I MIEI 40 ANNI Di Progettazione Alla Fiat I Miei 40 Anni Di Progettazione Alla Fiat DANTE GIACOSA
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
DANTE GIACOSA I MIEI 40 ANNI di progettazione alla Fiat I miei 40 anni di progettazione alla Fiat DANTE GIACOSA I MIEI 40 ANNI di progettazione alla Fiat Editing e apparati a cura di: Angelo Tito Anselmi Progettazione grafica e impaginazione: Fregi e Majuscole, Torino Due precedenti edizioni di questo volume, I miei 40 anni di progettazione alla Fiat e Progetti alla Fiat prima del computer, sono state pubblicate da Automobilia rispettivamente nel 1979 e nel 1988. Per volere della signora Mariella Zanon di Valgiurata, figlia di Dante Giacosa, questa pubblicazione ricalca fedelmente la prima edizione del 1979, anche per quanto riguarda le biografie dei protagonisti di questa storia (in cui l’unico aggiornamento è quello fornito tra parentesi quadre con la data della scomparsa laddove avve- nuta dopo il 1979). © Mariella Giacosa Zanon di Valgiurata, 1979 Ristampato nell’anno 2014 a cura di Fiat Group Marketing & Corporate Communication S.p.A. Logo di prima copertina: courtesy di Fiat Group Marketing & Corporate Communication S.p.A. … ”Noi siamo ciò di cui ci inebriamo” dice Jerry Rubin in Do it! “In ogni caso nulla ci fa più felici che parlare di noi stessi, in bene o in male. La nostra esperienza, la nostra memoria è divenuta fonte di estasi. Ed eccomi qua, io pure” Saul Bellow, Gerusalemme andata e ritorno Desidero esprimere la mia gratitudine alle persone che mi hanno incoraggiato a scrivere questo libro della mia vita di lavoro e a quelle che con il loro aiuto ne hanno reso possibile la pubblicazione. Per la sua previdente iniziativa di prender nota di incontri e fatti significativi e conservare documenti, Wanda Vigliano Mundula che mi fu vicina come segretaria dal 1946 al 1975. Poi tutti coloro che mi hanno aiutato a ricordare e a raccogliere dati e illustrazioni, fra questi Maria Persico, Augusto Costantino, Antonio Amadelli, Ugo Romano Vercelli. Mi sento anche in debito di riconoscenza verso Piero Casucci per avere egli stimolato in me con le sue proposte e il suo parere la volontà di affrontare questa impresa a me nuova e poco congeniale. Infine ringrazio Oddone Camerana che avendo letto appena una parte del testo mi ha spinto a completarlo e a deciderne la pubblicazione. CAPITOLO I QUALCOSA DELLA FIAT E DI ME urante il “periodo Valletta” alla Fiat non avevo mai sentito di direttori ad alto livello che si fossero ritirati per aver raggiunto i limiti di età. Il “Professore” Dlasciò la Fiat all’età di ottantatré anni, perché morì. Lui vivo, i suoi collabo- ratori fedeli e devoti non avrebbero abbandonato il loro posto di lavoro se non per la stessa ragione o “per motivi di salute”. E io, entusiasta del “mio” lavoro, convinto che nessuna altra casa automobilistica avrebbe potuto offrire maggior spazio al mio estro, fedelissimo, non avevo mai pensato di poter fare eccezione. Forse anch’io avrei raggiunto ottant’anni e avrei visto incanutire i miei collaboratori. Finito il “periodo Valletta” se ne andarono molti dei suoi, ormai vecchi, dirigen- ti. Una certa ansia di rinnovamento diede nuovo impulso alla tendenza, da qualche tempo fattasi palese, verso cambiamenti nell’organizzazione della Fiat, alla ricerca di un assetto più moderno, in linea con il grande sviluppo da essa raggiunto. Il delicato compito venne affidato a specialisti americani. Con professionale pacata diplomazia questi presero a intervistare sistematicamente i direttori e a raccogliere le informa- zioni necessarie per elaborare con sottile raziocinio le proposte che avrebbero con ferma convinzione presentato alla presidenza della Società. Il vento che sospingeva la nouvelle vague gonfiava le vele di questi famosi spe- cialisti che sapevano destreggiarsi con perizia in acque a loro poco note, talvolta insidiose. Era una ventata di giovinezza che mi sembrava tonificante. Pensavo che la Fiat ne avrebbe infine tratto giovamento. La decisione di porre dei limiti di età anche per i massimi dirigenti mi piacque. Feci i miei conti e mi preparai all’idea di lasciare l’amato e sofferto lavoro, e il mio posto di capo della progettazione. Secondo la prassi normalmente seguita, il termine dell’incarico sarebbe scaduto alla fine dell’anno nel quale avrei compiuto il sessan- tacinquesimo anno di età. Nato il 3 gennaio del 1905, per rispettare la norma avrei dunque dovuto conser- vare il mio incarico di direttore di divisione fino alla fine del 1970, cioè all’età di quasi sessantasei anni. Non lo feci, per alcune buone ragioni. Sapevo che la presidenza e il direttore generale, di cui avrò occasione di parlare spesso nel mio racconto, inten- devano dare alla Società un assetto ispirato al principio di decentramento, secondo una direttiva del tutto opposta a quella che aveva regolato per oltre cinquant’anni tutte le attività della Fiat. Dal parlare che se ne faceva e dai colloqui con gli specialisti americani mi sem- brava di dover trarre come conclusione che la Fiat, nel volgere di alcuni anni, avreb- be