I prodotti tradizionali della Regione

testi a cura di Ferruccio Luciani

ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE E PESCA - REGIONE MARCHE - 2006 Testi a cura di Ferruccio Luciani - Assessorato all’Agricoltura, Alimentazione e Pesca

Coordinamento Luana Spernanzoni, Leonardo Valenti - Assessorato all’Agricoltura, Alimentazione e Pesca

Fotografie Archivi Regione Marche, Assam, Comune di Camerano, Comune di Montelupone, Comune di Treia, Azienda Bilancioni, Augusto Congionti, Lamponemedia, Benedetto Salvucci, Giorgio Sorcinelli Progetto Grafico e Stampa Errebi Grafiche Ripesi - Falconara Marittima - AN

Si ringraziano tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questa pubblicazione

Copyright © Regione Marche

Non è permessa la riproduzione di qualsiasi parte di questo libro, in qualsiasi forma realizzata, senza il permesso scritto dell’Assessorato all’Agricoltura, Alimentazione e Pesca prefazione 3

In questi ultimi anni, le Marche hanno impostato la promozione della propria immagine sul fatto di essere l’unica regione italiana “al plurale”. Al plurale per la grande diversità che caratterizza il territorio come la popolazione, la cultura come le attività economiche, il folklore come le tradizioni. Il patrimonio enogastronomico regionale è senza dubbio l’emblema delle Marche al plurale e in particolare lo sono i 150 prodotti tradizionali descritti in questa pubblicazione. Si tratta di prodotti diversissimi tra loro sia come storia che come dimensione produttiva. Per alcuni di essi, maggiormente rilevanti dal punto di vista economico, sono già stati attivati alcuni studi finalizzati all’ottenimento di un riconoscimento comunitario come DOP o IGP. Ma sono molti i prodotti la cui circolazione è limitata al mercato locale e non per questo dobbiamo ritenerli meno importanti. Bisogna infatti effettuare una valutazione che non si concentri solo sugli aspetti meramente produttivi ma tenga conto anche di altri obiettivi che possono essere perseguiti con la salvaguardia dei prodotti tradizionali: il manteni- mento di attività economiche in zone marginali, la tutela di alcune biodiversità che sareb- bero improponibili in zone agricole più produttive e la conservazione di un patrimonio cul- turale inestimabile. Tutti i cittadini delle Marche devono infatti sentirsi eredi di una grande ricchezza e allo stesso tempo custodi di quella che possiamo definire l’identità marchigiana. E ognuno dei 150 prodotti tradizionali racchiude in sé una parte del DNA regionale. Vedrete come la storia dei prodotti si sovrapponga continuamente a quella del nostro ter- ritorio. Avrete modo di incontrare, tra un formaggio stagionato in botti di rovere ed un dolce a base di riso, miele e farina di castagne, personaggi di un illustre passato: papi, condottieri, letterati… Incontrerete Garibaldi, Rossini, Leopardi, ma anche briganti e gente comune; gente che ha vissuto in povertà e che nella povertà ha appreso l’arte di realizzare prodotti nutrienti e gustosi con le materie prime più modeste. Questa ricchezza che viene dalla povertà è la grande eredità che siamo chiamati a tramandare ai nostri figli. Noi tutti dobbiamo sentire l’importanza di questa eredità; sentirne la responsabilità ma allo stesso tempo esserne onorati. In effetti, la vera sfida che a livello regionale ci poniamo in quest’epoca di globalizzazione e di profondi mutamenti è quella di perseguire un modello di sviluppo che non snaturi la nostra identità. La competitività della nostra regione deve passare attraverso l’integrazione dei pro- dotti nel territorio. 4 E se la maggior parte dei prodotti non ha la dimensione economica per uscire dai confini na- zionali, e spesso neanche regionali, questo non deve essere un limite ma deve essere uno sti- molo a calibrare meglio la nostra attività promozionale facendo in modo di portare il turista là dove questi prodotti vengono ancora oggi ottenuti con le tecniche di una volta, di fargli cono- scere quindi, insieme al prodotto, anche un territorio con tutto quello che esso racchiude in ter- mini di ambiente, arte, cultura… D’altronde la più recente produzione legislativa regionale va tutta in questa direzione. Il censi- mento dei prodotti tradizionali si inserisce in un contesto più ampio che ha visto la Regione Marche schierarsi inequivocabilmente contro gli OGM, istituire il repertorio regionale del pa- trimonio genetico, finanziare progetti finalizzati all’ottenimento di nuove DOP e IGP, realizzare il sistema regionale per la tracciabilità delle produzioni alimentari e, da ultimo, registrare un marchio di qualità regionale. Infine, un’ultima considerazione, sempre legata ai prodotti tradizionali, riguarda una sfida che abbiamo voluto raccogliere a difesa del gusto, nella convinzione che non si possa affrontare qualsiasi questione riguardante i prodotti alimentari solo con un approccio di tipo igienico-sa- nitario. In fondo i nostri antenati erano molto meno sprovveduti di quello che, con una certa supponenza, siamo portati a pensare oggi e adottavano molti accorgimenti sulla salubrità degli alimenti che, anche alla luce delle conoscenze attuali, si rivelano assai efficaci. Perciò, se da un lato non si può prescindere dalla sicurezza alimentare, che deve essere assicurata per ogni alimento che ingeriamo, dall’altro è altrettanto importante che questa sicurezza non debba necessariamente passare attraverso lo stravolgimento di metodi produttivi che si ripe- tono da decenni quando non da secoli e non diventi, pertanto, sinonimo di omologazione ed appiattimento del gusto. Ma qui rientra in campo il ruolo della Regione che, attraverso un’efficace attività di educazione alimentare, deve mettere il consumatore nella condizione di avere le necessarie cognizioni per effettuare scelte consapevoli. In quest’ottica giunge il mio auspicio che questa pubblicazione contribuisca a far conoscere il nostro patrimonio gastronomico e magari incuriosisca qualcuno, noi marchigiani per primi, ad andare alla ricerca delle tante meraviglie disseminate sul nostro territorio.

Paolo Petrini Assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Pesca della Regione Marche indice

6 PARTE GENERALE 45 PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE 9 Presentazione (MIELE, PRODOTTI LATTIERO CASEARI I prodotti tradizionali della Regione Marche DI VARIO TIPO) 13 L’elenco dei prodotti tradizionali 45 Il miele 47 Ricotta e ricotta salata LE CATEGORIE 48 PASTE FRESCHE E PRODOTTI 16 BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI, DELLA PANETTERIA, DELLA BISCOTTERIA LIQUORI E DELLA CONFETTERIA 16 Visner 48 Il pane e la pasta: 17 Vino cotto ovvero i frutti del grano 19 Sapa 51 La crescia e la torta 20 Tre liquori marchigiani 53 C’era una volta la colazione 55 I dolci del carnevale 21 CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE 56 Fristinghi, frustenghe e bostrenghi E LORO PREPARAZIONI 58 Dai fichi lonze e torroni 21 Il maiale e la pista 59 Serpi, cavallucci ed altre creature 21 Un macabro rito 61 E non è finita 22 Del maiale non si buttava proprio nulla 22 La parte nobile del maiale 64 PRODOTTI VEGETALI 25 Il paté? Qui si chiama ciauscolo ALLO STATO NATURALE 26 Tra i salami sulle orme di Garibaldi O TRASFORMATI 27 Ancora sul maiale 64 Le delizie dell’orto 28 Le carni fresche 66 Tanti modi di gustare l’oliva 67 I prodotti del bosco, del sottobosco 30 PREPARAZIONE DI PESCI, e del sottosuolo MOLLUSCHI E CROSTACEI 68 Mele e pere: E TECNICHE PARTICOLARI la frutta classica … ma non troppo DI ALLEVAMENTO DEGLI STESSI 71 Visciole e dintorni 30 Filetti di trota affumicati 73 Frutta con fantasia 76 La ricchezza della povertà 31 CONDIMENTI 32 Conserva di pomodori 32 Paste, salse e… salamore

GRASSI (BURRO, MARGARINA, OLI) 33 L’olio de Marchia

36 FORMAGGI 36 A ciascuno il suo 38 Pecorino in botte 39 Dalla botte… alla fossa 41 Formaggi al fico, al carciofo e al limone 43 Dal Montefeltro, un poker di bontà lardo del Montefeltro

marrone del Montefeltro

pane di Chiaserna

salame di Fabriano La storia delle tradizioni marchigiane è la storia di un territorio incredibil- crescia fogliata mente vario nella sua pur limitata estensione. Contaminazioni di ogni tipo si sono intrecciate nei secoli senza eli- dersi, ma generando dalla loro commi- liquore stione nuove tradizioni e nuovi modelli di vita. Come l’aggettivo marchigiano al cumino può essere utilizzato solo con una con- notazione territoriale, così, nell’agricol- trota Fario tura, nell’allevamento, nella cucina, in genere in ogni attività umana, assi- stiamo ad una esplosione di differenti ricotta salata modelli che prima di marchigiani sono feltreschi, piceni, esinati, etc; o ancora meglio, urbinati, fanesi, maceratesi, moglianesi, vissani, etc. Il risultato è una irripetibile densità di tradizioni, dif- ficilmente catalogabili e tutte estrema- mente vive; tradizioni che rendono le Marche il più moderno esempio di come diversità e tolleranza generino benessere e alta qualità del vivere. cavolfiore tardivo di Fano biscott’ PESARO bostrengo

cipolla formaggio di Suasa lacrima di fossa URBINO di spino nero

visner tacconi pecorino tartufo di botte bianco carciofo violetto di Jesi lonza di fico salame lardellato carciofo ciauscolo monteluponese calcione maccheroncini di Campofilone MACERATA roveja

vino cotto pecorino mistrà salsiccia di fegato FERMO taccole

sapa pecorino

oliva marrone ASCOLI PICENO ascolana di Acquasanta tartufo del piceno nero i prodotti tradizionali 9 della Regione Marche

Quando si parla di prodotti agricoli e agroali- che spinse la nostra regione ad applicare con mentari, si ha un bel da fare a volersi districare tanta fretta la normativa che si andava deli- tra prodotti tipici, biologici, attestazioni di spe- neando era quella di garantire la sopravvivenza cificità, DOP, IGP, DOC, DOCG, IGT ecc… La ca- di produzioni che rischiavano di scomparire, in tegoria più “giovane”, in quanto ultima in or- quanto l’adeguamento ad una normativa igie- dine cronologico, è quella dei prodotti tradizio- nico-sanitaria sempre più stringente mal si nali. Se si eccettuano infatti sporadici e generici conciliava con il rispetto di tecniche di produ- riferimenti presenti in qualche passo della rego- zione tradizionali. lamentazione comunitaria, il primo riferimento Il decreto 173/98 consentiva infatti ai prodotti esplicito alla categoria compare solo nel de- riconosciuti come tradizionali, di poter accedere creto legislativo n. 173 del 30 aprile 1998 per ad una serie di deroghe igienico-sanitarie, rife- definire quei prodotti le cui metodiche di lavo- rite in particolare alla natura dei materiali uti- razione, conservazione e stagionatura sono lizzati per la lavorazione ed alle caratteristiche consolidate nel tempo. Lo stesso atto demanda dei locali di lavorazione, maturazione e stagio- alle regioni il compito di individuare, sul proprio natura. Un esempio per tutti: il formaggio di territorio, i prodotti con caratteristiche tradi- fossa. Un prodotto universalmente conosciuto zionali da inserire in tanti elenchi regionali che ed apprezzato ma assai difficile da inquadrare confluiranno poi in quello nazionale dei pro- nel nostro sistema sanitario. È evidente che dotti tradizionali, tenuto presso il Ministero senza la possibilità di prevedere deroghe speci- delle politiche agricole e forestali. Ministero fiche per questo e per altri prodotti, un intero che, l’anno successivo, con D.M. 8 settembre patrimonio che, abbiamo visto, non è solo ga- 1999, n. 350, fissa in 25 anni il periodo di stronomico, avrebbe seriamente rischiato o di tempo minimo da considerare ai fini dell’attri- scomparire o di sopravvivere in uno stato di se- buzione ad un prodotto dello status di “tradi- miclandestinità o di perdere le sue caratteri- zionale”. Potrebbe sembrare cosa da poco ma stiche tradizionali omologandosi alla produ- basta scorrere l’elenco degli oltre 4000 prodotti zione industriale. censiti dalle regioni italiane per capire che non Nasceva così, nel 1998, il primo elenco regionale si tratta di una semplice lista di cose buone da dei prodotti tradizionali che era costituito da 9 mangiare o di un diario dei ricordi e delle tradi- prodotti a base di latte. Da allora, l’elenco è zioni. In realtà, l’elenco dei prodotti tradizionali stato continuamente aggiornato, fino ad arri- è un qualcosa di inscindibile dall’anima e dalla vare agli attuali 150 prodotti. cultura di un popolo. La Regione Marche è stata Questo approfondito lavoro di catalogazione e una delle prime regioni a credere nell’impor- aggiornamento è stato svolto, essenzialmente in tanza di quest’operazione tant’è che già nel no- due modi: vembre 1998, giocando d’anticipo persino sulla - da un lato puntando su un’iniziativa diretta da determinazione dei criteri a livello nazionale, parte della Regione; proponendo, cioè, una provvedeva all’individuazione di un primo serie di prodotti già conosciuti in quanto gruppo di prodotti a base di latte. L’esigenza frutto di precedenti studi, oggetto di pubbli- 10 cazioni o comunque tradizionalmente noti a prodotti affini tra loro o, perlomeno, riconduci- livello sia regionale che locale; bili ad un’unica tipologia di prodotto. Ciò, co- - dall’altro avvalendosi del prezioso contributo m’era inevitabile, è andato a scapito del detta- di soggetti sia pubblici che privati (ammini- glio, tant’è che non sempre è stato possibile va- strazioni locali, associazioni di produttori, or- lorizzare adeguatamente peculiarità e specifi- ganizzazioni professionali, singole aziende cità di alcune varianti a diffusione particolar- ecc…) che hanno inviato e continuano a in- mente circoscritta. viare segnalazioni, documenti storici e mate- Va evidenziato, tuttavia, che l’elenco ha una na- riale fotografico sui prodotti tradizionali re- tura dinamica, nel senso che, ogni anno, si pro- gionali. cede alla revisione ed all’aggiornamento delle Un lavoro non semplice, ma estremamente inte- schede, inserendo nuovi prodotti, defalcando ressante, quello di esaminare, valutare e classi- quelli che nel frattempo hanno ottenuto una ficare tutto il materiale pervenuto. Non sempre protezione in ambito comunitario come DOP, agevole la collocazione di un prodotto in questa IGP o attestazioni di specificità, integrando i o quella categoria. Ancora più arduo tracciare le testi sulla base della nuova documentazione ac- linee di confine tra un prodotto e l’altro, tenuto quisita di anno in anno. conto che di ogni prodotto esistono spesso nu- Un elenco, quindi, che va ben al di là del possibile merose varianti e che lo stesso prodotto è desi- accesso alle deroghe igienico-sanitarie che, a gnato con nomi diversi in zone diverse e che an- conti fatti, interessano solamente 15 dei 150 pro- cora, in zone diverse, si usa lo stesso nome per dotti individuati nelle Marche, cioè appena il indicare prodotti diversi. 10%. La valenza che va riconosciuta all’opera- L’incarico di individuare i prodotti è stato asse- zione è assai più profonda in quanto va a toccare, gnato ad un gruppo di lavoro, appositamente attraverso la riscoperta del patrimonio gastrono- costituito, composto da sei esperti individuati mico di una terra, l’identità stessa di una popola- nell’ambito dell’Assessorato all’Agricoltura, del- zione. Attraverso la conoscenza di pratiche e tra- l’Assessorato alla Sanità e dell’Agenzia di servizi dizioni che non rispondono solo a logiche di mer- nel settore agroalimentare delle Marche – cato, abbiamo l’occasione di rimettere in discus- Assam. Trovandosi di fronte a qualcosa come sione e migliorare non solo le nostre abitudini ali- poco meno di un migliaio di segnalazioni, il mentari ma l’intero stile di vita che ci siamo “con- gruppo ha dovuto necessariamente operare una quistati” in nome del benessere. sintesi, in alcuni casi anche piuttosto spinta, con Certo è che se dovessimo valutare i prodotti in- l’intento di condensare in un’u- seriti nell’elenco solo sulla base dell’eco- nica scheda, tutti nomicità, per intenderci, quella quei stabilita dai parametri di Maastricht, molti di essi sarebbero condannati senza appello per aver infranto la legge del mercato. D’altra parte, il concetto di economicità di un ambiente rurale, dove l’unità produt- tiva tipo era rappresentata da una famiglia com- Seguono: con 43, quella dei prodotti vegetali 11 posta da non meno di 10-15 persone e che per- allo stato naturale o trasformati, con 30, quella tanto non considerava la manodopera come un delle carni fresche e, con 12, quella dei for- costo, ha poco a che vedere con quello che, ad ap- maggi. Le altre categorie contano solo pochi pena 50 anni di distanza, spinge fortemente sulla “iscritti”: 7 oli, 6 bevande e liquori, 4 condi- standardizzazione; una standardizzazione a 360° menti, 3 prodotti vari di origine animale e un che riguarda non solo il processo produttivo ma solo appartenente alla categoria delle prepara- anche la capacità stessa di percepire il gusto da zioni di pesci, molluschi e crostacei. parte del consumatore. Il secondo campo è riservato all’indicazione del Ma il concetto di economicità va anch’esso visto nome del prodotto e dei suoi sinonimi, anche secondo un’accezione più estensiva perché il dialettali, più diffusi. Decisamente, si può dire prodotto tradizionale non deve essere visto solo che la fantasia non manca e ci imbatteremo, nel in funzione della PLV che da esso scaturisce di- corso della pubblicazione, in casi veramente cu- rettamente. Bisogna invece considerare che la riosi. possibilità di poter continuare determinati pro- Si passa, quindi all’indicazione del luogo di pro- dotti con determinate tecniche può contribuire duzione. Si tratta, evidentemente, di un dato pu- a mantenere vitale il tessuto sociale di alcune ramente indicativo, in quanto non ci troviamo di aree a forte rischio di spopolamento, rivestendo fronte, nella maggior parte dei casi, a prodotti in tal modo, un importante ruolo anche per soggetti ad un disciplinare, per cui non esiste quanto concerne la tutela dell’ambiente e la sal- una delimitazione territoriale vincolante. Fanno vaguardia delle biodiversità. eccezione solamente alcuni prodotti per i quali I prodotti tradizionali, pertanto, insieme alle de- sono in corso richieste di registrazione come nominazioni di origine, rappresentano uno stru- DOP o IGP. mento strategico per la tutela e la valorizza- Nel riquadro successivo, si trova la descrizione zione del territorio nel suo complesso e, anche del prodotto intesa come composizione e per questo, sono da considerare un patrimonio aspetto esteriore (dimensioni, colore, consi- che non riguarda una singola azienda o un com- stenza al tatto ecc…). Dove disponibili, vengono parto produttivo ma tutta la collettività. inoltre riportati alcuni dati riferiti al profilo sen- soriale olfattivo e gustativo di ciascun prodotto. LA STRUTTURA DELL’ELENCO Il quinto campo, quello generalmente più cor- L’elenco regionale dei prodotti tradizionali si poso, riporta la descrizione delle metodiche di presenta come uno schedario, diviso in due se- lavorazione, conservazione e stagionatura utiliz- zioni principali: una dedicata alla descrizione dei zate. prodotti ed una alle deroghe igienico-sanitarie. Il sesto e il settimo individuano, invece, gli ele- Le schede descrittive dei prodotti sono, a loro menti che possono costituire, eventualmente, volta, divise in otto campi. oggetto di una deroga e precisamente: i mate- Il primo riporta il nome della categoria di appar- riali e le attrezzature specifiche che si utilizzano tenenza del prodotto. I 150 prodotti individuati per la preparazione e il condizionamento e i lo- dalla Regione Marche sono suddivisi in nove ca- cali di lavorazione, conservazione e stagionatura tegorie. La categoria più rappresentata, con ben dei prodotti. 44 prodotti, è quella che comprende paste fre- L’ultima parte della scheda riporta invece gli ele- sche e prodotti della panetteria, della biscotteria menti che comprovano la tradizionalità dei pro- e della confetteria. dotti e delle procedure utilizzate. Si tratta, in 12 genere, di riferimenti bibliografici, ma non man- pratica, dimostrare che le caratteristiche peculiari cano anche riferimenti a: sagre, manifestazioni, di un prodotto derivano dall’utilizzo di determi- testimonianze scritte rilasciate da persone an- nate tecniche tradizionali e che sarebbero snatu- ziane, materiale fotografico e alle pubblicazioni rate utilizzando tecniche più evolute, conformi più svariate. alla vigente legislazione igienico-sanitaria. La parte relativa alle deroghe riguarda 15 pro- Nel campo successivo, vanno riportate le osser- dotti ed è composta da altrettante schede, divise vazioni sulla sicurezza alimentare dei prodotti, ciascuna in sette campi. con l’indicazione degli eventuali rischi connessi Come per le schede dei prodotti, i primi due all’uso di metodiche tradizionali e delle azioni da campi sono dedicati, rispettivamente, alla cate- adottare per la loro prevenzione. goria ed al nome del prodotto. Come volevasi di- Il quinto campo è riservato ai riferimenti norma- mostrare, la parte del leone la fanno i formaggi tivi, ovvero agli estremi delle leggi alle quali si che sono presenti al gran completo: 12 su 12. Le chiede di derogare. altre tre richieste di deroga riguardano due pro- Il sesto è riservato alle eventuali annotazioni e dotti di origine animale (anch’essi a base di prescrizioni dei servizi sanitari regionali. latte) e uno di origine vegetale. L’ultimo è invece l’attestazione, rilasciata dalla Il terzo campo è quello che descrive l’oggetto Regione, sulla rispondenza del prodotto ai requi- della deroga e ne illustra la necessità. Bisogna, in siti di salubrità e sicurezza previsti dalla legge.

