Nostalgia Del Paese

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Nostalgia Del Paese Salvatore e Maria Giordano NOSTALGIA DEL PAESE Ricordi di migranti Web Edit SALVATORE GIORDANO, autore – insieme alla sorella MARIA - dei racconti qui raccolti, è nato in Sicilia, a Pietraperzia (EN), dove è vissuto fino all’età di vent’anni circa. Si è poi trasferito a Torino, città in cui vive, ora in pensione, dove ha esercitato la professione di maestro e successivamente quella di Dirigente Scolastico. Nota autobiografica Pochi anni della mia vita ho vissuto a Pietraperzia, rispetto a quelli ormai passati fuori dal mio paese, da quando lo lasciai per Torino. Ma, nonostante il radicamento nei costumi e nelle consuetudini della nuova realtà, gli impegni privati e pubblici, le nuove amicizie, gli anni trascorsi nella terra natale restano quelli fondativi di quello che sento di essere. Dalla nascita ai dodici anni, anni fondamentali, degli affetti e delle premure familiari, dei giochi, della strada, degli amici d’infanzia, della scuola; e quelli, importantissimi e non meno fondamentali dei primi, dai sedici al trasferimento, meno di un decennio, gli anni intensi delle amicizie più mature e profonde, dei ragionamenti seri, delle riflessioni che hanno indirizzato gli orientamenti e le scelte. Quegli anni, quei luoghi, quelle esperienze, quelle persone, anche se sono venute a mancare le occasioni di più frequenti contatti e comunicazioni, restano i punti fermi di riferimento della mia esistenza: basta un momento di riflessione su me stesso per constatare come immediatamente affiorino i caratteri e i segni della mia identità e della mia reale appartenenza. SALVATORE GIORDANO INTRODUZIONE AI RACCONTI di Salvatore Giordano Molti ricordi risvegliò in noi quel viaggio dell’estate 2005 a Pietraperzia dopo venticinque anni di assenza dal nostro paese. Rivedere persone e luoghi della nostra infanzia dopo tanto tempo, con occhi nuovi e nuovi parametri, fu motivo di varie sensazioni e di momenti di profonda commozione. Il racconto “Storia di una tovaglia d’altare”, di Maria, prende spunto dall’emozione da lei provata, mentre, Domenica 21 agosto, partecipavamo alla Messa al Santuario della Madonna della Cava, dall’aver riconosciuto, nella tovaglia che addobbava l’altare centrale della chiesa, un lavoro di ricamo che lei stessa aveva eseguito in età giovanile e che mai più si aspettava di trovare ancora. Da tale medesima condizione emotiva nacquero anche la sua poesia “Ritorno al mio paese” e la mia “Littra a lu me pajisi”, in dialetto, che inviammo alla Rivista <Pietraperzia>, organo della rinata “Accademia Cauloniana”, fondata un anno prima, che le pubblicò. Fu in seguito a tale circostanza che Maria mi passò una serie di appunti e di bozze di racconti contenuti in una cartellina, memoria di eventi ed esperienze della sua vita a Pietraperzia, che era venuta scrivendo per suo diletto, per conservarne ricordo. Le vicende narrate richiamavano alla mente luoghi, persone, episodi che avevano segnato la nostra esistenza in famiglia e in paese nel corso della nostra infanzia e della nostra adolescenza; pertanto costituivano patrimonio comune di esperienze e di affetti di tutta la nostra famiglia. Si trattava di rivederli, riordinarli, integrarli e raccoglierli in un unico libro. Anche questa era un’idea che a Maria piaceva realizzare. Così ci trovammo a mettere assieme i nostri ricordi, a precisare, ad ampliare e rielaborare il lavoro ed un certo numero di racconti uscì sulla Rivista PIETRAPERZIA. La raccolta è sempre in fieri; altro materiale resta da mettere a punto. MARIA GIORDANO Storia di una tovaglia d’altare di Maria Giordano Era il 21 di Agosto del 2005, la domenica successiva al ferragosto. In pochi minuti da Barrafranca eravamo giunti alla Cava. Considerata la rapidità con cui arrivammo, mi fu spontaneo e immediato ripensare alle condizioni in cui si svolgevano i pellegrinaggi parecchi anni addietro, quando le strade che dalla provinciale portano al Santuario erano piene di sabbia. Che fatica seguire la mamma con i piedi che sprofondavano e gli schizzi che pizzicavano le caviglie, mentre lei percorreva a piedi scalzi i cinquecento metri dell’ultimo tratto di strada, “per grazia ricevuta”! Sapevo che la zona era diventata luogo di villeggiatura e di soggiorno estivo di molti pietrini benestanti che si erano fatta costruire la casa in prossimità del santuario della Madonna della Cava; rimasi lo stesso sorpresa di vedere la chiesa gremita, anche se era domenica, tanto da non trovare posto all’interno. Perciò dovemmo rimanere tra la porta di ingresso e la ringhiera assieme alle mie sorelle, mio fratello, mio cognato Alessandro e ad alcuni altri fedeli. Eravamo arrivati in Sicilia qualche giorno prima , il 18 agosto, ed era già stato deciso che la domenica successiva saremmo andati a messa al Santuario della Cava. Ci eravamo informati dell’orario: avremmo assistito alla Messa delle ore 10 così da soddisfare l’obbligo domenicale e compiere un viaggio alla Madonna. Il luogo ci era molto caro per tradizione familiare, nonni