descrizione del corso del Velino, che, scrive Labat:

34 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 62-63; cfr. F.J.L. Meyer, Darstellung aus Italien, Berlin, 1792. 35 G. Parisse (a cura di), Viaggiatori francesi in Umbria. Ottocento-Novecento, Chieti, Metis, 1990, pp. 172-173. 36 Nel 271 a.C. il console romano Manio Curio Dentato ordinò la costruzione di un canale di oltre due chilometri (il Cavo Curiano) per far defluire le acque stagnanti della pianura reatina, nocive per la salubrità dei luoghi, in direzione della rupe delle Marmore facendo così precipitare le acque del Velino direttamente nel fiume Nera, affluente del Tevere. Più volte nel corso dei secoli vennero operati interventi volti a risolvere problemi di impaludimento della pianura e allagamento delle campagne circostanti, che vennero per la maggior parte risolti solo nel 1787 quando, per ordine di papa Pio VI, l’architetto Andrea Vici operò sui due balzi della cascata dandole l’aspetto attuale. Tra i viaggiatori che fanno cenno alla sua storia, particolarmente dettagliata è la ricostruzione fornita da Josiah Conder che dà conto delle varie soluzioni adottate dal tempo dei romani in poi per risolvere i problemi causati dalla Cascata. In proposito cfr. A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 93. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 171 ha la sorgente nel Regno di Napoli, nell’Appennino, a circa quarantacinque miglia dal luogo dove si getta nel Nera, quattro miglia sopra Terni […] Questo fiume, dopo essere passato a Civita Ducale ultima Piazza del Regno di Napoli, verso Occidente, bagna le mura di Rieti, Città Episcopale degli Stati della Chiesa nel Ducato di Spoleto, che fa parte dell’Umbria, e riceve due miglia più in basso il Turano, fiume mediocre che sorge piuttosto vicino al lago Celano […]; ha un corso di circa ventotto miglia, un altro piccolo fiume vi si aggiunge poco più in basso e, così aumentato, passa nella parte Meridionale del piccolo lago di Rieti, poi in quello di Piè di Luco e infine in quello delle Marmore37.

All’approssimarsi della poderosa caduta delle Marmore le acque del fiume si fanno sempre più irruente ed impetuose: «Il fiume Velino», annota Thomas Roscoe, «[…] nasce come ruscello nelle montagne dell’Appennino. Scorre placido attraversando la pianura di Rieti e, raccogliendo le acque di vari fiumiciattoli, giunge fino al Lago di Lugo [Piediluco] da dove emerge con una potenza irruente trasformandosi in un fiume inarrestabile, capace di travolgere tutto ciò che ostacola il suo tragitto»38. A questo punto il viaggiatore non può che constatare la sua altezza e il vertiginoso salto nel vuoto compiuto dalle acque del Velino che, gettandosi in quelle del Nera, danno vita all’incommensurabile spettacolo della Cascata: il fiume una volta arrivato «al bordo della montagna di Marmore […] trova una scarpata. Da qui fa un salto perpendicolare di trecento piedi d’altezza e cade in un abisso che con il loro peso le stesse acque hanno scavato nella roccia che è sotto la cascata»39. L’effetto generato dalla possente caduta d’acqua sgomenta la vista, stordisce l’udito e produce suggestivi fenomeni ottici e naturalistici che vanno dai riflessi iridescenti dei suoi spruzzi, che danno vita a meravigliosi arcobaleni, alle candide nuvole di vapore che avvolgono la Cascata, fino alle singolari incrostazioni calcaree e pietrificazioni che ricoprono le superfici delle rocce e delle piante circostanti:

L’acqua precipita con tale violenza che non si sente più niente e occhi e orecchie sono presi da un terribile e allo stesso tempo piacevole stupore. L’altezza fa sì che l’acqua venga trasformata dalla resistenza dell’aria in minuscole particelle e diventi pioggia e schiuma, la quale, mentre sbatte con grandissima violenza contro le rocce sottostanti, risale come il fumo bianco di una grande nuvola. Con il tempo sereno i raggi vi si

37 A. Sorbini, La via Flaminia., cit., pp. 75-76; cfr. J.B. Labat, Voyages du P. Labat de l’ordre des FF. pré- cheurs en Espagne et en Italie, Paris, 8 v., 1730, VII, pp.147-148; trad. it. I viaggi del Padre Labat dalle Antille a Civitavecchia 1693-1716. Alla riscoperta di un Domenicano francese innamorato degli italia- ni, introduzione e traduzione di F. Correnti e G. Insolera, Roma, Officina, 1995. 38 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 95; cfr. T. Roscoe, The tourist in Switzerland and Italy, London, 1830. 39 Per quanto riguarda l’altezza essa viene stimata dalla maggior parte dei viaggiatori essere intorno ai 300 piedi. «Non credo che l’altezza della cascata sia mai stata misurata con esattezza», ci dice Meyer, «Le difficoltà logistiche sembrano opporvisi. In mancanza di una misurazione certa, l’occhio valuta questa altezza in circa trecento piedi». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 172 rifrangono creando un magnifico arcobaleno. L’aria si colma di una finissima polvere umida che si innalza ancora più in alto della montagna e bagna gli spettatori avvolgendoli in una nuvola di pioggia fine, qualora il vento soffi nella loro direzione. Tutt’intorno una bianca polvere estremamente fine ricopre le piante e le foglie degli alberi. Probabilmente è causata dalle particelle della roccia marmorea erosa dalla cascata. Queste vengono sospinte verso l’alto e ricadono sulle piante con la pioggia fine. Quest’ultima si asciuga, ma le particelle vi rimangono attaccate40.

Se il rumore che aumenta man mano che si sale è la prima cosa che i visitatori notano avvicinandosi alla Cascata41, ciò che colpisce di più la fantasia dei viaggiatori è senza dubbio lo splendente arcobaleno, creato dalla luce dorata del sole che trafiggendo le volatili particelle d’acqua prodotte dall’imponente caduta le fa brillare sapientemente dei sette colori dell’iride. «[La cascata] quando è toccata dal sole, è ancora più bella», ci dice Lalande, «tutti i colori dell’arcobaleno si vedono nelle gocce d’acqua disperse dall’urto e della resistenza dell’aria»42, e Richard: «quest’acqua polverizzata, riflettendo i raggi del sole, forma una moltitudine di arcobaleni che si incrociano, cambiano di posto, si alzano o si abbassano in proporzione al movimento della nebbia»; il geografo Philippe Petit-Radel commenta estasiato: «I raggi del sole formano la più brillante iride terrestre che abbia mai visto», mentre nel 1806 lo scrittore tedesco August von Kotzebue che lo aveva definito «il terzo spettacolo d’Italia» dopo «il Vesuvio che vomita fiamme» e «Pompei resuscitata» ci fornisce dell’arcobaleno un’immagine idilliaca, magica, quasi irreale:

Uno spettacolo unico e affascinante trattiene i curiosi in questo posto: si vede l’arcobaleno; ma no, non è un arcobaleno, è un cerchio intero. Sì, si vede veramente un cerchio intero brillare dei colori dell’arcobaleno sopra la cascata. Mancherà tutt’al più il segmento di un dodicesimo alla base: è un incanto. Si è talmente abituati a vedere un

40 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp.49-50; cfr. J.J. Volkmann, Historisch-kritische Nachrichten von Italien, welche eiune Beschreinbung dieses Landes, der Sitten, Regierungsform, Handlung, des Zustandes der Wissenschaften und insonderheit der Werke der Kunst enthalten, 3 v., Leipzig, Verlegts Caspar Fritsch, 1770-1771, III. Il fenomeno delle incrostazioni era già stato osservato dal medico inglese Edward Wright che sulle foglie degli alberi aveva notato una polvere bianca di cui però non era stato in grado di spiegare l’origine; mentre l’abate Richard aveva osservato che le radici di alcune piante bagnate dal fiume erano pietrificate e ne addusse correttamente la responsabilità alle acque del Velino, in effetti ricche di bicarbonato di calcio. 41 Jean-Pierre Labat riferisce: «Non è necessario avvertire i curiosi che sono arrivati. Il frastuono orribile che produce il fiume li avverte sufficienza»; Charles-Nicolas Cochin annota: «Il rumore di questa caduta si fa sentire da lontano, è così forte che anche da una grande distanza bisogna gridare per intendersi l’uno con l’altro»; Meyer ritiene che «il rumore del tuono, i cui più violenti scoppi non producono nell’aria che una scossa passeggera, non possono servire da comparazione a questo muggito ininterrotto della cascata, a questo fracasso spaventoso che raddoppia ancora gli echi delle montagne vicine». 42 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 147; cfr. J.J. de Lalande, Voyage en Italie, contenant l’histoire et les anecdotes les plus singulieres de l’Italie, et sa description; les usages, le gouvernement, le commerce, la littérature, les arts, l’histoire naturelle, & les antiquités; avec des jugemens sur les ouvrages de peinture, sculpture & architecture, & les plans de toutes les grandes villes d’Italie, 8 v., Paris, 1786, VI. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 173 mezzo cerchio, anche negli arcobaleni più belli, che non ci si riprende dallo stupore che provoca la vista di questo. E che colori! Iride non ha mai dipinto così il firmamento; tutti questi colori sono ardenti, è un fuoco d’artificio in mezzo all’acqua, e la natura sembra compiacersi nel sorprendere i nostri fragili animi con nuovi incanti: ad un tratto fa apparire dei nuovi cerchi a destra e a sinistra: se ne vedono fino a quattro per volta, e quelli laterali sono sempre colori vivi come il più bell’arcobaleno normale. La cascata è veramente bella, ma l’arcobaleno è infinitamente più bello; e se mai qualcosa avesse potuto persuadermi che questo fosse un segno dell’alleanza tra Dio e l’uomo, non poteva essere che qui43.

Infine lo sguardo si posa sulla ricca vegetazione e sulla pittoresca cornice paesaggistica che circonda la Cascata. Il medico tedesco Carl Gustav Carus registra: «Tutto è interessante, la vegetazione stessa presenta particolarità notevolissime, singolari forme arboree, strani gigli color fiamma nel sottobosco e altro ancora»44, mentre per il grande idealista romantico Percy Bysshe Shelley:

il panorama che la circonda è nel suo genere il più bello e sublime che si possa immaginare. Nella prima passeggiata passammo attraverso boschetti di olivi, alberi vecchi e larghi, i cui rami contorti e nodosi si diramavano in ogni direzione. Poi passammo per un viale di aranci vicino al fiume, carichi di frutti dorati e giungemmo a un bosco di grandi lecci, i cui rami sempre verdi e pieni di ghiande si intrecciavano sul serpeggiante sentiero. Tutto intorno la stretta valle era chiusa da cime di alte montagne di roccia piramidale, rivestite di piante e alberi sempreverdi: il largo pino, le cui foglie aguzze tramavano nell’aria azzurra, il leccio, centenario abitante di queste montagne, il corbezzolo coi suoi frutti purpurei e le sue foglie luccicanti45 .

Varietà di fenomeni, di suggestioni, di emozioni, la Cascata è in grado di regalare gioie immense al viaggiatore che la può ammirare da tre punti di osservazione privilegiati: dall’alto, dove il fiume Velino precipita, a mezza costa e dal basso. Molti sono i viaggiatori che si prodigano in consigli rivolti a chi verrà dopo di loro con l’intento di indicare quei posti che a loro giudizio consentono di godere appieno della sua bellezza. Lalande e Volkmann ne consigliano la vista dal basso; il primo scrive: «Quando si vogliono vedere tutte le varietà della cascata, bisogna anche piazzarsi alla base della montagna sulla riva opposta del Nera, da dove si vedono in faccia tutti gli effetti dell’acqua attraverso le rocce»46. Lo stesso annota il Volkmann, che riprende chiaramente le parole di Lalande a cui aggiunge: «di qui non si vede un liscio schienale d’acqua che cade come specchio ricurvo, simile alle cascate artificiali dei giardini, bensì l’elemento terrificante che esprime tutta la

43 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 77-78; cfr. A. von Kotzebue, Erinerungen von einer Reise aus Liefland nach Rom und Neapel, 3 v., Berlin, 1805, III. 44 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 89. 45 Ivi, p. 82. 46 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 147; cfr. J.J. de Lalande, Voyage en Italie, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 174 violenza della quale la natura l’ha dotato»47. Anche Lord Byron, che ha visto la Cascata due volte, in periodi diversi, «una volta dalla cima dell’abisso e poi dalla valle sottostante», ritiene che «la vista dal fondo valle è di gran lunga preferibile; ma […], sia da sotto che da sopra, essa è molto più attraente di tutte le cascate e i torrenti della Svizzera messi insieme»48. Nei primi dell’Ottocento il sacerdote e antiquario anglo-irlandese Eustace suggerisce invece: «Per trarre pieno godimento della bellezza di questo magnifico fenomeno è opportuno osservarlo dal colle al di là del fiume Nera […] Questo punto di avvistamento consente di ammirare perfettamente il secondo salto, allorché il fiume, riversandosi fuori dal bacino nel quale era precipitato, rimbalza tumultuoso sopra una cresta di rocce frastagliate, sottratte alla vista dalla spuma e dagli spruzzi»49; Josiah Conder ritiene che:

forse la veduta più spettacolare si gode da un piccolo padiglione posto su un promontorio sotto la cima, a strapiombo sul burrone, realizzato, si dice, per far ammirare a Napoleone la suggestività del luogo. Da questa sporgenza non è visibile la parte bassa della cascata, ma si percepisce la forza esplosiva della corrente che cade a precipizio sul fondo, accompagnata dal rombo e dalla densa caligine che sale dalla profondità avvolgendo tutto50.

Per George Hume Weatherhead:

il miglior punto per godere la visita della cascata in tutta la sua sublimità è una grotta fatta di rami intrecciati, posta in basso di fronte alla massa d’acqua. Ma il visitatore non può provare piena soddisfazione osservando la caduta solo da una posizione, per quanto bella essa appaia. Rischiando di bagnarsi si faccia accompagnare da una guida fin sul balcone naturale da dove può osservare le caverne rocciose adornate di stalattiti, sedimenti inconsueti che si protendono fuori dai blocchi di tufo di cui le rocce sono formate; si fermi in una grande grotta in alto, il sui tetto è sostenuto da colossali colonne formate da stalattiti e guardi il Velino che si tuffa dal precipizio»51.

Mentre per Frédéric Bourgeois de Mercey la Cascata va vista da tutti e tre i punti d’osservazione: «dal basso è più bella, ma da metà altezza è più strana e più terribile»52. Come nota Alberto Sorbini, un altro modo per osservare i luoghi era attraverso gli occhi e le parole degli antichi. Molti viaggiatori del Settecento si affidano infatti alla lettura

47 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 158; cfr. J.J. Volkmann, Historisch-kritische Nachrichten von Italien, cit. 48 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 103-104. 49 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 74; cfr. J.C. Eustace, A Classical Tour through Italy, an MDCCCII, London, Printed for J. Mawman, 1815, I. 50 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 90-91. 51 Ivi, pp. 104-105; cfr. G.H. Weatherhead, A Pedestrian Tour through France and Italy, London, Simpkin and Marshall, 1834, pp. 286-287. 52 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 127; cfr. F.B. de Mercey, La Toscana et le midi de l’Italie, 2 v., Paris, 1858, II. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 175 dei testi di Orazio, Plinio, Virgilio, Cicerone e altri autori classici per muoversi attraverso il Bel Paese. Chi più di tutti ha interpretato questo modo di viaggiare è stato il saggista, drammaturgo e poeta inglese Joseph Addison: «Ciò che mi ha interessato particolarmente», egli scrive, «è stato il confrontarmi con le numerose citazioni degli antichi poeti che hanno qualche riferimento con i luoghi e le curiosità che ho incontrato, perciò prima di iniziare il viaggio mi sono preoccupato di rinfrescare la memoria sui testi degli autori classici»53. Anche Addison, giunto in Umbria nel 1701, aveva avuto modo di visitare la Cascata rimanendone piacevolmente affascinato:

Penso che ci sia qualcosa di più sorprendente in questa cascata che in tutti i giochi di Versailles, e non poteva che meravigliarmi quando la vidi per la prima volta non essendone mai venuto a conoscenza tramite alcun poeta antico, ad eccezione di Claudiano, che fa deviare il suo imperatore Onorio per vedere il fiume Nar, che scorre proprio sotto di essa, e non la menziona, la qual cosa avrebbe migliorato sicuramente il suo poema54.

Ciò che sconcerta di più Addison è proprio il fatto di non averla trovata citata in nessuno degli autori classici da lui consultati, così, in mancanza di riferimenti espliciti, la fa coincidere col luogo descritto da Virgilio nell’Eneide, dove la furia Aletto si getta negli Inferi, notizia questa che lui stesso dichiara di aver trovato nella Descrittione di tutta Italia del frate domenicano e geografo Leandro Alberti55. Di questa mancanza si stupisce anche Lorenz Meyer che si chiede: «come spiegare il silenzio assoluto dei geografi e dei poeti dell’antichità su questa cascata? Può essere», conclude Meyer, «che alla sua origine e nei primi secoli della nostra era, essa non fosse abbastanza considerata per richiamare molta attenzione; può essere che solo in seguito, portandovi nuove acque e allargandone il canale, le abbiano dato la grandezza e la bellezza del sublime che oggi destano la nostra ammirazione»56. Tra i tanti giudizi positivi e le appassionate descrizione fornite della Cascata c’è anche chi non vi dedica che qualche riga come l’abate benedettino Bernard de Montfaucon o il letterato francese Michel Guyot de Merville che appunta semplicemente: «a tre miglia da

53 Citazione tratta da A. Sorbini, «Orribilmente bella!», cit., p. 311. 54 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 60; cfr. J. Addison, Remarks on Several Parts of Italy, etc. In the Years 1701, 1702, 1703, London, printed for Jacob Tonson, within Grays-Inn Gate next Grays-Inn Lane, 1705. 55 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 14. Questa attribuzione, che già si ritrova nell’Italia illustrata del Biondo, diventerà un topos letterario che darà vita ad un dibattito fra altri viaggiatori che confermeranno o meno l’affermazione di Addison. 56 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 63; cfr. F.J.L. Meyer, Darstellung aus Italien, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 176 Terni, c’è una cascata del fiume Velingo, che si precipita in basso da una roccia di cento piedi di altezza, cade con tanta violenza, che si alza una specie di nebbie due volte più alta che la cascata»; chi come Charles de Brosses la trova scomoda e non molto piacevole: «per quanto sia molto più alta di quella del Teverone a Tivoli, secondo me non la vale. Il suo effetto non è altrettanto piacevole né altrettanto comodamente visitabile, così da poterla ammirare a proprio agio, perché la sua disposizione dei luoghi li rende scarsamente praticabili»57; o chi, come l’abate Saint-Non, nonostante riconosca in essa «uno degli spettacoli più singolari e più straordinari della natura», afferma di essere rimasto più colpito dalla «caduta del Rodano dalla montagna del Credo, che ho trovato di un effetto più grande e più terribile, e ancora più imponente»; e chi come Goethe nel suo Italienische Reise non la cita nemmeno, pur essendovi arrivato molto vicino58. Infine Hillard nella seconda metà dell’Ottocento commenta:

la bellezza di queste celebri cascate non mi sembrò proporzionata alle aspettative che mi ero prefigurato. Essere state tante volte materia di poesia e di prosa mi parve fosse al di sopra dei loro meriti. I poeti e i viaggiatori che l’anno descritte indugiano sul fascino dell’orrido e del sublime che da esse sprigiona simile ad una forza inarrestabile, una forza dinanzi alla quale l’uomo si perde preso dalla paura e dal turbamento. La risposta a tali eccessive pretese deriva dal fatto che il Velino è largo solo cinquanta piedi e che le Cascate sono artificiali. Brockedon ha lasciato un’ottima visione della scena soffermandosi sulla «impressione terribile avuta alla vista della cataratta!». Non posso tuttavia concepire i nervi scossi per lo «spavento» dinanzi a quella caduta d’acqua che sollecita le stesse sensazioni che si provano davanti ad una grondaia di una casa flagellata da pioggia violenta. Non mi sono sembrate sublimi queste Cascate, e neppure grandiose, ma solo degne di essere lodate per la bellezza e l’armonia59.

Per tutto l’Ottocento la Cascata continuerà comunque ad affascinare, ammaliare, sedurre, così come turbare, sconvolgere, emozionare l’animo dei viaggiatori. Nel 1884 il critico e poeta inglese John Addington Symond ci lascia queste parole:

Queste di Terni sono senza dubbio le cascate più eccelse e sublimi che vanti l’Europa; lo scenario in cui sono poste è degno di una grande meraviglia naturale. Si raggiungono attraversando un superbo paesaggio dell’Italia centrale, dove la configurazione delle montagne è modellata in maniera austera e decisa. Queste lasciano le terre intorno ben

57 C. de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Roma, Laterza, 1992, p. 702; cfr. Le président de Brosses en Italie. Lettres familières écrites d’Italie en 1739 & 1740, 3. ed., 2 v., Paris, 1869, II. 58 Tuttavia nel Tagebuch lo scrittore tedesco riferisce: «Non ho potuto vedere le cascate del Velino (era quasi notte...). In questa mia prima escursione attraverso l’Italia non devo, non posso portarmi via tutto. Roma!Roma!...Mi corico per fin vestito per essere pronto alla prim’ora. Ancora due notti!...» (citazione tratta da Istituto Magistrale «F. Angeloni» - Terni, Viaggiatori viandanti e pellegrini a Terni tra ‘700 e ‘800. Itinerari della memoria, Arrone (Tr), Thyrus, 1997, p. 26). 59 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 133-134; cfr. G.S. Hillard, Six months in Italy, 2 v., Boston, Ticknor Reed and Fields, 1853, II, p. 313. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 177 coltivate, ma anche selvagge, lussureggianti come quelle del Sud. Le pendici delle alture sono un labirinto infinito di aceri e di arbusti con coronilla dai fiori dorati. Costellato di ciclamini e orchidee, le zolle profumano. Arrampicandosi sui sentieri a scalini a fianco delle cascate inondata dalla luce mattutina del sole, o presidiando i punti strategici che dominano le ininterrotte cateratte, abbiamo goduto di uno spettacolo che potrebbe essere paragonato per il suo effetto sulla mente all’impressione suscitata da una sinfonia o una lirica tumultuosa. La turbolenza e lo splendore, la rapidità e il rimbombo, l’immagine velata dal vapore delle masse d’acqua infrante, il ritirarsi di questa lieve cortina a seconda del volume delle acque del fiume, gli arcobaleni tremolanti sugli spruzzi argentei, il brivido dei pioppi che pendono dal sovrastante precipizio, la ferma grandezza dei monti circostanti, eterne guardiane di quel tesoro fremente, la furia e l’incoerenza delle cateratte, l’immobilità della forza e della immutabilità della natura, erano per me tutti elementi di una stupenda poesia. Era come un’ode di Shelley tradotta in simbolismo, più viva attraverso l’inesprimibile richiamo alle primordiali emozioni, di quanto potrebbe esserlo qualsiasi parola60.

Con l’avanzare della modernità e l’irrompere della grande industria nella conca ternana l’immagine del paesaggio cambia radicalmente. Testimoni di questa sensibile trasformazione sono gli stessi viaggiatori che giungono nei pressi della Cascata tra fine Ottocento e primo Novecento. L’avvocato americano Egerton Ryerson Williams visitando Terni nel 1905 annota: «sembra che gli abitanti godano delle comodità e dei lussi della vita moderna. È illuminata con l’elettricità, vi sono tram elettrici che vanno alla stazione ed alle cascate. Sono salito su uno di questi tram nel pomeriggio. Andava ad est, oltrepassava, tra l’altro, un grande stabilimento per la fabbrica delle armi costruito dal governo e procedendo, seguiva il corso del Nera in mezzo alle montagne»61; André Maurel, saggista e narratore francese, giunge a Terni nel 1912 dove ha modo di osservare la città trasformata dalla moderna industria: «La Terni che vedo non è affatto quella che avrei dovuto vedere: i viali silenziosi, edifici senza vita […]. Una elegante signora italiana, quando le ho confessato l’intenzione di fare un pellegrinaggio sullo stile di Chateubriand, mi ha detto: ‘non andate a Terni! Rimarreste troppo deluso vedendo le fabbriche che hanno disonorato la cascata!’»62, e sempre nel 1912 il letterato Ferruccio Rizzati nostalgicamente registra: «La cascata non è più quella di un tempo. Le industrie poco per volta s’appropriarono le acque del Velino, e la cascata un tempo meravigliosa, e a poche seconda, si assottigliò»63. La valle ternana fino a quel momento tanto decantata da essere addirittura paragonata al giardino dell’Eden, a poco a poco scompare avvolta inesorabilmente dal fumo e dal rumore delle fabbriche.

60 Traduzione in parte rivista tratta da Il fragore delle acque p. 138; cfr. J. Addington Symonds, Italian byways, New York, Henry Holt and Company, 1883, pp. 94-95. 61 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 144. 62 Ivi, p. 149. 63 Ivi, p. 179. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 178 Anche gli italiani non rimangono certamente insensibili al fascino della Cascata. Sicuramente il viaggiatore d’Oltralpe formatosi proprio nell’ambiente culturale in cui si era maturato e affermato il concetto della natura sublime e pittoresca, fonte allo stesso tempo di godimento e di turbamento, riesce ad ammirare in pieno questo straordinario fenomeno naturale, ma è anche vero che alcuni dei concetti e delle immagini descritte da molti viaggiatori stranieri sono state riprese proprio dalle opere di quegli autori italiani cinque- seicenteschi che spesso fungevano da guide per i loro viaggi. Del fragore prodotto dalla Cascata, la quale infrangendosi sulla roccia dà vita a fitte nuvole d’acqua che risalendo la avvolgono quasi interamente, ne aveva già scritto Flavio Biondo nella sua Italia illustrata: «da questo lago [Piediluco] casca di un alta ripa il fiume Velino in Nare [Nera] […] et il cadere, che fa questo in Nare [Nera] fa così gran bombo, che si ode diece miglia a torno, e da questo medesimo impeto si vede salire su ne l’aere un continui fumo, quasi una nube spumosa, che ritornando poi a cadere giù, se ne veggono le acque infino ad Interamnia»; e lo scrittore Cesare Ripa nel descrivere l’«horribil cascata del lago Velino, hora detto Piè di Luco» annotava già la sensazione di «meraviglia e spavento» provocata dal rumore assordante della cateratta che «per la continua elevatione de’ vapori cagionati dalla gran concussion dell’acqua riflettendoci i raggi del Sole vien à formarsi un Arco celeste da i Latini chiamato Iris»64; e come non ricordare le parole di Salvator Rosa, «orrida bellezza», riferite proprio alla Cascata, che daranno addirittura vita ad una nuova sensibilità! Della seconda metà del Settecento è la relazione del sacerdote Gian Girolamo Carli, la cui opera si inserisce appieno nella cultura del secolo dei lumi che guarda alla natura con occhio razionale e scientifico: dopo una sommaria descrizione degli aspetti più caratteristici della Cascata, che non rivela alcuna emozione da parte dell’autore, questi osserva come il terreno vicino ad essa sia «tutto tartaro spugnoso» per via dell’acqua e che «la Nera ha un colore biancastro»; aggiunge qualche riferimento erudito e ricorda di aver appreso che qualche anno prima dei signori inglesi per otto giorni di fila si erano recati alla Cascata osservandola da più punti di vista e ne avevano tratto diversi «disegni in carta», mettendo con questo dato in luce anche l’interesse artistico da essa suscitato. Per quanto riguarda l’Ottocento tra le testimonianze più significative si segnalano quelle di Girolamo Eromeli, Tullio Dandolo e Cesare Malpica. Le prime due in particolare rivelano nella descrizione un gusto tipicamente romantico che rispecchia quello delle

64 Ivi, p. 159. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 179 relazioni dei viaggiatori stranieri dello stesso periodo, l’ammirazione e l’impressione sublime e pittoresca che la Cascata desta sulla mente e sull’animo dei due osservatori infatti si rintraccia pienamente nelle loro parole. Sempre all’Ottocento risale infine la pubblicazione di Giuseppe Riccardi dal titolo Ricerche istoriche e fisiche sulla Caduta delle Marmore (Spoleto, 1818) che, come ricorda anche lo scrittore inglese Josiah Conder, ci fornisce della Cascata un’altra pittoresca immagine, quella della Cascata di ghiaccio:

Lo stato in cui la caduta trovasi nell’inverno non esige da noi minore attenzione. I ghiacci, che si accumulano nel fondo del precipizio, ti offrono enormi massi che sembrano grosse colonne di vasto, e rozzo edificio. Gli altri, che pendono dalla parte superiore par che arrivino al fondo di spaventoso abisso. I1 fiume cadente per altro sempre in moto, in quella fredda stagione accresce il volume delle sue acque, che trasportando quantità di materie straniere ti presentano all’occhio diversi colori, che alle sensazioni di orrore fanno succedere quelle di variato diletto specialmente col formare iridi verticali maggiori del mezzo cerchio, e nel tempo stesso molte altre iridi orizzontali65.

Una folla di comparse: contadini, popolani, mendicanti e banditi Nel paesaggio descritto dalla maggior parte dei viaggiatori stranieri rare sono le presenze umane che compaiono sulla scena, così come rari sono i riferimenti agli usi e ai costumi degli abitanti dei luoghi visitati che per lo più non fanno che mettere in risalto l’aspetto sostanzialmente rusticano di contadini e popolani. Le poche figure che si stagliano nel paesaggio assumono spesso il ruolo di semplici comparse, descritte secondo un gusto pittoresco che richiama la tradizione popolare, avvalorando quell’idea antiquaria e arcadica che il viaggiatore ha dell’ambiente nella sua componente antropologica oltre che paesaggistica. Lalande ci racconta ad esempio dell’ignoranza dei montanari di Cesi che distrussero i segnali posti da padre Boscovich nella zona per misurare i gradi della terra fra Roma e Rimini nella convinzione che volesse fare dei sortilegi; Goethe nel suo Viaggio in Italia lascia invece un impietoso giudizio sulla realtà rurale umbra:

Se si vuole vedere ancora realizzata la rappresentazione poetica de’ primi tempi, quando gli uomini vivevano per lo più a cielo scoperto o si ricoveravano all’occasione nelle caverne, bisogna varcare la soglia delle case di questa regione, ma specialmente nelle campagne dove quelle son costruite proprio col carattere e col gusto delle caverne. A una tale incredibile incuria la gente si abbandona perché teme che i pensieri facciano invecchiare. Con una leggerezza inaudita non pensano né provvedono all’inverno e alle

65 G. Riccardi, Ricerche istoriche e fisiche sulla Caduta delle Marmore ed osservazioni sulle adiacenze di Terni, Pesaro, Presso Annesio Nobili, 1825, pp. 42-43. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 180 lunghe notte, e quindi, per buona parte dell’anno soffrono come cani66.

E ancora, Stolberg a Terni incontra una coppia di musici che suonano il mandolino e la siringa, strumento quest’ultimo che affascina il tedesco poiché gli ricorda l’antico strumento suonato dai pastori, dai satiri e dai fauni di Pan e dal ciclope Polifemo; la pittrice francese Vigée le Brun in cima alla montagna della Somma ci dice di aver visto e sentito «in una torre in rovina costruita sul ciglio del sentiero, delle pastorelle che cantavano in coro una melodia soave e deliziosa; episodi del genere non sono rari in Italia» 67; infine, l’inglese Edward Wright sempre sulla Somma si sofferma a descrivere pastori vestiti di pelli di pecora e bambini avvolti in pelli d’agnello, che camminano scalzi nella neve chiedendo l’elemosina68. Proprio accanto alla bellezza della natura, dei paesaggi, delle rovine anche in questo angolo della terra si registra infatti la presenza di mendicanti. Nel tratto di strada che da Colfiorito portava a Loreto, diversi sono i viaggiatori che oltre ad annotare la pericolosità del tracciato, costeggiato da profondi burroni e precipizi, registrano i segni della povertà: da Brussel, che parla di contadini vestiti di stracci e bambini che circondano la carrozza per chiedere del pane, a Richard che giunto a Casenove commenta: «tutti gli abitanti vivono in estrema miseria, non hanno altre risorse che la carità degli stranieri, che non lasciano senza aver spillato qualche cosa». John Ruskin visitando le cascate delle Marmore osserva come l’intero percorso fosse «infestato dai mendicanti», mentre Hawthorne, di ritorno da Roma, lungo il tragitto ha più volte modo di rimarcare la fastidiosa presenza di mendicanti che:

apparivano ogni volta che ci fermavamo o quando la strada in salita ci imponeva un’andatura più lenta; ogni villaggio aveva la sua deformità o infermità da offrirci sul predellino della carrozza. Perfino un venerabile patriarca dalla testa bianca, il nonno di tutti i mendicanti, cercava di emergere al lato della strada, ma rimaneva indietro per la difficoltà di correre in confronto ai giovani compagni dotati di piedi leggeri. In Italia nessun tipo di vergogna è legata alla mendicità. Infatti immagino che sia considerata una professione onorevole, ancora imbevuta dell’odore di santità che si usava attribuire ad un mendicante ed alla sua vita inoperosa alle origini del cristianesimo, quando ogni santo viveva a spese della diocesi e riteneva meritorio non fare nulla per mantenersi69.

66 J.W. Goethe, Viaggio in Italia., cit., p. 120. 67 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 236-237; cfr. M.L.E. Vigée Le Brun, Souvenirs, 2 v., Paris, 1835- 1837, I; trad. it. Ricordi d’Italia, a cura di M. Premoli, Palermo, Sellerio, 1990 e Viaggio in Italia di una donna artista. I Souvenirs di Elisabeth Vigée Le Brun, 1789-1792, a cura di F. Mazzocca, Milano, Electa, [2004]. 68 Cfr. A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 88; cfr. E. Wright, Some Observations made on a Travelling through France, Italy, etc. In the Years 1720, 1721 and 1722, 2 v., London, 1730. 69 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 124-125; cfr. N. Hawthorne, Passages from the French and Italian note-books, 2 v., London, Strahan & Co, 1871, I. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 181 Ancora Hawthorne giunto sul monte Somma riferisce:

Non ho notato nulla di confortevole, anzi in questa regione selvaggia e solitaria mi sono imbattuto in due mendicanti come mi era accaduto nelle strade di Roma. Ragazze e ragazzi mi camminavano accanto come staffette presto raggiunte da altri simili a loro. Nonni e nonne canuti appena mi scorgevano trottavano, più svelti che potevano, per intercettarmi. Le donne uscivano dalle case con ciliegie marce nel piatto incitandomi a comprarle per mezzo baiocco. Un uomo al lavoro sulla strada, aveva lasciato frettoloso i suoi attrezzi per mendicare e mi parve grato per l’elemosina del valore di un solo centesimo. In breve non mi era stata risparmiata nessuna occasione perché mi importunassero, fin quando una casa o un essere umano fossero visibili70.

Sempre lungo la strada tortuosa che porta al monte Somma lo scrittore inglese di guide William Brockedon nel 1835 commenta: «una salita tediosa resa peggiore dalla presenza indiscreta di una frotta di mendicanti» e aggiunge:

Quando con il «tanta fame!» e «carità per la grazia di Dio!» non raggiungono lo scopo, l’adulazione, usata con arguzia, ha spesso successo. Se un gruppo di sventurati fallisce nel chiedere l’elemosina ripetendo la solita cantilena piagnucolosa e non riesce ad avere neppure un baiocco dalle signore in viaggio su una carrozza inglese, smette l’inutile lamento, mentre uno di loro, guardando a lungo e con ammirazione le dame, esclama «Che belli occhj! Ah! Come sono belle queste donne inglesi!» Questo mimo di grande qualità provocò tra di noi una risata cordiale e riuscì a sciogliere i lacci dei borsellini71.

Il viaggiatore francese Louis Simond dirigendosi verso la cascata annota:

La salita, si presenta lunga e ripida e in molte parti sembra tagliare la costa perpendicolare della roccia. È una nobile opera eseguita da papa Lambertini, circa settanta anni fa. Questa via principesca, circa due terzi della salita, attraversa un villaggio che sembrava fosse abitato solo da mendicanti, o ad essere precisi una specie di borgo, poiché è circondato da una cinta muraria antica che abbraccia la cime della collina. I suoi alti bastioni sostenevano una successione irregolare di edifici con finestre prive di imposte e balconi coperti di muschio fuori dai quali veniva distesa ad asciugare biancheria cenciosa. L’interno dell’area urbana, alla quale lanciammo un’occhiata mentre passavamo, ci parve più simile ad un covo di ladri che ad un paese. Usciva da quei buchi oscuri una misera popolazione di donne e bambini che ci venne incontro, intonando con foga il ritornello «Tanta fame», mentre gli uomini, imbacuccati in mantelle scure con il pizzo gettato sopra la spalla sinistra, e un cappello floscio sulle facce olivastre e non sbarbate, una penna rossa oppure un rametto verde con bacche rosse nel nastro sopra la falda, si mossero furtivamente camminandoci dietro72.

70 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 127; cfr. N. Hawthorne, Passages, cit. 71 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 106. 72 Ivi, pp. 102-103; cfr. L. Simond, Voyage en Italie et en Sicile, 2 v., Parigi, 1828, I. Simond oltre a registrare lo squallore del borgo di Papigno e la condizione di estrema miseria in cui viveva la popolazione ci fornisce anche una interessante descrizione dell’abbigliamento tipico maschile dell’area della conca ternana: «mantelle scure con il pizzo gettato sulla spalla sinistra», «un cappello floscio» e «una penna rossa oppure un rametto verde con bacche rosse nel nastro sopra la falda». Per conoscere il modo di vestire delle donne sempre per questa zona si può ricorrere a quanto ci dice Anna Jameson, che compie il suo viaggio in Italia nel 1826: «il costume tipico di questa zona è molto vivace e folcloristico; documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 182 Un’altra categoria di individui che ricorre frequentemente nei diari di viaggio è quella dei ladri e dei banditi. L’esistenza dei briganti infatti eccitava l’animo dei viaggiatori alla continua ricerca di emozioni. Queste figure erano entrare a far parte dell’immaginario pittoresco grazie ai quadri del pittore napoletano Salvator Rosa che aveva contribuito a fissare certi stereotipi visivi, facendo rivivere la variegata folla di indigenti, contadini, popolani e loschi briganti, oltre a diffondere l’idea del paesaggio tenebroso e selvaggio73. Nel tratto di strada tra Narni e Otricoli, Simond scrive infatti: «La valle della Nera, lungo la quale abbiamo proseguito la nostra strada, è molto bella ed i ladri che si mostravano talvolta non tolgono niente al carattere pittoresco del paesaggio. Che sarebbero i paesaggi di Salvator Rosa senza questi banditi?»74. Diversi sono i viaggiatori che annotano la loro presenza proprio lungo il percorso della via Flaminia, anche se nessuno, o quasi, sembra averli mai visti o incontrati veramente. I viaggiatori infatti non facevano che riportare storie di briganti raccontate loro da osti, guide e vetturini; questo sicuramente era un modo per accrescere la suggestione del luogo e per soddisfare le aspettative dei visitatori che, sulla base di quanto letto su libri, guide e relazioni di altri viaggiatori e quanto visto su stampe, disegni e dipinti, si erano creati del posto una immagine ben precisa75. Il fascino suscitato da questi personaggi era tale che non

le donne portano un copricapo bianco che scende fino alle spalle ed è fissato ai capelli con una spilla d’argento. Indossano un corsetto solo in parte allacciato, ornato di fiocchi di un nastro, mentre una sottoveste corta, scarlatta completa il loro abbigliamento», aggiunge inoltre: «Tra Perugia e Terni non ho incontrato una sola donna senza una collana di corallo; e quelle che ne hanno la possibilità si caricano di ninnoli» (A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 85). La tendenza a vedere gli abitanti delle campagna italiane nei loro costumi tradizionali fa parte della percezione che il viaggiatore ha del Bel Paese, costruita sulla base di perduranti immagini e clichés tipici della stereotipia turistica (Cfr. A. Brilli, Un paese di romantici briganti, cit., pp. 43-44). Lady Morgan, ad esempio, osservando la ridente e deliziosa campagna perugina aveva scritto: «Il costume ed il colore dei gruppi, la pettinatura isiaca delle donne, il mantello pastorale degli uomini, le loro gabbie di tortorelle, i loro panieri di frutti sfavillanti, ritornano nella mia memoria come le vive immagini che i mercati dei pittori fiamminghi lasciano nell’animo» (A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 55; cfr. S. Morgan, Italy, 3 v., London, Henry Colburn and co., 1821, II, p. 305). 73 Cfr. A. Brilli, Un paese di romantici briganti, cit., pp. 16-22. 74 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 89. 75 Lo scrittore Hans Christian Andersen riporta il seguente fatto raccontatogli dalla sua guida: «Qui l’anno scorso un inglese è stato ucciso dai briganti ‘raccontò la nostra guida’ è stata la banda dei monti Sabini, la chiamavano così anche se, per così dire, erano di casa in tutti i monti fra Roma e Terni! Adesso le autorità si danno da fare, e così sono riusciti a mettere le mani su questi tre poveretti! Io li ho visti portare in città incatenati su un carro. Vicino alla porta stava la maga Fulvia dei monti Sabini, come la chiamavano noi, era vecchia e pur sempre giovane, conosceva bene il modo con cui più di un frate avrebbe potuto conquistarsi il cappello di cardinale; vedendoli passare predisse loro il destino con un linguaggio fiorito. In seguito dissero che si trattava di avvertimenti segreti, che era in combutta con loro. Quest’anno hanno preso la vecchia e molti altri briganti, la sua ora era venuta, e adesso la sua testa sogghigna sulla porta di Nepi’» (Ivi, p. 110). Inoltre, sulla strada di Colfiorito diversi sono i viaggiatori che riportano la terribile storia, narratagli dai loro vetturini, di una contessa spagnola assassinata in quei documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 183 pochi sono coloro che ammettono di essere rimasti delusi dal fatto di non averne incontrati, come il poeta inglese Rogers, che credette di vedere due briganti sulla Somma, ammettendo poi un po’ amareggiato che probabilmente si trattava solo di due cacciatori, e l’americana Anna Jameson che ci dice:

abbiamo oltrepassato un fortilizio singolare, posto in cima ad una roccia scoscesa e prominente, un tempo abitato da una banda di briganti e dalle loro famiglie: c’erano vissuti affrontando grandi privazioni e dopo un lungo assedio erano stati fatti sgombrare dai soldati che hanno demolito le loro abitazioni. L’attuale stato di desolazione conferisce all’insieme un aspetto suggestivo, anche se la presenza dei banditi avrebbe accresciuto senza dubbio, il fascino esotico della scena. In verità in quel momento avvertimmo la loro mancanza76.

luoghi da una banda di briganti. 76 Ivi, p. 85. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 184 Le città

La via Flaminia tra Otricoli e Foligno Del paesaggio ovviamente fanno parte anche le città, che tuttavia solo nell’Ottocento con l’affermarsi di quella nuova sensibilità estetica di cui si è cercato di dare conto nelle pagine precedenti, verranno pienamente rivalutate e apprezzate. Fino al Settecento infatti i viaggiatori dimostrano una sostanziale indifferenza nei confronti di borghi medievali, paesi e città collinari, se non per eventuali riferimenti rinvenuti in autori classici e per le testimonianze antiquarie che esse conservano. Questa evoluzione del gusto dei viaggiatori la si può osservare scorrendo le pagine dei diari di viaggio di coloro che tra XVII e XIX secolo hanno percorso il tragitto umbro della via Flaminia da Otricoli a Foligno e viceversa. Otricoli è la prima stazione di posta che il viaggiatore incontra entrando in Umbria una volta lasciata Roma e l’ultima prima di entrare in Sabina se proveniente da nord. «Città in passato celebre», scrive Labat, «di cui tuttavia non restano oggi che delle rovine nella pianura, abbastanza vicino alla collina su cui è costruita l’Otricoli di oggi. […] Crederei di darle troppa importanza se la trattassi soltanto da Borgo: niente è più piccolo, più povero, più malridotto»77. La maggior parte dei viaggiatori del Settecento condivide quest’ultimo giudizio, Otricoli non è altro che «un insignificante e piccolo borgo» secondo Joseph Addison, «un povero e misero villaggio» per John Moore, per il marchese Sade è addirittura «mostruosa e sgradevole, povera e spopolata». Ciò che però rende interessante questo sito agli occhi dei viaggiatori, sempre alla ricerca di vestigia antiche, è la presenza delle rovine romane della vecchia Ocriculum; queste vengono segnalate già da Montaigne nel 1588 che riferisce: «Davanti ad essa si vedono in bella posizione certe grandi e importanti rovine»78; Jean Tarde nel 1615 rileva: «Ai piedi della montagna di Otricoli e di fronte al Tevere abbiamo visto le rovine di un anfiteatro, di alcuni acquedotti, terme, sepolcri ed altre antichità della vecchia Ocriculum che si trovava lungo il Tevere sulla via Flaminia. Al tempo dei Romani era un comune, mentre oggi è ridotto ad un piccolo borgo posto sulla cima della montagna chiamata Otricoli, dove abbiamo cenato». E ancora Rogissart scrive: «si vedono ancora oggi una quantità di bei resti, di rovine di Templi, d’Acquedotti, di Portici, di Anfiteatri e di una

77 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 77; cfr. J.B. Labat, Voyages, cit., pp. 150, 152. 78 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 17. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 185 quantità di altri bei Edifici, che sono altrettanto illustri monumenti della grandezza e della magnificenza antica di questa piccola città»79; anche Addison non poteva che registrare la presenza di tali reperti: «Esistono ancora disseminati pilastri e piedistalli, enormi pezzi di marmo semi sepolti nel terreno, frammenti di torri, volte sotterranee, bagni, segni della sua antica magnificenza»80, e John Moore riferisce: «Fra questo villaggio e il Tevere, a poca distanza dalla grande strada, si trovano uno spazio abbastanza considerevole coperto di ruderi di edifici e di numerose tombe; vengono considerate comunemente le rovine dell’antica Ocriculum»81. Il viaggiatore ottocentesco non può invece che rimanere colpito dalla posizione pittoresca di questo piccolo borgo, situato sulla sommità di una collina.

Proseguendo per la via Flaminia il viaggiatore incontra Narni82, cittadina che fino a tutto il XVIII secolo suscita nei visitatori giudizi contrastanti: se molti da un lato la definiscono piccola, poco popolata, povera, con le strade strette e sporche83, altri ne hanno un’impressione positiva. In particolare il marchese Sade che scrive: «Non è vero che le finestre siano di carta, come dice Misson, né che le vie siano sudice; e questa cittadina non è affatto brutta». Particolarmente dettagliata è la descrizione che di questo centro ci fornisce Labat:

La Città si sviluppa più in lunghezza che in larghezza, la sua collocazione non rende il

79 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 55; cfr. Rogissart, Les délices de l’Italie, cit., p. 270. 80 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 61. 81 Ivi, p. 57; cfr. J. Moore, A View of Society and Manners in Italy: with Anecdotes relating to some Eminent Characters, 2 v., London, 1781, I, p. 376. 82 In generale due sono le storie che i viaggiatori che giungono a Narni raccontano: quella del suo primo nome Nequinum che, ci dice Labat, deriverebbe come affermano alcuni o dalla «difficoltà delle strade che conducono ad essa», o dalla «collocazione sopra una montagna aspra e ripida, dove si può arrivare soltanto a fatica», mentre altri «meno indulgenti, sostengono che la Città ha meritato questo nome odioso a causa della malvagità dei suoi abitanti e del loro carattere crudele e barbaro» (A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 65; cfr. J.B. Labat, Voyages, cit., p. 129), si racconta infatti che durante un assedio gli uomini, piuttosto che arrendersi, decisero di uccidere figli, mogli, sorelle e poi si suicidarono; la seconda storia riguarda un fatto realmente accaduto nel 1527 quando la città venne depredata e distrutta dai Lanzichenecchi di ritorno dal sacco di Roma, distruzione che erroneamente i viaggiatori imputano ai veneziani, come molto probabilmente appreso dalla Descrittione di tutta Italia del geografo Leandro Alberti (A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 17). 83 Per Misson «le strade sono sporche e strette ed hanno un andamento così irregolare che non si fanno tre passi senza salire o scendere. Le case sembrano abbandonate. Alle finestre, secondo il cattivo uso del paese, non si vedono che brandelli di carta, indice di miseria»; Richard parla di «città vescovile, piccola e mal costruita», per Moore «la città è molto povera e poco popolosa»; La Roque la definisce «piccola città in cui le strade sono sporche, strette e mal costruite» come anche John Smith che scrive: «piccola città con pochi abitanti: le strade sono strette e mal pavimentate»; infine Butler ci dice:«adesso, ha perso la sua importanza, allo stato attuale è una città povera, benché grande». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 186 terreno comodo, le strade sono decisamente belle, le case ben costruite, le Chiese decorose. La Cattedrale è dedicata a San Giovenale, suo primo vescovo. È antica e costruita nello stile Gotico, ma rimodernata e ordinata per quanto lo si è potuto […]. L’Ordine di San Domenico vi possiede un Convento ben edificato e che non ha affatto bisogno della carità dei Fedeli […]. Gli Agostiniani, i Francescani Conventuali e quelli dell’Osservanza vi hanno ciascuno un Convento, i Cappuccini ne hanno due […]. C’è un collegio sotto la direzione delle Scuole Pie [….]. L’acqua non vi manca […] . Vi è portata da un Acquedotto di quindici miglia di lunghezza […]; fornisce acqua a tre fontane pubbliche, ornate di vasche di marmo e di statue di bronzo, che fanno numerosi getti, le cui acque, si dividono in diversi canali di piombo che le conducono in numerose abitazioni […]. All’estremità e nella parte più alta della montagna, sulla quale sorge la Città, c’è un’antica Fortezza quadrata, fiancheggiata da quattro torri quadrate, che incuteva rispetto nel tempo in cui non c’erano né cannoni né bombe. Oggi è in rovina. Benché la si voglia far passare per un’opera dei Romani, ho ragione di credere che sia molto più moderna e che tutt’al più risalga al tempo dei Longobardi 84.

Il frate domenicano spende parole benevole anche per i suoi abitanti, lasciandoci notizie su alcune delle più note famiglie nobiliari cittadine e alcuni dei suoi personaggi illustri:

i suoi cittadini sono civili. Ci sono numerose famiglie Nobili che danno sempre Cavalieri agli Ordini di Malta e di S. Stefano, nei quali bisogna dare le stesse prove di Nobiltà. Le famiglie Nobili più notevoli sono quelle degli Scotti, dei Carduli, dei Cardoni, dei Geremicchi, dei Mangoni, dei Vipera e numerose altre, alla testa delle quali si deve mettere la Casa dei Principi Cesi stabilitasi a Roma da molti anni, che possiede ancora grandi beni in Città e nei dintorni: ma quello che eleva infinitamente la città è che vi sia nato l’imperatore Nerva […]. Narni non è feconda soltanto di Nobili, lo è anche di Dotti e di grandi Capitani. Senza contare l’imperatore Nerva, ha avuto, non è molto tempo, il famoso Gattamelata, Generale degli eserciti dei Veneziani, che guidò con tanta saggezza, ardimento e successo che dopo aver riportato una infinità di vittorie, quei superbi Repubblicani gli fecero innalzare una statua di bronzo a Padova, la celebre Città che egli aveva preso e unito al Dominio della Repubblica85.

Fa poi una rapida rassegna di alcuni uomini dotti che hanno avuto i natali in questa città: dai fratelli Carduli, Francesco e Marco, a «Galeoto, Massino Arcano, Michel Angelo Arrono, Pier Domenico Scoto e una infinità di altri, che hanno onorato la Repubblica delle Lettere nei secoli sedicesimo e diciassettesimo»86. Con l’Ottocento la città acquista agli occhi del viaggiatore maggiore interesse; l’aspetto triste e desolato, così come la sua ubicazione, sulla sommità di un’altura ripida ed

84 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp.67-69; cfr. J.B. Labat, Voyages, cit., pp. 130-131, 135-136. Le tre fontane di cui parla Labat sono citate da molti viaggiatori, particolare apprezzamento viene espresso per la bella fontana situata in mezzo alla piazza pubblica. La rocca a cui si riferisce Labat fu fatta costruire nel 1370 dal cardinale Egidio Albornoz. 85 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 69, 71; cfr. J.B. Labat, Voyages, cit. pp. 134-135, 137-138. Quasi tutti i viaggiatori sono soliti ricordare i due più noti personaggi che hanno avuto i natali in questa città: l’imperatore Nerva e il capitano di ventura Gattamelata. 86 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 71. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 187 elevata, fanno di Narni una cittadina romantica e pittoresca. Eustace scrive: «Ci sentimmo profondamente colpiti dall’aspetto romantico di Narni […]; la solitudine e il silenzio incombevano sulle strade; ovunque erano visibili in maniera impressionante e pittoresca le conseguenze e le drammatiche memorie di secoli di rivoluzioni, di sciagure e di sofferenze»87; von Kotzebue sostiene che la città si trova «in una romantica posizione, sul fianco di un’alta montagna»88; Conder ritiene invece che anche se la città non offra particolari attrazioni «merita una sosta per il suo aspetto pittoresco e la configurazione medievale»89; per Thomas Roscoe trabocca «di una superba varietà paesaggistica, possiede anche un notevole interesse antiquario, tanto da concedere una grazia suggestiva e tranquilla alle attrazioni donategli dalla natura»90, e John Murray annota: «Le torri dei suoi antichi conventi e il castello le danno un aspetto pittoresco visibile da più parti della campagna circostante», tuttavia aggiunge anche che «il centro urbano è molto disagevole perché irregolare e solcato da strade strette e sporche»91. Gregorovius sembra apprezzare particolarmente la cittadina di Narni:

una delle più antiche città umbre, col suo bel castello e i campanili delle sue chiese. Il luogo è assai ameno; la Nera, uscendo dalla sua strada incassata fra le rupi, entra in una valle grandiosa e scorre fra armoniose colline. Un antico ponte romano riunisce ancora le due rive. In fondo si scorgono i verdi monti dell’Umbria, amenissimi e ricchi d’incantevoli luoghi, fra cui ricorderò Amelia […] Oltre il suo bel castello, Narni possiede notevoli chiese e conventi, come la cattedrale, consacrata al primo vescovo della città, San Giovenale ; però il tesoro maggiore è rappresentato da un dipinto famoso dello Spagna, l’Incoronzione della Madonna, nel convento degli Zoccolanti. Dello stesso artista si trovano quadri in molti paesi dell’Umbria; alcuni gli sono però stati erroneamente attribuiti92.

87 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 76; cfr. J.C. Eustace, A Classical Tour, cit., p. 340. 88 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 77; cfr. A. von Kotzebue, Erinerungen, cit. 89 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 93. 90 Ivi, p 102; cfr.T. Roscoe, The tourist, cit. 91 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 129. 92 F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, II, Subiaco, attraverso l’Umbria e la Sabina, il ghetto e gli Ebrei di Roma, macchiette romane, storia del Tevere, l’impero, Roma e la Germania, una settimana di Pentecoste in Abruzzo, Roma, Ulisse Carboni, 1907, pp. 63-64. Il dipinto a cui si riferisce Gregorovius è in realtà del Ghirlandaio che lo realizzò nel 1486 per la chiesa di S. Gerolamo a Narni. Nel 1507 i francescani del convento di Montesanto a Todi commissionarono a Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, la realizzazione di una pala d’altare, una Incoronazione della Vergine, che doveva attenersi al modello del Ghirlandaio, l’opera era infatti diventata un riferimento quasi obbligato per l’Osservanza francescana in Umbria. Nel 1522, sempre su committenza francescana, lo Spagna ne realizzò un’altra versione per la chiesa di San Martino a Trevi. Molto citati dai viaggiatori sono anche gli affreschi dello stesso artista presenti nella Basilica di S. Francesco ad Assisi e nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e il dipinto Adorazione dei Magi, al tempo conservato nella cappella di san Benedetto nel Palazzo Ancaiani a Spoleto, che alcuni viaggiatori (tra cui Lalande, Gray e Vigée Le Brun) attribuirono documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 188 Tappa obbligata per quasi tutti i viaggiatori che passano per Narni è il cosiddetto ponte di Augusto, ritratto tra XVIII e XIX secolo in molte stampe, incisioni, disegni e dipinti. Si tratta di una maestosa costruzione, risalente all’età augustea costituita in origine da tre o quattro arcate93, di cui al tempo restavano solo una arcata e tre piloni (il terzo cedette nel 1855)94. Il consenso espresso nei confronti di tale opera è quasi unanime: «opera degna di ammirazione» la definisce Misson; Addison lo ritiene «uno dei ruderi più sorprendenti e grandiosi d’Italia»; «magnifico» scrivono Labat e Lalande; per John Moore il ponte è «superbo […] interamente di marmo, senza che vi sia stato usato un minimo di cemento»; «capolavoro dell’architettura romana» secondo Thomas Roscoe. Lady Miller invece non si reca a vedere né il ponte né le Cascate a causa del percorso troppo accidentato e faticoso, ma ci manda il marito che le fa un resoconto dettagliato dell’escursione: «[il ponte] è stato costruito in maniera comune, con la calce tenuta dal ferro: così poco si può fare affidamento agli autori, che affermavano tutti il contrario, e lo classificavano come il migliore del mondo; non corrispondeva affatto all’idea che s’era fatto, da ciò che ne aveva sentito. Nonostante ciò, è un bel reperto archeologico, e potrebbe sorprendere e piacere molto, se non fosse stato tanto sopravvalutato»95. Von Kotzebue consiglia proprio alle signore «di non lasciarsi vincere dalla curiosità, tanto non c’è niente da vedere. C’è rimasto solamente un grande arco sulla riva destra, i resti di un altro sulla riva sinistra e le macerie di un altro o due in mezzo al torrente», tuttavia ammette che «doveva trattarsi di un’opera magnifica»96. Diversi viaggiatori infine – tra cui Montagne, Moryson, Deisne e Butler – segnalano un particolare fenomeno della terra che si trova lungo la sponda del Nera, presso Narni e che, come spiega Plinio, diventa fangosa nei periodi di siccità e si polverizza quando piove.

Da Narni alcuni viaggiatori effettuano una breve deviazione per andare a visitare Cesi e il Monte Eolo dove il visitatore poteva osservare un curioso fenomeno di correnti d’aria

erroneamente a Raffaello. 93 Il numero di arcate è stato motivo di dissertazione tra i viaggiatori, che effettuando valutazioni sulla possibile ampiezza delle stesse, per la maggior parte optarono per il numero di quattro. Altro motivo di discussione tra i viaggiatori inglesi ha riguardato la tipologia di costruzione, si discuteva cioè se l’opera in passato avesse funto da ponte o da acquedotto, il dilemma veniva spesso risolto sostenendo che la struttura poteva svolgere entrambe le funzioni (A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 18-19). 94 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 18. 95 Ivi, p. 166; cfr. A. Miller, Letters from Italy describing the Manners, Customs, Antiquities, Paintings, etc. of that Country, in the years MDCCLXX and MDCCLXXI, to a Friend reading in France, 3 v., London, Printed for Edward and Charles Dilly, 1776, II, pp. 289-290. 96 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 77; cfr. A. von Kotzebue, Erinerungen, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 189 provenienti dalle cosiddette «Bocche» o «Grotte di vento», di cui ce ne forniscono una accurata descrizione Wright, Lalande e Volkmann97.