REGIONE MARCHE Assessorato all’Agricoltura, Alimentazione e Pesca I PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA REGIONE MARCHE 13 CATEGORIA NOME DEL PRODOTTO

BEVANDE ANALCOLICHE, DISTILLATI CONDIMENTI E LIQUORI CONSERVA DI POMODORI LIQUORE AL CUMINO PASTA DI TARTUFO BIANCO LIQUORE ALL'ANICE - MISTRA' SALAMORA DI BELVEDERE PRUNUS DI VALLE REA - LACRIMA DI SPINO NERO SALSA DI OLIVE SAPA VINO COTTO - VI'COTTO - VI'CUOT FORMAGGI VISNER - VINO DI VISCIOLE CACIO IN FORMA DI LIMONE CACIOTTA CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO CACIOTTA VACCINA AL CAGLIO VEGETALE PREPARAZIONE CAPRINO BARBAGLIA - GOLETTA CAPRINO AL LATTICE DI FICO BUDELLINO DI AGNELLO o CAPRETTO CRUDO CASCIO PECORINO LIEVITO - PECORINO CAPPONE RUSTICO - CAPPONE NOSTRALE FRESCO "A LATTE CRUDO" CARNE DEL CAVALLO DEL CATRIA CASECC CARNE DELLA RAZZA BOVINA MARCHIGIANA FORMAGGIO DI FOSSA CARNE DI PECORA SOPRAVVISSANA PECORINO CIARIMBOLO - CIARINGOLO - BUZZICCO - PECORINO IN BOTTE CIAMBUDEO RAVIGGIOLO CIAUSCOLO - CIABUSCOLO - CIAVUSCOLO SLATTATO CICOLI - CICCIOLI - SGRISCIULI COPPA DI TESTA - TORTELLA GRASSI (BURRO, MARGARINA, OLI) FEGATELLI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA GALLO RUSPANTE MONOVARIETALE CORONCINA LARDO DEL MONTEFELTRO OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA LONZA - CAPOCOLLO - SCALMARITA MONOVARIETALE MIGNOLA LONZINO - CAPOLOMBO OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA MAZZAFEGATO - SALSICCIA MATTA MONOVARIETALE PIANTONE DI FALERONE MIACCIO - MIAGGIO - MIGLIACCIO OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA PANCETTA ARROTOLATA MONOVARIETALE PIANTONE DI MOGLIANO PORCHETTA OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA PROSCIUTTO AROMATIZZATO DEL MONTEFELTRO MONOVARIETALE RAGGIA PROSCIUTTO DELLE MARCHE OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA SALAME DI FABRIANO MONOVARIETALE RAGGIOLA SALAME DI FRATTULA OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA MONOVARIETALE SARGANO DI FERMO CARNI (E FRATTAGLIE) FRESCHE E LORO PREPARAZIONE SALAME DI PECORA SALAME di SOPRASSATO o SOPPRESSATO SALAME LARDELLATO SALSICCIA SALSICCIA DI FEGATO SPALLETTA TACCHINO BRONZATO RUSTICO O NOSTRANO-GALNACC-DINDO 14 I PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA REGIONE MARCHE CATEGORIA NOME DEL PRODOTTO

PASTE FRESCHE E PRODOTTI DELLA TACCONI - TACON PANETTERIA, DELLA BISCOTTERIA, TORRONE DI FICHI - PANETTO DI FICHI DELLA PASTICCERIA E DELLA CONFETTERIA TORTA DI GRANOTURCO IN GRATICOLA ANICETTI UNGARACCI - UNGARUCCI BISCOTTI DI MOSTO BISCOTTINI SCIROPPATI - BISCUTIN' PREPARAZIONE DI PESCI, MOLLUSCHI E BOSTRENGO CROSTACEI E TECNICHE PARTICOLARI DI AL- CALCIONE DI TREIA LEVAMENTO DEGLI STESSI CALCIONI DI FAVE FRITTI FILETTI DI TROTA AFFUMICATI CASTAGNOLE CAVALLUCCI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE (MIELE, CHICHIRIPIENO o CHICHI' PRODOTTI LATTIERO CASEARI DI VARIO TIPO CIAMBELLA FRASTAGLIATA - CIAMMELLA ESCLUSO IL BURRO) STROZZOSA MIELE DELLE MARCHE CIAMBELLE ALL'ANICE O ANICINI RICOTTA CIAMBELLONE RICOTTA SALATA CICERCHIATA CRESCIA - CRESCIA BRUSCA - SPIANATA - PRODOTTI VEGETALI ALLO STATO NATURALE CACCIANNANZI O TRASFORMATI CRESCIA FOGLIATA - CRESCIA FOJATA - BACCHE DI BIANCOSPINO IN SCIROPPO LU ROCCIU CARCIOFO MONTELUPONESE o SCARCIOFENO CRESCIA SOTTO LA CENERE - TORTA COI OVI CARCIOFO VIOLETTO PRECOCE DI JESI CRESCIOLINA CAVOLFIORE "PRECOCE DI JESI" CROSTATA AL TORRONE CAVOLFIORE "TARDIVO DI FANO" CROSTOLI DEL MONTEFELTRO CICERCHIA FAVE DEI MORTI CIPOLLA DI SUASA FRISTINGO - FRISTINGU - FRESTINGHE COMPOSTA DI CASTAGNE FRITTELLE DI POLENTA COTOGNATA FRUSTENGA FARINA DI GRANTURCO QUARANTINO FUNGHETTO DI OFFIDA NOSTRANO DEL MACERATESE LONZA DI FICO - LONZINO DI FICO - FARRO "TRITICUM DICOCCUM" LONZETTA DI FICO - SALAME DI FICO GERMOGLI DI PUNGITOPO SOTT'OLIO MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE - GERMOGLI DI TAMARO SOTT'OLIO CAPELLINI DI CAMPOFILONE GERMOGLI DI VITALBA SOTT'OLIO MAIORCHINO- MAROCCHINO GOBBO DI TRODICA - CARDO DI MACERATA PAN NOCIATO GRANITA CON PESCHE DI MONTELABBATE - PANE A LIEVITAZIONE NATURALE GRATTAMARIANNA PANE DI CHIASERNA LAMPONI SCIROPPATI PANE DI PASQUA DI BORGOPACE MARMELLATA DI BACCHE DI ROSA CANINA PIZZA CON LE NOCI MARMELLATA DI COTOGNE E RADICI PIZZA DI PASQUA o CRESCIA DI PASQUA DI CICORIA PIZZA o CRESCIA DI PASQUA AL FORMAGGIO MARMELLATA DI FICHI DELLA SIGNORA QUADRELLI PELUSI MARMELLATA DI MORE ROCCIATA - ERBATA MARMELLATA DI MOSTO E MELE - MOSTARDA SCROCCAFUSI MARMELLATA DI POMODORI VERDI SERPE MARRONE DEL MONTEFELTRO SFRAPPE- FIOCCHETTI MARRONE DI ACQUASANTA TERME SUGHETTI - SUGHITTI - SCIUGHETI - SAPETTI MARRONE DI ROCCAFLUVIONE I PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA REGIONE MARCHE 15 CATEGORIA NOME DEL PRODOTTO

MELA ROSA - PIANELLA - ROSETTA - TARTUFO BIANCO (Tuber magnatum Pico) DURELLA - APPIETTA TARTUFO NERO ESTIVO (Tuber aestivum Vitt.) MELA ROZZA o SCORZONE MISTO DI FINE STAGIONE TARTUFO NERO PREGIATO (Tuber OLIVA RIPIENA ALL' ASCOLANA melanosporum Vitt.) OLIVA TENERA ASCOLANA DEL PICENO VISCIOLATA OLIVE NERE MARINATE - OLIVE NERE VISCIOLE E AMARENE DI CANTIANO STRINATE VISCIOLE ESSICCATE ORZO MONDO TOSTATO MACINATO - ORZO VISCIOLE SCIOLTE AL SOLE - VISCIULI A LU MONDO TOSTATO - MACINATO ALL'ANICE SOLE PERA ANGELICA ROVEJA - RUBIGLIO - CORBELLO TACCOLE il visner

È un prodotto estremamente particolare che molti conoscono con un nome, tanto improprio quanto efficace, che in genere fa inorridire sia gli enologi che i legislatori: vino di visciole. Non sembrava curarsene più di tanto il grande mece- nate e Duca d’Urbino, Federico da Montefeltro, se, come riporta il suo biografo e libraio di fi- ducia, Vespasiano da Bisticci, quasi non beveva vino se non de ciriege o de granate (ciliege o me- lograni). Oggi, onde evitare l’utilizzo di denomi- nazioni non consentite dalla legge, il prodotto si immette generalmente in commercio con la dici- tura assai meno poetica di “bevanda aromatiz- zata a base di vino e visciole”. Noi, per semplicità, lo chiameremo con il suo sinonimo dialettale più diffuso e cioè visner. La zona di elezione del visner, la cui diffusione è alquanto limitata e che è ancora piuttosto diffi- cile reperire fuori dalle Marche, è l’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino. La tecnica di preparazione prevede, come d’altronde la maggior parte dei prodotti tradizionali, sapa diverse varianti. L’unica costante è data dalla presenza delle visciole che in ge- lacrima di spino nero nere vengono utilizzate per 4/5 snoccio- visner late e per 1/5 intere, pestate insieme ai noccioli. Le visciole vengono quindi sapa poste in una damigiana aggiun- gendo zucchero e vino rosso locale in proporzioni variabili da zona a zona. Nella zona di Pergola, dove il mistrà visner è più diffuso, l’impiego del liquore al cumino vino è particolarmente generoso e, per dare ulteriore pregio a questo li- vino cotto quore, si usa rigorosamente la ver- sapa naccia rossa di Pergola. Si avvia mistrà quindi un processo fermentativo che deve durare non meno di 60 giorni, durante il quale bisogna agitare pe- riodicamente la damigiana. Termi- nata la fermentazione, si filtra il prodotto e, Egli asseriva che nelle Marche non vi erano buoni 17 dopo aver aggiunto alcol a 90°, occorre lasciarlo vini, ma tristissimi cotti (Garoglio- La nuova eno- riposare per diversi mesi prima di poterlo im- logia). Salvo poi spezzare una lancia a favore del bottigliare. “vino cotto et grande” di San Severino e di quello Il prodotto finito, anche se, come abbiamo visto, di Macerata (Orlandini – In difesa del vino cotto). non è un vero e proprio vino, non ha nulla da in- Quindi, nelle Marche del 1500, esistevano vini vidiare ai migliori vini da dessert. Con il suo cotti eccelsi accanto ad altri di infima qualità. Te- bouquet straordinariamente intenso, nel quale il stimonianze più recenti ci sono fornite da un ar- fruttato proprio del vino rosso si lega armonio- samente all’aroma delle visciole, il visner si sposa a meraviglia con il ciambellone e con i dolci secchi locali. Molti, ancora, lo preferiscono come “vino da meditazione”. Meditate gente… il vino cotto