modificato radicalmente la sua organizzazione pressappoco sul modello della General Motors. La produzione sarebbe stata suddivisa in grandi settori nettamente 7 separati: Automobili, Veicoli industriali, Metallurgia, Trattori e Macchine agricole, Costruzioni civili ecc. Così anche il grande complesso degli uffici studi e progetti, e dei servizi a questi collegati, fino allora raggruppato sotto la mia direzione, avreb- be dovuto essere smembrato e decentrato. Una prospettiva, questa, di mutamento radicale nella composizione dei quadri, nei modi di collaborare, nelle relazioni fra i diversi servizi, persino nel modo di pensare. Era chiaro che la mia presenza avrebbe creato qualche intoppo. Conoscevo i numerosi e difficili problemi da risolvere per imporre una razionale ed efficiente organizzazione secondo il nuovo schema. Avrei potuto essere ancora di valido aiuto ai massimi responsabili della Fiat nella ricerca delle soluzioni più convenienti a vari problemi, ad esempio nella scelta di uomini e di direttive tecniche. Ma la mia presenza, la mia età, forse la mia personalità avrebbero potuto essere di qualche imbarazzo. Desideravo d’altronde che i miei collaboratori, ai quali avevo affidato mansioni direttive nei vari settori della progettazione in base a una valutazione meditata delle loro qualità umane e particolari attitudini, si facessero avanti e prendessero direttamente contatto con la direzione generale senza la mia interposizione. Avrebbero così potuto dimostrare la loro preparazione, la maturità di giudizio e le capacità di dirigenti. In un colloquio col direttore generale, l’ingegnere Gaudenzio Bono, dissi tutto ciò e gli chiesi di accettare le mie dimissioni. Ebbi la sensazione di avergli procurato un grande sollievo. A mia volta, accettai soddisfatto l’incarico di consulente della presi- denza e della direzione generale. I giornali, informati dall’Ufficio stampa della Fiat, pubblicarono la notizia e il mondo seppe che ormai ero così vecchio da rinunciare a fare nuove automobili. Con una sensazione di vuoto improvviso, come per il risveglio da un lungo son- no, era venuta per me l’ora di interrompere la multiforme, appassionante, intensa attività che mi aveva legato a filo doppio alla Fiat per oltre quarant’anni. Dovevo cominciare a pensare con spirito diverso e agire con tutt’altro ritmo. Il mio ufficio personale che da parecchi anni, con la mia nomina a direttore superiore tecnico autoveicoli, era passato dal sesto al secondo piano della “palazzina” di Mirafiori, perduta l’immagine del potere, mi sembrò come svuotato. Al mio tavolo di lavoro mi sentii solo. Fra i giovani dirigenti del gruppo Auto che occupano gli uffici del secondo piano, riservato in passato alle più alte cariche della Fiat, a cominciare dal presidente, mi ero sentito quasi un estraneo. Eppure non ho rinunciato a studi e progetti: posso, quando è il caso, essere di qualche aiuto ai miei collaboratori di un tempo che, navigando oggi in un mare diversamente agitato, reggono con perizia quel timone che fu mio per tanti anni. Qual è la ragione che mi ha spinto a scrivere queste memorie, un lavoro per me nuovo e impegnativo? Alle sollecitazioni dei giornalisti e degli amici avevo sempre risposto evasivamente, pensando che avrei potuto dedicarmi al racconto della mia vita di lavoro fra le automobili più avanti nel tempo. Immaginavo, ritirandomi, di potermi dedicare finalmente al disegno e alla pittura o alla scultura, che erano state la mia passione giovanile, ma non tenevo nel giusto conto il grave peso degli anni e la sua influenza sullo spirito e sul fisico. Il sacro entusiasmo si trasforma in sterile anelito, la fantasia e l’energia necessarie all’azione pronta e sicura lasciano il posto alla meditazione. Il pensiero è attratto dal dolce richiamo della memoria attorno alle cose del passato. A settant’anni suonati, la mente, fatta meno agile e attiva, è infatti 8 soprattutto sensibile all’insistente bussare dei ricordi. Per chi ha vissuto con lo sguar- do teso verso la luce del futuro, è riposante volgersi in direzione opposta e guardare con più serena filosofia nell’immobile profondità del passato. La pittura e la scultura avrebbero richiesto uno sforzo sproporzionato alle energie che mi restavano. Ho perciò abbandonato il proposito di dedicarmi a una attività che ormai sentivo di non poter svolgere senza il timore di gravi delusioni. Professionista incallito della progettazione ho rifiutato la parte di tardo dilettante. Il mio rispetto per l’arte mi ha salvato dal pericolo di maltrattarla. Così ho deciso di dedicare parte del mio tempo al racconto delle vicende che, durante il periodo che mi ha visto protago- nista nella progettazione delle automobili Fiat, hanno lasciato traccia più profonda nei miei ricordi. Ma appena mi sono accinto all’impresa, mi sono avveduto che, scrutan- do nel passato, non appena vi si vogliano distinguere avvenimenti e idee, definirne i contorni, scoprirne le cause e gli effetti, e i legami spesso tenui e nascosti che li col- legano, si incontrano sempre nuove difficoltà, che sono poi le difficoltà della storia.