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Italian Bookshelf Italian Bookshelf www.ibiblio.org/annali Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the collaboration of Alessandro Grazi (Leibniz Institute of European History, Mainz) Monica Jansen (Department of Languages, Literature and Communication, Utrecht University), Enrico Minardi (School of International Letters and Cultures, Arizona State University) REVIEW ARTICLES Michelangelo Picone. Studi danteschi. Memoria del tempo. Collana di testi e studi medievali e rinascimentali diretta da Johannes Bartuschat e Stefano Prandi. A cura di Antonio Lanza. Premessa di Marcello Ciccuto, Presidente della Società Dantesca Italiana. Ravenna: Longo, 2017. Pp. 774. Il curatore di questa imponente raccolta degli scritti danteschi di Picone presenta l’autore come uno dei massimi studiosi di Dante dei nostri tempi, e il giudizio è non solo condividibile, ma addirittura estendibile ad altri potenziali volumi su Petrarca e Boccaccio ai quali Picone ha dedicato molte delle sue energie. Ma Dante rimane certamente il suo autore maggiore anche per motivi biografici. A lui Picone ha dedicato il suo primo libro, La vita nuova e la tradizione romanza, libro che contiene in nuce molti elementi su cui si svilupperanno i suoi studi dan- teschi, “inverandone” alcune premesse che, in quel libro seminale, erano intuite e/o sviluppate solo in parte. Il volume, già di per sé corposissimo, non include quel lavoro giovanile né altri studi su Dante come Percorsi della lirica duecentesca. 442 . ANNALI D’ITALIANISTICA 36 (2018) Dai Siciliani alla “Vita nuova” (Firenze, Cadmo, 203) che hanno trovato un’altra sistemazione, ma chi li conosce saluta questa raccolta come un vero evento, non solo perché commemora uno studioso scomparso mentre era nel pieno della sua attività intellettuale, ma ci offre un quadro completo degli sviluppi ai quali accennavamo. Alcuni di questi, a dire il vero, avrebbero potuto trovare anche loro una sede autonoma, come il gruppo dei saggi su Ovidio, e tuttavia raccolti ora insieme a tanti altri fanno capire meglio su che linea si sia mosso questo stra- ordinario dantista. Antonio Lanza, che ha curato il volume con la sua ben nota competenza e anche con l’affetto, forse meno noto ma certamente reale, che nutriva per Picone, introduce il volume con una Prefazione (7–12), seguìta da una Nota al testo (13–16) e Origine dei testi pubblicati (17–20). Lanza ci aiuta poi ad entrare nel libro dividendone i materiali in sei sezioni: 1a, Vita nova e Rime (9 saggi); 2a, Dante e la cultura classica e mediolatina (4 saggi, ma il secondo di questi ne comprende altri 8, tutti dedicati a Ovidio); 3a, Dante e la cultura francese e pro- venzale (6 saggi); 4a, Studi sulla Commedia (16 saggi); 5a, Studi di storia della critica dantesca (4 saggi); 6a, Studi sulle opere di dubbia attribuzione (Fiore e Detto d’Amore), con 4 saggi. Conclude il volume un dettagliato Indice degli autori e delle opere anonime (753–69). Ogni lettore capirà che non è possibile recensire in dettaglio una raccolta di ben 46 articoli, eterogenei nei temi e nelle occasioni che li hanno visti nascere: non ce lo consentirebbe lo spazio, né le nostre competenze sono comparabili a quelle di Picone che si muoveva con grande padronanza fra i classici latini, e conosceva benissimo la tradizione romanza, specialmente quella francese e quella provenzale. Tuttavia possiamo indicare almeno le linee generali su cui si è mosso Picone nei suoi studi. Ma se queste competenze richiamano la nostra attenzione per la vastità, più importante per noi è rilevare l’uso che Picone ne fa. In tutti i suoi lavori opera costantemente il metodo “tipologico” che indica un particolare uso della “intertestualità”. Quest’ultima nozione ha applicazioni varie fra le quali predominano quelle della ricerca delle fonti e dei topoi e quelle della tipologia o figuralismo, le prime nella versione di cui fu maestro E. R. Curtius, e la seconda di cui fu il grande teorizzatore e storico E. Auerbach: “Ciò che costituisce un monito a correggere sempre, nella nostra interpretazione della Commedia, la ‘topologia’ di Curtius con la ‘topologia’ di Auerbach” (192). Questa “tipologia” trova conferme inaspettate e a livelli diversi. Prendiamo ad esempio la sezione dedicata ad Ovidio che avrebbe potuto costituire un libro autonomo. La sezione consiste di otto saggi che differiscono dal consueto modo di vedere l’interstestualità perché Picone raffronta testi non per metterne in Italian Bookshelf . 