Sempre per restare in tema di prodotti di difficile classificazione, eccoci al vino cotto. Le prime no- tizie sulla presenza di vino cotto nel Piceno risal- gono circa al 200 a.c., precedendo quindi di ticolo dell’Eco del Tronto del 23 dicembre 1868, qualche anno la regolamentazione comunitaria e che parla della tradizione picena di cuocere il vino nazionale sia in materia di prodotti vitivinicoli che per difenderlo dall’acidificazione, e dall’opuscolo di prodotti tipici e a denominazione di origine. “I vini cotti e l’enologia picena” pubblicato dal Probabilmente, gli antichi romani non si interes- Dott. Silvio Laureti della Cattedra ambulante del savano più di tanto al dibattito sulla natura mer- Circondario di Ascoli Piceno. Arriviamo infine ai ceologica di questo prodotto e sulla denomina- giorni nostri e registriamo, per questo prodotto, il- zione di vendita più consona ad esso. Nel 70 d.c. lustri menzioni come quelle che ne hanno fatto Plinio parlava dei vini dolci e, riferendosi ai cotti, Mario Soldati e Luigi Veronelli. ne esaltava le qualità dicendo che “hanno il sapor Oggi, dopo 2200 anni di storia, la situazione del loro e non quel del vino” e che sono “opera d’in- vino cotto non è delle migliori. Da un lato, il mer- gegno e non di natura, cuocendosi il cato di quello che, in nome della nor- mosto sin che è consumato il terzo mativa vigente, si dovrebbe chiamare della sua quantità”. Anche Virgilio “mosto concentrato a fuoco diretto” ci descrive la preparazione del vino è divenuto sommerso, potremmo dire cotto, soffermandosi sulla schiuma- semiclandestino, basato sul passapa- tura che veniva effettuata con un rola e sulla diretta conoscenza dei sin- ramo fogliato e precisando che la goli produttori. Dall’altro, bisogna concentrazione del mosto avveniva in prendere atto di come la qualità inco- un paiolo di rame. La presenza di vini stante di cui ci narrava Sante Lacerio cotti nella nostra Regione, in epoche esista ancora. Ed è un vero peccato, successive, è attestata dal bottigliere perché i migliori vini cotti hanno delle di Papa Paolo III Farnese, Sante Lacerio. caratteristiche organolettiche a dir poco 18 eccezionali, a prescindere dal fatto che possano o fa ridurre la quantità iniziale di mosto in una per- meno essere definiti vini. centuale variabile tra il 30 e il 50%. Se invece si La Regione Marche si impegna da anni per dare preferisce un prodotto più secco, basta ridurre op- un futuro a questo prodotto; tant’è, che oltre ad portunamente la durata della bollitura. A concen- averlo inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali trazione ultimata si versa il mosto nelle botti di ha previsto anche aiuti specifici per la sua produ- legno dove avverrà la fermentazione. Successiva- zione all’interno del Piano di Sviluppo Rurale ap- mente, al fine di eliminare il materiale feccioso, provato dalla Comunità Europea per il periodo possono essere effettuati uno o più travasi. L’in- 2000-2006. È stato inoltre finanziato uno speci- vecchiamento avviene in botti di piccole dimen- fico progetto all’Assam (Agenzia Servizi Settore sioni e dura almeno un anno, ma può protrarsi Agroalimentare delle Marche) finalizzato ad indi- anche molto più a lungo. È molto diffusa la pra- viduare standard igienico-sanitari ottimali, a de- tica del rimbocco che consiste nell’unire il vino finire i requisiti qualitativi del prodotto, ad cotto nuovo a quello degli anni precedenti. omogeneizzare le varie tecniche produttive at- Varie sono pertanto le tipologie di vino cotto, tualmente esistenti sul territorio e a redigere, ottenute con tecniche diverse da zona, par- infine, un disciplinare di produzione. Si è tendo da uve diverse. Qual è dunque il scelto quindi un percorso articolato e ri- vero vino cotto? Un raffronto tra diversi goroso per valorizzare questo prodotto e campioni di prodotto effettuato nel- farlo uscire dalla clandestinità, nella l’ambito dello studio finanziato dalla consapevolezza che il rilancio del vino Regione Marche, ci fornisce delle indi- cotto può avvenire solo in presenza di ele- cazioni piuttosto interessanti al ri- vati standard qualitativi e igienico-sanitari. guardo. Innanzitutto, è stato osser- La zona di produzione del vino cotto è molto vato che i profili sensoriali più gradevoli estesa e comprende gran parte delle province appartengono a quei prodotti per i quali di Macerata, Fermo ed Ascoli Piceno. Loro Pi- è stata praticata una concentrazione ceno, in particolare, che da quasi trent’anni or- non troppo spinta, (non superiore al 30- ganizza la Sagra del vino cotto, può esserne 35%). Per quanto riguarda invece la gra- considerata la patria. Attualmente, il vino cotto si dazione alcolica ideale, essa deve atte- prepara indifferentemente partendo da uve starsi tra i 12 e i 15 gradi. Il residuo zuccherino, bianche o da uve rosse. Il mosto si fa bollire len- infine, può oscillare tra il 10% e il 20%. La com- tamente in calderoni di rame anche se, recente- binazione di questi tre elementi è possibile solo se mente, si stanno effettuando anche delle prove in la gradazione zuccherina delle uve dalle quali si acciaio per verificare la possibilità di ottenere va- ottiene il prodotto è sufficientemente alta. lidi risultati coniugando tradizione e tecnologia. Rimane la parte più piacevole, quella degli abbi- Durante la bollitura, bisogna procedere continua- namenti a tavola. La versione secca viene, in ge- mente a “schiumare” il mosto, ad eliminare, cioè, nere, utilizzata come vino da pasto e gli accosta- quella schiuma superficiale costituita dalle so- menti con le pietanze varieranno a seconda del stanze proteiche rese insolubili dall’alta tempera- suo grado di concentrazione e del suo tenore al- tura. In questa fase, si determina una maggiore colico. La versione dolce, invece, è da considerare, concentrazione zuccherina e il mosto acquisisce a tutti gli effetti, un “vino da dessert”, perfetto note aromatiche caratteristiche. Si usa anche ag- con crostate, ciambelloni, biscotti e con i dolci ru- giungere, come aromatizzanti, delle mele co- stici della “bassa marca”. togne. Per ottenere il classico vino cotto dolce, si al dolce che al salato. Eccola dunque comparire 19 la sapa come condimento per ceci, fagioli o castagne op- pure sulla polenta. Così come è frequente ritrovarla La potremmo definire come una parente prossima nel ripieno di gustosi ravioli dolci, nei cavallucci e del vino cotto. In effetti, anche la sapa si ottiene come ingrediente di numerosi altri dolci sia nata- attraverso la concentrazione a fuoco diretto del lizi che del periodo di Carnevale. Ma la sapa è im- mosto, che in questo caso è molto più spinta in piegata anche in curiose bibite o granite. I nostri quanto si fa evaporare circa il 70-80% della quan- nonni di campagna, ne versavano un po’ nell’acqua tità iniziale di mosto. Un metodo empirico per fresca di pozzo e ne ottenevano una be- stabilire l’esatta durata della bollitura (di vanda che allo stesso tempo li dissetava e li media 10-12 ore) è quello di versare una tonificava durante i faticosi lavori estivi. I goccia di sapa su un’unghia; se non scorre bambini, invece, attendevano con impa- via, è segno che ha raggiunto la giusta den- zienza la prima neve, che veniva pressata sità. La sapa così ottenuta si presenta in un bicchiere nel quale poi si versava un come uno sciroppo dolcissimo, di colore po’ di sapa. variabile dall’ambrato al rosso-violaceo, Qualcuno potrebbe obiettare che una intenso odore di caramello e sapore mie- siffatta granita è più adatta al periodo lato, sapido e vellutato. Terminata la bolli- estivo e che, in fondo, sostituire la tura, il prodotto viene decantato e poi im- neve con un po’ di ghiaccio prelevato bottigliato in recipienti di vetro, dove può dal congelatore di casa nostra non sa- conservarsi anche per alcuni anni. Un rebbe poi così deplorevole. Con ogni tempo, la sapa veniva utilizzata principal- probabilità, chi pensa questo non ha mente, come il miele, in sostituzione dello mai provato l’emozione di guardare il zucchero che era assai raro. Era molto ap- cielo per ore in attesa del primo fiocco, prezzata, tuttavia anche nella prepara- di aspettare che lo strato di neve fosse zione di condimenti balsamici. Ludovico abbastanza alto da potervi scavare con Ariosto, ad esempio, la cita, mescolata all’a- un cucchiaio e di scegliere il punto più ceto, come condimento per le rape. Costanzo Felici, adatto dove trovare quella più pulita. Tutto questo vissuto a Piobbico nel Cinquecento, ci descrive, nel non prima di aver strappato alla “vergara” il con- suo ricettario, cipolle e carote cotte sotto la brace senso ad avere un po’ della preziosa sapa, da lei e condite con aceto e sapa. Un’antica ricetta con- tanto gelosamente custodita. siste nel mescolare, in una pentola, 100 grammi di Questa tradizione rivive ancora oggi durante la sapa e 120 grammi Sagra della sapa che si svolge, ogni anno, a Rosora, di aceto, fa- in provincia di Ancona. Nell’occasione, viene pro- cendo restrin- posto il gelato in coppa arricchito con un cucchiaio gere a bagnomaria di sapa. Nel maceratese, precisamente a Ripe San per circa mezz’ora. Il composto così ottenuto, aro- Ginesio, si rievoca, invece, nel mese di ottobre, la matizzato a piacere con timo, santoreggia ed erba tradizione dei fumi cotti (la cottura del mosto), con cipollina, è un appetitoso condimento da usare in la riscoperta di antiche ricette tradizionali. svariate ricette a base di carni e verdure. Ancora oggi, si usa la sapa per impreziosire le pie- tanze più disparate, abbinandola con una buona dose di fantasia e anche un pizzico di audacia, sia 20 mente, a freddo, lo sciroppo di zucchero in misura tre liquori variabile a seconda del grado di dolcezza deside- rato. Si procede quindi al filtraggio e, infine, al- marchigiani l’imbottigliamento. Oltre ad essere un ottimo di- gestivo, il mistrà è assai apprezzato come corre- Oltre al visner, al vino cotto e alla sapa, troviamo zione nel caffè. In campagna, nel periodo della altri tre prodotti iscritti nella sezione “bevande mietitura, era usanza dissetarsi aggiungendo analcoliche, distillati e liquori”. Si tratta del li- qualche goccia di mistrà all’acqua fresca del quore al cumino, del mistrà e della lacrima di pozzo. Questa bevanda corroborante veniva chia- spino nero. mata, nella zona di produzione del mistrà, com- Il primo, estremamente raro, è stato censito nella prendente le province di Macerata, Fermo e Ascoli zona di Ussita, all’estremo confine della provincia Piceno, “l’acqua de mète”. di Macerata con l’. Liquore trasparente, dal Bisogna invece spingersi più a nord, precisamente sapore dolce e vellutato e dall’elevata intensità ol- nel territorio della Comunità montana del Catria e fattiva, si ottiene dalla macerazione dei semi di del Cesano, per trovare il terzo liquore iscritto cumino ai quali si aggiunge uno sciroppo dolce. nell’elenco: il prunus di Valle Rea o Lacrima di Una volta amalgamato il tutto, il liquore viene fil- spino nero. È un liquore che si ottiene dalle trato e imbottigliato. Trascorse 2 settimane, il li- drupe del prugnolo (Prunus spinosa) e di altri quore al cumino, che nella zona è considerato un frutti di bosco alle quali si uniscono zucchero e ottimo digestivo, è pronto per il consumo. vernaccia rossa di Pergola, che abbiamo già in- Ben altra notorietà può vantare il mistrà, larga- contrato a proposito della preparazione del vi- mente conosciuto e apprezzato in tutta Italia, so- sner, al quale questo prodotto può essere assi- prattutto nelle regioni centrali. È un liquore all’a- milato per alcuni aspetti della preparazione. È nice più o meno dolce, di corpo, dal retrogusto una bevanda che normalmente ha una grada- secco e amaro, le cui origini sono antichissime. zione alcolica intorno ai 14° e che, servita fresca L’anice (Pimpinella anisum) era già utilizzato dagli ma non troppo, ben si accompagna con dolci al antichi egizi e dai babilonesi per via dei principi cioccolato, torroni e pasticceria secca galenici che contiene. Lo apprezzavano molto anche i Greci che, volendolo distinguere dalla ci- cuta con cui poteva essere confuso, lo chiamavano anisos (non uguale). Nelle Marche, le due date da ricordare per la produzione del mistrà, sono il 1868 e il 1870, con l’entrata in funzione di due impianti, situati rispettivamente a Pievebovigliana (MC) e ad Ascoli Piceno. Le due aziende sono ormai molto affermate nel settore e si sono spe- cializzate nella produzione di due diverse tipologie di prodotto: la prima produce un mistrà molto secco, mentre l’altra è famosa per una versione più dolce: l’anisetta. Nella preparazione del mistrà, si parte dai semi di anice ancora verdi che vengono fatti macerare per 40 giorni in alcol a 70°. Si aggiunge successiva- il maiale e la pista

UN MACABRO RITO Quando non esisteva ancora la televisione, l’ucci- sione del maiale era senz’altro qualcosa di assolu- tamente sconvolgente nella quotidianità dei bam- bini di un tempo. Ai più piccini veniva sovente ri- sparmiato uno spettacolo così cruento mentre i più grandicelli aspettavano con trepidazione questo appuntamento annuale per verificare se il proprio coraggio era aumentato rispetto all’anno prece- dente e a volte si misuravano con i loro coetanei per vedere chi era in grado di assistere più a lungo e più da vicino a questo rito tanto crudele quanto affascinante. Se ne cominciava a parlare già qualche giorno prima poiché bisognava aspettare una giornata sufficientemente fredda da tenere lontane le insi- diose mosche che se solo avessero deposto le uova nei prosciutti avrebbero portato alla perdita della parte più preziosa del maiale. Bisognava poi accor- prosciutto lardo del darsi con i vicini perché, come la maggior parte dei di Carpegna lavori di campagna, anche per uccidere il maiale e Montefeltro per lavorarne le carni si formava una squadra, composta dai membri di più famiglie confinanti, che si spostava poi di casa in casa. Altre operazioni salame di preparatorie erano quelle di portare ad affilare i Frattula coltelli dall’arrotino qualche giorno prima e di pre- parare le budella per insaccare i salumi. In quei giorni circolavano in casa anche prodotti che non si salame di Fabriano vedevano per tutto il resto dell’anno quali i pinoli e ciauscolo l’uvetta oltre che grandi quantità di pepe nero in grani. Quando tutto era pronto e le condizioni cli- salsiccia matiche erano ottimali, si accendeva un grande di fegato fuoco e si metteva a bollire l’acqua per “pelare” il maiale in un calderone di rame. Il rito annuale era già iniziato. Oggi, con la normativa sul benessere ciauscolo degli animali, simili efferatezze non sono più pos- sibili e l’agonia del maiale è assai più breve. È importante sottolineare quest’aspetto perché sa- rebbe sbagliato pensare che ciò che appartiene al passato sia tutto da riproporre tal quale; i progressi 22 siano essi tecnologici o semplicemente normativi si svol- come in questo caso fanno parte anch’essi della gevano storia delle nostre produzioni tradizionali e, se ri- altre opera- spettosi delle caratteristiche peculiari di ciascun zioni prodotto e dell’ambiente in cui esso viene ottenuto, collate- sono senz’altro da accogliere positivamente. rali che Semmai si può avere nostalgia di un tempo in cui permette- la sofferenza e la morte erano ancora viste con il vano di utilizzare tutte le parti del giusto rispetto e non erano considerate semplice maiale. routine o come una fase di un processo produttivo. Il sangue veniva raccolto e cucinato Ma questo esula dall’ambito prettamente produt- in padella con cipolla, olio e erbe tivo e attiene maggiormente agli aspetti sociali, aromatiche, oppure usato etici e culturali della nostra civiltà contadina. per la preparazione di un dolce. Sì, DEL MAIALE NON SI BUTTAVA PROPRIO NULLA avete letto bene, proprio un dolce: il migliaccio. Si Dopo la mattazione, il maiale veniva sezionato in tratta di un dolce diffuso un po’ su tutto il terri- due mezzene che si lasciavano frollare per un paio torio regionale soprattutto nelle zone interne. di giorni, finché le carni non erano pronte per es- Piatto decisamente povero che caratterizzava una sere lavorate. La lavorazione delle carni e la pre- tradizione contadina e montanara che sapeva ri- parazione degli insaccati è conosciuta nel nostro cavare piatti nutrienti e gustosi anche dalle parti dialetto con il nome di “pista” e dà origine nella meno nobili del maiale. Il nome deriva dal miglio Marche ad una moltitudine di prodotti, alcuni dei che storicamente veniva usato assai prima della quali godono di una notorietà straordinaria; altri, coltivazione del mais per la preparazione della po- invece, sono conosciuti solo a livello locale; altri lenta e anche del pane. Oggi il migliaccio non si ancora sono relegati ad un consumo poco più che prepara più con la farina di miglio ma si usa co- familiare. Ma, attorno alla “pista” vera e propria, munemente del pane grattugiato; tuttavia il nome è ormai consolidato e pertanto continueremo a Un altro esempio classico di come del maiale si 23 chiamarlo così. Con il tempo si è anche arricchito utilizzi davvero tutto è rappresentato dalla coppa di qualche ingrediente tanto che oggi definirlo di testa, conosciuta anche come tortella. L’ingre- povero sembra poco appropriato in quanto, con diente base è costituito, come dice il nome, dalla qualche variante, possiamo trovare al suo interno: testa del maiale che si fa bollire per almeno tre latte, uova, zucchero, miele, cioccolata fondente, ore con la sola aggiunta di sale e di altre parti, ot- alchermes, chicchi di caffè, cannella, noce mo- tenute dalla macellazione del suino: ossa, orec- scata, buccia di arancia e di limone, mandorle, chie, codino, zampetti e altre ancora, siano esse nocciole, burro ecc… sanguigne e rosse che cartilaginose. Dopo la cot- Anche il grasso del maiale godeva della massima tura, le carni vengono disossate, sminuzzate e im- considerazione in un periodo in cui non si faceva pastate rigorosamente a mano. L’impasto viene in- ancora troppo caso alla linea. Si faceva bollire per saporito con pepe, olive verdi, bucce d’arancio, mi- 2-3 ore in un caldaio di strà, mandorle, pi- rame e si filtrava poi stacchi e pinoli e attraverso un panno o aromi variabili a se- un sacco di tela in conda del gusto del modo da separare la norcino (di frequente parte liquida da quella si utilizza l’alloro). Il solida. La parte liquida, composto viene una volta raffreddata, quindi raccolto in un costituiva lo strutto; il panno e pressato per condimento di gran 10-12 ore. Il prodotto lunga più usato sia finito si presenta nella nella cucina quotidiana tradizionale forma a sia come ingrediente mattone anche se per i dolci sia come oggi è sempre più dif- grasso per la frittura fusa la forma cilin- (curiosa l’abitudine di utilizzare come “recipiente” drica. Se poi anche la coppa vi sembra un cibo per la sua conservazione la vescica del maiale troppo raffinato, eccovi accontentati. Ultimata la nella quale veniva versato prima di solidificare). “pista”, infatti, per quanta buona volontà si fosse La parte solida, invece, rimaneva sul panno che profusa nell’utilizzare con parsimonia tutta la veniva attorcigliato alle estremità e successiva- carne utilizzabile per la preparazione di insaccati mente pressato più volte con apposite “ganasce” più o meno nobili, rimanevano comunque le carni di legno per favorire la fuoriuscita della restante più sanguinolente, i pezzi di polmone e di reni, gli parte grassa liquida. A questo punto il contenuto intestini, i nervetti, la lingua e altro ancora. Niente del panno veniva condito con sale, pepe e alloro e paura, tutto ciò troverà posto, opportunamente fatto raffreddare a temperatura ambiente. Ecco a conciato con sale, pepe, aglio e altri aromi diversi a voi i cicoli, detti anche ciccioli o, nel maceratese, seconda della zona di produzione, in un ultimo in- sgrisciuli. Di aspetto asciutto e granuloso, questi saccato: il mazzafegato, altrimenti conosciuto piccoli grumi di carne di colore bruno dorato sono come salsiccia matta. Un salume dal sapore deciso ottimi da gustare tal quali o anche particolar- che va consumato fresco in quanto non è adatto ad mente indicati per insaporire schiacciate salate e una lunga conservazione ed è ancora diffuso, sia cresce. pur limitatamente, in diverse zone della regione. 24 E che dire, infine, dei ciarimboli? In pratica budello Da maiali allevati nella zona, si ottiene il coscio di suino bollito, condito ed essiccato. Manco a che viene massaggiato ed aromatizzato con pepe dirlo, si utilizzano le budella che avanzano dopo ed altri aromi per facilitare l’uscita del sangue e aver insaccato tutti i salumi. Vengono rivoltate, la- dell’acqua. Il prosciutto viene quindi messo sotto vate con acqua e aceto, lasciate a mollo per una sale per 20-30 giorni su appositi sgocciolatoi op- notte e quindi bollite con aceto, alloro, un pizzico portunamente inclinati. Rimosso il sale, si lava con di basilico e un pezzetto di buccia d’arancia. Una acqua calda e si mette ad asciugare prima di pas- volta scolate, si condiscono con aglio, pepe, sale, sare alla fase successiva in cui il prosciutto viene semi di finocchio e si mettono a seccare vicino al abbondantemente bagnato nel vino cotto e aro- fuoco per almeno tre giorni, dopodiché i ciarimboli matizzato con aglio, alloro, zucchero e rosmarino. sono pronti per il consumo. A questo punto, il prosciutto viene nuovamente cosparso di pepe e fatto affumicare per tre mesi. Le vecchie case di campagna della zona disponevano la parte nobile di apposite nicchie che si trovavano direttamente in comunicazione con la canna fumaria del ca- del maiale mino. Dopo l’affumicatura il prosciutto deve subire una lunga stagionatura da uno a tre anni in tradi- Dopo questi esempi di “ingegneria norcina” che ci zionali sacchi di tela o in panni di lino o di cotone. hanno per un attimo fatto assaporare quella cul- Quindi un procedimento lungo e paziente che ci ri- tura contadina del non buttare nulla del riciclare porta ad epoche in cui non si andava sempre di qualsiasi genere commestibile così lontana da fretta, in cui si rispettavano i ritmi della quella attuale che, in nome del PIL, ci spinge con- natura e il tempo e l’esperienza tinuamente allo spreco, passiamo ora a trattare i erano considerati ingredienti prodotti più nobili della lavorazione del suino. E, se fondamentali per la buona ri- parliamo di nobiltà, non possiamo non partire dal uscita di qualsiasi prodotto prosciutto. Si potrebbe parlare del Prosciutto di al pari delle altre ma- Carpegna, il primo prodotto a base di carne delle terie prime. Marche a fregiarsi della prestigiosa denomina- zione di origine protetta (DOP) che da anni fa par- lare marchigiano i buongustai di vari paesi: dal Nord Europa agli Stati Uniti, fino all’estremo oriente. Oppure del Prosciutto delle Marche, che attraverso la ripetizione di metodiche collau- date da secoli e tramandate di generazione in generazione è sicuramente uno dei pro- dotti di punta della norcineria marchi- giana. Vogliamo invece soffermarci su un prodotto, sicuramente meno noto ma ve- ramente unico. È il Prosciutto aromatiz- zato del Montefeltro: un prodotto partico- larissimo che ci porta nell’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino, nell’antica terra dei Montefeltro da cui prende, appunto, il nome. il patè? qui si 25 chiama ciauscolo