Dopodiché si arriva a Terni, stazione di posta e soprattutto luogo da cui partire per dirigersi verso la famosa Cascata delle Marmore98. Sebbene la città non abbia molto da offrire ai visitatori i commenti di molti sono abbastanza benevoli. Per Nicolas Audebert «a Terni ci sono belle strade, botteghe, case e una piazza», per Montaigne «è una bella cittadina, in una posizione di singolare amenità», John Ray la considera una «bella e piccola città con una piazza graziosa», per il pittore Pierre-Henri de Valenciennes «Terni è una bella città. La maggior parte delle abitazioni hanno un’architettura semplice e uno stile molto gradevole»99; anche il solitamente critico Tobias Smollet spende poche ma elogiative parole: «è una graziosa città con delle belle costruzioni e posta in una pittoresca vallata […] nella bella piazza vi è una chiesa […] mi hanno detto che il popolo è molto educato e che a Terni si vive con pochissima spesa»100. Nell’Ottocento continuano i giudizi positivi, John Ruskin ci dice: «Terni è molto italiana e pittoresca: da tempo non vedevamo tante arcate, torri e tetti armoniosi» 101, per Antoine-Claude Pasquin è una «città affascinante» e per M. Le Chevalier Artaud è addirittura «una delle città più affascinanti d’Italia. Oltre alla sua celebre cascata […], sono da notare le sue antichità, tra le quali parte di un anfiteatro con percorsi sotterranei, alcuni

97 Pare che questo vento fosse ingegnosamente condotto dagli abitanti del luogo tramite un sistema di tubature nelle stanze e nelle cantine per rinfrescarle 98 Della strada che conduce da Terni alla Cascata ce ne dà una puntuale descrizione il marchese Sade: «Da Terni alla cascata ci sono quattro miglia. Si sale per un sentiero molto ben fatto, anche se di difficile accesso. Si vedono parecchi villaggi che godono di una posizione singolarmente pittoresca. Si passa accanto alla porta di quello chiamato Papinia [Papigno]. Sulla montagna che lo domina ci sono le rovine di un vecchio castello che porta lo stesso nome, in cui viveva un eremita. Si ha sempre la roccia a destra e il Velino a sinistra, che scorre nel profondo vallone formato dalle montagne. Quando si è in cima si lascia la grande strada che conduce a Rieti, la prima città del Regno di Napoli, e ci s’inoltra su stretti sentieri fino a una piccola radura nel bosco, dove si lasciano i cavalli. Da qui si avanza a piedi fino a una fenditura tra due rocce in cui si vede il fiume scorrere veloce prima della caduta» (A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 191; cfr. D.-A.-F. de Sade, Voyage d’Italie , ou Dissertations critiques, historiques et philosophiques sur les villes de Florence, Rome, Naples, Lorette et les routes adjacentes à ces quatre villes, ouvrage dans lequel on s’est attaché à développer les usages, les moeurs, la forme de législation, etc., tant à l’égard de l’antique que du moderne, d’une manière plus particulière et plus étendue qu’elle ne paraît l’avoir été jusqu’à présent, Paris, Fayard, 1995; trad. it. Viaggio in Italia, introduzione e cura B. Cagli, Roma, Newton & Compton, 1974 e Viaggio in Italia, ovvero Dissertazioni critiche, storiche e filosofiche sulle città di Firenze, Roma, Napoli e Loreto, e sulle strade adiacenti a queste quattro città, Torino, Bollati Boringhieri, 1996). 99 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 60 100 Cfr. A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 20-21. 101 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 112. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 190 ruderi di un tempio del Sole e delle costruzioni di un tempio d’Ercole»102. Meno lusinghiero è il giudizio di Philippe Petit-Radel che scrive: «è una città che non corrisponde per niente alla bellezza del suo sito […]. le strade di Terni sono strette, mal pavimentate, le case disposte in modo irregolare: all’infuori di cinque o sei che sono passabili, le altre non meritano alcuna menzione. Quanto ai palazzi, non sono affatto maestosi»; però ammette anche che «se i palazzi la rendono poco ambita, essa rivela un interesse maggiore se si pensa che è la patria di Tacito, lo storico dell’Impero Romano, e degli imperatori Tacito e Floriano. E quali devono essere le sue prerogative, se si pensa che all’interno della sua cattedrale si custodisce la più preziosa tra tutte le reliquie, non il sacro cuore di Gesù, ma il suo sangue!»103. In realtà nessun documento lascia supporre che i tre personaggi sopra citati siano nati a Terni, né si può ritenere, come invece molti viaggiatori sostengono, che i tre monumenti funebri, abbattuti nel 1568, fossero a loro dedicati, ciò nonostante nessun viaggiatore si esime dal ricordarli come nativi del luogo104. Ma la città viene spesso ricordata oltre che per essere la patria dei due Tacito anche per gli ottimi piccioni e per le grandi rape. Di un certo interesse, come rammenta lo stesso Petit-Radel, è anche il duomo che custodisce la reliquia del preziosissimo sangue di Gesù Cristo. Anche Lalande ci dice che: «la chiesa cattedrale, il Duomo, ha un altare molto bello di marmo e vi si conserva una preziosa reliquia, la migliore fra tutte quelle d’Italia, perché è il sangue di Nostro Signore». Anche Guyot de Merville consiglia una visita al Duomo: «la Chiesa Cattedrale merita l’attenzione del viaggiatore, è bella e contiene numerose antichità»; abbastanza accurata è la descrizione che ce ne dà lo scrittore francese Emilie Polonceau:

L’architettura della cattedrale è graziosa più che bella: il peristilio è formato da sette arcate centrali e da altre tre a destra ed a sinistra. La porta è piccola; tre arcate da ogni lato disegnano tre navate; le due cappelle poste ai lati del coro sono decorate meglio delle sei navate laterali. Nella maggior parte di esse noto degli affreschi recenti; ce n’è uno eccezionale sopra il trono del vescovo. La carenatura dell’organo è ricca di dorature. L’affresco sopra al portale è una bella composizione, sicuramente di un buon maestro di cui non si riporta il nome105.

Tra i viaggiatori che visitano Terni c’è anche chi non la ritiene meritevole di menzione

102 Ivi, p. 121. 103 Ivi, p. 78. 104 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 20-21. 105 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 101; cfr. E. Polonceau, Itinéraire descriptif et instructif de l’Italie en 1833, Paris, 1835, II, pp. 7-8. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 191 o chi nostalgicamente rievoca il suo più celebre passato, come Rogissart che annota: «oggi è una piccola città poco considerevole, ma la qualità delle rovine sono la testimonianza autentica del suo antico splendore»; oltre un secolo dopo anche Josiah Conder riporta: «Attraverso la lettura di una iscrizione antica si viene a sapere che fu fondata durante il regno di Numa, ottanta anni dopo la creazione di Roma e che divenne uno dei più fiorenti municipi d’Italia […]. Rari monumenti restano a testimoniare quell’epoca lontana e rendono poco l’idea di ciò che dovette essere un tempo la città romana»106.

Lasciata Terni si attraversa il ripido tratto montano della Somma che porta a Spoleto. Qui il viaggiatore viene a contatto con quella natura selvaggia e pericolosa che richiama l’estetica del sublime, tanto ricercata dal viaggiatore tra Sette e Ottocento. Strada impervia, stretta, costeggiata da spaventosi precipizi e alte montagne, proprio come ci testimoniano le parole di Lady Miller:

la strada per salirci è un’opera prodigiosa, tagliata sulla viva roccia; si snoda lungo il fianco dell’Appennino; ma la larghezza è appena sufficiente per una carrozza; è dura come il marmo, e quasi liscia, ma non c’è neanche un millimetro per le conseguenze che potrebbe procurare o l’ostinazione di un cavallo, o la più piccola disattenzione da parte dei conducenti. Il monte si eleva tra le nuvole lungo un fianco in maniera perpendicolare, con un precipizio straordinariamente profondo, e quasi altrettanto ripido dall’altro lato, senza nessuna parete, barriera, cinta, riparo di nessun genere. In fondo al precipizio scorre un fiume simile ad un torrente, che dalla strada non sembra più largo di una matassa di seta107.

Arrivati a Spoleto la prima cosa che curiosamente molti viaggiatori notano è l’iscrizione cinquecentesca, ma ritenuta da quasi tutti romana, posta sulla porta della città detta Porta Fuga nella quale si ricorda l’eroico episodio, da cui la stessa prende il nome, che vide protagonisti gli spoletini nel 217 a.C. quando, grazie ad una strenua difesa, riuscirono a respingere l’esercito di Annibale che, a detta di Tito Livio, aveva stretto d’assedio la città dopo la battaglia del Trasimeno108. Immancabile era la visita al cosiddetto Ponte delle Torri, opera molto apprezzata dai viaggiatori, costruito probabilmente tra Duecento e Trecento per convogliare le acque della sorgente di Cortaccione in città e per congiungerla con il Monteluco, celebre per il tartufo e la presenza di eremiti109. Tuttavia l’incerta datazione della struttura, secondo alcuni studiosi

106 A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., p. 90. 107 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 168-169; cfr. A. Miller, Letters from Italy, cit., pp. 293-294. 108 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 22-23. 109 Diversi sono i viaggiatori che registrano nei loro diari il fenomeno dell’eremitaggio presente sulle coste documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 192 eretta sui resti di un antico acquedotto romano, ha portato, per buona parte del Settecento, diversi visitatori a credere che si trattasse di un’opera degli antichi. Lalande, così come Volkmann e Goethe sono convinti di trovarsi di fronte ad un notevole esempio di costruzione romana; Addison invece la ritiene «gotica», così come l’abate Richard che la colloca al tempo di Teodorico, re dei Goti, aggiungendo che «non ha nulla che somiglia alle costruzioni dei Romani». È sempre Richard a fornirci una descrizione del ponte:

ha dieci grandi arcate, sostenute da nove pilastri di un’altezza prodigiosa; su di un lato del ponte, si alza l’acquedotto che porta l’acqua dalla montagna alla città, queste due opere unite hanno poco meno di quattrocento piedi di altezza, dal fondo della stretta vallata dove scorre il torrente, fino alla parte superiore dell’acquedotto […]. è stato eseguito in modo molto ardito, molto solido e conservato nella sua interezza. Siccome il ponte è senza parapetti da un lato, la gente del posto non manca di raccontare numerosi avvenimenti tragici di persone che sono cadute o che sono state buttate giù110.

Se sono in molti a visitare il Ponte delle Torri, fino a tutto il Settecento quasi nessuno sembra notare la seppur imponente e austera Rocca Albornoziana, costruita tra il 1359 e il 1370 sulla sommità del monte Sant’Elia che sovrasta la città di Spoleto, e quei pochi che lo fanno la ritengono per lo più brutta e ingombrante. Più visitato e citato è il duomo della città con alcune delle sue opere, tra le quali gli affreschi di Filippo Lippi, il quadro di Annibale Carracci Madonna con Bambino e i SS. Francesco, Antonio e Dorotea e l’Icone, opera bizantina raffigurante la Vergine111. Per quanto riguarda la città in sé per sé il giudizio espresso dai viaggiatori non è concorde. Rogissart la ritiene «una città molto bella, e nella quale c’è abbondanza di ogni cosa», per Vynckt «è di una grandezza accettabile, per la sua posizione sebbene in un terreno irregolare è incantevole», il marchese Sade scrive: «la posizione di Spoleto è incantevole […] l’aria eccellente»; per Caylus al contrario è «abbastanza deserta avendo un’aria povera, mal costruita e scomoda per la sua posizione alta e bassa», Brosses non si dispiace di non averla potuta vedere perché «tanto non ne valeva la pena», La Roque la ritiene «una molto antica, ma molto brutta città», per il tedesco Keyssler «è una città montuosa e d’aspetto spiacevole che ha in comune con altri miserevoli luoghi d’Italia il fatto che nelle sue iscrizioni molto si vanta di sé e di qualche bagattella meschina chi ivi è

del Monteluco. Si tratta di un fenomeno di origine antichissima risalente probabilmente al V secolo quanto sant’Isacco vi stabilì la sua dimora, seguito poi da altri (A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 25). 110 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 125; cfr. J. Richard, Description, cit., p. 432. 111 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 24. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 193 accaduta»112, impietoso il commento di Seume che la considera «un buco grande, vecchio, buio, brutto, misero», per Lady Morgan la città, oscura e maltenuta, non è altro che «una riunione di prigioni» sormontata dall’imponente fortezza che sfigura con la sua terribile immagine il paradiso della valle che domina113. Nonostante le spiacevoli impressioni riportate da Seume e dalla Morgan, nel corso dell’Ottocento, con la riscoperta dei movimenti artistici del Medioevo, Spoleto diventerà meta sempre più apprezzata. Per Percy Bysshe Shelley, ad esempio, è la più romantica città che egli abbia mai visto:

vi è un acquedotto di stupefacente altezza che unisce due montagne rocciose, sotto vi scorre un torrente che imbianca la verde e angusta valle con il suo ampio letto sassoso e sopra di esso vi è un castello apparentemente di grande solidità e di straordinaria grandezza che domina la città e i cui bastioni marmorei sono perpendicolari al precipizio. No ho mai visto un quadro più impressionante in cui le forme della natura sono del genere più stupendo, ma dove la creazione dell’uomo, sublime per la sua antichità e grandiosità, sembra predominare114.

Il romanziere francese Stendhal espresse grande ammirazione per «la passeggiata», il tratto di strada che dal centro storico si inoltrava nel verde dei colli circostanti 115; mentre il tedesco Gregorovius esaltò appassionatamente con le sue parole la bellezza della città:

Uscendo di mezzo ai monti, Spoleto appare bella come nessun’altra città, e soprattutto pittoresca, con la sua nera rocca, le molti torri massicce che la coronano, e le mura merlate […] . Quanto entrai in Spoleto si cancellò dalla mia mente l’immagine di ogni antico ricordo; sulla bella spianata una folla di gente elegante si pigiava; le strade erano simpatiche e linde, le case moderne, e un’aria di sereno benessere dava l’impressione più gradevole di una vita gaia e tranquilla […]. Le strade salgono il monte con lieve pendio, e graziose piazze le interrompono qua e là. Molti luoghi sono assai pittoreschi e veramente italiani, ma spesso sporchi e mal tenuti. Si vede ancora che questa città dominò in altri tempi una ricca regione e fu centro d’una monarchia, benché conti ora solo 9000 abitanti [...]. Ora il duomo, uno dei più antichi monumenti di Spoleto, sorge su una bella piazza, con lo sfondo pittoresco delle vette montane […]. Il duomo è oggi il più notevole monumento, l’ornamento maggiore di Spoleto, insieme con San Pietro, una chiesa di stile lombardo, degna di molta considerazione […]. In special modo pittoresco è l’acquedotto gigantesco che congiunge la città al monte Luco […] il Monserrato dell’Umbria […]. Una passeggiata nei boschi di querce del monte è vero godimento, l’erba balsamica esala il suo aroma, le brezze agitano le millenarie cime delle querce: appena si ode di tanto in tanto un suono, un fremito di campana: vi regna un silenzio divino. Di lassù si può rintracciare, nella sottostante campagna, la striscia bianca della via Flaminia, che sale fino alle porte della città e in lontananza si perde nella pianura. Ma più maestosa di ogni altra cosa appare la rocca che domina la città e la pianura, e che si stacca sui monti solenni: un dado turrito, dalle linee nobili e armoniche, uno dei

112 Citazione tratta da J. Sydow, Spoleto vista da viaggiatori tedeschi dal XVII al XIX secolo, «Spoletium », 1, 2 (1954), p. 24. 113 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 106. 114 Ivi, p. 101. 115 Si veda in proposito C. Vinti, Stendhal e la «Passeggiata» di Spoleto, «Spoletium», 29-30 (1985). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 194 più bei monumenti del medio evo116.

Stazione successiva è quella de Le Vene, situata nei pressi del cosiddetto Tempietto del Clitunno o Chiesa di San Salvatore, edificio di origine paleocristiana risalente alla fine del IV inizi del V secolo (alcuni studiosi lo collocano fra VIII e IX secolo), in parte costruito utilizzando probabilmente i resti di antichi edifici romani. Tra i tanti viaggiatori che vanno a visitarlo, attratti soprattutto dall’unicità del suo stile, in molti si interrogano sulla sua possibile datazione e registrano la particolare composizione dell’edificio. Sulla scorta della lettura di Plinio e sulla base delle loro conoscenze archeologiche diversi sono coloro che optano per la datazione più antica, ma c’è anche chi come Lalande scrive: «non mi parve di molto antico, ma la vista è pittoresca e graziosa», e continua fornendone un’accurata descrizione:

la sua pianta è un lungo quadrato; ha quattro colonne e due pilastri corinzi; le mura si allungano fino ai pilastri: ci sono due entrate sui lati che sono rovinate. La pianta di questo tempio è bella, la decorazione è sobria e di un buon stile; gli ornamenti ben lavorati, in particolare quelli che sono nel timpano; le scanalature a spirale delle colonne del tempio, e quelle che sono a foglia o a squame di pesce, la lunghezza del fusto delle due altre colonne di mezzo, sono leggere e gradevoli, e possono andare in questo edificio per la sua piccolezza. I capitelli dei pilastri sono differenti da quelli delle colonne. Le entrate del tempio sono sul lato, perché il davanti è sull’erta china che va al Clitunno. Il tempio è sopraelevato su di un basamento che gli dà grazia. All’interno c’è un altare gotico dove si dice la messa: ho letto sul fregio, Deus Angelorum qui fecit resurrectionem117.

Per le Fonti del Clitunno passò anche il poeta Byron che, rimastone piacevolmente affascinato, gli dedicò ben tre strofe del suo Pellegrinaggio del giovane Aroldo118.

116 F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, cit., pp.72-79. 117 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 150. 118 Queste le strofe che Byron dedica alle Fonti del Clitunno: «Ma tu, o Clitunno! dalla tua dolcissima onda del più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale, per guardarvi dentro e bagnare le sue membra ove nulla le nascondeva, tu innalzi le tue rive erbose lungo le quali pascola il giovenco bianco come il latte; o tu - il più puro Dio di acque miti, e il più sereno d’aspetto, e il più limpido, invero la tua corrente non fu profanata da carneficine - specchio e vasca per le più giovani figlie della Bellezza!/ E sulla tua felice sponda un Tempio, di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, sul mite declivio di una collina, il ricordo di te; sotto ad esso scorre la tua placida corrente; spesso guizza fuori da essa il dardeggiante pesce dalle lucenti scaglie, che dimora e giuoca nella tua cristallina profondità; mentre forse qualche sperduto fiore di ninfea passa galleggiando ove il flutto meno profondo ripete ancora le sue gorgoglianti novelle/ Non oltrepassare, senza benedirlo, il Genio del luogo! Se uno zeffiro più sereno giunge attraverso l’aria fino alla tua fronte, è suo, e se lungo il margine tu t’imbatti in un verde più attraente, se la freschezza della scena riversa il suo refrigerio nel tuo cuore, e per un istante lo purifica dalla polvere riarsa della stanca vita, col battesimo della Natura, - a Lui tu devi volgere le tue orazioni per questa pausa nel tuo disgusto». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 195 Dopo aver attraversato la bella e fertile piana di Spoleto si arriva a Foligno, situata in una pianura altrettanto fertile e rigogliosa. Quasi tutti i viaggiatori convengono sul fatto che Foligno sia un borgo bello e ricco in cui è possibile trovare, come scrive Guyot de Merville, «ogni sorta di mercanzia, e si può dire con tranquillità che è un vero porto terrestre». Fiorenti sono l’agricoltura e l’allevamento, rinomata è la manifattura della carta e le industrie di candele di cera e di confetti, a detta di molti i migliori d’Italia; tuttavia per il viaggiatore settecentesco a Foligno non sono molte le cose degne di attenzione. C’è il duomo che all’interno conserva la grande statua di san Feliciano, vescovo e protettore della città, il baldacchino sopra l’altare maggiore, fedele riproduzione di quello del Bernini in S. Pietro in Vaticano, ma soprattutto fino alla fine del XVIII secolo era possibile ammirare la Sacra Conversazione di Raffaello al tempo conservata presso il convento delle Contesse: Butler la definisce «uno dei più bei quadri del mondo», Anna Miller la considera «tra i capolavori di Raffaello», Addison parla di «incomparabile Madonna di Raffaello» Caylus la ritiene magnifica, Wright «quadro ammirevole»119. Anche Lalande parla del «bel quadro del Raffaello», ma non manca di riportare qualche critica: «la Vergine non ha un bel movimento, e lo stile del Bambino Gesù non è molto bello così come quello di S. Gerolamo, che è di grande bellezza […]. Questa tavola è dipinta con un po’ di aridità, ma il colore è molto vigoroso e abbastanza vero […]. il fondo del quadro non è felice, e il piccolo villaggio che vi è collocato non fa un troppo buon effetto». Nel 1797 il quadro passò dapprima nelle mani dei francesi (fatto questo che fu amaramente ricordato da diversi viaggiatori del primo Ottocento, tra cui Seume e Chateaubriand, che per questo non poterono godere della sua vista), poi, come ricorda anche Lady Morgan, l’opera ritornò in Italia pervenendo alla Pinacoteca Vaticana120. A Foligno era possibile vedere anche altre importanti opere quali in particolare quelle del pittore quattrocentesco folignate Nicolò Liberatore detto l’Alunno, che però iniziano ad essere notate e ammirate solo nell’Ottocento grazie alla riscoperta dell’arte dei «primitivi»121. Tra questi Gregorovius il quale, giunto a Foligno nel 1861, rammenta che oltre alla cattedrale la città possiede altre chiese note soprattutto per i loro quadri, tra queste la chiesa di San Nicolò che «possiede un capolavoro della scuola di Foligno, un quadro di

119 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 27-28. 120 Cfr. S. Morgan, Italy, cit., p. 308-309. Trasportata a Parigi come bottino di guerra di Napoleone, tra 1800-1801 venne effettuata la sostituzione del supporto pittorico dalla tavola alla tela. 121 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., p. 28. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 196 Nicolò Alunno, maestro del Perugino»122. Lasciata Foligno al viaggiatore si prospettavano tre alternative: proseguire per la via Flaminia attraversando Nocera Umbra, Cagli fino a Fano, ma le pessime condizioni in cui versava il tracciato ne sconsigliavano la percorrenza; dirigersi verso Perugia per raggiungere Firenze; oppure salire verso Colfiorito per arrivare a Loreto e Ancona, percorso quest’ultimo di gran lunga preferito dalla maggioranza dei viaggiatori, nonostante la strada pericolosa, costeggiata da profondi burroni senza protezione123.

Perugia, Assisi e dintorni Come già ricordato, fino a buona parte del Settecento l’interesse del viaggiatore per l’Umbria è limitato a poche attrattive; alla continua ricerca delle vestigia antiche egli non tiene conto delle tante città e cittadine umbre ricche di reminiscenze medievali, prive di quelle testimonianze e di quelle opere d’arte in grado di soddisfare il suo ideale estetico. Il rifiuto verso tutto ciò che era considerato gotico – cioè costruito a partire dall’età delle invasioni barbariche fino all’inizio del Rinascimento – e verso la pittura che andava dal Duecento alla fine del Quattrocento e, più in generale, il rifiuto del Medioevo, avevano tagliato fuori dagli itinerari di molti viaggiatori dell’età dei lumi città come Perugia e Assisi, già non favorite dagli stessi percorsi stradali. Inoltre i viaggiatori nord europei, anche non protestanti, erano poco propensi a recarsi nei luoghi in cui più forte era la presenza della Chiesa cattolica e dove tra l’altro si riteneva che fossero ancora vive «superstizioni» oscurantiste124. I pochi viaggiatori che passano per Perugia nel Settecento si limitano per lo più ad una fredda e sintetica elencazione di chiese, opere e monumenti considerati maggiormente degni di nota o liquidano la visita alla città con brevi e sommari giudizi. Il viaggiatore Rogissart, nel descrivere Perugia nella sua guida Les delices de l’Italie (1700), dopo aver ricordato le sue antiche e incerte origini, menziona alcune delle cose di più ragguardevole interesse, ma non vi dedica più di qualche riga, ritenendo la città di poca importanza e non molto considerevole di attenzione; l’abate benedettino Bernard de Montfaucon parla di una città spopolata e poco frequentata dagli stranieri e si limita a ricordare l’abbazia di S. Pietro, dove

122 F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, cit., p. 83. 123 A. Sorbini, La via Flaminia, cit., pp. 28-29. 124 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio del Sette-Ottocento, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1999, pp. 9-10. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 197 sostò, che ritenne essere «una delle più belle d’Italia», la Cattedrale «non […] molto bella» che «conserva l’anello nuziale di Nostra Signora» e la Fontana Maggiore definita semplicemente «molto bella». Tobias Smollet, medico e giornalista scozzese, giunto in Umbria nel marzo 1763 tormentato da problemi di salute e afflitto per la recente morte di una figlia, rimane profondamente insoddisfatto dal suo soggiorno perugino, a proposito di Perugia scrive solo che «possiede belle fontane e notevoli chiese con quadri di Guido Reni, Raffaello e Perugino»; succinto è anche il resoconto di Gabriel Francis Coyer che passò per la città nel 1764: «la città di Perugia ha dei palazzi, delle chiese e dei quadri che attirano i viaggiatori; si risentono i benefici di numerosi papi che la colmarono di privilegi per farle accettare la dominazione del Santo Seggio; mezzo infallibile per avere successo»125. Nel suo Italienische Reise Goethe, il più noto dei viaggiatori del Settecento, dopo aver soggiornato per una notte a Perugia ed essere ripartito il giorno dopo per Assisi commenta semplicemente «la città è in bella posizione»; tuttavia nel Tagebuch riconosce che «anche qui ci sono molte cose da vedere, che però lascio da parte. Prima di arrivare a Roma non voglio aprire gli occhi né sollevare lo spirito». Era tanto il desiderio di raggiungere Roma, meta agognata del suo viaggio, che non si sofferma nemmeno un attimo a dare uno sguardo alla città. Non migliore è la considerazione che i viaggiatori settecenteschi hanno di Assisi: l’avvocato fiammingo Vynckt ritiene che ad Assisi «non vi si trovano molte cose da vedere», il sacerdote Alban Butler parla di «misera e piccola città su una montagna impervia», il giornalista e commediografo Michel Guyot de Merville passa per Assisi ma non la visita dato che unica ragione della sua fama è l’aver dato i natali a san Francesco, il presidente Charles de Brosses asserisce addirittura di essersi guardato bene dal raggiungere la città francescana perché teme «le stimmate come si teme l’inferno» e lo scrittore tedesco Goethe la raggiunge solo per visitare il Tempio di Minerva costruito al tempo di Augusto, che, come appreso dal Palladio e dal Volkmann - il cui testo gli fece da guida durante il suo soggiorno in Italia - era ancora perfettamente conservato. Completamente rapito dalla bellezza della facciata del tempio, Goethe si disinteressa della chiesa di S. Francesco che definisce «triste» e degli altri mistici monumenti di Assisi con i loro celebri affreschi. Una delle poche voci fuori dal coro è quella del francese Lalande che nell’opera Voyage en Italy rivaluta entrambe le città umbre. Riferendosi ad Assisi non comprende il

125 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 12. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 198 disinteresse del viaggiatore dei lumi nei confronti di questa «posto così celebre per la cristianità»; si sofferma nella descrizione della figura del poverello di Assisi della quale, nonostante la sua simpatia per gli illuministi e il suo progressivo distacco dalla religione cattolica, ne riconosce la grandiosità, e fornisce della città una descrizione minuziosa ed esaustiva, fermandosi ad osservare il Sacro convento, le pitture di Giotto, Cimabue, Cavallini e il tempio della Minerva126. Lalande è anche il primo viaggiatore ad offrire di Perugia una descrizione accurata e puntuale. Egli vi soggiornò nel 1766 e visitò accuratamente la città, elencandone monumenti e opere d’arte, di cui spesso espresse giudizi piuttosto critici, raccontò origini e scopo delle principali accademie cittadine, parlò della storia millenaria della città, di cui dimostrò di essere un buon conoscitore, e si dispiacque del fatto che la città non conservasse testimonianze dell’antichità classica127.

Nell’Ottocento il gusto per il pittoresco e la riscoperta dell’arte gotica rivalutano Perugia agli occhi dei viaggiatori. Se la prima cosa che colpisce il viaggiatore romantico raggiungendo Perugia è la sua posizione, in cima ad un’alta, pittoresca e ripida collina che, come scrive Lady Morgan, «domina un panorama incantevole di cui il Lago Trasimeno è il tratto più stupefacente»128, entrando in città la desolazione e la miseria sono i due elementi che saltano subito all’occhio del visitatore. Il critico d’arte John Ruskin a cui si deve la riscoperta dell’arte dei «primitivi», di cui la stessa Perugia conserva notevoli testimonianze, delinea con poche ma efficaci parole il silenzio e la sensazione di abbandono che avvolgono la città:

È una città situata in ottima posizione, ed ha una piazza davvero interessante, ma è malinconica come Pompei. Mi è accaduto di giungere in una piazza con un nome simile a Monte di Sole, del tutto deserta. Le finestre prive di vetri, gli androni privi di porte; non v’era segno che qualcuno vi abitasse, se non per alcuni vasi di fiori che si scorgevano nei vani scuri dei balconi. L’erba cresceva rigogliosa sui gradini e sul selciato, e pur essendo una zona vicina alla parte più popolosa della città, vi regnava un silenzio più profondo che a Pompei129.

126 Cfr. A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio,cit., pp. 12-13. 127 Cfr. A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 12-13. 128 Ivi, p. 51; cfr. S. Morgan, Italy, cit., p. 294. Il Trasimeno viene in genere ricordato dai viaggiatori quale scenario della famosa battaglia annibalica. Byron in particolare nel suo Pellegrinaggio del giovane Aroldo lo eleverà a tappa d’obbligo del viaggio in Italia centrale. Si rimanda al volume di M. De Vecchi Ranieri e V. Costantini, Trasimeno Grand Tour, Perugia, Uguccione Ranieri di Sorbello, 2010, che raccoglie i testi in lingua inglese di alcuni dei più illustri viaggiatori che tra XIX e XX secolo hanno raccontato la storia, l’arte, la bellezza del luogo. 129 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 73. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 199 Non meno pregnante è la descrizione che ne dà Jean Jacques Ampère:

Arrivai in questa città in una brillante notte invernale; […]. Alle porte della città, di aspetto guerriero, e patria di numerosi grandi capitani italiani, avevo l’impressione di qualcosa di formidabile; questa impressione non diminuì affatto quando entrai nella città attraverso una larga strada costeggiata da palazzi muti; quando errai in altre strade più strette ai piedi di quelle vaste dimore ove non brillava neanche una luce, da cui non veniva alcun rumore, da dove non usciva nessuno; quando intravidi le gigantesche porte etrusche ingrandite dal chiarore della luna e dalla ombre della notte. Era proprio la triste Perugia, Perugia dolente130.

Città triste, malinconica, cupa ma allo stesso tempo seducente; l’alone di mistero e di decadenza che si percepisce per le strade e le piazze della città ormai in declino, tra gli antichi palazzi della nobiltà e del potere, è chiara testimonianza di un passato immutato di cui il viaggiatore dell’Ottocento è avido ricercatore. La scrittrice francese Louise Colet parla infatti di Perugia in questi termini:

Nulla di più pittoresco e di più triste che di questa vecchia e nefasta Perugia […]. Perugia non rassomiglia ad alcuna città conosciuta; si direbbe che è stata dimenticata durante i secoli in un paesaggio tranquillo. Man mano che entriamo nella città. L’impressione resiste e si incupisce; i pochi abitanti che incontriamo sono mendicanti, soldati svizzeri e austriaci, preti e monaci131.

Di come però si trasformi decisamente lo scenario in un giorno di mercato ce ne forniscono un’idea Charles Dickens e Nathaniel Hawthorne. Il primo passò per Perugia, «città ben fortificata dalla natura e dall’arte umana su di un’altura elevata che spunta improvvisa da una pianura dove montagne purpuree si mescolano al cielo lontano», in un giorno di mercato del giugno 1845:

il lastricato della piazza del mercato è cosparso di prodotti campestri. Lungo tutta la ripida collina che conduce fuori dalla città, sotto le mura cittadine, c’è una rumorosa esposizione di vitelli, di agnelli, di maiali, di cavalli, di muli e di buoi. Polli, oche e tacchini starnazzavano vigorosamente tra le loro zampe; e compratori, mercanti e spettatori, raggruppati dappertutto, bloccavano la strada mentre noi arriviamo giù strillando verso di loro132.

Il secondo, giunto in città nel 1858, ci offre nel romanzo Il Fauno di marmo un’immagine ancora più vivace del mercato perugino: descrive la piazza principale gremita e animata da una moltitudine di voci e di suoni, da una esuberante folla di mercanti e

130 G. Parisse (a cura di), Viaggiatori francesi in Umbria. Ottocento-Novecento, Chieti, Metis, 1990, p. 25. L’espressione «Perugia dolente» è ripresa dal VI canto del Paradiso dantesco; cfr. J.J. Ampère, La Grèce Rome et Dante. Ètudes Littéraires, Paris, 1865, p. 284. 131 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 123. 132 Ivi, p. 79. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 200 potenziali acquirenti, musici e saltimbanchi a cui faceva da cornice «la grandiosa antica architettura che si ergeva attorno alla piazza». La scena descritta da Hawthorne dovette colpire molto l’immaginario dei viaggiatori, la cui percezione come si sa risentiva fortemente del peso della mediazione letteraria. Qualche anno dopo infatti i coniugi Joseph ed Elizabeth Pennell, credendo di ritrovare la stessa ambientazione descritta da Hawthorne, rimasero profondamente delusi dalla placida calma che avvolgeva questa città medievale: «Che delusione! Una coppia di gendarmi, dei preti che camminavano due a due, pochi mendicanti, queste erano le persone che transitavano nell’ampia piazza [...] tutto è ora immobile e calmo»133. La mendicità così come la povertà sono segnalate da molti viaggiatori tra Sette e Ottocento e costituiscono uno dei temi ricorrenti in questo tipo di produzione letteraria. Sebbene si tratti di una caratteristica dell’intero territorio nazionale, essa viene notata maggiormente nelle aree storicamente più povere e arretrate della penisola: le terre meridionali governate dai Borboni e quelle soggette al potere temporale del papa. In particolare, la figura del mendicante rappresenta, sia nell’immaginario del viaggiatore romantico sia nella prassi letteraria, l’emblema dell’arretratezza economica e sociale delle terre rette dal potere pontificio. Da Perugia ad Assisi, da Terni a Spoleto, dal passo montano della Somma fino alle sponde del Trasimeno la presenza di poveri ed indigenti costituisce una costante che accomuna l’intero territorio regionale. Nella fiaba intitolata Le soprascarpe della felicità134, il noto scrittore e poeta danese Hans Christian Andersen,

133 E. Irace, Da «pittoresca» a «santa». I viaggiatori europei e la costruzione dell’immagine unitaria dell’Umbria, in S. Magliani (a cura di), L’Umbria e l’Europa nell’Ottocento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, pp. 124-126; cfr. J. Pennell e E. Robins Pennell, An Italian Pilgrimage, London, Seeley and Co., 1887, p. 134. 134 Uno dei protagonisti della fiaba una volta indossate le scarpe fatate di cui era giunto in possesso esprime il desiderio di venire in Italia e si ritrova magicamente in una carrozza in viaggio «nel cuore dell’Italia, tra Firenze e Roma» e più precisamente sulle sponde del lago Trasimeno. Se a prima vista il paesaggio poteva sembrare «un quadretto» quasi idilliaco, la realtà si manifesta subito essere ben diversa: «A migliaia volavano intorno a loro mosche velenose e zanzare, che invano cacciavano con un ramo di mirto: gli insetti pungevano ugualmente. Nessuno di quanti era in carrozza poté evitare che il viso gli si gonfiasse e sanguinasse per le morsicature. I poveri cavalli sembravano delle carogne: gli insetti si erano posati su di loro in grandi sciami, e solo per un momento si sollevavano quando il vetturino scendeva per raschiare la schiena di quei poveri animali. Il sole tramontò e un breve ma gelido brivido di freddo passò per tutta la campagna. Non era affatto piacevole, ma tutt’intorno le montagne e le nuvole assunsero i colori più belli, trasparenti e luminosi... ma andate voi stessi a vederli, è molto meglio che leggerne la descrizione! Era meraviglioso! E lo trovarono così anche i viaggiatori, ma lo stomaco era vuoto, il corpo stanco, e tutti desideravano di cuore trovare un alloggio per la notte. Ma come sarebbe stato? In realtà pensavano molto di più a trovare un alloggio che non a ammirare la splendida natura. La strada passava in mezzo a un bosco di olivi, era come viaggiare in patria tra salici nodosi e là si trovava una locanda solitaria. Proprio davanti stava una mezza dozzina di mendicanti; documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 201 traendo spunto dal viaggio compiuto in Italia tra il 1833 e il 1834 durante il quale passò per il Trasimeno, pernottando in un orribile albergo a Passignano tormentato dalle zanzare135, traccia un quadro veramente desolante della condizione di estrema povertà e miseria degli abitanti del circondario del Trasimeno136, proprio come aveva fatto Lady Morgan circa quindici anni prima. La Morgan, scrittrice irlandese di spirito anticattolico, particolarmente attenta alla condizione delle classi subalterne, giungendo in Umbria dal Granducato di Toscana aveva scritto: «gruppi di sfortunati coperti di stracci, che mostravano le loro figure smagrite fuori dalle spelonche oscure di Passignano, sono i primi esempi della condizione dei sudditi dello Stato della Chiesa»137, e, continuando nella descrizione, aveva osservato un notevole cambiamento nella fisionomia delle persone, rilevando un generale deterioramento delle condizioni di vita rispetto alla vicina Toscana:

Alcune donne smunte facevano nei campi i lavori maschili; gli uomini (e se ne vedevano pochi) bighellonavano svogliati, coperti fino al mento in mantelli scuri e cenciosi; ed entrambi assomigliavano così tanto ai contadini irlandesi in sembianze, espressione e nell’aspetto esteriore di povertà e miseria, che occhi irlandesi potrebbero ben piangere a vederli […]. Man mano che passavamo, tutti tendevano le loro mani per domandare carità con una supplica silenziosa: un’abitudine questa che imperversa dappertutto negli Stati Romani, anche dove il bisogno non si fa sentire, sembrava che fosse un istinto naturale138.

quello che aveva l’aspetto migliore sembrava il figlio primogenito della fame, quello che aveva raggiunto la maturità. Gli altri o erano ciechi o avevano le gambe rattrappite e strisciavano sulle mani, o avevano braccia ciondolanti e mani senza dita. Erano proprio la miseria in carne e ossa. ‘Eccellenza, Miserabili!’ sospirarono tendendo gli arti malati. La padrona della locanda andò verso gli ospiti a piedi nudi, coi capelli arruffati e vestita di un camicione sporco. Le porte erano tenute chiuse con le corde, il pavimento nelle stanze era fatto di mattoni rotti, volavano pipistrelli proprio sotto il soffitto, e c’era una puzza!». 135 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p.115. 136 Cfr. E. Irace, Da «pittoresca» a «santa», cit., pp. 130-131. 137 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 16. 138 Cfr. S. Morgan, Italy, cit., pp. 293-294. Il libro di viaggio della liberale Lady Morgan venne messo all’indice nello Stato Pontificio e proscritto nel Regno di Sardegna e nell’impero Austro-Ungarico. Il volume infatti criticava aspramente il regime pontificio, denunciando spesso lo stato di povertà e sfruttamento in cui era costretta a vivere gran parte della popolazione. Arrivata nei pressi della Cascata delle Marmore la Morgan si dispiace, ad esempio, di non aver potuto godere dello spettacolo offerto dalla «immacolata cataratta» poiché i muli e le carrozze da noleggio per andare a visitarla erano già stati prenotati da altri viaggiatori, ed essendo venuta a sapere dal proprio vetturino che i muli impiegati per trasportare gli stranieri alla Cascata erano monopolio del governo e «che nessuno poteva andare a vederla senza usufruire dei cavalli da nolo del Papa; e che, se qualcuno avesse tentato di farlo, sarebbe stato confinato nella Rocca per qualche mese», commenta amaramente e polemicamente: «invece del ricordo di una meraviglia della natura, splendidamente descritta da tanti, ne colleghiamo l’immagine al rammarico provato per una di quelle meschine espressioni di dispotismo che tanto opprimono le gioie quotidiane dell’umanità e che procurano disagi alla gente, in particolare ai più umili e ai diseredati» (A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini (a cura di), Il fragore delle acque, cit., pp. 83-84; cfr. S. Morgan, Italy, cit., pp. 314-315). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 202 Della sua visita a Perugia nel dicembre 1819 la Morgan ha modo di ricordare sia le opere d’arte custodite nelle chiese sia le voci dei prigionieri rinchiusi nella fortezza paolina, che strazianti e lamentose giungono all’orecchio del visitatore implorando la carità dei forestieri. Il quadro di tristezza e decadenza che emerge dalle sue parole deve essere imputato al peso opprimente del dominio papalino; è infatti sempre lei a ricordare che «sotto l’ultimo dominio francese, la città di Perugia era governata da un prefetto militare che introdusse molto dello spirito e della disciplina della sua professione nella società. Egli dava spettacoli, teneva assemblee e obbligava vecchi nobili imbronciati e immusoniti a smettere i loro grandi vestiti coperti di polvere e a vivere e vestirsi come dei gentiluomini», ora invece Perugia è «sotto la giurisdizione di un sacerdote, il prelato Spinola, che porta il titolo di governatore. Di conseguenza non vi furono più né balli, né riunioni ed i nobili poterono ripristinare i loro grandi abiti»139. Nonostante la critica per la mancanza di iniziative – che, a differenza di quanto avvenuto nel breve periodo di occupazione francese, animassero sotto il restaurato dominio pontificio la vita sociale e culturale cittadina, improntata su una politica di austerità e una logica conservatrice e tradizionalista, poco aperta alle novità sia politiche che culturali che stavano allora prendendo piede in tutta Europa – nel quarantennio che precede l’Unità non mancano a Perugia segnali, seppur timidi, di iniziativa intellettuale: accademie e salotti in particolare erano i luoghi privilegiati destinati alla cultura, in cui uomini colti potevano radunarsi e discutere di questioni filosofiche, artistiche, letterarie. L’Accademia dei Filedoni nata a Perugia tra il 1816 e il 1819 da una «società di conversazione» divenne nel corso dell’Ottocento un importante punto di aggregazione della società perugina e negli anni preunitari fu il centro della diffusione delle idee neoguelfe e liberali in città140. Nota fu anche l’attività promossa dalla marchesa Marianna Florenzi,

139 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 54-55; cfr. S. Morgan, Italy, cit., pp. 303-304. 140 Per approfondire in merito all’ambiente culturale a Perugia e nel resto della regione cfr. A. Lupattelli, I salotti perugini del sec. XIX e l’Accademia dei Filedoni nel primo secolo di sua vita (1816-19169), Empoli, Tipografia A. Lambruschini e C., 1921; F. Bracco e E. Irace, La memoria e l’immagine. Aspetti della cultura umbra tra Otto e Novecento, in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, p. 613-622 e F. Bracco e E. Irace, La cultura, in A. Grohmann, Perugia, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 301-396. La vivacità dell’ambiente culturale perugino – favorita oltre che da frequentati salotti e accademie anche dalla presenza dell’Università, di istituti di istruzione superiore e di forme di pubblicistica specializzata che avevano consentito il formarsi di una intellettualità professionalizzata – rappresenta un caso a parte rispetto al resto della regione, ma è pur vero che anche altrove la sola presenza delle accademie favorì una effettiva riorganizzazione della vita intellettuale cittadina. Nel periodo preuninatio, fatta eccezione per Terni, le accademie conobbero nelle altre città umbre una significativa ripresa. A seguito dell’inserimento dell’Umbria nel più ampio contesto nazionale – che ha consentito alla regione di arginare, anche se non di superare, il suo secolare isolamento – le accademie si costituirono come istituzioni culturali che se da documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 203 animatrice di salotti culturali nei quali erano soliti riunirsi intellettuali liberali, professori, artisti che conversavano amabilmente e appassionatamente di politica, filosofia, arte, letteratura. Dell’atmosfera che si respirava durante questi incontri e delle personalità che frequentavano questi salotti ce ne fornisce una interessante testimonianza Louise Colet, scrittrice francese che fu ospite della marchesa e di suo marito Evelyn Waddington nel giugno del 1860141:

La marchesa Florenzi quel giorno aveva a cena numerosi uomini distinti di Perugia, scappati alla proscrizione, nonostante le loro idee liberali; lo studioso dottor Francesco Bonucci, professore di filosofia e psicologia, autore di importanti opere scientifiche; il signor Pericle Mancini, professore di letteratura; il signor Guglielmo Ciani, lo scultore di cui vi ho già parlato; il professor Boschi, che era stato la mia guida attraverso Perugia, e il conte Montesperelli, poeta, archeologo, spirito nobile, cuore eccellente, uno degli amici più devoti della principessa Maria Bonaparte. La politica, la filosofia, l’arte e la poesia ci appassionarono volta in volta; chiacchierammo con quella animazione che ispira il sentimento, direi volentieri l’amore, per le cose di cui si parla142.

In queste discussioni la Colet ravvisa sincerità e genuinità di espressione, a differenza delle conversazioni parigine in cui «si dicono spesso cose non piacevoli, si scherza su tutto a fior di labbra, anche delle convinzioni più serie; si teme di sembrare commossi o seri e si dissimula l’entusiasmo e l’ammirazione come una debolezza, questo lo si chiama bel esprit». La Colet ammira ed elogia inoltre la naturale eleganza ed intelligenza della marchesa Florenzi, una vera :

madame de Stäel, tranquilla e serena, che non mira all’eloquenza e all’effetto, ma capace di trasmettere improvvisamente un pensiero raro e luminoso, facendo scaturire le deduzioni con una parola breve e precisa e per così dire corretta come un marmo greco. L’ho vista che ancora sfidava il tempo, sempre armoniosa e seducente, vestita di un abito di cachemire bianco, dalle pieghe morbide e numerose; la sua figura slanciata era avvolta in una giacca turca ricamata d’oro; i suoi occhi risplendevano sotto i ‘bandeaux’ bruni dei suoi lisci capelli; un po’ stancata dal viaggio della vigilia, essa stava stesa su di un divano e i suoi piedi di ragazza riposavano sul cuscino143.

Con il 1860, anno dell’annessione della Provincia dell’Umbria al Regno d’Italia, il contesto politico nazionale cambia radicalmente, ciò va ad incidere anche sull’ambiente politico e socio-culturale cittadino che risente inevitabilmente del fervore di rinnovamento

un lato cercavano di ampliare il proprio orizzonte intellettuale avviando contatti con esperienze culturali diversificate e più avanzate, dall’altro intendevano fungere da custode dell’identità storica, culturale e municipale. 141 I viaggiatori si muovevano con biglietti di presentazione che esibivano alle famiglie più importanti dei luoghi che visitavano al fine di trovare ospitalità nelle loro dimore. 142 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 128; cfr. L. Colet, L’Italie des italiens, II, L’Italie du centre, Paris, E. Dentu, 1862-1864, p. 224. 143 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 128-129; cfr. L. Colet, L’Italie, cit., pp. 224-225. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 204 unitario in atto nel paese. La cultura prevalentemente accademica e salottiera della prima parte dell’Ottocento, basata sull’erudizione e sull’esercizio mondano, si era aperta progressivamente a nuove inclinazioni e iniziative intellettuali e si era fatta portavoce delle correnti ideologiche contemporanee promuovendo una maggiore coscienza critica. Fattori quali una più vasta circolazione delle idee in grado di favorire il confronto e la discussione e la diffusione della stampa periodica erano stati condotti essenziali per la formazione di un’opinione pubblica e lo sviluppo di una coscienza nazionale sensibile agli ideali liberali, oltre che di una maggiore consapevolezza della realtà sociale e dell’attualità storica e politica, contribuendo così anche al cambiamento culturale in direzione risorgimentale144. Le trasformazioni avvenute a livello delle dinamiche politiche, sociali e culturali locali sono percepite anche da alcuni viaggiatori stranieri che giungono nella regione proprio negli anni in cui si realizza il cambio di governo145. Relativamente a Perugia significative sono le testimonianze della francese Colet, del tedesco Gregorovius e dell’inglese Thomas Adolphus Trollope. Questi personaggi nelle loro relazioni di viaggio ci forniscono un interessante quadro della situazione vigente a Perugia prima e dopo la liberazione della città dalla dominazione pontificia. Louise Colet, fautrice dell’Unità d’Italia, ci ragguaglia sulle condizioni della città circa un anno dopo l’insurrezione del 20 giugno, denunciando la brutalità delle truppe mercenarie del papa e delle milizie presenti in città al momento del suo arrivo, oltre alle angherie subite dalla popolazione inerme. Le parole della Colet ci danno l’idea di una città afflitta che stanca dei

144 Sulla stampa periodica nel periodo preunitario cfr. F.V. D’Alissandro, Il giornalismo umbro dalle origini al 1860, «Bollettino della Deputazione di storia patria dell’Umbria», 61 (1960), pp. 112-160; per il periodo postunitario cfr. C. Moretti, Perugia nella stampa periodica (1860-1880). Economia e spazio urbano, Perugia, Volumnia, 2010. 145 Ferdinand Gregorovius, ad esempio, passando per Terni, «città operosissima», di ritorno da Roma, registrò lo spirito di patriottismo manifestato da un grande sfoggio di tricolori e dalla «rivoluzione dei nomi» delle strade, dei caffè, degli alberghi: «Gli attuali avvenimenti politici hanno dato poi a Terni un visibile movimento. Terni, cittadina notevole, più grande di Narni, uguale a Spoleto per numero di abitanti e posta in una regione ubertosissima, aspira ad avere un significato politico. L’annessione all’Italia viene manifestata con grande sfoggio di tricolori; moltissime insegne di negozi sono dipinte in bianco, rosso e verde e anche nella tavola da pranzo al mio albergo è inalberato il tricolore. Dovunque è possibile si vedono i tre colori […] i moti italiani hanno provocato una vera rivoluzione nei nomi delle strade, dei caffè e degli alberghi; ed un viaggiatore che tornasse nella sua città dopo qualche anno di assenza non saprebbe più orientarsi. Dovunque c’è una piccola piazza con il nome di S. Maria o di S. Paolo, essa prende il nome di Vittorio Emanuele, ed un altro santo cede il posto a Cavour, a Garibaldi, a Ricasoli, ad altri uomini di spada o di governo. Sarebbe divertente contare le strade e i caffè che oggi in Italia sono intitolati a Garibaldi» (A. Brilli, S. Neri, G. Tomassini, Il fragore delle acque, pp. 130-131; cfr. F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, cit., pp. 67-69). A Spoleto osservò invece il declino politico seguito all’annessione sabauda, che aveva privato la città del suo status di città «capoluogo di provincia», a vantaggio di Perugia diventata unica vera capitale della regione (Cfr. ivi, p. 75). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 205 continui soprusi sia tutta schierata dalla parte della causa unitaria e contro il potere pontificio. Gregorovius, giunto in città un anno dopo, ci fornisce però un diverso punto di vista. Egli si dimostra buon conoscitore della situazione italiana sia passata che presente, oltre che attento osservatore dei fenomeni politici e sociali peculiari della penisola, formulando giudizi fondati su una lunga esperienza di vita sul suolo italiano cosa che li rende più scrupolosi e meno superficiali di quelli di buona parte dei viaggiatori stranieri 146. Lo studioso tedesco, impegnato in ricerche archivistiche riguardanti le relazioni tra Roma e l’Umbria nel Medioevo, ebbe modo di trattenersi per diverso tempo proprio nella regione e di osservare durante il suo soggiorno perugino l’ambiente politico, sociale e morale cittadino. Egli registra sia lo spettacolo licenzioso e indecoroso delle prostitute nell’ora della passeggiata che la presenza nei caffè di «giovani ufficiali in gruppi vivaci, pieni d’entusiasmo e di patriottismo», nota un sensibile «ristagno degli studi» dovuto ad una gioventù che sempre più diserta le lezioni per prendere le armi, mentre a proposito della nobiltà umbra osserva che «specialmente la perugina e quella che appartiene all’antico patriziato, è rimasta in gran parte fedele all’antico regime, temendo di venir soverchiata dalla democrazia, ed anche perché tutti i suoi interessi son legati alla Santa Sede» 147, ma, continua, è anche vero che:

la stampa è libera. Nella papale Perugia ora si vende liberamente la Bibbia del Diodati, come a Firenze, e presso i librai si trovano esposte al pubblico vivacissime invettive contro il papato. La Gazzetta dell’Umbria e l’ebdomadaria Roma e l’Italia, ambedue di Perugia, contengono di continuo articoli roventi contro i preti della regione e contro i cardinali di Roma. Così l’antico regime, costretto a limitarsi ad una opposizione del tutto passiva, è soverchiato dalla potenza del nuovo148.

Anche lo scrittore e giornalista inglese Trollope durante il viaggio tenuto nel 1862 ci dà atto dei mutamenti da lui osservati nell’assetto sociale cittadino proprio «a seguito del grande rivolgimento politico che qui ha avuto luogo in tempi recenti». Egli nota come dopo tali vicende in città fosse possibile scorgere segni di

miglioramento, sebbene non ancora così visibile e marcato come in alcune città della Toscana, dove il peso dell’oppressione, che è stato spazzato via, è stato meno severo e dove l’energia e le capacità di recupero del popolo erano meno provate ed intaccate [...] C’era più rumore nelle strade, si udiva il suono di voci umane. C’erano discussioni; nei

146 Cfr. A. Wandruska, L’Umbria del Risorgimento negli scrittori tedeschi, in Prospettive di storia umbra nell’età del Risorgimento. Atti dell’VIII convegno di studi umbri (Gubbio-Perugia, 31 maggio - 4 giugno 1970), s.l., s. n., 1973, pp. 522-524. 147 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 139. 148 Ivi, p. 140. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 206 caffè si leggevano i giornali. Una piccola parola, che udii per caso, mi suonò stranamente all’orecchio con una piacevole, costituzionale, sonorità inglese che sembrava piena della promessa di un brillante futuro […]. Le conversazioni su argomenti politici, che potevo udire a Perugia, erano tutte concorsi nel rappresentare questa parte del paese come ancora sofferente per gli effetti del disordine politico, ma, ciò nonostante, come ben predisposta verso il governo attuale, comprendendo perfettamente un cambiamento tale, come quello in atto in Italia, non può essere raggiunto senza ledere molti interessi e produrre un certo disagio, e ancora persuasa che il giorno che vide il cambiamento da un malgoverno pretino ad un sistema di governo istituzionale, potesse essere la nascita di una nuova era di prosperità e felicità per l’Italia149.

I percepibili segni di ripresa, il più vivace ambiente cittadino e la più sentita partecipazione sociale ai discorsi della politica risentono tuttavia ancora della pesante eredita lasciata dal malgoverno dei preti. Forte è la condanna di Trollope nei confronti del dispotismo pontificio che per secoli aveva oppresso i sudditi dello Stato della Chiesa. Come Lady Morgan aveva osservato oltre quarant’anni prima passando dalla Toscana all’Umbria, anche Trollope constata quanta differenza esista tra queste due limitrofe realtà: anche se finalmente non c’era più nessuna frontiera da attraversare «e nessun detestabile ufficiale Papale – lurido, insolente e servile» lo avesse affrontato «per fare le smargiasse e per lasciarsi corrompere […] la frontiera morale tra lo stato che da tante generazioni è stato avvelenato dalla sua soggezione al dominio Papale e quello della più fortunata Toscana è ancora, e per tanti anni dovrà rimanere, fortemente demarcata»150. Il disprezzo che è possibile leggere nelle parole di Trollope nei confronti del regime ecclesiastico, che richiama un’immagine dell’Umbria prototipo di quella visione che dell’Italia pontificia si era diffusa tra i paesi nordico-protestanti, nei perugini si trasforma in vero e proprio odio, in naturale avversione verso quel potere che aveva privato la città delle sue libertà comunali. Con l’uscita di Perugia, e dell’Umbria, dallo Stato ecclesiastico l’odio della popolazione si riversa inevitabilmente verso quello che dalla metà del XVI secolo aveva rappresentato il simbolo, la monumentalizzazione del potere pontificio, la Rocca Paolina; fatta costruire tra il 1540 e il 1543 da papa Paolo III dopo la cosiddetta «guerra del sale», venne smantellata pezzo per pezzo dai perugini nel corso degli anni successivi. Ce ne dà testimonianza lo stesso Trollope che parla del suo disfacimento con una certa

149 Ivi, pp. 144-145, 147; cfr. T.A. Trollope, A lenten journey in Umbria and the Marches, London, Chapman & Hall, 1862, pp. 107, 112. 150 N. Blakiston, Viaggiatori inglesi in Umbria nell’Ottocento, in Prospettive di storia umbra nell’età del Risorgimento. Atti dell’VIII convegno di studi umbri (Gubbio-Perugia 31 maggio – 4 giugno 1970), s. l., s. n., 1973, p. 511; cfr. T.A. Trollope, A lenten journey, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 207 soddisfazione:

Delle mie precedenti visite a Perugia, l’ultima era stata immediatamente dopo la sua definitiva liberazione dal governo papale; la distruzione dell’enorme fortezza costruita da Paolo III per rendere più efficace la repressione dei cittadini, era allora appena iniziata. Pochi edifici sono stati mai investiti da un odio popolare così grande, lungamente accumulato, e pochi lo hanno più ampiamente meritato. I perugini furono dai tempi antichi – ma potremmo ben dire che non cessarono mai di esserlo – un osso duro da rodere per i denti voraci della tirannia papale. Questa enorme Bastiglia era, al tempo della sua costruzione, il simbolo della distruzione finale della libertà a Perugia, come anche un provvedimento contro ogni possibilità di resistenza futura; ed è servita durante il lungo, tetro passaggio della tirannia pretina come una prigione senza speranza sopra la porta della quale potrebbe essere incisa la famosa epigrafe dell’inferno dantesco […]. Quando ritornai, nell’occasione di cui sto parlando, il buon lavoro di demolizione aveva fatto notevoli progressi […]. Sul muro della piazza di fronte alla vecchia entrata principale della fortezza, era stata messa un’iscrizione, così ironicamente satirica, che mi colpì nella sua semplicità. Diceva solamente che i magistrati di Perugia avevano demolito la fortezza, eretta per opprimere i cittadini, «per migliorare la vista della Piazza!»151.

