Il “Dopo Adua” Di Ferdinando Martini, Governatore Civile in Eritrea (1897-1907)
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Massimo Romandini IL “DOPO ADUA” DI FERDINANDO MARTINI, GOVERNATORE CIVILE IN ERITREA (1897-1907) In un mio articolo di diversi anni fa mi sono occupato delle reazioni di Ferdinando Martini al disastro di Adua 1, mettendo nello stesso tempo in evidenza gli avvenimenti, rivisitati attra- verso l’ottica del futuro governatore dell’Eritrea, che portarono all’istituzione del Governo Civi- le nella prima colonia italiana d’Africa 2. Si trattò, com’è facile capire, di un periodo estrema- mente complesso della politica africana dell’Italia del tempo culminata nella decisione, non facile né univoca, della nomina del Martini, già noto per la sua opposizione alle avventure co- loniali della prima ora, per la sua critica facile e sempre venata di ironia, per l’apprezzabile conoscenza delle situazioni storiche e degli elementi geografici dell’Eritrea e dell’Etiopia (do- te mancante a gran parte degli uomini politici italiani del tempo), per i suoi intelligenti inter- venti alla Camera, ma non del tutto contrario, dopo la sua partecipazione alla Regia Com- missione Parlamentare d’Inchiesta per lo scandalo Livraghi-Cagnassi in Eritrea3, ad una “ri- considerazione” delle sue primitive posizioni antiafricanistiche. Già all’indomani dello scontro di Dogali, tra le diverse reazioni parlamentari ai fatti che avevano portato a quel primo signifi- cativo insuccesso italiano in Africa, la voce del Martini si era fatta sentire in modo deciso. In un discorso del 2 giugno di quel 1887, il deputato di Monsummano aveva espresso con molta chiarezza i suoi personali convincimenti in fatto di politica coloniale, affermando che la re- sponsabilità dell’essere andati a Massaua era di tutti, che la dignità nazionale non era stata toccata dall’accaduto e non v’era nulla da salvaguardare, che nessuna missione civilizzatrice 1 Cfr. M. Romandini, Da Adua al governo civile in Eritrea nella considerazioni di Ferdinando Martini, in “Africa”, XXXVIII, 4 (dicembre 1983), pp. 628-646. Sullo stesso argomento, ma con un inquadramento storico-diplomatico più ampio, cfr. A. Acquarone, La politica coloniale italiana dopo Adua: Ferdinando Martini governatore in Eritrea, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, LXII (1975), III, pp. 346-377 e IV, pp. 449-483, poi ripubblicato in A. Ac- quarone, Dopo Adua: politica ed amministrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di L. De Cour- ten, Roma 1986, pp. 75-160. Interessante anche M.E. Calzini, Il “pensiero” coloniale di Ferdinando Martini at- traverso le lettere edite, in “Studi Piacentini”, 12 (1992), pp. 81-101. 2 Oltre ai già citati articoli della nota 1, cfr. M. Romandini, Ferdinando Martini ad Addis Abeba (15 giugno-28 lu- glio 1906), in “Miscellanea di Storia delle Esplorazioni, IX (1984), pp. 201, nota 2, per una sintesi dei problemi che il dopo Adua consegnò all’Eritrea. Sull’operato del Martini nella sua quasi decennale funzione di “Regio Commissario Civile Straordinario con rango e competenze di Governatore”, si vedano il sempre valido C. Zaghi, L’Africa nella coscienza europea e l’imperialismo italiano, Napoli 1973, pp. 307-321 e A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, pp. 751-776. Più dettagliato, e complessi- vamente più aperto alle varie problematiche politiche, amministrative ed economiche, A. Acquarone, Ferdinando Martini e l’amministrazione della Colonia Eritrea, in “Clio”, XIII (1977), 4, pp. 341-427. Si vedano anche le indica- zioni bibliografiche presenti in M. Romandini, Il problema dei tributi durante l’amministrazione Martini in Eritrea (1897-1907), in “Studi Piacentini”, 4 (1988), pp. 127-128, nota 1. 3 Sulla Commissione d’Inchiesta cfr. R. Battaglia, La prima guerra d’Africa, Torino 1958, pp. 459-478 (con i di- battiti parlamentari a cui essa dette origine). Il Rapporto della Commisione è in A. Bizzoni, L’Eritrea nel passato e nel presente, Milano 1897, pp. 238-251. Per una sintesi delle conclusioni, cfr. M. Romandini, Da Massaua ad Asmara: Ferdinando Martini in Eritrea nel 1891, in “La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX”, Vol. III, Tomo II, Napoli 1989, pp. 912, nota 3 (alla nota 2 notizie biografiche fondamentali sul Martini). Il Martini pubblicò, dopo il ritorno in Italia, uno dei suoi libri di maggiore successo, tuttora stimato il miglior prodot- to letterario della non ricca letteratura italiana a soggetto coloniale: si tratta del fortunato Nell’Affrica italiana (impressioni e ricordi), Milano 1891, riproposto poi in più edizioni anche illustrate. Giudicato dal Battaglia di “straordinaria vivacità e freschezza” ( cit., p. 481), è stato attentamente studiato da M. Tropea, Ferdinando Mar- tini, “Nell’Affrica italiana”, impressioni e ricordi di un toscano in colonia, in “Miscellanea di Storia delle Esplora- zioni”, IX (1984), pp. 71-105. 