Prodotti. Automobili e veicoli Valentina Fava

Agosto 2008 Testo per Storiaindustria.it

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1. Gli esordi della produzione automobilistica italiana: i pionieri

Il prodotto automobilistico italiano degli esordi si contraddistingue per l’estrema varietà di tipi e modelli che rispecchia la vivacità di un settore industriale appena nato ma già popolato da una molteplicità di piccole ma attivissime imprese concentrate per lo più nell’area dei capoluoghi lombardo e piemontese. Le prime automobili di costruzione italiana comparvero all’esposizione Nazionale di Torino del 1898. Accanto alle vetturette Bernardi della Miari e Giusti e ai tricicli della Prinetti & Stucchi entrambe di Padova, vi erano diversi prodotti frutto dell’attività di costruttori attivi nell’area torinese: le Daimler dell’ingegner Federman, le automobili con motori brevettati da Michele Lanza costruite dalle officine Martina di Torino e, infine, le vetture di Luigi Carrera con motori a benzina a ½ e 3HP. Vi era quindi una serie di carrozzieri e officine che costruivano veicoli su ordinazione montando l’allestimento sui telai motorizzati a seconda delle esigenze del cliente, quali i torinesi Marcello Alessio, Locati & Torretta e Rothschild. Si trattava per lo più di produttori che creavano prodotti arditi e originali che piacevano a damerini e giovin signori amanti del pericolo oppure di ex “carrozzieri” che si confrontavano con il nuovo simbolo di modernità producendo grandi vetture da turismo destinate a essere condotte da chaffeur in livrea, quali quelle della di Milano.

2. La belle époque e gli anni Dieci: esportazioni e manifestazioni sportive

La doppia anima delle prime vetture italiane, un po’ giocattoli per amatori benestanti, un po’ impegnativi status symbol, si trova già nella 16/20 della di Torino, prodotta nel 1909-1910 e nella Laundalet Limousine con motore 40 HP prodotta dal 1907 negli stabilimenti di Sestri Ponente (Ge) della San Giorgio. Le vere protagoniste della belle époque furono però le automobili dei : in primo luogo, la quattro cilindri della torinese che, nel 1907, vinse la Parigi Pechino percorrendo 16 mila chilometri in 44 giorni o nella 25/35 HP della S.c.a.t. (Società Ceirano Automobili Torino) che si contraddistinse nelle edizioni del 1911, 1912 e 1914 della . La fecondità dell’industria del’auto torinese non si esaurì inoltre nelle pur molteplici attività imprenditoriali riconducibili alla famiglia Ceirano (Itala, Junior, Rapid, S.c.a.t., S.p.a.): sempre a Torino, furono prodotte altre vetture che avrebbero fatto la storia dell’automobilismo italiano, quali le Aquila Italiana, le vetturette Temperino o, negli anni Venti, la sportiva . Infine, i successi nelle manifestazioni sportive di quest’ultima e delle vetture della milanese contribuirono alla celebrità di cui il prodotto automobilistico italiano godette soprattutto all’estero. L’automobile italiana dell’epoca era destinata all’esportazione: il mercato interno era, infatti, assai ristretto: in parte per i costi d’acquisto e le alte spese di esercizio; in parte, per la forte tassazione che toccava beni considerati di lusso e non necessari.

3. Il prodotto automobilistico italiano: prodotto di élite in tutti i sensi

L’automobile italiana del primo ventennio del ‘900 era un prodotto di élite sotto ogni profilo: essa era oggetto di avanguardia che materializzava le frontiere del progresso tecnico e della modernità; la bottega di via Ormea a Torino o la fabbrica dell’ al Portello di Milano erano vere e proprie enclaves di perizia tecnica e iniziativa imprenditoriale oltre che di patrimonio professionale: accanto ad imprenditori usciti da circoli nobiliari o piste di velocità lavorava una

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manodopera altrettanto élitaria, fiera dei propri attrezzi e consapevole dell’indispensabilità del proprio mestiere.