I perugini non erano nuovi a questo tipo di reazione, già nel 1798 e nel 1848 avevano tentato una prima e poi più sistematica demolizione dell’inviso simbolo pontificio e ancor prima sul finire del Trecento avevano distrutto, dopo solo tre anni dalla sua costruzione, la Rocca del Monmaggiore, la più grande e famosa fortezza del tempo, anch’essa espressione del dominio ecclesiastico sulla città. L’imponente fortezza paolina per secoli aveva avuto quale scopo non tanto quello di difendere la città da attacchi nemici, ma di reprimere qualunque intento autonomistico oltre che ledere l’orgoglio del popolo perugino. A questo proposito interessante è notare come in molti libri di viaggio ricorrente sia il racconto di come i perugini furono beffati dal papa nella costruzione della Rocca Paolina, edificio che suo malgrado ha sempre attirato l’attenzione del viaggiatore152. Guyot de Merville scrive:

Il papa Paolo III per difendere i perugini, così almeno diceva, dagli attacchi dei loro nemici fece costruire questa cittadella; ma fu piuttosto per tenerli a bada, conoscendo molto bene lo spirito di questo popolo. In seguito si resero conto delle reali intenzioni del papa, quando però non c’era più rimedio. Si pentirono per i contributi che avevano pagato per la costruzione di questa fortezza e dicevano ‘Papa Paolo ci ha minchionato’. Si può ben dire che i perugini a questo riguardo hanno fatto come il cavallo, che si lasciò montare e imbrigliare affinché l’uomo potesse difenderlo dal suo nemico; ma da

151 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 145-146; cfr. T.A. Trollope, A lenten journey, cit., pp. 109-111. 152 Come osserva Alberto Sorbini, probabilmente questa leggenda si diffuse innanzitutto come giustificazione per far intendere che solo con l’inganno i perugini avrebbero potuto permettere una cosa del genere; in secondo luogo i viaggiatori non cattolici volevano in questo modo mettere in evidenza la slealtà e la doppiezza del papa. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 208 quel momento gli hanno sempre tenuto la briglia in bocca153.

Lalande invece commenta: «Il carattere indomabile dei perugini indusse il papa Paolo III a costruire la Cittadella che si vede ancora; ma assicurò che venisse iniziata con il pretesto di costruire un ospedale, e se gli abitanti fossero stati ingannati, non l’avrebbero mai permesso»; e, ancora, Lady Morgan:

Questa cittadella fu iniziata da uno dei più dispotici papi, Paolo III, con il pretesto di costruire un ospedale; e l’edificio era molto avanti (nella costruzione) quando i suoi turbolenti sudditi scoprirono che ciò che essi credevano l’opera della carità era invece del potere che lo destinata a fortificare quelle alture che Annibale aveva trovato inespugnabili, e a soggiogare quegli spiriti fra i quali il Papa temeva di ritrovare ancora un Forte Braccio!154 .

Il viaggiatore del Sette-Ottocento percepisce ancora un legame molto forte tra la Perugia a lui contemporanea e la Perugia medievale, non solo nell’aspetto ma anche nel carattere della gente, e nella nobiltà in particolare, che negli atteggiamenti e nei comportamenti sembra aver in parte conservato un’indole rissosa ed irascibile eredità di quel passato comunale, che tanto ha affascinato i viaggiatori ottocenteschi, in cui le sanguinose lotte e le rivalità tra ceti e fazioni per la conquista del potere costituivano tutt’altro che un’eccezione. Tale caratteristica viene trasfigurata in uno stereotipo, diffuso dagli autori dell’età moderna, che vede i perugini come popolo dall’animo bellicoso. Valery riferendosi a Perugia scrive: «il suo primo aspetto richiama ancora l’antica reputazione della brutalità dei suoi abitanti, senza dubbio molto mitigata»155. Anche Lalande spende alcune parole sul carattere litigioso del popolo perugino: «Il popolo perugino, come ho già detto, è ancora un po’ feroce, ci sono ancora molte lotte intestine; le gelosie e gli odi segreti di cui si è visto altre volte gli effetti funesti, talora si possono ancora trovare; la nobiltà è molto suscettibile e molto sensibile nell’onore», ma aggiunge anche: «da qualche anno mi hanno assicurato che l’istituzione dei Casini o luoghi di ritrovo dove le dame si recano tutte le sere, ha contribuito molto ad addolcire i costumi, a rendere la società più aperta e vivibile, e i giovani più amabili»156. Guyot de Merville riserva invece ai perugini parole dai toni molto più forti:

153 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p.33; cfr. M. Guyot de Merville, Voyage historique d’Italie, 2 v., La Haye, 1729. 154 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 51; cfr. S. Morgan, Italy, cit., p. 295. 155 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 57; cfr. Valery, Voyages historiques et littéraires en Italie, pendant les années 1826, 1827 et 1828, ou l’Indiateur italien, Bruxelles, 1835. 156 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 40-41; cfr. J.J. de Lalande, Voyage en Italie, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 209 sono molto malvagi, i nobili estremamente fieri e allo stesso tempo molto tignosi: ciò fa sì che sovente litighino per una semplice parola, magari equivocata o per un’azione di poco conto. Nel cercare la rissa, pretendono di dimostrare il loro coraggio; ma non ne hanno abbastanza per uscirne con onore. È talmente vero che quando si vuol far intendere che qualcuno ha usato prepotenza o tradito, si usa dire normalmente ‘fa come un perugino’. Infatti non amano decidere gli affari in faccia e fra gente onesta; ma quando si immaginano di aver ricevuto un qualche affronto, per vendicarsi si liberano dei loro nemici con il pugnale o con la pistola. È così che questi bravi finiscono le loro questioni. In più se si ha la sfortuna di avere una vertenza con uno importante tutti i suoi parenti ed amici prendono le sue parti; e non hanno nessuno scrupolo a mettersi in tre o quattro contro uno. Se una così grande bassezza regna fra la gente di qualità, figuratevi i disordini a cui può arrivare il popolo 157.

Questo severo giudizio è probabilmente legato ad un sentimento antitaliano che si ritrova spesso nella letteratura francese del Settecento e all’immagine di un’Italia arretrata ed arcaica, proprio come descritta dallo stesso Guyot de Merville nella sua opera, che contrastava con i valori del progresso sostenuti in Francia dai filosofi dell’Illuminismo. Nel Settecento infatti l’Italia aveva perso ormai il suo prestigio e il suo primato in svariati campi (letteratura, arti, scienze, filosofia e politica) e non esercitava più la stessa influenza sull’élite sociale e culturale francese; questo si riflette nei libri di viaggio scritti a partire dall’inizio del XVIII secolo, solo verso la fine del secolo si assiste ad un profondo cambiamento dell’interpretazione francese dell’Italia che diviene il paese dell’evasione, venendo riscoperta con rinnovato entusiasmo. Motivo principale della visita a Perugia è comunque la ricerca di opere d’arte e di monumenti in grado di soddisfare il gusto del viaggiatore romantico, che di questa città medievale, spopolata, deserta, «quasi priva di vita», è in grado di apprezzarne molte delle bellezze artistiche e architettoniche. Il francese Valery parla di Perugia come di «bella città abbastanza deserta, che una volta contava 40000 abitanti, e non ne ha più di 14000, ma che è interessante sotto l’aspetto delle arti, delle antichità e della letteratura», indicandone chiese, palazzi, monumenti, luoghi più significativi. Ma seguiamolo velocemente in alcune tappe della sua visita, che inizia con il convento dei benedettini di S. Pietro, «uno dei più grandi e dei più ricchi edifici ecclesiastici dello Stato romano», e l’annessa chiesa che «ha alcuni dei migliori quadri del Vasari, ed è notevole soprattutto per i bei intarsi in legno del coro, su disegni di Raffaello»; passa poi per S. Domenico «che ha conservato di gotico un’immensa vetrata colorata in fondo al coro di un effetto religioso»; la Cattedrale «di un ardito gotico» che «contiene la celebre Deposizione della Croce del Barocci»; San

157 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 33; cfr. M. Guyot de Merville, Voyage, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 210 Francesco che ha purtroppo «perduto la maggior parte dei capolavori che una volta la abbellivano»; il Palazzo del Comune «di un bel gotico»; la sala del Cambio «decorata dagli affreschi del Perugino»; l’Università «una delle più insigni d’Italia» (non mancando di ricordare alcune delle più note personalità accademiche dello studio perugino come Giovan Battista Vermiglioli, Giuseppe Antinori e Domenico Bruschi), e l’Accademia di belle arti «negli stessi locali dell’Università» che «contiene alcuni bei quadri, disposti cronologicamente, di pittori perugini»158. Oltre a quelli citati dall’erudito francese altri luoghi di interesse per i visitatori furono la Rocca Paolina, la chiesa di Sant’Agostino, l’Arco etrusco, il manicomio e a partire dagli anni Quaranta del secolo anche l’Ipogeo dei Volumni. Lady Morgan, come molti suoi contemporanei, rimane particolarmente affascinata dal Collegio del Cambio vero e proprio «gioiello» dell’arte gotica, esempio a suo giudizio più eclatante dell’opera del Perugino, «monumento alla perfezione del suo ingegno e della sua patriottica dedizione»; Hawthorne definisce gli affreschi del Cambio «straordinari», Valery parla di «pitture ammirevoli per fecondità, armonia, morbidezza», la Colet visitò la sala del Cambio per ben due volte così da poter ammirare nuovamente i «capolavori del Perugino»159. Sono proprio le opere del Perugino sparse per la città ad attrarre di più il viaggiatore ottocentesco160. L’inglese Ruskin che guarda al lavoro del Perugino con l’occhio del critico d’arte viene conquistato dai colori della pittura del maestro umbro che descrive con queste encomiastiche parole: «nel Perugino – e per questo gli ho riservato il primo posto dinanzi a tutti – semplicemente non c’è tenebra […]. Qualsiasi colore risulta seducente e tutto lo spazio è luce. Il mondo, l’universo appare divino, ogni tristezza rientra nell’armonia generale, ogni malinconia nella pace»161; il filosofo e scrittore tedesco Vischer definisce i suoi dipinti «intensi», mentre Mercey lo chiama «grande artista». Hippolyte Taine giunto in Umbria nel 1864 fu invece uno dei primi visitatori di rilievo della pinacoteca da poco aperta, dove ebbe modo di osservare e analizzare le opere di Beato Angelico e del Perugino i cui «corpi appartengono al Rinascimento, le anime al medio evo». Una ragione in più per visitare Perugia nella prima metà del XIX secolo fu la scoperta

158 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 57-62; cfr. Valery, Voyages, cit. 159 A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 17-18. 160 Come nota Alberto Sorbini, oltre ai capolavori della sala del Cambio e del Perugino tra le opere più citate vi sono la Deposizione dalla croce del Barocci, quelle del Vasari nella chiesa di S. Pietro, quelle di Raffaello, più o meno correttamente attribuite, mentre in pochi si accorgono del . 161 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 124. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 211 di necropoli e oggetti etruschi. Gli etruschi nell’Ottocento conobbero vasta fortuna per la componente di mistero che li accompagnava e per il richiamo alla morte che li contraddistingueva, entrambi caratteri integranti della sensibilità romantica162. Il ritrovamento nel 1840 della tomba della ricca e nobile famiglia etrusca dei Volumni, risalente al III secolo a.C. e facente parte della vasta necropoli detta del «Palazzone», ha costituito un ulteriore motivo di attrazione per il viaggiatore ottocentesco. Per l’umanista e archeologo inglese George Dennis la visita all’Ipogeo rappresentò addirittura una tappa fondamentale per la sua vita: «che il viaggiatore per nessuna ragione tralasci di visitare la tomba dei Volumni […]», scrive Dennis , e aggiunge:

Per me essa ha più di un semplice fascino. Mi ricorderò sempre l’anticipazione di delizia con la quale saltai giù dalla vettura in un giorno di canicola […] entrai nella buia caverna, osservai i caratteri misteriosi sul portone, intravidi le urne nell’oscurità. Vidi il gruppo familiare al banchetto sepolcrale e la solenne desolazione delle celle circostanti […]. Tutto era così strano, così nuovo, era come una favola, non una realtà o piuttosto era la realizzazione delle immagini di palazzi sotterranei e di personaggi incantati che la fantasia giovanile aveva tratto dalle Mille e una Notte e aveva messo da parte nei recessi della memoria, tutt’un tratto tornare alla luce. Le impressioni ricevute da me in questa tomba, per la prima volta diressero la mia attenzione alle antichità etrusche163.

Anche Jane Westropp, che soggiornò a Perugia per un mese, avendo modo di perlustrare a fondo la città, non mancò di far visita alle tombe etrusche recentemente scoperte, trovando «molto interessante stare nel cimitero di una razza da molto tempo estinta». Il manicomio fu una delle istituzioni più apprezzate dai viaggiatori a Perugia; aperto nel 1824 aveva sede presso il Convento delle Benedettine di S. Margherita. La notevole fama che acquistò tale struttura non solo in Italia ma anche all’estero ne fece tra i viaggiatori una ragione di visita164. Hillard ci dice:

Sul finire del giorno ho fatto visita all’Istituzione per i malati di mente, che ha la reputazione di essere tra le migliori in Italia. L’ubicazione è estremamente bella. Sono andato senza nessuna presentazione ma non ho trovato nessun ostacolo alla mia visita e sono stato condotto in ogni parte dell’edificio con molta cortesia. Ci sono solitamente circa settanta pazienti, dei quali alcuni si autosostengono ed altri sono sostenuti dalla spesa pubblica. Le strutture dei bagni sono ottime ma la ventilazione era piuttosto difettosa. I pavimenti sono di mattoni e d’inverno si usano stufe a legna per riscaldarle. Tutto era molto pulito e in ordine […] Ogni finestra dell’edificio domina su di una prospettiva incantevole e questo non può che avere una influenza favorevole sulla salute

162 Cfr. A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 18-19. 163 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 125. 164 Cfr A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp.19-21. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 212 mentale degli internati165.

Particolarmente interessante e dettagliata è la descrizione fornita dalla Westropp, che ne elogia la conduzione, l’ubicazione, la pulizia dei locali, i metodi applicati per la cura dei pazienti ivi ricoverati con i quali cerca di interagire, osservandoli e immaginando la loro storia166. Oltre alla descrizione dei luoghi visitati (chiese, conventi, Università, manicomio, gallerie private, Rocca Paolina, tombe etrusche, ecc.) e alle impressioni suscitate dall’osservazione di opere e monumenti, le parole della Westropp definiscono anche alcuni tratti del folclore e dell’ambiente cittadino che spesso sfuggivano all’attenzione di molti suoi frettolosi contemporanei: dalla solenne festa del sant’Anello167, a cui la Westropp assiste con sentita partecipazione offrendo con entusiasmo un braccialetto da sfregare contro la sacra reliquia, alla cerimonia di monacazione della giovane Rosa, nella quale alterna alla

165 Ivi, p. 81; cfr. G.S. Hillard, Six months, cit. 166 Cfr. A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., pp. 89-90; J.E. Westropp, Summer experiences of Rome, Perugia and Siena in 1854, London, W.Skeffington, 1856. 167 Il culto del Santo Anello a Perugia ha inizio nel 1473, quando un frate francescano tedesco rubò la sacra reliquia dalla cattedrale di Chiusi, dove era custodita, per portarla nel suo paese, ma lungo la strada fu bloccato da una prodigiosa nebbia a Perugia, città a cui decise di donarla. Il cerimoniale legato al Santo Anello si andò sviluppando e modificando nel corso del tempo e prevedeva l’esposizione della reliquia alla pietà dei fedeli, sia locali che pellegrini, più volte nel corso dell’anno. Questo fece di Perugia un polo di particolare attrazione devozionale, rendendola area di passaggio anche per i pellegrini diretti ad Assisi, Santa Maria degli Angeli e Loreto. L’ostensione del Santo Anello era sempre scandita da una suggestiva solennità. Tra XV e XVI secolo le ostensioni istituzionalizzate nel corso dell’anno erano tre, cioè quella del 19 marzo, festa di S. Giuseppe, patrono della compagnia depositaria e custode della reliquia, e il 2-3 agosto, data oculatamente scelta perché legata ad un’altra pratica penitenziale, l’indulgenza della Porziuncola, il cosiddetto «Perdono», che si ottiene ad Assisi nei primi due giorni di agosto e richiama un gran numero di fedeli. La Westropp giunta a Perugia proprio nel mese di agosto colse l’occasione per partecipare all’evento. La viaggiatrice inglese ricorda dapprima che il sant’Anello veniva generalmente esposto solo in caso di visita di qualche personaggio illustre e nei giorni del 30 luglio e 2 agosto, ci fornisce poi una dettagliata descrizione della cerimonia e dei riti tenuti in tale occasione: «Poiché la discesa doveva avvenire alle undici precise, andai a vederla. La piccola cappella era piena di preti in abito talare vellutato e portavano delle catene d’oro e tutto intorno si inginocchiò la gente. La cappella è separata dalla chiesa solo da una grata. Proprio quando l’ora scoccò, le trombe suonarono ed un coro irruppe cantando, mentre la cassa lentamente scendeva per essere collocata su un tavolo preparato apposta davanti all’altare; le tendine e la cassa esterna furono rimosse ed il reliquiario venne aperto, esponendo il «Santo Anello» alla visione del pubblico. Quando la cappella venne parzialmente illuminata, andai a vedere il tesoro da vicino, ma non era permesso rimanere a lungo, poiché gli alabardieri ti facevano entrare in una porta, vedere il reliquiario ed uscire da un’altra. Un prete stava in piedi lì vicino e i rosari e le croci, ecc. gli venivano consegnati per essere strofinati contro il vetro che separa l’anello. Gli consegnai il mio braccialetto che fu sfregato e poi mi fu restituito. Doveva essere un buon braccialetto. Era fatto di grani di un rosario, un frutto di Gerusalemme, poi fu benedetto dal Papa ed ora è stato sfregato contro l’anello nuziale di Maria! Alle quattro precise il permesso di guardare era terminato e la cassetta fu rimessa al suo posto dove sarebbe rimasta in pace per un anno» (A. Sorbini, Perugia nei libri di viaggio, cit., p. 83; cfr J.E. Westropp, Summer experiences, cit). Sul culto del Santo Anello si rimanda al volume Il Santo Anello. Leggenda, storia, arte, devozione, Perugia, Comune di Perugia, 2005. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 213 descrizione degli aspetti liturgici, considerazioni personali sulla trasformazione di Rosa in Suor Maria Crocefissa, dalle processioni e dai tridui solenni per il colera, alle fiere della Madonna di Monteluce e Santa Giuliana fino alle passeggiate serali per il Corso dove era possibile acquistare dolci e gelati buoni ed economici, oltre che libri, quadri e stampe antiche168.

Con la rivalutazione estetica dell’arte dei «primitivi» e con il richiamo dato dal francescanesimo, anche Assisi da tappa dimenticata e bistrattata diventa per il viaggiatore appassionato di arte gotica o interessato alla fede una vera e propria meta del viaggio in Italia, come testimoniano le parole dello storico francese Ernest Renan:

Assisi, amico mio, è un luogo incomparabile e sono stato ricompensato dalla pena che mi sono dovuto dare per visitarla. Figurati, la grande leggenda popolare del Medio Evo tutta intera nelle chiese sovrapposte, dipinta da Giotto e Cimabue. La città è ancora più antica dei suoi monumenti. È completamente medievale, strade intere abbandonate sono rimaste pietra per pietra quelle che erano nel secolo XIV…la profusione dell’arte sorpassa ogni immaginazione. […]. La tinta mistica e poco razionale dello spirito umbro (qui è la sua inferiorità in confronto alla Toscana così intellettuale) è sensibile in questo luogo ancora pieno del secondo Cristo del Medio Evo169.

A questa rinnovata fama concorrono quindi da un lato le testimonianze e i capolavori dell’arte gotica di cui la città conserva notevoli esempi, dall’altro la riscoperta della leggenda e dell’esperienza mistica francescana, che soprattutto a partire dal tardo Ottocento contribuirà a diffondere della regione il fortunato stereotipo di Umbria «mistica e santa». Intorno ai primi anni Trenta dell’Ottocento l’erudito francese Valery riferendosi ad Assisi aveva parlato di «città, triste, deserta, monastica, ripiena di S. Francesco»; «museo» e «santuario della pittura cattolica del medioevo» l’aveva invece definita qualche anno prima lo storico e letterato Jacques Antoine Ampere durante uno dei suoi viaggi in Italia alla ricerca dei luoghi danteschi. In queste due affermazioni si ritrovano tutti gli aspetti più significativi dell’immagine che di Assisi ebbe il viaggiatore dell’Ottocento. L’aspetto triste e desolato, come per Perugia, fa parte del fascino della città ed è una delle prime cose che i visitatori notano arrivando ad Assisi, così come non passa inosservata la presenza di monaci e frati, che costituisce uno dei tratti caratteristici dell’intera regione170. «Assisi è proprio la

168 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., pp. 133. 169 Ivi, p. 132; cfr. E. Renan, Corrèspondace 1847-1892, 3.ed., Paris, Calmann Lévy, 1898. 170 Commenta Gregorovius: «Dovunque io mi sono fermato ho veduto monaci. L’Italia non se ne libererà mai, mai potrà bandirli del tutto dalle sue terre. Essi appartengono alla terra come i suoi fiori e i suoi documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 214 più triste di tutte le città», scrive Mercey, «la sua cittadella abbandonata e le mura fiancheggiate da torri circolari che circondano la città si difendono solamente per la loro massa. Assisi sembra dunque mezza morta, e, a dire il vero, non esiste che per le sue chiese e i suoi conventi; deve aver avuto tuttavia, nell’antichità, una certa importanza, a giudicare, almeno, da questo portico con le colonne scanalate, resto, si dice, di un tempio di Minerva che è stato trasformato nella chiesa di Santa Maria della Minerva. Assisi non esiste egualmente che per il ricordo di S. Francesco»171. Tutt’altra atmosfera è quella che sprigionano le suggestive pagine su Assisi scritte da Hippolyte Taine. Il suo sguardo si posa dapprima sulla ridente campagna e si allarga poi fino all’orizzonte dove «una cerchia di montagne, e le nevi lucenti ed immacolate si confondono con l’argento delle nuvole», dopodiché la sua attenzione si sposta sulla gente, le loro abitudini, i loro comportamenti. Giunto in città in una domenica di aprile del 1864 scorge ovunque contadini che cantano,

gli abitanti portano le scarpe grosse, gli abiti modesti; non cenciosi. Sono molto allegri, e conversano e ridono nella piazza; alcuni giocano alle bocce, altri a piastrella, altri a morra. Le locande e le case non sono né più povere, né più indecenti di quelle in Francia […] la locanda si riempie di gente, e la figlia dell’oste arriva accompagnata da sua madre, in abiti vistosi, con un velo nero in testa e un bel sorriso sulle labbra. Gaiezza brillante e provocante della fanciulla; i giovanotti cominciano ad aggirarsi attorno a lei, con quella tenera compiacenza, con quell’aria estatica e voluttuosa, che è propria degli Italiani172.

Al contrario di Taine la scrittrice francese Frances Eliot vede mendicanti ovunque: vicino alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, dentro la chiesa, sul prato di fronte alla Basilica di San Francesco; oltre al fastidio che le arrecano, nelle parole della Eliot si percepisce un atteggiamento sprezzante che ben emerge quando riferendosi alle loro abitazioni parla di «tane», quasi si trattasse di bestie e non di esseri umani173. Il tour del viaggiatore romantico per Assisi si costituisce di tappe ben definite: si visitano innanzitutto le sue chiese a partire da quelle di San Francesco e di Santa Chiara, si

animali. I cappuccini, gli zoccolanti, i benedettini, gli scolopi ed i vari altri Ordini non sono stati affatto soppressi, benché monasteri di altri Ordini siano stati chiusi per la legge Siccardi. I possedimenti della Chiesa, estesissimi nell’Umbria, sono stati sequestrati e non venduti». 171 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 87; cfr. F.B. de Mercey, La Toscana, cit. 172 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 135; cfr. H. Taine, Voyage en Italie, II, Florence et Venice, Paris, Hachette, 1866; trad. it., Viaggio in Italia, a cura di A. Roggero, Torino, Unione Tipografico- Editrice Torinese, 1932. 173 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 23; cfr. F. Eliot, Diary of an idle woman in Italy, London, Chapman and Hall, 1871, II. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 215 passa poi per la Chiesa Nuova e il Duomo, ci si ferma ad osservare il Tempio della Minerva e infine si ridiscende per visitare la basilica di Santa Maria degli Angeli e la Porziuncola 174. In pochi si recano invece all’Eremo delle Carceri, sul monte Subasio, tra questi Joseph von Kopf e Trollope che rimangono entrambi piacevolmente affascinati dal bel panorama che si staglia davanti ai loro occhi. «Oasi di verde, straordinariamente ricca di fiori selvatici», scrive Trollope, «primule, violette, e crochi, che fioriscono sotto l’ombra dei lecci; e soprattutto se calcoleranno la loro visita in modo da godere la camminata di ritorno dalla collina, quando il sole al tramonto indora il panorama dei pendii della montagna a sud- ovest, dall’estrema bellezza della veduta dominante dal sentiero a terrazza lungo il dirupo del Subasio»175. Se nel Settecento l’edificio più ammirato dai viaggiatori era stato il tempio della Minerva, tanto decantato da Goethe, lo sguardo del viaggiatore romantico si posa ora sulla basilica di S. Francesco e sui suoi celebri affreschi, magnifico esempio del fervore artistico tra Due e Trecento, «apogeo dell’arte», «capolavoro del cristianesimo mistico», fortunato incontro tra fede ed espressione artistica, che farà della Basilica uno dei luoghi più importanti per l’arte gotica italiana ed europea. Di come sia cambiato il gusto estetico tra Sette e Ottocento ce ne dà testimonianza l’americano Joseph Pennell che annota: «Goethe, quando fu ad Assisi, visitò l’antico tempio romano di Minerva, e così, affinché non fosse turbato tale piacere, si rifiutò di guardare qualsiasi altra cosa nella città e se ne andò rapidamente per la sua strada. Ma quando passai dalla luce del giorno alla buia chiesa inferiore e, sotto i bassi e rotondeggianti archi, all’altare sovrastato dagli angeli e dai santi di Giotto, mi sembrò che Goethe, a causa del suo grande amore per la bellezza classica ci avesse rimesso»176. Per Valery la chiesa inferiore è «scura, austera, respira penitenza e tristezza […]. I quattro poetici riquadri della volta della crociera, rappresentano le Virtù principali praticate da S. Francesco, tali quali la Povertà, la Castità, l’Obbedienza, così che la sua Glorificazione, i più begli affreschi di Giotto, mostrano a quale punto egli aveva sorpassato il suo maestro Cimabue»; egli definisce la Crocifissione «la migliore opera di Pietro Cavallini», mentre ritiene i gruppi delle Sibille e dei Profeti del pittore assisiate , ma che lui attribuisce ad Andrea di Assisi, «le pitture più perfette di tutta la

174 Cfr. A. Brilli (a cura di), Assisi. Nella città di S. Francesco, Città di Castello, Edimond, 2000. 175 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 134; cfr. T.A. Trollope, A lenten journey, cit., pp. 127-128. 176 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 187. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 216 basilica»177. Il fascino dettato dall’oscurità e dal mistero della basilica inferiore colpisce particolarmente il viaggiatore nella prima parte dell’Ottocento, in quanto rispecchia pienamente i canoni dell’estetica romantica. Più sommaria e sbrigativa è la descrizione che Valery dà della chiesa superiore, la quale, seppur apprezzata, attrae di meno rispetto alla basilica inferiore, ma che a partire dall’ultimo scorcio dell’Ottocento stimolerà sempre di più l’interesse dei visitatori: «brillante, luminosa, forma un abile contrasto con la chiesa inferiore. Gli affreschi di Cimabue, i migliori di questo Ennio della pittura, come l’ha soprannominato Lanzi, sono sorprendenti per il loro tempo; quelli di Giotto sono sempre ammirevoli»178. Il sacerdote cattolico Gaume, che presumibilmente visitò Assisi nella seconda metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, definisce la città «paradiso dell’Appennino», «Eden del medio evo, da dove uscì uno degli uomini più meravigliosi che la Provvidenza abbia mai impiegato per la rigenerazione del mondo»; si riferisce ovviamente a san Francesco di cui ripercorre la storia e ne descrive la figura in un’atmosfera pregna di spiritualità, misticismo e solennità e a proposito della basilica scrive:

La chiesa inferiore, immagine di san Francesco sulla terra, respira la tristezza, la povertà la penitenza. Nei comparti della volta del transetto, voi vedrete gli inseparabili compagni o, per meglio dire, la personificazione del glorioso patriarca; è la santa povertà, la santa obbedienza, la santa castità, e più in alto la glorificazione di Francesco, assiso su un trono d’oro, raggiante di luce, rivestito della ricca tunica di diacono, e attorniato dai cori angelici che celebrano il suo trionfo. L’occhio ammira questi capolavori, il cuore prega davanti a queste figure, e lo spirito domanda chi è l’autore di queste pagine ispirate […]. La chiesa superiore, brillante, luminosa, immagine di Francesco negli splendori dell’eternità, forma un abile contrasto con la chiesa inferiore179.

Dalla lettura di questi resoconti si nota come con la rivalorizzazione dell’arte gotica maestri del calibro di Cimabue e Giotto in particolare, conoscano grande fortuna, soprattutto

177 Ivi, pp. 82-83; cfr. Valery, Voyages, cit. 178 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 83; cfr. Valery, Voyages, cit. 179 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., pp. 97-98; cfr. J.J. Gaume, Les trois Rome. Journal d’un voyage en italie, 3 v., Paris, 1848, III. La prima tappa di Gaume era stata la chiesa di Santa Maria degli Angeli dove aveva apprezzato l’affresco del pittore tedesco Overbeck, dipinto nel 1829 sulla parte superiore della facciata della Porziuncola. Il giudizio dei viaggiatori su tale dipinto non fu condiviso da tutti, se per Gaume è «un capolavoro della rinascita cattolica dell’arte» per Hyppolite Taine, invece, «gli affreschi di Overbeck sono dei pasticci». Sempre Gaume si sofferma nella descrizione del Pellegrinaggio del Perdono che secondo la leggenda francescana sembra aver avuto origine da una concessione fatta a Francesco da papa Onorio III, grazie alla quale coloro che si fossero recati in pellegrinaggio alla chiesetta della Porziuncola in un dato periodo (stabilito fra i vesperi del 1 agosto e quelli del giorno seguente) avrebbero ottenuto tramite indulgenza plenaria la salvezza della propria anima. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 217 a partire dalla seconda metà dell’Ottocento180. Non meno interessante è la descrizione resa delle due chiese che, come visto, in alcune relazioni si carica di una particolare suggestione e di un forte significato simbolico 181. Ciò che colpisce di più è il contrasto tra la massiccia oscurità della chiesa inferiore, tipica della tradizione degli edifici romanici, che richiama alla vita terrena, all’esperienza di povertà e penitenza del santo e la radiosa luminosità, che caratterizza il gotico maturo, immagine dell’eternità e della luce di Dio che non fa che rimarcare quell’intimo legame tra arte e spiritualità che, per usare le parole di Trollope fa di Assisi «un grande monumento alla memoria di S. Francesco. […]. Perfino la bellezza attuale del luogo, molto notevole, non sarebbe esistita. Infatti essa dipende principalmente dalle caratteristiche architettoniche, che sarebbero mancate al paesaggio, se gli artisti migliori in ogni campo, che il tredicesimo secolo poteva fornire non avessero avuto motivo di riunirsi per onorare la memoria di Francesco il Santo»182. Anche il paesaggio quindi sembra risentire della presenza del santo, come ci confermano le parole di Gaume e dell’avvocato americano Hillard. Il primo scrive: «Seicento anni sono trascorsi dopo l’apparizione del Serafico; e come un dolce profumo, il suo ricordo imbalsama ancora tutte queste vallate, queste montagne, città, villaggi, luoghi solitari dell’Umbria»183; il secondo analogamente annota: «Ma quando andiamo ad Assisi e vediamo e avvertiamo quanto ogni luogo nel paesaggio sia identificato con il santo e rievochi la sua presenza, è difficile credere che ci sia un vuoto di più di sei secoli tra noi e lui».

180 Riferendosi a Giotto, ad esempio, la Westropp vede nelle sue pitture «un fascino inesprimibile», per Frances Eliot gli affreschi della chiesa inferiore sono «nitidi, luminosi e di estrema bellezza», mentre Henry James lo definisce «meraviglioso e straordinario maestro», «genio di suprema espressività» che «possiede una forza incommensurabile», ma c’è anche chi come Mommsen non rimane per niente affascinato dalla sua arte (A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., pp. 16-17). 181 Taine in particolare paragona la basilica al mondo dell’aldilà: «se ci si lascia andare alle congetture, si potrebbe credere che nei tre santuari, l’architetto abbia voluto rappresentare i tre mondi: in basso, l’ombra nella morte e l’orrore del sepolcro infernale; nel mezzo, l’ansia appassionata del cristiano che prega, lotta, e attende nella nostra terra di prova; in alto la gioia e la gloria abbagliante del paradiso» (Ivi, pp. 136-127; cfr. H. Taine, Voyage, cit.). La cripta è quindi l’Inferno, la chiesa inferiore il Purgatorio, quella superiore il Paradiso. 182 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., pp. 125, 126; cfr. T.A. Trollope, A lenten journey, cit. 183 A. Sorbini, Assisi nei libri di viaggio, cit., p. 93; cfr. G.S. Hillard, Six months, cit. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 218 Umbria mistica e verde: nascita di uno stereotipo

Le testimonianze sopra riportate attestano che ancor prima che si canonizzi l’immagine dell’Umbria santa e mistica, già nel corso dell’Ottocento molti viaggiatori avevano riconosciuto la centralità della figura di san Francesco per la cittadina umbra e un forte legame tra arte umbra, ambiente regionale, con le sue connotazioni paesistiche, ed esperienza del santo assisiate. Nell’ultimo quindicennio del secolo l’universalità del santo è stata poi sancita dalla diffusione di opere, in particolare quelle di Henry Thode e di Paul Sabatier, che oltre ad inaugurare un ampio filone di studi centrati sulla figura del santo e sull’esperienza francescana, influenzarono la percezione dei viaggiatori che giungevano in Umbria, ridisegnando la mappa degli itinerari e attribuendo per la prima volta alla regione un’immagine unitaria. Già nelle parole di San Bonaventura la città di Assisi era diventata serafica e santa, meta insieme alla Porziuncola di Santa Maria degli Angeli, di nutrite schiere di pellegrini; l’estensione di questa definizione al termine Umbria risale probabilmente alla metà del Seicento quando Agostino da Stroncone scrisse la sua Umbria Serafica, ma è solo nella seconda metà dell’Ottocento che questa identificazione trova piena affermazione184. Se una prima generale riscoperta della spiritualità francescana fu favorita dalla traduzione dei Fioretti da parte di Frédéric Ozanam, poi dalle parole di Ernest Renan, che aveva definito san Francesco «il solo perfetto cristiano» e l’Umbria la «Galilea dell’Italia», quasi contemporaneamente a quest’ultimo lo storico dell’arte tedesco Henry Thode rivalutò l’arte sacra umbra nel libro Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, pubblicato nel 1885, individuando le origini del Rinascimento nella figura e nell’opera di san Francesco e nel movimento francescano185. Nonostante la sua rilevanza sul piano storiografico, l’opera di Thode ebbe tuttavia una circolazione limitata. Qualche anno dopo, nel 1893, uscì La vita di S. Francesco d’Assisi del pastore calvinista Paul Sabatier, che per la scorrevolezza della narrazione e l’efficace tecnica argomentativa utilizzata conobbe un grande successo, trovando un ampio riscontro di pubblico non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra comuni lettori. Egli infatti rilesse l’esperienza francescana in modo tale da

184 G. Gallo, Umbria verde: economia e società nell’immagine della Regione, «Materiali di storia. Annali della facoltà di scienze politiche», 24, 11 (1987-1988), p. 61. 185 A. Wandruska, L’Umbria del Risorgimento, cit., pp. 529-531. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 219 renderla comprensibile sia al pubblico secolarizzato che a quello protestante, attuando da un lato un’operazione di confronto storico volta a mettere in luce la continuità spaziotemporale tra l’Umbria del Duecento e quella del presente, dall’altro sottolineando le diversità tra Europa del Nord e quella del Sud per consentire al pubblico d’Oltralpe di recepire al meglio la vicenda e il significato di Francesco. L’Umbria descritta dal Sabatier si rivela essere una terra incastonata in una dimensione atemporale, che si è mantenuta tale e quale a come era all’epoca del santo, in cui il visitatore è in grado di calarsi appieno nell’esperienza mistica vissuta secoli prima da Francesco, vero promotore e spirito innovatore della modernità. A dire di Sabatier è proprio nel tentativo di «rivoluzione religiosa» operato nel Duecento dal francescanesimo delle origini che deve essere identificata la nascita del mondo moderno, non nel movimento riformatore luterano, assegnando in questo modo all’Umbria un ruolo rilevante nel contesto dell’Europa moderna e svincolandola almeno in parte dalla sua secolare condizione di marginalità. Proprio grazie alla pubblicazione di quest’opera l’Umbria assume una fisionomia più unitaria, che nella spiritualità e nel misticismo identifica uno dei tratti della propria identità186. L’immagine di Umbria mistica e santa si andò così costruendo a livello esogeno attorno alla riscoperta della spiritualità francescana, dando vita ad un vero e proprio fenomeno turistico che coinvolse Assisi e il resto dell’area umbra; ma la risonanza che ebbe tale stereotipo nell’immaginario collettivo di viaggiatori, storici, letterati, artisti fece sì che quest’ultimo venisse in un secondo momento raccolto e adottato anche da amministratori e intellettuali locali che in esso riconobbero un utile strumento propagandistico sia politico che culturale, su cui la classe dirigente poteva fare riferimento per ribadire la propria egemonia sulla società locale. Le élites umbre abbandonarono così progressivamente l’idea di Umbria, da loro stesse elaborata nel periodo postunitario, imperniata sulla riscoperta del Medioevo comunale, che riproponeva una «visione frantumata e cittadinocentrica dell’Umbria» in cui si riconosceva in particolare la cultura laica e neoghibellina187, e si riavvicinarono, anche in ragione delle possibilità di ritorno economico legate al nascente turismo di massa e del rilancio d’immagine che ne sarebbe potuto derivare per la regione a livello nazionale, a quella cultura religiosa con la quale, a leggere le parole di Gregorovius e

186 Cfr. E. Irace, Da «pittoresca» a «santa», cit., pp. 141-145. 187 Ivi, pp. 133-135. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 220 di Taine, sembrava essersi sancita una rottura definitiva188. Ma i viaggiatori sono stati anche i precursori dell’immagine di «Umbria verde»189, riconoscendo nell’Umbria una regione dalle spiccate peculiarità e bellezze naturalistiche e paesistiche. Come visto in precedenza, nelle descrizioni dei viaggiatori stranieri che soprattutto tra Sette e Ottocento hanno attraversato la regione, l’immagine di una natura splendente e rigogliosa, di un paesaggio variegato e variopinto ricorre frequentemente nelle pagine delle relazioni di viaggio. Già agli inizi del XVIII secolo Addison prima di lasciare l’Umbria per dirigersi verso Roma si era lasciato distrarre dalla bellezza della natura:

La fatica di attraversare gli Appennini e tutto questo viaggio da Loreto a Roma fu notevolmente alleviata dalla varietà di paesaggio che vedemmo. Per non parlare delle selvagge vedute di rocce poggiate una sull’altra, delle profonde gole dai fianchi corrosi da tumultuosi torrente o dei larghi letti dei fiumi sabbiosi serpeggianti nel fondo di esse, vedemmo in sei giorni di viaggio tutte le stagioni nella loro bellezza e perfezione. Talvolta rabbrividendo dal freddo in cima ad una montagna brulla e poco dopo scaldandoci al sole in una tiepida valle coperta di viole e mandorli in fiore, con le api già sciamanti intorno, benché fossimo ancora nel mese di febbraio, talvolta la nostra strada ci portava attraverso boschi di olivi e giardini di aranci, in alcuni anfratti fra le rocce che sembravano serre naturali, sempre ombreggianti da molte varietà di alberi e arbusti sempreverdi190.

Di questo paesaggio si ricordò quando scrisse un poema sull’Italia:

in Umbria’s green retreats Where western gales eternally reside And all the season lavish all their pride […] Blossoms and fruits and flowers together rise And the whole year in gay confusion lies191.

Il pastore protestante inglese Thomas Henry White rimase estasiato dalla bellezza della natura della piana di Spoleto che descrisse con queste parole: «ha tutto il pittoresco e il sublime senza malinconia […] ogni nuova svolta apre un altro prezioso scrigno di paesaggio […]. Io confesso tutti i miei viaggi precedenti non mi hanno preparato a scene come questa e benché abbia letto e fantasticato sulla sublimità, fertilità e romantica bellezza dell’Italia,

188 Ivi, pp. 147-150. 189 Per approfondire sull’Umbria «mistica, santa e verde» cfr. F. Bracco e E. Irace, La memoria e l’immagine, cit., pp. 641-658; E. Irace, Da «pittoresca» a «santa», cit., pp. 140-150; G. Gallo, Umbria verde, cit., pp. 52-72. 190 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 70; cfr. J. Addison, Remarks, cit. 191 «Nei verdi recessi dell’Umbria/Dove risiedono eternamente i venti occidentali/E tutte le stagioni prodigano i loro splendori [...]/Boccioli e frutti e fiori nascono insieme/E l’intero anno trascorre in gaia confusione» (traduzione tratta da M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 201). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 221 quello che ho visto qui ha trasceso la mia più accesa immaginazione!»192. E lasciando l’Umbria per entrare in Toscana quasi con rimpianto registrava:

Perdiamo completamente di vista quei paesi e villaggi romantici che, ciascuno sopra il suo colle verde e isolato, e segnalato invariabilmente dal suo monastero, dal suo castello e i suoi bastioni, e talvolta dalla forma strana e scarna di un vecchio tempio pagano, sembra siano costruiti sopra quei verdi colli dal genio stesso del paesaggio colla cui bellezza aggiungono l’ultimo tocco di grazia193.

Anche Frédéric Ozanam nel 1847 fu attratto dalla bellezza paesaggistica e religiosa di questa terra:

Questa regione, remota, pittoresca, salubre si chiama l’Umbria. Essa ha le bellezze agresti delle Alpi, le cime accigliate, i boschi, gli abissi dove precipitano cascate tuonanti, ma con un clima che non soffre per le nevi eterne e con la ricchezza di una vegetazione meridionale che unisce all’abete e alla quercia, l’ulivo e la vite. La natura appare tanto dolce quanto grandiosa e ispira ammirazione senza terrore e tutto fa sentire la potenza del Creatore, tutto parla della sua bontà. La mano dell’uomo non ha sciupato queste vedute. Antiche città come Narni, Amelia, Terni, Spoleto sono appese alle rocce o si riposano nelle valli, ancora tutte merlate, piene di ricordi classici e religiosi, orgogliose di qualche santo di cui conservano le reliquie o di qualche artista di cui conservano le opere. Poche sommità di montagne sono tanto aspre e brulle che non abbiano il loro romitaggio, o il loro santuario visitato da pellegrini. Nel cuore del paese si apre una vallata più larga delle altre, l’orizzonte è più vasto, le montagne che lo circondano hanno curve più armoniose, acque abbondanti solcano una terra sapientemente coltivata. Le due entrate di questo paradiso terrestre sono vigilate dalle città di Perugia al nord e di Foligno al sud194.

A Ferdinand Gregorovius l’Umbria era apparsa come «un giardino dell’Italia centrale, reso vivo da colli verdi e oliveti, da valli ridenti e torrenti pieni d’acqua. Grazia e serenità sembrano quasi diffuse dappertutto perfino il parlare del popolo è melodioso. Qui doveva nascere la scuola umbra della pittura; la gentilezza spirituale delle sue forme scaturisce dalla natura stessa del paese»195. Ma sarà il poeta Giosuè Carducci nell’ode Alle fonti del Clitunno a canonizzare l’immagine dell’Umbria verde, epiteto ricorrente nelle liriche umbre del poeta della «nuova Italia», con questi versi: Oscure intanto fumano le nubi su l’Appennino: grande, austera, verde da le montagne digradanti in cerchio l’Umbria guarda.

192 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., p. 119. 193 N. Blakiston, Viaggiatori inglesi in Umbria, cit., p. 507; cfr. T.E. White, Fragments of Italy and the Rhineland, London, 1841, p. 119. 194 M. De Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri, cit., pp. 129-130. 195 A. Wandruska, L’Umbria del Risorgimento, pp. 530-531; cfr. F. Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, cit., pp. 66-67. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 222 Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte nume Clitunno! Sento in cuor l’antica patria e aleggiarmi su l’accesa fronte gl’Itali idii.

Nella descrizione del paesaggio umbro il Carducci fonde quel che vide con i propri occhi con le sue reminiscenze letterarie. La scena grandiosa che si offre al suo sguardo nell’ora greve del tramonto commuove l’anima del poeta che si rivolge direttamente all’Umbria «grande, austera, verde» - che gli pare guardi dalle montagne circostanti, mentre sull’Appennino fumano oscure le nubi - salutandola con entusiasmo; e saluta anche il Clitunno, nume protettore del fiume, ciò genera in lui quel sentimento forte e vivo di amore per la patria196. La costruzione dell’immagine di Umbria mistica, santa e verde raggiungerà il suo apice durante gli anni del regime, in linea con il ruralismo fascista, a cui lo stereotipo di Umbria verde risultava ben congeniale, e con le celebrazioni del VII centenario della morte di san Francesco (1926)197. Da un lato la pubblicazione di manuali scolastici di cultura regionale che illustravano tradizioni, dialetti, particolarità cittadine e paesane favorì la diffusione dell’immagine di Umbria verde costruitasi attorno all’ideologia ruralista del fascismo che, anche nell’elogio della modernità, faceva perno proprio sui valori del mondo contadino e richiedeva esplicitamente il ripristino di antiche consuetudini e tradizioni folcloristiche, sagre, feste in costume198; dall’altro venne messa in atto una grande operazione ideologica, che vide coinvolti tutti gli intellettuali del regime, grazie alla quale si cercò di presentare il santo di Assisi come figura che racchiudeva in sé quei caratteri di italianità e cristianità di cui il fascismo si dichiarava prosecutore. La produzione storiografica e pubblicistica degli anni ‘20 del Novecento cercò in particolare di mettere in

196 In questi luoghi la commozione estatica del poeta non si esplica solo nella contemplazione della bellezza naturale, ma anche nella rievocazione delle gloriose vicende del passato che culminano con la descrizione della battaglia di Spoleto, mentre nell’immagine del «grave umbro ne’ duelli atroce» egli individua anche un altro carattere del popolo umbro: l’animo bellicoso e fiero. L’idea dell’Umbria guerriera, legata alla fama dei suoi capitani di ventura (Braccio Fortebraccio, Gattamelata, Bartolomeo d’Alviano, solo per citarne alcuni) e al tradizionale stereotipo di Perugia città bellicosa, trasmessa dagli autori dell’età moderna e spesso riproposta dagli stessi viaggiatori nelle loro relazioni, insieme al mito dell’Umbria operosa, entrambi cari alla cultura futurista, verranno poi ripresi dal fascismo che si approprierà anche dell’immagine di Umbria verde e santa, rinnovandola sul piano dell’utilizzazione e della popolarizzazione. 197 Le celebrazioni furono motivo per il regime per perseguire i propri intenti egemonici (l’evento assunse infatti non solo toni religiosi ma anche laici). 198 Cfr. il volume di C. Faina, Umbria verde, Torino, G.B. Paravia & C., 1925 e il libro di M. Maurizi,Umbria cuore d’Italia. Almanacco regionale, Firenze, R. Bemporad e Figlio, 1926. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 223 risalto il legame esistente tra esperienza francescana, Umbria e paesaggio umbro. Si arrivò così ad identificare quest’ultimo con il paesaggio francescano e a riconoscere nel francescanesimo, assunto come tratto fondamentale della spiritualità e della storia umbra, l’elemento unificatore della regione199.

199 Cfr. F. Bracco e E. Irace, La memoria e l’immagine, cit., pp. 651-655. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 224 Conclusioni

L’immagine dell’Umbria che emerge dalla lettura dei diari di viaggio riflette la condizione di marginalità che ha sempre contraddistinto la regione quale provincia dello Stato Pontificio lontana dalle principali vie di comunicazione, arretrata e prevalentemente agricola, immersa in un’atmosfera arcadica e medievale; il paesaggio non esiste che per la ridente e fertile campagna e per i suoi tratti sublimi e pittoreschi; le poche figure umane che si stagliano sulla scena assumono spesso il ruolo di semplici comparse; l’assetto politico ed economico del territorio, la realtà culturale e le condizioni sociali della popolazione interessano poco ai viaggiatori, solo nell’età romantica matura anche un interesse per i costumi, la politica, l’ambiente socio-culturale dei luoghi visitati200. Di viaggiatore in viaggiatore si tramandano stereotipi e luoghi comuni che si radicano nell’immaginario collettivo: la valle di Terni è all’unanimità un’oasi fertile e rigogliosa, ricca di aranceti; la Cascata delle Marmore è «orribilmente bella»; la regione è arretrata a causa del malgoverno dei preti. Queste immagini risentono del sostrato culturale ed ideologico dei viaggiatori e dei loro convincimenti politici, delle loro personali inclinazioni, del gusto e della sensibilità estetica in voga presso la società europea in quel determinato periodo oltre che di una visione dei luoghi influenzata da fonti letterarie, storiche e iconografiche; ciò tuttavia non toglie la rilevanza delle loro annotazioni e riflessioni che da un lato ci danno un’idea del loro modo di pensare, del loro sistema di valori, della loro concezione del mondo, dall’altro hanno contribuito alla formazione di un prezioso patrimonio di immagini collettive. Se prima dell’età romantica l’Umbria è una regione da percorrere il più velocemente possibile e, in ragione dell’imperante gusto per la classicità, vale giusto la pena soffermarsi ad osservare le testimonianze dell’antichità note grazie al repertorio degli autori classici201, con l’Ottocento invece grazie alla riscoperta dell’arte dei «primitivi», del Medioevo e della spiritualità francescana l’Umbria diviene terra romantica, pittoresca e santa. È tuttavia opportuno notare come fino al XIX secolo l’Umbria per la sua storica indefinitezza e l’articolata struttura del suo paesaggio non si riconosce in uno

200 Si pensi ad esempio a Lady Morgan e Louise Colet che descrissero con efficacia la situazione di miseria in cui erano costretti a vivere i sudditi del Papa e soprattutto a Gregorovius che riportò interessanti osservazioni di natura politica e sociale utili a mettere in luce alcuni aspetti del passaggio dal governo papalino al Regno d’Italia. 201 Per questo motivo, come visto, fino a tutto il Settecento Perugia e Assisi non sono altro che città spopolate e misere, non particolarmente degne di considerazione. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 225 stereotipo, un’immagine precisa e definita; la complessa fisionomia di questa regione «introvabile» (anche sulle carte) viene infatti confermata dalla percezione che ne ebbero gli stessi visitatori. Scorrendo le pagine delle relazioni dei viaggiatori che hanno attraversato l’Umbria tra XVII e XIX secolo è stato possibile rilevare come siano stati gli stessi viaggiatori ad anticipare con i loro giudizi il formarsi di alcune di quelle immagini che hanno poi fatto la fortuna della regione, favorendone la sua rivalutazione a livello internazionale e influendo anche a livello locale sul modo di percepire la realtà umbra. Dopo l’Umbria delle libertà comunali, terra di arcaismi, primitiva e romantica, si arriva all’Umbria verde, spirituale e francescana (condensato di caratteri peculiari che si consoliderà nel periodo fascista), espressione con la quale a seguito della conquistata unità geopolitica si cerca di conferire all’intera regione un’immagine unitaria, le cui origini sono da ricercarsi anche nelle impressioni e nei giudizi riportati dai viaggiatori sette-ottocenteschi e che, nel bene e nel male, ha rappresentato il primo passo verso una costruzione identitaria condivisa e riconosciuta della regione.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 226 CATALOGO ICONOGRAFICO

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 227 In questa sezione sono riprodotte alcune testimonianze iconografiche dei paesaggi, delle città, dei monumenti più ammirati e descritti dai viaggiatori che tra Sette e Ottocento hanno attraversato e visitato la regione. Con questa documentazione si intende fornire al lettore una raccolta di immagini e di «impressioni visive» che del paesaggio umbro ci hanno lasciato alcuni degli artisti che si sono confrontati nella raffigurazione della complessa trama naturalistica, ambientale ed insediativa della regione. Si tratta di rappresentazioni pittoriche, stampe, incisioni, disegni che ritraggono principalmente il tanto apprezzato Ponte di Augusto a Narni e la contemplatissima Cascata delle Marmore, il cui impatto paesaggistico ha alimentato un solido filone figurativo in cui si sono cimentati artisti del calibro di Pierre- Henri de Valenciennes e soprattutto Camille Corot, che ha realizzato anche numerose tele con Narni, Piediluco e Papigno1. Sono presenti inoltre raffigurazioni di monumenti e vedute di Perugia, Assisi, Foligno, Terni, Orvieto e Spoleto con il suo Ponte delle Torri2. Tale documentazione è stata reperita sia attraverso lo spoglio della produzione bibliografica a stampa, sia attraverso la ricerca di raffigurazioni del paesaggio umbro presenti nelle collezioni digitali di alcuni siti web di musei internazionali, tra cui in particolare il British Museum e la Tate Gallery di Londra e il Louvre di Parigi.

1 Sui pittori che si sono cimentati nella raffigurazione della Cascata tra Settecento e Ottocento cfr. A. Sorbini, «Orribilmente bella!». Viaggiatori stranieri al cospetto della Cascata delle Marmore, «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria», 54, fasc. II, (2007), pp. 312-316. 2 William Turner ci ha lasciato un’immagine del Ponte alquanto suggestiva in cui l'artista fonde la reale topografia del luogo con un senso di atmosfera quasi irreale. La Tate Gallery custodisce diversi sketch- books del viaggio in Italia di Turner, tra cui quello del suo passaggio in Umbria visionabile online al seguente indirizzo: http://www.tate.org.uk/servlet/SketchbookViewer?cgroupid=65818&page=1 A proposito del viaggio dell’artista inglese in Umbria vedi G. Caradente, Un viaggio di Turner in Umbria, «Spoletium», 11,13 (1968), pp. 13-22. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 228 Cascata delle Marmore e dintorni

John «Warwick» Smith, Cascate di Terni (1789) Londra, British Museum

Henri Wilkin,Cascate di Terni (1784) Londra, British Museum

Jacob Wilhelm Mechau (1745-1808), Papigno vicino a Terni

Abraham Louis Rodolphe Ducros, John «Warwick» Smith, The Approach to the Cascade of Cascata delle Marmore a Terni (1785) Terni (1793) Losanna, Musée Catonal des Beaux-Arts documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 229 Wilhelm Friedrich Gmelin, Der Wasserfall des Velino bei Francis Towne, Cascate di Terni (1799) Terni (1793) Londra, British Museum

John Merigot, Cascade of Terni (1798) Jacob Philipp Hackert, The waterfalls at Terni (1799)

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 230 William Turner, Cascade of Terni (1819) Jacob Wilhelm Mechau (1745-1808), Caduta del Velino a Papigno vicino a Terni

Marianne Colston, The Fall of Terni May 13, 1820 (1823) James Duffield Harding, Falls of Terni (1833) documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 231 Camille Corot, Waterfall at Terni (1826) New York, The Metropolitan Museum of Art

Pierre-Henri de Valenciennes, Waterfalls at Terni New York, The Metropolitan Museum of Art

Camille Corot, Il lago di Piediluco Oxford, Ashmolean Museum

Pierre-Henri de Valenciennes, Waterfalls and Rocks at Terni New York, The Metropolitan Museum of Art

Camille Corot, Papigno e la Valle della Nera James Duffield Harding, Falls of Terni (1830) documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 232

William Brockedon, Cascata delle Marmore (1847)

Henry Cook, Terni from the Capana (1840)

Samuel Palmer (1805-1881), Papigno on the Nar, below the Falls of Terni Bolton, Bolton Museum

Karl Johan Billmark, Cascade de Terni (1852) documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 233 Terni e dintorni

Joseph Augustus Knip (1777-1847), Paesaggio montano nei pressi di Terni Rotterdam, Museo Boijmans Van Beuningen

Richard Wilson, Pompey's Bridge at Terni (1776)

J.D. Harding, Veduta di Terni (1832)

Joseph Anton Koch, Paesaggio presso Terni (1830) Copenhagen, Thorwaldsens Museum

Terni (1835)

Elizabeth Batty, Terni, from the road to the cascade (1820)

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 234 Narni e il Ponte di Augusto

Georg Abraham Hackert, Vue des Ruines du Pont George Lambert, A view of Stifone in Umbria (1752-1762) d'Auguste sur la Nera a Narni (1779)

Stampatore James Forrester, Georg Abraham Hackert, Vue des Ruines du Pont Ponte d'Augusta a Narni (1760) d'Auguste sur la Nera a Narni (1779)

Edward Cavendish Drake, Ruins of the Bridge of August Jean-Thomas Thibault, Pont d'August a Narni over the River Nera near Narni in Italy (1768) (1788-1792) Cambridge (Massachusetts), Harvard Art Museum

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 235 William Turner, Bridge at Narni (1819) Ernst Fries, Ponte di Augusto (1826) Heidelberg, Kurpfälzisches Museum

John «Warwick» Smith (1749-1831), Ponte di Augusto Ernst Fries, Ponte di Augusto (1826) Londra, British Museum Heidelberg, Kurpfälzisches Museum

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documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 236 Carl Blechen, Augustan Bridge at Narni (1829) James Hakewill (1778-1843), Veduta di Narni Berlino, Staatliche Museum zu Berlin Roma, The British School Library

Stampatore James Redaway, Bridge of Augustus at Narni Gustaf Wilhelm Palm, View from Narni (1845) (1830)

Henry Cook, The Bridge of Augustus - Narni (1840 ca.) William Brockedon, Ruins of the Bridge of Augustus (1850 ca.)

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 237 Spoleto e la Valle del Clitunno

Giovanni Battista Piranesi, Tempio del Clitunno (1748)

Avanzi del ponte di Cesare Augusto sulla Nera, presso Narni (1874)

Claude François Nicole, Valle del Clitunno (1760-1767ca.)

