“CARLO DÌ SALVO RAP” a Ricordo Dei Miei Genitori
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“CARLO DÌ SALVO RAP” A ricordo dei miei genitori: “ FRANCESCO PAOLO DÌ SALVO E SARA RAP “. E dedicato: “ Al mio FRANCESCO, affinché partecipi ai ricordi della gioventù del suo papà! “ “”” UN’EPOPEA UNICA E INDIMENTICABILE. “”” “” I RICORDI STRAORDINARI DÌ GIOVENTU’ VISSUTI TRA PALERMO E L’ERITREA. “” Nel libro: “ Nella DANCALIA ETIOPICA “ così scriveva l’esploratore Raimondo Franchetti in una lettera dedicata ai figli: “....Viaggiate, state più che potete vicino alla natura, al contatto del sole e della luce; il vostro carattere, i vostri pensieri risentiranno i benefici di queste tre magnifiche creazioni di Dio, perché purtroppo un giorno, e ve lo auguro il più tardi possibile, dovrete anche voi per necessità di cose frequentare quell’esistenza convenzionale a base di arrivismi mondani, dove non troverete che luci artificiose, buone per abbagliare i deboli. Ma allora voi sarete temprati, perché la vita del Sud vi avrà insegnato a distinguere ciò che è vero da ciò che è menzogna! “. ______________________________________________________________________________ Sono nato il 27 Luglio del 1933 a Palermo al N° 11 di via Houel, a pochi metri dal teatro Politeama Garibaldi e da piazza Castelnuovo. (foto 1- 2) In via Houel viveva tutta la famiglia dei nonni materni Eduardo Rap e Giovanna Rap, assieme ad essi vivevano anche uno zio e le zie nonché i miei cugini, figli della zia Rachele, che era rimasta vedova con i figli Franco Pampinella, Graziella, Elena e Giovanna. (foto ?) Il nonno Eduardo Rap Lancia di Marcatobianco era morto nel 1930 e mia mamma Sara Rap, lo zio Guido, la zia Rachele, lo zio Ciccio, la zia Maria ( soprannominata da me Lillì ), la zia Concettina (soprannominata da me Tittì ) e la nonna Giovanna portavano ancora il lutto, purtroppo in seguito anche la zia Rachele morì lasciando orfani in casa della nonna Giovanna i miei cugini Pampinella. Il caso volle che mio papà aveva un ufficio di rappresentanza di materiali per l’impermeabilizzazione di edifici in via Houel proprio sotto dove abitavano i Rap. Mio papà Francesco Paolo Di Salvo Sardofontana era allora un baldo giovane amante anche di motociclismo, possedeva una smagliante Gilera 500 e notò una signorina con i capelli lunghi raccolti a mò di “ tuppo” alla quale cominciò a fare una corte assidua andando su e giù con la moto, la signorina però malgrado questa assidua corte non cedeva di un millimetro. (foto gruppo Gilera) Un bel giorno mio papà spazientito, mise la moto sul marciapiede di traverso ed a braccia conserte attese che la signorina si fermasse e gli rivolgesse la parola, invece accadde che, giunta quasi di fronte al giovane, essa discese dal marciapiedi e tranquillamente passò oltre. Da quel momento cominciarono a giungere in casa Rap missive di un giovane innamorato indirizzate ad una signorina Rap dai lunghi capelli raccolti a tuppo. Fu così che nacque l’amore tra quei due giovani da cui poi sarei nato io. La famiglia Rap rimase in via Houel fino al 1934, quando per merito di mamma si decise di fabbricare, da un’ala delle vecchie concerie di proprietà, ormai in disuso, in via Cappuccini, un’ampia abitazione che avrebbe occupato l’ala confinante con la via Pindemonte. Attigua alla nuova costruzione era rimasta la parte rimanente delle grandi concerie formata da due ampie terrazze, la prima coperta dove si mettevano ad asciugare le pelli ed una seconda scoperta, alla quale si accedeva attraverso un cancello in ferro, in quest’ultima un pergolato d’uva saliva dal piano terreno sino sulla terrazza, queste terrazze erano diventate il campo di sfogo dei miei giochi. In casa della nonna Giovanna Rap, con gli zii e con le cugine ho vissuto la mia prima gioventù fino a sei anni e mezzo, dico con le cugine perché mio cugino Franco Pampinella non viveva più con noi in quanto era entrato all’Accademia Navale di Livorno da cui sarebbe uscito come Guardiamarina ed in seguito Sottotenente di Vascello nei sommergibili, veniva a trovarci solo nei brevi periodi di licenza. I ricordi di quel periodo, lontani peraltro perché sto per compiere il 71° anno, sono legati anche alle visite frequenti che facevo ai nonni paterni alla villa Sardofontana di Uditore. (foto 6) Ci alzavamo la mattina presto, al primo scalpiccio dei carretti siciliani che scendendo dalle campagne portavano i loro prodotti in città, angurie, fichi con la goccia, l’uva zibibbo, tanta frutta e poi melanzane, carciofi, peperoni, le buone lunghe zucchine bianche con i tenerumi e tante altre verdure per insalata; i carrettieri lungo la strada che da Monreale o da Altarello di Baida scendevano in città “abbannianno” i loro prodotti, mentre altri contadini venivano in città a piedi portando dei cestini pieni di gelsi che “abbanniavano” urlando: “ ast’ura v’arrifriscanu “. Ricordo che tutte le mattine d’estate, invece del latte, stando al balcone