4. La crisi della piccola ma solida industria: il dopoguerra e gli anni Venti

La crisi del 1907 e le difficoltà della riconversione della I Guerra Mondiale portarono a una razionalizzazione e selezione delle imprese attive nel settore, a una relativa riduzione dei modelli e a un aumento dei volumi produttivi per ciascuna impresa. Il periodo della “molteplicità e varietà”, della “piccola ma solida industria” volgeva al tramonto: automobili quali la raffinata vettura medio leggera Torpedo 4 C (1922) dell’Ansaldo di Genova o la Tipo 24 e 24S 40 hp (1920-1926) della S.p.a. di Torino furono il canto del cigno di una produzione effimera anche se di grande prestigio. Si era alla vigilia di un cambiamento epocale nelle caratteristiche tecnologiche, dei metodi produttivi, del significato sociale del prodotto automobilistico. Il modello zero della di Torino, presentato al salone di Parigi nel 1912, aveva cilindrata decisamente inferiore rispetto alle altre automobili e fu la prima vettura italiana costruita in serie con l’utilizzo della catena di montaggio. Non si trattava ancora di una “vettura economica popolare” ma segnava un primo passo verso traguardi che sarebbero stati raggiunti quarant’anni più tardi. Il panorama automobilistico italiano negli anni Venti si polarizzò attorno ai modelli Fiat e Lancia che rappresentavano due modi diversi e complementari di vivere e progettare l’automobile: la Fiat si avviava in modo deciso verso la ricerca di un prodotto automobilistico “per tutti” frutto dell’adattamento alla realtà italiana dei metodi fordisti che aveva potuto osservare nei suoi ripetuti viaggi americani; dall’altra Vincenzo Lancia coglieva e rielaborava l’eredità delle imprese di nicchia torinesi puntando su automobili eccellenti dal punto di vista tecnico che, senza essere “vetturette da corsa” né “carrozze con motore”, fossero destinate alla fascia di mercato italiano medio-alta e a un pubblico di intenditori. Se già la Theta della Lancia di Torino, prodotta nel 1912-13, rappresentava un punto di arrivo per la casa che ambiva a realizzare un prodotto pratico e versatile ma raffinato nelle finiture e nella carrozzeria, la ben più innovativa Lambda inaugurò la filosofia progettuale che rese celebre la casa torinese: la concentrazione di due o più elementi strutturali o meccanici sotto la stessa unità di gruppo con funzioni sinergiche.

5. Lancia: dall’eleganza formale al primato tecnico

Negli anni Venti e Trenta, proprio il carattere innovativo rese le vetture Lancia automobili per eccellenza della buona borghesia italiana che non disdegnava affatto sofisticate e “colte” discussioni di “automobilismo”. Si affermò la figura del “lancista” che enumerava oltre ai membri della scuderia e i piloti Brivio, Nuvolari e Chiron anche Galeazzo Ciano e lo stesso re. Simbolo di questo nuovo traguardo fu l’Aprilia, presentata a Parigi nel 1932. Nonostante l’eccezionalità tecnica della sperimentazione Lancia, la storia dell’automobilismo italiano associa fasti e miserie del regime fascista alla passione di Mussolini per le Alfa Romeo e al controverso rapporto del Duce con la “grande fabbrica” Fiat, con Giovanni Agnelli e con i suoi lavoratori.