Un altro “gioiello di famiglia” della norci- neria marchigiana è sicuramente rappresen- tato dal ciauscolo, detto anche ciavuscolo o ciabuscolo. La caratteristica che rende questo suini prodotto immediatamente riconoscibile dagli alle- altri salumi è senza dubbio la sua spalmabilità. vati con me- In molti lo paragonano, per questo, proprio ad todi tradizionali sulle colline un paté; un paté straordinariamente gustoso che separano il Cesano dal Nevola. ma anche di un’insospettabile freschezza in Il salame lardellato, stagionato non meno di 2-3 quanto il ciauscolo richiede una stagionatura mesi, è diffuso anche in provincia di Ascoli Piceno molto più breve rispetto agli altri salumi. È per- dove, nelle zone dove non si produce il ciauscolo, tanto il primo prodotto della “pista” ad essere si consuma abbondantemente la salsiccia. Que- consumato e di conseguenza il primo a termi- st’ultima è ottima sia fresca, magari accompa- nare. Per gustarne appieno le caratteristiche, gnata con una bruschetta condita con un po’ di questo prodotto va infatti consumato nei pri- sale e olio extravergine di oliva locale, oppure es- missimi mesi dell’anno. Tradizione vuole che, siccata o, ancora, conservata sott’olio. La salsiccia per la colazione della mattina di Pasqua, si af- è presente, oltre che nell’ascolano, anche in altre fetti il primo salame lardellato da gustare in- zone del territorio regionale, mentre, caratteri- sieme alla tradizionale Pizza di Pasqua al for- stica di questa provincia, con qualche sconfina- maggio. Confini temporali quindi, ma anche mento nel maceratese, è la salsiccia di fegato. confini geografici per questo prodotto che Ma torniamo al nostro paté, pardon ciauscolo. trova la maggior diffusione nella provincia di Singolare anche nel nome, che sembrerebbe es- Macerata ed è presente nella parte meridio- sere un diminutivo latino di “cibo”. Alcuni termini nale della provincia di Ancona e in alcune zone dialettali con i quali si usava designare tradizio- del fermano e dell’ascolano, soprattutto nel nalmente questo prodotto, quali “ciabusco”, “ci- comprensorio dei Monti Sibillini. vuscolo” o “cibbusco”, sarebbero infatti la corru- Nell’anconetano, il ciauscolo si presenta legger- zione del latino “cibusculum”, ovvero piccolo cibo. mente più magro e meno spalmabile fino ad evol- Un insaccato, quindi, da consumare al di fuori dai vere nel salame di soprassato detto anche comu- pasti principali, per uno spuntino o una merenda, nemente soppressato, che si fa stagionare gene- l’ideale per gli allevatori itineranti o transumanti ralmente da uno a tre mesi. Ma, a caratterizzare un tempo molto numerosi nelle Marche. la provincia di Ancona, sono soprattutto i sa- Il cronista ottocentesco Francesco Pro- lami lardellati tra cui spiccano il caccini, nel suo diario manoscritto celeberrimo Salame di Fa- “Miscellanea veritas” ci tra- briano che tratteremo a manda con incredibile minu- parte, e il rarissimo Sa- ziosità una serie di informa- lame di Frattula, pro- zioni sugli usi e costumi lo- dotto con le carni dei 26 cali, tra cui i prezzi di vendita dei generi comme- fine. Si aggiungono quindi, oltre al sale e al pepe, stibili commercializzati sulla piazza di Montenovo anche aglio e vino bianco. L’insaccatura si ef- (oggi Ostra Vetere) nel periodo che va dal 1815 al fettua tradizionalmente in budello naturale, pre- 1840. Troviamo quindi, in questo periodo, i prezzi cedentemente dissalato, disinfettato e aromatiz- dei ciauscoli, indicati indifferentemente come zato, con legature alle estremità (è stato riscon- Cciabuscoli (con la doppia “c” iniziale) o come cia- tato anche il ricorso a più legature). La pezzatura buschi. Ciabuschi è, tra l’altro, un cognome relati- media del ciauscolo va da mezzo chilo ad un chilo vamente diffuso nell’area esino-fabrianese, a te- e la lunghezza si aggira intorno ai 30 centimetri. stimonianza della presenza storica del ciauscolo Il prodotto insaccato, una volta asciugato, viene anche in questa zona, che rappresenta l’estremo sottoposto ad una breve stagionatura, co- confine settentrionale della sua produzione. munque non inferiore a 15 giorni, in locali con Un’altra testimonianza, consistente in una rice- temperatura compresa tra 10° e 16°. In alcuni vuta rilasciata da un “pistarolo” o mazzarino” al casi si effettua anche l’affumicatura in apposite Conte Pietro Bonarelli nel 1801, disponibile presso vasche. l’archivio storico di famiglia a Sappanico di An- Il ciauscolo è uno dei prodotti per i quali è stata ri- cona, dimostra la presenza del prodotto anche a chiesta la registrazione comunitaria come IGP nel- pochi chilometri dalla costa. Ma i risultati migliori l’intento di tutelare e promuovere uno dei prodotti si hanno nelle zone montane e collinari dove la che meglio rappresenta la tradizione rurale mar- combinazione di basse temperature e di tassi di chigiana. umidità non troppo elevati consente di prolungare il periodo di produzione di questo prodotto che, più di altri, risente della stagionalità. tra i salami, sulle Ma il clima, da solo, non basta; per fare un buon ciauscolo, bisogna innanzitutto fare attenzione orme di Garibaldi alla scelta delle carni, che devono essere di prima qualità e devono derivare dalla spalla, dalla pan- Probabilmente l’unità d’Italia si sarebbe fatta cetta, dal prosciutto e dal lombo, con aggiunta di anche senza il Salame di Fabriano; tuttavia è do- lardo e di carni provenienti da altri tagli minori. cumentato come questo salume abbia contribuito Grande importanza riveste quindi il grasso che a dare un po’ di sollievo all’eroe dei due mondi al- deve essere sempre sodo e bianco. Va pertanto pre- lorché vecchio, ammalato e ridotto in povertà, tra- stata un’attenzione particolare all’alimentazione scorreva i suoli ultimi anni nell’isola di Caprera. A del maiale, che dev’essere il più possibile tradizio- fargli omaggio dei pregiati salumi era stato un suo nale e non contenere mangimi che pos- caro amico fabrianese, un certo Benigno Bigon- sano conferire odori sgra- zetti, come testimonia una lettera di ringrazia- devoli al grasso o alterarne mento del 23 aprile 1881, in cui è ancora il colore o, ancora, abbas- visibile il timbro postale de La sarne il punto di fu- Maddalena, indirizza- sione. tagli dallo stesso Le carni vanno Garibaldi. Ma il macinate più salame di Fa- volte poiché briano era co- l’impasto de- nosciuto ed ap- v’essere molto prezzato già molto tempo prima; tant’è che se andiamo a sfo- non sale e pepe quanto basta e tanta, tanta 27 gliare i libri delle tariffe conservati presso l’ar- esperienza, tramandata di generazione in ge- chivio storico del Comune di Fabriano, pos- nerazione. Il resto lo fa il tempo. Niente stagio- siamo osservare come il salame avesse una nature a tempo di record per il Salame di Fa- quotazione addirittura superiore a quella del briano che ha bisogno di qualche mese per prosciutto. Nel 1692, una “libra” di salame era esprimere tutte le proprie potenzialità. Per con- quotata 42 quattrini rispetto ai 32 del pro- cludere, una notizia bella ma solo in parte: il sciutto vecchio e ai 28 del prosciutto nuovo. Salame di Fabriano fa parte del primo gruppo di Nel 1782, il divario era aumentato essendo presidi istituiti da Slow Food (6 in tutte le passato il salame a 60 quattrini la “libra” e il Marche). Da un lato è una notizia che fa sicu- prosciutto vecchio rimasto pressoché stabile a ramente piacere in quanto attesta la grande re- 33. Nel 1780, il salame ha un valore esatta- putazione di cui gode questo prodotto e può mente doppio a quello del prosciutto vecchio: contribuire sicuramente alla salvaguardia ed al 80 quattrini contro 40. Il perché di tanta noto- rilancio di questo prodotto. Se però andiamo a rietà va ricercato nello straordinario gusto del esaminare i criteri in base ai quali sono stati Salame di Fabriano; un gusto che ci viene di- istituiti i presidi, dobbiamo prendere atto di rettamente dalla natura. Il vero Salame di Fa- una triste realtà: il Salame di Fabriano è consi- briano non conosce infatti, ancora oggi, addi- derato a rischio di estinzione. Questo potrà tivi chimici e rispetta in pieno il naturale sus- stupire i consumatori meno attenti in quanto il seguirsi delle stagioni tant’è che viene prodotto Salame “tipo Fabriano” è uno dei prodotti più essenzialmente nei mesi di dicembre e gennaio presenti e più venduti nei banconi dei super- per arrivare, al più tardi ai mesi di marzo e mercati. Ma il salame di Fabriano è un’altra aprile. La particolarità di questo salume sta cosa e c’è solo da auspicare che i pochi produt- nella coesistenza, nella fetta, di una parte tori rimasti prendano coscienza della necessità magra dal colore rosso rubino e di cubetti di di unirsi per tutelare insieme il loro prodotto, grasso (i lardelli) di 5-7 mm di lato. Sia la fra- richiedendone la registrazione come DOP o IGP. zione magra che i lardelli sono piuttosto com- patti e fanno in modo che la fetta risulti poco elastica. Il magro per essere idoneo alla lavora- ancora sul maiale zione del Salame di Fabriano deve provenire da carni scelte accuratamente dal prosciutto e Ma non finisce qui. Nell’elenco dei prodotti tra- dalla spalla del suino. Va quindi macinato dizionali, sono infatti ben 22 i prodotti che si ri- molto finemente per 3 o 4 volte. I lardelli pro- cavano dal maiale, alcuni presenti in tutta la re- vengono ovviamente dal lardo del maiale e gione, altri più localizzati, altri ancora estrema- hanno una particolare importanza in quanto la mente rari. parte grassa è quella che più risente di una Uno di quelli diffusi su tutto il territorio regio- buona o cattiva alimentazione del suino. nale è la pancetta arrotolata. Lunga 30-40 cen- Quindi la qualità del Salame di Fabriano inizia timetri, si presenta nella classica forma cilin- molto prima della lavorazione delle carni; po- drica con un diametro di circa 10 centimetri. tremmo dire che dipende dallo “stile di vita” del Mentre la affettiamo, possiamo renderci conto maiale; questo proprio a causa dell’estrema na- facilmente del perché viene chiamata in questo turalità del prodotto per il quale non si può ba- modo. L’arrotolamento delle carni, infatti, fa sì rare in quanto nulla si aggiunge alle carni se che la parte magra di colore rosso vivo e la parte 28 grassa di colore bianco, conferiscano alla mente tenuta a bagno in acqua fredda fetta un tipico disegno a spirale. Prima di per renderla più morbida. Si passa essere consumata, è sottoposta ad una quindi a preparare degli spiedini in- stagionatura di almeno quattro mesi. filzando in un rametto di alloro i Procedendo in ordine sparso, troviamo poi la tocchetti di fegato alternandoli a barbaglia, o goletta, ricavata dal guanciale. foglie di alloro. Gli spiedini pos- Si tratta di una sorta di pancetta arrotolata, sono essere cotti sia alle brace che molto più grassa ma anche molto più gustosa al forno, dopodiché possono es- (sempre che il grasso sia di ottima di qualità, sere consumati subito oppure come abbiamo già visto a proposito del ciau- conservati. Per la conservazione, scolo e del Salame di Fabriano). A detta dei cul- che può durare anche tutto l’in- tori della cucina tradizionale, è un ingrediente verno, si usa metterli in barattoli di vetro o di ter- insostituibile nell’amatriciana. Ma la massima racotta, completamente ricoperti di strutto. Per attestazione di nobiltà per la parte grassa del concludere, infine, chi non ha mai assaggiato una maiale, la riscontriamo in provincia di Pesaro e Ur- saporita e croccante porchetta cotta nel forno a bino, dove si produce una vera prelibatezza: il legna? Ogni borgo, ogni paese, ha una sua ricetta lardo del Montefeltro, che viene consumato sia “segreta” e tantissimi sono gli esti- allo stato naturale che conservato in salamoia. matori di questo prodotto Altre due specialità marchigiane a base di carne di da annoverare, maiale sono rappresentate dalla lonza (localmente senza dubbio, conosciuta come capocollo o scalmarita) e dal tra i più ca- lonzino (altrimenti detto capolombo). La diffe- ratteristici e renza tra lonza e lonzino è data non dalle loro di- qualificanti mensioni come si potrebbe pensare erroneamente, del nostro terri- bensì dalle carni utilizzate (muscoli cervicali supe- torio. riori nella prima, muscoli della lombata nel se- condo). Nella lonza, inoltre, la parte grassa e quella magra sono alternate e conferiscono alla le carni fresche fetta un aspetto variegato, mentre nel lonzino le due frazioni sono ben separate. Oltre che per i prodotti trasformati, le Marche si Un altro prodotto molto particolare è la spalletta, fanno apprezzare anche per le carni fresche, delle ricavata dalla spalla del maiale, che rappresentava quali è possibile trovare diversi esempi molto inte- il prosciutto dei poveri in quanto destinata al con- ressanti. Si tratta di prodotti che devono la loro sumo familiare delle nostre antiche famiglie con- specificità essenzialmente alle tecniche di alleva- tadine, mentre era consuetudine che il prosciutto mento utilizzate, nelle quali si conciliano la neces- vero e proprio venisse barattato con il maiale da sità di adeguarsi alle moderne esigenze produttive allevare per l’anno successivo. con l’attenzione alla qualità delle carni e al ri- Saltando di palo in frasca, ecco un gustoso pro- spetto delle condizioni di vita degli animali. dotto a base di fegato di maiale: i fegatelli, per la Tra questi, il prodotto che meglio si identifica con cui preparazione si procede così. Si taglia il fegato la nostra regione è senz’altro la carne della razza di maiale a tocchetti che vengono cosparsi abbon- Bovina marchigiana, presente su tutto il territorio dantemente di sale e pepe ed avvolti uno ad uno regionale con prevalenza nelle zone interne. Una nella rete di maiale, che sarà stata preventiva- carne magra, succulenta e consistente alla masti- cazione, che sa farsi apprezzare ben al di là dei no- dellino, ingrediente fondamentale della famosa 29 stri confini. Oltre che per tagli di carne fresca da coratella che, in padella con cipolla o pomodoro, consumare lessa, arrosto, brasata, in umido o alla o con le uova in gustosissime frittate, spicca nei griglia, si presta per preparare ragù, involtini, pol- menù di molti ristoranti e trattorie delle nostre pette ecc… La marchigiana rientra, insieme ad zone interne. altre 4 razze bianche, nell’IGP (indicazione geo- Più circoscritta è invece la diffusione di un altro grafica protetta) del “Vitellone bianco dell’Appen- tipo di carne, ancora relativamente rara sulle no- nino centrale”. Viene generalmente allevata allo stre tavole anche se, vuoi per il gusto particolare, stato brado o semibrado, in stalle libere oppure a vuoi per le caratteristiche nutrizionali eccellenti, stabulazione fissa. trova continuamente nuovi estimatori. È la carne Caratteristica delle zone montane del maceratese di Cavallo del Catria, una razza originaria dell’o- e dell’ascolano, è invece la Pecora sopravvissana, monimo gruppo montuoso. Il Cavallo del Catria di- una razza ottenuta, nel XVIII secolo, da un incrocio scende dai cavalli originariamente utilizzati per il tra arieti merinos e pecore vissane. Taglia media, lavoro, tiro leggero o sella ed è inserito nel registro vello bianco, testa corta e tozza e corna a spirale, anagrafico delle popolazioni equine riconducibili a presenti solo nei maschi, sono alcune delle carat- gruppi etnici locali. Nella maggior parte delle teristiche distintive di questa pecora aziende, l’allevamento è finalizzato alla produ- a duplice attitudine zione di puledri che vengono macellati ad un’età (carne e lana). Anche variabile tra i 6 ed i 18-20 mesi. La carne, molto il suo latte è eccellente, apprezzata nella zona, si presta anche alla produ- pur se prodotto in quan- zione di insaccati e prodotti conservati. tità modesta. La Ma le Marche sono note anche per i cosiddetti carne si presenta di animali di bassa corte. L’allevamento avicolo, in colore rosa chiaro, di so- particolare, conta ben tre rappresentanti nell’e- lida consistenza musco- lenco regionale dei prodotti tradizionali: il Cap- lare con moderata pre- pone rustico, il Gallo ruspante e il Tacchino senza di grasso. bronzato. Si tratta di animali che caratterizzavano L’allevamento degli animali è preva- le nostre aie e dei quali si cerca anche nelle mo- lentemente a pascolo brado per la mag- derne forme di allevamento, di salvaguardare le gior parte dell’anno. Nel periodo invernale, caratteristiche tradizionali, soprattutto per quanto la razione alimentare è integrata con cereali, riguarda la consistenza, l’aroma e il sapore delle legumi e foraggi essiccati. Gli agnelli si alimen- carni. Una particolare attenzione viene rivolta tano con latte materno e, al raggiungimento del all’alimentazione che deve essere basata essen- peso di 10-12 kg, possono venire utilizzati per la zialmente sui cereali (con una significativa pre- produzione del classico “abbacchio” oppure pos- senza di erba medica per il Tacchino bronzato), sono essere venduti, successivamente, al peso di alla densità degli animali che non deve mai es- 20-25 kg, all’età di 2 o 3 mesi. La carne della pe- sere eccessiva e al rispetto dei tempi naturali di cora adulta è invece impiegata nell’uso di piatti crescita. Per il Gallo ruspante è stata anche ri- “forti” tipici della tradizione pastorale. Le carni di chiesta la protezione comunitaria come “Specia- questa razza, come anche di altre presenti nell’alto lità tradizionale garantita”. maceratese, sono utilizzate anche per la prepara- zione del curioso salame di pecora. Un altro pro- dotto tradizionale, sempre di origine ovina, è il bu- filetti di trota affumicati