443 evidenza similitudini e differenze bensì per stabilire un rapporto di prefigurato/ vero, in modo che il primo contenga verità implicite ma non realizzate, mentre il testo che ne dipende esplicita proprio quel vero che il testo di partenza aveva solo “in figura”. Picone applica questo figuralismo ai testi non biblici, e non lo limita a singoli episodi, ma lo estende a macrotesti. Ad esempio, Picone vede le Metamorfosi come un grande intertesto che soggiace “strutturalmente” alla Commedia la quale affabula una metamorfosi che porta un’anima peccaminosa a diventare un’anima salvata, un passaggio dal tempo all’eterno, dall’amore terreno all’amore celeste. È una tesi fortissima e assolutamente inedita, ma coraggiosis- sima e provata con un concerto di dati che giacevano davanti agli occhi di tutti ma che nessuno aveva mai visto in questo modo. Ovidio è il poeta dell’amore e dell’esilio, oltre che della metamorfosi, e Dante fa dell’amore e dell’esilio i temi capitali e cardinali della sua opera intera. Dante era l’esule pellegrino che nel poema assumeva anche il ruolo dell’Everyman che vive esiliato dal Paradiso ter- reste e che aspira a tornare al vero Paradiso, e vi sarà condotto da un amore orien- tato anch’esso nel senso dell’eternità. Ovidio, insomma, non è Virgilio; tuttavia la sua presenza nella Commedia sarà più sotterranea ma non meno importante. L’approccio tipologico porta Picone sui magnalia tematici della mitologia, della lingua, dell’arte e della storia nonché della politica. Sul mito torna ripetu- tamente e con grande originalità. Il materiale favoloso dei miti era stato rigettato dai primi Cristiani, ma il cristianesimo dei Dottori della Chiesa lo recupera in quanto portatore di verità cristiane sotto l’integumento della favola. Dante va oltre perché vede in alcuni miti un figuralismo personale, un precorrimento del viaggio che egli sta compiendo, un significare il proprio destino, per cui sa di agire alla luce di controfigure mitiche quali Icaro, Narciso, Orfeo, Ulisse e tanti altri personaggi. L’approccio tipologico porta a più riprese sui grandi temi dalle lingua e dell’arte. Quanto alla lingua, Dante si distingue dai grammatici e dagli artisti privi della consapevolezza che la lingua sia uno strumento di cono- scenza, di identità politica, un dono divino che racchiude il senso della missione assegnata da Dio all’uomo: la lingua è lo strumento della lode di Dio e quindi dipende dalla consapevolezza che l’uomo ha di questo dono. A sua volta questo tema si intreccia con quello dell’allegoria e dell’allegoresi, un altro aspetto dei magnalia della dantistica soprattutto americana. Anche questo è un argomento che Picone affronta ripetutamente e con aperture illuminanti, intanto senza la prevenzione dei lettori puramente estetici né senza il fanatismo di quelli che vedono in tutto allegorie e sovrasensi. Certo, l’allegoria è un modo della scrittura dantesca, ma va letto entro i parametri che egli stesso descrive nelle varie opere in cui tocca il problema. 444 . ANNALI D’ITALIANISTICA 36 (2018) Una sezione in cui la tipologia produce preziose letture è quella applicata alle letterature romanze d’oltralpe, sia occitanica che oitanica. Qui la sfida è diversa da quella presentata dal mondo classico, perché le letterature romanze sono legate alla mentalità cristiana. E qui Dante vede che esse hanno attinto un livello di “verità” (il vero fine della poesia, anche se questa si serve della fictio) ma sono rimaste ancora ad un livello che non porta a fondo la missione che l’artista deve seguire, che è quella di indicare e perseguire i valori celesti, gli unici che diano il senso supremo della vita. Tutta l’opera di Dante, insomma, si muove in un contesto di “intertestualità” in cui il fare artistico e la consapevolezza filoso- fica dello stesso sono sempre congiunti. Questi mi sembrano i punti portanti della dantistica di Picone. Che poi ogni saggio, sia esso una lectura Dantis tradizionale (ma poi di fatto poco tradizionale nel taglio e nell’approccio) o una ricerca filologica (accennerei solo en passant alle pagine brillanti e rivelatrici scritte sulle Derivationes di Uguccione da Pisa quale livre de chevet di Dante) o anche una recensione, come quelle dell’ultima sezione, non è un fatto che incida sulla qualità del lavoro: ovunque Picone metta la penna, questa stilla pagine avvincenti di grande finezza critica e di grande erudizione. Se l’intertestualità praticata da Picone richiede conoscenze vaste e pro- fonde, essa presuppone anche un senso storico solido. E Picone sa costruire contesti storici con pennellate che sanno cogliere l’essenziale di una cultura. Se questo esige che si ricorra ai testi di filosofi, Picone sa sfogliarli da maestro, mentre se si richiedono conoscenze di mitografi o di retori, egli sa muoversi con precisione, in modo essenziale. Ineccepibile è la sua informazione bibliografica. E rigoroso è il suo giudizio sulle posizioni o sulle tesi che gli sembrano cervello- tiche e in alcuni casi “aberranti”. Anche il suo maestro Contini, trattato sempre con il dovuto rispetto, viene contestato senza mezzi termini quando non gli pare che abbia visto bene, ad esempio nel caso della sestina dantesca “Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra” (63–68). Non si tratta di personalità “rugosa” ma di studioso “rigoroso” e onesto. Si potrà discutere se Michelangelo Picone sia il maggior dantista dei nostri tempi, ma egli è certamente il più avvincente.
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