6. Il fascismo e la guerra totale

Gli effetti della politica del regime si riflessero, insieme alla crisi del 1929, sulla società e sull’economia italiana e di conseguenza sulla concezione, sulla produzione e sull’uso del prodotto automobilistico. Quest’ultimo smise di essere merce di esportazione per eccellenza: la crisi del

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1929 penalizzò le esportazioni italiane inducendo a guardare alle potenzialità del mercato interno. In questi anni, si passò dalle 31.466 unità circolanti sulle strade italiane nel 1920 alle 290.174 unità del 1939. Artefici di questa prima, parziale motorizzazione del paese furono due vetture Fiat: l’“ultrautilitaria” 508 Balilla, del 1932, e la ancor più popolare Topolino, del 1936. In realtà, l’automobile rimase fino al secondo dopoguerra un “sogno di lusso, di velocità e potenza” per la maggior parte degli italiani nonostante la propaganda fascista che esaltandone il carattere “di massa”, amplificava il benessere raggiunto dalla popolazione italiana nel Ventennio. Essa iniziò a divenire accessibile solo alla media borghesia impiegatizia ma il sogno di Ford di un automobile per ogni famiglia era lontano e il potere d’acquisto delle masse lavoratrici italiane ancora molto basso. Mancava, infine, il prodotto necessario per sfondare la barriera di un automobilismo ancora di élite.

7. Il periodo del miracolo italiano e della motorizzazione di massa

Fu solo nel 1964 che l’Italia entrò nel novero dei paesi motorizzati, quando le automobili circolanti raggiunsero i 4.674.000 e il ritmo di incremento annuo della motorizzazione toccò il 20,7%. A motorizzare l’Italia fu certamente lo straordinario periodo di crescita economica noto come “miracolo italiano”, ma non secondario fu il lancio della prima vera utilitaria italiana la Fiat 600, presentata al salone di Ginevra il 10 marzo 1955. La 600 fu al contempo elemento di consenso e stabilità sociale e stimolo alla ripresa dei consumi. Fu inoltre il frutto di uno straordinario e costoso rinnovamento impiantistico e tecnologico, dell’introduzione massiccia di macchine transfer e processi di automazione, che fece della fabbrica torinese di Mirafiori un punto di arrivo del fordismo italiano. Al momento della sua uscita di serie nel 1969, la 600 fu la prima automobile nella storia italiana ad essere stata prodotta in oltre un milione di esemplari. Fu ancora la 600 a inaugurare il passaggio a una nuova logica di prodotto automobilistico: una volta superata l’esigenza dell’automobile per tutti e tutta uguale, si ridusse l’importanza dell’innovazione tecnologica e aumentò la cura per le “varianti”. Si trattava di realizzare, da un lato, modelli leggermente diversi per ciascuna impresa; dall’altro, di differenziare il medesimo modello, tramite un continuo restyling, ampliando la scelta nei colori della vernice, nella cilindrata o aumentando gli spazi: la 600 uscirà in versione familiare, l’originalissima Multipla, la Nuova 500, entrata in produzione nel 1957, sarà dotata di tetto apribile e di una versione giardinetta, che per aumentare lo spazio interno nel posteriore fu dotata di motore a sogliola.

8. Dalla produzione di nicchia alla produzione in serie: il prodotto automobilistico per i segmenti medio alti

Se la maggioranza degli italiani viaggiava finalmente nelle piccole utilitarie, continuava ad esserci in Italia un’”aristocrazia automobilistica” alla guida dell’automobile di media o alta cilindrata. Era quest’ultimo il sogno di tanti automobilisti italiani negli anni Sessanta. Nonostante i successi delle utilitarie Fiat, la tradizione di “prodotto italiano” di alto livello e grossa cilindrata non andò perduta. Nel 1950, l’automobile “più chic” tra quelle destinate alle persone di un certo reddito era ancora una Lancia, l’Aurelia: se la 600, nel 1955, costava 622 mila lire, la versione sportiva B20 e lo spider “America” della Lancia arrivavano a costare 3 milioni. Il sogno degli italiani era, però, la Giulietta Sprint dell’Alfa Romeo, versione coupé progettata da Bertone o spider disegnata da Pinin Farina che costava solo 2 milioni. La produzione italiana offriva anche di meglio in termini di status e di design: nel 1955, la Ferrari di Maranello lanciava la 250 GT che costava 6 milioni, vi erano poi la 2000 Gran Turismo della bolognese o la 202 della di Corsa Peschiera, Torino, che, prodotta nel 1947, nel 1951 finì addirittura al New York Museum of Modern Art come “running sculpture”.