La trota Fario trova un habitat ideale nelle acque fredde e correnti del comprensorio di Visso, dove nasce il fiume Nera. In questa zona, è molto diffuso l’allevamento della trota che viene largamente consumata come prodotto fresco, oltre che in questa particolare preparazione. Il peso ideale per il consumo viene raggiunto tra i due anni e mezzo e i tre anni. Per preparare i filetti di trota affumicati, si prendono i filetti e si lavano con acqua alla quale si aggiunge aceto o limone. Dopo 4-5 giorni di salamoia con aggiunta di es- senze odorose, vengono esposti all’aria per qualche giorno e successivamente vengono affumicati. Il prodotto va conservato in luogo fresco e asciutto. Attualmente è assai diffusa la tecnica del sotto vuoto che permette di conservare a lungo il pro- dotto senza influire sulle sue caratteristiche orga- nolettiche.

trota Fario conserva di pomodori

Fino a non molto tempo fa, quasi tutte le famiglie producevano e confezionavano in casa la conserva di pomodori per tutto l’anno. Si utilizzavano i po- modori più maturi, generalmente del tipo San Mar- zano che, una volta lavati accuratamente, venivano prima ben scolati e poi tagliati in pezzi. A questo punto venivano passati più volte fino ad ottenere una salsa semiliquida. La salsa veniva imbottigliata e le bottiglie, chiuse ermeticamente, venivano fatte bollire per circa 30 minuti avvolte in sacchi di juta e fogli di giornale per evitare la rottura. Era fre- quente l’aggiunta di un trito di sedano, carota e ci- polla o di una foglia di basilico. Queste stesse pro- cedure vengono ripetute perfettamente immutate ancora oggi anche se la tradizione di “farsi la con- serva in casa” è assai meno diffusa di un tempo. È curioso osservare come vengano utilizzate le botti- glie più disparate che vengono accantonate du- rante l’anno proprio per riporvi la conserva. È pos- sibile trovare le une vicine alle altre, bottiglie di birra, di succhi di frutta o delle bibite più svariate, pasta di dimensioni più grandi o più piccole, in modo da di tartufo avere a disposizione la quantità di conserva neces- bianco saria in base al numero dei commensali. Esiste anche una variante della conserva, ormai salamora quasi in disuso, in cui i pomodori a pezzi vengono di Belvedere fatti bollire per diverse ore, passati al setaccio e poi fatti bollire ancora. La salsa così ottenuta viene fatta asciugare per diversi giorni su una spianatoia e quindi modellata in panetti che vengono lasciati conserva essiccare al sole. I panetti si ungono quindi con olio di d’oliva e si avvolgono nella carta oleata. Tradizio- pomodori nalmente, i panetti venivano conservati in brocche o pigne di coccio che si esponevano (spandevano) sulla via principale del paese e formavano la cosid- detta “spasa”. 32 consistenza morbida e molto granulosa, mantiene paste, salse il colore verde tipico delle olive e sorprende, ad un primo assaggio, per una leggera presenza di aceto e salamore che, insieme all’alloro, ai semi di finocchio, all’a- glio e all’olio entra a far parte della composizione Scorrendo la lista dei prodotti tradizionali delle di questa gustosa salsa che possiamo assaporare Marche, ci imbattiamo in tre condimenti assai negli abbinamenti più fantasiosi. La preparazione diversi tra loro ma tutti e tre estremamente in- è molto semplice. teressanti. Il primo è la Pasta di tartufo bianco, Le olive, raccolte nel mese di novembre, vengono originaria della Provincia di Pesaro e Urbino, in conciate in salamoia al 7% di salinità con foglie di particolare del territorio delle Comunità Mon- alloro, semi di finocchio ed aglio. Una volta tolte tane dell’Alta Valmarecchia, del Montefeltro, del dalla salamoia, vengono snocciolate e la polpa Catria e del Nerone e dell’Alto e Medio Metauro. viene schiacciata fino a diventare una pasta alla Un tempo, questo condimento veniva preparato quale si aggiungono olio, aceto e una piccola essenzialmente in casa o in qualche ristorante quantità di aglio. Il prodotto finito viene quindi in- tipico, mentre oggi la pasta di tartufo bianco è vasettato in barattoli di vetro nei quali viene abi- prodotta anche su scala industriale ed ha rag- tualmente commercializzato. giunto una diffusione ed una notorietà eccezio- La Salamora di Belvedere, infine, ci porta a cono- nali. Ottima sulle tartine o sui crostini, arric- scere le tranquille colline di Belvedere Ostrense e chisce le pietanze più svariate in alternativa o in dei comuni circostanti. In questa zona, nel periodo aggiunta al tartufo fresco. Ma, attenzione all’etichetta perché la qualità del prodotto finale dipende essenzialmente dalla qua- lità della materia prima utilizzata ed è noto che in fatto di tartufi esistono in commercio i prodotti più svariati, provenienti da tutte le parti del mondo, con differenze di qualità e di prezzo enormi. La vera pasta di tartufo bianco deve essere l’esaltazione della semplicità in quanto è com- posta solo da Tuber magnatum Pico, olio (meglio se extravergine di oliva), sale e pepe senza l’ag- autunnale, si prepara un condimento che si ot- giunta di aromi e additivi di alcun tipo. Consape- tiene facendo macerare, nell’olio novello, le parti vole della necessità di fare chiarezza e di garantire verdi del finocchio selvatico privato di fiori e semi, il consumatore sulla qualità di ciò che acquista, la bucce di arancio e alcuni spicchi di aglio. Dopo Regione Marche ha approvato un’apposita legge circa un mese, si separano dall’olio, l’aglio, le per rendere trasparente, oltre al barattolo di vetro bucce d’arancio e, dopo averlo strizzato, anche il che contiene la salsa, anche l’etichetta, la quale finocchio. La salamora viene quindi versata in ap- deve consentire di individuare in modo inequivo- positi contenitori di vetro e conservata fino all’au- cabile la materia prima utilizzata e la sua prove- tunno successivo. È un prodotto tipico della tradi- nienza. zione contadina, spesso utilizzato in occasioni im- Grosso modo dallo stesso areale, proviene la Salsa portanti della vita di campagna quali la battitura, di olive, peraltro diffusa, con qualche variazione, oppure nei giorni di festa. Il connubio ideale? Con anche in altre zone della regione. Il prodotto, di il coniglio in porchetta. l’olio de Marchia

Da una pianta preziosa, che arricchisce e caratte- rizza un paesaggio agrario di rara bellezza, come quello marchigiano, un prodotto ancora più pre- zioso in grado di arricchire ogni pietanza: l’olio d’oliva (è sottinteso che stiamo parlando dell’ex- travergine). E c’è da dire che quello marchigiano ha sempre goduto di una reputazione invidiabile. Scrive il Muratori nelle sue “Antichità d’Italia del Medio Evo” che nel 1228, le navi marchigiane che approdavano sulla riva del Po a Ferrara pagavano un pedaggio, il “ripatico”, pari a 25 libbre d’olio e che a questo olio veniva conferito un valore su- periore a quello degli oli provenienti da altre re- gioni. Anche i Veneziani apprezzavano “l’olio de Marchia” che veniva separato dagli altri per es- sere rivenduto ad un prezzo superiore in virtù del colore e del sapore, come si legge nei capitolari dell’arte dei “Ternieri” di Venezia redatti nel 1263. Giungendo all’anno 1347 scopriamo che le Marche esportano 2.500 orci di olio d’oliva ai la- naioli fiorentini e, se permettete, esportare olio in Toscana è di per sé una garanzia di qualità non da tutti. Ancora alla fine del 1500 si ha notizia di esportazioni tant’è che Botero, nelle sue raggiola “Relazioni Universali”, scrive che “La Marca abbonda di grani, olio e vino e ne raggia manda copia grande fora”. Altre mignola notizie di esportazioni coroncina di olio sono desunte dal sargano Registro delle bollette di piantone tutte le merci degli anni 1396 di Fermo di Falerone e 1397 e si riferiscono a tra- sporti effettuati dal porto di Recanati al porto di Venezia. Anche Papa Innocenzo VIII, come riferirono alcuni oratori di ritorno da Roma nel 1486, amava avere olio recanatese alla sua mensa. Man mano che 34 ci avviciniamo ai giorni mente monovarietali. nostri, i riferimenti sto- Questi oli rappresen- rici si fanno sempre più tano, allo stesso tempo, numerosi e tutti testimo- il passato ed il futuro in niano la grande reputa- quanto, se è vero che la zione che questo pro- loro origine si perde dotto può vantare. nella notte dei tempi, è A questo punto, verrebbe altresì vero che proprio da chiedersi a cosa debba in questi ultimi anni la tanta fortuna l’olio mar- loro produzione sta ri- chigiano. È difficile indi- scontrando un grosso viduare una sola ragione, favore verso i consuma- un fattore in grado di fare la differenza. In tori che ne apprezzano, oltre che l’elevato livello realtà, la qualità e la tipicità dell’olio marchi- qualitativo, anche la loro riconoscibilità, dovuta giano sono il frutto della combinazione di diversi proprio al fatto di essere ricavati da un’unica va- fattori: la base varietale utilizzata, che vede rietà di oliva. unirsi al Frantoio ed al Leccino una serie di va- Gli oli iscritti provengono dalle seguenti varietà: rietà locali diverse da zona a zona, il particolare Raggiola, Raggia, Mignola, Coroncina, Piantone ambiente pedoclimatico marchigiano, le tec- di Mogliano, Piantone di Falerone e Sargano di niche agronomiche tradizionali e, non ultima, la Fermo. sapiente tradizione frantoiana che vede coesi- La raggiola è una cultivar marchigiana diffusa stere le tecnologie più all’avanguardia con i pic- soprattutto in provincia di Pesaro e Urbino. È co- coli impianti tradizionali a gestione familiare. Il nosciuta anche con diversi sinonimi, tra cui: Ra- risultato è un olio che, da anni, non fa che col- giola, Vergiola, Corgiola e Correggiolo. lezionare riconoscimenti a livello nazionale ed Pur non essendo estremamente produttiva, si fa internazionale. L’olio tipico marchigiano è carat- apprezzare per una certa costanza oltre che per terizzato da un gusto prevalentemente dolce e l’elevata resa alla lavorazione. L’olio, di colore leggero, mediamente fruttato, talora con sen- verde tendente al giallo, è di un buon fruttato, tore di amaro e piccante. La presenza di nume- mandorlato, prevalentemente dolce, legger- rose varietà tipiche dell’ambiente marchigiano mente amaro e piccante. La Raggiola è anche che si mescolano al Frantoio ed al Leccino in molto apprezzata come oliva da mensa per via proporzione variabile, esaltando di volta in volta della polpa particolarmente dolce. questa o quella caratteristica, rende possibile Per certi versi simile alla Raggiola, la Raggia ha una combinazione pressoché infinita di sfuma- trovato il suo habitat ideale in provincia di An- ture e aromi per cui ogni assaggio di olio diviene cona, in particolare nel territorio dei comuni di un momento unico ed Monte San Vito, Ostra, Ostra Vetere, Belvedere irripetibile. E l’elenco Ostrense, San Marcello e Morro d’Alba ma è dif- regionale dei prodotti fusa anche nello Jesino dove è conosciuta come tradizionali mette in ri- Mandolina, per via del tipico sentore di man- lievo proprio queste va- dorla verde. rietà locali tant’è che vi Spostandoci poco più a sud incontriamo la Mi- troviamo iscritti ben gnola, che è particolarmente diffusa nel comune sette oli, tutti rigorosa- di Cingoli, fino alle aree più interne, e nella Val- lesina. L’olio che se ne ricava è mediamente 600 metri sul livello del mare. L’olio, di colore 35 fruttato, con sentori peculiari di erba e frutti di giallo oro, ha un fruttato leggero tendenzialmente bosco: il sapore è marcatamente amaro e pic- dolce con caratteristiche di amaro e piccante che cante, con note di dolce più o meno accentuate. compaiono in caso di raccolta precoce. Tipica dell’entroterra maceratese è invece la Co- Il Piantone di Falerone è invece diffuso in pro- roncina, diffusa prevalentemente a Caldarola, vincia di Fermo, in una zona compresa tra Mon- Serrapetrona, Belforte del Chienti, Camporo- tegiorgio e Falerone, oltre che nelle zone più in- tondo e Cessapalombo. Il curioso nome che la terne del maceratese e anch’esso si spinge fino tradizione locale ha ad elevate altitu- dato a questa va- dini. Caratterizzato rietà sarebbe da at- da un fruttato tribuire a due fat- medio-leggero, tori: la forma del l’olio monovarietale frutto (la piccola di Piantone di Fale- sporgenza che il rone presenta un frutto presenta gusto inizialmente nella saldatura dei dolce, leggermente due carpelli è molto piccante, con un re- simile ad una co- trogusto piacevol- rona) e il ramo frut- mente amaro. tifero (il modo di Meglio adattato fruttificare di nella zona litoranea questa varietà lungo il ramo lo rende simile ad è invece il Sargano di Fermo che dal fermano si un rosario che, nelle nostre campagne, viene per spinge fino alla provincia di Ancona. Cultivar l’appunto chiamato “corona”). La resa in olio è molto produttiva, dà un olio di colore giallo, dal medio-bassa e l’inolizione tardiva tanto che la buon fruttato equilibrato, prevalentemente Coroncina si raccoglie mediamente 20-30 giorni dolce, leggermente piccante e amaro al retro- dopo rispetto alle altre varietà. gusto. L’olio è di colore verde tendente al giallo grazie Sulla strada tracciata da questi oli, si sta speri- ad un buon contenuto di clorofilla. All’olfatto si mentando, con esiti più che incoraggianti, anche percepisce un fruttato medio, di tipo verde, con l’estrazione di altri oli monovarietali nella cer- sentori di erba e di carciofo. tezza che, visti i numeri dell’olivicol- Sempre nel maceratese tro- tura marchigiana (appena 7.000 ettari viamo il Piantone di Mo- investiti sull’intero territorio regio- gliano, una cultivar che nale), se si vuole restare competi- trova la sua maggiore tivi in questo settore occorre diffusione in una zona puntare ad ogni costo sulla ca- intermedia tra quella ratterizzazione, oltre che natu- della Coroncina e la col- ralmente sul livello qualita- lina litoranea. Tuttavia, è tivo, degli oli locali. presente anche nelle zone più interne della provincia anche ad altitudini superiori a a ciascuno il suo pecorino