1 spettava all’Italia in Africa, che bisognava dire le cose come andavano dette: “Lasciate stare la civiltà, e dite le cose senza ipocrisia; dite che tutti gli stati di Europa fanno una politica colo- niale e che perciò la vogliamo fare anche noi: anche noi, perché in Italia allo stato che è gio- vane, il popolo che è vecchio impone tutte le impazienze, tutte le frette dell’individuo” 4. Nonostante Dogali e le contrastanti reazioni del Parlamento, l’Italia era rimasta in Eritrea ed aveva provveduto a rafforzare il suo dominio. Dopo la Commissione d’Inchiesta il Martini sembrò cedere alla tentazione colonialista, al punto che da più parti si parlò della sua “con- versione” , che fu almeno inizialmente solo un atteggiamento più benevolo verso le vicende africane e che si può cogliere, per quanto il Martini stesso lo negasse, nel suo invito a consi- derare meglio le condizioni economiche della colonia prima di una decisione definitiva (la- sciare o conservare l’Eritrea), nella sua convinzione che andata via l’Italia sarebbe giunta sul- le coste del Mar Rosso un’altra potenza e che si dovesse parlare meno e meglio: “Oggi le te- oriche vanno messe da parte: il fatto non si cancella. L’andare in Africa piacque nel 1885 a molti, a quasi tutti nel 1887 il restarvi, per tutela dell’onore nazionale [...] Avverso già a quell’impresa, per le molte ragioni che ho esposte, non sono un convertito: se fossi, lo con- fesserei senza vergogna [...] Io mi sento invece come, se mi è lecito un esempio, come uno il quale non mirò di buon occhio le nozze del fratello e non avrebbe voluto ch’ei pigliasse mo- glie e, se mai, non quella ch’ei prese, ma il giorno in cui a questo viene in mente di abbando- nare la donna un tempo desiderata, adempie il proprio dovere, ricordandogli ed enumeran- dogli i doveri suoi, dicendogli: “Bada, il tempo di pensare è passato, quello di pentirsi non c’è”. E sebbene contrario a quel passo, nondimeno, poiché fu fatto, né accusa per vendetta la cognata di difetti non veri, né tralascia per rancore di consigliare la nuova famiglia” 5. Dalla confusione delle più accese tornate parlamentari furono esenti ben pochi deputati, al punto che lo stesso Cavallotti, sempre nel giugno del 1887, giunse a criticare il discorso e le posizioni del Martini, offrendo il suo consenso al governo Rudinì “in vista di compiere in Afri- ca i doveri che le condizioni nostre e l’onore ci impongono” 6. La “nuova” posizione del Martini sulle faccende d’Africa7 trovò espressioni più chiare nell’intervento alla Camera del 20 marzo 1896 che merita di essere annotato in più punti. Da un lato, il Martini ribadì alcuni suoi vecchi concetti: “La storia della Colonia non può ancora scriversi nei suoi minuti particolari, ma le linee generali di questa storia si palesano oggimai ad ogni occhio veggente. Chi vorrà più tardi scriverla dovrà con giustizia dire che, senza il primo ministero dell’on. Crispi, la Colonia non si sarebbe estesa fino al Belesa e al Mareb; senza il primo ministero dell’on. Crispi e la marcia del generale Orero in Adua, che avvenne appunto in quel tempo, la Colonia non si sarebbe assettata in pace per molti anni; ma dovrà con pari giustizia dire che senza il secondo ministero Crispi, la Colonia non sarebbe stata di- strutta”. Dall’altro, il Martini incalzava con maggiore forza: “Come negare le imprevidenze quando, avvertendo noi nel dicembre scorso che le richieste del Governo erano insufficienti all’impresa che voleva condurre, egli si contentava di venti milioni e di seimila uomini? Ecco perché non possiamo unirci con l’onorevole Sonnino nel biasimare, come egli fa, il Ministero, 4 Su questo ampio e deciso discorso del Martini, cfr. M. Romandini, Reazioni parlamentari italiane allo scontro di Dogali, in “Quaderni di Studi Etiopici”, 3-4 (1982-83), pp. 55-59. Il discorso del 2 giugno 1887 è riportato inte- gralmente in F. Martini, Cose affricane (Da Saati ad Abba Carima), Milano 1897, pp. 5-20. 5 Martini, Nell’Affrica italiana, cit., p. 278 (la citazione è dall’edizione del 1935). Ma il Rainero non vede troppa coerenza nelle affermazioni del Martini, sottolineando che “ancora una volta l’opposizione ben costruita sul pia- no dell’eloquenza, non proseguiva sul piano delle idee se non in forma nebulosa ed incerta” (R. Rainero, L’anticolonialismo italiano da Assab ad Adua”, Milano 1971, pp. 169-170). 6 Rainero, cit., p. 170. Sulla cosiddetta “conversione” del Martini, cfr. Battaglia, cit., pp. 478-488. 7 Le pagine di Cose affricane, già citato alla nota 4, sono molto significative per quanto riguarda i commenti del Martini alle vicende della prima guerra d’Africa colte nel loro svolgimento (Amba Alagi, Makallé, Adua) e ai fatti intermedi che vi trovano interessante eco. 2 censurandolo di domandarci oggi troppo denaro. Noi siamo qui a lamentare con dolore inuti- le, che l’on. Sonnino non ce ne abbia chiesto di più nel dicembre passato.