Letteratura E Arte Figurata Nella Magna Grecia
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LETTERATURA E ARTE FIGURATA NELLA MAGNA GRECIA ATTI DEL SESTO CONVEGNO DI STUDI SULLA MAGNA GRECIA TARANTO 9-13 OTTOBRE 1966 L’ARTE TIPOGRAFICA NAPOLI MCMLXVII Questo volume che raccoglie gli Atti del sesto convegno di studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto dal 9 al 13 ottobre 1966 è pubblicato col contributo del Centro di studi sulla Magna Grecia dell’Università di Napoli e dell’Ente provinciale per il turismo di Taranto. questo volume è dedicato alla memoria di Angelo Raffaele Cassano ARRICCHIMENTO DI TEMI E AMPLIAMENTO DI INTERESSI Anche questo sesto Convegno, del quale siamo lieti di presentare ora il volume degli Atti, ampliò come il precedente il campo del suo interesse al di là di quello strettamente archeologico, anche se pure in esso furono presenti le relazioni dei soprintendenti alle antichità sulle più importanti novità del territorio a loro rispettivamente affidato. Il Convegno, dedicato ai rapporti tra letteratura e arte figurata in Magna Grecia dai tempi omerici fino alla piena età classica, pose e prospettò i numerosi e importanti problemi che l’argomento ha suscitato e suscita tuttora fra gli studiosi, offrendo ovviamente materia ad ulteriori indagini e discussioni di cultori insieme della storia della letteratura e di quella dell’arte: i numerosi interventi nei dibattiti che seguirono alle relazioni di base danno già un’idea di quanto quelle discussioni potranno ancora essere feconde. Solo marginalmente connesso con il tema del Convegno, ma non del tutto estraneo allo spirito che anima i nostri incontri, si presenta il discorso inaugurale del prof. Sansone, che illustrando brillantemente l’opera nota del Cuoco: Platone in Italia, ci dimostra quali erano le idee sul classicismo greco ed italico nella Italia al principio dell’Ottocento. Ricche di notizie allettanti per la loro novità, in molti casi non venute meno anche se questi Atti vedono la luce ad una certa distanza di tempo, sono come sempre le relazioni dei Soprintendenti. Ma presentando questo volume la mente non può non rievocare come il sesto Convegno fu l’ultimo a cui fu ancora presente l’ing. Angelo Raffaele Cassano, che di questa iniziativa tarentina, dimostratasi così felice, fu uno dei più validi e determinanti promotori. Non è senza un profondo senso di dolore e insieme di viva gratitudine che noi vogliamo ricordare l’opera Sua, che al Suo nome e alla Sua memoria rimarrà costantemente legata. Con essa Egli si rese altamente benemerito della scienza, cui aprì nuovo campo di ricerca e di attività, e della Sua città, alta quale aggiunse nuovo onore e della quale riaffermò la rinnovata vitalità, anche al di là degli interessi puramente economici. PIETRO ROMANELLI Angelo Raffaele Cassano LA CONFERENZA INAUGURALE M. SANSONE ROMANZO ARCHEOLOGICO E STORICISMO NEL «PLATONE IN ITALIA» DI V. CUOCO* Nella storia così complessa, ma pure così armonica e limpida, dell’archeologia, si inserisce come episodio collaterale, ma non insignificante, la moda del romanzo archeologico, che venne in voga tra gli ultimi decenni del sec. XVIII (ma ha suoi precedenti sin dalla fine del sec. XVII) e i primissimi dell’800 e si spense poi (tranne le tarde continuazioni dei fossili della cultura, fenomeno consueto in ogni ramo del sapere) con l’età stessa a cui appartiene e di cui esprime alcune profonde aspirazioni ideali. È un breve episodio che non dette grandi frutti né nella nostra letteratura né in quella europea, eppure può segnare un punto di orientamento e di illuminazione sia nella storia dell’archeologia che in quella della letteratura. A chiarire simile significazione storica saranno rivolte queste mie, pagine, che non vogliono ritentare una valutazione letteraria, sia del romanzo archeologico in generale sia dello stesso Platone del Cuoco, né delineare (o procurare di delineare) una storia del * Questo scritto, nelle more della pubblicazione del presente volume, è apparsa negli Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Bari, XI (1966). «genere», cioè di questo tipo di composizione narrativa, indagini che sarebbero qui del tutto fuori luogo. Il romanzo archeologico si colloca in quell’età, la metà o, più precisamente, lo scorcio del sec. XVIII, nella quale si apriva in piena evidenza la crisi del razionalismo illuministico e in cui la sensibilità settecentesca si volgeva verso i termini, che si andavano chiarendo, del Romanticismo. È cioè prodromo ed espressione di quel momento della civiltà moderna che si dice del neo-classicismo e che va rivelando sempre meglio, attraverso gli studi contemporanei, la sua complessa funzione di tramite tra due diverse concezioni della realtà, tra due secoli, il Settecento e l’Ottocento, che già sembrarono al Manzoni l’un contro l’altro armati, e che invece la ingegnosa indagine storicistica dei moderni va ricomponendo in una linea di continuità, nella quale le fratture e le opposizioni si distendono in duttile svolgimento. Il romanzo archeologico si colloca cioè alle origini stesse delle nuove scienze storiche, e perciò, anche delle