A pagina 7855 del Bollettino ufficiale della Re- gione Marche n. 63 del 20 maggio 2002, è ripor- tata la scheda descrittiva di un prodotto denomi- nato “Pecorino”. Questa notizia non mancherà di suscitare le ire dei produttori ma anche dei con- sumatori di questo arcinoto formaggio. Tutti sanno infatti che nelle Marche non esiste uno ma dieci, forse cento tipi di pecorino, ciascuno unico e ogni produttore vi convincerà che il suo è mi- gliore di tutti gli altri. È evidente come la deci- sione di approntare un’unica scheda vada consi- derata come il tentativo di identificare una cate- goria di prodotti, per alcuni aspetti omogenei, senza alcuna pretesa di sintetizzare in poche righe un universo di formaggi che racchiude tutta la diversità dei popoli che hanno abitato in terra marchigiana nel corso di svariati millenni. Ciò che accomuna tutti i pecorini tradizionali è formaggio l’uso del latte ovino crudo che va lavorato appena di fossa munto. Un tempo, nel territorio comunale di Visso e nelle zone limitrofe, veniva utilizzato il latte della pecora sopravvissana, ora a rischio di caciotta estinzione ma un tempo molto diffusa. Il for- maggio che se ne traeva era conosciuto anche pecorino come pecorino Vissano. Ora si utilizza latte di in botte altre razze adattate all’ambiente locale ma Visso, insieme ad altri comuni del comprensorio dei Si- billini, rimane uno dei centri dove si producono i migliori formaggi pecorini delle Marche. Altro fattore comune dei pecorini marchigiani è l’estrema importanza attribuita al caglio. Deve pecorino essere naturale (di agnello o di capretto) e di pro- venienza locale. In alcune zone, soprattutto nei Sibillini ma anche nel Comune di Monte Rinaldo, in provincia di Ascoli Piceno, si usa aromatizzare il caglio con erbe locali e altri ingredienti. In par- ticolare, si utilizzano serpillo, basilico e maggio- rana ma anche fichi verdi, germogli di rovo e di buglossa, chiodi di garofano, noce moscata, pepe nero, rosso d’uovo e un cucchiaino di miele. Il e mezzo. La crosta esterna è giallastra mente la 37 tutto si riduce in una pasta da sciogliere nel pasta è bianca, scarsamente occhiata e dal sa- latte e conferisce al pecorino un aroma partico- pore sapido e pastoso, delicatamente aromatico. lare e una maggiore digeribilità. La tradizione Esiste anche, nell’entroterra maceratese, fer- vuole che la preparazione del ca- mano ed ascolano, una tipologia di glio sia opera di mani femminili pecorino con un’occhiatura e che avvenga in una giornata molto accentuata, da sembrare serena e senza vento e con la quasi lievitato, tanto che è cono- luna in fase calante. sciuto con il nome di “cascio lie- Aggiunto il caglio, il latte coagula vito”. Si tratta di un formaggio da in 20-30 minuti. La rottura della consumare abbastanza fresco, cagliata si effettua delicatamente dopo una stagionatura di 20-30 con le mani oppure con un appo- giorni. sito attrezzo in legno detto “spino”. Ma i veri intenditori sanno aspet- Le particelle avranno la dimensione tare e lasceranno stagionare il peco- di una nocciola per il pecorino desti- rino fino a quando la crosta non avrà nato al consumo fresco e di un chicco assunto riflessi rossastri e la pasta non di riso per il prodotto destinato alla stagiona- sarà divenuta compatta e di colore giallo paglie- tura. Dopo averla fatta riposare per qualche mi- rino. Non è raro assaggiare formaggi pecorini sta- nuto, la massa viene messa nelle fascere e pres- gionati anche per più di un anno ottimi sia grat- sata con il palmo delle mani per favorire lo tugiati, per insaporire i piatti più svariati, che da spurgo del siero. Per il prodotto stagionato, si ef- gustare a fine pasto con un buon bicchiere di fettua generalmente anche una semicottura rosso conero o di rosso piceno superiore.. della cagliata ad una temperatura compresa tra Una curiosità legata all’utilizzo delle forme di i 45° e i 48°. A questo punto, si passa alla sala- pecorino più stagionate è il gioco della ruzzola tura a secco che consiste nel tenere le forme che si svolge lungo le strade più impervie, rigo- sotto sale per uno o due giorni. Il pecorino viene rosamente non asfaltate, delle nostre colline. È quindi fatto maturare in un ambiente fresco per un gioco che richiede, oltre a una certa forza fi- almeno venti giorni durante i quali le forme ven- sica, anche molta abilità in quanto consiste nel gono rigirate giornalmente e lavate, tirare le forme di pecorino lungo la strada cer- a giorni alterni, con acqua cando di farle arrivare più lontano possibile. Il e siero. Dopo queste lancio avviene per mezzo di operazioni il for- uno spago che viene av- maggio è pronto per volto lungo il peri- essere consumato. metro della forma Le forme hanno mentre un’estre- un’altezza media va- mità si lega al riabile da 6 a 10 polso del gioca- centimetri e un dia- tore. Ogni concor- metro di 14-20 rente effettua più mentre il peso tiri (in genere medio varia da un cinque) e ogni chilo fino a due chili volta bisogna tirare 38 dal punto esatto in cui la ruzzola si è fermata al minimo di venti giorni ad un massimo di tre mesi. tiro precedente (un po’ come succede nel golf). In tal modo, il formaggio acquisisce un caratteri- Sfida dopo sfida si arriva alla sera per celebrare stico sapore deciso e leggermente amarognolo la premiazione. E i premi? Manco a dirlo le che, insieme alla pasta bianco-dorata, con una forme di pecorino vinte agli avversari. grana estremamente fine, quasi impercettibile, lo Il gioco della ruzzola era un tempo molto diffuso rendono immediatamente riconoscibile. Ancora ed era, insieme alle bocce, il passatempo prefe- più facile sarà il riconoscimento se vi trovate di rito delle domeniche pomeriggio di mezza sta- fronte ad una forma intera, in quanto la presenza gione. Oggi sono rimasti pochi anziani a prati- di muffe e le impronte delle foglie, ancora ben evi- carlo e ogni partita ha il sapore di una magica denti, fugheranno qualsiasi dubbio sulla vera na- rievocazione. tura del prodotto. Una seconda variante del pecorino in botte non prevede l’avvolgimento in foglie bensì una dispo- pecorino in botte sizione delle forme a strati alterni con foglie ed erbe aromatiche (generalmente santoreggia, ne- Senza tema di smentite, si può tranquillamente petella, alloro e timo). In tal modo, il formaggio affermare che nelle Marche vengono utilizzati i acquisisce un sapore più dolce e delicato rispetto “locali di stagionatura” più impensati. Basti pen- al precedente. sare che in alcune zone, principalmente in pro- In una terza versione, ancora, si utilizzano, al vincia di Pesaro e Urbino, ma anche in provincia di posto delle erbe, le vinacce che conferiscono un Ancona, troviamo dell’ottimo formaggio pecorino aroma inconfondibile al formaggio. Non propria- che viene fatto stagionare in botti di rovere, barili mente un addetto ai lavori l’inventore di questo o tini. E le curiosità non finiscono qui in quanto prodotto, il cui copyright appartiene infatti alla del Pecorino in botte, già di per sé prodotto al- famigerata banda del brigante Terenzio Grossi che, quanto singolare, esistono diverse versioni. intorno alla metà del 1800, nascose un carico di La prima viene ottenuta partendo da un pecorino pecorini rubati in mezzo alle vinacce. già stagionato per un periodo di 40-60 giorni. Le E giungiamo quindi all’ultima variante, a questo forme vengono avvolte in foglie di noce o ca- punto d’obbligo parlando di botti, barili e tini: il stagno e quindi vengono riposte nelle botti dove formaggio immerso nel vino. Verdicchio nella vengono lasciate stagionare ulteriormente per un zona dei Castelli di Jesi e vini rossi locali nelle altre periodo che va da un zone del pesarese e dell’anconetano. Per questa particolare preparazione, la pre-stagionatura del formaggio deve essere più lunga: circa tre mesi. Il prodotto necessita poi, una volta estratto dalle botti, di un periodo di ossigenazione di almeno 10 giorni durante i quali viene la- sciato “riposare” su delle assi di legno. Stando alla tradizione orale, la pa- ternità del pecorino in botte spette- rebbe ad alcuni pastori di origine sarda che furono i primi a conser- vare il formaggio in botti di rovere. La tecnica utilizzata era quella di alternare uno forma di… forme ma sono, allungate, appiattite, 39 strato di foglie di noce e uno di cenere al pecorino. deformate come in un quadro di Salvador Dalì. E La botte veniva quindi sigillata dopo la notte di l’odore, poi, di un’intensità terrificante e allo San Giovanni Battista (il 24 giugno), non prima di stesso tempo avvolgente che si sparge per tutto aver recitato una preghiera in suo onore di fronte il paese. E il gusto, infine, decisamente piccante, a un cero acceso. Il formaggio rimaneva quindi persistente, moderatamente salato…un’espe- nelle botti per tutto il periodo estivo e vi restava rienza esaltante e indimenticabile, insomma. fino a quando le botti non venivano riutilizzate per Ma forse è il caso di andare per ordine e di par- la vinificazione successiva. tire dall’inizio. C’era un tempo in cui le terre a Il pecorino in botte si utilizza come ingrediente confine tra Marche ed Emilia Romagna subivano per nobilitare paste ripiene come tortellini e cap- ogni sorta di scorribande da parte di soldati in pelletti oppure, grattugiato, come condimento per fuga, briganti e affini, tutti per semplicità acco- primi e secondi piatti. I veri intenditori preferi- munati sotto l’etichetta di “barbari”. Manco a scono però gustarne appieno le potenzialità as- dirlo, la maggior preoccupazione dei contadini saggiandolo da solo o abbinandolo con miele mil- era, allorché giungevano questi drappelli, di lefiori o con marmellate particolari dal gusto un mettere in salvo, oltre che loro stessi, la maggior po’ acidulo come quella di bacche di rosa canina o quantità possibile di generi commestibili. E di pomodori verdi. Quanto al vino, si consiglia un quale rifugio migliore della terra? Ecco allora passito oppure un vino rosso di corpo, legger- nascere l’abitudine di utilizzare grandi buche mente invecchiato. (fosse per l’appunto) scavate nella roccia per Assai raro, questo formaggio sopravvive grazie al- conservarvi granaglie ed altri generi commesti- l’impegno e alla laboriosità di poche aziende che bili tra i quali i formaggi. continuano a tramandarsi di generazione in gene- Esistono testimonianze scritte, in prevalenza atti razione tanti segreti e “trucchi del mestiere” che notarili, che documentano l’adozione di questa vanno ben al di là della descrizione sommaria fatta “pratica conservativa” in questo capitolo. Tuttavia, il favore che incontra già a partire dalla fine presso i consumatori, che sempre più si lasciano del 1400. Poi, col tentare dalla scoperta di sapori unici come questo, tempo, gli abitanti del lascia ben sperare per il futuro del pecorino in botte. luogo si accorsero che i formaggi che veni- vano infossati a Tala- dalla botte...alla fossa mello acquisivano un aroma e un sapore più Nel mese dei morti, in un piccolo paese del Mon- gradevoli rispetto a tefeltro, si aprono le fosse. Non è un passo tratto quelli che uscivano dalla sceneggiatura di un film dell’orrore, bensì dalle fosse dei paesi uno degli appuntamenti annuali più attesi del vicini; iniziò così la mangiare tipico italiano. Ciò che emerge dalle tradizione di andare viscere della terra non sono infatti degli zombi, ad infossare i for- bensì formaggi tra i più straordinari che si siano maggi nella grande mai visti e assaggiati. Colpiscono innanzitutto fossa di Talamello, che per l’aspetto esteriore. Una volta ripulite le fu attiva fino agli anni forme, ci accorgiamo che non hanno più la dell’unità d’Italia, 40 anche dai paesi vicini. C’erano poi molte altre con esiti sorprendentemente positivi, anche for- fosse, più piccole, in cui la pratica dell’infossatura maggi di due o tre anni. è proseguita fino ai giorni nostri quando il pro- A questo punto, si potrebbe pensare che nella dotto ha conosciuto una grandissima e crescente fossa avvengano delle magie tali da rendere notorietà. straordinario qualsiasi tipo di formaggio; ma la La tecnica è rimasta inalterata realtà è ben diversa. Ciò che nei secoli: i formaggi vengono avviene, infatti, oltre alla fer- infossati chiusi in sacchi di tela mentazione del formaggio è bianca e ogni sacco è contras- una concentrazione del pro- segnato in modo che ciascuno dotto, causata da una consi- possa riconoscere le proprie stente perdita di liquidi, per cui forme alla riapertura delle le caratteristiche del formaggio fosse. Fosse che, per essere giu- vengono esaltate, amplificate. dicate idonee alla stagionatura Pertanto, infossando un buon del formaggio, devono avere formaggio si avrà un formaggio caratteristiche ben precise: es- di fossa ottimo, infossandone sere scavate nella roccia del uno mediocre, si avrà un pro- luogo (principalmente are- dotto scadente. Quindi è im- naria), avere un diametro va- portante, oltre che seguire alla riabile da 70 centimetri a due lettera tutte le metodiche che metri e una profondità mas- sono state tramandate di gene- sima di quattro metri, disporre di un pavimento razione in generazione, avere altrettanta cura sopraelevato fatto con tavole di legno, che favo- nella preparazione del formaggio da infossare. A risca il deflusso dei liquidi grassi prodotti dalla partire dalla scelta del latte, e, ancora prima, fermentazione del formaggio durante la stagio- dall’allevamento degli animali e dalla loro ali- natura e un rivestimento alle pareti formato da mentazione. uno strato di 10-15 cm di paglia. Ogni fossa che Gli animali sono, chiaramente, le vacche e le pe- voglia essere utilizzata per la produzione di for- core che forniscono il latte; soprattutto queste ul- maggio deve inoltre superare un severo esame in time in quanto, nel tempo, la percentuale di latte quanto deve essere sottoposta ad un periodo di ovino nel formaggio di base è andata aumentando prova di tre anni prima di entrare nel ristretto rispetto al latte vaccino e si attesta attualmente al “club” delle fosse riconosciute. La stagionatura di sopra del 70%. L’alimentazione deve essere as- deve durare almeno tre mesi e inizia nel periodo sicurata prevalentemente da foraggi verdi o affie- che va dal 20 luglio al 30 agosto per terminare nati provenienti dagli abbondanti pascoli della con l’apertura delle fosse che avviene dal 10 di zona o da coltivazioni naturali, limitando il più novembre fino al giorno di Santa Cate- possibile il ricorso a mangimi concentrati. Il rina: il 25 novembre. Il formaggio latte va poi lavorato prima possibile e coa- può essere consumato fino gulato a 35°-38° con caglio ani- alla produzione male. È eventualmente pos- dell’anno suc- sibile aggiungere fer- cessivo anche menti lattici per guidare se sono stati la fermentazione assaggiati, purché non si alterino, in tal modo, le caratteri- ramo di albero di 41 stiche tipiche del pro- fico inciso che dotto. Il formaggio viene fatto deve inoltre matu- ruotare nel rare per almeno due latte fino a mesi in caseificio ad coagula- una temperatura in- zione av- feriore a 15° e con venuta. È un’umidità dell’80- un’opera- 90%. Abbiamo visto zione sem- quindi come questo plicissima che straordinario prodotto, che un ispirato Tonino però richiede una grande esperienza in quanto è Guerra ha voluto ribattezzare “Ambra di Tala- sufficiente che il ramo resti immerso per mello”, non nasca a caso ma sia il frutto di una qualche istante in più del necessario perché il combinazione di fattori unici e non riproducibili formaggio assuma un fastidioso sapore amaro- altrove, tanto che ne è stata richiesta la registra- gnolo. Per il resto, la lavorazione è la stessa di zione come denominazione di origine protetta ai formaggi analoghi e il prodotto, dal gusto sapido sensi del Regolamento CEE n. 2081/92. Auspichia- e leggermente piccante, può essere consumato moci che la DOP arrivi prima possibile in quanto dopo una breve stagionatura (uno o due mesi) o questo prodotto va difeso da imitazioni e contraf- anche lasciato stagionare fino ad un anno. fazioni che possono danneggiarne in modo irrime- La caciotta vaccina al caglio vegetale è an- diabile l’immagine e la reputazione. ch’essa originaria del Montefeltro. Esterior- mente si presenta come una qualsiasi altra ca- ciotta e, anche all’assaggio, non presenta parti- formaggi al fico, colari caratteri distintivi. Rispetto alle caciotte ottenute con caglio animale, risulta, però, più al carciofo, al limone digeribile e recenti studi hanno messo in rela- zione questo fatto con una più spinta azione Anche il lettore più frettoloso, che si trovasse a proteolitica ad opera degli enzimi vegetali du- scorrere l’elenco dei prodotti tradizionali della rante la fase della stagionatura. La peculiarità Regione Marche, difficilmente potrebbe fare a sta tutta nel caglio che si ricava dai fiori del car- meno di soffermarsi su alcuni prodotti più unici ciofo e del cardo. Sono gli stimmi, in particolare, che rari come appunto il caprino al lattice di che vengono strofinati in un po’ di acqua tiepida fico, la caciotta vaccina al caglio vegetale o il e lasciati in ammollo, gli artefici della coagula- cacio in forma di limone. zione del latte. È una pratica antica, tramandata Il primo è diffuso nel Montefeltro e, per quanto grazie alla tradizione orale, un tempo larga- riguarda le materie prime utilizzate, sono quelle mente diffusa tra i pastori del Montefeltro che che danno il nome al prodotto stesso: latte ca- erano soliti indicare la pianta da cui si ricavava prino e lattice di fico. La particolarità di questo il caglio con il nome di “erba cacia”. formaggio, che lo distingue dal caprino che si Due formaggi, quindi, che fanno a meno del produce normalmente in questa zona (oltre che classico caglio ricavato dagli stomaci di giovani nell’alto maceratese) è data dal fatto che, per agnelli e capretti. Ciò li rende appetibili a parti- cagliare il latte, si utilizza semplicemente un colari categorie di consumatori come, ad 42 esempio, la maggior parte dei vegetariani, che medievale. Il prodotto è presente nella lista delle ammette i prodotti di origine animale solo se ot- vivande di Bartolomeo Scapi, che nel secolo XVI tenuti senza il sacrificio degli stessi. Oppure gli era il cuoco del Papa. La materia prima di base è il ebrei secondo cui l’unico formaggio “kosher” è latte ovino crudo che va lavorato appena munto. quello al caglio vegetale in quanto le loro regole In questo caso si utilizza, per la coagulazione, il impediscono di unire nello stesso piatto latticini e tradizionale caglio animale. Dopo la rottura della parti di animali. Oltre a queste “nicchie” di mer- cagliata, che si effettua, delicatamente, con le cato, i formaggi al caglio vegetale sono general- mani, si lascia riposare la massa per alcuni minuti mente apprezzati dai consumatori per la loro per poi riporla in stampi di terracotta forati a maggiore delicatezza e digeribilità. Si tratta co- forma di limone. La salatura viene effettuata a munque, allo stato attuale, di produzioni molto li- secco con sale misto a buccia di limone grattu- mitate nelle quali non si può certo confidare per il giata e dura un paio di giorni. Al termine, si eli- rilancio della produzione lorda vendibile del set- mina il sale in eccesso e si lava. Quindi, le forme tore. Sono tuttavia due prodotti da salvaguardare vengono spennellate con acqua e farina per farvi e diffondere. aderire le scorze di limone. Dopo una maturazione Il terzo prodotto, il cacio in forma di limone, è in- di qualche giorno in locali freschi e umidi, il cacio vece un vero e proprio dessert “monoporzione” in forma di limone è pronto per essere servito. (pesa sui 100-150 grammi), una sorta di sorbetto dove sarà pressata per circa 10 minuti. Dopo un 43 dal Montefeltro paio di giorni di salatura a secco, si toglie il sale in eccesso e si passano le forme nel siero a 95 un poker di bontà gradi lisciando bene la superficie. Lo slattato matura in soli sette giorni e non subisce alcuna Dal Nord delle Marche, dalla terra dei Montefeltro, stagionatura. Si presenta in forme tondeggianti ci giungono altri quattro formaggi che meritano, e afflosciate di peso variabile da meno di mezzo per la loro specificità, una menzione a parte. chilo fino a quasi due chili. La crosta è morbida, Il primo è la caciotta, un formaggio prodotto color panna, la pasta omogenea e molle di co- anche in altre zone della Regione ma che qui lore bianco, il sapore dolce e un po’ acidulo. rappresenta il prodotto principe del settore lat- Come molti altri prodotti tradizionali, è legato tiero-caseario. Basti pensare che, nella zona, alla stagionalità e pertanto si produce nel pe- viene prodotto anche l’unico formaggio DOP riodo che va da ottobre a marzo. La classica pre- delle Marche: la “Casciotta d’Urbino”. Come per sentazione dello slattato vuole che le forme il pecorino, possiamo tranquillamente affermare vengano avvolte in foglie di fico o di cavolo. che non esiste un solo tipo di caciotta in quanto Un altro formaggio che si consuma fresco è il variano i tipi di latte utilizzato (è costante la raviggiolo che si produce in una zona molto cir- presenza del latte vaccino mentre quello ovino e coscritta, il caprino possono essere aggiunti in proporzioni variabili), la durata della stagionatura (varia in genere da due a sei mesi ma le eccezioni sono molto frequenti), nonché i “locali” utilizzati (anche per la caciotta la fan- tasia non manca in quanto si passa con disinvoltura dalle botti, alle bi- gonce, ai cassettoni di legno, per arri- vare fino ai mastelli ed alle anfore di terracotta). Come per il pecorino, inoltre, è diffusa l’usanza di avvolgere le forme in foglie di noce. Gli altri tre formaggi sono, invece, dal punto di vista meramente economico, residuali rispetto compren- alla caciotta e anche la zona di produzione è dente i comuni di Casteldelci, Sant’Agata Feltria molto più circoscritta. Si tratta dello slattato, e San Leo, nel periodo che va da ottobre ad del raviggiolo e del casecc. aprile. Questo formaggio, che si produce indiffe- Lo slattato è un formaggio freschissimo, fatto rentemente con latte vaccino o ovicaprino, si esclusivamente con latte vaccino che viene la- presenta di forma variabile, vagamente rotonda. vorato appena munto, aspettando giusto il La crosta è assente mentre la pasta, morbida e tempo di farlo raffreddare di qualche grado. Ag- tenerissima, di colore bianco latte, ha un sapore giunto il caglio, la coagulazione avviene in 30- gradevolmente dolce e delicato. La lavorazione è 40 minuti. Si rompe quindi la cagliata in grumi rapidissima. Il latte appena munto si lascia ap- finissimi e si lascia addensare la massa con il ca- pena raffreddare di qualche grado, dopodichè si lore delle mani per poi metterla nelle forme, fa cagliare. Caratteristica del raviggiolo è che la 44 cagliata non si rompe ma si preleva, in piccole la cagliata viene ridotta in grumi della dimen- quantità, con un mestolo e si fa scolare su ap- sione di un chicco di riso. Posta la massa nelle posite stuoie o, più semplicemente, su foglie di fascere, si effettua la salatura a secco, che può felce, di fico o di cavolo. Non si effettua nessuna durare fino a due giorni, per passare, poi, alla stagionatura e anche la salatura può esser fase di maturazione che dura per altri dieci omessa a seconda del grado di dolcezza che si giorni circa. Ma ciò che rende unico questo for- preferisce. Riccardo Di Corato afferma che maggio è ciò che avviene dopo. Le forme ven- questo formaggio, nei secoli scorsi, era conside- gono infatti prima messe per otto giorni sopra rato una prelibatezza, specialmente quello fatto delle foglie di noce, poi conservate in caratteri- con il latte di capra. Esso non mancava mai nelle stici orci di terracotta che nella zona vengono tavole imbandite e nei banchetti. La testimo- chiamati “avthèin”. Solo al termine della stagio- nianza della sua notorietà ci è data anche dal natura, che può durare anche un anno, il for- proverbio “Chi non è Marzolino sarà Raviggiolo” maggio potrà finalmente chiamarsi casecc. che indica la fatalità del destino. È un formaggio che può avere diversi formati in Il casecc, infine, tipico di San Leo e delle zone quanto le forme hanno un’altezza variabile tra 4 circostanti. Prodotto anch’esso nel periodo au- e 8 centimetri, diametro di 14-22 e un peso che tunnale e invernale, si ottiene dalla lavorazione va da 7 etti fino a 2 chili. La crosta esterna è del latte vaccino o giallo paglierina, liscia e traslucida, mentre la ovino o anche pasta è compatta e priva di occhiature. Il sapore, misto. Per deciso e pastoso con gradevoli note aromatiche, preparare lo rende particolarmente apprezzato nella pre- il ca- parazione dell’impasto dei cappelletti natalizi. secc, Altrimenti, si usa grattugiato per insaporire primi piatti a base di pasta fatta in casa. il miele

