Il Documentario in Africa Orientale Italiana (1935-1941)

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Il Documentario in Africa Orientale Italiana (1935-1941) Università degli Studi di Udine Dottorato di ricerca in Studi Audiovisivi: Cinema, Musica e Comunicazione Ciclo XXVIII Un Impero cinematografico - Il documentario in Africa Orientale Italiana (1935-1941) Supervisori Dottorando Prof. Francesco Pitassio Giuseppe Fidotta Prof. Simone Venturini ___________________ Anno Accademico 2014/15 INDICE Introduzione 5 1. Storia 15 1. Il documentario imperiale: spettacolo e mobilitazione 18 2. Stile “Luce”, stile imperiale 42 3. La sparizione dell’Impero: il documentario al servizio del modernismo politico 62 2. Geografia 83 1. I paesaggi del documentario imperiale 87 2. Lo spazio relazionale dei film di spedizione 114 3. La rinascita del territorio: vedute aeree, mappe animate e visione superiore astratta 131 3. Tecnologia 151 1. L’immaginazione tecnologica del documentario imperiale 155 2. Il cammino degli eroi; o, l’infrastruttura dell’Impero 174 3. Su suoni, soggetti e sublime: Cronache dell’Impero 192 Conclusioni 210 Bibliografia 216 3 Ai compagni di viaggio 4 INTRODUZIONE L’11 ottobre 1935 le più alte autorità dello Stato convennero in uno dei templi della cultura cinematografica europea per assistere alla prima di un documentario diretto da un fotografo specializzato in reportage africani. Soggetto del film sono i progressi che stavano sconvolgendo l’Etiopia, un paese con una cultura millenaria fortuitamente scampato dalla scrumble for Africa di fine Ottocento che di colpo o quasi si ritrovò al centro del vortice della modernità. Per raccontare in maniera efficace e coinvolgente l’inarrestabile ascesa etiopica verso la “civiltà”, il film si concentra sugli aspetti che avrebbero potuto conquistare le simpatie di una platea di tendenze nazionaliste e militariste: un esercito efficiente, l’ammodernamento del centro storico della capitale, l’educazione militare della gioventù indigena, l’organizzazione delle attività commerciali, le celebrazioni in onore delle autorità civili e religiose, e scuole, caserme, ospedali e ambasciate. Frequenti scene di massa fanno dell’ordine e della disciplina dei gruppi civili e militari la metafora di una società ordinata e disciplinata a tutti i livelli. Piccoli episodi di vita quotidiana restituiscono il senso di un processo storico che investe ogni frangia della società: una borghese occidentale gioca a ping pong con una nobile indigena, alcuni taxi accolgono un gruppo di viaggiatori fuori dalla stazione di Addis Abeba, un alto dignitario abissino indossa dei vistosi occhiali da sole, una delegazione diplomatica in attesa di fronte all’Hotel Europe, i palazzi del potere esibiscono i propri interni sontuosissimi. Alla vivacità dei toni e all’accuratezza dei contenuti si combinano qualità espressive che nel complesso rendono il film straordinario. Straordinario è che nessuna storia del documentario ne riporti il titolo e che persino nell’ampia letteratura scientifica riguardante la casa di produzione non si trova che qualche sparuta menzione. Un passo indietro. Oggetto di questo elaborato è la produzione documentaria realizzata in Africa Orientale Italiana durante la seconda metà degli anni Trenta a opera dell’ente che al tempo deteneva il monopolio dell’informazione e della propaganda a mezzo cinema, l’Istituto Luce. Sul fronte africano un gruppo tanto compatto quanto eterogeneo, il Reparto Foto-cinematografico per l’Africa Orientale, ebbe per obiettivo principale quello di raccontare la guerra che contrappose l’Italia e l’Etiopia e in seguito, una volta destituito l’impero abissino, l’opera del Regime nelle colonie. Per soddisfare le esigenze propagandistiche del Regime, il Luce elaborò un modello che 5 conteneva in essenza i caratteri, i temi e le forme che il fascismo voleva fossero associati all’idea di Impero. Il documentario imperiale fu sviluppato a partire da due progetti paralleli, ugualmente ambiziosi: dare visibilità e sostanza al processo di modernizzazione coloniale e alimentare nel popolo italiano la propria “coscienza imperiale”. Essendo un modello, e non un sottogenere o un corpus tematico, esso fornì agli uomini del Luce un insieme di soluzioni (tecniche, espressive, retoriche, formali, ecc.) efficaci sia sul piano della rappresentazione che su quello degli effetti ideologici e propagandistici. Ciononostante, proprio perché si trattò di un modello che rispondeva a esigenze concrete, a volte persino occasionali, e che fu elaborato per tentativi e convenienze, esso risulta anche profondamente instabile, come d’altronde erano anche gli oggetti a cui tentò di dare forma. Di film che incarnarono tutti i tratti del documentario imperiale, insomma, non ve ne furono. Se non fosse stato per un dettaglio non del tutto trascurabile, l’esemplare più “puro” di documentario imperiale