Antoine Ponthus-Cinier (1827-1885), Landscape at Narni Londra, British Museum

James Duffield Harding, Spoleto (1832)

Huet Paul (1803-1869), Vue de Spolete Parigi, Louvre

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 238 Foligno

William Turner, Ponte delle Torri (1838) Londra, Tate Gallery

J.F. Bouchet, Chiesa di San Feliciano o Duomo di Foligno

François Marius Granet (1777-1849), Chiesa di San Francesco a Foligno

Gustave Bauernfeind, Aquaedukt von Spoleto (1880) William Turner, Piazza della Repubblica, Foligno (1819) Londra, Tate Gallery

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 239 Assisi

John «Warwick» Smith, Assisi. Veduta della città (1792)

François Marius Granet (1777-1849), La porte Saint- Pierre à Assise Parigi, Louvre

François Marius Granet (1777-1849), Interieur de l'eglise de Saint-Francois d'Assise Parigi, Louvre

François Marius Granet (1777-1849), Vue du cloitre de (1830-1896), Street in Assisi Saint Francois a Assise Cambridge (Massachusetts), Harvard Art Museum Parigi, Louvre

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 240 Percy Francis Gethin, The sanctuary of St Francis, Assisi (1908)

Jane Westropp, Tempio della Minerva (1856)

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Roth Ernest David, Hill town, Assisi (1914) Assisi, da Italia. Viaggio pittoresco dall'Alpi all'Etna Indianapolis, Indianapolis Museum of Art (1876) documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 241 Perugia e dintorni

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François Marius Granet (1777-1849), Les environs de Johann Georg von Dillis, The Hills of Umbria near Pérouse Perugia (1830-1832) Parigi, Louvre Washington D.C., National Gallery of Art

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 242 Georg Belton Moore, The Piazza Perugia (1842 ca.)

Prospetto della Strada della Maestà delle Volte veduto dalla parte che conduce alla Piazzetta degli Aratri (1830)

Samuel James Ainsley, View near Perugia (1843) Londra, British Museum

Henry Cook, The Lake of Perugia (1840 ca.)

Samuel James Ainsley, Grotta de'Volunni near Perugia (1843) Sir Richard Levinge, Sanguineto on the Lake of Londra, British Museum Trasimino, near Perugia (1842) Londra, British Museum documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 243 William Brockedon, Perugia (1842-1843 ca.)

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documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 253 Parte III

IL PRIMO PIANO REGIONALE DI SVILUPPO ECONOMICO DELL’UMBRIA

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 254 Introduzione

La storiografia ha a lungo faticato a percepire lo spazio regionale come oggetto d’indagine storica, soffermandosi per lo più sull’analisi di singoli aspetti della realtà regionale, offrendone così un quadro parziale e per lo più circoscritto a determinate porzioni del territorio umbro. A partire dagli anni ‘70 del Novecento, con lavori come quello di Desplanques sulle campagne umbre e con il X convegno di Gubbio, dedicato al tema «Orientamenti di una regione attraverso i secoli»1, inizia a svilupparsi una riflessione sull’Umbria come spazio da sottoporre ad una più rigorosa analisi storiografica in grado di proporre nuovi spunti e prospettive di indagine. Del resto non è mai stato facile pensare e parlare di un’unità e di un’identità umbra. Nemmeno le vicende del XIX e di buona parte del XX secolo hanno favorito il ricomporsi della regione entro tratti omogenei più definiti: l’esperienza mezzadrile protrattasi fino alla metà del XX secolo, le lotte contadine e operaie, l’arretratezza delle campagne, la depressione economica e l’insediamento della grande industria a Terni hanno continuato a fare della regione un’area ricca di contraddizioni e squilibri2. Il superamento di questa condizione avverrà solo negli anni ‘50 e ‘60 del Novecento, allorché si assiste allo sviluppo di una vera e propria coscienza regionalistica e identitaria (questo anche grazie all’esperienza del primo Piano economico regionale) e alla creazione di un nuovo tessuto economico e sociale che si è sovrapposto al progetto di unificazione politico-amministrativa portando alla nascita nel 1970 dell’istituto Regione. Facendo riferimento agli studi e alle ricerche che hanno interessato il territorio regionale a partire dalla seconda metà del secolo scorso, nelle pagine che seguono si intende fornire una sommaria descrizione delle principali vicende economiche, politiche e sociali

1 H. Desplanques, Campagne umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell’Italia centrale, 5 v., Perugia, Guerra, 1975; Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia (a cura di), Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Um- bria. Atti del X convegno di studi umbri (Gubbio, 23-26 maggio 1976), Perugia, Centro di studi umbri, 1978. 2 Per una breve storia economica e sociale dell’Umbria tra Settecento e fine anni ‘80 del Novecento cfr. G. Bovini, Economia e società dell’Umbria contemporanea, introduzione di R. Covino, Perugia, Protagon, 1989. Si rimanda inoltre al saggio di R. Covino Dall’Umbria verde all’Umbria rossa, in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Einaudi, Torino, 1989, pp. 505-605, in cui l’A. evidenzia quei processi di natura politica, economica e sociale che dall’Unità fino alla nascita del nuovo sistema politico e del regionalismo hanno portato ad una progressiva destabilizzazione dei tradizionali assetti agrari e degli equilibri territoriali, politici e sociali che avevano condizionato a lungo la struttura economica della regione e che vengono seriamente messi in discussione soprattutto a partire dal secondo dopoguerra quando si è assistito all’emergere del mondo mezzadrile quale principale protagonista della vita regionale. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 255 che hanno portato tra il finire degli anni ‘50 e i primi anni del decennio successivo all’elaborazione del primo Piano di sviluppo economico regionale, di cui verrà fornita una sintesi dei principali punti esposti nella relazione generale del Piano stesso. Segue una sezione documentaria nella quale sono raccolti una serie di brani estratti da alcuni dei volumi pubblicati dal «Centro regionale per lo sviluppo economico dell’Umbria» nei quali sono esposti i risultati delle ricerche compiute dal «Centro» su diverse tematiche di natura economica e sociale (in questa sede verranno approfondite quelle relative all’agricoltura, all’industria e all’evoluzione demografica) con lo scopo di produrre materiale utile ai fini della formulazione del Piano.

L’immagine dell’Umbria «verde» affermatasi – insieme a quella di Umbria «santa» – a partire dalla fine del XIX secolo quale uno dei tratti peculiari del paesaggio umbro, depurata da tutti quegli aspetti negativi che richiamavano la grave arretratezza delle campagne umbre (e della sua agricoltura) – che del resto rispecchiava il sottosviluppo economico e sociale in cui versavano tutti i territori dello Stato Pontificio e le condizioni di degrado, povertà e miseria in cui erano costretti a vivere contadini e mezzadri, spesso isolati dal resto del mondo per impraticabilità o mancanza di strade di collegamento con le principali vie di comunicazione –, non coincide, come notato anche da Henri Desplanques, autore di importanti studi sulle campagne umbre, con la realtà dell’Umbria agricola ed arretrata, sentita e vissuta dai contadini e dai mezzadri, ne costituisce tutt’al più solo un aspetto3. Già nel 1899 in occasione dell’Esposizione Provinciale umbra veniva sottolineato: «quest’Umbria verde sì gentile e sì colta; non meno artisticamente che storicamente grande. Beata Lei davvero se potrà insieme alle sue glorie artistiche vantare in seguito anche un reale progresso nel campo dell’agricoltura, madre e nutrice di tutte le industrie, fonte perenne di ricchezza e di prosperità». E nelle numerose analisi elaborate dai Comizi Agrari

3 Emilio Secci in un articolo pubblicato nella rivista del Pci «Cronache umbre» nel dicembre del 1958 dal titolo L’I.R.I., la «Terni» e l’industria regionale ha scritto: «lo sforzo a comprendere la peculiarità della nostra situazione regionale è venuta man mano creando, accanto alla rappresentazione di un’Umbria verde e mistica, raccolta nella contemplazione dei suoi valori storici e religiosi, tranquilla e rassegnata alla modestia di una vita francescana, un’Umbria arretrata e in certe zone poverissima, un’Umbria che nella montagna veniva sopravanzata nella miseria perfino dalle terre più arretrate del Mezzogiorno. Ciò in drammatico contrasto con la consapevolezza che la Regione è tuttavia ricca di ligniti, di acque, di energia elettrica. Un’agricoltura nel complesso fortemente arretrata; la mancanza di una piccola e media industria; la crisi e la smobilitazione delle grandi fabbriche della ‘Terni’: ecco gli elementi che caratterizzano la nostra situazione odierna». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 256 nei decenni postunitari viene spesso denunciata l’arretratezza agricola umbra, invitando proprietari e coloni a seguire l’esempio di agricolture più avanzate come quella lombarda o toscana4. La necessità di cambiamento, seppur avvertita, non doveva però andare ad intaccare i rapporti sociali prevalenti nella campagne umbre e cioè la mezzadria. Per il deputato perugino Pompilj:

L’agricoltura stagnerebbe o si perderebbe, quando da essa esulasse il sentimento del dovere verso la terra, verso la famiglia, verso il genere umano; quando sui campi divenisse muta la voce della natura, quella della coscienza, o quella dell’amicizia, quasi direi della parentela, fra proprietario e coltivatore, incarnata nell’Umbria nel patto, anzi nell’istituto fraterno per eccellenza, della schietta mezzeria. L’attentare a questa sarebbe un atto antisociale, una eclissi dell’incivilimento, giacché quanto si arrivasse a far penetrare l’antagonismo ove regna la cooperazione, la bieca diffidenza ove è necessaria la candida fiducia, l’incanto sarebbe rotto per sempre, e inevitabilmente condannato a perire un istituto patriarcalmente benefico al lavoratore.5

Nel discorso pronunciato da Pompilj al Collegio Romano l’immagine dell’Umbria «verde» deve essere letta in una nuova prospettiva, essa viene infatti staccata dalla tradizionale dimensione puramente artistica, poetica e letteraria e calata nel contesto storico ed economico della vita regionale ed associata all’immagine dell’Umbria mezzadrile, in cui l’istituto della mezzadria appunto è sfoggiato quale emblema, modello imprescindibile dell’agricoltura umbra6. Riflessione questa che risulta particolarmente significativa se si pensa che proprio quando viene elaborata si verifica in Umbria la prima grande ondata di lotte mezzadrili del marzo-aprile 1902. Anche se già a partire dall’inizio del Novecento si sancisce una prima frattura nel rapporto tra proprietari e contadini che mette in discussione l’istituto della mezzadria (frattura testimoniata proprio dalle varie ondate di scioperi mezzadrili che si susseguono nella regione nel corso della prima parte del secolo: dall’ondata nel marzo del 1902 a Narni alla successiva del 1906 in Alta Valle del Tevere, fino alle rivolte del 1909 e del 1911 nell’Eugubino)7, fino alla prima metà del XX secolo la regione continua a mantenere

4 G. Gallo, Umbria verde: economia e società nell’immagine della Regione, «Materiali di storia. Annali della facoltà di scienze politiche», 24, 11 (1987-1988), pp. 62-63. 5 Citazione tratta da ivi, p. 64. 6 Tuttavia è opportuno rilevare che la mezzadria umbra non presentava caratteri uniformi in tutto il territorio, ma si differenziava adattandosi alle singole realtà della regione che risentivano delle influenze dell’area toscana e marchigiana. 7 Cfr. F. Bogliari, Movimento contadino in Umbria dal 1900 al fascismo, Milano, Angeli, 1979. Sulle lotte mezzadrili in Alta Valle del Tevere vedi A. Grohmann, Lotte mezzadrili e presenza dei cattolici nelle campagne dell’Alta Valle del Tevere (1900-1914), «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», 14, 1-2 (1979), pp. 108-145. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 257 pressoché inalterata la propria struttura mezzadrile8. Sotto il fascismo il dualismo che per secoli aveva contraddistinto la regione emerse sotto forma di due immagini distinte e contrapposte: da un lato permane e si ravviva l’immagine di Umbria «verde» specchio di un’economia e una società basata sulla difesa di tradizioni e di interessi consolidati; dall’altra si fa avanti la forza del nuovo simboleggiata dalla Terni delle fabbriche, dinamica e moderna, che tenta di occupare una posizione di rilievo in ambito sia regionale che nazionale. Con lo svilupparsi della grande industria a Terni si era assistito al progressivo incrinarsi dei tradizionali equilibri della società rurale e all’insorgerne di nuovi creati dall’industria9. L’insediamento di grandi imprese a Terni fu favorito da interventi diretti dello Stato a partire dagli anni ‘70 dell’Ottocento e da una serie di investimenti privati. La città del resto era collocata in una posizione strategicamente favorevole sia sotto il piano militare (vicinanza alla capitale e lontananza dalle frontiere) che su quello delle risorse energetiche disponibili nella zona (presenza di importanti riserve idriche). La nascita di imprese come la Fabbrica d’armi, la società degli altiforni, fonderie e acciaierie di Terni e lo Justificio Centurini provocarono modificazioni sostanziali dal punto di vista economico, sociale ed industriale. L’effetto più rilevante fu l’aumento della popolazione che, come risulta da una statistica ministeriale dei primi del Novecento, negli ultimi due decenni dell’Ottocento conobbe un incremento medio annuo del 48,82 per mille. All’incremento demografico contribuirono i primi consistenti fenomeni di mobilità intraregionale, insieme a quelli originanti da altre regioni italiane quale conseguenza esercitata dall’attrazione economica dell’industria ternana. Per quello che riguarda l’impatto ambientale il sorgere degli impianti industriali portò ad un decisivo mutamento dell’assetto urbanistico della città e alla nascita di una «new town» accanto alla vecchia; inoltre lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse e il graduale deturpamento del paesaggio causato dall’inquinamento e dalla presenza delle fabbriche generarono una progressiva frattura del fino a quel momento equilibrato rapporto tra sviluppo economico e conservazione ambientale. L’esperienza 8 In merito alla situazione e all’evoluzione del sistema mezzadrile in Umbria cfr. G. Nenci, Proprietari e contadini nell’Umbria mezzadrile, in R. Covino e G. Gallo (a cura di) Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, pp. 187-253; R. Covino e G. Nenci, Continuità della struttura mezzadrile. Somiglianze e differenze all’interno dell’area umbra, «Annali dell’istituto Alcide Cervi», 8 (1986), pp. 383-391. Si rimanda inoltre alla nota numero 1 a p. 278 del presente lavoro. 9 Sullo sviluppo industriale di Terni e l’incrinarsi dei blocchi urbani si rimanda alla guida bibliografica presente nel volume di R. Covino, L’invenzione di una regione. L’Umbria dall’Ottocento a oggi, Ponte San Giovanni (Pg), Quattroemme, 1995, pp. 98-101. Sullo sviluppo della Terni si veda lo studio di F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 258 ternana rappresentò comunque un caso a parte all’interno del contesto umbro e non andò ad incidere sul livello di sviluppo economico complessivo della regione. Tuttavia l’affermazione di Terni quale polo industriale apportò modifiche sia all’interno delle dinamiche economiche, sociali, demografiche ed ambientali della conca ternana sia all’interno della gerarchia delle città che si era venuta delineando in Umbria dopo l’Unità. Alla vetrina dell’esposizione umbra del 1899 si attestò che Terni da «Cenerentola dei secoli decorsi» si era trasformata nel vero e proprio centro propulsivo dell’economia della regione e nel 1927 la città acquistò anche rilevanza istituzionale quando divenne capoluogo di provincia. Il ruolo di Spoleto si era andato invece progressivamente ridimensionando già subito dopo l’Unità, quando a Perugia fu riconosciuto il titolo di unico capoluogo politico- amministrativo della regione. Anche nella provincia di Perugia nacquero, per iniziativa di imprenditori locali, alcune piccole e medie aziende nei più diversi settori – molitorio, pastificazione, dolciario, vestiario, laterizi, cemento, estrattivo – la cui distribuzione territoriale, a differenza delle grandi industrie meccaniche, chimiche e siderurgiche sorte nell’area ternana, fu piuttosto varia e frammentata. Le aziende meccaniche raggiungevano modeste dimensioni mentre quelle chimiche erano quasi del tutto assenti. Durante il ventennio particolarmente rilevante fu l’apporto dato dal turismo, dall’Università, dall’industria nel settore alimentare (gruppo Buitoni-Perugina) e da aziende come l’Angora Spagnoli. Il resto della regione rimase invece ancorato alle solite dinamiche politico-istituzionali ed economico-sociali10. Tra gli anni ‘40 e ‘50 si realizzò un cambio del sistema politico e della componente dirigenziale che portò ad una rottura dei blocchi urbani, ad una entrata in campo dei mezzadri e alla fine del dominio delle vecchie forze dominanti11. Dopo la Liberazione si 10 R. Covino e G. Gallo, Le contraddizioni di un modello, in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, pp. 106-113. Sulla storia dell’industria nella provincia di Perugia tra primo e secondo dopoguerra R. Covino e G. Gallo, Ipotesi e materiali per una storia dell’industria nella provincia di Perugia dal primo dopoguerra alla ricostruzione, in G. Nenci (a cura di), Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza. Problemi di storia nazionale e storia umbra, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 227-264. 11 Con la guerra i contadini presero consapevolezza del proprio ruolo nella società regionale: garantirono rifornimenti alimentari alla città e soprattutto parteciparono all’attività e alla lotta clandestina durante la Resistenza. Tra il 1943 e il 1945 particolarmente rilevante fu l’apporto dato al movimento resistenziale dagli operai ternani che diedero vita ad una intensa attività antifascista e lotta partigiana che culminò nella costituzione della brigata garibaldina «A. Gramsci». Come si sa la Resistenza nel ternano fu più attiva e organizzata rispetto alla provincia di Perugia e coinvolse a vario titolo migliaia di persone. Per il periodo tra guerra e dopoguerra si veda la bibliografia contenuta nel volume di R. Covino, L’invenzione di una regione, cit., pp. 104-105. Si rimanda inoltre ai contributi contenuti nei volumi di L. Brunelli e G. Canali (a cura di), L’Umbria dalla guerra alla Resistenza. Atti del convegno «Dal conflitto alla libertà» (Perugia, 30 novembre - 1 dicembre 1995), Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1998 e di R. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 259 registrò il tramonto delle forze democratiche e progressiste (repubblicani e azionisti) che pure avevano avuto un ruolo rilevante nella direzione e nell’iniziativa antifascista e dei Cln. La sempre crescente frizione tra le varie anime politiche del Cln aveva portato la sinistra a prevalere alle amministrative del marzo-aprile 1946 e alle elezioni per la Costituente (Pci e Psi di unità proletaria conquistarono infatti la maggioranza assoluta con il 51,2%). Sempre nel periodo compreso tra guerra e dopoguerra prese il via una stagione di forte conflittualità nelle campagne. Da un lato la sostanziale intransigenza dei ceti agrari nei confronti delle tutto sommato modeste richieste dei mezzadri e le moderate proposte di riforma dei governi centristi, così come un tendenziale atteggiamento di arroccamento dei proprietari terrieri su posizioni di strenua difesa della mezzadria classica; dall’altro le rivendicazioni dei mezzadri che chiedevano una modifica dei patti mezzadrili, sperando in un miglioramento delle proprie condizioni di vita, insieme ad un rifiuto dei vincoli tradizionali che non consentivano un adeguato grado di sviluppo della realtà agricola, portarono ad una progressiva destrutturazione dei tradizionali assetti agrari. Allo stesso tempo si determinò un processo di crisi generale degli equilibri economici e sociali. Con la fine degli anni ‘40 le industrie che avevano prosperato grazie alle commesse belliche furono costrette a ridurre la propria attività, così come l’occupazione, iniziarono a questo punto i flussi migratori verso il Nord del Paese e gli Stati dell’Europa centro-settentrionale12. Con il secondo dopoguerra l’arretratezza della struttura economica e sociale della regione emerse in tutta la sua gravità. I massicci licenziamenti nelle industrie ternane, spoletine e folignati, la chiusura o la crisi di molte attività in tutta la regione fecero salire notevolmente il livello di disoccupazione; parallelamente la crisi dell’istituto mezzadrile amplificò il disagio nelle campagne, dove i bassi livelli di reddito e le condizioni sociali di vita non riuscivano a tenere il passo con le esigenze di sviluppo imposte dal progresso e dalla modernità. Questo portò ad un abbandono in massa della terra; tra 1951 e 1961, per la prima volta dopo un secolo e mezzo, la popolazione regionale diminuì a causa del saldo migratorio negativo. A fuggire furono in particolare contadini e mezzadri, soprattutto quelli di alta collina e di montagna, i più poveri, che diedero vita ad una significativa corrente di

COVINO (a cura di), L’Umbria verso la ricostruzione. Atti del convegno «Dal conflitto alla libertà» (Perugia, 28-29 marzo 1996), Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1999. 12 R. Covino e G. Gallo, Le contraddizioni di un modello, cit., pp. 113-116; R. Covino, L’invenzione di una regione, cit., p. 68. In particolare sotto la spinta bellicista del fascismo le aziende legate a produzioni belliche (tra cui le industrie ternane e le miniere dello spoletino) avevano intensificato la loro attività aumentando notevolmente i livelli di occupazione. Altre iniziative parabelliche sorsero anche a Foligno e Passignano sul Trasimeno. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 260 migrazione interna; scoraggiate dall’isolamento, dalle condizioni delle loro abitazioni, dalla mancanza di comunicazioni e dagli scarsi redditi, le popolazioni dell’alta collina umbra e dell’intera fascia appenninica furono le prime a partire13. Inoltre il 1956, anno del grande gelo, insieme alla fredda primavera del 1957 provocarono danni ingenti all’agricoltura mettendo ulteriormente in discussione i già bassi redditi delle famiglie mezzadrili. Nel contempo le città maggiori crebbero e divennero polo di attrazione delle migrazioni interne14. Si modificarono in questo modo gli equilibri territoriali e sociali, si alterarono le relazioni tra pianura, collina e montagna, si eclissò il potere dei proprietari terrieri, si ridussero le loro rendite, si trasformò il rapporto città-campagna ed emersero nuovi problemi derivanti dal processo di inurbamento15. Fino agli anni ‘50 del secolo scorso l’Umbria è stata di fatto una regione a carattere prevalentemente agricolo e rurale, basti pensare che al 1951 il settore primario assorbiva ancora il 56,3% della popolazione attiva (superiore ai 10 anni), ma appena una decina di anni dopo, nonostante l’agricoltura continuasse a rappresentare l’attività economica prevalente della regione, si registrò un notevole decremento degli addetti all’agricoltura, pari al 34,4%, a causa del vero e proprio crollo a cui fu soggetta l’attività agricola, si passò infatti da 192.761 a 126.486 unità (40,7% sul totale della popolazione attiva)16. Tuttavia, sebbene i dati del censimento del 1961 evidenzino come l’occupazione nelle attività industriali (manifatturiere – escluso il tabacco -, estrattive, costruzioni e impianti, energia elettrica, acqua e gas) sia passata dai 51.543 addetti del 1951 ai 63.838 del 1961, con un incremento di circa il 23%, ciò di contro non comportò uno sviluppo significativo del settore industriale17. Imprescindibile infatti per lo sviluppo dell’economia e dell’industria in Umbria

13 Mezzadri e contadini tuttavia non abbandonavano l’attività agricola, ma si spostavano in media e bassa collina alla ricerca di poderi meno isolati. A loro volta i mezzadri di media e bassa collina lasciavano l’azienda per occuparne un’altra in pianura, più fertile e ricca di colture industriali. Infine il mezzadro di pianura, più agiato e a più diretto contatto con la vita moderna, cambiava attività andando alla ricerca di un impiego in città. In questo modo però i poderi di alta collina e di montagna rimanevano abbandonati ed improduttivi. 14 Per approfondire in merito alle dinamiche demografiche regionali tra 1861 e 1961 si rimanda al volume di N. Federici e L. Bellini, L’evoluzione demografica dell’Umbria dal 1861 al 1960, Perugia, s. n., 1966 e al saggio di L. Tittarelli, Evoluzione demografica dall’Unità a oggi, in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, pp. 137-186. 15 R. Covino e G. Gallo, Le contraddizioni, cit., p. 119. 16 Relativamente alla situazione dell’agricoltura umbra nel periodo immediatamente successivo al 1961 cfr. G. Guerrieri, Situazione dell’agricoltura in Umbria in relazione ai mutamenti intervenuti nel quinquennio 1962-1964 e prospettive al 1970, Perugia, s. n., 1967. 17 Per tutti i dati relativi alla situazione occupazionale dell’industria in Umbria e nelle provincie di Perugia e Terni cfr. S. Leonardi e F. Indovina, Struttura, dinamica e problemi dell’industria in Umbria, Perugia, s. n., 1968, pp. 41-52. Si rimanda inoltre alla sezione documentaria del presente lavoro nella quale sono documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 261 era lo sviluppo della sua agricoltura, che aveva rappresentato a lungo la radice della sua arretratezza18; un’agricoltura sviluppata avrebbe costituito infatti il sostrato economico- sociale grazie al quale sarebbe stato possibile superare l’arretratezza strutturale della regione e imporre nuovi schemi di sviluppo anche sul piano industriale. La «questione agraria» giocò, inoltre, un ruolo fondamentale nella formazione di una prima visione strategica dell’unità umbra. Le forze della sinistra in particolare, tra cui i comunisti, fecero della questione agraria e della mezzadria il perno della propria iniziativa. Prima questione da risolvere per poter permettere alla regione di accantonare i tradizionali equilibri fondati sull’agricoltura fu per cui il superamento del sistema mezzadrile. Si trattava di un passaggio importante da compiere se si tiene conto del fatto che la mezzadria fu l’asse portante attorno a cui ruotò non solo il rapporto tra proprietari e contadini, ma anche quello «tra città e campagna, abitanti e risorse, uomo e territorio»19 e la sua persistenza fu dettata anche dalla stessa conformazione fisica di questa regione prevalentemente montuosa e collinare. Il declino dell’istituto mezzadrile fu causato da un insieme di fattori endogeni e strutturali quali la disgregazione della famiglia patriarcale e l’abbandono delle campagne, soprattutto da parte dei giovani, e dai connessi fenomeni dell’emigrazione e dell’inurbamento, così come da moventi di natura economica e sociale (la mezzadria infatti non era in grado di offrire condizioni di vita sociale e culturale migliori né redditi sufficienti per vivere)20. Le lotte mezzadrili, che si manifestarono a fasi alterne sin dall’inizio del XX secolo e ancor più intorno agli anni ‘40 del Novecento, travalicarono il confine di semplice lotta sociale e diventarono espressione di un più ampio movimento di «liberazione» in nome di una società più avanzata e più giusta, di critica radicale dei tradizionali assetti sociali e di potere della regione21. L’imponente fenomeno di deruralizzazione che si manifestò a partire dal secondo

riportati brani estratti dal suddetto volume nei quali si approfondisce qualitativamente la situazione dell’industria in Umbria in relazione al periodo preso in considerazione dalla ricerca in questione. Per quanto concerne gli addetti impiegati in altre attività produttive la percentuale per il 1951 e del 18,6%, per il 1961 è invece pari al 25,1%. 18 La dominazione pontificia a causa della sua caratteristica conservatrice e tradizionalista ha contribuito a mantenere intatti i rapporti e le forme di rendita terriera impedendo qualsiasi spinta ed iniziativa locale privata. 19 R. Covino e G. Gallo, Le contraddizioni di un modello, cit., p. 80. 20 Si rimanda in proposito alle sezione documentaria nella quale vengono riportati stralci dei volumi pubblicati dal «Centro regionale per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria» che approfondiscono in merito alle dinamiche demografiche registratesi in Umbria con particolare riferimento al decennio 1951 e 1961 e alla situazione dell’agricoltura nella regione per il medesimo periodo. 21 C. Carnieri, Regionalismo senza regione. Considerazione sull’Umbria negli anni Cinquanta e Sessanta, Perugia, Protagon, 1992, p. 11. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 262 dopoguerra fu dovuto alla rottura del progressivo isolamento, all’avvertita necessità di modernizzazione del mondo rurale e allo sviluppo di una coscienza contadina che si espresse in particolare nelle lotte rivendicative per la conquista di migliori condizioni di vita.22 Le lotte contadine degli anni ‘50 del Novecento si fecero così testimoni e portavoce di un sentimento diffuso di rinnovamento, di maturazione, di necessità di una nuova idea unitaria delle prospettive della regione. In questo contesto il tema dello sviluppo regionale divenne il centro del dibattito politico e programmatico di cui varie forze politiche avevano cercato di farsi interpreti soprattutto a seguito della dura ondata di lotte contro la crisi, la smobilitazione e i licenziamenti degli anni 1958 e 1959. È in questo contesto che, tra gli anni ‘50 e ‘60, si delinea per la prima volta una percezione di identità regionale unitaria, frutto di un lungo processo di elaborazione, incardinato in modo alquanto complesso nella storia nazionale e nei secoli che hanno preceduto la vicenda unitaria risorgimentale, che ha visto un forte impegno politico, civile e culturale con il quale si sono confrontati tutti i principali soggetti sociali della regione e che ha permesso di superare quella dimensione municipalistica ereditata dal passato comunale. Si sviluppò così la prima forma produttiva di confronto e di operatività democratica che permise di giungere alla prima esperienza di programmazione di sviluppo economico regionale largamente condivisa, frutto di un puntuale processo di analisi delle strutture e dinamiche sociali e culturali della regione nella «più piena cognizione delle dinamiche nazionali». Nel dibattito si inserirono forze diverse della sinistra e del mondo cattolico che iniziarono ad interrogarsi sui temi della programmazione e dello sviluppo regionale. In questo quadro il «regionalismo» ha costituito l’asse portante del pensiero politico entro cui le varie forze democratiche hanno maturato la loro elaborazione programmatica23. 22 Cfr. Il Piano di sviluppo economico dell’Umbria, I, Relazione generale del Piano, Perugia, s. n., 1965, pp. 238-250 a proposito della dinamica di trasformazione degli orientamenti contadini e dell’esodo dalle campagne. 23 Per approfondire cfr. C. Carnieri, Regionalismo, cit., pp. 158-208; si rimanda inoltre al volume di C. Carnieri, Per un nuovo regionalismo. La sinistra umbra tra Welfare e «nuovo sviluppo», Perugia, Protagon, 1990 in cui l’A. si sofferma sulle prospettive di «nuovo regionalismo» nate sul finire degli anni ‘80, al fine di dar vita ad una nuova fase della realtà economica e dell’identità sociale, politica, culturale dell’Umbria, a seguito dei grandi sconvolgimenti del decennio e cogliere così i dati qualitativi dei cambiamenti avvenuti e «fondare, su questa rilettura critica, il profilo di un progetto riformatore teso a far avanzare una nuova fase dello sviluppo regionale» (ivi, p. XVII). I temi della programmazione e del regionalismo conoscono una prima elaborazione tra le forze politiche della sinistra alla luce di una forte visione nazionale della «questione umbra» (che si era manifestata per la prima volta nel momento in cui la Camera del governo Sonnino presentò l’8 marzo 1906 un disegno di legge contenente provvedimenti a favore del Mezzogiorno. La soluzione della questione meridionale veniva infatti vista quale problema fondamentale per la vita della nazione. L’Umbria si scoprì allora arretrata quasi di colpo e la «questione umbra» emerse quale reazione alla legislazione speciale adottata per il Mezzogiorno). In particolare per il documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 263 Il primo Piano di sviluppo economico regionale (1960-1964)

La necessità di elaborare un piano di sviluppo economico per l’Umbria maturò a seguito della grave depressione economico-sociale determinatasi nel dopoguerra in alcuni settori produttivi (licenziamenti della Società Terni, crisi delle miniere di lignite24, riconversione post-bellica di alcune industrie legate all’economia di guerra) e della presa di consapevolezza della necessità di trovare quanto prima una via d’uscita dalla crisi per evitare un ulteriore aggravamento della depressione umbra. Il progressivo sviluppo del Nord da un lato e l’intervento governativo nel Sud dall’altro rischiavano di creare forti squilibri a livello di sviluppo economico in diverse regioni del Paese, tra cui l’Umbria. Per questo motivo tutti gli operatori economici, sociali, professionali si mossero al fine di elaborare un progetto di sviluppo regionale volto a superare le criticità del sistema e della struttura economica umbra. Si susseguirono convegni, dibattiti, riunioni, studi, pubblicazioni sui problemi della regione che dimostrarono la volontà e il desiderio di tutta la società civile di progresso economico e sociale della regione. Le iniziative intraprese, seppur spesso contraddittorie e di parte, misero in evidenza la voglia di mettere in campo nuovi strumenti di sviluppo con l’obiettivo di approfondire la conoscenza della realtà regionale e di agire conseguentemente in modo da proporre mirati interventi di politica economica efficaci ai fini dello sviluppo della regione. Il primo passo in questa direzione fu rappresentato dall’istituzione, il 30 novembre

Pci erano tre gli obiettivi fondamentali da raggiungere: la riforma agraria, lo sviluppo industriale e la nascita dell’ente Regione. Le questioni dello sviluppo si posero anche all’interno del gruppo dirigente della Dc seppure con motivazioni diverse. La speranza per la Dc era che fosse possibile avviare una nuova fase di modernizzazione del Paese che avrebbe potuto essere così forte in Umbria da mettere da parte i comunisti, limitandone la capacità di protesta e lotta (cfr. C. Carnieri, Regionalismo, cit., pp. 23- 24). Diverse furono anche le riviste che in quegli anni contribuirono a creare un terreno fecondo per l’approfondimento dei temi dello sviluppo economico e sociale della regione. Tra queste si possono citare l’esperienza della rivista «Presenza», periodico di matrice cattolica, che si sviluppò tra il 1957 e il 1959 favorendo la maturazione di un nuovo clima all’interno del mondo cattolico umbro grazie anche all’atteggiamento di apertura e alla disponibilità del gruppo editoriale della rivista a sottoporre a vaglio critico e discussione qualsiasi tematica (cfr. ivi, pp. 45-78; Presenza: anni 1957-1959, [Perugia], Editrice Umbra, 1983 [ristampa anastatica]); quella del mensile del Pci «Cronache Umbre» in cui si imposero con forza i temi dello sviluppo dell’Umbria e della programmazione regionale; infine quella della rivista di attualità e politica «Umbria d’oggi» animata da un gruppo di radicali perugini, ternani e folignati in stretto contatto con personalità del Pri che fecero del mensile un punto di riferimento della riflessione e del dibattito regionale non solo tra i partiti (cfr. ivi, pp. 105-156). 24 A proposito delle miniere di lignite nello spoletino vedi A. Gasperini, Le miniere di lignite di Spoleto 1880-1960. L’organizzazione del lavoro, i rapporti economico-sociali, la tecnologia, Spoleto, Edizione dell’Ente Rocca di Spoleto, 1980. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 264 1956, dell’«Associazione per lo sviluppo economico dell’Umbria» con la partecipazione delle due Camere di commercio di Perugia e Terni; l’intento era quello di «promuovere lo studio particolareggiato delle condizioni economiche dell’Umbria, al fine di preparare concreti programmi di sviluppo dell’economia regionale». Fu subito chiara la necessità di attuare uno studio organico della realtà regionale in grado di indicare gli ambiti di intervento volti a valorizzare le risorse della regione. Nacque così l’idea di formulare il Piano regionale di sviluppo. Alla base dell’elaborazione del Piano si posero due esigenze in particolare: creare nuove esperienze ai fini di un equilibrato sviluppo del Paese, modificando le tendenze spontanee del processo di sviluppo attraverso «una programmazione economica nazionale articolata a livello regionale» e approfondire le conoscenze e i giudizi sulla realtà regionale in modo che tutti gli interventi fossero chiesti ed effettuati in funzione di tale sviluppo ed in modo che la stessa iniziativa privata fosse orientata secondo le prospettive reali di sviluppo25. Importanti in tal senso furono i due convegni del 1957 e del 1959 durante i quali vennero affrontatati i problemi alla base dello sviluppo della regione. Il «Convegno degli operatori economici umbri» del 195726, promosso dalle Camere di commercio delle due provincie, propose una linea di modernizzazione basata sullo sviluppo industriale e sulla diffusione di una più moderna forma di imprenditoria agricola che sostituisse la mezzadria, forma di conduzione della terra ormai inadeguata alle esigenze di sviluppo della regione. Significativa rilevanza acquistò il convegno economico regionale tenutosi a Terni il 28 giugno 1959 su iniziativa dei Consigli provinciali di Perugia e Terni27, in cui i problemi della regione furono inquadrati nel più ampio contesto nazionale. In particolare si pose in termini nuovi il problema della depressione delle aree meridionali e centrali del Paese e si avanzò la proposta di un quadro organico di sviluppo economico regionale. Con questo convegno si fece più sentita la necessità di un disegno unitario di sviluppo umbro, la consapevolezza di un profondo cambiamento della politica economica nazionale e di una allocazione verso il basso (Regioni, Enti locali) dei poteri e delle capacità di guidare i processi di sviluppo. L’aspetto fondamentale di questo convegno consiste nell’aver definito il carattere della crisi e della depressione umbra collegata a quella di tutte le aree centrali e di aver delineato tutte le differenze economiche e storiche con quelle meridionali. Si

25 Il Piano di sviluppo economico, cit., p. 41. 26 Cfr. Atti del II convegno degli operatori economici umbri (Terni, 9 novembre 1957), Terni, s. n., 1958?. 27 Cfr. Il Convegno economico regionale, «Cronache umbre», 2, 4-6 (1959), pp. 83-92. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 265 affermò inoltre la necessità di una «programmazione dal basso» in grado di contribuire al rinnovamento generale del Paese quale manifesta espressione di una volontà condivisa tra le diverse forze politiche28. «Proporrei come soluzione di questo convegno, la nomina di una commissione per redigere un piano regionale dell’Umbria», questa è la proposta avanzata da Ugo La Malfa durante il convegno, già suggerita da Pietro Ingrao in un articolo uscito in «Cronache umbre» alla fine del 1958 dal titolo Prospettive per l’Umbria29. La questione della programmazione si poneva così con forza quale base dell’attività della regione, dando slancio ad una politica regionalista. Nel frattempo però la situazione dell’Umbria si aggravò ulteriormente. Le lotte contadine e operaie di quegli anni furono un chiaro ed evidente sintomo della crisi e giocarono allo stesso tempo un ruolo fondamentale nella definizione del processo di «unificazione» della regione30. Nel 1959 si ebbe una ripresa dell’attività sindacale; lo sciopero generale del 21 ottobre dello stesso anno indetto da Cgil, Cisl e Uil sul complesso dei problemi regionali ottenne vasto successo sia tra operai e contadini che tra i ceti medi e portò ad una accelerazione delle convergenze unitarie. Si aprì una nuova fase di lotta «unitaria» che mise in discussione tutti gli equilibri politici che si erano creati nel corso degli anni ‘50, maturò così la necessità di una elaborazione programmatica e politica e l’idea del piano di sviluppo si fece sempre più concreta. Dall’11 al 17 febbraio del 1960 si svolse alla Camera dei deputati un ampio dibattito parlamentare sulla questione umbra che portò all’approvazione di un documento che impegnava il governo ad avviare una politica organica di sviluppo della regione e affrontare i punti cruciali della crisi umbra31. L’8 settembre 1960, dopo un intesa raggiunta tra Dc, Pci e Psi, venne costituito il «Centro regionale per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria» presieduto

28 C. Carnieri, Regionalismo, cit., pp. 26-27. 29 Cfr. P. Ingrao, Prospettive per l’Umbria, «Cronache Umbre», 1,1 (1958), pp. 3-10. Il socialista Luigi Anderlini manifesterà il suo assenso alla proposta, elaborando poi una sua personale ipotesi di piano umbro pubblicata in un articolo di «Mondo Operaio» del 1959 dal titolo Un piano di sviluppo economico per l’Umbria (pp. 23-33). 30 In merito al movimento operaio e alle lotte contadine dalla metà del XIX secolo fino alla metà del Novecento si rimanda ai volumi di F. Alunni Pierucci, Il movimento operaio in Umbria (cronache di un secolo 1850-1950), Perugia, 1960 e Le lotte contadine in Umbria. Cronache di un secolo 1850-1950, Città di Castello, 1983. 31 Cfr. Discussione sulla situazione della regione umbra alla Camera dei deputati 11-12-13-16-17 febbraio 1960, Terni, s. n., 1961?, consultabile online, insieme agli atti del dibattito parlamentare del 1966, al seguente indirizzo http://www.aur-umbria.it/public/images/umbria_parlamento.pdf ; C. Carnieri, Regionalismo, cit., pp. 71-101. Il dibattito si concluse con l’approvazione di un ordine del giorno in dieci punti che può essere considerato la prima organica e forte definizione politica e programmatica del regionalismo umbro. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 266 dall’onorevole Filippo Micheli. L’atto costitutivo e lo statuto furono sottoscritti dall’Associazione per lo sviluppo economico dell’Umbria (Dc), dalle due Camere di commercio, industria e agricoltura di Perugia e Terni (Dc) e dalle due amministrazioni provinciali (Pci-Psi), con lo scopo di «promuovere in modo unitario, indagini e studi sulla situazione economica e sociale dell’Umbria e sulle sue possibilità di sviluppo, con particolare riferimento alla formulazione di un piano di sviluppo regionale»32. Al «Centro regionale» venne affiancato un «Comitato scientifico» composto da alcuni esperti e tecnici locali di diversa estrazione politica. Il 9 gennaio 1961 si costituì il «Comitato regionale per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria» che incaricò il già esistente «Centro regionale» della preparazione di un progetto del Piano. L’esperienza del Piano regionale di sviluppo economico si delineò tra il 1961 e il 1963, andando a costituire la prima analisi organica degli aspetti economici, sociali e culturali della regione e, primo caso in Italia, diede vita ad una proposta complessiva di piano regionale di sviluppo. L’esperienza umbra costituì quindi un esperimento innovativo (se si considera che ancora non si era dato avvio al dibattito sulla programmazione nazionale e non esistevano per cui altri punti di riferimento), che vide l’ampia partecipazione di partiti, organizzazioni sindacali e di categoria ed enti locali. Si decise di impostare il lavoro prediligendo un approccio «scientifico» volto ad approfondire la conoscenza di tutta la realtà regionale attraverso opportune ricerche per fare l’analisi della struttura economica, individuare le tendenze di sviluppo, valutare le prospettive e determinare le linee di intervento. Si possono distinguere quattro fasi di lavoro del Piano: la fase di organizzazione e impostazione del lavoro che va dall’agosto del 1960 al giugno 1961; la fase delle ricerche settoriali e dell’elaborazione compresa tra luglio 1961 e dicembre 196233; il dibattito sul documento di prima stesura che occupa quasi tutto il 1963; infine la fase conclusiva di elaborazione del Piano che va dagli ultimi mesi del 1963 al 7-8 gennaio 1964, data dell’ultima riunione del «Comitato scientifico». 32 Il Piano di sviluppo economico, cit., pp. 88-89. Per avere un quadro esaustivo delle ricerche condotte negli ultimi cinquanta anni dal CRPSEU, dal CRURES, dall’IRRES e dall’AUR si rimanda al repertorio pubblicato da quest’ultimo dal titolo Cinquant’anni di ricerche per la programmazione economica, sociale e territoriale in Umbria. Repertorio delle ricerche e indici dei periodici, Perugia, Aur, 2007, disponibile anche online al seguente indirizzo: http://www.aur-umbria.it/public/images/50_anni_ricerche.pdf 33 Le ricerche riguardarono popolazione, agricoltura, deruralizzazione, industria, urbanistica, artigianato, imprenditorialità, commercio, turismo e centri storici, sistema bancario e mercato finanziario, viabilità e trasporti, istruzione. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 267 Primo obiettivo del Piano fu quello di utilizzare le risorse umane ed economiche potenzialmente presenti nella regione; secondo quello di ordinare tutti gli interventi utili ai fini dello sviluppo. L’individuazione degli interventi seguì alla puntuale descrizione degli aspetti negativi della struttura economica umbra e dei possibili fattori di sviluppo. Tra gli aspetti negativi della struttura economica umbra rientravano:  un tasso di sviluppo industriale inferiore alla media nazionale; ristagno delle attività agricole dovuto alla permanenza della struttura mezzadrile34;  scarso sviluppo del settore turistico;  isolamento dell’economia umbra rispetto al contesto nazionale a causa soprattutto di un inadeguato sistema di comunicazioni che incideva pesantemente sullo sviluppo industriale inibendo le capacità imprenditoriali umbre. «Così strutturata l’economia umbra si presenta disorganica, con forti perdite di popolazione, con un mercato locale debole», per cui i settori industriali in espansione non riuscivano a trascinare l’economia in un deciso processo di sviluppo35. Esistevano però anche fattori potenziali di sviluppo ovverosia quelle «caratteristiche ambientali e geografiche e le disponibilità di risorse […] non adeguatamente utilizzate» che avrebbero potuto essere valorizzate laddove fossero stati attuati opportuni interventi per lo sviluppo36. I fattori potenziali di sviluppo dell’economia umbra furono individuati nella:  esistenza di notevoli risorse imprenditoriali;  favorevole collocazione geografica della regione;  grande disponibilità di manodopera facilmente qualificabile;  vasta disponibilità di materie prime e di semilavorati provenienti sia dall’agricoltura che dalla grande industria siderurgica e chimica;  potenzialità di sviluppo nel settore agricolo individuate nello sviluppo delle produzioni industriali (tabacco, barbabietola da zucchero, pomodoro) e nel settore dell’allevamento;  disponibilità di risorse idriche;

34 Ciò aveva causato un consistente esodo dalle campagne che aveva fatto perdere all’Umbria soprattutto forza lavoro giovanile e una scarsa crescita dei redditi agricoli non consentendo di aumentare la domanda locale e di stimolare la formazione di imprese per la produzione di beni di consumo nella regione. 35 Il Piano di sviluppo economico, cit., p. 252. 36 Ivi, p 294. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 268  possibilità di sviluppo nel settore turistico (buona posizione, ricchezza di risorse naturali e storico-artistico-culturali). A partire dall’insieme di questi aspetti, positivi e negativi, il Piano passava ad enucleare le possibili proposte di intervento. Di primaria rilevanza risultava essere il superamento della mezzadria, ciò per una serie di motivi:  rifiuto crescente della mezzadria a causa di un accentuato squilibrio tra livello di condizione oggettiva e livello delle aspirazioni soggettive del mezzadro;  la struttura mezzadrile poneva diversi limiti allo sviluppo sul piano culturale, tecnologico, aziendale e d’impresa nel settore agricolo;  la mezzadria impediva un incremento dei redditi di lavoro e l’abbassamento dei costi di produzione. Il superamento della mezzadria sarebbe dovuto avvenire in modo tale da garantire contemporaneamente un sistema adeguato alle nuove esigenze dei lavoratori e alle nuove prospettive di sviluppo dell’economia agricola. Dalla mezzadria si sarebbe dovuti passare all’azienda a conduzione prevalentemente familiare (che avrebbe dovuto a sua volta rispondere a profonde trasformazioni in ordine soprattutto di raggiungere dimensioni più idonee e realizzare un maggiore sviluppo tecnico), sia singola che associata in cooperative, e all’azienda a salariati «tecnicamente attrezzata e razionalmente condotta». Questo processo avrebbe dovuto essere favorito da:  una efficiente politica di concessione di crediti atta a favorire la riorganizzazione delle imprese agricole soprattutto nelle aree in cui avrebbe potuto operare l’impresa familiare dove sarebbe stato possibile creare condizioni di più elevata produttività;  iniziative con le quali promuovere una più elevata retribuzione del lavoro mezzadrile (introducendo ad esempio l’istituto del «salario minimo garantito» quale retribuzione base delle unità della famiglia mezzadrile impiegata nel fondo, che in ogni caso avrebbe dovuto essere assicurato dall’imprenditore agrario);  incentivi alla formazione e allo sviluppo di cooperative agricole con base nei mezzadri ed anche nei coltivatori diretti;  interventi volti a migliorare l’assistenza sociale ai contadini. Tra le iniziative che avrebbero dovuto essere adottate così da permettere un superamento della mezzadria e una trasformazione delle imprese agricole vi è sicuramente documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 269 la specializzazione degli ordinamenti colturali per consentire un adattamento alle possibilità produttive dell’ambiente, ciò grazie a nuovi e più alti livelli di remunerazione del lavoro manuale e all’indirizzo mercantile delle produzioni agricole. Le aree di pianura e i fondovalle avrebbero dovuto essere caratterizzate da produzioni cerealicole e foraggere largamente meccanizzate, grande importanza avrebbero rivestito anche gli allevamenti zootecnici soprattutto bovini e suini. Nelle zone di collina si sarebbe dovuto procedere al potenziamento delle coltivazioni di olivi e della vite in forma specializzata e con possibilità di meccanizzazione, inoltre in queste zone si sarebbe dovuto puntare sulla cerealicoltura e sugli allevamenti zootecnici soprattutto di ovini. L’alta collina e la montagna avrebbero dovuto avere ordinamenti estensivi volti a privilegiare la grande azienda silvo-pastorale. Affinché questo si realizzasse sarebbe stato necessario oltre ad un mutamento degli ordinamenti colturali:  razionalizzare la struttura delle aziende agrarie in relazione alla variata impostazione degli ordinamenti produttivi;  ridurre i valori dei terreni;  migliorare le dotazioni di capitali;  sviluppare l’organizzazione cooperativa sia nel quadro della gestione aziendale che dell’organizzazione della trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Per il raggiungimento di tali obiettivi essenziale sarebbe stata la creazione di un Ente di sviluppo agricolo in grado di formulare nell’ambito del Piano regionale, un piano di trasformazione e di valorizzazione dell’agricoltura suddiviso per aree e di individuare efficientemente gli indirizzi produttivi e gli ordinamenti colturali più adatti ad uno sviluppo armonico dell’economia generale. Per quello che riguarda gli atri settori produttivi l’analisi presentata dal Piano proponeva due classi di interventi: generali, volti a promuovere lo sviluppo economico; specifici per singoli settori produttivi o territoriali. A proposito della prima tipologia di interventi si proponeva la realizzazione di zone industriali attrezzate nel contesto di una efficiente ed organica politica urbanistica; la costituzione di un Ente regionale per la promozione e il finanziamento di nuove iniziative industriali; il coordinamento degli incentivi previsti da leggi speciali; iniziative pubblicitarie per consentire la conoscenza degli obiettivi del Piano umbro e degli strumenti attraverso cui conseguirlo. L’Ente suddetto avrebbe dovuto svolgere un’azione attiva per la promozione dello documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 270 sviluppo industriale approfondendo le indicazioni contenute nel Piano in merito alla possibilità di sviluppo di nuove iniziative industriali, elaborando analisi settoriali per stabilire la loro prospettiva di sviluppo nei vari contesti regionali e nel mercato sia nazionale che internazionale, promuovendo attività pubblicitaria così da permettere ad imprenditori locali e non di conoscere le potenzialità di sviluppo industriale esaminate dall’Ente. Caratteristiche particolari presentava l’industria nel ternano. Partendo dal presupposto che la «Terni» avrebbe continuato a svolgere la funzione di impresa «motrice» si sarebbe dovuto procedere alla soluzione di tre problemi:  conversione delle sue produzioni siderurgiche alle nuove prospettive del mercato a partire dalla produzione di nastri magnetici, lamierini e altri prodotti di acciaio inossidabile;  potenziamento delle vecchie attività ed integrazione con nuove attività al fine di consentire lo sviluppo della «Terni» adeguato alle proprie esigenze di crescita e alle prospettive di industrializzazione della regione;  formazione di industrie complementari soprattutto nella lavorazione dei semilavorati e dei prodotti chimici del complesso industriale. La soluzione di questi tre problemi viene individuata nel reimpiego degli indennizzi dovuti alla «Terni» per lo scorporo delle attività elettriche nello sviluppo delle attività del polo industriale e nel potenziamento dell’industria complementare. Affinché il Piano umbro potesse trovare applicazione, fondamentale sembrò essere l’apporto delle Partecipazioni statali per la soluzione dei problemi dell’economia umbra. L’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) avrebbe dovuto orientare i suoi programmi così da tenere conto delle possibilità che si sarebbero venute a creare con la programmazione economica. L’azione indiretta delle aziende a partecipazione statale, volta a favorire il sorgere di piccole e medie imprese, avrebbe dovuto permettere la costituzione di enti finanziari in grado di valorizzare iniziative imprenditoriali locali, solitamente carenti sul piano della consulenza tecnica e commerciale. Le imprese a partecipazione statale avrebbero potuto fornire tali competenze, inoltre la partecipazione delle grandi imprese agli enti finanziari avrebbe potuto risultare utile sia alle piccole imprese, rafforzandone struttura e prospettive, sia alle grandi, consentendo di allargare il mercato e di stabilizzare l’economia regionale nella quale erano inserite. Il Piano individuava inoltre interventi specifici per l’artigianato artistico e documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 271 semiartistico, per la trasformazione industriale dei prodotti agricoli (olive, uva, carni, latte, barbabietola da zucchero, pomodoro, tabacco) e per il turismo. In quest’ultimo caso gli interventi avrebbero riguardato le attrezzature, le vie di comunicazione, i centri storici, le risorse ambientali o naturali. Tali interventi avrebbero dovuto essere applicati a seconda delle varie zone, individuate delimitando i comprensori costituiti da caratteristiche morfologiche e ambientali omogenee, da territori che gravitavano attorno ad un centro di rilevanza turistica e da territori che si distinguevano per la presenza di risorse ambientali e naturalistiche di spiccato interesse. Per ciascuna delle zone individuate il Piano, a seguito di una particolareggiata analisi e descrizione, sviluppava gli interventi volti a valorizzare il settore turistico: facilitare i collegamenti dei centri, dove si sarebbe potuto sviluppare il turismo di soggiorno, con gli altri centri della regione e con le principali vie di comunicazione nazionali ed internazionali; concentrare gli interventi infrastrutturali in un limitato numero di località; realizzare una adeguata campagna pubblicitaria volta a risaltare le bellezze naturali della regione, dei suoi centri storici, delle facilitazioni turistiche a livello non solo nazionale, ma anche internazionale. Per la realizzazione dei suddetti interventi appariva necessaria la costituzione di un Ente Regionale per il turismo dipendente dall’Assessorato Regionale al Turismo, che avrebbe dovuto coordinare i vari organismi (Enti provinciali per il turismo, Aziende di soggiorno, Comuni) programmando gli interventi e sviluppando un’adeguata propaganda per la regione; seguire le tendenze evolutive e fornire indicazioni in proposito; contribuire finanziariamente e tecnicamente alla preparazione di pubblicazioni culturali sull’Umbria; curare la pubblicità ed esercitare un’azione di controllo sulla qualità, sui prezzi e sui servizi offerti. Nell’individuare i vari problemi nei vari settori e i possibili interventi il Piano delineava anche gli obiettivi che sarebbe stato possibile raggiungere con l’attuazione dei suddetti interventi e le prospettive di sviluppo delle varie zone, chiamate zone di intervento o comprensori economico-urbanistici37. Per ciascuna delle undici zone individuate venivano illustrate le caratteristiche geografiche, le prospettive di sviluppo dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato e indicati livelli occupazionali raggiungibili per effetto del Piano al 1970 nell’agricoltura e nell’industria. Nella parte finale il Piano analizzava gli aspetti istituzionali e finanziari degli

37 Le zone di intervento o comprensori economico-urbanistici individuati furono: Perugia, Alta Valle del Tevere, Eugubino, Valle Umbra, Media Valle del Tevere, Trasimeno, Spoletino, Nursino, Conca Ternana, Orvietano-Amerino. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 272 interventi in relazione all’attuazione del Piano stesso e alle nuove prospettive di sviluppo dell’economia umbra, individuando una serie di interventi che presentano carattere di particolare urgenza:  riorganizzazione e stabilizzazione del «Centro regionale per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria» affiancato da un organismo cui spetti la responsabilità politica dell’attuazione del piano con adeguati poteri:  costituzione di un ente di sviluppo dell’agricoltura e di un ente per la promozione ed il finanziamento di nuove iniziative industriali; creazione di un comitato per il piano urbanistico regionale e di consorzi per i comprensori urbanistici;  interventi per migliorare la struttura del sistema bancario;  interventi nel settore agricolo;  iniziative atte a favorire il processo di sviluppo industriale. Infine il Piano indicava gli investimenti necessari per l’attuazione dello stesso e il presumibile costo globale dell’operazione38.

Il dibattito sul Piano si aprì a seguito della sua presentazione e consegna all’allora ministro del Bilancio on. Ugo La Malfa nel gennaio 1963. A questa fase parteciparono tutte le forze locali umbre (consigli provinciali di Perugia e Terni, consigli comunali della regione, le Giunte delle Camere di commercio di Perugia e Terni, i partiti, le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria,altri organismi locali, gli uffici periferici dello Stato, gli Istituti bancari e molti imprenditori). Dal dibattito emerse, pur nella diversità di opinioni, una larga convergenza su una valutazione sostanzialmente positiva delle linee generali del Piano, dei suoi obiettivi e degli interventi in esso previsti, posizione contraria fu espressa solo dalle Associazioni umbre degli agricoltori, dal Partito liberale (Pli) e dal Movimento sociale (Msi). In altri documenti presentati erano contenute valutazioni critiche a proposito degli interventi in alcuni settori, mentre il giudizio generale sul Piano non fu negativo. Il documento approvato nel 1964 a conclusione del dibattito rispetto alla prima stesura

38 Per approfondire in merito ai vari punti trattati nella relazione generale del Piano si rimanda al volume Il Piano di sviluppo, cit., e nello specifico ai vari volumi pubblicati dal CRPSEU che analizzano in dettaglio le tematiche esposte nella relazione generale; si vedano inoltre il saggio di E. Mantovani, L’Umbria e la programmazione regionale (un’ipotesi interpretativa per gli storici), in R. Covino e G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, 792-822 e il volume di P. De Angelis, L’isola senza mare. Storia del piano di sviluppo economico dell’Umbria (1960-1970), Arrone, Thyrus, 2012. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 273 confermava l’impostazione generale del Piano sviluppando però alcuni chiarimenti rispetto ai fini e agli obiettivi del Piano stesso e accogliendo alcune osservazioni e proposte emerse dal dibattito39. L’esperienza del Piano umbro costituì una sorta di laboratorio democratico per le varie forze politiche che si trovarono per la prima volta ad affrontare in maniera sistematica il tema dello sviluppo regionale e che risulta ancora più significativo perché elaborato in una realtà, quella umbra, arretrata, piccola e depressa (sul piano politico, economico, delle vie di comunicazione, ecc.), unica regione tra quelle centrali a non avere sbocco al mare. La necessità di uscire dalla condizione non solo di marginalità e isolamento, ma di profonda depressione economico-sociale si manifestò nell’elaborazione di un progetto politico innovativo che consentì alla regione di confrontarsi con le questioni più complesse dello sviluppo nazionale. Fu inoltre terreno di incontro e dibattito per le varie forze politiche che si erano fatte interpreti del nuovo clima politico, sociale e culturale in atto nel Paese. Se da un lato l’elaborazione del Piano si costituì quale significativo momento di sintesi politica e programmatica, dall’altro portò all’interno delle forze politiche una serie di contrasti e di implicazioni che misero in crisi equilibri e schemi ormai consolidati. All’interno della Dc si sviluppò un ricco contrasto tra «anima fanfaniana, modernizzante, tecnocratica, e più ricca di studi sociali, radicata culturalmente a Perugia e una tendenza più popolare e forse meno laica, più legata per altro alla struttura ecclesiale umbra degli anni ‘50, la quale aveva invece a Terni, nella politica di Filippo Micheli, il suo principale punto di riferimento»40. L’area fanfaniana e «moderna» si staccò per prima dalla vicenda del Piano per intraprendere la nuova esperienza governativa del centro-sinistra nella convinzione che grazie ad una programmazione nazionale e ad una nuova cultura, riformatrice ed interventista, si sarebbe potuto raggiungere un nuovo sviluppo dell’Umbria. Maggiore disponibilità politica e apertura sociale si riscontrarono invece negli orientamenti dell’on. Micheli e della Dc ternana. Nemmeno tra i comunisti la vicenda del Piano fu priva di contrasti e problemi che ruotavano principalmente attorno ad una questione, quella degli interlocutori sociali, culturali e politici in una regione come l’Umbria attraversata da profonde trasformazioni41.