Uno dei prodotti più diffusi e radicati nella no- stra regione è senza dubbio il miele. Le Marche sono sempre state una regione all’avanguardia nell’apicoltura tanto che già alla fine dell’otto- cento, il professor Alessandro Chiappetti realiz- zava l’arnia di “tipo marchigiano” che consen- tiva, con le misure standard di nido e melario, di eseguire interventi di manutenzione e di alleva- mento con maggiore facilità rispetto al passato. Nel 1903, nasceva ad Osimo, in provincia di An- cona, la FAI (Federazione Apistica Italiana). Nu- merose anche le pubblicazioni in materia realiz- zate nelle Marche a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Tra queste possiamo segnalare “Le api e i fiori” del 1888, “Il risveglio apistico” del 1900 e “L’apicoltura italiana” del 1905. Il miele più diffuso è il millefiori ma sono pro- dotti anche ottimi mieli uniflorali che riscon- trano un notevole apprezzamento sul mercato tra cui vanno senz’altro menzionati il miele di acacia, di castagno, di girasole, di lupinella e di ricotta melata. Il miele millefiori marchigiano si pre- senta di colore variabile tra l’extra bianco e l’ambra chiaro, secondo la classificazione im- piegata nel commercio internazionale. miele

ricotta

ricotta ricotta salata miele L’odore è di debole o media intensità, vegetale, tura dei favi dei melari, manuale o a macchina. con sentori variabili a seconda della composi- Si estrae quindi il miele dal favo utilizzando zione che possono andare dal fruttato, al flo- smielatori centrifughi. Il miele così estratto reale, al vinoso, fino all’odore di leguminose o viene purificato mediante filtrazione, utiliz- di girasole. Anche il sapore è variabile da deli- zando filtri di vario tipo, preferibilmente dis- cato a mediamente intenso. Lo spettro pollinico posti in successione con misura delle maglie è caratterizzato dall’associazione, in propor- decrescente fino ad un minimo di 0,1-0,2 mil- zioni variabili, di girasole, rovo, leguminose limetri. Per la salvaguardia delle caratteristiche quali capraggine, medica, trifoglio, ginestrino e tradizionali del miele non vanno utilizzate tec- lupinella, crucifere, erba strega. È talvolta rile- niche di filtrazione più spinte come ad esempio vante la presenza delle Umbrellifere. Nella fa- l’ultrafiltrazione. Segue poi un periodo di al- scia alto collinare e nei suoli marnoso-arenacei meno dieci giorni in cui avviene la decanta- non meno importante è la presenza di castagno zione in appositi contenitori di acciaio inox di “non ti scordar di me” (Myosotis) e di timo, detti maturatori. Il miele così ottenuto viene associati alle leguminose. invasettato in recipienti di vetro ed è pronto La stagione produttiva è compresa nel periodo per essere commercializzato. primaverile-estivo, indicativamente, da aprile ad agosto. Gli alveari destinati alla produzione sono for- mati da colonie ben sviluppate ed in buone condizioni sanitarie e da arnie razionali ben mantenute. Il miele è estratto, lavorato e con- servato secondo le seguenti modalità. La smielatura viene svolta subito dopo la rac- colta dei melari e ha inizio con la disopercola- ricotta e 47 ricotta salata

La ricotta è diffusa su tutto il territorio regio- nale, prevalentemente nelle zone interne. Non è un vero e proprio formaggio ma un prodotto che si ottiene dal siero derivante dalla lavora- zione degli altri formaggi. Si ottiene pertanto indifferentemente a partire dal latte vaccino o ovino. Il siero derivante dalla lavorazione dei pecorini, delle caciotte e di eventuali altri for- maggi, viene raccolto e trasferito in caldaia dove viene riscaldato fino ad una temperatura di 80-90 gradi. Si estrae la ricotta, per semplice affioramento, con una “schiumarola”. La si mette poi in appositi stampi per la formatura. La ricotta ha un gusto fresco e gradevole, con un retrogusto leggermente piccante se deriva dal siero di latte ovino e si fa apprezzare anche per la sua digeribilità. È ottima sia al naturale che come ingrediente nella preparazione di paste ripiene e dolci. L’importante è che la ri- cotta sia sempre freschissima in quanto è un prodotto facilmente deteriorabile. Per ovviare a questo inconveniente, si è diffusa in alcune zone a confine con l’Umbria, in parti- colare a Pieve Torina (MC), la pratica della sa- latura. Si effettua in appositi stampi dove la ri- cotta viene rigirata quotidianamente. Dopo una settimana, la ricotta avrà raggiunto una consi- stenza tale da poter essere estratta dai conte- nitori e posta su una mensola dove verrà la- sciata a stagionare per circa due mesi. Il pro- dotto finito si presenterà di forma tronco- conica con la crosta di colore grigio mentre, all’interno la pasta sarà bianca e piuttosto compatta. Apprezzata per il gusto sapido e l’aroma delicato, si utilizza sia grattugiata sulla pasta che tal quale a fine pasto. il pane e la pasta: ovvero i frutti del grano

Da sempre, le Marche sono una regione prevalen- temente cerealicola, il cui ambiente pedoclima- tico è particolarmente vocato alla produzione di un frumento di ottima qualità. Già alla fine del 1500, il Botero, nelle sue “Relazioni Universali”, individuava il grano tra i prodotti di maggiore spicco delle Marche attestandone l’esportazione di grandi quantitativi nelle altre regioni. In ef- fetti, il frumento, insieme alla vite e all’olivo (non a caso vino e olio sono gli altri due prodotti se- gnalati dal Botero), è la coltura che meglio rap- presenta la cultura contadina marchigiana.