e genitori ce lo avevano fatto conoscere e venerare fin dalla nostra infanzia. Celebrò la Messa Monsignor Bongiovanni , che, durante l’omelia, ebbe parole particolari per i fedeli venuti da fuori ai quali rivolse, con la consueta sua affabilità, un caloroso benvenuto. A fine Messa don Giovanni intonò il Salveregina in dialetto pietrino, seguito dal coro unanime di fervore e di entusiasmo di tutti i presenti. Non nascondo di essermi distratta per qualche momento durante la Messa, inseguendo il filo dei ricordi che si accavallavano, mentre guardavo gli altari laterali i quadri, gli addobbi, i banchi con i nomi dei benefattori. Quante cose erano cambiate! L’interno della chiesa non era più lo stesso per me che portavo impresse le immagini di altri arredi di altri addobbi…erano spariti i segni che testimoniavano la presenza costante e devota di nonno Pasquale. Chi sa da quanto tempo erano già stati sostituiti i tendaggi all’altare di S.Giuseppe che egli aveva fatto fare a sue spese. Uguale, immutabile, insostituibile, restava invece il dipinto della Vergine col Bambino sopra l’altare centrale, a sette secoli dal suo miracoloso ritrovamento, a segnare il tempo, a unificare nella visione di esso la continuità tra il passato, il presente, il futuro. Una cosa mi colpì in modo particolare facendomi venire i brividi: la tovaglia che copriva l’altare maggiore. ancora bella, ancora come nuova: possibile dopo tanti anni? Ero ancora molto giovane quando, insieme alla mamma, la confezionai e ne ricamai l’orlo. Ne ero rimasta orgogliosa allora; mi commosse molto ritrovarla ancora. Dopo la Messa don Giovanni ci raggiunse nello spiazzale del Santuario mentre stavamo salutando conoscenti e amici che avevamo avuto la sorpresa e la gioia di incontrare. Ci abbracciò con l’ abituale ed inconfondibile sorriso nel suo viso di eterno ragazzo e ci rinnovò il benvenuto unito ad un bonario rimprovero per i nostri venticinque anni di assenza. La nostra amicizia con monsignor Bongiovanni è un’amicizia di vecchia data, siamo nati e cresciuti nello stesso quartiere; lui era Gianninu di donna Pasqualina . Sua madre fu la sarta della nostra famiglia e,.grazie alla sua bravura, di un gran numero di famiglie pietrine: chi desiderava l’abito da sposa fatto da lei doveva prenotarsi in tempo. I periodi che precedevano la Pasqua e il ferragosto donna Pasqualina lavorava giorno e notte per rispettare le scadenze e appagare i desideri delle numerose clienti. Il suo atelier era frequentato da molte ragazze che, mentre aiutavano, apprendevano l’arte. Era una donna molto paziente, donna Pasqualina, non si adirava mai nemmeno con le clienti più fastidiose, e piena di fede in Dio: il sacerdozio del suo primogenito Giannino fu per lei un premio del Signore. Ricordai queste cose a don Giovanni mentre parlavamo facendolo commuovere. Tra l’altro portai il discorso sulla tovaglia che quel giorno addobbava l’altare maggiore. Gli dissi che mi era piaciuta e gli chiesi se ne conosceva l’origine. Mi spiegò che in effetti quella tovaglia era la più bella del corredo del santuario e che per mantenerla tale e farla durare nel tempo la adoperava soltanto per le feste solenni dedicate alla Madonna, per certi matrimoni e durante le domeniche delle ferie estive per rendere la chiesa più bella agli occhi dei pietrini emigrati devoti della Madonna, che tornavano in paese, e ai numerosi turisti. Circa l’origine aggiunse che più volte se l’era chiesto, ma che di quel paramento non conosceva la provenienza. Gli raccontai così l’origine di quella tovaglia che aveva interessato due continenti. Il tessuto, fine e prezioso, proveniva infatti dagli Stati Uniti, l’aveva portato, in uno dei suoi viaggi in Italia, la signora Anna Rindone Pace, nota in paese come Annuzza la santa . In età non più giovanissima, Annuzza si era sposata con il signor Filippo Pace, tornato dall’America dove era emigrato da giovane. Dopo tanto tempo egli aveva deciso di riabbracciare i fratelli, con i quali era rimasto sempre in contatto epistolare, e fare la conoscenza dei nipoti visti solo in fotografia. Ed essendo vedovo da parecchi anni aveva anche maturato l’idea di risposarsi al paese natio. In Italia giunse accompagnato da uno dei suoi due figli, Biagio, già in età di prendere moglie. Fu così che, durante il loro soggiorno a Pietraperzia, con due cerimonie nuziali a breve distanza l’una dall’altra, padre e figlio realizzarono quello che era nelle loro intenzioni già alla partenza dall’America: il padre portò all’altare la signorina Anna Rindone; il figlio sposò una bella sua cugina, e mia. Dopo un breve periodo di vita insieme, gli “americani” ripartirono da soli alla volta degli Stati Uniti per essere raggiunti dalle rispettive spose dopo circa sei mesi , tempo allora previsto dalla burocrazia per il rilascio del permesso di espatrio. La signora Anna Rindone Pace lasciava in Italia l’anziano padre e due sorelle, perciò spesso faceva ritorno al paese, trascorreva qualche mesetto con i suoi cari e faceva poi ritorno dal marito.
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