39 Sul Piano del 1964 vedi M. Santi, Programmazione regionale: il significato dell’elaborazione del Piano del ‘64, «Cronache Umbre», 1, 5-6 (1976), pp. 73-85; L. Maschiella, Il Piano del ‘64: ciò che vale di una esperienza comune, «Cronache Umbre», 1, 7 (1976), pp. 83-93. 40 C. Carnieri, Regionalismo, cit., pp. 185-186. 41 Cfr. ivi, pp. 186-196. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 274 Con il 1964 si ebbe non solo una profonda modificazione del ciclo politico, ma anche degli assetti politico-sociali che portò di fatto alla chiusura dell’esperienza del primo Piano di sviluppo. Sfumò ogni possibilità di attuazione del Piano elaborato, mancavano sia gli strumenti che le risorse finanziare per dare avvio a quel processo di riforma necessario per lo sviluppo della regione42. L’attiva partecipazione di tutte le forze politiche e sociali alla formulazione del Piano ha costituito per l’Umbria una proficua esperienza di programmazione che ha consentito per la prima volta di riflettere in maniera seria e compiuta sui problemi alla base dell’arretratezza della regione attraverso una serie di studi approfonditi sulla realtà umbra volti a restituire un’immagine veritiera delle condizioni economiche e sociali della regione.

42 In occasione della cerimonia di presentazione del Piano nel gennaio del 1963 il ministro del Bilancio l’on. Ugo la Malfa aveva dichiarato:«Ma l’Umbria e la Sardegna si trovano in queste opposte condizioni che il Piano regionale sardo per virtù di una norma di costituzione, ha già avuto il finanziamento sebbene non ci sia il Piano, mentre l’Umbria ha perlomeno le linee fondamentali del Piano senza che ci sia il finanziamento». documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 275 DOCUMENTI

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 276 Nelle pagine che seguono sono riprodotti una serie di brani estratti da tre dei volumi pubblicati dal «Centro regionale per lo sviluppo economico dell’Umbria» quale risultato delle indagini effettuate dal «Centro» per approfondire la conoscenza della realtà umbra e proporre concreti programmi di politica economica utili ai fini dello sviluppo della regione. Si tratta dei volumi sull’agricoltura, l’industria e l’evoluzione demografica, risultati essere particolarmente significativi ai fini dell’elaborazione del Piano di sviluppo economico dell’Umbria in quanto forniscono fondamentali indicazioni in merito ai tratti peculiari e all’evoluzione della struttura economica e sociale della regione, individuandone problemi e possibili linee di intervento per lo sviluppo e il superamento della strutturale arretratezza della regione1. Proprio l’agricoltura e l’industria hanno svolto un ruolo storicamente determinate per lo sviluppo economico della regione e hanno costituito i punti centrali del dibattito maturato tra fine anni ‘50 e primi anni ‘60 del Novecento tra le varie forze politiche e sociali sui temi dello sviluppo e della programmazione, mentre lo studio delle dinamiche demografiche risulta essere fondamentale per comprendere e spiegare le modificazioni avvenute nel contesto economico e sociale umbro in quegli anni. I brani proposti sono preceduti da brevi schede di presentazione che introducono i volumi da cui sono stati estratti e una sintesi dei contenuti delle pagine riprodotte. Le note indicate da numerazione tra parentesi tonde fanno parte del testo originale, quelle senza parentesi e le parti in corsivo sono annotazioni fuori testo aggiunte per completezza di informazione.

1 Causata principalmente dalla permanenza del sistema mezzadrile - che aveva provocato da un lato l’esodo dalle campagne, facendo perdere all’Umbria soprattutto forza lavoro giovanile, dall’altro una scarsa crescita dei redditi agricoli - e da un ridotto tasso di sviluppo industriale. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 277 GIUSEPPE GUERRIERI, STRUTTURA, DINAMICA E PROBLEMI DELL’AGRICOLTURA IN UMBRIA, PERUGIA, S. N., 1964, 348 PP.

Lo studio cerca di proporre per la prima volta un quadro approfondito e completo dell’economia agricola regionale in tutti i suoi più importanti aspetti (evidenziando gli ostacoli che si oppongono allo sviluppo dell’agricoltura, indicando gli interventi atti a rimuovere i suddetti ostacoli strutturali per procedere poi ad una più razionale organizzazione dell’attività agricola ed effettuare alcune previsioni in merito allo sviluppo dell’agricoltura umbra ipotizzando le strutture future e gli strumenti necessari per raggiungerle). La ricerca è articolata in quattro parti: 1) una indagine sull’ambiente agricolo e sulla situazione economico-agraria della regione volta a chiarire le caratteristiche peculiari dell’agricoltura umbra; 2) una indagine sulla popolazione rurale con lo scopo di offrire una valutazione in merito alla consistenza e struttura della popolazione agricola dei singoli comuni della regione; 3) una indagine relativa alla proprietà ed all’impresa; 4) alcune analisi socio-economiche di aziende agrarie, così da avere un quadro più puntuale della situazione produttiva ed economica dell’agricoltura. Ai fini del raggiungimento dei suddetti obiettivi il territorio è stato suddiviso in «zone omogenee» per permettere di descrivere le caratteristiche dell’agricoltura nelle varie zone ed analizzare al meglio le differenze esistenti all’interno della realtà regionale relativamente ai fenomeni indagati1. L’ampio respiro della ricerca consente così di individuare i problemi da superare e gli interventi da attuare al fine di definire efficaci e concrete politiche di sviluppo economico nel settore agricolo.

Qui di seguito sono riportati dei brani estratti dal suddetto volume, pubblicato dal «Centro regionale per il Piano di sviluppo economico dell’Umbria», che mettono in evidenza alcuni dei caratteri fondamentali della situazione agricola umbra, in particolare per il decennio 1951- 19612, grazie all’individuazione delle cause delle modificazioni allora

1 Le zone agrarie omogenee individuate sono le seguenti: Sud-appenninica (I zona), Nord- appenninica (II zona), Collinare-Occidentale (III zona), Collinare di Piediluco (IV zona), Collinare del Trasimeno (V zona), Valle Tiberina (VI zona), Valle Umbra (VII zona), Conca Ternana (VIII zona), Collinare di Cesi (IX zona). 2 Per approfondire sulla situazione delle campagne umbre si rimanda all’opera di H. Desplanques, Campagne umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell’Italia centrale, 5 v., Perugia, Guerra, 1975, in particolare al secondo volume, L’organizzazione del territorio, che ripercorre storicamente i caratteri salienti dell’organizzazione del territorio umbro, analizzando le principali strutture e le varie forme di organizzazione dello spazio. Si segnala inoltre il saggio di M. Scardozzi e L. La Penna, Note sulle campagne umbre dall’avvento del fascismo agli anni trenta, in G. Nenci (a cura di), Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza. Problemi di storia nazionale e storia umbra, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 197-225 e gli scritti di Luigi Bellini La mezzadria in Umbria dall’Unità alla fine del secolo XIX, L’agricoltura umbra negli ultimi cento anni, L’agricoltura umbra negli ultimi cento anni, Note per la storia del movimento contadino umbro (1900-1921) – corredato da numerose indicazioni bibliografiche – e Appunti per la storia dell’agricoltura umbra negli ultimi cento anni pubblicati nel volume Scritti scelti. Aspetti e problemi economici documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 278 in atto (per quanto concerne sia la consistenza e struttura della popolazione rurale che la struttura dell’istituto mezzadrile) e degli interventi per lo sviluppo necessari alla rimozione dei problemi strutturali dell’agricoltura in Umbria3. I primi due paragrafi sono estratti dal capitolo II, «L’economia agricola umbra come appare dalle ricerche svolte», che esamina analiticamente la realtà del settore agricolo alla luce delle indagini svolte. Il primo paragrafo, sulla popolazione agricola, mette in luce le variazioni avvenute sul totale della popolazione attiva a livello di addetti nel settore agricolo confrontando i dati per le due provincie di Perugia e Terni. Dalle analisi condotte si riscontra un generale decremento della popolazione attiva agricola per il periodo 1936-1951 (seppure il fenomeno si sia manifestato in maniera differente nelle due Provincie, ciò dovuto alle diverse condizioni di sviluppo economico delle stesse) e un profondo mutamento della struttura interna della popolazione stessa (esodo dei giovani, invecchiamento della popolazione, aumento dell’incidenza del lavoro femminile che va a supplire alla carenza di forza lavoro disponibile, ecc.). Questi cambiamenti hanno avuto pesanti ripercussioni anche sull’equilibrio dell’istituto mezzadrile che ha costituito fino agli anni ‘50 del secolo scorso la forma predominante di conduzione della terra4. Del paragrafo 2.3-c sui tipi di impresa e sulle forme di conduzione è stata estrapolata la parte relativa alla mezzadria, nella quale si mettono per l’appunto in evidenza le cause che hanno portato alla rottura degli equilibri sui quali si reggeva il contratto mezzadrile. Il movente economico è risultato essere la causa principale della crisi del contratto (bassi redditi dei mezzadri, rimasti molto al di sotto della media dei salari di tutte le altre categorie di lavoratori), a cui si deve aggiungere la crisi della famiglia mezzadrile, manifestatasi con un progressivo abbandono della struttura patriarcale soprattutto da parte dei giovani (giovani donne in particolare). Questi sono gli aspetti individuati in sede di indagine quali responsabili principali dell’inarrestabile disgregazione del contratto, ragion per cui sempre più sentita e avvertita fu la necessità di superamento della mezzadria al fine di raggiungere quanto prima una soddisfacente riorganizzazione dell’agricoltura in grado di rispondere in maniera adeguata alle esigenze di crescita economica della regione. La mezzadria fu vista allora come uno dei principali ostacoli strutturali allo sviluppo dell’economia e dell’agricoltura della regione (oltre ad una inadeguata struttura istituzionale delle campagne umbre e dei mercati agricoli e al consistente esodo della popolazione rurale) e il suo superamento fu considerato «pregiudiziale per la soluzione degli altri problemi tecnico-

dell’Umbria nei secoli XIX e XX, a cura di L. Tittarelli, Perugia, Isuc; Foligno, Editoriale Umbra, 1987, estratti dalle riviste «Movimento operaio» e «Cronache Umbre». 3 Per approfondire sulla situazione agricola in Umbria nel decennio successivo si rimanda a G. Guerrieri, Situazione dell’agricoltura in Umbria in relazione ai mutamenti intervenuti nel quinquennio 1962-1966 e prospettive al 1970, Perugia, s. n., 1967. 4 Altra forma prevalente fu quella della coltivazione diretta da parte del proprietario, in via di espansione invece la conduzione a salariati, destinata a sostituire in buona parte la mezzadria. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 279 economici e sociali dell’agricoltura» umbra. Per una più approfondita comprensione del quadro appena descritto si rimanda alla lettura dei capitoli della ricerca in questione, qui riprodotti, in cui vengono indicati nello specifico gli ostacoli strutturali considerati alla base dell’arretratezza dell’agricoltura nella regione e illustrati gli interventi grazie ai quali sarebbe stato possibile rimuovere tali criticità così da procedere ad una più razionale organizzazione dell’attività agricola5. In questo modo il Piano, definendo le probabili linee di intervento, gli strumenti e gli organismi attraverso cui operare (affiancato dall’attività del privato imprenditore), avrebbe dovuto dare il via a quelle modificazioni necessarie alla ripresa e al progresso dell’agricoltura umbra.

5 Tra le iniziative proposte figurano la concessione di crediti per la riorganizzazione delle imprese, introduzione del salario minimo garantito, sviluppo della cooperazione agricola tra mezzadri e coltivatori diretti, istituzione di un Ente regionale per lo sviluppo agricolo con poteri di esproprio, anche se limitati. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 280 CAPITOLO II

L'ECONOMIA AGRICOLA UMBRA COME APPARE DALLE RICERCHE SVOLTE

[...]

2.3 - I principali aspetti strutturali

2.3-a - La popolazione agricola

Già si è fatto rilevare come sempre in Umbria una parte notevole della popolazione agricola si sia dedicata all’agricoltura, Lo scarso sviluppo industriale che si è verificato dopo la costituzione del Regno Unito, e che è stato carente specialmente nella provincia di Perugia (Terni ha avuto la fortuna(1) di veder sorgere, per diverse ragioni, una importante industria siderurgica), l’isolamento che la regione ha subito, tagliata fuori com’è stata dai principali programmi nel campo delle comunicazioni, hanno determinato il mantenimento dell’attività agricola ad un livello di preminente importanza. Questo nonostante che l’ambiente, per le sue caratteristiche complessive di terreno, di giacitura e di clima, non sia certo il più idoneo all’insediamento di forme di agricoltura ad elevato livello produttivo. Naturalmente tale situazione si e mantenuta sino a che, pure m mancanza di uno sviluppo economico locale(2), le mutate condizioni generali dell’economia italiana hanno determinato un accentuato fenomeno di esodo dalle campagne. In ogni modo nell’ultimo venticinquennio si è avuta la evoluzione indicata nella tabella che segue.

(1) In verità la fortuna di Terni può esser considerata assai relativa, perché essendo stata a lungo la sua industria siderurgica strettamente collegata con il settore militare, l’economia della provincia ha grandemente risentito dei momenti di crisi che questo tipo di industria ha inevitabilmente attraversato. Del resto di questo vizio di origine non sembra, almeno secondo le più recenti indagini del Piano, essersi completamente liberata neppure al presente, nel senso che la siderurgia ternana non ha mai rappresentato, e neppure al presente rappresenta, una attività motrice, ossia suscitatrice di altre attività, ma rimane, per la regione, fine a se stessa. (2) Vale forse la pena ricordare che l’Umbria è una delle poche regioni italiane che dal 1951 al 1961 ha registrato una diminuzione della popolazione residente. Tale flessione inoltre si è avuta anche nella popolazione attiva. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 281 L’andamento della popolazione residente ha avuto due fasi: dal 1936 al 1951 in sensibile espansione; dal 1951 al 1961 in chiaro regresso. Nel primo periodo la popolazione della regione ha segnato un incremento di 78.000 unità, pari al 10,7%, con un valore annuo dello 0,7%, e quindi praticamente uguale a quello medio italiano, che è stato per il periodo del 10,5%. Nelle due provincie l’andamento è stato sensibilmente diverso, perché per la provincia di Perugia l’incremento è stato dell’8,8%, mentre per quella di Terni è salito al 16,2%. Nel secondo periodo si è avuta una perdita di popolazione di 9.173 unità, pari all’1,1%, con un valore annuo dello 0,1%. In questo periodo l’andamento manifestato dalla popolazione umbra è contrastante con quello avutosi nel Paese, che nel decennio ha invece registrato un incremento del 6,5%, proseguendo presso a poco con lo stesso saggio annuale che si era avuto nel quindicennio precedente. Nelle due provincie l’andamento è stato assolutamente divergente. Infatti mentre nella provincia di Perugia si è avuta una riduzione di 11.174 unità, pari all’1,9% in provincia di Terni si è ancora manifestato un incremento, per quanto minimo, di 2.001 unità, pari allo 0,9%. Rispetto alla popolazione residente, la popolazione attiva nel 1936 costituiva per la provincia di Perugia il 44,7%, per la provincia di Terni il 45,3% e per la regione il 44,9%. Nello stesso anno tale incidenza per tutto il Paese era del 42,7%. Nel 1951 la popolazione attiva umbra rappresentava il 42,6% della popolazione residente (Perugia 44,0%; Terni 39,0%), mentre nel Paese l’incidenza era del 43,5%. Nel 1961 la popolazione attiva umbra rappresentava il 39,1% della popolazione residente (Perugia 39,8%, Terni 37,2%), mentre nel Paese l’incidenza era del 38,5%. L’aliquota di popolazione attiva ha quindi per la provincia di Perugia registrato sempre valori più elevati di quelli della provincia di Terni e della media nazionale. Ciò è dovuto alla maggiore incidenza della popolazione rurale, per la quale il rapporto fra gli attivi e il complesso della popolazione è più alto. Nei riguardi della incidenza della popolazione agricola attiva sulla attiva totale (3) si ha la seguente situazione:

(3) Nel censimento del 1961, a differenza di come si era proceduto per i censimenti precedenti, sono stati inclusi nella popolazione attiva anche coloro che sono in attesa della prima occupazione. Nella nostra elaborazione però, per rendere omogenei i dati, si è provveduto a togliere dalla popolazione attiva questa categoria di individui. La popolazione attiva resta quindi formata dagli addetti alle varie attività economiche. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 282 La riduzione della popolazione attiva agricola è quindi costante, ma mentre nel periodo 1936-1951, essa si è limitata a 17.942 unità, pari all’8,5%, nell’ultimo decennio le unità mancanti sono assommate a ben 66.275, pari al 34,4%. Con questa ultima riduzione l’incidenza della popolazione attiva agricola sulla totale popolazione in attitudine di lavoro è scesa al 40,7%. Nel complesso del Paese, nel primo periodo la riduzione della popolazione attiva agricola era ammontata a 590.483 unità pari al 6,7%; nel secondo periodo è salita a 2.603.714 unità pari al 31,5%. Con questa caduta il livello della popolazione agricola attiva è sceso al 29,0% dell’intera popolazione attiva. Nelle due provincie l’evoluzione si è manifestata in maniera assai diversa. Nel periodo 1936-51 in ambedue le provincie si è avuta una riduzione, ma mentre in provincia di Perugia essa è rimasta contenuta in 10.628 unità, pari al 6,5%, in provincia di Terni si è arrivati, con 7.314 unità, ad una riduzione del 15,6%. Nel decennio successivo le proporzioni si sono invertite; infatti è stata la provincia di Perugia che ha avuto la più forte flessione, con 54.948 unità in meno, pari al 35,8%, mentre la provincia di Terni ha perduto 11.327 unità, pari al 28,7%. Questo diverso andamento è perfettamente spiegabile con le differenti condizioni di sviluppo economico delle due provincie. Terni, che del resto ha avuto sempre una incidenza della popolazione agricola inferiore a Perugia, ha risentito assai prima, per la sua maggiore industrializzazione, della evoluzione economica generale ed ha reagito immediatamente; Perugia, sulla agricoltura della quale l’influenza della situazione si è fatta sentire più tardi, ha solo nell’ultimo decennio avuto una accentuazione notevolissima del fenomeno di esodo. Naturalmente un fenomeno così ampio di riduzione, non ha causato solo variazioni quantitative, ma ha anche profondamente mutato la struttura interna della popolazione agricola. Infatti i più recettivi nei riguardi delle mutate condizioni economiche generali e i più insofferenti nei confronti delle condizioni di vita dell’ambiente rurale, sono stati i giovani e i più attivi. Indagini specifiche condotte in passato(4) avevano già posto l’accento

(4) Cfr. GIUSEPPE GUERRIERI: «I poderi abbandonati in provincia di Perugia nel quadro dello spopolamento mezzadrile». Rivista Italiana di Economia, Demografia e Statistica -Vol. IX numeri 34 - Atti della XVI Riunione Scientifica della Soc. Italiana di Economia, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 283 su questo fenomeno, indicando, ad es., che la classe di età che veniva maggiormente interessata da coloro che abbandonavano definitivamente l’attività agricola, era quella compresa fra 25-30 anni. È noto, inoltre, che in genere il passaggio diretto di interi nuclei famigliari dall’attività agricola ad altri settori si è avuto solamente nelle zone di pianura, mentre nelle altre zone si è avuta una progressiva marcia verso il piano, dalla montagna e dall’alta collina. Ciò del resto è facilmente spiegabile se si tiene presente che proprio la popolazione rurale delle zone migliori, ove maggiori sono i contatti con altri ambienti, dove i lavoratori, per il tipo di agricoltura attuato, hanno una migliore qualificazione e una più ampia consuetudine con le macchine, ha assunto il più deciso atteggiamento di rifiuto della condizione agricola e ha manifestato il più accentuato desiderio di un cambiamento radicale del proprio lavoro e del proprio sistema di vita. C’è anche da considerare che le migliori condizioni economiche dei mezzadri della pianura consentono ad essi di poter affrontare con una certa tranquillità la crisi di passaggio verso altre attività (si pensi, ad es., al problema dell’abitazione), cosa che certo è negata ai contadini della montagna e dell’alta collina, che ben difficilmente dispongono di un anche minimo capitale, risultando invece per lo più debitori nei confronti del concedente. È chiaro, quindi, che il peggioramento qualitativo della popolazione agricola avviene non solo per il più marcato esodo dei giovani, ma anche per l’allontanamento dall’attività agricola delle famiglie migliori dal punto di vista delle capacità tecniche e del livello sociale. In ogni modo questo particolare aspetto sarà successivamente approfondito, quando esamineremo la situazione delle varie forme di conduzione. Piuttosto c’è da mettere in evidenza come i dati forniti dai censimenti per quanto riguarda la popolazione attiva agricola siano assai poco rispondenti quando si riferiscono alle forme di conduzione familiari. Infatti nella valutazione della popolazione attiva femminile si sono sempre seguiti dei metodi che non riescono a rispecchiare la reale situazione. Si è ritenuto in genere che parte notevole del lavoro femminile è dedicato alle cure della casa e della famiglia e come tale non può esser considerato come lavoro agricolo. Basta esaminare il rapporto esistente negli attivi agricoli fra uomini e donne per rendersi conto di quale scarsa valutazione sia stata data al lavoro femminile.

In realtà sia nelle famiglie mezzadrili, che in quelle coltivatrici dirette le donne compiono sempre, oltre al lavoro domestico, anche numerose operazioni colturali(5). Con l’assottigliarsi del nucleo familiare anzi,

Demografia e Statistica. (5) Al riguardo ricordiamo che negli studi del Coletti e del Tofani già fu manifestata l’esigenza di valutare in maniera diversa, il reale apporto del lavoro femminile, con documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 284 l’incidenza del lavoro agricolo femminile tende ad aumentare, perché accanto a minori esigenze del lavoro domestico, dipendenti sia dal minor numero di persone costituenti il nucleo familiare, sia da una migliore attrezzatura per taluni servizi domestici(6), c’è l’assoluta necessità di ricorrere ad esso per la carenza di forze di lavoro disponibili. I dati dei tre ultimi censimenti al contrario mettono in luce un andamento assolutamente giusto, il che dimostra come debba necessariamente esservi un errore di valutazione, che ha influito diversamente secondo l’impostazione che di volta in volta è stata data dagli esecutori delle rilevazioni. Altro elemento da mettere in evidenza è quello relativo alla distribuzione dei lavoratori agricoli per classi di età. È facile vedere come la numerosità delle singole classi dimostri una accentuazione della presenza di lavoratori con età notevole e un assottigliamento delle classi più giovani, proprio per gli appartenenti al settore agricolo, rispetto alle altre categorie di lavoratori. Purtroppo la diversa elaborazione che dei dati degli ultimi censi-menti è stata fatta, non ci ha consentito di estendere l’esame oltre il censimento del 1961. Non possiamo perciò avere la conferma anche con questi elementi di un peggioramento nel tempo della distribuzione per classi di età dei lavoratori agricoli. Possiamo però constatare la situazione attuale che senza dubbio risulta assai interessante.

l’applicazione di appositi coefficienti di correzione dei dati dei censimenti. (6) Valgono due esempi fra i tanti che potremo dare. Ormai quasi tutte le case coloniche sono fornite di cucine a gas liquido, che rappresentano un risparmio notevole di tempo rispetto, all’uso della legna e del carbone nei tradizionali focolai e fornelli. Il pane al presente viene fornito con consegna diretta alla casa dai fornai, mentre sino a fiochi anni or sono veniva regolarmente fatto in casa almeno due volte per settimana, con notevole dispendio di tempo e di energie, specialmente per l’approntamento del forno. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 285 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 286 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 287 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 288 I dati necessitano solo di un breve commento. Innanzi tutto c’è da notare che a partire dal 21° anno tutte le classi di età della popolazione agricola, sino a 45 anni, hanno una incidenza percentuale in seno alla stessa classe di età inferiore all’incidenza media rispetto alla popolazione attiva. In effetti, mentre per la regione la popolazione agricola rappresenta il 40,7%, nella classe di età 21-25 anni i lavoratori agricoli entrano con il 35,5%, nella successiva classe da 25 a 30 con il 34,9%, in quella da 30 a 35 con il 35,4% ed infine in quella da 35 a 45 con il 34,1%. Esattamente il contrario si verifica invece per i lavoratori dell’industria e per quelli facenti capo ad altre attività. Con i lavoratori dell’industria le differenze sono assai notevoli; basta al riguardo constatare che nelle classi comprese fra 25 e 45 anni nell’industria si ha il 48,9% dei lavoratori occupati nel settore, mentre per l’agricoltura le medesime classi comprendono il 38,7% dei lavoratori agricoli. Inoltre nelle classi più vecchie naturalmente le proporzioni si invertono; da 55 a 65 anni i lavoratori agricoli comprendono il 13,8%, mentre quelli dell’industria scendono al 6,1%, e nella classe superiore ai 65 anni per l’agricoltura si contano ancora il 7,5% degli addetti, che per l’industria si riducono a solo l’l,l %. Non si riscontrano differenze apprezzabili fra le due provincie; solamente Perugia nelle classi comprese fra 21 e 45 anni conta il 47,2% degli addetti all’agricoltura, mentre Terni ha un valore anche più basso toccando il 45,7%.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 289 2.3-c - I tipi di impresa e le forme di conduzione [...] Indubbiamente il declino della mezzadria nell’ultimo periodo è stato continuo e il suo andamento fa presumere che siano probabili ulteriori sensibili flessioni, che porteranno alla graduale scomparsa del contratto. Esaminando obbiettivamente e spassionatamente la situazione sentiamo di poter affermare che la fine della mezzadria non è dovuta affatto ad una presa di posizione politica che caso mai c’è solo ora a processo di disgregazione oramai avanzato ed inarrestabile, ma piuttosto ad una serie di cause che, sommando la propria azione, hanno portato alla rottura dell’equilibrio sul quale si reggeva il contratto e che già era precario da molti anni. Del resto questo andamento era stato da tempo individuato da alcuni(7) che, pur riconoscendo le benemerenze che la mezzadria indubbiamente si era guadagnata nel passato, più non la vedevano adatta alla più agile, più dinamica e più vivace economia mercantile moderna. D’altra parte già Cosimo Ridolfi(8) aveva riconosciuto che la mezzadria era essenzialmente adatta a periodi di stabilità economica; ne deriva quindi che non poteva non trovarsi in difficoltà in un momento di così accentuate trasformazioni economiche e sociali. Da più parti si è negata la validità del movente economico, come fattore determinante la crisi del contratto. Personalmente siamo stati sempre convinti proprio del contrario e le numerosissime indagini aziendali eseguite per il Piano ci hanno confermato della giustezza delle nostre convinzioni. Nel 1961 un livello di reddito di lavoro che frequentemente si trova al di sotto delle 200 mila lire all’anno, non può certo esser considerato tale da lasciar soddisfatto colui che lo percepisce. Negli anni precedenti la situazione non era migliore, ma c’è da tener presente che nel dopoguerra, mentre tutti i lavoratori degli altri settori hanno visto incrementarsi i salari in misura molto notevole(9), i mezzadri, invece, praticamente sono rimasti sul livello precedente, essendo stata la quota di riparto aumentata del solo 5%. E neppure hanno tratto vantaggio da un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, perché anzi per alcuni di essi si sono avute delle più o meno ampie riflessioni (si guardi soprattutto al prezzo del grano, data l’incidenza che questo prodotto ha nella produzione vendibile). Le sole variazioni si sono avute in seguito all’incremento produttivo, che indubbiamente, specie in taluni settori, si è verificato, e, in questi ultimi anni, per la riduzione delle forze di lavoro. Bisogna però tener presenti anche i nuovi oneri che si sono determinati, proprio in seguito all’intensificazione colturale e allo sviluppo della meccanizzazione. C’è, infine, da ricordare che le ultime annate agrarie, per particolare incostanza degli andamenti stagionali, hanno dato in genere risultati produttivi assai modesti, o quantomeno inferiori alle aspettative; il livello dei redditi dei mezzadri ne è stato direttamente influenzato e in talune zone, più colpite dalle avversità, si è ulteriormente ridotto.

(7) Cfr.. MARIO BANDINI: «Il Crepuscolo detta Mezzadria», Rivista di Politica Agraria, 1957, n. 4. (8) Cfr. COSIMO RIDOLFI: «Detta mezzeria in toscana nelle condizioni attuali della possidenza rurale». Biblioteca dell’economista - Serie II, Vol. II - Torino 1860 - Unione Tip. Ed. (9) Solo per dare un esempio ricorderemo che i salari degli operai addetti all’industria sono aumentati nel decennio dal 1952 al 1961 di oltre l’80%. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 290 Il fatto che lascino l’attività agricola proprio i coloni delle zone migliori, non è assolutamente in contrasto con quanto siamo andati affermando. Bisogna rammentare che anche in queste zone il reddito di lavoro dei mezzadri per unità attiva è assai scarso, editi ogni caso notevolmente inferiore a quello delle altee categorie di lavoratori manuali ed anche degli stessi salariati dell’agricoltura. Le ragioni per il rifiuto dell’attività contadina, rimanendo in campo economico, permangono validissime ed allora, per quanto già detto, risulta perfettamente logico che proprio questi siano i mezzadri che per primi abbandonino la passata attività. Naturalmente oltre alla fondamentale causa economica, molti altri motivi hanno determinato l’esodo dalle campagne. Su questi, pur rimandando, per una più ampia illustrazione, ad altra indagine eseguita nell’ambito del Piano(10), occorre soffermarsi un poco. Innanzi tutto importanza decisiva è stata assunta dalla crisi della «famiglia mezzadrile» in quanto tale. La tendenza sempre più accentuata dell’abbandono, della struttura patriarcale della famiglia, con la costituzione della famiglia naturale, ha rappresentato la volontà dei giovani e delle giovani di affrancarsi dalla dipendenza sino a tarda età dal capo-famiglia e dalla massaia. Soprattutto le giovani spose hanno assunto un ruolo determinante in questo atteggiamento, condizionando molto spesso l’accettazione del matrimonio ad una impostazione non vincolata della famiglia. Questo ha determinato sovente la fuoriuscita dalle famiglie coloniche delle migliori forze giovani, proprio al momento del matrimonio o poco dopo di esso. L’atteggiamento delle giovani si è sovente fatto anche più estremista, con il rifiuto di unirsi con appartenenti a famiglie mezzadrili. In questa maniera le giovani donne, per le quali le possibilità di abbandono dell’attività agricola per altre attività erano assai minori di quelle che si prospettavano per i giovani maschi, sono riuscite ad evadere addirittura in misura maggiore dei loro coetanei. È questo un dato di un certo interesse che ci hanno fornito le nostre elaborazioni sulla popolazione mezzadrile. Infatti sul campione delle famiglie mezzadrili la situazione è risultata quella esposta nella tabella 15:

(10) Si veda al riguardo la pubblicazione, in corso di stampa, del Prof. Tullio Seppilli dell’Istituto di Etnologia Culturale dell’Università di Perugia. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 291 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 292 Al contrario di quanto accade per la popolazione complessiva residente in Italia che registra 104,0 donne per ogni 100 uomini, o per la popolazione residente in Umbria, che per ogni 100 uomini ha 100,4 donne, nella popolazione mezzadrile il numero delle donne è sensibilmente inferiore a quello degli uomini. Si scende, infatti, nella media generale a circa 89 donne per 100 uomini, ma in talune zone si arriva anche e poco più di 81 (IV zona) e a poco più di 83 (VIII zona). C’è anche da notare che le zone con caratteristiche ambientali peggiori sono tutte al di sotto della media, indicazione di una maggiore intensità del fenomeno proprio dove le condizioni della mezzadria sono più difficili. C’è anche da notare che il rapporto donne/uomini diminuisce ancora, se visto per classi di età, nella classe di età da 25 a 45 anni. Questa in complesso ha, rispetto a tutte le altre, il valore più basso, con 87,2 donne ogni 100 uomini. Questo dato è una chiara conferma che la motivazione alla quale più sopra si è accennato è effettivamente valida ed operante. Altra motivazione importante, relativa all’atteggiamento dei mezzadri verso il loro stato, è quella dell’incertezza e della variabilità del reddito e della indisponibilità del medesimo per lunghi periodi. L’incertezza della remunerazione del proprio lavoro, attraverso il tempo, è divenuta motivo di ossessione per i mezzadri. Il timore di veder falcidiate le proprie fatiche o per avversi andamenti stagionali, o per l’improvviso insorgere di calamità particolari(11), o per sfavorevole andamento dei mercati agricoli, od anche per fatti meno generali quali la mortalità negli allevamenti zootecnici, od anche l’irrazionale comportamento del concedente, hanno portato i mezzadri a considerare il compenso fisso e predeterminato come il principale traguardo da raggiungere. Oltre a ciò ha peso la considerazione che il salario del mezzadro in parte viene percepito al momento della suddivisione dei prodotti e quindi in epoca avanzata rispetto all’inizio dell’esercizio agrario, ed in parte (l’utile del bestiame, ad es.) addirittura dopo la chiusura del conto sociale, che, al più presto, non può avvenire che nel secondo trimestre dell’anno successivo. Il reddito poi perviene per tutti al capo famiglia che, quando possibile, ne distribuisce una parte ai vari membri. Ai giovani specialmente, questa situazione risulta intollerabile e, senza dubbio, la loro massima aspirazione non è tanto quella di avere un reddito più elevato, ma di averlo personale e certo. Tutti questi fattori hanno portato il contratto veramente agli. estremi. Un altro elemento di decisiva importanza varrà a confermarlo, mostrando, altresì, quale sarebbe inevitabilmente la situazione del contratto fra alcuni anni, anche se, improvvisamente, si ristabilisse un equilibrio tale da far cessare le più profonde ragioni di crisi. I dati, sui quali occorre fare un attento esame, sono quelli relativi all’età media ed all’indice di vecchiaia e quelli che mostrano la composizione numerica delle prime 14 classi di età. I primi elementi sono esposti nelle tabelle 16 e 17.

(11) L’esempio più recente tra i tanti che porrebbero esser dati è quello della repentina diffusione in Italia ed in Umbria della Peronospora tabacina, che nel 1961 ha completa mena: disunito moire coltivazioni di tabacco, causando nella media regionale una riduzione di produzione non inferiore al 70%, per un valore di circa 2 miliardi e mezzo. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 293 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 294 Non ci soffermiamo sul dato che da l’età media, che di per se è scarsamente significativo; vogliamo solamente mettere in evidenza come i valori per le singole zone omogenee si diversifichino entro limiti assai ristretti. Infatti per i maschi si va da una età media di 30,8 anni nella II zona, ad una età di 35,1 sulla I zona; per le femmine invece si va da 30,7 anni sempre nella II zona, a 33,8 nella VIII. Di particolare interesse risulta, invece, l’indice di vecchiaia(12). Questo indice, che, come chiarito in nota, rappresenta il rapporto tra il numero di coloro che hanno meno di 14 anni, rispetto a quelli che hanno più di 65 anni, per i mezzadri è sempre stato molto basso ed in ogni caso sensibilmente inferiore a quello delle altre categorie, in relazione al più elevato potere demografico che la popolazione mezzadrile mostrava. Orbene al presente invece l’indice di vecchiaia dei mezzadri si è elevato sino ad avvicinarsi di molto all’indice medio di tutta la popolazione umbra che precisamente è di 50,6. Evidentemente ciò è dipeso dalla concomitante azione della forte caduta della natalità (più avanti altri elementi confermeranno tale tesi) e dallo spopolamento. Si confermano in pieno anche i risultati delle ricerche demografiche(13) che avevano messo in rilievo come nel flusso migratorio gli individui più rappresentati erano compresi tra 0 e 30 anni. È evidente che l’allontanamento dei giovani e soprattutto delle giovani, contribuendo ad abbassare ancor più il tasso di natalità, determinerà un rapido peggioramento della situazione, che in breve tempo potrà giungere ad uguagliare quella dei coltivatori diretti che, sotto questo aspetto, come poi vedremo, si presenta veramente tragica. Gli ultimi dati che vogliamo esporre per completare la caratterizzazione della situazione attuale della famiglia mezzadrile sono quelli relativi’ alla composizione numerica delle prime 14 classi di età, riportati nella tabella 18.

(12) L’indice di vecchiaia è dato dal rapporto, fra il numero degli individui sopra 65 anni e quello degli individui fra 0 e 14, moltiplicato 100. (13) Cfr. Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria - Prof. NORA FEDERICI e Dott. LUIGI BELLINI: «Composizione per sesso ed età della popolazione dei comuni umbri al Censimento dei 1951 ed al 17 luglio 1961» (Relazione preliminare). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 295 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 296 Se la situazione delle famiglie mezzadrili fosse normale è evidente che le prime classi di età avrebbero dovuto comprendere un numero di individui superiore a quello delle classi di età maggiore. La mortalità infantile, per quanto sensibilmente ridotta anche nelle campagne, pur tuttavia è una realtà che, evidentemente, ridurrà nel tempo la consistenza delle prime classi. I dati esposti mostrano che per la popolazione mezzadrile accade tutto il contrario, mostrando le classi di età più elevate una numerosità sensibilmente superiore a quella delle prime classi. È veramente preoccupante, ad es., constatare che nelle prime due classi si registrano solamente 784 individui mentre nelle ultime due (13° e 14° anno) se ne contano ben 1.307, con una riduzione percentuale di oltre il 40%. Con questa riduzione delle classi giovani, cosa succederebbe della mezzadria quando proprio queste classi avrebbero dovuto fare l’ingresso nelle categorie lavoratoci? Non vi è dubbio, quindi, che, anche senza l’azione di altri fattori, la mezzadria ormai risulta condannata ad una morte più o meno lenta proprio per azione interna, per la frattura che si è verificata nell’equilibrio strutturale, che, in passato, aveva consentito l’affermazione e la permanenza di tale contratto. Per rendersi conto di come si sia verificata l’evoluzione della popolazione mezzadrile, ci sembra, in ogni caso, utile esaminare la più recente dinamica. Cominciamo con i dati relativi alla provincia di Perugia che coprono il periodo 1950-1961:

Lo scarto dei nuclei tra il 1950 e il 1961 è di ben 5.067 unità, pari al 21,4%, mentre assai più forte appare quello delle ‘unità famigliari che per lo stesso periodo è di ben 61.906 unità, pari al 34,5%. Il raffronto fra l’andamento dei numeri indici riguardanti i nuclei e quelli delle unità mezzadrili è assai interessante in quanto mostra che l’esodo, specialmente nella fase iniziale, è stato assai più forte all’interno della famiglia mezzadrile, nella quale assai spesso erano unite sotto lo stesso tetto persone di diverso ceppo biologico, assumendo più le caratteristiche di comunità, che non di famiglia vera e propria concepita in senso naturale. Infatti sino al 1953, pure essendosi già avuta una riduzione di 5.106 unità mezzadrili, i nuclei non solo non erano diminuiti, ma avevano subito un incremento di 14 unità. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 297 Successivamente anche i nuclei sono andati diminuendo con uri ritmo che via via si è fatto più intenso. Nella tabella che segue abbiamo posto a raffronto i due andamenti:

Appare chiaro che nei primi anni parte notevole dell’esodo (tenuto presente che la composizione media era di circa 7,6 unità per famiglia) era interno alla famiglia e che, successivamente, questo ha invece interessato sempre più spesso i nuclei interi. In tal modo la composizione media della famiglia mezzadrile, che nel 1950 era di 7,8 unità lavorative, nel 1961 si è ridotta a 6,32. Per la provincia di Terni non è stato possibile disporre dei dati riferentisi alla stessa data di partenza, ed è stato pertanto necessario iniziare con il 1953, ciò però non riduce in effetti la confrontabilità con i dati della provincia di Perugia, perché, praticamente sino al 1953 i movimenti sia dei nuclei, che delle unità attive sono stati minimi.

Lo scarto dei nuclei tra i due momenti e di 771 unita, con una diminuzione percentuale dell’11,2%, mentre quelle delle unità familiari mezzadrili è ben maggiore ed ammonta a 12.266 unità, che rappresentano una diminuzione del 25,2%. Anche per questa provincia il fenomeno si ripete con andamento simile a quello della provincia di Perugia, con una differenza per quanto riguarda la diminuzione dei nuclei che risulta più attenuata, mentre k diminuzione delle documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 298 unità attive, se pur iniziata più tardi, comporta Io stesso valore percentuale. Ciò denota, quindi, un maggior esodo all’interno della famiglia, che di conseguenza è diminuita maggiormente nella sua composizione media, passando da 7,04 unità del 1953, a 5,93 del 1961. Anche per Terni riportiamo la tabella in cui è posto a confronto l’andamento delle riduzioni dei nuclei e quello delle unità attive nei singoli anni:

Dopo aver osservato che l’andamento è del tutto simile a quello verificatosi per la provincia di Perugia, vogliamo solo aggiungere che, in genere, l’esodo si dimostra di più antica data nella provincia di Perugia e ciò è dovuto alla povertà esasperata di alcune zone mezzadrili, che trovano confronto solamente con quelle, certamente non migliori, dell’Appennino tosco-romagnolo, abbandonate ormai da qualche decennio. Tali zone sono quelle del pietralunghese, del buranese (Gubbio), ecc. Il fenomeno esaminato nella sua dinamica conduce ovviamente a conclusioni inequivocabili circa gli sviluppi ulteriori, che si presentano tali da non indurre ad incertezze circa le sorti della mezzadria. C’è inoltre da tener presente che dal 1961 ad oggi la situazione è ancora peggiorata, in misura che reputiamo assai rilevante, anche se non precisabile quantitativamente per mancanza di dati. Si può pertanto serenamente affermare che, in assenza di ogni intervento esterno, la situazione della mezzadria si andrebbe aggravando di anno in anno, causando un progressivo deterioramento della situazione economica dell’agricoltura umbra e rendendo sempre più aleatoria e difficoltosa l’opera di assestamento delle strutture produttive.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 299 CAPITOLO IV

GLI OSTACOLI STRUTTURALI CHE FRENANO LO SVILUPPO DELL’AGRICOLTURA

Da quanto si è già visto non può essere contestato in alcuna maniera il fatto che l’agricoltura umbra nell’ultimo decennio non abbia registrato quei progressi che ci si sarebbe attesi e che sarebbero stati necessari per bilanciare la spinta delle popolazioni rurali verso un esodo incontrollato. Questo andamento si è, senza dubbio, messo in maggiore evidenza per il ricorrere di annate con caratteri di anormalità e tali, quindi, da incidere sulla produttività di molte colture; le cause di fondo però, non debbono, secondo noi, essere ricercate in questi fatti particolari, ma al contrario debbono farsi risalire alla situazione strutturale della economia agricola umbra. Infatti il principale aspetto negativo che presenta l’agricoltura umbra è la sua struttura istituzionale. Abbiamo già visto quali siano gli aspetti e le deficienze della struttura della proprietà nella nostra regione, situazione questa che ha potuto conservare caratteri di normalità sino a che il contratto di conduzione assolutamente predominante ha risposto adeguatamente. La mezzadria, senza dubbio, ha rappresentato per lungo tempo la forma di contratto più adatta al tipo di proprietà e di ordinamento colturale predominanti nella regione. Non pensiamo sia facile poter stabilire se la mezzadria si è così generalizzata nell’ambiente umbro, perché questo contratto era il più rispondente alle esigenze di un certo tipo di proprietà, o se questo tipo di proprietà sia nel tempo andato diffondendosi, avendo trovato nella mezzadria la possibilità di mascherare e sovente annullare il suo vizio di origine. Non vi ha dubbio in ogni modo che fra la struttura della proprietà e la forma di conduzione predominante esistono nello stesso tempo dei rapporti di causa ed effetto, che hanno reso perfettamente logica, col predominio della mezzadria, la persistenza di una struttura della proprietà, quale abbiamo avuto occasione di mettere in evidenza. La realtà odierna è pertanto ben chiara e può sintetizzarsi nella estrema difficoltà che la proprietà fondiaria mostra allorché, cessando la mezzadria, deve passare ad una diversa organizzazione tecnica e produttiva. In fondo si può osservare che la presenza della mezzadria in tutto il territorio regionale, sempre accanto ad una più o meno organizzata proprietà coltivatrice, ha al massimo reso uniformi, pur in una notevole eterogeneità ambientale, gli ordinamenti colturali. In effetti la caratteristica comune per buona parte della regione della predominanza assoluta della conduzione famigliare (mezzadrile e diretto-coltivatrice) ha avuto grandissima influenza documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 300 sul modellamento degli ordinamenti colturali, accentuando in ogni ambiente la promiscuità dell’indirizzo produttivo, limitando l’estensione aziendale, consentendo la persistenza della frammentazione, rendendo difficoltoso Io sviluppo della meccanizzazione. È per questo che le zone pianeggianti ricalcano nelle linee fondamentali, gli ordinamenti colturali della collina, con differenziazioni che riguardano la presenza delle colture industriali, specialmente nelle zone irrigue, e l’assenza degli olivi. La collina, d’altra parte, ha un ordinamento assolutamente promiscuo e trova nelle coltivazioni arboree una importante fonte di reddito; pure importanti sono la cerealicoltura e gli allevamenti zootecnici. L’alta collina e la montagna tendono ad ordinamenti colturali più estensivi, ma sempre promiscui, anche se le coltivazioni arboree sono un po’ più al limite di ambientazione e ciò soprattutto per l’olivo. Tra gli allevamenti zootecnici assumono forse più importanza gli ovini ed i suini, che non i bovini. Tali ordinamenti colturali, modellatesi sulla conduzione mezzadrile, sono entrati in crisi a causa del loro carattere di marcata promiscuità e di «attività» di coltivazione; essi pretendono un elevato carico umano, non consentono un agevole impiego delle macchine e ne limitano la diffusione mentre in agricoltura le macchine, per dimostrarsi convenienti all’uso, debbono far conto sulla massima specializzazione delle colture. Le cause prevalenti della grave crisi in atto sono senz’altro indicabili nell’esodo della popolazione rurale dalle campagne e nella esistenza del contratto mezzadrile, con la conseguente particolare strutturazione delle aziende agrarie. È bene subito sottolineare che l’esodo, in quanto tale, non rappresenta in astratto un fatto socialmente giudicabile in termini di positività, o di negatività. Nell’attuale situazione concreta esso è indubbiamente il risultato di un profondo squilibrio esistente tra il contesto rurale e il contesto urbano, di un notevole dinamismo delle strutture occupazionali urbane e della coscienza di un tale squilibrio in un mondo contadino, che va assimilando i valori e i modelli della vita urbana. D’altra parte la riduzione dei livelli relativi della popolazione rurale rispetto a quelli della popolazione urbana, rappresenta un andamento caratteristico dei Paesi che si muovono nel senso di una crescente industrializzazione. Tuttavia le modalità assunte dagli attuali processi di esodo in Umbria, pongono, come già visto in precedenza, il problema di talune sue negative conseguenze sullo sviluppo dell’agricoltura. Soprattutto però occorre sottolineare il fatto che, mentre in talune regioni o zone a diversa struttura fondiaria e a diversa modellazione dell’ordinamento aziendale, l’esodo della mano d’opera può essere affrontato con una variazione delle scelte tecniche in Umbria pregiudizialmente occorre affrontare il problema delle strutture e della composizione della proprietà e dell’azienda. La crisi della mezzadria, che ci sembra di aver sufficientemente analizzato nel paragrafo 3 del capitolo II, che comporterà, anche per la chiara scelta politica fatta dai principali partiti alla progressiva sua riduzione, determinerà evidentemente la necessità di sviluppare, accanto alle aziende familiari, forme di conduzione basate sul contratto di salariato. L’azienda condotta con salariati non può in alcun modo ripetere i documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 301 modelli dell’azienda mezzadrile, ma deve basarsi su di una organizzazione tecnica completamente diversa. Proprio dall’errore che molti imprenditori umbri hanno fatto quando, passando dalla conduzione mezzadrile a quella salariale, non hanno che in minima parte variato gli ordinamenti colturali e il modo di esecuzione delle varie operazioni colturali, è dipeso l’insuccesso economico di gran parte di queste iniziative. È facile comprendere come questo atteggiamento possa essere giustificato dalla secolare consuetudine ad un certo tipo di contratto, che consigliava per l’imprenditore un chiaro modo di agire, al quale erano consequenziali precise convenienze economiche. Basta al riguardo ricordare le numerosissime controversie sorte fra concedente e mezzadro relativamente alla introduzione di talune macchine operatrici. Il concedente nelle nostre zone si è opposto frequentemente, e, in verità, in termini di contratto anche con buone ragioni dalla sua, alla richiesta del mezzadro di partecipare agli oneri derivanti alla introduzione di macchine che avevano la sola, o preminente funzione di sostituirsi al lavoro umano. Potrebbero essere citati diversi esempi, concernenti le macchine per la foraggicoltura, dalla semplice falciatrice a traino animale, ad altre più complesse, o addirittura riguardanti la motorizzazione della trinciatura del foraggio. Il concedente il più delle volte non si è reso conto che, trincerandosi dietro l’arida interpretazione di un contratto, che almeno in parte poteva facilmente esser ritenuto superato, non teneva conto delle nuove esigenze del lavoratore manuale, in parte determinate da un nuovo clima sociale, ma parzialmente anche giustificate da una intensificazione di talune attività, o settori dell’azienda. Evidentemente l’aumento del carico di bestiame comportava nuovi e diversi oneri di lavoro, per la produzione e l’approntamento delle maggiori masse foraggere necessarie, ai quali la famiglia mezzadrile stentava a far fronte se doveva far ricorso al solo lavoro manuale. Con questa mentalità molti imprenditori umbri hanno ritenuto, almeno fino a qualche anno fa, che in caso di esodo mezzadrile sarebbe bastato sostituire il mezzadro con uno o più salariati, per mantenere l’esercizio aziendale su basi di economicità. D’altra parte questa errata impostazione concettuale dei concedenti era quella che essi inconsciamente erano portati ad accettare col massimo favore, perché era la sola attuabile senza essere costretti a compiere delle variazioni strutturali, che, del resto, per quanto già visto in precedenza, avrebbero invece ragione d’essere in gran parte dei casi. Pertanto, mentre si possono notare in vari settori produttivi gli effetti derivanti dalle minori disponibilità di mano d’opera, come più avanti meglio vedremo, appare chiaro che tali influenze si arrestano alla fase che riguarda la organizzazione produttiva e non interessano ancora, o non hanno interessato che in minima parte, l’organizzazione tecnico-economica dell’impresa agraria. Ciò è vero a tal punto che anche nei casi ove si è cambiata la forma di conduzione, passando dalla mezzadria ai salariati, le strutture aziendali sono rimaste pressoché invariate, mentre è evidente che il passaggio da una forma di conduzione associata, nella quale il lavoro viene compensato non secondo l’effettivo impiego, ma in relazione alle produzioni ottenute, alla conduzione salariale, nella quale il lavoro viene remunerato secondo l’attività prestata, pretende una impostazione dell’azienda agraria del tutto diversa. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 302 È proprio la struttura aziendale che deve essere rivoluzionata, sia per quanto riguarda l’ampiezza, che per le colture adottate; sia per gli allevamenti zootecnici, che per le coltivazioni arboree; sia per la sistemazione dei terreni, che per il modo di esecuzione delle operazioni colturali. La sostituzione del mezzadro con il salariato se non è seguita da queste profonde variazioni, rappresenta solamente un tentativo volto a non lasciare incolte le aziende che rimangono prive di famiglie coloniche, ma evidentemente non costituisce una stabile sistemazione dell’impresa agraria ed anzi, in carenza della trasformazione globale necessaria, non serve che a compromettere definitivamente la situazione economica di molte imprese. Evidentemente diversi sono i motivi economici ed extra-economici attraverso i quali è possibile comprendere, ed in certa misura giustificare, il mancato adeguamento delle strutture agricole alla nuova situazione. Fra essi ricorderemo la scarsa attività del mercato fondiario; la insufficiente disponibilità di mezzi finanziari; la scarsa capacità tecnica; la spinta per alcuni a non privarsi di proprietà, sia pure di insufficiente ampiezza; il timore per altri di impegnarsi nell’acquisto o nella permuta di terreni, in modo da rendere sufficiente ed omogenea la propria azienda. C’è, inoltre, da aggiungere l’incertezza creata da una politica agraria disarticolata, che è sovente passata da impostazioni demagogiche, che hanno servito solo a spaventare gli imprenditori, a realizzazioni frammentarie ed insufficienti. In realtà oggi nella gran parte delle aziende agrarie si vive alla giornata, senza programmi precisi e, soprattutto, senza la volontà di attuarli, cullandosi ancora molti imprenditori sulla forza del mito della mezzadria, capace di superare anche le presenti sfavorevoli contingenze. In assenza del Piano e proseguendo l’esodo in atto, fallite le prospettive di sostituzione delle famiglie mezzadrili con i salariati senza ulteriori e profonde trasformazioni, è assai probabile che si intensificherebbe la difesa da parte degli imprenditori del contratto di mezzadria, per mantenere il quale si sarà disposti a diverse concessioni e ci si accontenterà anche di famiglie assolutamente insufficienti, come sono quelle abbandonate dai giovani, passati ad altre attività economiche. Si verificherebbe cosi un progressivo deterioramento della situazione produttiva ed una involuzione degli ordinamenti culturali, che torneranno a polarizzarsi su di una economia di tipo familiare, ciò che è evidentemente in netto contrasto con la impostazione più generale che deve essere data all’agricoltura italiana, inquadrata in una economia di scambio, come è quella conseguente all’attuazione del MEC. Un tale processo avrà naturalmente intensità diversa nella regione, perché esso si manifesterà soprattutto nelle zone ove è maggiore la diffusione della mezzadria e dove, nel contempo, più gravi sono i problemi relativi alla variazione degli ordinamenti colturali. Quindi le zone maggiormente interessate saranno senza dubbio la I, III e V. Altro elemento che avrà diretta influenza sull’irrigidimento prospettato, è dato dalla struttura e dalla dispersione territoriale della proprietà fondiaria. Questo elemento però, non produce una discriminazione spaziale, verificandosi le situazioni anomale in tutto il territorio regionale senza particolari variazioni di intensità. In Umbria il fenomeno della polverizzazione è presente nella proprietà documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 303 contadina, sebbene al riguardo occorra tener conto di quanto detto nel capitolo secondo. Più determinanti, sono, secondo noi, gli inconvenienti derivanti dalla frammentazione, che con grande facilità si riscontra non solo nell’azienda familiare ma anche nella piccola e media proprietà capitalistica, senza che ne vada indenne neppure la grande. Le unità poderali sono sovente suddivise in numerosi appezzamenti, talvolta assai lontani fra di loro e dal centro aziendale, quasi sempre di forma irregolare e di dimensioni limitate. Gli inconvenienti di questa dislocazione territoriale si sono fatti sentire in modo limitato nella mezzadria e sino a che la maggior parte delle lavorazioni erano fatte con il motore animale; sono divenuti gravissimi con il passaggio alla conduzione salariale ed alla sempre più intensa meccanizzazione. Nel quadro delle ricerche programmate non si è potuta inserire per varie ragioni una indagine sul coefficiente di utilizzazione della mano d’opera e delle macchine nelle aziende con accentuata frammentazione. La situazione obbiettiva quale viene indicata dall’ultimo Censimento dell’agricoltura e soprattutto dalle nostre rilevazioni aziendali lascia però intendere che assai di sovente tali coefficienti si abbassano a valori intollerabili. Con la mezzadria e con il lavoro animale si aveva una inutilizzazione di lavoro che rimaneva però un fatto sociale, non modificando in sostanza i risultati economici delle aziende agrarie. È da ricordare che in passato le famiglie coloniche erano per lo più eccedentarie rispetto alle necessità di lavoro del «podere», onde l’inutilizzazione di una parte di esso, o meglio la necessità di dover impiegare una frazione, anche cospicua, di tali disponibilità per i tempi morti di trasferimento da un appezzamento all’altro, o dalla casa ai vari appezzamenti, non rappresentava un vero e proprio problema. Cosi come non si aveva ragione di preoccuparsi se, data la forma e l’ampiezza degli appezzamenti, non si potevano razionalizzare le operazioni colturali per quanto riguardava l’impiego della mano d’opera e degli animali. Negli ultimi anni anche nella mezzadria si è cominciato ad accusare il peso della frammentazione, perché l’esodo, come noto, non ha solo inciso sul numero delle famiglie mezzadrili, ma anche sulla composizione e numerosità delle medesime. Anche per le famiglie mezzadrili, pur rimanendo il fatto che il lavoro non viene remunerato secondo la quantità fornita, onde l’imprenditore non è interessato direttamente ai problemi della sua migliore utilizzazione, è sorta la necessità di razionalizzare al massimo l’impiego delle ridotte quantità di lavoro, che le singole famiglie sono in grado di fornire. Evidentemente, però, la soluzione dei problemi posti dalla frammentazione va ritenuta indispensabile per i nuovi ordinamenti che la sempre maggiore diffusione della conduzione salariale imporranno. In questo caso l’imprenditore ha due esigenze: a) quella di riuscire a compiere tutte le operazioni colturali con i piuttosto scarsi quantitativi di mano d’opera che può reperire; b) di utilizzare al massimo la mano d’opera impiegata in operazioni produttive. È evidente che non riuscirà a far ciò se si troverà di fronte, oltre ai tanti aspetti delicati dell’organizzazione produttiva e della fase mercantile, anche alle difficoltà generate dall’avere la superficie aziendale suddivisa in numerosi appezzamenti. Altro aspetto negativo, questo però caratteristico di tutto il settore agricolo italiano, è la struttura dei mercati agricoli. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 304 Si è più volte detto che l’agricoltore non deve limitare la sua attività alla produzione, ma deve inserirsi nel fatto mercantile, deve, in sostanza, seguire i propri prodotti sino a che giungono al consumatore. È una realtà che l’attuale sensibile incremento dei prezzi è solamente per una minima parte dovuto ad un aumento dei prezzi all’azienda, mentre, come al solito del resto, gli aumenti sono dipendenti quasi esclusivamente dal settore della distribuzione. In precedenza già si è lumeggiata tale situazione ed ora merita tornarvi sopra esclusivamente per osservare come sia necessario eliminare gli ostacoli che l’organizzazione mercantile nel settore agricolo crea, e come ciò debba esser fatto per l’intervento diretto dei singoli produttori. Naturalmente anche in questo caso sarà necessario un coordinamento nelle iniziative e sarà indispensabile una concreta incentivazione a favore di chi queste iniziative metterà in atto. Ci si è dilungati un poco su questa patte perché ci preme mettere in evidenza come sia difficoltosa l’opera che sarà necessario affrontare per portare l’agricoltura umbra ad una situazione soddisfacente. È evidente, infatti, come si complichi ogni progetto di adeguamento tecnico, quando sia necessario, per raggiungere il fine proposto, affrontare e risolvere pregiudizialmente degli aspetti strutturali. Non si può allora più sperare che sia bastevole l’azione del privato imprenditore, magari stimolata dall’esterno, ma saranno senza meno necessari particolari provvedimenti e specifiche iniziative per rendere attuabili le indispensabili riforme di struttura. Debbono a questo punto, pertanto, ipotizzarsi tutta una serie di interventi che superano il «momento della gestione», per agire sul «momento della formazione» dell’azienda. A sostegno di questa tesi non è forse inutile ricordare che in ogni Paese, quando, si è voluto veramente ottenere qualche risultato nel campo della ricomposizione fondiaria o dell’ingrossamento(1) si è fatto ricorso a strumenti ed organismi particolari, risultando la iniziativa privata assolutamente carente o inadeguata ai fini della risoluzione del problema, II Piano di Sviluppo umbro non poteva non tenere nella debita considerazione questa realtà e opportunamente, pertanto, si sono nella parte finale ipotizzati, definite le linee di sviluppo lungo le quali l’agricoltura dovrebbe procedere, strumenti e organismi, l’azione dei quali, affiancata dall’insostituibile attività del privato imprenditore, renderà possibile addivenire alle modificazioni strutturali ritenute necessarie perché possa attuarsi l’auspicata ripresa e sviluppo dell’agricoltura umbra.