sarebbe potuto essere quello da cui si sono prese le mosse, tanto è evoluta in quello la corrispondenza tra soluzioni tecniche, espressive, retoriche, formali, ecc. associabili alla modernità e la rappresentazione degli effetti dei processi di modernizzazione. Non meno avanzato, inoltre, risulta essere il film in rapporto alle esigenze politiche e ideologiche a cui fu chiamato a dare conto, ragione per la quale è legittimo immaginarne il successo rispetto agli obiettivi propagandistici che si poneva. Il dettaglio, tuttavia, è che le prime armate italiane entrarono ad Addis Abeba soltanto nel maggio del 1936, quasi un anno dopo la realizzazione del film. La modernizzazione che si illustra con tanta enfasi non è quindi il frutto della mente mussoliniana, ma la volontà del governo di quel Hailé Selassié che la propaganda fascista dipingeva come un debosciato.ottuso e crudele. La sala cinematografica in cui si è esordito era l’UFA-Palast am Zoo di Berlino e le alte autorità tedesche, come pure gran parte degli occidentali presenti nelle scene descritte. Abessinien von Heute. Blickpunkt der Welt (Abissinia oggi. Punto di vista sul mondo, Martin Rikli, 1935) fu uno dei film realizzati nel biennio 1934-1935 dalla casa di produzione UFA all’interno di un progetto propagandistico più ampio mirante a delegittimare l’impresa fascista in Africa orientale agli occhi dell’opinione pubblica tedesca e non solo.1 Il punto che questa campagna intendeva dimostrare era tutto sommato elementare: Selassié, salito al trono con il titolo di Negus Neghesti (“re dei re”, discendente diretto della regina di Saba) nel 1930, aveva condotto il millenario Impero abissino alla civiltà nella sua espressione più pura (che per gli autori del film 1 Cfr. Boguslaw Drewniak, Der Deutsche Film 1938-1945: ein Gesamtüberblick, Droste, Dusseldorf 1987, pp. 293-299. 6 significava occidentale e moderna), e questa opera mirabilissima rischiava di essere spazzata via da una guerra rapace e sanguinosa. Per un elaborato sul documentario imperiale fascista prendere le mosse da un film tedesco che contiene tutti gli elementi che il primo tentò di elaborare senza mai giungere a un livello comparabile di coerenza, efficacia e profondità non è un esercizio di ironia o di retorica. Al contrario, questa scelta consente di mettere in luce un presupposto alla base delle tesi che verranno esposte in seguito: la natura tendenziosa, contingente e strumentale del documentario imperiale, e più in genere di ogni forma di propaganda politica. D’altronde, è quanto lamenta a proposito di quel film una cronaca cinematografica dell’epoca, in cui si afferma che “la Ufa, tempo fa, ha proiettato un film di ambiente etiopico realizzato dal giornalista svizzero dr. Rikli, film che mostra una sola espressione dell’Abissinia […] quella, in breve, che al Negus piacque di far cadere sotto il fuoco degli obiettivi. Vogliamo dire: un film parziale. Ossia, per essere esatti, una porzione del tutto”2. Sulle stesse pagine, pochi mesi dopo, film altrettanto colpevoli di mostrare una sola espressione dell’Abissinia (ma anche della guerra, della colonizzazione e dell’Impero) non trovarono certamente un trattamento simile. La tendenziosità, dopotutto, è ovvia. Ma Abessinien von Heute non è un monito all’analista che ribadisce quanto sia salutare, se non doverosa, un’attitudine diffidente verso la presunta oggettività documentaria. Prima ancora, esso è un invito a penetrare le logiche della propaganda politica a partire dalla loro indiscutibile razionalità, dal dovere di istituire corrispondenze tanto fitte quanto dialettiche tra esigenze politiche e istituzionali, realtà storiche e rappresentazioni che, se interrogate senza la dovuta attenzione per i contesti specifici, risulterebbero insensate. Anche la funzionalità, dopotutto, è ovvia, e lo è pure la contingenza nella misura in cui si associa il documentario all’attualità, come è d’obbligo fare nel caso della propaganda politica. Altrimenti, come mai potrebbe spiegarsi che il film che sposò con più vigore quella che qualche decennio dopo si sarebbe detta “la causa dei popoli negri” fu realizzato dalla Germania nazista? La domanda che dovrebbe muovere lo storico, nel caso specifico in questione, allora diventa: quali interessi avrebbe potuto avere la Germania nello screditare l’impresa coloniale italiana?3 2 An., “Un nuovo documentario sull’Abissinia”, Cinema Illustrazione, vol. 8, n. 49, 1935, p. 36. 3 In estrema sintesi: nonostante il legame elettivo tra i due regimi e quello personale tra i due capi, il governo del Fuhrer sperò che una guerra di lunga durata avrebbe distolto i favori dell’Inghilterra dal duce e indebolito la protezione militare e politica che il regime fascista garantiva all’Austria. Inoltre, Hitler utilizzò la crisi etiopica per dare voce alle ambizioni coloniali tedesche (supportate
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