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Tuttavia, anche il prodotto automobilistico destinato ai ceti più benestanti si trasformò nel secondo dopoguerra, e in particolare negli anni Sessanta e Settanta, insieme alla società e all’economia italiana. Anche le case di nicchia, quali la Lancia e l’Alfa Romeo, dovettero infatti entrare in una prospettiva fordiana da seconda rivoluzione industriale che non consentiva più di limitarsi ad andare incontro a una domanda composta da poche migliaia di intenditori. Era necessario ridurre i costi e aumentare i volumi produttivi senza però perdere, per le vetture Lancia, il tradizionale connotato di “classe” e, per quelle della casa milanese, lo “spirito agonistico”. Da questa nuova ricerca nacquero nel 1954 automobili quali la Giulietta o la Giulia 1600 nel 1962 che permisero all’Alfa Romeo di Milano di diventare, dopo la Fiat, la maggiore produttrice italiana. Negli stessi anni la Lancia metteva in produzione in una delle tre linee di montaggio del nuovo stabilimento di Chivasso, la 1100 Fulvia. Nel 1969, la proprietà della Lancia passò al Gruppo Fiat, segnando la fine della complementarietà delle due storiche case torinesi.

9. Dalla crisi degli anni Settanta alla ripresa degli anni Ottanta. Fiat e sempre Fiat

Il 1974 segnò la fine della prima fase dello sviluppo dell’automobilismo privato di massa: le dinamiche commerciali si modificarono e le automobili che avevano caratterizzato fino a quel momento la motorizzazione del paese uscirono dal processo produttivo (restavano solo la 500 R, la 850, la Giulia super e la Fulvia Montecarlo) sostituite da nuove vetture progettate per reggere la sempre più aggressiva concorrenza straniera. Erano arrivate in Italia automobili di “culto” quali la Dyane, la DS, la Renault 4 e 5, il Maggiolone. Nel clima di austerity degli anni Settanta, l’”utilitaria” Fiat continuò a dominare il panorama automobilistico italiano con la 127, del 1971, e la 126 del 1972. Con quest’ultima, la concezione della “macchina per tutti” si modificò ulteriormente: cominciò ad affermarsi l’idea di una “seconda auto” di famiglia, magari destinata a una clientela femminile o giovane che avrebbe trovato una realizzazione ancor più concreta con la ripresa degli anni Ottanta nella Panda, nel 1979, vettura dai bassi consumi, studiata per muoversi nel nuovo traffico cittadino e per “strizzare l’occhio” alle nuove mode ecologiste. L’industria automobilistica italiano avrà nella Fiat Uno, presentata in Florida nel 1983, non solo il simbolo della fine della crisi ma anche uno dei prodotti di maggior successo commerciale in Italia e all’estero. Essa inaugurò una nuova classe di utilitarie che fece propri i contenuti di vetture di categoria superiore: si moltiplicarono le varianti e gli optional disponibili. Di essa è stato scritto: “l’oggetto di massa si moltiplica in molti oggetti individualizzati pronti a caratterizzare delle identità altrimenti cancellate dall’uniformità del consumo”.

10. Gli anni Novanta: una clientela sempre più esigente

Dagli anni Ottanta ad oggi il mercato automobilistico italiano è cambiato: è progressivamente cresciuta la domanda di auto di media e alta cilindrata a scapito di quella delle utilitarie e contemporaneamente la concorrenza straniera è diventata tanto più agguerrita quanto più pericolosa. Se nel 1990 le auto di media-alta cilindrata erano il 19% di quelle immatricolate, nel 2003 esse rappresentano oltre il 56% di quelle circolanti in Italia; contestuamente, la quota di mercato delle vetture sotto gli 800 cc di cilindrata è scesa dal 24% del 1980 al 6,3% del 2003. Dal punto di vista tecnico, nel corso dell’ultimo ventennio le esigenze di una clientela sempre più attenta alla sicurezza e alle prestazioni nonchè i problemi ambientali e di congestione stradale (e le normative sempre più rigide) hanno indotto le case automobilistiche italiane e non a sviluppare e introdurre diverse innovazioni quali i sistemi di iniezione a controllo elettronico, la marmitta catalitica, il sistema ABS che impedisce il bloccaggio delle ruote in frenata, e più recentemente