(1) Cfr. GIORGI: «Sulla metodologia estimativa nelle ricomposizioni fondiarie» - I.N.E.A. - Osservatorio economico per l’Umbria e le Marche - Perugia 1958 – Tip. Porziuncola. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 305 CAPITOLO V

GLI INTERVENTI DA ATTUARE PER RIMUOVERE GLI OSTACOLI STRUTTURALI E PROCEDERE AD UNA PIÙ RAZIONALE ORGANIZZAZIONE DELL’ATTIVITÀ AGRICOLA

5.1 - Generalità

Da quanto siamo venuti esponendo risulta chiara la nostra ferma convinzione che l’attuale crisi dell’agricoltura umbra, determinata, oltre che dalle cause di carattere generale ricorrenti pure in altri ambienti, anche dalla esistenza del contratto di mezzadria, che con la sua indiscutibile particolare crisi aggrava notevolmente ogni singolo problema di evoluzione, pretende una serie di interventi solleciti e coordinati, nel quadro di una organica visione della situazione attuale e delle possibilità di sviluppo. Crediamo che ormai la necessità dell’intervento dello Stato nei singoli settori economici non possa più esser contestata da alcuno. Restano da stabilire le forme, le modalità e l’intensità di tali interventi, che si differenzieranno proprio in ragione della complessità e della difficoltà che l’azione privata incontrerebbe, se da sola dovesse agire. Nel capitolo precedente abbiamo cercato di chiarire questo problema, mettendo in evidenza che taluni aspetti strutturali dell’agricoltura umbra, che debbono esser profondamente modificati se si vorrà giungere ad una razionale organizzazione dell’attività agricola, impediscono una autonoma azione delle forze imprenditoriali che, anche con le migliori intenzioni, non riescono a rendere concreta la propria azione. È indispensabile, quindi, secondo noi, mettere in atto una serie di interventi capaci di ottenere quelle variazioni che si sono ritenute indispensabili. L’analisi delle caratteristiche strutturali dell’agricoltura ha posto in primo piano il problema della mezzadria. La soluzione di tale problema è pregiudiziale per la soluzione degli altri problemi tecnico-economici e sociali dell’agricoltura. D’altra parte, come risulterà da quanto si dirà appresso, la soluzione di questi ultimi è, a sua volta, indispensabile perché le modifiche della struttura istituzionale dell’agricoltura possano realizzarsi e creare le premesse per uno sviluppo economico del settore. L’affermazione che l’efficacia dei singoli interventi dipende dal loro coordinamento, se è valida per i diversi settori, o se apparirà ancor più valida quando considereremo le prospettive economiche che il piano può aprire alla regione, è particolarmente vera per il settore agricolo, dove il processo di sviluppo e l’adeguamento dell’organizzazione produttiva alle esigenze del mercato, e più in generale alle prospettive della economia, è ostacolata dalle documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 306 caratteristiche del mercato dei beni agricoli, dai tipi di imprenditori che operano nel settore, dalle limitate disponibilità finanziarie e dall’insufficiente disponibilità a livello aziendale di certe qualificazioni. In base a quanto si è visto, il problema della mezzadria si delinea come un problema pregiudiziale, fondamentalmente per i seguenti motivi: a) la partecipazione alla attività agricola in qualità di mezzadro viene rifiutata in misura crescente, a causa dello squilibrio che in ordine ad un gran numero di situazioni (ammontare e modalità di percepimento del reddito, struttura e rapporti interni della famiglia, tipo di insediamento e disponibilità dei servizi, ecc.) si è progressivamente accentuato tra il livello della condizione oggettiva e livello delle aspirazioni soggettive; b) la. struttura mezzadrile impone dei limiti alle possibilità di trasformazioni colturali e di sviluppo della impresa agricola; c) la mezzadria impedisce il contemporaneo raggiungimento della elevazione dei redditi di lavoro e dell’abbassamento dei costi di produzione. In sintesi è chiaro che la crisi della mezzadria deve essere considerata come dipendente non solo e non tanto dalla situazione sfavorevole in cui versa tutta l’agricoltura italiana, che evidentemente risente fortemente dello squilibrio del proprio sviluppo nei confronti di quello del settore industriale e di quello generale del Paese, ma soprattutto da fattori di carattere specifico. Il fatto che la struttura mezzadrile rappresenti un insuperabile ostacolo verso il raggiungimento di quelle forme di agricoltura più estensive, alle quali necessariamente si dovrà tendere in armonia con lo sviluppo sociale del Paese e con le nuove situazioni create nel mercato dei prodotti agricoli dal sorgere e dallo svilupparsi del MEC, non può essere messo in discussione. Così come la crisi della famiglia mezzadrile, che si spezza e si suddivide sotto la spinta delle giovani generazioni; il rifiuto di un contratto che non assicura al lavoratore un reddito sufficiente, certo e personale ed altri beni ormai ritenuti essenziali, mentre impone al contempo notevoli oneri e sacrifici, costituiscono una realtà che non è possibile ignorare. La soluzione del problema della mezzadria deve realizzarsi in modo che il superamento di tale forma di conduzione avvenga con la contemporanea costituzione di un sistema che sia adeguato alle nuove esigenze dei lavoratori ed alle nuove prospettive di sviluppo della economia agraria. Naturalmente in taluni ambienti e condizioni particolari si potrà avere ancora per lungo tempo una persistenza della mezzadria, pur con gli inevitabili e necessari adattamenti del contratto. Anzi la continuazione del contratto in una parte dell’attuale area mezzadrile per un certo periodo, non solo dovrà esser consentita, ma addirittura auspicabile. Non ci si deve nascondere, infatti, che i problemi da affrontare per giungere alla nuova strutturazione sono quanto mai complessi e prevedono larghe disponibilità finanziarie e capacità tecniche elevate, nonché una migliore qualificazione professionale del lavoro manuale. Diluire le disponibilità sulle quali si potrà realmente contare in una immediata e simultanea azione su tutto il territorio regionale potrebbe costituire un grave errore e potrebbe pregiudicare seriamente la buona riuscita dell’opera di trasformazione. Lo sviluppo futuro dell’agricoltura umbra dovrà, in ogni modo, essere assicurato in maniera prevalente dall’azienda familiare, sia singola, che unita nel più valido organismo della cooperativa, e della azienda a salariati, tecnicamente attrezzata, e razionalmente condotta. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 307 È indubbio, però, che anche l’azienda familiare, per poter idoneamente rispondere allo scopo che si propone, debba subire profonde trasformazioni, soprattutto per raggiungere più idonee dimensioni e realizzare un maggiore sviluppo tecnico. Il problema delle dimensioni è quello che preoccupa massimamente, perché troppe proprietà coltivatrici, come è stato messo in luce precedentemente, hanno una base territoriale assolutamente insufficiente, sulla quale non è possibile strutturare un’organica azienda agraria. La dimensione superficiale è, infatti, di determinante importanza anche per l’azienda familiare, pur essendo evidente che essa possa essere contenuta su livelli inferiori a quelli prevedibili per le aziende a salariati. Con il raggiungimento di dimensioni più idonee, l’azienda familiare dovrà assumere anche orientamenti produttivi più aderenti alle possibilità produttive dell’ambiente, quindi più specializzati ed indirizzati verso una economia di mercato. Ordinamenti colturali particolari dovranno anche adottare le aziende a salariati, per le quali si prospettano dimensioni notevoli, bassa intensità di lavoro manuale, accoppiata ad una elevata intensità di esercizio e spiccata specializzazione produttiva, con particolare riguardo per il settore zootecnico. La grande azienda capitalistica può evidentemente essere giovevolmente rimpiazzata dall’azienda cooperativa, che per molte e chiare ragioni d’ordine economico e sociale costituisce la migliore forma di organizzazione aziendale. Nella prospettiva generale di articolazione del piano, conviene distinguere un gruppo di iniziative assai diverse tra loro, volte ad avviare immediatamente il superamento della mezzadria e la trasformazione delle imprese agricole, dalle altre iniziative, anch’esse rivolte alla modernizzazione dell’agricoltura, ma più strettamente e organicamente connesse al funzionamento dell’Ente Regionale di Sviluppo dell’Agricoltura (di cui si dirà più avanti), le quali comportano un più ampio impegno e respiro. I primi interventi possono esser qualificati a «breve periodo», perché da essi potranno ottenersi risultati immediati; gli altri sono realizzabili in «lungo periodo» e serviranno a determinare le condizioni idonee perché si verifichi quel processo di sviluppo che rappresenta il traguardo finale al quale si vuoi giungere. La distinzione può apparire artificiosa; in ogni caso va detto chiaramente che fra i due tipi di intervento deve essere: una rigida correlazione ed interdipendenza. Gli interventi a breve periodo debbono, in realtà, non solo mettere immediatamente in moto un certo meccanismo, che altrimenti non si sarebbe attivato, ma debbono anche agire in modo da rendere possibile l’azione successiva e determinante degli interventi a più lenta azione. Nel primo gruppo di interventi porremo esclusivamente quelli volti ad agire sul contratto mezzadrile, onde ottenerne il graduale superamento. Parallelamente si dovrebbe verificare una sensibile attivazione del mercato fondiario, con una riduzione, prevedibilmente notevole, del livello medio dei valori fondiari. Nel secondo gruppo, invece, che dovrebbe esser posto in azione attraverso l’Ente di sviluppo regionale, dovranno essere previsti tutti i provvedimenti necessari a dare l’assetto definitivo all’attività agricola.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 308 5.2 - Iniziative volte ad avviare il superamento della mezzadria e la trasformazione delle imprese agricole.

Esaminiamo ora il gruppo delle iniziative tendenti ad ottenere sollecitamente il superamento della mezzadria e la trasformazione delle imprese agricole.

A) Una più efficiente politica di concessione di crediti orientata a favorire la riorganizzazione delle imprese agricole.

Di questo problema ci si è occupati nell’esame settoriale del credito effettuato nel Piano di Sviluppo Economico Regionale(1). Soprattutto nelle aree dove potrà anche nel futuro operare l’impresa familiare, è possibile creare condizioni di più elevata produttività, che potranno, al momento, trattenere le famiglie mezzadrili e, successivamente, incentivarle ad usufruire delle iniziative — che saranno più avanti esaminate — per assumere la nuova veste di coltivatori diretti in forma familiare, o in forma associata.

B) iniziative volte a promuovere una pia elevata retribuzione del lavoro mezzadrile.

Dalle indagini campionarie è emerso chiaramente come in un notevole numero di casi il reddito di lavoro delle unità mezzadrili sia del tutto inadeguato. Ciò può avvenire o per una impossibilità costituzionale dell’azienda ad assicurare un giusto livello salariale del lavoro manuale con l’attuale suddivisione delle spese e dei prodotti, o per una carenza imprenditoriale, od anche per una deficiente organizzazione tecnico-produttiva dell’azienda stessa. Pur convinti di trovarci in una fase di evoluzione, non ci sembra che si possa consentire, nel periodo transitorio prima del superamento della mezzadria o, successivamente, per quelle forme di contratto mezzadrile che potranno permanere in talune zone, che sia mantenuta una tale palese sottoremunerazione del lavoro umano. D’altro canto non ci pare logico il procedimento che trova in una diversa ripartizione dei prodotti e delle spese il mezzo per dare ai mezzadri una diversa e più giusta retribuzione. Questo, se applicato indiscriminatamente, potrebbe non risultare equo nei riguardi degli imprenditori; né varrebbe limitarne l’applicazione a particolari zone, perché molto spesso, come già detto, il basso livello del salario deriva non già da una situazione produttiva di carattere generale, ma piuttosto da una specifica e particolare posizione della singola azienda agraria. Riteniamo, pertanto, più rispondente introdurre l’istituto dell’«equo salario» o «salario minimo garantito», che dovrebbe rappresentare la retribuzione base delle unità attive della famiglia mezzadrile che, in ogni caso, dovrebbe essere assicurata dall’imprenditore agrario. In tal modo, in qualsiasi situazione, al lavoratore mezzadrile, pur senza perdere la possibilità di concorrere ai migliori risultati produttivi che possono essere ottenuti, sarebbe

(1) Cfr. Centro Regionale per il Piano di Sviluppo Economico dell’Umbria - Prof. Tancredi Bianchi: 11l mercato del credito in Umbria» (Relazione preliminare). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 309 assicurato un reddito non inferiore ad un determinato livello. Non ci nascondiamo che nella mezzadria non è facile giungere ad una regolamentazione; si ritiene, d’altra parte, che il mantenimento del contratto mezzadrile debba essere strettamente condizionato alla garanzia di un equo salario ai lavoratori impiegati. D’altra parte l’applicazione dell’equo salario è in pratica realizzabile in modo relativamente semplice, se viene attuata con le modalità che sinteticamente vengono indicate: a) il meccanismo dell’equo salario entra in funzione, naturalmente, solo nei casi ove questo non sia già assicurato dalla normale distribuzione dei prodotti; b) la misura dell’equo salario dovrà essere fissata tenendo conto del livello dei salari in agricoltura e dovrà essere più bassa di questi, avuto presente che la forma mezzadrile comporta l’assunzione anche da parte del mezzadro del rischio imprenditoriale; tale misura sarà uguale per tutte le mezzadrie; c) nelle varie zone e comprensori omogenei e per vari tipi di ordinamento aziendale verranno fissate le quantità di lavoro necessarie, in unità attive; a queste viene riferito l’equo salario, nel senso che avranno diritto ad esso tutte le unità attive mezzadrili presenti sul fondo e lavoranti con continuità sul medesimo, fino al raggiungimento del numero previsto da quanto detto più sopra; d) il livello dell’equo salario va fissato al netto della quota che si riferisce a servigi e produzioni minori di difficile determinazione (uso della casa, utile della bassa corte, ecc.) e che in ogni caso al mezzadro compete per prestazioni diverse da quelle dovute da un semplice lavoratore manuale (proprietario di una parte del capitale di esercizio, custode del fondo e delle scorte, coimprenditore); e) l’entità del reddito pervenuto alla famiglia mezzadrile viene determinata sulla scorta della contabilità colonica, che già è obbligatoria per legge, e che dovrebbe subire la sola modificazione relativa all’inclusione nel libretto colonico delle produzioni annuali del fondo; f) l’accertamento del non avvenuto raggiungimento dell’equo salario, sarà effettuato, su richiesta degli interessati, dall’Ente per lo sviluppo dell’agricoltura, di cui si dirà, che determinerà con procedimento analitico l’entità del reddito percepito dalla famiglia nell’anno in questione. Tale entità, posta a confronto con l’ammontare del salario minimo garantito previsto per il numero di unità attive necessarie nel caso in esame, darà la misura dell’integrazione di salario che dovrà essere erogata dall’imprenditore sulla sua quota di reddito; g) l’integrazione di salario di cui al punto precedente, dovrà essere liquidata nell’ambito della successiva annata agraria; essa, nei riguardi del mezzadro, deve essere considerata come credito privilegiato; h) per permettere all’imprenditore di procedere all’adeguamento dell’azienda, dopo un successivo periodo di proroga per un biennio dalla data di applicazione delle norme in questione, dovrà cessare il regime di blocco delle disdette. A partire da tale data, il contratto mezzadrile assumerà una durata non inferiore a quella in vigore per il contratto dei salariati fissi.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 310 C) Iniziative volte a favorire la formazione e lo sviluppo di cooperative agricole con base nei mezzadri e nei coltivatori diretti.

Sul terreno della spinta sia pure disuguale che indirizza una parte del mondo contadino verso la direttrice cooperativa, alcune esperienze mettono in luce, accanto a taluni successi di iniziative relative ai servizi o alla trasformazione dei prodotti (utilizzazione di macchine operatrici, frantoi, mulini, ecc.), talune sensibili difficoltà che si frappongono allo sviluppo immediato di vere e proprie cooperative di conduzione. In una situazione come quella umbra, nella quale il problema del superamento della mezzadria si accompagna a quello del raggiungimento di dimensioni aziendali o di organizzazione tecnico-produttiva in grado di consentire la valorizzazione di tutte le potenzialità di sviluppo dell’agricoltura, appare conveniente, ogni qual volta sia possibile, pervenire alla costituzione di imprese cooperative per la conduzione associata dei terreni, con modalità socialmente ed economicamente efficienti. Si potrà prospettare, in talune situazioni, la formazione di cooperative tra famiglie ex mezzadrili e famiglie dirette coltivatrici. Si dovrebbero allora stabilire i criteri secondo i quali debbono essere retribuite uniformemente tutte le attività di lavoro e la remunerazione per la quota di proprietà conferita, proporzionale al valore di essa; questa situazione dovrebbe essere, tuttavia, rapidamente superata, attraverso la acquisizione vera e propria delle quote di proprietà familiare alla proprietà cooperativa, mediante un equo pagamento ai soci che tali quote avevano portato, in modo da raggiungere un livello di conduzione cooperativa, nel quale la quantità e la qualità del lavoro tornito costituiscano il criterio di remunerazione dei soci. In ordine alle modalità di acquisizione del reddito, la ricerca socio culturale sulla deruralizzazione ha messo in luce la inderogabile aspirazione dei contadini — in particolare delle giovani generazioni — ad una remunerazione distribuita a scadenze ravvicinate e fisse (non annuale e spesso ritardata, come nella conduzione mezzadrile), a livello uniforme e non contestabile, in forma monetaria. Nella linea di sviluppo delle cooperative di conduzione, tali problemi potrebbero trovare una soluzione con la erogazione mensile di «salari» regolari monetari, che costituirebbero, di fatto, una forma di anticipazione ai soci della loro quota di compartecipazione al reddito cooperativo. D’altronde il carattere prevalentemente familiare dell’accesso alle forme cooperative, sia che esso parta dal settore mezzadrile, sia che esso parta dal settore diretto-coltivatore, proietta nella costruzione delle istituzioni cooperative i problemi della attuale destrutturazione della famiglia contadina e impone che nel quadro delle istituzioni cooperative tali problemi trovino una loro risposta, specie in ordine alla istanza di una partecipazione responsabile e di una forma di retribuzione individuale e alla istanza di una eguale posizione dei due sessi. Ad un livello generale sembra di poter concludere come — per lo meno ad una scala di massa — si possa puntare in un primo tempo sullo sviluppo di cooperative di servizi e di trasformazione dei prodotti, nel quadro di iniziative molteplici che sviluppino, ovunque ciò sia possibile, anche associazioni con base mezzadrile, volte all’acquisto e alla vera e propria conduzione associata della terra. Si tratta cioè di dar vita ad un quadro di una notevole varietà e flessibilità di iniziative, le quali devono essere, come vedremo, intensamente incentivate ed in tale quadro i primi successi delle forme meno avanzate, cioè documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 311 delle cooperative di servizi e di trasformazione dei prodotti, porranno le pre- messe e le istanze tecniche e psico-culturali per un più vasto sviluppo graduale verso le forme più avanzate. Per facilitare lo sviluppo delle cooperative di trasformazione e di servizi già è prevista una efficace politica di favoreggiamento per quanto riguarda gli incentivi. Altrettanto dovrebbe farsi per le cooperative di conduzione per le quali oltre all’ammissione ai massimi livelli di contributo statale, sia nella forma creditizia, che in quella in conto capitale, potrebbero esser concessi particolari sgravi fiscali. Questi ultimi non dovrebbero limitarsi alle agevolazioni tributarie da concedersi all’atto dell’acquisto delle terre e della costituzione della cooperativa, ma potrebbero estendersi anche alle normali imposte di esercizio (imposta fondiaria e imposta sul reddito agrario) almeno per il periodo iniziale di funzionamento della cooperativa, precisabile mediamente in 3-5 anni. Naturalmente le cooperative in questione debbono essere strettamente vincolate alle direttive generali dell’Ente di sviluppo, che si avrà cura di far rispettare prevedendo, tra l’altro, l’inclusione nell’organo direttivo della cooperativa, di membri nominati in rappresentanza dell’Ente stesso. Perché le iniziative cooperative abbiano successo, è necessario che l’organizzazione della cooperativa avvenga secondo i seguenti criteri: a) i soci della cooperativa, per l’attività che prestano nell’impresa, per le ragioni già indicate, debbono essere pagati con salari opportunamente fissati dal consiglio di amministrazione; in quanto soci, poi, partecipano ai profitti di gestione che il consiglio di amministrazione deciderà di distribuire, dopo aver assicurato il finanziamento degli sviluppi ulteriori dell’impresa, con fondi interni; b) al consiglio di amministrazione debbono partecipare rappresentanti dell’Ente di sviluppo; c) l’Ente di sviluppo può imporre alla cooperativa l’assunzione di tecnici ed anche collegamenti con altre cooperative o con altre imprese, per Io svolgimento di attività in comune. Gli utili, risultanti per queste attività di trasformazione dal bilancio autonomo di ogni impianto, vengono attribuiti alle imprese agricole, in relazione alle quantità ed alla qualità del prodotto conferito per la lavorazione.

D) Iniziative volte a migliorare l’assistenza sociale ai contadini.

L’assistenza sociale ai contadini è oggi effettuata, per quanto riguarda il settore sanitario ai salariati agricoli e ai mezzadri, come agli operai dell’industria o ad altre categorie di lavoratori, dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie (INAM); ai coltivatori diretti dalla Cassa Mutua di Malattie per i Coltivatori Diretti; per quanto riguarda l’assistenza relativa agli infortuni sul lavoro, a tutte le categorie dei lavoratoti agricoli, come agli operai dell’industria e ad altre categorie di lavoratori, dall’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL); per quanto riguarda le pensioni di invalidità, di vecchiaia, e per i superstiti, a tutte le categorie dei lavoratori agricoli, come agli operai dell’industria e ed altre categorie di lavoratori, dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS); per quanto riguarda la indennità di disoccupazione ai soli salariati documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 312 agricoli, come agli operai dell’industria e ad altre categorie di lavoratori, dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS); per quanto riguarda gli assegni familiari ai soli salariati agricoli, come agli operai dell’industria e ad altre categorie di lavoratori, dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). In riferimento a tale struttura è da osservare che:

a) in ordine a talune forme di assistenza fondamentali, quali ad esempio l’assistenza farmaceutica e gli assegni familiari, sia i mezzadri, ,sia i coltivatori diretti risultano del tutto esclusi;

b) in ordine ai livelli di gran parte delle prestazioni, quali ad esempio l’assistenza relativa agli infortuni sul lavoro e le pensioni, il trattamento riservato al settore agricolo è di gran lunga inferiore a quello riservato al settore industriale. In sintesi, nel sistema assistenziale italiano i lavoratori del settore agricolo occupano una posizione di netta inferiorità rispetto ai lavoratori del settore industriale. La ricerca socio-culturale sulla deruralizzazione ha messo in luce il peso che la constatazione di tale inferiorità esercita sul mondo contadino, non solo al livello della semplice valutazione economica del mancato accesso a taluni importanti benefici, ma anche al livello di una ulteriore conferma della posizione di inferiorità che discrimina la conduzione contadina, in rapporto a quella dei lavoratori urbani, conferma che sembra avere un peso non indifferente nella determinazione del crescente rifiuto alla ulteriore permanenza entro i quadri del lavoro agricolo. Ora, al di là di una valutazione delle cause — finanziarie e di altro tipo — che stanno alla base della posizione di inferiorità del mondo contadino nel sistema assistenziale italiano, è da dire che tale inferiorità deve essere rapidamente superata, portando i lavoratori delle campagne a livelli assistenziali analoghi a quelli degli operai industriali e parificando, lungo questa operazione, la posizione della donna a quella dell’uomo. La prospettiva nella quale si ritiene debba venire inserita questa prima operazione di parificazione è quella che muove verso la successiva integrazione di tutti gli Enti che costituiscono il sistema assistenziale italiano e infine verso la creazione di un vero e proprio sistema nazionale di sicurezza sociale.

5.3 - Iniziative da attuarsi con la formazione di un Piano Regionale di conversione e sviluppo dell’agricoltura

Le misure di cui si è detto nel precedente paragrafo, sono tuttavia insufficienti a promuovere quella riconversione, trasformazione e sviluppo delle imprese agricole, che appaiono necessarie per consentire di realizzare quegli incrementi nella produttività del lavoro nell’agricoltura, che sono condizioni indispensabili perché l’attività possa svilupparsi e, in molte zone, perché essa possa sopravvivere. Alcune condizioni debbono essere realizzate: a) mutamento degli ordinamenti colturali (alcune indicazioni sugli orientamenti colturali che potranno essere efficacemente attuati, saranno prospettate più avanti); b) consolidamento di una razionale struttura delle aziende agrarie, in documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 313 relazione alla variata impostazione degli ordinamenti produttivi; si tratta, soprattutto, del problema delle ampiezze aziendali ottimali, che dovranno essere raggiunte nelle diverse forme di conduzione; c) riduzione del valore dei terreni; i valori dei terreni sono eccessivamente elevati e non corrispondenti neppure alle prospettive di rendimento che si potranno realizzare con le trasformazioni possibili del settore. L’abbassamento dei valori fondiari faciliterà gli scambi che si manifesteranno necessari per il raggiungimento degli obbiettivi di cui al punto b); d) miglioramento nelle dotazioni di capitali; si ricordano qui in particolare le esigenze di potenziare la meccanizzazione aziendale e di realizzare una parziale sostituzione dell’attuale razza bovina, con altre che consentano un adeguato incremento nella reddittività della zootecnia, di dotare di stalle moderne le imprese agricole zoo-tecniche, ecc.; e) sviluppo dell’organizzazione cooperativa, non solo nel quadro della gestione aziendale, ma anche per l’organizzazione della trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Per realizzare queste condizioni appare indispensabile la elaborazione di un piano di conversione e sviluppo dell’agricoltura. Nell’ambito del piano regionale si ritiene sufficiente elaborare indicazioni di massima per individuare le implicazioni che tali trasformazioni hanno sulla collocazione geografica e sulle modalità di attuazione di altri interventi, in particolare di quelli di natura urbanistica. In sede di applicazione sarà, invece, necessario elaborare analitici piani comprensoriali, relativi alle zone agrarie omogenee, o anche a parti di esse. Questo, appunto, come appresso meglio vedremo, costituirà uno dei compiti fondamentali dell’Ente Regionale di Sviluppo. Ci sembra giunto il momento di chiarire il nostro modo di procedere, che giustamente potrebbe sollevare notevoli critiche. In un Piano che ha avuto il respiro di quello umbro ci si sarebbe forse aspettato che le indicazioni date per il settore dell’agricoltura fossero più analitiche e applicative. Specialmente in sede teorica questo potrebbe essere sostenuto, che, ossia, gli elementi che le numerose indagini avevano fornito avrebbero dovuto consentire di presentare delle soluzioni più complete ed articolate. Si sarebbero, quindi, potuti determinare dei «modelli» precisi ai quali, al momento dell’attuazione pratica, si sarebbe dovuto far riferimento. In verità siamo stati lungamente tentati da questa prospettiva, alla quale in certa misura abbiamo accondisceso nel VI Volume, ma, in conclusione, alcune fondamentali considerazioni ci hanno convinti della scarsa utilità di un tale procedimento. La prima fondamentale considerazione è quella concernente i tempi di rilevazione e quelli di probabile esecuzione. Siamo stati sempre reali- sticamente certi che nella più favorevole previsione fra l’uno e l’altro tempo diversi anni sarebbero passati(2). Altro aspetto importantissimo, che del resto si collega, con quanto detto, è la grande dinamicità che, in un ambiente scarsamente sviluppato come l’Umbria, mostra ancora il movimento della popolazione rurale. I nostri dati e quelli del censimento del 1961, che purtroppo ed inspiegabilmente per quanto riguarda le forze di lavoro solo oggi sono stati completamente resi noti, sono (2) Purtroppo le nostre previsioni possono aver anche peccato di ottimismo, perché eseguito il Piano nel 1960-61-62, conclusone il dibattito nel 1963, non si ha ad oggi il minimo indizio che si possa addivenire ad una sua applicazione, almeno parziale. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 314 grandemente superati da ciò che è successo nel 1962 e nel 1963, allorché il movimento di esodo ha mostrato una particolare attività. Inoltre occorre tener conto dell’influenza della impostazione della politica agraria nazionale, ancora molto fluttuante, soprattutto al momento della elaborazione del Piano, per quanto riguarda l’azione governativa circa la mezzadria, gli Enti di sviluppo, ecc. Infine c’è da valutare lo sviluppo che gli accordi per la politica agraria comune, in sede di MEC, hanno subito nel più recente passato e che, come tutti sanno, hanno interessato profondamente alcuni fondamentali settori o produzioni agrarie. Sarebbe pertanto risultato perfettamente inutile procedere all’applicazione di rigidi metodi di programmazione aziendale, quando non si era certi della costanza di talune ipotesi fondamentali, quali quelle, ad es., relative alla disponibilità della mano d’opera, ed alla situazione di mercato dei principali prodotti agricoli, ecc. Evidentemente non si è rinunciato a far ciò, si è solo rimandato il tempo di esecuzione al momento in cui si potrà realmente procedere alla programmazione regionale, con immediatezza d’azione ed in una situazione che, proprio per essere giunta nella fase operativa, presenti caratteri di una certa stabilità, almeno nella impostazione della politica agraria del Paese. Fra l’altro l’estrema variabilità della situazione ambientale e del contesto economico e sociale, ci ha reso convinti che una modellistica aziendale precisa non possa esser fatta neppure avendo per base le nostre zone omogenee. In esse, infatti, per quanto si è visto precedentemente, l’omogeneità è sempre assai relativa e l’indice di variabilità esistente per diversi aspetti della struttura, dell’organizzazione e dei risultati economici delle aziende agrarie, è sovente molto elevato. Occorrerà pertanto riferire le indagini a comprensori, o sotto- comprensori, che siano in grado di assicurare quella uniformità che è necessario avere per poter applicare taluni metodi di programmazione economica alle aziende agrarie. Attraverso questi interventi, strettamente coordinati fra di loro, le modificazioni strutturali e tecnico-economiche della agricoltura umbra dovrebbero avvenire nel modo desiderato. Per ottenere ciò, però, riteniamo necessario poter disporre di uno strumento nuovo, appositamente organizzato, i cui compiti specifici ed esclusivi siano proprio quelli voluti dalla evoluzione che si intende imprimere all’attività agricola.

5.4 - L’Ente Regionale di Sviluppo dell’Agricoltura: funzione di pro- grammazione e sviluppo dell’agricoltura

L’intervento fondamentale per la politica a «lungo periodo» è rappresentato dalla istituzione di un Ente Regionale di Sviluppo dell’Agricoltura, che dovrà essere incaricato di formulare, secondo le indicazioni del piano economico regionale, un piano di trasformazione e valorizzazione dell’agricoltura. A tale Ente dovrà collegarsi l’Istituto Regionale per il Credito Agrario, al quale dovrà essere riservata la concessione di ogni credito speciale all’agricoltura, anche di quelli di cui si dirà in appresso. In tal modo si potrà assicurare: documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 315 a) che la formazione del piano di riconversione dell’agricoltura e la determinazione dei tempi di attuazione avvengano tenendo conto anche degli aspetti finanziari; b) che la politica dell’Istituto Regionale per il Credito Agrario sia in armonia alle decisioni del piano di riconversione. Va chiarito innanzi tutto che siamo profondamente convinti, per diverse ragioni, che l’Ente di sviluppo per l’Umbria dovrà avere giurisdizione regionale. Non è pensabile, infatti, che per rispondere ai fini per i quali si chiede la sua creazione, in una regione tipicamente mezzadrile come l’Umbria, possa ritenersi idonea l’azione di una sezione staccata degli Enti di sviluppo costituiti con D.P.R. 23 giugno 1962, n. 948 in esecuzione della delega concessa al Governo dalla legge per il Piano Verde(3), Ciò nemmeno se ulteriori leggi provvedessero ad ampliare in qualche modo la sfera di azione di questi ultimi Enti, al presente quanto mai ridotta, rimanendo limitato per gli stessi il campo d’azione solamente ad alcune porzioni del territorio. Del resto le necessità che per l’Umbria si manifestano anche nel campo tecnico, sono confermate dalla considerazione che con la presenza futura dell’Ente Regione si potrebbero creare notevoli difficoltà nell’operate dell’Ente di sviluppo —- ove questo non fosse stato istituito su base regionale — nel quadro di una politica economica per l’agricoltura da parte dell’Ente Regione, L’esistenza poi nell’ambito regionale di numerosi consorzi di bonifica rende, secondo noi, indispensabile estendere la sfera d’azione dell’Ente alla totalità del territorio, perché, pur potendo permanere i consorzi stessi come organi tecnico-esecutivi, è evidente che la loro politica dovrà essere coordinata dall’Ente stesso. Poiché l’azione di programmazione dell’Ente sia efficace occorre che la legge istitutiva dell’Ente preveda: a) la facoltà dell’Ente di predisporre programmi di trasformazione, in relazione alla esigenza di attuazione del piano per l’agricoltura, secondo una gradualità che risponde agli effetti che tali conversioni possono avere sull’economia della Regione, anche in relazione alle iniziative che saranno prese per lo sviluppo industriale e che potranno avere particolari ripercussioni nel settore; b) la facoltà dell’Ente di controllare tutta la politica degli incentivi dai quali in ogni caso dovranno essere esclusi quegli imprenditori che non abbiano, entro il tempo prescritto, adeguato le proprie aziende alle Indicazioni generali dell’Ente; c) la facoltà dell’Ente di proporre al Governo la misura del salario minimo garantito che in ogni caso le aziende mezzadrili sono tenute a dare alle unità attive occupate nell’azienda e necessarie per la coltivazione della stessa; d) la facoltà di promuovere e assistere tecnicamente e finanziariamente tutte quelle iniziative che risulteranno utili o necessarie ai fini del raggiungimento degli obbiettivi posti. In considerazione di ciò, e affinché gli Enti di sviluppo possano veramente rappresentare uno strumento efficace di pianificazione e di sviluppo economico e sociale, occorre che essi siano strutturati su base regionale, siano dotati di personalità giuridica di diritto pubblico e siano posti sotto la diretta vigilanza del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste. Agli Enti saranno affidati i seguenti compiti:

(3) Riferimento all’art. 32 della Legge 2 giugno 1961, n. 454 - Piano quinquennale per lo sviluppo dell’agricoltura. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 316 a) individuare le zone omogenee dal punto di vista ecologico e socio- economico, nell’ambiente della regione; b) predisporre per le zone in questione dei programmi contenenti indicazioni relative agli ordinamenti produttivi ed ai sistemi di conduzione, con precisazione dei minimi di ampiezza aziendale; c) assistere tecnicamente le imprese nella fase di approntamento del programma di sviluppo aziendale; d) assistere finanziariamente le imprese con potere specifico di controllo e di autorizzazione sulle concessioni di finanziamento di qualsiasi genere alle imprese stesse, al fine di adeguare gli investimenti alle esigenze della programmazione disposta e di evitare ogni investimento in contrasto con questa. Ne deriva che agli incentivi non avranno diritto le aziende che si porranno obbiettivi di organizzazione tecnica o produttiva in contrasto con le direttive dell’Ente. Inoltre, allo scopo di favorire la cooperazione — secondo gli intendimenti espressi più avanti — detti incentivi dovranno avere livelli differenziati a seconda che riguardino imprenditori capitalistici o imprese familiari, singole o associate, dovendo spettare a queste ultime incentivi — diretti o indiretti — più elevati in conseguenza dell’intendimento di favorirne lo sviluppo; e) dare pratica attuazione al programma di ricomposizione fondiaria e ingrossamento delle proprietà particellari(4); f) intervenire sulla formazione della proprietà coltivatrice con controllo diretto sulla cassa per la formazione della proprietà contadina; g) promuovere la cooperazione, sia riguardo alla conduzione, che ai servizi; h) predisporre programmi di propaganda ed assistenza tecnica e sociale alle aziende, da attuarsi tramite gli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura e gli Ispettorati Ripartimentali delle Foreste; i) proporre, per le zone mezzadrili, il livello del salario minimo garantito, stabilendo le modalità tecniche di applicazione ed i livelli base di attività di lavoro per le varie zone omogenee; /) controllare l’attività dei Consorzi di Bonifica, ai fini del rispetto dei piani comprensoriali e del coordinamento delle rispettive attività; m) promuovere iniziative nel campo della trasformazione e com- mercializzazione dei prodotti agricoli; n) rilevare sistematicamente tutti quegli elementi statistici ed economici necessari alla programmazione regionale; o) procedere all’esproprio dei terreni nei casi che saranno successivamente indicati. In sostanza l’Ente con una visione d’insieme dei singoli problemi dell’agricoltura regionale, rapportati ai più generali problemi dell’agricoltura nazionale ed alle implicazioni della politica agraria comunitaria, tenuto conto dei rapporti intercorrenti con gli altri settori produttivi, può individuare, con indubbia efficacia, gli indirizzi produttivi e gli ordinamenti colturali che più saranno confacenti ad un armonico sviluppo dell’economia generale. Ad essi dovrebbero spontaneamente adeguarsi gli imprenditori,

(4) II problema dell’ingrossamento è particolarmente importante per molte zone della regione. Ad esso si potrà attendere sia con l’acquisizione dei terreni necessari sul libero mercato fondiario, sia con l’esproprio contemplato più avanti, sia ancora attraverso l’affitto al coltivatore. In questo ultimo caso l’Ente dovrebbe, nei riguardi del proprietario, sostituirsi ai coltivatori per la prestazione delle logiche garanzie per la conservazione del capitale fondiario e del capitale di esercizio. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 317 desiderosi di assicurare alle proprie aziende prosperità e stabilità economica. Se questo però non dovesse avvenire, non sarà violata la libertà che l’imprenditore ha nelle sue scelte, ma, naturalmente, si dovrà evitare che coloro che desiderano organizzarsi in maniera diversa e contrastante con gli obbiettivi di utilità comune che l’Ente si propone, possano far ciò con l’aiuto degli incentivi, che la comunità mette a disposizione dei privati, in quanto le loro decisioni siano suscettibili di creare condizioni economicamente più favorevoli per la collettività. Fra l’altro è da tener presente che i capitali disponibili per l’intervento pubblico sono sempre in misura limitata e spesso risultano sensibilmente inferiori alle reali necessità del settore, onde sarebbe veramente anacronistico non preoccuparsi seriamente della effettiva e concreta destinazione di essi. Occorre osservare che con queste iniziative non si vuole arrivare a sostituire le decisioni imprenditoriali singole con un piano rigido per l’attività agricola; le indicazioni dell’Ente dovranno, infatti, essere sufficientemente flessibili e promuovere solo l’abbandono di forme di organizzazione aziendale inefficienti, prospettando le alternative di riorganizzazione dell’attività agricola che possono, invece, presentare carattere di efficienza tecnico- economica, in relazione alla natura dei terreni, alle condizioni climatiche, alle possibilità applicative delle tecniche, ed alle prospettive di mercato. Del resto una diversa impostazione per l’agricoltura è sconsigliata, non solo da considerazioni di origine generale sulla democraticità dell’organizzazione sociale italiana e sulla libertà che la costituzione vigente assicura alla privata impresa, ma anche dal fallimento che diverse imposizioni hanno sortito in alcuni Paesi stranieri. Basti fra tutti ricordare ciò che è successo nella Germania nazista con la pianificazione colturale, che pure veniva attuata in un ambiente atto per la sua naturale costituzione (notevole omogeneità ecologica) e per il suo momento politico, a recepire una integrale forma di pianificazione autoritaria. Gli è che le condizioni reali delle singole aziende hanno, anche in un ambiente piuttosto omogeneo, numerose ragioni di differenziazione, delle quali solo il singolo imprenditore può tener conto e valutare nelle inevitabili implicazioni con l’organizzazione aziendale. In tempi più vicini a noi, inoltre, c’è da osservare quanto in questo settore è stato fatto in Francia, ove pure si era partiti con intenzioni alquanto integraliste e ove si è messa a disposizione della pianificazione economica una organizzazione imponente, per uomini e per mezzi finanziari. Orbene per l’agricoltura non si è fatto ricorso a interventi che sovvertano la posizione del privato imprenditore, che rimane arbitro delle scelte finali, ma si interviene, invece, decisamente, ed in verità largamente, per guidare ed organizzare opportunamente le scelte medesime. Gli imprenditori per l’attuazione delle trasformazioni avranno a disposizione: a) l’assistenza tecnica dell’Ente, in sede di progettazione e di esecuzione; b) il credito di miglioramento a condizioni di favore, che lo Istituto Regionale per il Credito Agrario può concedere su domanda del proprietario, corredata da attestato dell’Ente di sviluppo, confermante che il programma è stato concepito secondo le indicazioni impartite dall’Ente stesso; c) prestiti a più lungo termine, di cui si dirà appresso, se il proponente le trasformazioni è l’azienda familiare, singola od associata, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 318 È nostra opinione che sia più utile e giusto puntare soprattutto su una larga politica di finanziamenti a medio e lungo termine, con basso saggio d’interesse, rinunciando all’intervento in conto capitale, al quale peraltro va ancora molto spesso la preferenza degli agricoltori. Occorre però subito dire che tale preferenza è per lo più originata da motivi diversi, piuttosto che da un appropriato calcolo di convenienza economica. Vale inoltre osservare che forse solo con il fondo di rotazione Fanfani(5) si sono fatti giungere alle aziende agrarie capitali a basso saggio d’interesse. Gli interventi dello Stato a favore delle aziende agrarie previste dalla legge sul credito agrario(6), infatti, perdevano la loro efficacia per l’azione speculativa degli Istituti di credito, che in buona parte facevano propri i vantaggi, che invece sarebbero dovuti andare agli agricoltori, II successo che la legge Fanfani ha registrato a partire dalla sua promulgazione, dimostra, in verità, che gli agricoltori già sarebbero consci dei vantaggi dei finanziamenti di favore, in confronto con l’intervento in conto capitale una tantum; si può pensare, quindi, che anche la reazione dei diretti interessati sarebbe favorevole. Fra l’altro, tenuto conto, come dobbiamo, della limitatezza delle disponibilità finanziarie, specie proprio nella attuale difficile congiuntura, sarebbe in tal modo possibile ampliare la sfera dell’intervento pubblico, senza aumentare gli oneri a carico della socialità. D’altra parte riteniamo che, se il periodo di concessione sarà sufficientemente lungo ed il saggio contenuto ai minimi livelli, non dovrebbe essere difficile alle aziende organizzate razionalmente affrontare gli oneri finanziari derivati dai relativi prestiti. Sulla spinta della assoluta necessità di riorganizzare le proprie aziende e nell’intento di usufruire degli interventi previsti può accadere che gli imprenditori agricoli umbri si adeguino spontaneamente ai programmi zonali dell’Ente; in tal caso, evidentemente non sorgono problemi particolari circa la concreta azione dell’Ente. Può però anche accadere che taluni proprietari fondiari della regione abbiano attuato una utilizzazione produttiva dei propri terreni non confacente all’ambiente ecologico e socio-economico e in disarmonia con i piani dell’Ente. In questo caso i proprietari verranno invitati dall’Ente a predisporre un piano aziendale di trasformazione e di adeguamento negli ordinamenti colturali e nella forma di conduzione. Qualora il piano aziendale non venga predisposto nel termine di due anni dallo invito di cui sopra o, una volta predisposto ed approvato dall’Ente con fissazione dei tempi di esecuzione, non ne venga curata la realizzazione nei termini così stabiliti, l’Ente includerà le proprietà in questione in un apposito elenco, l’iscrizione nel quale impedirà alle medesime di far ricorso agli incentivi ed alle facilitazioni di ogni genere. Nella stessa condizione verranno a trovarsi le proprietà coltivatrici che non raggiungono le dimensioni minime. Infatti, e riteniamo che questo sia un aspetto di particolare importanza, alla proprietà coltivatrice vanno riconosciuti amplissimi diritti che la pongono in una posizione di priorità rispetto agli altri tipi di proprietà e con livello preferenziale negli interventi, ma vanno anche assegnati alcuni obblighi, la mancata osservanza dei quali dovrebbe porre le medesime nelle analoghe condizioni delle aziende capitalistiche che non si adeguano alle indicazioni programmatiche. (5) Legge 25 luglio 1952, n. 949 - Piano dodecennale per lo sviluppo dell’agricoltura italiana. (6) Legge 5 luglio 1928, n, 1760 - Provvedimenti per l’ordinamento del credito agrario. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 319 Fra questi obblighi consideriamo essenziale il raggiungimento delle dimensioni ottimali. Troppo frequentemente, infatti, nello svolgersi delle indagini aziendali abbiamo dovuto costatare come un grande numero di proprietà coltivatrici non abbiano a disposizione terreno sufficiente per creare una vera azienda agraria e come, d’altra parte, proprio queste aziende abbiano assorbito, in relazione al loro numero assai elevato, le più cospicue aliquote dei finanziamenti messi a disposizione dal Piano Verde per i miglioramenti fondiari. A questo riguardo deve ancora aggiungersi che nei casi ricordati, per lo più, l’intervento pubblico è servito a dotare una famiglia di una casa di abitazione, piuttosto che una azienda dei fabbricati necessari. Ne è derivato che scarsissima è stata l’incidenza di tali interventi sulla produzione agricola ed in sostanza parte notevole dei limitati finanziamenti a disposizione è stata utilizzata per fini non completamente rispondenti alle finalità che lo stesso Piano Verde si era posto. Fra i compiti da attribuire all’Ente abbiamo visto esservi anche la possibilità del ricorso all’esproprio limitatamente a ben determinati casi. L’Ente, infatti potrà far ricorso a tale procedura solamente in tre casi: 1) - nel caso di terreni lasciati incolti per almeno due annate agrarie consecutive; 2) - nel caso che non sia stato assicurato per due anni il salario minimo garantito; 3) - nel caso che i terreni debbano servire ad integrare la superficie di aziende diretto coltivatrici ritenute non sufficientemente funzionali per carenza di estensione. Le espropriazioni di cui sopra avranno luogo ad opera del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste ai sensi della legge 25 giugno 1865, n. 2.359(7). Ai sensi e per gli effetti dell’art. 71 di detta legge, tutte le espropriazioni previste più sopra verranno dichiarate urgenti ed indifferibili L’indennità per i terreni espropriati sarà determinata in relazione al reddito imponibile dominicale, quale verrà definito nella prossima revisione degli estimi catastali, revisione che verrà attuata secondo le disposizioni che saranno a suo tempo emanate. In mancanza di detta revisione l’indennità verrà determinata in relazione al reale valore di mercato, con riferimento all’art. 39 della legge più sopra ricordata. Per terreno incolto, potendosi da parte dei proprietari con facilità frustare l’azione dell’Ente con una saltuaria e primitiva coltivazione, si intenderanno quelle terre che, a seconda delle varie forme di conduzione, non assicurano l’impiego di una quantità di lavoro uguale o superiore ai livelli ritenuti minimi dall’Ente, e che contemporaneamente abbiano un ridotto livello di produttività. L’obbligo della erogazione del salario minimo garantito, comporta naturalmente la concessione della possibilità all’imprenditore di organizzare la propria azienda con le forme contrattuali ritenute più idonee. Non è, quindi, pensabile la imposizione di un obbligo di tal genere, la mancata osservanza del quale genera la sanzione dell’esproprio, senza riconoscere il diritto alla libera disponibilità del fondo da parte dello imprenditore. Infine, gli espropri ammessi per integrare le aziende coltivatrici non autonome potranno avere come soggetto passivo solamente le proprietà aventi

(7) Nel corso del dibattito è emersa più volte la necessità che detta legge, evidentemente rispondente ad una situazione economica e sociale profondamente diversa dall’attuale, venga rivista ed aggiornata. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 320 un reddito imponibile catastale superiore alle 30 mila lire(8), e potranno avere luogo solamente se l’azienda alla quale viene sottratta la superficie, non riceva un danno alla sua organizzazione tecnico-economica. In ogni caso tali espropri non potranno riguardare una aliquota superiore al 25% della superficie complessiva della proprietà interessata dall’esproprio. Qualora l’Ente di sviluppo sia giunto, nei limitati casi previsti, all’esproprio di aziende agricole, esso dovrà provvedere con sollecitudine alla destinazione o alla utilizzazione. È evidente che se gli espropri sono stati originati dalle ragioni di cui al punto 3) la destinazione dei terreni è vincolata alla causa stessa che l’ha determinata. Non si tratta in tal caso che di assegnare i terreni, nei modi che verranno a suo tempo stabiliti, alle proprietà che si vuole integrare. Se la disponibilità di terreni è derivata dall’applicazione degli altri due motivi d’esproprio, l’Ente, in linea di principio, dovrà con la massima sollecitudine provvedere alla cessione dei terreni espropriati, in proprietà od in affitto, preferibilmente a coltivatori diretti singoli o associati, o, in ogni caso, a chi dimostri la determinazione di utilizzarli secondo le finalità dei piani predisposti per le singole zone. Potrà, però, anche condurli direttamente, in attesa della destinazione definitiva, ma sempre avendo per fine ultimo l’assegnazione a privati imprenditori. L’Ente però, ove lo ritenga necessario ed utile, potrà costituire una Azienda Agricola Regionale, che dovrà avere gestione autonoma, con il preciso compito di costituire delle «aziende pilota», che nelle varie zone omogenee rappresentino una valida indicazione per gli imprenditori del luogo. L’Azienda Agricola Regionale potrà gestire anche attività di trasformazione dei prodotti agricoli, costituendo direttamente impianti per la loro lavorazione, o partecipando a iniziative che sorgessero in questo settore. Gestioni autonome saranno configurate per i singoli impianti. Aspetto assai delicato è quello dei rapporti che l’Ente di Sviluppo dell’Agricoltura dovrà avere con gli altri organismi statali che operano nel settore agricolo, quindi, soprattutto con gli Ispettorati Agrari e Forestali. È evidente che occorrerà evitare in modo assoluto che le specifiche competenze non risultino determinate chiaramente e possono, quindi, sorgere contrasti tra i vari organismi, cosa che potrebbe facilmente accadere, dati i compiti che l’Ente di Sviluppo dovrebbe avere e la sua sfera di azione specifica sia nella fase di impostazione, che in quella di soluzione dei problemi relativi agli ordinamenti produttivi ed alle fasi successive della produzione. Agli Ispettorati, naturalmente, dovrebbero essere integralmente conservati i compiti della propaganda ed assistenza tecnica e finanziaria delle pratiche relative all’attività di trasformazione e miglioramento aziendale.

(8) Naturalmente si fa riferimento all’imponibile catastale determinato nella revisione degli estimi del 1937-39. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 321 NORA FEDERICI E LUIGI BELLINI, L’EVOLUZIONE DEMOGRAFICA DELL’UMBRIA DAL 1861 AL 1960, PERUGIA, S. N., 1966, 436 PP.

Il volume analizza l’evoluzione della struttura demografica della regione tenendo presente, nella specificità del caso, alcuni particolari fattori di incidenza - quali la sua posizione geografica, la modesta estensione territoriale e la sua arretratezza economica, che hanno sicuramente inciso nelle dinamiche demografiche regionali (in particolare nei fenomeni migratori) - al fine di individuare le cause determinanti la pluriennale arretratezza nello sviluppo della regione rispetto al resto del Paese. La ricerca, che si avvale sia delle statistiche ufficiali (carenti soprattutto a livello dei dati sugli spostamenti di popolazione) sia di alcune indagini e rilevamenti compiuti direttamente presso i comuni (con lo scopo di integrare i dati forniti dalle fonti ufficiali), è così strutturata: il primo capitolo prende in esame l’evoluzione demografica della regione secondo i censimenti dal 1861 al 1961 passando in rapida rassegna dapprima la situazione delle due provincie, dei comuni e delle rispettive frazioni, per soffermarsi poi nell’analisi delle modificazioni avvenute nella struttura per sesso ed età della popolazione tra 1951 e 1961 e proporre infine alcune previsioni di sviluppo della popolazione umbra per il decennio 1962-1971; il capitolo II, qui riportato interamente, esamina le caratteristiche del movimento naturale e migratorio con lo scopo di approfondire le dinamiche demografiche registratesi in Umbria per il periodo 1952- 1960; il capitolo successivo studia invece nello specifico le caratteristiche strutturali del flusso emigratorio per il triennio 1958- 1960 per sesso, età, destinazione, direzione e provenienza dei flussi emigratori interni, professione, comune di nascita e stato civile. Lo studio è corredato da sei appendici che approfondiscono alcuni dati e aspetti trattati nei capitoli precedenti e da un ricco apparato di tavole e carte le quali illustrano in maniera compiuta i risultati delle indagini condotte. Inoltre, l’analisi dell’evoluzione demografica per singole «zone demografiche» nelle quali è stato suddiviso il territorio regionale consente di cogliere affinità e discordanze di comportamento nella dinamica sia naturale che migratoria e di chiarire le tendenze verso l’incremento, la stazionarietà, lo spopolamento, tutti elementi utili ai fini dell’elaborazione di una efficace politica demografica in sede di formulazione del Piano di sviluppo economico. Dalla ricerca in sintesi emerge: 1) una riduzione della popolazione umbra nel decennio 1951-1961, attribuibile al saldo negativo del movimento migratorio (il cui apporto principale è dato dalle classi di giovane età, dalle donne e dal settore agricolo) e un generale invecchiamento della stessa (più sensibile per le donne) dovuto tra l’altro ad una diminuzione della natalità e ad un allungamento della vita media; 2) una immediata rispondenza tra situazione socio-economica e demografica, in relazione in particolare ai flussi migratori: la capacità documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 322 di attrazione di un centro, un comune o un territorio è legata infatti alla presenza di attività economiche in sviluppo o espansione, ciò spiega, insieme alla generale crisi dell’agricoltura, il progressivo spopolamento delle campagne e più in generale di quei comuni laddove prevalente era l’attività agricola. Gli spostamenti da ciò derivanti si sono verificati in più fasi che hanno visto dapprima l’abbandono delle zone di montagna e alta collina verso le aree di pianura e i centri ivi collocati, successivamente da qui ai centri maggiori della regione (Perugia, Terni, Foligno) o fuori regione (Nord Italia e Paesi dell’Europa centro- settentrionale). Il capitolo di seguito riprodotto approfondisce in termini qualitativi e quantitativi alcuni dei fenomeni sopra menzionati, soffermandosi in particolare sull’analisi del movimento migratorio per i 18 maggiori comuni della regione.

Le carte e le tavole citate nel testo possono essere scaricate cliccando sui rispettivi link.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 323 CAPITOLO II

LA DINAMICA DEMOGRAFICA NEL PERIODO 1952-1960

a) Premessa

1. L’analisi finora condotta ha permesso di mettere in luce, per i singoli comuni della regione umbra, le modificazioni intervenute nella consistenza della popolazione e nella struttura di questa per sesso ed età. Qualche rapido cenno è stato anche già anticipato circa l’andamento della dinamica naturale e migratoria, limitatamente a quanto era necessario ad intendere meglio il senso dei fenomeni che andavamo esaminando. Si impone, però, l’esigenza di un più approfondito esame delle caratteristiche sia del movimento naturale che del movimento migratorio. Del primo per ricercare, anche a livelli meno generali della intera regione e delle due provincie, sia eventuali differenziazioni od omogeneità di tendenza che relazioni con il parallelo andamento del movimento migratorio; di quest’ultimo per un esame strutturale dei flussi che consenta di conoscere sesso, età, professione, destinazione ecc. dei migranti e, perciò, di chiarire natura e cause dei flussi stessi ai quali, si è visto, è sostanzialmente condizionata la dinamica demografica umbra. Interesse particolare ha poi la possibilità di una analisi differenziale del movimento naturale e migratorio secondo l’insediamento: urbano o rurale. Si intende bene quale importanza le su ricordate analisi presentano sia dal un punto di vista scientifico — il conformarsi della situazione umbra ad andamenti, situazioni e relazioni già ampiamente noti — sia dal punto di vista specifico della formulazione di un piano di sviluppo economico. A questo scopo — e lo richiamiamo qui per la connessione che il problema ha con la dinamica demografica, pur nei limiti di validità che sono stati indicati — particolare interesse presenta pure la possibilità di prevedere consistenza e struttura della popolazione in un futuro più o meno lontano. Per le premesse teoriche ed i risultati pratici rimandiamo ancora, in proposito, a quanto riportato nell’ultimo paragrafo del capitolo precedente1.