discipline archeologiche, quando esse si sviluppano dall’antiquaria rinascimentale e postrinascimentale e dalla stessa grande erudizione settecentesca, e si pongono come vere e proprie scienze ed acquistano la coscienza della loro validità ed autonomia: perciò esso è così ricco di presagi romantici e così penetrato, sia pure talvolta senza piena consapevolezza, del nuovo senso della storia. Il disegno dell’età romantica si va sempre meglio illuminando nei suoi valori e nelle sue conquiste essenziali,’ che sono nel nuovo senso dell’uomo e della storia. L’uomo non è più solo ragione e la sua aspirazione suprema non è più soltanto l’idealità contemplativa, non è più soltanto volontà illuminata e dominata. Lo spirito si va aprendo verso nuovi orizzonti affascinanti, pur se il cammino sia cosparso di abissi pericolosi: accanto alla ragione e alla volontà, 12 che avevano costituito tutto l’ambito della teorèsi dall’età greca all’Illuminismo, si poneva una terza facoltà: il sentimento, in cui va a confluire la sensiblerie settecentesca, e in cui si invera il messaggio fondamentale del Cristianesimo, che è lo spirito come amore. Si spiega così come il nuovo valore del sentimento si venga stranamente costituendo proprio durante l’ultima età del trionfo della Ragione, e sbocchi, ad esempio, in Rousseau, e si riconsacri storicamente in un’età così ricca di fermenti religiosi quale il Romanticismo. E se l’uomo e la sua aspirazione suprema non è più soltanto nelle lucide plaghe della ragione, la storia — è questo il più grande fatto dell’età moderna — non è più uno spettacolo sempre vario ma sopra una ferma ed identica prospettiva di valori e’ di interpretazioni, bensì un divenire continuo, una novità perpetua. Nasce il senso della storia come svolgimento e diacronia, e con esso il senso sconvolgente della nostra eterna originalità e responsabilità e il bisogno di una nuova logica che leghi dialetticamente passato e presente, l’eterno e il nuovo, il tempo e l’eternità, e un nuovo bisogno di intendere il passato e di evocarlo con una commossa pìetas di posteri che avvertono se stessi non come giudici o celebratori, ma come eredi e continuatori. L’antichissima e frusta sentenza dell’historia magistra vitae acquista un contenuto estremamente più complesso e nuovo, non come somma di esempi o di deduzioni parenetiche nel campo della politica e della morale e della vita pratica, ma come scavo dentro noi medesimi per cogliere la più segreta nostra natura e destinazione. Quali siano le origini di questa rivoluzione non spetta a me, specie in questa sede, illustrare, e del resto il processo è a voi certamente ben noto. Basti ricordare qui, perché preme al nostro discorso, che il senso della storia come svolgimento, provvidenza, 13 progresso, immaneva e oscuramente fermentava nel pensiero dei secoli precedenti, compresi quelli del Rinascimento (che appare invece per tanti aspetti l’antitesi del Romanticismo), e che esso trova il suo fondamento e le sue origini nella frattura della concezione statica ed armonica dell’universo medievale e nella intuizione dell’infinito, nell’asseverazione dell’infinità dei mondi e nella nuova scienza che va dalla fisica galileiana e newtoniana alla intuizione della materia come attività che è già in Spinoza e poi più splendente ed aperta in Leibniz. Ed è proprio dal senso dell’infinità e insieme continuità organica del reale che nasce il senso della storia come diacronia e svolgimento: tramonta definitivamente il platonismo e nasce attraverso Vico e il kantismo, l’idealismo moderno, e cioè, se si vuole, un nuovo platonismo, ma immerso nella storia, le cui idealità non sono eterne, fuori del tempo, sempre uguali a se stesse, ma eterne nella loro formalità e categorialità, si individuano e si fanno concrete nell’effettuale ritmo della storia. In questo senso — scusate la piccola irruzione in un campo che non mi pertiene — potrebbe sembrare che l’ultimo dei platonici, secondo la vecchia concezione che andava in pezzi, sia stato colui che tutti riconoscono come il grande iniziatore e maestro dell’archeologia moderna, e dell’archeologia come storia dell’arte antica, Giovanni Gioacchino Winckelmann. E certo sul piano di una pura interpretazione letterale — e parziale — della sua dottrina l’impressione e il giudizio si dimostrano fondamentalmente veritieri. Ma, a guardare più approfonditamente le cose, il platonismo winckelmaniano più che una dottrina è, come tutti sanno, un grandissimo mito che quell’eccelso ingegno convogliava e disponeva in forme dottrinarie. Scoperta la bellezza antica, egli accoglieva immediatamente tutta l’eredità plurisecolare della mitizzazione esemplare 15 dell’antichità, e innalzava quella bellezza nei cieli dell’eterno e del divino e la preservava da ogni contaminazione, soprattutto da quella della sua storicizzazione, che ne faceva una forma di bellezza, non la bellezza senz’altro. Era un platonismo già colmo di presagi moderni : l’idea dell’unità, indivisibilità ed eternità della bellezza e della sua origine divina nasceva dal bisogno di innalzare in plaghe sovrumane un particolare mondo di bellezza che egli aveva scoperto.