mamma mi faceva mangiare un grappolo di zibibbo con una mafalda calda appena sfornata che prendeva dal panificio di fronte all’ingresso del manicomio in via Pindemonte. Per andare a trovare i nonni paterni nonno Carlo e nonna Pina, con questa atmosfera mattutina, a piedi, ci avviavamo verso Uditore, che è una frazione di Palermo, dalla via Pindemonte in prossimità della chiesa dei cappuccini imboccavamo la via Cipressi che si percorreva sino ad una stradina sulla sinistra nota come “ i culunniedde “ in quanto ad un certo punto era interrotta da due colonnine poste in mezzo alla stradina per lasciare il passaggio solo ai pedoni, si faceva questo percorso in quanto si accorciava. Dopo avere percorso la via “Colonna Rotta” si sbucava in piazza Zisa, dove si erge appunto la mole del bellissimo palazzo della “ Zisa “, voluto dall’imperatore Guglielmo II° come sede estiva e costruito da maestranze arabe secondo i dettami dell’architettura fatimita a rappresentare il Paradiso Terrestre essendo circondato da giardini e ruscelli d’acqua, qui papà mi mostrava la bella fontana all’interno della costruzione decorata con mosaici in oro rappresentanti pavoni sotto palme e cacciatori, però mi colpiva sempre il particolare di una pittura posta sul soffitto nell’arco d’ingresso rappresentante alcuni diavoli, noti come “i 7 diavoli della Zisa “, il fatto strano era che nessuno mai riusciva a contarli. Dopo la sosta alla Zisa si passava per piazza P.pe di Camporeale, si percorreva la via Noce e quindi via Uditore, quando ero piccolo, mi racconta sempre la zia Tittì mi portava a piedi in braccio sino ad Uditore e mi teneva stretto per paura che mi rapissero. La villa “Sardofontana” confinava con via Uditore, il torrente Passo di Rigano e la via Nazario Sauro, parallela questa a via Uditore, quì vivevano nonno Carlo Di Salvo e nonna Giuseppina Sardofontana figlia del notaio Sardofontana, essi mi adoravano essendo io il loro unico nipote, il fratello di papà non aveva avuto figli dalla moglie, tutti i beni terrieri di Uditore provenivano appunto dal notaio “Sardofontana di Riela”. (foto 7) Il mio arrivo era per i nonni paterni una grande festa soprattutto per la nonna Pina che mi adorava, io dal canto mio in giardino mi davo alla pazza gioia a zappare ed a innaffiare, mi affascinava il momento in cui bisognava irrigare e fare giungere l’acqua alle piante di agrumi attraverso i solchi praticati nel terreno, dalla base di una “ Gebbia “, nella quale l’acqua veniva immessa da una pompa che l’aspirava da un pozzo, si apriva una saracinesca da cui sgorgava l’acqua che si incanalava nei solchi, essi venivano aperti e chiusi con una zappa secondo una antichissima usanza portata in Sicilia dalla cultura araba e vedere l’acqua scorrere ora in uno, ora in un altro solco, era per me come il fluire della linfa della vita verso una o l’altra pianta. Nel fondaco, al di là della via Uditore, avevamo una vasta piantagione di ulivi centenari che producevano uno squisito olio extra-vergine d’oliva, quando era il momento della raccolta delle olive vedo ancora i grandi teli posti sotto gli alberi, era davvero una grande festa, persino la nonna vestiva il tradizionale costume siciliano delle contadine di un tempo, ricordo ancora le grandi giare di terracotta che la nonna teneva in una cantina, erano alte quasi come una persona. Ricordo la disinfestazione di alcune piante di agrumi, mi colpiva perché molti alberi erano coperti da grandi teloni bianchi, alla base dei loro tronchi, dentro ad alcuni secchi, veniva gettata una sostanza chimica che emetteva un gas che uccideva i parassiti nocivi della pianta, vedere le piante coperte da quei teloni mi aveva talmente impressionato che ancora oggi li rivedo come se fosse accaduto ieri. Il nonno Carlo era stato un bravo cantante d’opera come baritono brillante, prima ancora era stato primo violoncello nell’orchestra del Teatro Massimo di Palermo, mi raccontava spesso vari episodi della vita operistica di Palermo a cui lui aveva assistito, uno di questi fu il “ Miseria Vostra “ che il famoso tenore Francesco Tamagno, durante la rappresentazione dell’ “Otello” di Verdi, lanciò ad un bis richiesto dal pubblico, ad esso seguirono i fischi, ed il tenore fu costretto dal direttore del teatro a chiedere scusa al pubblico; un altro episodio del Teatro Massimo raccontatomi dal nonno e che a me rimase impresso in modo particolare fu di un tenore che suo malgrado aveva una gobba ed era abbastanza bruttino per cui al suo apparire sulla scena dalla sala si alzò un diffuso mormorio, il tenore allora capì e rivolto al pubblico disse: “ Sono venuto per farmi ascoltare e non per farmi vedere “, appena iniziò a cantare fu tale la sua voce che dal pubblico scoppiò un fragoroso applauso e fu una vera apoteosi; il nonno amava i gatti e ne aveva molti, ricordo ancora qualche nome come “ Biscottino, Cirillina e Musetta “, preso quest’ultimo nome in prestito dalla “Boheme” di Puccini.