1 Il paragrafo f) dal titolo «Previsioni di sviluppo della popolazione umbra per il decennio 1962-1971» (pp. 52-58 del volume) propone una ricerca previsionale sulla consistenza e composizione per sesso e per età della popolazione umbra per gli anni sopra indicati di natura essenzialmente economico-sociale, si limita cioè a valutare l’ammontare della popolazione in età economicamente produttiva (15-65 anni), dalla quale proviene, per la quasi totalità, la forza lavoro disponibile. I risultati (riportati nelle tavole nn. 31-33 per singole età e ciascun anno dal 1962 al 1971 e nelle tavole nn. 34 e 35 per gruppi di età e relativa percentuale di incidenza sul totale della popolazione in età economicamente produttiva) mostrano un aumento della popolazione nella fascia di età presa in considerazione con un incremento di 28.630 unità, pari al 5%, ma al contempo si registra un costante processo di invecchiamento della popolazione umbra, già rilevato del resto per il periodo 1951-1961. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 324 b) II movimento naturale

2. Nell’esame delle due componenti dell’evoluzione demografica, consideriamo dapprima il movimento naturale costituito, come si sa, dalle nascite e dalle morti e, in termini relativi, dalla natalità e dalla mortalità. Va detto, preliminarmente, che per entrambi i flussi del movimento naturale — ma più marcatamente per la natalità — il livello medio della Umbria è al di sotto di quello nazionale; ciò comporta che anche l’eccedenza relativa dei nati sui morti — cioè il saldo naturale — è inferiore alla media nazionale. Contro una natalità media, nel periodo considerato, del 17,7‰ per l’intero territorio nazionale, sta infatti il 14,9‰ della Umbria (15,3‰ Perugia e 14,0‰ Terni); per la mortalità, invece, la differenza è meno sensibile: 9,5‰ dell’Italia contro 9,2‰ (9,l‰ Perugia e 9,4‰ Terni); si che l’incremento naturale risulta di 8,3‰ per l’Italia contro 5,7‰ dell’Umbria (6,2‰ Perugia e 4,6‰ Terni). I dati particolari delle due provincie umbre (Tav. n. 38) confermano, sia pure con esiguità di scarto, la circostanza, generalmente accertata, che in corrispondenza di una più larga percentuale di popolazione attiva addetta all’industria si ha più bassa natalità e più alta mortalità. Prescindendo da altre interinfluenze, si può dire che le due circostanze sono l’una conseguenza dell’altra in quanto legate alle caratteristiche della composizione per età: le popolazioni a bassa natalità sono infatti, in complesso, più «vecchie»(1)di quelle ad alta natalità e, di conseguenza, soggette ad una più alta mortalità. Questa è appunto la situa- zione di Terni rispetto a Perugia. Dei 91 comuni della regione, 3 fra i più piccoli (tutti in provincia di Terni: Montefranco, Porano e Stroncone) hanno saldo naturale negativo, mentre Vallo di Nera, in prov. di Perugia, ha saldo nullo, cioè identici tassi di natalità e mortalità. Per tutti e quattro si ha bassa natalità (massima a Porano: 12,2‰) ed alta mortalità (minima a Montefranco: 10,6‰) come conseguenza di una profonda modificazione della composizione per età della popolazione2 — argomento sul quale ci siamo già soffermati nel capitolo precedente e torneremo più avanti — determinata dalla persistente emigrazione che, anche in questi comuni, è fenomeno di antica data. La rappresentazione grafica dei quozienti di incremento naturale (carta n. 19) ricalca quella dei quozienti di natalità (carta n. 17). Le punte massime — e ricordiamo che, nel nostro caso, i termini di massimo e minimo, soprattutto il primo, vanno intesi nel senso relativo alla situazione dell’Umbria — si hanno (tav.

(1) Vedasi quanto detto in proposito nella precedente nota (l) a pag. 42: La popolazione in età economicamente produttiva – equivalente statistico del potenziale di lavoro – comprende la popolazione tra 14 e 65 anni ed esprime l’insieme di coloro che potrebbero svolgere attività di lavoro, prescindendo da volontà, attitudine e requisiti fisici; gli indici di vecchiaia sono, invece, dati del rapporto, moltiplicato per 100, fra il numero degli individui sopra 65 anni e quello di individui fra 0 e 14; essi esprimono, in forma sintetica, appunto il grado di invecchiamento di una data massa demografica. In verità i demografi pongono di regola, al numeratore il numero di individui sopra i 60 anni, essendo questa l’età che viene solitamente assunta come limite superiore di vita feconda quando ci si riferisca ad una popolazione di entrambi i sessi; tenuto conto che i fini della nostra ricerca sono, però, essenzialmente economici, si è preferito considerare, invece, l’età di 65 anni, generalmente assunta come limite superiore della vita economicamente attiva. In conformità col valore assunto dagli indici di vecchiaia si è soliti parlare di «popolazioni vecchie» e «popolazioni giovani» per indicare popolazioni nelle quali siano più o meno largamente rappresentate le classi di età senili nei confronti delle classi di età giovanili. I livelli degli indici di vecchiaia per ciascun comune – al 1951 ed al 1961 – sono rappresentati nella carta n. 13. 2 In proposito cfr. pp. 37-50 del volume. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 325 38) nei comuni di Pietralunga (12,7‰), Monteleone di Spoleto (12,2‰) e San Venanzo (10,6‰). Non sembra si possano individuare zone caratteristiche; l’unica osservazione che può farsi è quella dell’esistenza di più alti livelli nella prov. di Perugia, com’era prevedibile, dato il più elevato quoziente medio di natalità di questa provincia rispetto a quella di Terni, contro una mortalità quasi uguale e, anzi, leggermente minore. Tale caratteristica differenziale è soprattutto la risultante di una situazione tendenzialmente più favorevole — nei riguardi dell’incremento naturale — nella parte settentrionale della prov. di Perugia (Comuni di Citerna, Città di Castello, Gubbio, Lisciano Niccone, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Passignano sul Trasimeno, Pietralunga, Umbertide, Valfabbrica), conseguenza di una bassa mortalità più che di un’alta natalità, che non raggiunge mai livelli superiori al 20‰, tranne a Pietralunga: 20,0‰ e a Monteleone di Spoleto: 22,5‰. Come si vedrà meglio nel confronto fra dinamica naturale e migratoria, i più alti livelli di incremento naturale si hanno nei comuni di più alta emigrazione costituendo presumibilmente quelli la spinta a questa. Qualche indicazione ulteriore però può essere ricavata dall’analisi dei quozienti, non tanto per singoli comuni, — nei quali le ridotte dimensioni demografiche rendono il più spesso determinante, nella variazione dei quozienti, l’incidenza di circostanze accidentali — quanto per le cinque zone, i maggiori comuni, le due provincie e la regione (tavole n. 39 a 42 e carte n. 38 a 50)3. Per queste ultime è possibile cogliere una certa tendenza — succes- sivamente al 1956 — alla riduzione del tasso di incremento naturale; tendenza che risulta confermata anche per il triennio 1961-1963 sulla base dei dati ufficiali disponibili(2). Se si confronta la situazione media dei quadrienni 1952-1955 e 1.957- 1960 si ha, infatti, che i saldi naturali sono per Perugia 6,6‰ e 6,0‰ e per Terni 5,0‰ e 4,4‰ rispettivamente. Come si vedrà, tale riduzione è soprattutto imputabile ad una diminuzione della natalità, risultando la mortalità in diminuzione anch’essa, ma più leggermente. Nelle zone di spopolamento è avvertibile una tendenza dello stesso tipo, mentre nella ristretta zona di sviluppo la tendenza appare all’aumento. Per i maggiori comuni si ha tendenza all’aumento a Bastia, Perugia e Terni (per questi due ultimi essa si conferma anche nei dati per il triennio 1961-1963); marcata tendenza alla diminuzione si ha, invece, nel comuni di Foligno, Città di Castello, Città della Pieve, Castiglione del Lago, Umbertide; tendenza alla stazionarietà in tutti gli altri, seppure con modesti accenni di flessione. Sorprende trovare, tra i comuni con tendenza alla diminuzione del saldo naturale, il comune di Foligno — che è tra quelli in più forte espansione — per la rapida caduta del tasso di natalità, che era, nel primo quadriennio, tra i più alti della regione. 3 Le tavole sono le seguenti: Nati vivi nei comuni dell’Umbria dal 1952 al 1960 (n. 39), Morti nei comuni dell’Umbria dal 1952 al 1960 (cifre assolute e quozienti annuali) (n. 40), Immigrati e quozienti di immigrazione nei comuni dell’Umbria dal 1952 al 1960 (cifre assolute e quozienti annuali) (n.41), Emigrati e quozienti di emigrazione nei comuni dell’Umbria dal 1952 al 1960 (cifre assolute e quozienti annuali) (n.42); le carte da 38 a 50 sono relative ai quozienti di natalità, mortalità, immigrazione ed emigrazione nel periodo 1952-1960 e suddivise per comuni, zone e provincie: Comuni di Assisi e Bastia (n. 38); Comuni di Castiglione del Lago e Città della Pieve (n. 39); Comuni di Città di Castello e Foligno (n. 40); Comuni di Gualdo Tadino e Gubbio (n. 41); Comuni di Magione e Marsciano (n. 42); Comuni di Perugia e Spoleto (n. 43); Comuni di Umbertide e Todi (n. 44); Comuni di Amelia e Terni (n. 45); Comuni di Narni e Orvieto (n. 46); Zona Eugubina e zona di Norcia (n. 47); Zona Flaminia e zona Monti Martani (n. 48); Zona sud Lago Trasimeno e Umbria (n. 49); Provincie di Perugia e Terni (n. 50). (2) ISTAT, Ballettino mensile di Statistica. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 326 In generale, sembra potersi dire che nella regione cominciano ad avvertirsi le prime conseguenze negative del rapido invecchiamento della popolazione a seguito delle perdite migratone particolarmente sensibili nelle classi centrali di età. L’indicazione — pur con le cautele necessarie per fenomeni sui quali agiscono molteplici circostanze naturali e sociali, non sempre facilmente discriminabili le une dalle altre e, d’altra parte, manifestanti la loro influenza, di solito, a non breve scadenza — ci sembra attendibile, confermata; altresì, dalla tendenza inversa avvertibile nei comuni a più forte incremento (ad eccezione di Foligno).

c) La natalità

3. Per apprezzare con maggiore dettaglio la situazione, conviene esaminare, particolarmente, la natalità e la mortalità. Per la prima, sulla base dei quozienti medi comunali per l’intero periodo considerato (carta n. 17, tav. n. 38)4, non v’è che da ripetere, sostanzialmente, quanto già si è detto per l’incremento naturale: nessuna particolare localizzazione; punte massime a Monteleone di Spoleto (22,5 per mille), Pietralunga (20‰) e San Venanzo (19,6‰) e minime a Montefranco (9,8‰) e Stroncone (ll,2‰). Se si conduce l’analisi per singoli anni (tav. n. 39 e carte n. 38 a 50), limitatamente alle due provincie, alle zone ed ai comuni maggiori, è possibile, però, avere qualche interessante indicazione. Così, nelle due provincie si ha che la natalità decresce a Perugia da 15,6‰ e 14,8‰ ed a Terni da 14,3‰ a 13,6‰ passando dal quadriennio 1952-1955 al quadriennio 1957-1960. L’andamento del periodo 1957-1960 risulta confermato, per Perugia, dai dati per il triennio 1961-1963 mentre per Terni, per effetto del forte incremento verificatosi nel comune capoluogo di cui si dirà più avanti, si ha una certa ripresa. Si tenga presente che anche successivamente al censimento si conferma, per detta provincia, sempre in virtù del peso rappresentato dal comune capoluogo, la tendenza del movimento naturale a coprire le perdite imputabili a quello migratorio, sì che la popolazione risulta in aumento, seppur con modesta intensità. Situazione inversa si ha, invece, per la provincia di Perugia. È interessante notare che la diminuzione non è attribuibile ad un valore particolarmente basso del quoziente di un singolo anno, ma ad una tendenza costante di tutti i quozienti annui, che sono quasi sempre inferiori a quelli del quadriennio precedente. Sembrerebbe, quindi, da escludere l’incidenza di circostanze accidentali e rilevabile, invece, la diretta influenza del forte invecchiamento subito dalla popolazione umbra nell’intervallo 1951-1961, di cui con sorprendente rapidità si andrebbero già manifestando gli effetti negativi. L’uso del condizionale è dettato da un legittimo senso di prudenza. È, infatti, generalmente accertato che le conseguenze negative di un processo di invecchiamento sulla natalità si manifestano a non breve scadenza e, d’altra parte, non mancano, anche in Umbria, esempi di comuni — Cascia, Norcia — che, pur presentando, come si è già visto, livelli degli indici di vecchiaia molto elevati, hanno quozienti di natalità nettamente superiori alla media regionale,

4 Carta n. 17: Nati vivi nei comuni dell’Umbria – Media annua: 1952-1960; tav. n. 38: Movimento naturale e migratorio; incremento naturale, migratorio, netto nei comuni dell’Umbria (quozienti medi 1952 -‘60). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 327 sostanzialmente stazionari nello ultimo decennio. Se, perciò, può essere — e ci sembra fondatamente — avanzata la ipotesi che la forte perdita di popolazione in età 21-45 anni per effetto dell’emigrazione abbia inciso immediatamente sui livelli di natalità di molti comuni, è altresì probabile che vi abbiano contribuito anche altre circostanze di ordine strutturale e sociale: composizione per età all’inizio del periodo di più accentuata emigrazione, sì che la forte perdita di popolazione in età giovane ha potuto avere, a breve scadenza, conseguenze più o meno rilevanti; inurbamento; controllo delle nascite. La futura dinamica dei quozienti di natalità potrà dire quanto le presenti ipotesi siano da considerarsi fondate. Tendenza simile si registra in gran parte dei comuni(3) compresi nelle zone di spopolamento — ad eccezione del nursino, ove, però, il problema è diverso, perché qui l’emigrazione è fatto di antica data e lo invecchiamento ha da tempo raggiunto livelli molto elevati — pur non mancando casi in cui detta tendenza si presenta inversa. Ma in essi, data la ridotta dimensione demografica, deve parlarsi di circostanze accidentali. In complesso la tendenza, come si diceva, è di diminuzione nel quadriennio 1957-1960 rispetto a quello 1952-1955. A confermare la circostanza sta, d’altra parte, il fatto che nella zona in sviluppo e, segnatamente, nei comuni di Bastia, Perugia e — in minor misura — Terni, si nota una tendenza all’aumento, che per gli ultimi due comuni risulta confermata anche dai dati del triennio 1961-1963. Sempre considerando la situazione media nel due quadrienni 1952-1955 e 1957-1960 per i tre suddetti comuni si ha: a Bastia da 14,8‰ a 15,6‰; a Perugia da 13,9‰ a 14,8‰; a Terni da 12,6‰ a 12,8‰. Se per questi due ultimi comuni si considera il triennio 1961-1963 il quoziente medio risulta di 15,7‰ a Perugia e di 14,2‰ a Terni. A Terni, in particolare, nel 1962 e 1963 si raggiungono i valori di gran lunga più elevati degli ultimi dodici anni: 14,6‰ e 15,2‰. Per gli altri comuni maggiori la situazione si presenta piuttosto differenziata. Si è già detto del caso di Foligno, comune in forte sviluppo demografico che vede rapidamente diminuire la natalità nel quadriennio 1957- 1960 e va detto, all’opposto, del comune di Marsciano che, in forte regresso demografico, presenta invece natalità in considerevole ascesa. Netta diminuzione si ha in tutti gli altri, tranne Assisi, Gubbio e Todi, che presentano andamento pressoché stazionario.

4. Un ulteriore approfondimento dell’analisi della dinamica demografica è offerto dai risultati della indagine condotta sui diciotto maggiori comuni della regione al livello delle frazioni geografiche (tavv. n. 43 a 60) (4). Per quel che qui

(3) Possono citarsi, in particolare, i comuni di Castel Ritaldi, Gualdo Cattaneo, Montefalco e Massa Martana della tona dei monti Martani; quelli di Costacciaro, Montone, Pietralunga e Valfabbrica della zona eugubina; Città della Pieve, Piegare, Fabro, Fienile e Monte Gabbione della zona sud lago Trasimeno. (4) Di tale indagine abbiamo già detto nel precedente capitolo, nel quale sono ampiamente i anche i criteri di impostazione e di svolgimento (pp. 30-37 del volume). Ogni frazione geografica è stata considerata come «entità territoriale autonoma non solo rispetto agli altri comuni, ma anche rispetto al restante territorio comunale». La ricerca è stata svolta «attraverso uno spoglio generale delle denunce di nascita, di morte, di immigrazione e di emigrazione presentate in ciascun comune interessato nel periodo di tempo compreso tra il 5 novembre 1951 e il 31 dicembre 1960 e successiva attribuzione di ciascun individuo alla frazione geografica in cui risultava residente al momento immediatamente anteriore (morti ed emigrazioni) o posteriore (nascite ed immigrazioni) alla denuncia». Altro aspetto preso in considerazione, seppure di difficile rilevazione, è stato quello degli documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 328 interessa le questioni di maggior rilievo appaiono: 1) avere conferma della circostanza, generalmente nota, di una maggior natalità delle zone rurali rispetto a quelle urbane; 2) individuare l’esistenza o meno, nelle stesse zone, di un andamento temporale differenziale della natalità. In verità la significatività dei risultati, a questo proposito, non è quale sarebbe stata necessaria. Non è possibile, infatti, discriminare totalmente il centro dal restante territorio comunale (compresa, quindi, anche quella parte più o meno grande di esso che appartiene alla frazione geografica del capoluogo), perché le dimensioni fissate per le cinte urbane al censimento 1951 sono state, di fatto, superate con l’estendersi delle città e conseguente incorporamento di porzioni di territorio rurale. La questione poteva avere un peso relativo — data la piccola porzione di popolazione interessata rispetto a quella del centro — se fosse stato possibile ricostruire la situazione demografica al 1951 secondo i limiti territoriali del 1960. Ma la cosa è risultata inattuabile. D’altra parte, solo per alcuni comuni è stato possibile avere — allo interno della frazione geografica del capoluogo — i dati distintamente per il centro abitato e per la restante zona, né i dati della frazione geografica nel suo complesso risultavano atti al nostro scopo per la diversa porzione di territorio rurale compresa — da comune a comune —- nella frazione geografica del capoluogo (5). Va ancora detto che molte frazioni geografiche risultano di dimensioni demografiche molto modeste: al di sotto di 1000 e spesso anche di 500 abitanti, sì che — nonostante il periodo sufficientemente lungo considerato — la dinamica naturale può essere perturbata da fattori accidentali, bastando

spostamenti verificatesi all’interno del territorio comunale, cioè da una frazione geografica all’altra. I risultati sono esposti nelle tavole da 43 a 60 (pp. 227-242 del volume). Le tavole mostrano i risultati relativi al movimento naturale e migratorio dal 1952 al 1960, secondo le frazioni geografiche (quozienti medi annui) per i comuni di Narni (n. 43), Terni (n. 44), Perugia (n. 45), Spoleto (n. 46), Orvieto (n. 47), Assisi (n. 48), Umbertide (n. 49), Bastia (n. 50), Città della Pieve (n. 51), Gubbio (n. 52), Amelia (n. 53), Gualdo Tadino (n. 54), Foligno (n. 55), Città di Castello (n. 56), Marsciano (n. 57), Castiglione del Lago (n. 58), Todi (n. 59), Magione (n. 60). (5) Si veda, a questo proposito, quanto illustrato nella nota (l) a pag. 33: In verità, il fatto che, nel comune di Gubbio, anche la frazione geografica del capoluogo, risulti in decremento di popolazione, più che ad una situazione di fatto è, molto probabilmente, da attribuire alla dimensione, invero inusitata, data a a detta frazione geografica, fino a comprendervi una buona parte dell’intero territorio comunale che pure è di dimensioni ragguardevoli: Kmq 525, 33, uno dei più grandi d’Italia. La ripartizione dei comuni in frazioni geografiche fu effettuata, in occasione del censimento del 1951, secondo criteri dettati dall’Istituto Centrale di Statistica che, però, furono diversamente applicati da comune a comune, portando a risultati molto contrastanti. Basta guardare al caso di Perugia, in cui alla zona urbana del capoluogo è aggregata – a nostro avviso giustamente – una piccola porzione di territorio rurale, direttamente gravitante sulla città ed a quello di Gubbio alla cui zona urbana è stata invece aggregata una porzione di territorio rurale pari ai ¾ circa dell’intero territorio comunale. Un’idea delle conseguenze di ciò, per quanto a noi interessa, può essere data dal diverso rapporto, nei due comuni, tra popolazione del centro capoluogo e popolazione della frazione capoluogo. Per Perugia il centro, al censimento del 1951, risultava avere una popolazione di 40.039 abitanti e la frazione di 46.900, contro una popolazione totale del comune di 95.310 abitanti; a Gubbio si aveva, invece, una popolazione di 8.756 abitanti nel centro e di 21.180 nella frazione, contro una popolazione totale del comune di 37.302 abitanti. L’inclusione di una vasta porzione di territorio rurale a fortissimo decremento migratorio, ha così inciso negativamente sulla situazione generale della frazione capoluogo determinandone la diminuzione di popolazione ed impedendo, altresì, l’esatta individuazione degli spostamenti verificatasi fra zona rurale e centro capoluogo, che costituiva uno degli elementi più interessanti della ricerca. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 329 variazioni minime del numero dei nati o dei morti per provocare variazioni molto forti dei quozienti relativi, sul cui diverso livello, altresì, può aver avuto influenza anche la diversa composizione strutturale della popolazione, ad esempio secondo l’età. Alcune indicazioni interessanti sono comunque ricavabili. Si rileva intanto, che, in generale, la natalità della frazione geografica del centro capoluogo è più bassa della media comunale. Fanno eccezione i centri di Castiglione del Lago, Città della Pieve, Città di Castello, Gualdo Tadino, Gubbio, Magione, Marsciano, Narni, conglobati, per lo più, in frazioni geografiche che comprendono rilevanti porzioni di popolazione rurale. Una analisi dei quozienti annuali delle singole frazioni mette poi in luce — pur con qualche eccezione — una caduta della natalità nelle frazioni in spopolamento ed una tendenza all’aumento in quelle in espansione, confermandosi così l’andamento già messo in luce per i comuni. In particolare, la caduta della natalità a Foligno appare largamente imputabile proprio alle zone rurali del comune.

5. Sembra dunque si possa concludere che: 1) le modificazioni profonde intervenute nella struttura per età della popolazione si riflettono già negativamente sulla natalità; 2) la natalità risulta, tuttora, più elevata nelle zone rurali rispetto a quelle urbane; 3) si avverte la tendenza ad una diminuzione della natalità nei comuni o porzioni di comuni in spopolamento (tutti configurabili come zona rurale) contro una tendenza all’aumento della stessa nelle zone in sviluppo (da considerare, in pratica, come zone urbane), Nel complesso della regione la tendenza è alla diminuzione. Ciò può essere efficacemente messo in luce interpolando i quozienti medi annui del periodo 1952-1960: la retta interpolatrice appare nettamente discendente(6). Se si tien conto dei bassi valori che la natalità già presentava agli inizi del periodo considerato la tendenza che l’analisi dei dati evidenzia da l’esatta misura delle perturbazioni che la dinamica migratoria ha provocato nella struttura per età della popolazione umbra. In verità per una più precisa analisi delle variazioni temporali della natalità sarebbe stato più opportuno ricorrere al calcolo dei quozienti standardizzati ma ciò non è stato possibile per mancanza di dati adeguati.

d) La mortalità

6. L’analisi della mortalità (tav. n. 40 - carta n. 18)5 da luogo a rilevare una pressoché assoluta uniformità, con diffusi minimi nei comuni della parte settentrionale e centrale della regione: Giano dell’Umbria 7,2‰; Montone 7,3‰; Pietralunga 7,3‰; Valfabbrica 7,5‰; ed un addensarsi dei livelli massimi nella zona sud-est (il nursino) ed in alcuni piccoli comuni al confine meridionale con il Lazio.

(6) Nella Appendice n. 3 è riportata la nostra interpolaziene effettuata, a fini previsionali, sul numero dei nati. Se si tiene conto che nel periodo considerato — sulla base del movimento anagrafico registrato — la popolazione regionale è stata in costante aumento tranne negli ultimi tre anni, allorché si è avuta una diminuzione di poche centinaia, ne risulta che la pendenza della retta interpolatrice sarebbe ancor più accentuata se essa fosse riferita ai quozienti. La natura dei dati ed il loro andamento hanno consigliato di utilizzare come intepolatrice l’equazione di una retta. 5 Carta n. 18: Morti nei comuni dell’Umbria – media annua: 1952-1960. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 330 La spiegazione ci viene offerta dall’analisi della composizione per età della popolazione, condotta sui dati del censimento del 1951 e sui risultati della indagine particolare da noi disposta presso tutti i comuni della regione al luglio 1961, di cui abbiamo a lungo parlato nel precedente capitolo. Si tratta, cioè, delle situazioni di partenza e di arrivo rispetto al verificarsi del fenomeno qui in esame, È ovvio che la probabilità di morte è tanto più elevata quanto più elevata è l’età degli individui; estesa la circostanza ad una intera popolazione — sia essa di un comune, di una regione, di uno stato, ove la legge probabilistica ha modo di esprimersi compiutamente, data la numerosità dei casi — se ne ricava che qualora le uniche circostanze agenti siano state quelle naturali, più alti quozienti di mortalità debbono riscontrarsi in popolazioni più vecchie, nelle quali, cioè., sia forte il peso delle età più avanzate. La tabella XI, che segue, ad integrazione di quanto offerto dalla tav. n. 40, ci da conto della situazione al 1951 e al 1961, relativamente ai comuni umbri che presentano i più elevati quozienti di mortalità, in disformità con l’andamento generale della provincia. Si nota subito la rispondenza dei dati: in tutti i casi segnalati la percentuale di popolazione in età senile (60 anni e oltre) è, già nel 1951, notevolmente superiore alla media regionale e nazionale (pressoché uguali l’una all’altra) e le punte massime di essa corrispondono a punte molto elevate della mortalità: Preci e Poggiodomo, le più alte della regione, dopo il massimo di Porano, per il quale si ha pure un alto livello della percentuale di popolazione in età senile (tab. XI). Al 1961 la situazione presenta un forte aggravamento per tutti i comuni, con incrementi massimi proprio nei due comuni citati. Si può ancora osservare che i più alti quozienti di mortalità riguardano, sostanzialmente, il gruppo dei comuni del nursino ove, s’è visto, la consistenza della popolazione è in diminuzione dal 1901. Qui, evidentemente, l’emigrazione ha impoverito soprattutto le classi giovani, determinando un accentuato invecchiamento delle popolazioni e, di conseguenza, un’alta mortalità. 7. L’analisi dell’andamento dei quozienti annuali per le due provincie, le zone, i 18 maggiori comuni aggiunge qualche elemento nuovo a quanto già detto. A parte la punta eccezionale del 1956 — dovuta alle avverse condizioni climatiche dell’inverno di quell’anno — che è presente» con maggiore o minore intensità, in tutti i comuni, l’andamento dei due quadrienni, cui proprio il 1956 fa da separatore, è pressoché simile e qualche accenno di flessione nel secondo rispetto al primo può essere anche imputabile alla punta eccezionale del 1956. Nella sola zona in sviluppo tale tendenza alla diminuzione è abbastanza marcata, particolarmente nei comuni di Foligno, Spoleto e Narni, di cui gli ultimi due, però, in incremento complessivo di popolazione molto modesto. Fra i comuni maggiori, in netta diminuzione di popolazione, la mortalità tende decisamente ad abbassarsi ad Amelia, mentre appare in netta ascesa a Marsciano ed Umbertide. La situazione dei tre comuni deve essere ricondotta a circostanze accidentali, che la dinamica della struttura per età e del livello degli indici di vecchiaia potrebbe, semmai, legittimare un andamento esattamente opposto. Ciò conferma quanto le osservazioni che si danno per singoli comuni — anche se di dimensione superiore alla media — debbano essere prese con cautela ed aventi puro valore indicativo, soprattutto quando si tratta di manifestazioni isolate o pressoché tali. Negli altri comuni la situazione appare stazionaria, con modestissima tendenza alla diminuzione. Questa appare, altresì, caratteristica dell’intera documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 331 regione. Se, infatti, si interpolano linearmente i quozienti medi annui del periodo 1952-1960 la retta interpolatrice risulta leggermente decrescente(7). Non molto si ricava dall’analisi della situazione dei 18 maggiori comuni al livello delle frazioni geografiche. Unico elemento di un certo interesse è il fatto che la mortalità appare, in quasi tutte le frazioni geografiche del centro capoluogo — fatta eccezione di Marsciano, Amelia ed Orvieto — più alta di quella dell’intero comune, confermandosi la circostanza, pure generalmente nota, della minor mortalità delle zone rurali rispetto a quelle urbane, di solito conseguenza di una struttura per età della popolazione più giovane nelle campagne, rispetto ai centri urbani, per la più alta natalità di quelle rispetto a questi. Le modificazioni intervenute nella struttura per età, ed il conseguente processo di invecchiamento non sembra, dunque, abbiano fatto sentire i propri effetti negativi sulla mortalità; ma è prevedibile che ciò avvenga nel prossimo futuro.

8. Nel complesso, l’analisi particolare della natalità e mortalità ha portato a confermare quanto già individuato con l’esame dell’incremento naturale, permettendo di caratterizzare più chiaramente le situazioni differenziali — sia nel livello medio che di tendenza — all’interno della regione. Esse riguardano, soprattutto, la natalità; per la quale, pur confermandosi i livelli generalmente più alti delle zone rurali rispetto a quelle urbane — tali zone hanno puro valore indicativo, che, per le ragioni già dette, non è possibile una loro precisa individuazione — è avvertibile una tendenza all’aumento delle seconde rispetto alle prime per gli effetti fortemente negativi che, su quest’ultime, comincia ad avere il movimento emigratorio e conseguente invecchiamento della popolazione che caratterizza, altresì, la situazione dell’intera regione. Questa sembra essere la più interessante e, ad un tempo, preoccupante conclusione del nostro esame, le cui conseguenze sono state particolarmente visibili nei risultati delle ricerche previsionali, cui rimandiamo.

e) II movimento migratorio, con particolare riguardo ai 18 maggiori comuni.

e. 1 - Caratteristiche generali.

9. II movimento migratorio — costituito dal flusso delle immigrazioni e delle emigrazioni — è statisticamente accertato, com’è noto, attraverso le iscrizioni e cancellazioni anagrafiche. Per quanto concerne la valutazione della sua consistenza nei comuni dell’Umbria nel periodo 1952-1960 e il contrasto rilevato dai risultati del censimento fra registrazioni ufficiali di esso e situazione di fatto si veda quanto già si è detto nel capitolo precedente. La corretta conoscenza del fenomeno è stata, perciò, resa possibile solo dalla completa revisione dei dati ufficiali. Per il procedimento usato rimandiamo alla Appendice n. 1, in cui esso è ampiamente illustrato; i risultati così ottenuti sono da noi utilizzati nella analisi che qui viene condotta. Nel complesso della regione il saldo migratorio risulta negativo (-7,l‰)

(7) Anche per questo rimandiamo all’Appendice n. 3, sempre tenendo presente quanto già detto nella nota a pag. 66 (qui nota (6) a p. 331). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 332 con accentuazione per la prov. di Perugia rispetto a quella di Terni (Perugia — 8,3‰ e Terni - 3,7‰). La situazione di decremento è pressoché generale (tav. n. 38 carta n. 22): infatti, dei 91 comuni dell’Umbria solo 5 hanno valori positivi: 3 in provincia di Perugia (Bastia, Foligno, Perugia) e 2 in provincia di Terni (Attigliano e Terni). Per Foligno il saldo positivo è, però, di modestissima entità (0,6‰); la punta massima si ha, invece, a Bastia con 2l,3‰. È interessante notare come, dei cinque comuni indicati, due abbiano popolazione inferiore a 10.000 abitanti: Bastia ed Attigliano; sì che ben 13 dei 16 comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti hanno un saldo migratorio negativo. Il primato, in proposito, spetta a Gubbio con - 21,0‰. Grandi e piccoli comuni, dunque, si aggruppano tanto nei valori positivi che in quelli negativi, sì che l’andamento del fenomeno appare legato non tanto a quel complesso di fattori psico-economici che possono riassumersi nell’espressione: attrazione dei grandi centri, quanto a motivi più strettamente economici. La prima circostanza — attrazione dei grandi centri — influisce senza dubbio largamente (che, nella sostanza, quasi la metà del flusso emigratorio regionale è assorbita dai tre comuni di Perugia, Foligno e Terni), ma appare in una certa misura condizionata dalla presenza prevalente di una motivazione più chiaramente economica. Là ove, infatti, la città non presenta attività economiche in sviluppo, la sua capacità di attrazione si esplica, al massimo, all’interno del territorio comunale, con spostamenti, cioè, dal territorio rurale del comune al centro capoluogo(8); mentre risulta negativo il saldo per il movimento dello intero territorio comunale con l’esterno. Così la mancanza di prospettive di sviluppo economico spiega perché comuni che hanno presentato espansione demografica superiore alla media fino al 1951 — quali Gubbio e Spoleto — diano luogo, oggi, ad un saldo migratorio negativo — particolarmente forte, come s’è già visto, nel caso di Gubbio. Così, d’altra parte, analogamente si spiega il saldo positivo dei due comuni sotto i diecimila abitanti, particolarmente rilevante nel caso di Bastia, comunque ormai prossimo al traguardo dei diecimila abitanti e con una economia industriale e commerciale in forte sviluppo. Per Attigliano, invece, comune di molto modeste dimensioni demografiche (1505 ab. al 1961), il saldo positivo è da attribuirsi alla attività di uno stabilimento per la lavorazione del tabacco, cui si aggiunge la presenza della ferrovia; va detto, tuttavia, che la tendenza appare invertita negli anni più recenti.

e. 2 - Saldo migratorio e incremento netto.

10. Se per l’incremento totale — che pure, come s’è osservato a suo tempo, dipende essenzialmente da quello migratorio — si riesce ad individuare — sulla base dei dati del censimento — una zona continua in espansione demografica (quella lungo la Flaminia fino a Foligno, con deviazione fino a Perugia), per l’incremento migratorio la delimitazione è meno evidente, in quanto i comuni a saldo positivo non risultano fra loro contigui. Tale contiguità può essere raggiunta solo inserendo, un poco artificiosamente, nella zona in espansione, i comuni di Narni, Spoleto, Assisi e Sangemini, i cui valori negativi peraltro (rispettivamente di - 3,3‰, - 5,5‰, - 6,0‰ e - 6,l‰) sono i

(8) Si veda, in proposito, quanto già è stato detto e quanto ancora si dirà sul movimento interno dei maggiori comuni. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 333 più bassi fra tutti; Narni, il cui notevole sviluppo industriale non si riflette, ancora, sulla dinamica demografica (evidentemente, per la difficoltà della mano d’opera agricola di inserirsi in una industria — quella chimica, largamente presente nel territorio del comune — che richiede alta specializzazione); Spoleto, Assisi e Sangemini, il cui sviluppo turistico(9) potrebbe forse in avvenire modificare la situazione. La fascia della Flaminia si conferma, allora, come la sede di più consistente sviluppo demografico. Per quel che riguarda i comuni a saldo negativo, nella loro rilevanza numerica (86 su 91) è implicita una distribuzione su tutto il territorio della regione. La loro localizzazione per classi di decremento coincide, del resto, con quella illustrata nella parte relativa all’incremento totale, com’era appunto prevedibile; qui, anzi, le zone appaiono ancor più nettamente delineate.

11. L’esame particolare dei movimenti di immigrazione ed emigrazione (tavv. n. 41 e 42) porta ad alcuni interessanti rilievi. Com’era da presumere, la carta n. 20 relativa alla immigrazione risulta sostanzialmente simile a quella dell’incremento migratorio (che, come si è visto, per la quasi totalità dei comuni è, in realtà, un decremento) mentre la carta relativa all’emigrazione (n. 21) ne risulta la negativa. Per questa seconda carta vi sono, però, alcune eccezioni: il nursino, il comune di Gubbio e un gruppo di comuni in provincia di Terni (Amelia, Baschi, Giove, Guardea, Lugnano in Teverina); per questi comuni, a differenza di quanto accade generalmente, il decremento migratorio coincide con livelli di emigrazione non molto elevati sicché alla origine del deficit sta piuttosto la mancanza di un adeguato flusso equilibratore di immigrazione, mancanza che testimonia la profondità della crisi che ha investito questi comuni. È questa diffusa tendenza allo scarso ricambio di popolazione che indirizza una non trascurabile parte del flusso emigratorio fuori dei confini regionali senza un’adeguata contropartita, sì che il bilancio migratorio si chiude, per la regione, in sensibile passivo. Il fenomeno, del resto, sia pure in forme attenuate, investe anche altri comuni e sta ad indicare, a nostro avviso, le scarse possibilità di ricambio nell’attività economica umbra, la difficoltà, cioè, di trasferire l’occupazione da un settore all’altro di attività. Una conferma di questa interpretazione ci sembra possa ravvisarsi nel fatto che le punte massime di immigrazione non sono toccate — tranne nel caso di Bastia, che presenta un alto grado di ricambio della popolazione — dai comuni a più alto livello di scambi migratori, ma dai comuni a più alto incremento demografico e talora anzi si trovano (come nel caso di Paciano e di Fabro) in comuni il cui saldo migratorio è addirittura negativo. Livelli relativamente elevati nei quozienti di immigrazione sono rilevabili anche per molti comuni, specie dei maggiori, il cui saldo migratorio è nettamente negativo, mentre, d’altra parte, anche nei comuni in forte incremento si hanno quozienti di emigrazione di non lieve entità (tanto più

(9) Per Spoleto si può pensare, infatti, ad uno sviluppo turistico in collegamento con il Festival dei Due Mondi, che, pur fra molte difficoltà, sembra ormai avviato a sicuro e stabile successo, nonché ad una ripresa delle sue già notevoli attività industriali. Per Assisi, inoltre, prospettive positive possono essere avanzate sulla base dei nuovi insediamenti industriali resi possibili dalla applicazione di una legge speciale. Per San Gemini prospettive di sviluppo possono essere legate ad una più ampia utilizzazione degli impianti termali — problema che interessa tutta la zona fino ad Acquasparta — ed alla valorizzazione della vicina zona archeologica di Carsulae. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 334 importante, in questo caso, perché rappresentano correnti emigratorie di notevole intensità assoluta: il 20% circa degli emigrati proviene, infatti, dai comuni di Foligno, Perugia e Terni). Ciò fa avanzare l’ipotesi che gli spostamenti migratori avvengano per tappe successive e che molti comuni — a saldo migratorio sia positivo che negativo — costituiscano tappe intermedie verso altri, definitivi approdi, nella regione o fuori. È una ipotesi che altre ricerche, di cui diremo, permetteranno di confermare.

12. Già nel capitolo precedente, analizzando la dinamica della popolazione dei comuni umbri, avevamo costatato come, limitandosi a considerare i comuni nel loro insieme, si aveva una immagine di tale dinamica per lo più distorta, essendo presenti zone in decremento entro comuni in sviluppo e zone in incremento entro comuni in regresso demografico. II fenomeno può essere messo in luce considerando, all’interno dei comuni maggiori, la situazione delle singole frazioni geografiche(10); e si è visto già, in parte, a quali interessanti risultati ciò faccia pervenire, sia per la dinamica della consistenza della popolazione che per il movimento naturale. A risultati altrettanto interessanti si perviene nell’esame del movimento migratorio e — sulla base di esso — dell’incremento netto, cioè della somma algebrica dei saldi naturale e migratorio. Una prima immediata costatazione è possibile sulla base dei dati delle tavole n. 43-60 (carte n. 24 a 31)6: in tutti i 18 comuni considerati, zone in aumento e zone in decremento coesistono entro i confini amministrativi di uno stesso comune. Fanno eccezione i comuni di Città della Pieve, Gubbio e, parzialmente, Amelia, Nei primi due, infatti, sia il saldo migratorio che l’incremento netto di tutte le frazioni geografiche presentano valori negativi, in concordanza con la situazione dell’intero comune; nel terzo, invece, in discordanza con la situazione del comune, l’incremento netto della frazione del capoluogo presenta valore positivo(11).

(10) Per l’impostazione della ricerca allo scopo predisposta rimandiamo a quanto illustrato nel cap. I, paragrafo c). In questo caso non si è ritenuto necessario provvedere ad una rettifica dei dati, modificando, cioè, l’ammontare dell’immigrazione dalle frazioni verso l’esterno del comune, sulla base dei dati rettificati di cui all’Appendice n. 1. Ciò in considerazione del fatto che, non disponendo della popolazione delle singoli frazioni al 1961, mancava qualsiasi indicazione sul modo come ripartire il flusso emigratorio aggiuntivo. D’altra parte la rettifica non avrebbe portato sicuramente a modifiche sostanziali dei risultati già raggiunti, se non accentuando ancor più l’emigrazione dalle frazioni che già presentavano i quozienti più elevati e riducendo, probabilmente, il saldo migratorio per le frazioni di più intenso sviluppo. 6 Le carte mostrano l’incremento migratorio nelle frazioni dei comuni di Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Gualdo Tadino (n. 24), Perugia, Assisi, Bastia e Foligno (n. 25), Magione, Castiglione del Lago, Città della Pieve, Marsciano, Todi e Orvieto (n. 26), Spoleto, Terni, Narni e Amelia (n. 27); l’incremento totale nelle frazioni dei comuni di Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Gualdo Tadino (n. 28), Perugia, Assisi, Bastia e Foligno (n. 29), Magione, Castiglione del Lago, Città della Pieve, Marsciano, Todi e Orvieto (n. 30), Spoleto, Terni, Narni e Amelia (n. 31). (11) Colpisce, in particolare, che, nei suddetti comuni, nemmeno la frazione geografica del capoluogo presenti saldi positivi, Rilevando quanto già detto sui criteri con cui furono fissati, a suo tempo, i confini delle singole frazioni geografiche — e, soprattutto, sulla situazione di Gubbio — si può notare che, mentre nel caso di Città della Pieve ed Amelia i risultati possono essere considerati significativi data la modesta incidenza che la zona rurale ha sul complesso della frazione geografica del capoluogo, nel caso di Gubbio è molto probabile che il peso della zona rurale sia risultato determinante. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 335 Per questi tre comuni, il discorso al livello delle frazioni geografiche ripete, in sostanza, quello già fatto a livello dell’intero comune. Diversa la situazione degli altri quindici comuni che, per comodità e chiarezza di esposizione, distinguiamo in tre gruppi: 1°) comuni nei quali saldo migratorio e incremento netto hanno presentato valori positivi; 2°) comuni nei quali saldo migratorio ed incremento netto hanno presentato valori negativi; 3°) comuni nei quali il saldo migratorio ha presentato valori negativi e l’incremento netto valori positivi. Al primo gruppo appartengono i comuni di: Bastia, Foligno, Perugia e Terni; al secondo gruppo i comuni di: Castiglione del Lago, Gualdo Tadino, Magione, Marsciano, Todi e Umbertide; al terzo gruppo i comuni di: Assisi, Città di Castello, Spoleto, Narni ed Orvieto, per i quali, ad eccezione di Narni e Orvieto, l’incremento netto presenta valori assolutamente trascurabili, inferiori all’l‰. Nella sottostante tabella XII per ciascun comune sono riportati il numero delle frazioni in incremento e di quelle in decremento e la percentuale che la popolazione delle prime rappresentava, al censimento 1951 e al 31 dicembre 1960, rispetto a quella totale del comune. Tali percentuali — logicamente sempre in aumento tra le due epoche — permettono anche di chiarire come la popolazione in esse residente costituisca, in generale, una larga maggioranza di quella comunale; come era facile, del resto, prevedere.

13. Comuni del primo gruppo. Le frazioni in incremento — fra le quali è sempre compresa quella del capoluogo — risultano essere immediatamente confinanti con quella, appunto, del capoluogo; sì che risulta confermata l’ipotesi, già avanzata, che la mancanza di una zona di attrazione intorno ai più importanti comuni in incremento era da ritenersi dovuta al fatto che la notevole dimensione territoriale di questi faceva sì che tale zona venisse a collocarsi all’interno stesso dei comuni. Per 46 delle 81 frazioni ad incremento netto positivo si ha saldo migratorio pure positivo (si ricordi che in tutte le frazioni il saldo naturale è praticamente sempre positivo, sì che esso viene a bilanciare parzialmente il saldo migratorio, ove questo sia negativo e, viceversa, a sommarsi ad esso ove sia già positivo)(12). Un’altra questione di grande interesse è costituita dall’analisi della incidenza che sul movimento migratorio delle singole frazioni — in particolare di quelle ad incremento netto positivo — hanno il movimento interno e quello da e verso altri comuni. Il problema assume aspetti diversi per le immigrazioni e per le emigrazioni. Per il primo aspetto, infatti, si ha un comportamento univoco per tutti i 4 comuni qui considerati, con prevalenza della immigrazione da fuori comune, tranne la maggior parte delle frazioni ad elevato incremento positivo, nelle quali

(12) Fra i pochi casi in cui non si ha concordanza di valori positivi del saldo migratorio e del saldo totale, interessa particolarmente segnalare quelli di tre frazioni del comune di Foligno: Belfiore, Pale e Ponte Centesimo e di una del comune di Perugia: Pianello, nelle quali l’incremento netto risulta fortemente positivo — contro un saldo migratorio negativo — in virtù di un elevato saldo attivo naturale, per effetto sia di un alta natalità, che di una bassa mortalità. Ciò accade, seppure in misura meno sensibile, anche in alcune altre frazioni. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 336 prevale l’immigrazione dall’interno del comune. Riguardo alle emigrazioni la situazione nei quattro comuni del gruppo in esame si presenta, invece, molto differenziata. In tre di essi, infatti, — Foligno, Perugia, Terni — il movimento interno risulta nettamente prevalente su quello esterno, mentre per il quarto, Bastia, si ha esattamente l’opposto, cioè prevalenza del movimento esterno rispetto a quello interno. La spiegazione ci sembra debba essere individuata nel fatto che i primi tre comuni — demograficamente i più consistenti della regione — offrono, nelle attività industriali e commerciali che ivi si accentrano, una più larga possibilità di occupazione ed esercitano, perciò, una rilevante attrazione, orientando così gli spostamenti della popolazione di alcune zone del comune prevalentemente verso il capoluogo o frazioni adiacenti e rallentando il flusso verso l’esterno. Tale attrazione viene generalmente esercitata anche nei confronti di coloro che provengono da altri comuni. Prevalenza degli spostamenti verso l’esterno del comune — come nel caso dei tre maggiori suddetti — si ha per le frazioni del centro capoluogo e per alcune frazioni poste ai limiti del territorio comunale. Nel primo caso, perché, almeno per grossi centri come Perugia, Foligno e Terni, non è pensabile possa esservi richiamo dal capoluogo alle frazioni; nel secondo caso, perché, date le dimensioni ragguardevoli del territorio comunale, l’attrazione del centro capoluogo si attenua e gli spostamenti si orientano più facilmente verso altri comuni.

14. Comuni del secondo gruppo. Si tratta, come già enunciato, dei sei comuni nei quali saldo migratorio e incremento netto hanno presentato valori negativi. Per quanto riguarda il saldo migratorio si osserva che valori positivi di esso si hanno: ad Umbertide solo per la frazione del centro capoluogo; a Todi, Magione e Marsciano per questa ed anche per un’altra frazione confinante; a Gualdo Tadino per altre 5 frazioni oltre quella del capoluogo (ma in tre di esse con livelli inferiori all’l‰). Soltanto per Castiglione del Lago l’unico valore positivo non riguarda il capoluogo, ma la frazione di Porto. Circa l’incremento netto, invece, la situazione è un po’ migliore in alcune frazioni, fra le quali è anche quella del capoluogo del comune di Castiglione del Lago, per l’incidenza positiva del movimento naturale. Va segnalato il caso della frazione di Rigali del comune di Gualdo Tadino che contro un saldo migratorio positivo, seppure di poco (+ 0,8‰), presenta saldo netto negativo (- l,3‰) per l’incidenza del saldo naturale negativo (- 2,l‰). La situazione di questi comuni è efficacemente illustrata dai dati della tabella XII riportata a pagina 74, secondo cui a cinque dei sei comuni spettano le più basse percentuali. L’analisi della dinamica migratoria secondo la destinazione — interna o esterna al comune — mostra che gli spostamenti interni — sia in entrata che in uscita — sono prevalenti nei comuni di Gualdo Tadino, Magione e Todi, ove, ad esempio, il saldo positivo delle frazioni del centro capoluogo dei tre comuni e della frazione di Pian di Porto di Todi è dovuto, quasi esclusivamente, ad afflusso dall’interno del comune. Per gli altri comuni, invece, la situazione è diversa, risultando per il movimento interno livelli quasi costantemente inferiori a quelli del movimento esterno. Sembra potersi avanzare l’ipotesi — confermata da successive ricerche di cui diremo — che a questi comuni affluiscano correnti di emigrazione dai comuni limitrofi — piccoli e grandi — le quali ne fanno base di passaggio per poi spostarsi di nuovo, verso altre direzioni. In complesso, possiamo dire che documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 337 non si presentano situazioni nuove rispetto a quelle già osservate nell’analisi dei dati relativi ai comuni del primo gruppo: si ha, invece, una notevole attenuazione degli aspetti più positivi là osservati; attenuazione che si manifesta, essenzialmente, con una ridotta capacità di attrazione del capoluogo, intorno al quale non si determina in nessun caso (tranne in quello di Gualdo Tadino: ma si tratta di uno dei comuni per i quali più forte è stata la rettifica dei dati del movimento emigratorio, sì che è da pensare che la situazione di alcune frazioni, già ad incremento molto modesto, sia da considerare modificata in senso negativo) una zona secondaria di influenza.

15. Comuni del terzo gruppo. Si tratta dei comuni di Assisi, Città di Castello, Spoleto, Narni e Orvieto a saldo migratorio negativo ed incremento netto positivo, i quali si trovano, in un certo senso, in una situazione intermedia a quella dei due gruppi precedenti, verificandosi in tutti — come si è detto — saldo migratorio negativo di proporzioni relativamente ridotte, tanto che esso può essere sempre compensato dal saldo naturale, costantemente positivo. Ne deriva che più cospicuo è il numero delle frazioni in incremento migratorio ed ancor più quello delle frazioni in incremento netto. Coincidenza perfetta fra le due situazioni — saldo migratorio e incremento netto dello stesso segno — in tutte le frazioni si ha soltanto nei comuni di Narni e Orvieto, ma in tutti gli altri comuni i casi di compensazione sono numerosi, favoriti appunto, come si diceva, dai modesti valori negativi dei saldi migratori. Si è visto che per i comuni ora in esame si può dire che essi occupano una posizione intermedia rispetto ai gruppi esaminati in precedenza. Ciò risulta confermato anche dall’esame della dinamica migratoria interna e da quella con gli altri comuni. Si osserva, infatti, che la prevalenza del movimento da e verso altri comuni non è così generale come nei comuni del secondo gruppo, poiché, soprattutto per le frazioni ad incremento netto positivo, si ha spesso prevalenza del movimento interno rispetto a quello esterno, che è, appunto, una delle caratteristiche delle frazioni dei comuni del primo gruppo, Si può, perciò, affermare che, in complesso, movimento interno e da e verso altri comuni partecipano, con quasi pari intensità, alla dinamica migratoria delle frazioni geografiche dei comuni di questo terzo gruppo, sia pure con leggera prevalenza del secondo. Il movimento interno risulta generalmente prevalente nelle frazioni in forte incremento, sì che, anche in questi comuni, si ha che uno dei più importanti fattori di incremento demografico — là dove esso si verifica — è la ridistribuzione dell’insediamento umano nel comune, con spostamento dalla campagna ad alcuni centri abitati.

e.3 - Quozienti migratori e zone demografiche.

16. L’analisi dei quozienti annuali permette di mettere in rilievo per le due provincie, le zone ed i maggiori comuni una accentuata dinamica migratoria nel quadriennio 1957-1960 rispetto a quello 1952-1955 (tavv. n. 41 e 42, carte n. 38 a 50)7 frutto sia di un aumento dei quozienti di immigrazione

7 Vedi nota 3. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 338 che di quelli di emigrazione. Solo per la zona nursina i quozienti di immigrazione restano pressoché stazionati, confermandosi ancora una volta tale zona come quella le cui prospettive demografiche sono più incerte. L’intensificazione degli scambi migratori va attribuita all’acutizzarsi della crisi economica regionale, in primo luogo di quella dell’agricoltura che, con le gravi calamità naturali del 1956, subì un processo di rapido aggravamento, determinando una vera e propria fuga dalle campagne ed accentuando, così, gli spostamenti da comune a comune. In alcuni comuni — Marsciano ed Umbertide, ad esempio — lo incremento rapido della corrente immigratoria e di quella emigratoria, con quest’ultima sempre nettamente prevalente, rende particolarmente evidente un fenomeno già altre volte segnalato e di cui darà inequivocabilmente conferma una ricerca di cui diremo più avanti; l’essere, questi due comuni, tappe intermedie di un processo di spostamento che ha inizio nei territori di alta collina e montagna dei comuni limitrofi e si conclude con la definitiva partenza verso i più importanti centri della regione o fuori della regione stessa. Quel che si ricava dalla analisi della dinamica demografica dei 18 maggiori comuni della regione, distintamente per frazioni geografiche — unitamente a quanto si è illustrato in precedenza per tutti gli altri comuni — permette di discriminare con soddisfacente approssimazione le zone che, all’interno della regione, si presentano in effettivo incremento o decremento demografico, soprattutto come risultato della dinamica migratoria(13). Ciò è stato possibile individuando, in ciascun comune qui considerato, le frazioni aventi incremento netto di segno diverso da quello dell’intero comune. Così — come si è già visto — nei comuni ad incremento netto positivo è risultato che una parte, anche notevole, del territorio comunale presentava, in verità, incremento netto negativo; negli altri comuni ad incremento netto negativo è stato, invece, possibile individuare zone, a volte territorialmente modeste, ma, comunque, interessanti circa metà della popolazione del comune, in cui tale incremento risultava positivo (vedi tab. XII, pag. 74). Si è così potuto provvedere ad una più precisa individuazione delle zone in effettivo incremento o decremento demografico, secondo quanto è illustrato nella Appendice n. 6. La fascia di sviluppo, che già era stata individuata collocarsi essen- zialmente lungo la Flaminia, si precisa ulteriormente in una stretta striscia ai lati della strada stessa; su di essa si inserisce — come già si era visto — il tronco Foligno-Perugia. Piccole zone in incremento si presentano isolatamente lungo la Tiberina in corrispondenza del comune di San Gemini, dei centri capoluogo del comuni di; Todi, Marsciano, Umbertide, Città di Castello e del comune di ; alla Tiberina appartiene anche una parte della zona in espansione del comune di Perugia. Altre piccole isole di incremento si hanno in corrispondenza dei centri capo-luogo dei comuni di Orvieto, Magione e Gualdo Tadino. Si precisano meglio anche le zone di decremento, soprattutto quella della fascia montana ai confini con le Marche alla quale vanno ad aggiungersi — rispetto a quanto già visto nella ricerca effettuata al livello delle circoscrizioni comunali — le parti in decremento dei comuni di Spoleto,

(13) Per la loro esatta configurazione si veda la Appendice n. 6. L’appendice illustra le zone geografiche in incremento o decremento demografico con delimitazione e caratteristiche (pp. 149-160 del volume). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 339 Foligno e Gualdo Tadino, sì che essa si presenta ora senza soluzione di continuità. Si estende pure la zona in decremento dei monti Martani, per lo acquisto di alcune zone del comune di Spoleto.

e.4 - Riflessi della dinamica migratoria sugli altri aspetti dell’evoluzione demografica.

17. In quel che si è detto finora sul livello quantitativo e la dinamica del movimento naturale e migratorio, nonché sulle modificazioni intervenute nella struttura per età della popolazione dei comuni dell’Umbria fra il 1951 e il 1961, è già stato fatto riferimento alle relazioni reciproche fra i tre fenomeni, secondo l’ipotesi che, nel periodo in esame, elemento determinante delle vicende demografiche della popolazione umbra sia da considerare il movimento migratorio, sì che presentava particolare interesse la ricerca di una eventuale incidenza di esso sul movimento naturale e, di conseguenza, di entrambi sulla struttura per età. L’analisi condotta sembra dare conferma a tale ipotesi, nel senso che si avverte, negli anni più recenti, la tendenza ad una diminuzione dell’incremento naturale — frutto, soprattutto, di una marcata diminuzione della natalità — specie nelle zone di più forte spopolamento, tendenza che appare, invece, invertita per la zona in sviluppo demografico e, segnatamente, per i due capoluoghi di provincia. Situazione che anche le caratteristiche strutturali secondo l’età e la loro dinamica 1951-1961 confermano pienamente. Non che manchino le eccezioni. Nei comuni del nursino, ad esempio, la natalità non subisce flessioni; nel comune di Marsciano essa appare addirittura in aumento e andamenti analoghi sono riscontrabili in alcuni comuni dell’eugubino e della zona sud lago Trasimeno, Elementi di arretratezza sociale, in zone per lo più isolate e prive di un contatto continuo e vivo con le zone più progredite, interinfluiscono indubbiamente con le profonde modificazioni strutturali conseguenza della emigrazione — secondo un meccanismo del resto largamente noto — a determinare una dinamica che fa eccezione a quella caratteristica della regione. È anche possibile che nella diminuzione della natalità e, di conseguenza, dell’incremento naturale, abbiano un certo peso — oltre le modificazioni strutturali — anche l’acquisizione di nuovi modelli di comportamento demografico conseguenti al rapido processo di urbanizzazione e, forse maggiormente, l’alta mobilità avvertibile dal livello dei quozienti di immigrazione ed emigrazione, entrambi molto elevati sia nei comuni in incremento — ove prevalgono i primi — che in quelli in decremento ove, ovviamente, prevalgono i secondi. E non sembri inutile ricordare, ancora una volta, l’eccezione del nursino, che appare come l’unica zona — in Umbria — il cui comportamento demografico è riconducibile a quello delle zone economicamente e socialmente arretrate. Ciò, probabilmente, in conseguenza sia del relativo maggior isolamento di quei comuni rispetto agli altri della regione, sia del fatto che la diminuzione di popolazione, manifestatasi nella stragrande maggioranza dei comuni umbri dopo il 1951, era in atto, nel nursino, già da lungo tempo; sostanzialmente, può dirsi, fin dal 1861 quando, con l’unità, tutta la situazione economica della zona — un tempo abbastanza fiorente sotto la protezione doganale pontificia — iniziò il suo decadimento.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 340 SILVIO LEONARDI E FRANCESCO INDOVINA, STRUTTURA, DINAMICA E PROBLEMI DELL’INDUSTRIA IN UMBRIA, PERUGIA, S. N., 1968, 353 PP.