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l’EBD (Electronic Brake distribution). Se le prestazioni dei motori diesel sono state migliorate tramite l’adozione della sovralimentazione mediante turbocompressione, negli ultimi anni la Fiat ha sviluppato motori Multi-jet diesel, in grado di ridurre le emissioni del 50% e i consumi del 10% e veicoli Bipower (metano e benzina) mentre rimangono ancora in fase di studio veicoli alimentati da celle a combustibile.

11. La Fiat dopo Ford: una nuova divisione dei ruoli

La Fiat, ormai padrona di Lancia (1969), Alfa Romeo (1986), (1984) e azionista importante di Ferrari (1991) si è adeguata seppur con difficoltà alle nuove tendenze della motorizzazione e della domanda, diversificando la propria offerta, con l’utilizzo di componenti comuni a più linee di prodotto e ricorrendo frequentemente al rinnovo stilistico dei modelli. Il marchio Alfa Romeo ha rappresentato il cavallo di battaglia nel segmento delle auto sportive di alta cilindrata: nel 1987, fu lanciata l’Alfa 164, modello a trazione anteriore disegnato da che combinava eleganza e confort a prestazioni decisamente sportive ed era peraltro costruita sullo stesso pianale di Fiat Croma, Saab 9000 e Lancia Thema. Quest’ultima (1988-1994) fu invece modello di punta della Lancia che, abbandonate nel 1991 le competizioni dopo i grandi successi della Delta, si è specializzata in berline di lusso e in sofisticate utilitarie, come la recente Ypsilon (2003), prodotta a Melfi e disegnata nel centro stile di Orbassano. Il marchio Fiat è rimasto al contrario legato a un’idea di praticità e funzionalità talvolta anche a scapito dell’eleganza formale e stilistica del prodottp come nel caso della Multipla (1998-), pur poitically correct se equipaggiata con motore Bipower, o della futuristica ma decisamente bruttina Stilo (2001-).

12. L’auto italiana e la globalizzazione

Nell’ultimo ventennio è aumentato l‘interesse per i mercati esteri, sia quelli emergenti sia quelli più tradizionali: se l’“auto dell’anno del 1995”, la Fiat Punto, prodotta a Mirafiori e disegnata da Giugiaro, è stata leader delle vendite in Europa dal 1993 al 1997, la world Palio, prodotta in dieci paesi e progettata in funzione delle esigenze di mercati di recente motorizzazione, non ha ottenuto il successo sperato. A tenere alto il prestigio dell’auto italiana nel mondo sono ancora i marchi d’élite, Alfa Romeo e Ferrari: l’Alfa 156, “auto dell’anno 1998”, prodotta a Pomigliano d’Arco in due motorizzazioni Turbodiesel e dal 2000 nella versione Sportwagon, e la 147, “Auto dell’anno del 2001”, hanno entrambe riscosso notevole successo commerciale in Europa e in America. La vittoria di Michael Schumacher nel Campionato Mondiale Piloti del 2000 ha invece dato nuovo lustro alla Ferrari. Oggi, dopo la grave crisi del 2002, il futuro della Fiat sul mercato internazionale sembra affidato alla Grande Punto, prodotta a Melfi e all’accordo Fiat –Ford per la produzione in Polonia del Tre più Uno con piattaforma condivisa con la nuova Ford Ka.

Bibliografia essenziale e fonti

Schede a cura del Centro di documentazione del Museo dell’automobile Biscaretti di Ruffia di Torino. Si ringrazia la dott. ssa Biffignandi per la gentile collaborazione.

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