La relazione si struttura in tre parti: 1) stato attuale, caratteristiche e problemi dell’industria manifatturiera in Umbria con indicazioni di possibili interventi per favorire il suo sviluppo; 2) trasformazioni intervenute nella struttura industriale dell’Umbria tra 1951 e 1960, il cui scopo è quello di studiare l’andamento dell’industria nelle due provincie; 3) risultati della indagine campionaria sui problemi dell’industria umbra. Per la realizzazione di questa ricerca sono state svolte una serie di indagini mirate che hanno tenuto conto sia dei dati dei censimenti e di quelli raccolti direttamente dal Centro sulle unità locali umbre al 1960, sia delle indagini campionarie e dirette sulle imprese industriali umbre. Lo studio intende chiarire gli ostacoli e approfondire le potenzialità di crescita economica nei vari settori industriali, le tendenze allora in corso e gli interventi grazie ai quali poter valorizzare le prospettive di sviluppo della regione.

La prima parte della ricerca, di cui qui si riportano il secondo paragrafo del primo capitolo («Le caratteristiche della struttura industriale dell'Umbria») e per intero il capitolo VI («Aspetti negativi ed ostacoli allo sviluppo industriale dell’Umbria. Possibili interventi, aspetti positivi e possibilità di sviluppo»), si limita ad un esame dei caratteri generali dell’industria manifatturiera in Umbria1, al fine di determinare i punti di maggiore interesse per l’elaborazione del Piano a livello dello sviluppo industriale. L’Umbria, nonostante l’insediamento della grande industria a Terni sul finire dell’Ottocento, è rimasta fino alla metà del secolo scorso una regione sostanzialmente agricola e mezzadrile. Con la fine del secondo conflitto mondiale - in ragione delle profonde trasformazioni allora in atto nell’agricoltura, della crisi del modello mezzadrile, della mutata situazione economica e politica e di quei fenomeni di mobilità sociale strettamente legati al processo di sviluppo economico - l’industria diviene uno dei fattori imprescindibili su cui centrare il rilancio dell’economia e della società umbra e superare così la strutturale arretratezza della regione; in particolare ai fini della rinascita economica regionale e dell’elaborazione di un piano di sviluppo economico la Soc. «Terni», in quanto principale realtà produttiva dell’industria umbra, ha occupato una posizione di primaria rilevanza. Il primo paragrafo qui riprodotto fornisce alcuni dati informativi e risulta significativo per avere un quadro generale della situazione occupazionale nel settore industriale nella regione: partendo da alcune generali considerazioni riguardanti l’andamento demografico su scala nazionale e regionale2, si sottolinea come in ambito occupazionale le

1 L’industria manifatturiera è risultata essere la forma di industria prevalente nella regione, seguita a grande distanza dall’industria per le costruzioni, dall’industria estrattiva e infine dall’industria dell’energia elettrica, gas e acqua. 2 Si evidenzia una diminuzione della popolazione residente in Umbria ciò dovuto documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 341 attività industriali abbiano rivestito nel contesto dell’economia umbra un peso inferiore rispetto alla media nazionale3. I dati riportati nelle varie tabelle mostrano come l’occupazione industriale in Umbria sia aumentata in misura chiaramente inferiore rispetto sia alle altre regioni dell’Italia centrale che più in generale al resto del Paese, ciò dovuto ad una serie di carenze strutturali che hanno inibito lo sviluppo economico-industriale dell’area umbra. Il capitolo VI propone per l’appunto una analisi qualitativa della struttura industriale della regione, con lo scopo di individuare le cause dell’arretratezza umbra e fornire così una base per sviluppare i possibili interventi, specificandone aspetti negativi4, positivi e indicando le potenzialità di sviluppo della regione5. Particolare rilievo viene dato infine ai problemi specifici dell’industrializzazione nel ternano, per la funzione di impresa «motrice» svolta dalla «Terni», e dal ruolo delle partecipazioni statali per la soluzione dei problemi dell’economia umbra.

all’emigrazione cospicua verificatasi soprattutto dopo il 1958 per via di movimenti migratori sia verso l’esterno che verso l’interno della regione, in particolare in direzione dei capoluoghi. 3 In base al censimento del 1961 il livello nazionale è pari all’11,11%, su scala regionale scende ad appena l’8,06%. 4 Tra gli aspetti negativi figurano: sviluppo relativamente debole dei settori in cui è particolarmente rilevante la piccola impresa ciò dovuto agli ostacoli indotti dall’organizzazione delle aziende e dalla struttura del mercato monetario e creditizio in Umbria; insufficiente e instabile grado di sviluppo industriale; prevalenza di produzioni destinate all’esportazione che tuttavia riguardano prodotti che hanno una domanda limitata nel mercato nazionale rispetto ad altre produzioni industriali affini; forte dipendenza delle industrie umbre dai mercati esterni sia per la vendita dei prodotti che per l’acquisto di materie prime e di semilavorati, ecc. 5 Tra gli aspetti positivi si segnala: favorevole posizione geografica, disponibilità di manodopera facilmente qualificabile, disponibilità di materie prime e semilavorati per lo sviluppo industriale, disponibilità di risorse idriche. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 342 CAPITOLO I

LE CARATTERISTICHE DELLA STRUTTURA INDUSTRIALE DELL'UMBRIA

[...]

2. Alcuni dati informativi

Nel decennio 1951-1961 il totale della popolazione residente in Umbria è diminuito da 803.918 a 794.745 abitanti (— 1,2%), mentre la popolazione totale italiana (da 47.515-537 a 50.623.569 unità) è aumentata del 6,5% e, in particolare, quella della Lombardia del 12,79% (da 6.566.154 a 7.406.152), Solo in altre tre regioni (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Abbruzzo e Molise) si è verificato un fenomeno simile a quello umbro(1). La diminuzione della popolazione residente in Umbria è dovuta all’emigrazione di una cospicua quota della popolazione stessa, particolarmente forte negli anni successivi al 1958, che ha, soprattutto, interessato la provincia di Perugia, provocando un calo demografico in termini assoluti, contro una stabilizzazione della popolazione della provincia di Terni, Ai movimenti migratori verso l’esterno della regione si sono sovrapposti movimenti migratori all’interno della regione stessa, particolarmente diretti, almeno negli anni più recenti, verso i centri di Bastia, Foligno, Gualdo Tadino, Perugia, San Giustino, Terni. Varie sono le cause di questi fenomeni, illustrate anche in altre relazioni. Esse si riconducono però, fondamentalmente, ad alcuni caratteri dello sviluppo economico che ha avuto luogo nel nostro paese in questo ultimo decennio e, principalmente, allo sviluppo dell’industria e alle caratteristiche della sua localizzazione, alle difficoltà delle attività agricole. Le attività industriali, considerate in termini di occupazione(2) hanno, nel quadro dell’economia umbra, un peso inferiore a quello che in media esse hanno nel Paese. Infatti l’occupazione dell’industria al censimento 1961 era, nazionalmente, pari all’11,11% della popolazione; per l’Umbria, invece, tale percentuale era di appena l’8,06%. Tra le regioni italiane classificate sulla base delle percentuali di occupazione industriale sulla popolazione, l’Umbria occupa l’11° posto.

(1) Cfr. L’evoluzione demografica dell’Umbria dal 1S61 al 1961, a cura della Prof.ssa NORA FEDERICI e del Dott. LUIGI BELLINI - Vol. II della «Collana», Perugia 1966. (2) Questa analisi non può essere condotta in termini di produzione, poiché, come è noto questa informazione a livello regionale è praticamente inesistente (anche nazionalmente si possiedono informazioni molto parziali). documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 343 Come si vede dalla tabella n. 1, l’Umbria è preceduta dalle seguenti regioni:

Lombardia 23.04 Piemonte 20,14 Valle d’Aosta 16,48 Toscana 13,24 Liguria 12,60 Emilia Romagna 12,55 Veneto 12,29 Marche 11,50 Friuli - Venezia Giulia 11,42 Trentino - Alto Adige 10,16

Una prima indicazione circa l’evoluzione dell’economia umbra nel tempo può essere fornita dalla variazione negli attivi nell’industria sia in valore assoluto che in percentuale sulla popolazione totale. Come si può notare dalla tabella n. 2, dal 1931 al 1951 gli attivi nell’industria in Umbria sono aumentati di circa 24.000 unità pari al 38%; per l’Italia nello stesso periodo l’incremento è stato documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 344 del 25%. Dal 1951 al 1961 gli attivi nell’industria in Umbria sono aumentati di circa 16.000 unità, pari al 12,8%; per l’Italia, nello stesso periodo, l’incremento è stato del 12,8%. La comparabilità dei risultati dei diversi censimenti ha, come è noto, alcuni limiti derivanti dalle differenze dei criteri adottati per i censimenti stessi, benché, per quanto riguarda i risultati della tabella succitata che derivano da censimenti della popolazione, questo inconveniente sia assai minore di quanto non si verifichi per i censimenti industriali e commerciali. Di conseguenza l’aumento della popolazione attiva da una indicazione molto approssimata della variazione dell’impiego della mano d’opera locale. In secondo luogo si deve osservare che il saggio di aumento della popolazione attiva (o dell’occupazione o del reddito) più alto in una regione sottosviluppata che nazionalmente, o nelle regioni sviluppate, può essere spiegato tenendo conto che i dati assoluti di partenza nelle due aree sono di diverso ordine di grandezza per cui il tasso più alto nella regione sottosviluppata, sposta un numero di unità fisiche notevolmente più basso che nelle regioni sviluppate. Sembra opportuno poi sottolineare che la differenza fra la percentuale degli attivi nell’industria sulla popolazione totale a livello nazionale e la stessa percentuale a livello locale si è modificata nel tempo.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 345 documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 346 Infatti tale differenza fra le due percentuali è passata da 3 nel 1936 a 2,5 nel 1951, e a 2,2 nel 1961, La diminuzione di tale differenza nel decennio 1951- 1961 è dovuta alla diminuzione della popolazione umbra (1951: 803.918 - 1961: 794.745) oltre che all’aumento degli attivi nel settore industriale. Comunque, se i confronti dei risultati per colonna presentano alcune difficoltà, più attendibili sono certamente i confronti per riga dai quali risulta una permanente inferiorità dell’Umbria alla media nazionale e, a maggior ragione, rispetto alla Lombardia, anche senza tener conto della differente distribuzione della disoccupazione sul piano nazionale, non rilevabile attraverso il numero degli addetti. Particolarmente debole è, come si vede, la posizione della provincia di Perugia. Il fatto che nel decennio 1951-1961 questo squilibrio abbia provocato, attraverso un accresciuto efflusso migratorio, e per la prima volta, una diminuzione della popolazione totale della regione, deve essere collegato sia a condizioni interne dell’Umbria sia a condizioni esterne e, particolarmente, allo sviluppo economico che nel decennio stesso ha avuto luogo in altre regioni italiane. Come sempre, il problema dello sviluppo si pone in termini relativi. Per quanto riguarda l’industria, si può dire che, nel decennio considerato, malgrado lo sviluppo avuto nel complesso della regione, essa non e stata comunque in grado di mantenere l’equilibrio demografico tra la regione e l’esterno. Le perdite in termini assoluti di popolazione della regione sono un sicuro indice dello accresciuto divario tra possibilità di lavoro e di reddito offerte all’interno e quelle offerte all’esterno della regione stessa. In questo senso possono considerarsi appropriate le osservazioni spesso fatte circa un regresso dell’attività industriale umbra. In confronto con altri periodi del passato, lo sviluppo dell’industria umbra, in questo ultimo decennio, ha risposto peggio ad esigenze poste da trasformazioni interne, particolarmente dell’agricoltura, ed al confronto con trasformazioni esterne. Non si tratta, quindi, di regresso in termini assoluti, benché fenomeni del genere si siano verificati in diverse località, ma, soprattutto, di troppo lento progresso che ha provocato perdite di popolazione particolarmente forti nella provincia più agricola, quella di Perugia, anche se nel decennio considerato si sono registrati in questa i maggiori incrementi della popolazione addetta ad attività extragricole. Considerazioni più precise possono essere fatte prendendo in esame l’andamento dell’occupazione. Nella tabella n. 3 sono riportati al 1951e al 1961 i dati relativi all’occupazione industriale in Umbria, nelle altre regioni centrali e nelle due circoscrizioni principali, Nord e Sud. Sarebbe stato possibile costruire un indice di variazione che tenesse conto di un periodo di tempo maggiore, ma in questa sede si è ritenuto opportuno soffermarsi soltanto sugli anni più recenti. È evidente come l’occupazione industriale della regione umbra sia aumentata molto meno non solo rispetto alle altre regioni dell’Italia centrale, delle regioni cioè che, per posizione geografica, si trovano nelle sue stesse condizioni (esiste però a questo proposito la notevole differenza delle comunicazioni), ma in generale rispetto a tutte le altre regioni italiane. Il suo incremento, infatti, è inferiore anche a quello delle regioni meridionali e insulari prese nel loro complesso (è probabile, però, che alcune singole regioni del meridione abbiano avuto un incremento inferiore). Le differenze sono molto notevoli se il confronto viene poi fatto con la Toscana e le Marche. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 347 Si osserva inoltre come il peso dell’Umbria, misurato sempre dal numero degli occupati nell’industria, sia, al pari del Lazio e delle regioni meridionali e insulari nel loro complesso, diminuito: l’occupazione industriale umbra, che rappresentava al 1951 l’1,32% dell’occupazione industriale totale italiana, è passata al 1961 all’1,15%. Questa diminuzione è avvenuta in un periodo di sviluppo generale dell’economia italiana e quando molte delle principali imprese umbre hanno allargato il loro mercato e hanno aumentato la loro capacità produttiva. Questo può essere un indice sommario della situazione di assoluto disagio in cui si trova l’Umbria e rende non solo consigliabile ma assolutamente indispensabile un intervento coordinato.

Nella seguente tabella sono riportati alcuni risultati del censi-mento 1961 per un confronto con i risultati del 1951, nonché i risultati della ricerca effettuata dal «Centro».

Sempre allo scopo di una sommaria presentazione del problema, si riportano alcuni dati che possono essere utili per inquadrare la situazione dell’industria umbra nell’insieme nazionale.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 348 CAPITOLO VI

ASPETTI NEGATIVI ED OSTACOLI ALLO SVILUPPO INDUSTRIALE DELL’UMBRIA POSSIBILI INTERVENTI, ASPETTI POSITIVI E POTENZIALITÀ DI SVILUPPO

1. Aspetti negativi della struttura industriale umbra

L’analisi della struttura dell’industria umbra, i cui risultati più signifi- cativi sono riportati nei precedenti capitoli, consente di individuate alcune caratteristiche peculiari che spiegano l’insufficiente sviluppo economico della regione. In primo luogo occorre ricordare la prevalenza della piccola e media industria. Lo sviluppo relativamente debole dei settori in cui particolarmente rilevante è la presenza della piccola impresa, è in gran parte dovuto agli ostacoli che l’organizzazione delle aziende costituisce ad una piena valorizzazione delle possibilità di progresso tecnico, alle maggiori difficoltà di valutare le prospettive di mercato e alle difficoltà di finanziare i programmi di investimento. Le strutture del mercato monetario e creditizio umbro aggravano queste difficoltà. La vasta diffusione della piccola impresa, specie in alcuni settori, è indice di una diffusa imprenditorialità che però si è irrigidita in forme che contrastano con le esigenze dello sviluppo produttivo delle aziende. L’accentramento del potere imprenditoriale è una caratteristica della struttura industriale umbra (circa il 50% degli imprenditori compie da solo tutte le scelte aziendali: programmazione degli investimenti, fissazione del programma di produzione, assunzione del personale, determinazione dei livelli salariali, acquisto delle materie prime, creazione di nuovi modelli di prodotti, fissazione dei prezzi)(1). Se si tiene presente che le alternative esistenti rimangono all’interno del sistema proprietario (soci e familiari o per divisione delle mansioni direttive o per divisione della proprietà o per delega) si ha una indicazione abbastanza precisa dell’alto livello di accentramento delle decisioni nelle mani della proprietà. Una seconda caratteristica dell’economia umbra può spiegare l’in- sufficiente sviluppo industriale e la sua instabilità nel tempo. L’attività dell’impresa motrice del ternano, come già si è detto, è stata nel passato caratterizzata da produzioni il cui sviluppo risultò largamente condizionato dalle vicende belliche. Questa caratteristica è in via di superamento, ma le ripercussioni che nel passato si sono avute sulla struttura dell’industria umbra, soprattutto nella piccola e media impresa della zona, permangono. Le produzioni umbre, poi, sono in gran parte, come si è visto, destinate all’esportazione. La quota di produzione esportata è alta in tutti i settori.

(1) Si veda il Vol. IV: L’imprenditorialità in Umbria, a cura del Prof. ANGELO PAGANI. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 349 Occorre però, in proposito, osservare che le principali esportazioni riguardano prodotti la cui domanda nel mercato nazionale non si è sviluppata al saggio al quale si è sviluppata la domanda di altri prodotti industriali affini. L’industria delle confezioni, ad esempio, non riguarda in Umbria prevalentemente quelle confezioni di uso popolare, la cui domanda nazionale è aumentata ad un saggio particolarmente elevato in considerazione anche dei mutamenti che stanno verificandosi nelle abitudini di consumo. Anche per alcune industrie dolciarie, che sono state prevalentemente orientate finora verso produzioni di qualità, valgono considerazioni analoghe. L’esportazione dei prodotti dell’artigianato, per quanto non è legato al turismo, incontra pure non lievi ostacoli al suo sviluppo. Buone possono apparire le prospettive di sviluppo dell’esportazione di altri prodotti semilavorati, come quelli che la Soc. «Terni» sta programmando. Per questi prodotti un’integrazione nella regione della loro produzione alle attività nelle quali essi possono essere utilizzati, potrebbe però consentire una più intensa valorizzazione delle risorse della regione umbra, in particolare delle riserve di manodopera. Altro aspetto negativo, che ha agito come ostacolo indiretto allo svilupparsi di iniziative industriali in Umbria, è rappresentato dalla con- figurazione spaziale della legge del 29 luglio 1957, numero 634. I confini della zona che beneficia dei provvedimenti a favore del Mezzogiorno passano infatti vicinissimi al limite della regione umbra (2). Conseguenza degli anzidetti aspetti negativi è la forte dipendenza delle industrie umbre dai mercati esterni, non solo per la vendita dei loro prodotti, ma anche per l’acquisto delle materie prime e dei semilavorati. Questa aspetto del sistema industriale umbro concorre ad aggravare altri aspetti negativi della struttura economica umbra per il gioco delle interdipendenze. La rilevanza dei flussi di materie prime provenienti dall’esterno e dei prodotti destinati all’esterno, concorre a spiegare lo scarso sviluppo del mercato umbro. Esso si è debolmente sviluppato nel passato in conseguenza anche delle tendenze stazionarie della produzione agricola e dei conseguenti limitati incrementi di reddito disponibile degli agricoltori. Questi aspetti negativi della struttura industriale si legano ad altri aspetti negativi della regione umbra. Le caratteristiche delle vie di comu- nicazione, hanno contribuito a mantenere a livelli modesti la domanda locale in quanto non hanno favorito lo sviluppo di attività autonome in misura adeguata a rompere la situazione di relativo ristagno del mercato locale. Le caratteristiche del mercato finanziario non hanno certo incoraggiato lo sviluppo delle piccole e medie imprese; è mancata per queste da parte degli enti finanziatori, una visione complessiva delle possibilità di sviluppo del settore, nel quadro della quale decidere dei finanziamenti alle singole imprese (è dubbio però che questo possa essere il compito di istituti di credito ordinari), mentre le caratteristiche peculiari del sistema bancario hanno continuato a mantenere elevati i tassi attivi.

(2) La configurazione della legge potrebbe, infatti, produrre effetti negativi anche nei riguardi delle eventuali iniziative per lo sfruttamento dei semiprodotti della Soc. TERNI e di altre industrie locali, nel campo delle attività secondarie o collaterali. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 350 2. La posizione geografica dell’Umbria - Le prospettive aperte dalle tendenze al decentramento delle attività industriali da altre regioni

Posta al centro della penisola, tra le regioni agricole ed industriali del nord e le regioni sottosviluppate del sud, l’Umbria si presenta potenzialmente come un’area favorevole alla localizzazione di industrie che collocano i loro prodotti sull’intero mercato italiano. Finora, a determinate la localizzazione di tali industrie, peso decisivo hanno avuto i seguenti fattori: a) la disponibilità nel nord di un vasto ed articolato mercato del lavoro; b) l’esistenza nel nord di un ambiente favorevole allo sviluppo industriale: la presenza di industrie produttrici di beni strumentali e tornitrici di servizi alle industrie, un mercato finanziario vivace ed efficiente, un sistema bancario in grado di soddisfare le esigenze di credito delle imprese anche per la vastità dei mezzi raccolti dalle banche ivi operano, infrastrutture adeguate, la facilità delle vie di comunicazione anche con l’estero, ecc.; c) la ricchezza dei mercati del nord, per il relativamente assai più elevato potere di acquisto della popolazione; d) la tendenza dei grandi complessi ad investire nelle zone in cui operano. Questi fattori favorevoli hanno interagito reciprocamente, dando luogo ad un processo cumulativo di sviluppo che a accentuato la sperequazione geografica nella distribuzione delle industrie. Questi fattori vanno, peraltro, attenuandosi; si nota infatti che: a) il mercato del lavoro nel nord assume caratteristiche sfavorevoli per l’industria, per l’avvicinarsi di una situazione di piena occupazione ; b) nella misura in cui la politica economica italiana perseguirà efficacemente l’obiettivo di uno sviluppo economico bilanciato, in grado di valorizzare le risorse di quelle regioni che, per il gioco delle forze spontanee, sono rimaste sottosviluppate o sono diventate depresse, anche in queste zone si creeranno, con adeguate infrastrutture, le condizioni per l’insediamento di attività industriali; c) una volta avviato il processo di sviluppo economico in queste regioni, si avrà un progressivo rilevante incremento di redditi individuali, che provocherà un incremento della domanda, nelle stesse regioni, di beni di consumo; il che determinerà condizioni favorevoli per un orientamento, verso questi mercati oltre che verso i mercati settentrionali, delle imprese che tali beni producono; d) le tendenze anzidette e la funzione che il Governo dovrà assumere per la promozione dello sviluppo economico, indipendente dagli interessi dei grandi complessi, potrà indebolire il fattore che ha contribuito a rafforzare le tendenze alla concentratone geografica, ricordato sotto il punto d) precedente. Nelle prospettive che le tendenze sopra ricordate offrono all’economia italiana, la posizione geografica dell’Umbria, diventa un fattore potenziale favorevole allo sviluppo economico della regione. La realizzazione di queste possibilità è legata tra l’altro al miglio- ramento del sistema di comunicazioni che consenta all’Umbria di essere sufficientemente inserita nella rete delle comunicazioni nazionali e di assumere una posizione centrale rispetto ai mercati nazionali(3), nonché ad una

(3) Cfr. il Vol. IX: Problemi del traffico e delle vie di comunicazione in Umbria, a cura della S.p.A. SOMEA di Milano e degli Ingg. ILVANO RASIMELLI e MARIO SERRA. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 351 organica legislazione unitaria di intervento straordinario nelle aree depresse del Mezzogiorno ed esterne al Mezzogiorno, con particolare riferimento, per l’Umbria, all’area centrale di depressione.

3. La interpretazione dei fenomeni industriali e la individuazione degli interventi

Un’indagine a carattere storico esula dal campo di questa ricerca, anche se è da ritenersi utile per una migliore comprensione della situazione attuale(4). Si fa osservare che, nel passato, diverse iniziative locali sono state assorbite da gruppi finanziari esterni e sacrificate nel processo di con- centrazione dei gruppi stessi, oppure specializzate per la produzione di materie prime destinate ad essere ulteriormente lavorate in altre regioni dove si è concentrata la maggior parte del valore aggiunto e, quindi, del reddito prodotto e della possibile accumulazione. Per molti decenni, e fino all’ultimo conflitto mondiale, l’attività manifatturiera di gran lunga più importante della regione ha avuto carattere militare, non solo a Terni, ma, sia pure per un breve tempo e con minore importanza, in altri centri come Foligno, Spoleto e Passignano sul Trasimeno. Analogo carattere ha avuto, d’altra parte, lo sfruttamento della lignite con grande sviluppo nei periodi prebellici e bellici, con occupazione di diverse migliaia di operai, e con successivi crolli nei periodi di depressione corrispondenti ai periodi di pace, assai più lunghi di quelli di guerra. Anche per l’energia elettrica il carattere subalterno dell’economia umbra non si esprime con una utilizzazione locale molto inferiore alla produzione e, quindi, con l’esportazione, anche in questo caso, di una materia prima, poiché il problema non può essere posto nel senso dell’autarchia regionale; si esprime piuttosto, con la rinuncia da parte del gruppo produttore alle funzioni di distribuzione e, quindi, ai connessi profitti e alla possibilità di accumulazione e di una politica autonoma in condizioni di parità con gli altri gruppi operanti in altre regioni. Questo tipo di inserimento dell’economia umbra nell’economia na- zionale, a carattere subalterno, ha posto dei gravi limiti allo sviluppo dell’attività manifatturiera, in termini qualitativi e quantitativi. Dalla tab. n. 2 le insufficienze quantitative risultano palesi, sia pure attraverso un dato sintetico quale è quello della percentuale degli addetti all’industria sulla popolazione totale o su quella in età da lavoro. Per l’Umbria si rileva una permanente deficienza rispetto alla media nazionale che, come è noto, è, a sua volta, notevolmente più bassa di quella dei paesi industrialmente sviluppati. L’analisi dei dati quantitativi dei censimenti e di quelli raccolti dal «Centro» è stata concentrata nella seconda e nella terza parte del presente volume; in questa prima parte, pur facendo riferimento ai dati quantitativi essenziali, ci si è soffermati soprattutto sugli aspetti qualitativi allo scopo di individuare le cause dell’arretratezza umbra e di fornire, quindi, una base per interventi. Per questa ragione, si è dedicata particolare attenzione all’esame di una

(4) Si rinvia in proposito a due studi di facile consultazione e ben documentati: C. FAINA, L’Umbria e il suo sviluppo industriale. Città di Castello, 1922; BORTOLOTTI, L’economia di Terni dal 1870 ai giorni nostri, ed. Thyrus, Terni, 1960, con ricca bibliografia. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 352 serie di relazioni tra proprietà ed investimento, tra attività principali e attività complementari e supplementari, tra massa salariale e industrie locali, tra stabilità di occupazione ed inurbamento, tra attività direzionale ed ambiente. Si ritiene, cioè, che il tipo del prodotto e la politica aziendale (rapporti interaziendali, rapporti tra aziende e mano d’opera, ecc.) siano elementi fondamentali agli effetti dell’individuazione di specifici effetti «motori»; per l’individuazione, cioè, dei fenomeni sui quali eventuali interventi possano risultare particolarmente efficaci. Così sono stati rilevati, sia pure in termini sommari, i rapporti tra produzioni militari e debolezza di organizzazione commerciale, scarsità di imprese, medie e piccole, complementari e supplementari, instabilità di impiego e, conseguentemente, debolezza di industrie produttrici per il mercato di consumo locale, scarsa formazione di gruppi imprenditoriali e, analogamente, rapporti tra produzioni a ciclo continuo e possibilità di commesse all’esterno, tra specializzazione degli impianti delle maggiori imprese umbre e possibilità di produzioni locali e simili. Con altre parole, si è cercato di interpretare i fenomeni comunemente rilevati e lamentati come quello dell’isolamento, della scarsa imprenditorialità e simili. Naturalmente, i risultati di questa ricerca non devono essere considerati come completi ed esaurienti, sia per il carattere generale ed introduttivo della ricerca stessa, sia perché essi devono essere confrontati, in un unico insieme, con quelli di altre ricerche, principalmente di quelle sui trasporti, sul credito e sull’agricoltura; tenendo conto che ciascuna delle ricerche settoriali è stata svolta ai fini dell’elaborazione del Piano regionale. Gravi sono, in genere, le deficienze strutturali dell’industria mani- fatturiera umbra che, accumulatesi nel corso di diversi decenni dopo una forte diminuzione di attività a Terni al termine dell’ultima guerra, hanno preso rilievo con tutta la loro gravita, in questi ultimi dieci anni, proprio per lo sviluppo economico che l’Italia ha avuto con la fine delle esperienze autarchiche, delle produzioni militari e dell’isolamento dal mondo esterno e, quindi, con la valorizzazione, almeno sotto certi aspetti, dei rapporti di mercato. Sono venute meno, cioè, condizioni per le quali era stata adattata buona parte dell’attività manifatturiera umbra e sulla base delle quali era stato trovato un certo equilibrio interno. Ma ciò che ha costituito elemento di crisi per l’industria umbra ha agito favorevolmente per lo sviluppo industriale in altre regioni italiane. In questo senso, l’industria umbra e, quindi, l’economia umbra nel suo complesso, sono rimaste relativamente indietro rispetto a buona parte del resto del Paese e, soprattutto, rispetto alle sue regioni più sviluppate.

4. La disponibilità di mano d’opera per lo sviluppo industriale

In corrispondenza a contemporanee e profonde trasformazioni nel campo dell’agricoltura, si è venuto a creare nel corso di questo ultimo decennio, un forte squilibrio tra disponibilità di mano d’opera e occasioni di lavoro. Di qui una forte spinta all’emigrazione e la perdita in termini assoluti di popolazione per la prima volta nella storia della regione. Si ritiene, però, che si siano create anche le premesse per un mi- glioramento della situazione e per la creazione di un migliore equilibrio tra popolazione e risorse. Lo sviluppo economico implica sempre fenomeni di mobilità di popolazione all’interno e all’esterno delle singole regioni; ma, proprio per lo documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 353 sviluppo economico complessivo di un paese, nessuna regione può essere ridotta a condizioni subalterne che si traducono, in definitiva, nella fornitura di forza-lavoro attraverso emigrazione, o attraverso la fornitura di materie prime. Ciò comporta uno stato di inferiorità nel processo di accumulazione e di progresso, l’inaridimento delle capacità di iniziative locali e, quindi, una insoddisfacente utilizzazione delle risorse materiali ed umane, la perdita degli elementi umani più capaci e, in definitiva, un minore contributo allo sviluppo nazionale. L’esodo, che riflette situazioni di squilibrio e di insufficiente sviluppo dell’economia umbra, rivela nel contempo potenzialità di sviluppo della stessa economia. Infatti, ove l’esodo dovesse essere frenato, soprattutto in virtù degli interventi sull’agricoltura si determinerebbe nella regione umbra una disponibilità di mano d’opera di rilevante entità per lo sviluppo industriale. La organizzazione dell’agricoltura, proposta allo scopo di realizzare una soluzione di squilibrio socio-economico, porterà ad una eliminazione di mano d’opera in questo settore. Purtroppo non tutta questa mano d’opera può essere occupata in attività industriali per il relativamente elevato grado di invecchiamento della popolazione agricola, che in parte andrà ad aumentare il carico di inattivi per attivo occupato nell’industria; tuttavia una notevole riserva di mano d’opera per lo sviluppo industriale verrà a crearsi. Si tratta di mano d’opera che potrà essere con relativa facilità qualificata e che presenta caratteristiche favorevoli per una utilizzazione in altre attività. Anche la dinamica che si verificherà in alcuni settori dell’artigianale creerà disponibilità di mano d’opera per lo sviluppo di altri settori del- l’artigianato o dell’industria. Infatti mentre per certi settori dell’artigianato sarà inevitabile una contrazione di attività, per altri si renderà possibile e conveniente una riorganizzazione tecnico-economica, che potrà portare ad un aumento di occupazione. La valorizzazione della disponibilità di mano d’opera che si creerà in Umbria è legata anche alle prospettive di decentramento industriale da altre regioni, di cui si è detto nel precedente paragrafo 2. Occorre, in proposito, osservare che in altre regioni la espansione industriale, quando esige una cospicua immigrazione di mano d’opera, comporta costi sociali che il singolo imprenditore non sostiene, ma che la collettività, in una forma o nell’altra, con aggravi per alcune categorie piuttosto che per altre, deve sopportare. Infatti l’immigrazione di mano d’opera da altre regioni, accanto alle conseguenze di ordine sociale che genera, rende necessario l’apprestamento di alloggi e di infrastrutture, che rappresentano un costo addizionale, mentre non è detto che ciò che è lasciato nelle regioni di provenienza risulti valorizzato. La regione che perde popolazione attiva, poi, vede risolversi in un risultato nullo l’attività di istruzione e di formazione della mano d’opera che lascerà la regione.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 354 5. Le caratteristiche delle due provincie umbre e gli interventi sull’industria

E’ noto che un posto preminente nello sviluppo è occupato dalle attività manifatturiere per la loro capacità diretta di occupazione e di creazione di reddito e per l’influenza positiva che esse esercitano su tutte le altre forme di attività umana. Per quanto riguarda le attività manifatturiere in Umbria e ai fini della indicazione di possibili interventi è opportuno sottolineare le notevoli differenze che esistono tra le due provincie, sia pure nel quadro di un giudizio generale, quale è quello precedentemente espresso. Di queste differenze è necessario tener conto in un programma di sviluppo, anche se, ovviamente, delimitazioni amministrative, come quelle provinciali, hanno un valore limitato per la definizione di condizioni economiche e, quindi, umane. Le differenze appaiono più evidenti tra i due centri principali: Perugia e Terni, sui quali ci si è particolarmente intrattenuti. In genere, per la provincia di Perugia si può rilevare un maggiore peso delle iniziative locali per prodotti finiti destinati al mercato locale e a quello esterno. Produzioni militari iniziate in varie località della provincia hanno avuto sviluppo e morte rapidi, senza lasciare tracce permanenti nella struttura dell’industria manifatturiera della provincia. Ma anche per questa ragione la provincia di Perugia è più debole di quella di Terni come attrezzatura produttiva, malgrado lo sviluppo relativamente maggiore che essa ha avuto in termini di occupazione in questo ultimo decennio, proprio per le sue caratteristiche, che le hanno reso più facile l’inserimento, per alcune sue produzioni, nel processo di sviluppo nazionale., In posizione diversa si trova la provincia di Terni, o meglio il suo centro, congiuntamente considerato nei Comuni di Terni e di Narni, caratteristico produttore militare, subordinato a decisioni esterne. Anche con le nuove iniziative, tipicamente la «Polymer», e con le trasformazioni in corso, riguardanti principalmente la produzione siderurgica della «Terni», esso ha mantenuto la caratteristica di produttore di materie prime o di semilavorati destinati altrove ad altre lavorazioni, od usi industriali. Sono venute però meno le precedenti caratteristiche di produzione bellica e ciò apre prospettive completamente nuove per nuovi sviluppi. Maggiore è l’attrezzatura produttiva di Terni-Narni, ma molto minori sono le iniziative locali. In questo ultimo decennio, il polo ternano non ha registrato aumenti degni di nota nel numero di addetti alle attività manifatturiere, almeno in confronto a quelli relativamente notevoli registrati a Perugia. A Terni le attività manifatturiere sono assai più concentrate che a Perugia. Quest’ultima, anche come provincia, è più ricca di centri minori, con una certa varietà di prodotti. Gli interventi dovranno essere studiati ed articolati su questo stato di fatto. Si ritiene che potrebbero essere individuati due ordini di intervento: uno generico, valido cioè per tutte le industrie manifatturiere, e uno specifico, qualificato per singole iniziative e per singoli prodotti. In questa sede non ci si può che limitare ad indicazioni per le successive elaborazioni che avranno luogo in sede di redazione del piano regionale, attraverso un confronto anche con le indicazioni che perverranno dalle ricerche svolte negli altri settori. Genericamente, si ritiene dannosa, l’attuale situazione che permette documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 355 una grande varietà di comportamenti nei diversi comuni vanamente definiti come «montani», «depressi» e anche con leggi speciali (Assisi). Le facilitazioni attualmente fatte vanno dalla concessione di aree, attrezzate o non, a prezzo pieno, ridotto, o gratuitamente, ad esenzioni fiscali di vario genere (comunali e/o erariali) ed anche a contributi di vario genere, quasi sempre rapportati al numero degli addetti. Di fronte a casi di facilitazioni che si possono ritenere eccessive, esistono località o iniziative, prive di qualsiasi facilitazione. Questo aspetto del problema potrebbe essere oggetto di uno studio particolare, nel quadro degli interventi straordinari per le aree depresse. Si tratta, comunque, di un problema a carattere nazionale più che locale. Per il piano regionale si ritiene che l’intervento degli Enti pubblici dovrebbe avere principalmente luogo attraverso la concessione dei luoghi di lavoro urbanisticamente attrezzati e forniti anche delle fondamentali opere di muratura. Questo tipo di intervento dovrebbe essere concentrato nelle località ritenute particolarmente idonee all’industrializzazione; gli edifici industriali standardizzati dovrebbero essere costruiti «in anticipo» e, sia le aree sia gli edifici, dovrebbero essere concessi in affitto a canoni particolarmente favorevoli o anche gratuitamente, con contratti a lunga scadenza, proporzionati al periodo di ammortamento degli impianti di produzione. Si tratta di esaminare la compatibilità di una simile prassi con le esigenze attuali del nostro sistema creditizio, in rapporto alle garanzie generalmente richieste per prestiti a lunga scadenza; di esaminate quanto è stato fatto in questo campo in altre località italiane e con quali effetti; comunque, si ritiene che il sistema possa presentare particolari vantaggi venendo incontro ad esigenze di urgenza per iniziative locali ed esterne, spesse volte molto importanti per decisioni di investimento o di trasferimento. Inoltre, il sistema stesso non comporta il trasferimento di proprietà dall’Ente pubblico a privati. Si tralasciano considerazioni sugli effetti che l’adozione di un sistema simile, su basi anche più ampie di quelle strettamente regionali, potrebbe avere per una maggiore specializzazione e standardizzazione nella costruzione di edifici industriali e con una riduzione, quindi, di un’importante voce di costo degli investimenti. Questo problema dovrebbe essere oggetto di un particolare studio tecnico-economico e l’Umbria, traendo frutto dalla propria esperienza, potrebbe individuare in questo campo possibilità di iniziative industriali specializzate a proprio vantaggio e per quello di altre regioni italiane con problemi analoghi. In generale, si ritiene che lo sviluppo delle attività manifatturiere potrebbe trarre grande vantaggio da un’organizzata opera di consulenza e di assistenza, atta a trasferire a livello regionale conoscenze ed esperienze esterne, rompendo così l’isolamento attuale che costituisce una delle più gravi remore per nuove iniziative, o allo sviluppo di quelle esistenti, con un loro inserimento su un mercato più ampio di quello locale. Si ritiene che l’opera di consulenza e di assistenza debba fare parte di una iniziativa più ampia, combinata con la costituzione di un particolare istituto di finanziamento(5). In tal modo si potrebbe scendere ad aspetti specifici di intervento, particolarmente studiati, cioè per particolari iniziative con particolari localizzazioni e prodotti.

(5) Cfr. il Tomo I del Vol. XI della Collana: T. BIANCHI, Il mercato del credito in Umbria, Perugia 1966. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 356 6. - I problemi specifici di industrializzazione del ternano.

Particolari caratteristiche presenta come si è visto l’industria del ternano. Il complesso «Terni» ha esplicato e continuerà ad esplicare la funzione di impresa «motrice». Tre problemi dovranno essere risolti perché la «Terni» possa realizzare in pieno le sue prospettive di sviluppo:

A) II primo problema riguarda la conservazione delle sue produzioni siderurgiche alle nuove prospettive del mercato. I programmi per il 1965 di espansione della produzione di nastri magnetici (a 100 mila tonnellate) e di lamierini ed altri prodotti di acciaio inossidabile (a 30 mila tonnellate) costituiscono un promettente avvio a soluzione del problema. Si tratta di produzioni che potranno trovare largo impiego in attività le quali potranno convenientemente localizzarsi nelle zone dell’Italia Centrale per cui il loro potenziamento nella zona del Ternano potrà essere convenientemente assicurato. Questi programmi di produzioni speciali, insieme al fatto che la Società Terni è oggi inserita in un chiaro e definitivo programma della FINSIDER, fanno ritenere che oggi si possa considerare superato il periodo della instabilità della produzione e quindi dell’occupazione; con il che si aprono prospettive di maggiore stabilità e sicurezza per lo svilupparsi di altre attività sia all’interno della «Terni» sia complementari alla stessa.

B) II secondo problema riguarda il potenziamento delle vecchie attività e la loro integrazione con nuove attività allo scopo di assicurare lo sviluppo del complesso produttivo della «Terni» adeguato alle esigenze di crescita del complesso stesso e alle possibilità di prospettive di industrializzazione della regione. Questo secondo problema ha assunto particolare importanza dopo la nazionalizzazione delle attività elettriche della «Terni». Le prospettive di sviluppo della «Terni» potranno manifestarsi nel campo della industria siderurgica, in alcuni rami della meccanica e nel campo della chimica. Per quanto riguarda le prospettive nel campo della meccanica non si può non auspicare un maggiore coordinamento tra i programmi FINSIDER e FINMECCANICA che consenta all’industria meccanica di trarre il massimo vantaggio dai nuovi sviluppi dell’industria siderurgica specie nelle aree dell’Italia Centrale e dell’Italia Meridionale. Per quanto riguarda le prospettive dell’industria chimica non c’è dubbio che rebus sic stantibus questo settore non ha in Umbria prospettive tali da farne un’attività motrice di rilevante importanza. In proposito però occorre fare due ordini di considerazioni: 1) è diffusa l’impressione che il problema delle prospettive della industria chimica non sia stato finora affrontato a fondo dall’IRI forse per ragioni organizzative e di competenza; 2) le prospettive dell’industria chimica potranno essere notevolmente modificate se si abbandona l’ipotesi di rebus sic stantibus; ipotesi che andrebbe abbandonata per tre ordini di motivi: a) perché il processo economico italiano manifesta tendenze al decentramento che potranno modificare collocazioni di mercato e localizzazioni di stabilimenti; b) perché è da scontarsi un maggiore sviluppo dell’Italia meridionale, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 357 in relazione agli orientamenti della politica economica nazionale; il che potrà favorire la localizzazione di industrie produttrici di materie prime industriali nell’Italia Centrale, in favorevole collegamento sia con il nord che con il sud; c) perché ci si propone di creare in Umbria un insieme di condizioni atte a favorire il sorgere di imprese di piccole e medie dimensioni, che potranno utilizzare queste ed altre materie prime industriali come quelle della siderurgia.

C) II terzo problema riguarda la formazione di industrie complementari della «Terni», specie di quelle che dovranno procedere ad ulteriori lavorazioni dei semilavorati e dei prodotti chimici del complesso. Questo problema non interessa solo l’Umbria — è soprattutto attraverso lo sviluppo delle attività complementari che la funzione «motrice» della «Terni» potrà manifestarsi — ma interessa anche la «Terni» stessa in quanto potrà contribuire ad espandere, stabilizzare ed articolare il mercato locale del lavoro, a favorire formazioni urbanistiche sufficientemente integrate nelle quali potranno risiedere dei tecnici in misura sufficientemente elevata, a creare in definitiva un vero polo industriale che potrà giustificare anche nel quadro di prospettive di lungo periodo la localizzazione delle attività «Terni» in Umbria. Il terzo problema si collega ai due precedenti in quanto la conversione delle attività della «Terni» già avviata favorirà notevolmente il sorgere di industrie complementari mentre l’espansione di tutto il complesso — imposto anche dalla necessità di bilanciare lo scorporo delle attività elettriche — potrà consentire allo sviluppo delle attività complementari di provocare la formazione di un polo industriale adeguato. Non è inopportuno osservare in proposito che il problema dell’industria chimica ha dimensioni ed implicazioni più vaste in quanto, mentre nel nastro Paese si sono sviluppate notevolmente produzioni di materie prime industriali, ancora relativamente insufficiente è, salvo in qualche settore (automobili ad esempio), lo sviluppo di beni di consumo industriali che utilizzano tali materie prime. La pianificazione regionale — in quanto potrà favorire il coordina- mento dei programmi della «Terni» con quelli di industrializzazione mediante la formazione e lo sviluppo di piccole imprese, stimolati o addirittura indotti e finanziati da un istituto finanziario idoneo renderà possibile una razionale soluzione sia dei problemi di potenziamento del complesso «Terni» sia di quelli della formazione di adeguate industrie complementari. Potranno cosi, facilitate anche dalla riduzione di certi rischi, dalla consulenza tecnica e dall’apporto finanziario, sorgere piccole e medie imprese per la valorizzazione dei prodotti del ternano. La soluzione dei tre ordini dei problemi di cui sopra, aggravatisi in seguito allo scorporo delle attività elettriche potrà essere conseguita oltre che col reimpiego, per lo sviluppo dell’attività della «Terni» e per il potenziamento dell’industria complementare, degli indennizzi dovuti alla «Terni» stessa per lo scorporo delle attività elettriche, con la costituzione di un idoneo istituto finanziario per l’assistenza tecnica alle iniziative industriali.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 358 7. Le partecipazioni statali, lo sviluppo del ternano e la loro funzione nella soluzione dei problemi dell’economia umbra

In relazione anche a quanto prospettato nel paragrafo precedente, è evidente che per Terni non si potrà prescindere dal peso dominante esercitato dall’industria di Stato, dall’influenza che essa ha avuto ed ha nella formazione di attività manifatturiere esterne. Buona parte degli interventi dovranno proprio riguardare l’industria di Stato, il suo tipo di produzione e di destinazione, i suoi rapporti con le imprese collaterali e con l’ambiente nel suo insieme, comprendendo anche gli Enti pubblici per una migliore organizzazione del territorio. Buona parte di queste decisioni dovranno essere prese fuori della regione. Comunque, interventi per o sull’industria privata non avrebbero molto senso se lo Stato rinunciasse ad agire sull’industria, sulla quale ha potestà diretta, e dalla quale sono condizionate, sia pure in misura diversa, quasi tutte le altre. Per Terni la disponibilità di materie prime o di semilavorati prodotti dall’industria, siderurgica e chimica, costituisce indubbiamente, come si vedrà nel successivo paragrafo 8, un elemento favorevole per lo sviluppo di attività manifatturiere in campi diversi che dovranno essere individuati con studi specifici. Per Perugia, e per la sua provincia, in generale, si dovrà tener conto della situazione creata dalla presenza, sia pure in misura insufficiente, dell’iniziativa privata, della maggiore varietà di prodotti e dei rapporti di mercato più diretti ed anche relativamente più intensi che potrebbero essere facilitati, con opportuni interventi, in un tipo di economia mista quale è quella italiana Si ritiene in generale, che questa provincia possa essere particolarmente adatta allo sviluppo di attività manifatturiere produttrici di beni di consumo, o comunque di industrie, anche meccaniche, genericamente definibili come leggere, cioè produttrici anche di beni di investimento, ma con alto impiego di mano d’opera per peso e valore di prodotto finito. Per quanto riguarda la politica delle partecipazioni statali, in generale, appare indispensabile che l’IRI orienti consapevolmente i suoi programmi in modo da tener conto delle possibilità che si vengono a creare con la programmazione economica; questa esigenza si pone naturalmente non solo in relazione alla programmazione regionale umbra, ma in relazione alla programmazione economica nazionale e a quella di altre regioni. Essa dovrà essere consapevolmente avvertita anche per evitare che per superare programmi aziendali concepiti nell’ipotesi «rebus sic stantibus» o ritenuti insufficienti, l’autorità politica abbia in qualche modo ad entrare in conflitto con i tecnici ed imporre le proprie valutazioni, come è avvenuto in passato per il Centro Siderurgico di Taranto. Il fatto che successivamente, quando la dinamica del sistema si incaricò di superare le suddette ipotesi, la decisione politica si sia dimostrata economicamente razionale, non significa che questa procedura sia da auspicare. Appare preferibile un coordinamento tra gli organi che esaminano le prospettive che con la pianificazione si possano creare e i dirigenti di imprese a partecipazione statale. Appare giusta l’impostazione secondo la quale l’IRI dovrebbe occuparsi direttamente solo di quelle attività nazionali che per le loro caratteristiche dimensionali e strutturali possono efficacemente essere gestite da questo grande complesso. documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 359 Tuttavia va notato che l’interesse dell’IRI al potenziamento delle sue attività che richiedono un adeguato sviluppo di attività complementari a valle delle stesse e i compiti che le leggi hanno già assegnato alle imprese a partecipazione statale esigono che sia sviluppata, per vie indirette, una attività volta a favorire il sorgere anche di imprese di piccole e medie dimensioni. E’ questa esigenza che ha portato già a configurare la costruzione di enti finanziari come l’ISAP e che può giustificare anche la partecipazione ad enti finanziari che per la loro struttura possono portare un contributo decisivo all’attuazione della programmazione regionale senza rinunciare alle caratteristiche di ente imprenditoriale L’azione indiretta delle Aziende a partecipazione statale volta a favorire il sorgere di piccole e medie imprese appare proponibile anche dalle seguenti considerazioni: 1) molte piccole imprese che potrebbero valorizzare cospicue iniziative imprenditoriali locali, trovano un ostacolo nella mancanza di consulenza tecnica e commerciale in quanto in Italia sono ancora insufficientemente diffuse queste consulenze come attività professionale e la piccola impresa non ha la possibilità di svolgerle in proprio. Le imprese a partecipazione statale potrebbero fornire, con la loro partecipazione ad istituti finanziari, anche competenze tecnico-commerciali. 2) Molte piccole imprese si configurano tecnicamente come imprese satelliti di grandi imprese. La partecipazione delle grandi imprese agli enti finanziari che favoriscono il sorgere e lo sviluppo di queste piccole o medie imprese, in una visione generale degli interessi reciproci — che consente il superamento di forme di sfruttamento economico-finanziario — può essere utile sia alle piccole imprese in quanto ne rafforza la struttura e le prospettive, sia alle grandi imprese perché ne allarga il mercato e perché stabilizza le economie nelle quali esse sono inserite. La necessità di realizzare appieno le prospettive di sviluppo della «Terni» si configura anche in relazione ai conclamati obiettivi della programmazione nazionale, che debbono essere recepiti nella formulazione dei programmi delle imprese a partecipazione statale. Tra questi obiettivi particolare rilievo è stato sempre dato a quello di garantire il massimo sviluppo nelle regioni attualmente depresse o arretrate al fine di ridurre i movimenti migratori e di consentire il mantenimento di certi livelli di popolazione. In conclusione, quindi, in un contesto generale di lungo periodo gli obiettivi di sviluppo del gruppo «Terni» possono pienamente conciliarsi con le esigenze di espansione dell’economia umbra e ciò potrà avvenire purché si realizzino gli obiettivi della programmazione economica nazionale.. Allorché si saranno create le condizioni per l’avvio e la attuazione della pianificazione economica in Umbria dovranno realizzarsi opportuni studi in relazione anche alla vicinanza dell’Umbria ai vari mercati la possibilità di impiego dei nuovi prodotti siderurgici e degli altri prodotti che il gruppo renderà disponibili al fine di creare le premesse per quel coordinamento tra le attività del gruppo «Terni» e le attività complementari, sulle quali si fondano soprattutto le prospettive di sviluppo industriale della regione umbra.

documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 360 8. La disponibilità di prodotti semilavorati e di materie prime per lo sviluppo industriale

Uno dei fattori potenziali di sviluppo e per la localizzazione industriale nella regione umbra è costituito dalla disponibilità di materie prime. Occorre subito precisare che le connessioni con i mercati di sbocco, la disponibilità di servizi, le integrazioni che una sufficiente concentratone in poli razionalmente strutturati può consentire tra le attività industriali, rappresentano condizioni favorevoli allo sviluppo industriale, che possono assumere maggiore importanza per la disponibilità in loco di materie prime e di semilavorati. Le materie prime ed i semilavorati disponibili in Umbria si possono dividere in tre grandi categorie: a) semilavorati industriali; b) materie prime industriali; c) prodotti dell’agricoltura. Tra i semilavorati industriali particolare importanza assumono quelli dell’industria chimica e di quella siderurgica, per lo sviluppo di attività complementari. I prodotti dell’industria chimica costituiscono, infatti, le materie prime (vilpa, movil, meraklon, montivel, moplephan, perborato di sodio) per una vastissima gamma di produzione come fibre tessili (movil, meraklon), per tendaggi, rivestimenti, tovaglie e simili (viplan), per detergenti chimici (perborato di sodio), per avvolgimenti di cavi, fili e conduttori vari, e, in generale, come materiali di isolamento (montivel), per materiali di imballaggio (moplephan). Finora in tutti questi settori, certamente destinati ad ulteriori sviluppi, nessuna attività complementare autonoma è sorta a fianco delle industrie di base. Così per quanto riguarda i prodotti dell’industria siderurgica, essi costituiscono un favorevole fattore di sviluppo, nel senso che rappresentano le materie prime per attività complementari. Certe possibilità, ad esempio, nel campo della elettromeccanica, sono offerte dalla utilizzazione di lamierini magnetici in fase di sviluppo negli stabilimenti di «Terni», e dalle produzioni delle fucinature, fonderie e carpenterie; possibilità ancor maggiori saranno date dalle produzioni di acciaio inossidabile, che ha crescenti suscettibilità di impiego nel campo delle attrezzature industriali, nella produzione di beni di consumo durevoli e nella edilizia. C’è, infatti, da rilevare in proposito che questo materiale ha, in Italia, un impiego ancora ristretto; è infatti prodotto soltanto da alcune industrie del nord: materiale, peraltro, la cui lavorazione, lascia alti margini, date le produzioni di beni considerati di particolare pregio. Per i prodotti siderurgici, inoltre, le prospettive per il prossimo decennio presentano interessanti novità rispetto al passato. Come è già stato detto, la Soc. Terni sta specializzando le sue pro- duzioni: per il 1965 si prevede una produzione annua di 100.000 tonnellate di nastri magnetici e di circa 30.000 tonn. di lamierini e di altri prodotti di acciaio inossidabile. Si tratta di prodotti che possono essere assai più facilmente impiegati in attività locali, più precisamente nella produzione di beni di consumo industriale. Queste produzioni, allorquando venissero eliminati alcuni ostacoli generali allo sviluppo dell’economia Umbra, potrebbero favorevolmente insediarsi nelle zone industriali dell’Umbria, in posizione geografica fa- vorevole per la vendita sia ai fiorenti mercati del nord sia a quelli del sud, il documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 361 cui sviluppo sarà uno degli obiettivi della programmazione in Italia. Tra le più importanti materie prime disponibili in Umbria è la lignite, la cui utilizzazione, fino ad oggi, è avvenuta ed avviene per la produzione di energia termoelettrica. Sembra opportuno, al riguardo, suggerire che siano svolti studi per considerare le possibilità dell’impiego di tali risorse anche per produzioni chimiche — come in altri paesi avviene — che, a loro volta, verrebbero a rappresentare materie prime per altre produzioni industriali, e lo svilupparsi, pertanto, di altre iniziative.

9. II coordinamento degli incentivi

Una politica di sviluppo dovrà realizzarsi anche con una efficiente gestione degli incentivi. La legislazione vigente in Italia abbonda di leggi speciali che con- cedono particolari facilitazioni ad imprenditori che promuovono iniziative industriali di particolare tipo, in dati settori ed in date zone. Tale legislazione presenta non pochi aspetti negativi: a) II mancato coordinamento delle varie leggi emanate in tempi diversi per esigenze particolaristiche, a volte non giustificate nel più vasto quadro delle esigenze di sviluppo dell’economia italiana. Pertanto, mentre in alcuni casi la possibilità di ottenere incentivi in relazione a disposizioni legislative successivamente emanate e non coordinate può assicurare ai privati vantaggi superiori a quelli che appaiono giustificati dal beneficio ricavato dalla collettività, in altri casi gli incentivi sono insufficienti o inadeguati. b) la mancanza di piani economici (nazionali e regionali) a cui far riferimento per la concessione di tali incentivi. Gli incentivi, infatti, in molti casi, potrebbero avere effetti positivi solo se fossero concessi secondo le indicazioni di un piano che avesse valutato le prospettive di sviluppo di settori e di zone ed in collegamento con altre iniziative indispensabili per creare le necessarie condizioni ambientali. Per superare l’aspetto negativo di cui al punto b) dell’attuale politica di incentivi, e nella prospettiva della realizzazione della pianificazione economica, appare indispensabile stabilire che gli incentivi siano concessi solo se la richiesta appare in armonia alle esigenze ed alle prospettive di sviluppo industriale. L’orientamento della politica degli incentivi ed il coordinamento della stessa agli obiettivi di sviluppo economico della regione aumenterebbe in misura cospicua l’efficacia degli incentivi stessi. Disposizioni legislative o quanto meno una nuova prassi stabilita da tutti gli Enti che hanno la facoltà o il compito di concedere incentivi alle imprese umbre potrebbe consentire questo generale coordinamento. Gli incentivi dovranno essere concessi soprattutto nella forma di aiuti iniziali di avviamento a preferenza di aiuti continuati, ad un tasso di particolare favore (mai a fondo perduto) e sempre secondo le indicazioni generali e gli obiettivi posti con i piani economici (nazionale e regionale). Profondi mutamenti appaiono necessari nella struttura di certi incentivi, oggi concessi solo per le imprese che si insediano in particolari comuni. Perché questi incentivi abbiano a provocare un adeguato sviluppo industriale, documento scaricato dal sito http://isuc.crumbria.it 362 occorre che essi non siano stabiliti più o meno arbitrariamente scelti, ma concentrati in zone di intervento che, per l’attuale loro debole struttura industriale, esigano facilitazioni nella fase di avvio di un processo per il quale, peraltro, si può, in relazione all’impiego anche di altri strumenti di intervento, prospettare un sicuro avvenire. In questo quadro è auspicabile che, in sede di rinnovo della legislazione di intervento straordinario nel Mezzogiorno e nelle aree depresse dell’Italia settentrionale e centrale, si pervenga ad una unificazione della legislazione di intervento straordinario nelle zone depresse del Paese in armonia con le linee della programmazione economica nazionale e dei piani regionali, con una precisa individuazione, oltre che della tradizionale area di depressione del Mezzogiorno, anche delle aree depresse esterne al Mezzogiorno e con una idonea gradazione degli incentivi in relazione al grado di depressione delle varie zone, al fine di consentire il raggiungimento dell’obiettivo del superamento degli squilibri territoriali ancora esistenti.

10. Considerazioni conclusive

Per concludere, sembra utile ricordare che la maggiore ricchezza della regione, attualmente più scarsamente utilizzata e, quindi, relativamente esuberante, è costituita dall’elemento umano. L’uscita da una situazione economicamente subalterna comporterà una migliore utilizzazione della forza lavoro disponibile sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi, sia per iniziative a carattere privato, sia per quelle pubbliche. I migliori effetti saranno ottenuti da una combinazione dei due tipi di iniziative, in termini e in quantità che dovranno essere continuamente modificati in base ai risultati ottenuti, alle nuove esigenze, agli effetti, infine, provocati dal processo di sviluppo stesso.

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