biscott’

bostrengo

tacconi

pane lonza di Chiaserna di fico Ancora oggi, nonostante si tratti di un settore re- calcione lativamente povero, i cui margini di profitto per i produttori sono continuamente minacciati dal- crescia frustingo l’imperante globalizzazione da un lato e dal pro- fogliata gressivo ridimensionamento della politica comu- maccheroncini nitaria di sostegno dall’altro, la cerealicoltura di Campofilone continua a ricoprire un ruolo di primo piano nel- l’agricoltura regionale. Basta dare un’occhiata ai numeri per rendersi conto della grande rilevanza della coltivazione dei cereali nelle Marche. La su- perficie investita a cereali è stabilmente al di sopra dei 200.000 ettari e rappresenta oltre il 40% dell’intera superficie agricola utilizzata la prima prevede l’impiego di una parte di farina 49 (SAU) della regione. La parte del leone la fa il nella quale viene aggiunto il lievito naturale frumento, sia duro che tenero, che da solo oc- sciolto in acqua tiepida salata. Si impasta bene cupa circa un terzo della SAU. E nel panorama e si lascia fermentare per almeno 4 ore; dopo- nazionale, scopriamo che nel settore cerealicolo diché si riprende l’impasto, si aggiungono altra le Marche non sono affatto una piccola regione, farina e acqua, si lavora e si lascia riposare per ma occupano anzi i primissimi posti sia in ter- altre 4 ore. A questo punto, si aggiunge l’ultima mini quantitativi che qualitativi. Per la produ- parte di farina, si unisce il lievito di birra sciolto zione di frumento duro e di orzo, le Marche sono in acqua e si impasta il tutto molto accurata- addirittura tra le prime tre regioni d’Italia. mente for- Per secoli le nostre farine sono state utilizzate mando i clas- per la produzione di pane e pasta fatti in casa. sici filoni a Ogni famiglia provvedeva in proprio alla panifi- forma allun- cazione che si effettuava in genere una volta gata che si alla settimana o anche ogni quindici giorni. Già segnano nella questo particolare deve farci riflettere sulla qua- parte superiore, si lità che doveva avere un prodotto che poteva es- lasciano fermentare sere consumato in un lasso di tempo così lungo. e si mettono, infine, a Oggi, con la maggior parte dei prodotti in com- cuocere nel forno a legna. mercio, è già impensabile mangiare il pane “vec- Un altro segreto di questo pane chio” di tre giorni; figuriamoci che cosa po- sta nell’acqua utilizzata: un’acqua trebbe avvenire dopo due settimane. leggera, di sorgente, quasi un’acqua minerale Ma ancora oggi è possibile, nelle Marche, gu- che rende questo pane ancora più unico. stare il buon pane di una volta; tant’è che nel- l’elenco regionale dei prodotti tradizionali IL PANE A LIEVITAZIONE NATURALE hanno trovato posto due tipi di pane: il primo, il È il classico pane marchigiano che ripercorre la Pane di Chiaserna ha una diffusione molto cir- tradizione familiare del pane fatto in casa. coscritta, l’altro, invece, il Pane a lievitazione Anche questo pane viene proposto nelle pezza- naturale, è prodotto su tutto il territorio regio- ture classiche da un chilo e mezzo chilo. Di nale. Ciò che accomuna entrambe le tipologie di forma ovale allungata, con crosta di colore dal pane è la lunghezza e la laboriosità della prepa- dorato al marrone scuro e mollica porosa, di razione, in particolare della lievitazione che deve consistenza elastica nel pane fresco e man mano essere lenta e avvenire in più fasi successive. sempre più compatta nei giorni successivi. È un pane che rimane ottimo anche dopo diversi IL PANE DI CHIASERNA giorni dalla cottura. Questo prodotto è originario di Chiaserna di Per ottenere i lieviti di fermentazione, la farina Cantiano, in provincia di Pesaro e Urbino ma è di frumento tenero viene impastata con acqua e diffuso anche nelle zone circostanti. Viene com- lasciata a riposo per alcuni giorni. La massa mercializzato sia in file da mezzo chilo che da acida ottenuta (madre) si conserva a tempera- un chilo e si presenta a forma di filone, legger- tura intorno ai 4° per circa 6 giorni. A tale mente schiacciato, con la crosta dal caratteri- massa, si aggiunge la farina fino ad ottenere una stico colore dorato. pasta spessa e consistente che viene lasciata lie- La preparazione della massa avviene in tre fasi: vitare al caldo, al riparo dalle correnti, per una 50 notte intera. Quando il pane si faceva in casa, il I MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE luogo deputato alla lievitazione era la madia, in Detti anche capellini di Campofilone, questi sottili dialetto chiamata “mattera” ovvero un mobile di fili dorati sono una specialità ormai apprezzata in legno rettangolare, munito nella parte superiore tutto il mondo. Numerose le testimonianze sto- di un coperchio sollevabile a cerniera. riche che ci parlano di questo prodotto anche in Il giorno successivo, alla massa lievitata si ag- epoche assai remote. Già nel ‘400, in una corri- giunge altra farina e poi ancora acqua tiepida spondenza dell’Abbazia di Campofilone, troviamo leggermente salata. Si impasta quindi il tutto una citazione che descrive una delle caratteri- fino ad ottenere un’amalgama morbida e com- stiche peculiari di questi “maccheroncini fini fini” patta. Dopo averla lasciata riposare per un po’, si dei quali si dice che erano “tanto delicati da scio- cominciano a staccare dei pezzi di pasta di gran- gliersi in bocca”. Nel 1560, eccoli ricomparire dezza variabile a seconda della pezzatura di nientemeno che in mezzo ai documenti del Con- pane che si vuole ottenere, si modellano a forma cilio di Trento. E poi ancora nelle ricette del 1700 di filone e si incidono con un coltello nella parte e del 1800 tratte dai quaderni di cucina di alcune superiore. Le forme così ottenute vengono alli- casate nobili come i conti Stelluti Scala e i conti neate su una tavola di legno, ricoperte con un Vinci. Attesissimo appuntamento annuale, la sagra telo e lasciate lievitare per altre due ore prima di che si tiene a Campofilone dal 1964. infornarle nel forno a legna. Questo metodo di lievitazione può essere utilizzato anche per la produzione di pane biologico, pane integrale e pane con farina macinata a pietra.

LE PASTE L’altro frutto del grano è rappresentato dalla pasta, alimento ormai insostituibile nella nostra alimentazione quotidiana. La categoria delle paste alimentari annovera tre prodotti nell’e- lenco regionale: si tratta dei Maccheroncini di Campofilone, dei Tacconi e dei Quadrelli pelusi. Sicuramente non sono questi i prodotti più dif- Ma cerchiamo di capire perché questo prodotto è fusi tra le paste alimentari, considerando che così apprezzato. Intanto occorre precisare che i non mancano, nei menù dei ristoranti marchi- maccheroncini si distinguono dalle altre paste ali- giani, ottime tagliatelle fatte in casa o gustosi mentari per essere impastati solo con uova di gal- tortellini e ravioli anch’essi “casarecci”. Si è sem- lina nella proporzione di ben 10 uova per ogni plicemente voluto inserire nell’elenco quei pro- chilo di farina. Si usa generalmente la farina di dotti che più si distinguono dalla tradizione cu- frumento duro anche se, a livello familiare, è fre- linaria delle regioni vicine e che, in un certo qual quente anche l’utilizzo di frumento tenero purché modo, caratterizzano determinate realtà rurali abbia glutine forte con notevole capacità di assor- proprie della nostra regione. bimento. Le uova e la farina vengono innanzitutto impastate senza aggiunta di acqua; si passa quindi alla lavorazione dell’impasto che deve essere duro ed elastico e deve rimanere molto poroso. Con il mattarello, se ne ricava una sfoglia sottilissima, che deve risultare morbida come fosse di seta, la I TACCONI 51 quale viene tagliata con un coltello affilatissimo Dal pesarese, in particolare dal comune di Fratte fino ad ottenere i fili che devono essere sottili Rosa e dai vicini Barchi e Orciano di Pesaro, giunge quanto più possibile. Con l’aiuto del coltello, i il terzo prodotto della categoria delle paste ali- maccheroncini vengono quindi separati e disposti mentari. Si tratta di un altro piatto povero, un a treccia su un foglio di carta per alimenti dove classico esempio di come si possa fare di necessità devono restare per un periodo variabile tra le 24 virtù. Un tempo, infatti, quando anche la farina di e le 36 ore in modo da consentire l’essiccazione grano era considerata un lusso, si usava mesco- che porterà il prodotto a perdere oltre il 20% del larla con altri tipi di farina più economici, tra cui proprio peso. Superfluo precisare che tutte le quella ottenuta dalle fave. Da questa usanza, sono operazioni appena descritte vanno effettuate ri- nati i tacconi , detti anche “tacòn”. Si preparano gorosamente a mano. impastando farina di grano tenero, farina di fave I possibili abbinamenti dei maccheroncini sono secche, uova e acqua. Ottenuto un impasto com- diversi. Qualcuno preferisce condirli con un ricco patto ed elastico si inizia la preparazione della ragù preparato come una volta con abbondanti sfoglia con il mattarello o, come si usa chiamarlo rigaglie di pollo o d’anatra e pecorino grattu- da queste parti, il “rasagnòl”. La sfoglia deve rima- giato a volontà. Altri, soprattutto lungo la costa, nere piuttosto spessa e va tagliata a strisce a mo’ li trovano irresistibili con il sugo alla marinara di tagliatelle. Sapidi, pastosi e delicatamente dol- sia con che senza pomodoro. Solo una cosa oc- ciastri, i tacconi si sposano magnificamente con il correrà tenere ben presente per non incappare in sugo ai funghi di bosco ed è proprio così che si brutte sorprese al momento di servire in tavola: preferisce condirli a Fratte Rosa. i maccheroncini, rispetto ad una pari quantità di tagliatelle, assorbono molto più condimento e pertanto vanno conditi con estrema generosità. la crescia e la torta

I QUADRELLI PELUSI Se un giorno vi dovesse capitare di trovarvi nell’en- Da un estremo all’altro, potremmo dire. Pas- troterra pesarese e vi venisse offerta della torta, non siamo infatti da un prodotto che si distingue per aspettatevi montagne di crema e panna montata essere impastato con sole uova ad un altro la cui né, tantomeno, ciliegine. Da queste parti, infatti, la caratteristica è quella di essere impastato senza torta si preferisce decorarla con del buon salame o uova. Un prodotto quindi assai rustico e il ter- prosciutto locale o, meglio ancora, con delle erbe di mine “pelusi” sta proprio ad indicare questa ru- campo “strascinate” in padella. E se non avrete già sticità. I Quadrelli pelusi si presentano come dei stappato lo spumante, vi potrete abbinare un buon piccoli quadratini di colore chiaro e sono utiliz- bicchiere di Sangiovese o di vino novello. Perché la zati per la preparazione di minestre in brodo. torta in questione non è un millefoglie o un Saint Minestre un po’ particolari in quanto nell’acqua Honoré bensì una sorta di pizzettina, alta un paio di dove vengono fatti cuocere i quadrelli si versa centimetri e composta da: farina di mais, farina di un soffritto di aglio e lardo. Per completare il grano, acqua e sale. Stiamo parlando della torta di piatto si spolvera abbondantemente di pecorino granoturco in graticola. Una ricetta semplicissima, ben stagionato e pepe nero. Un piatto povero, in nata dall’esigenza di riutilizzare la polenta avan- definitiva, che però vi farà apprezzare il gusto zata, ma allo stesso tempo estremamente gustosa delle cose semplici. per il sapore tipico dato dalla farina di mais. Moltissimi i prodotti simili; tutti poverissimi, ma 52 ricchi del gusto delle cose semplici e genuine. La riante è rappresentata dai crostoli del Montefeltro, crescia, innanzitutto, cioè la pasta del pane model- simili a delle piadine ma più saporiti e facilmente lata a mo’ di disco e cotta al forno. Con nomi e riconoscibili dalla caratteristica pasta sfogliata e condimenti diversi da zona a zona, la crescia è pre- untuosa. Preparati con un impasto di: farina, uova, sente in tutto il territorio regionale. Nell’ascolano, sale, pepe, strutto, acqua, latte e bicarbonato, si ad esempio, prende il nome di cacciannanzi accompagnano splendidamente, in alternativa al perché originariamente veniva usata per valutare pane, con salumi, formaggi, carni e verdure gri- la temperatura del forno cuocendola subito prima gliate di ogni tipo. di infornare il pane. Nel pesarese viene invece Altra crescia molto apprezzata, che con le prece- chiamata crescia brusca. Il condimento classico denti ha però in comune solo il nome, è la crescia della crescia è quello con olio, sale, cipolla e ro- o pizza di Pasqua al formaggio. Diffusa su tutto il smarino. Nel periodo invernale, si usa anche con- territorio regionale, era la base della prima cola- dirla con lo strutto e i cicoli, ottenendo così la co- zione del giorno di Pasqua insieme al salame lar- siddetta “pizza con i grasselli”. dellato. Ancora oggi il suo consumo è estrema- Nella zona del Montefeltro, la crescia è nota mente diffuso; è stato solamente dilazionato di anche con il nome di spianata e viene condita con qualche ora in quanto questo prodotto è divenuto uova e ricotta. Nella stessa zona, la crescia viene un componente essenziale del pranzo di Pasqua e arricchita con uova, strutto, e a volte anche for- viene generalmente servito tra gli antipasti anche maggio, e viene cotta in due fasi: prima in un pa- se non manca chi preferisce gustarlo a fine pasto, naro di coccio, poi direttamente nel camino, rico- prima del dolce. Gli ingredienti tradizionali sono: perta di cenere e brace non troppo ardente. Il pro- uova, strutto (da molti ormai sostituito con il dotto così ottenuto viene chiamato crescia sotto burro), olio extravergine di oliva, parmigiano grat- la cenere o anche torta coi ovi. Un’ulteriore va- tugiato, pecorino a pezzi e grattugiato, lievito di birra, farina, pepe macinato e sale. Dicevamo che Assai più semplice è la cresciolina che consiste, 53 questa crescia ha poco a che vedere con le altre, in pratica, nella pasta del pane leggermente sa- oltre che per gli ingredienti che ne fanno un pro- lata che viene prima spianata col mattarello, dotto decisamente più ricco che non a caso veniva quindi fritta nello strutto bollente e infine co- infatti preparato in occasione delle festività pas- sparsa di zucchero. Il contrasto tra dolce e salato quali, anche per l’aspetto visivo che ricorda deci- e la sua croccantezza fanno di questo prodotto samente più un panettone che una pizza. che “più semplice non si può” una sorprendente Nel Comune di Borgo Pace, in provincia di Pesaro prelibatezza. e Urbino, e in altri comuni limitrofi, esiste un L’ultimo prodotto della serie ci porta a scoprire prodotto per alcuni versi simile, perlomeno per un paesino in provincia di Macerata, nell’alta l’uso che se ne fa (non a caso si chiama pane di valle del Potenza. Stiamo parlando di Fiuminata Pasqua di Borgo Pace) ma che potremmo defi- e della crescia fogliata detta anche crescia fo- nire più rustico. È a tutti gli effetti un pane in jata o lu rocciu. La preparazione inizia dalla quanto si presenta sotto forma di pagnottelle, sfoglia che viene ottenuta mescolando farina, con una tipica incisione a forma di croce sulla zucchero e olio extravergine di oliva con l’ag- parte superiore, del tutto simili a quelle di uso giunta di acqua bollente. La sfoglia viene poi quotidiano se non fosse per il caratteristico co- stesa ad asciugare e al centro della stessa si lore giallo dato dalla presenza dello zafferano. dispone il ripieno formato da: ricotta, uvetta, Assai più deciso è invece il sapore in quanto la noci o nocciole, zucchero, cacao, vaniglia, can- farina di grano tenero viene opportuna- nella, buccia di limone grattugiata, mente “addizionata” con pepe e liquore all’anice o rum e al- lardo macinato. chermes. Si arrotola quindi la Ma esistono anche cresce dolci e, sfoglia fino ad ottenere la ca- parlando del menù di Pasqua, non ratteristica forma semicircolare. possiamo che iniziare dalla crescia La crescia fogliata viene pro- di Pasqua, detta anche pizza di dotta anche nei comuni circo- Pasqua. Gli ingredienti essenziali sono: la stanti con alcune varianti, come ad farina, lo zucchero, le uova, l’olio (o il burro), esempio a Matelica dove si usa aggiungere l’uva sultanina, il lievito e il limone grattugiato. le uova nella sfoglia. Si possono aggiungere dei canditi e anche, in piccole dosi, vin santo, come si usa fare in al- cune zone del pesarese; o liquori (abitudine più c’era una volta diffusa nell’ascolano). Il segreto di questo dolce sta, oltre che nell’accurata selezione delle ma- la colazione terie prime, nella lievitazione che deve essere lentissima tant’è che per ottenere il prodotto fi- Non è l’inizio di una fiaba ma potrebbe anche nito occorrono due giorni. A causa della laborio- esserlo per come siamo ormai abituati a saltare sità della preparazione, le pizze di Pasqua veni- questo antico rito sostituendolo con un fretto- vano tradizionalmente fatte una volta l’anno, loso caffè al bar, magari accompagnato da un nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua bel cornetto industriale (identico da Aosta a stessa. Si usava prepararne in grandi quantità in Caltanissetta) soddisfatti di poter accumulare modo da poterle conservare e consumare anche col minimo sforzo la “giusta” quantità di ca- per diverse settimane. lorie per arrivare ben sazi fino all’ora di pranzo. 54 Non staremo qui a ripetere quanto sia impor- Ma oltre al pane, non era raro che sulle tavole tante fare la prima colazione in casa, sia dal apparecchiate del mattino comparissero bi- punto di vista nutrizionale che della socializza- scotti, ciambelle e ciambelloni. Facciamo zione familiare e quanto sia importante sce- dunque un rapido excursus tra i prodotti tradi- gliere oculatamente le varie tipologie di ali- zionali che rallegravano la colazione dei nostri menti e dosarle con equilibrio. nonni e che oggi possono rappresentare una va- Andremo invece a conoscere alcuni alimenti che lida alternativa a merendine e affini. possono aiutarci a riscoprire il gusto di fare una Il più conosciuto è senza dubbio il ciambellone; vera prima colazione accontentando, in un sol un dolce dall’aspetto di una torta ben lievitata a colpo, nutrizionisti, sociologi e soprattutto ... il base di: farina, uova, zucchero, latte, strutto o nostro palato. burro, buccia di limone, lievito e bicarbonato. Una volta i bambini avevano a disposizione in Ce n’è anche una versione più rustica, diffusa qualsiasi momento latte “alla spina”. Sicura- nel Montefeltro, che si caratterizza per l’assenza mente c’era una poesia unica nel bere il latte di grassi e che viene chiamata biscott. appena munto (i bambini più grandicelli, poi, se Esistono poi svariati tipi di ciambelle tra cui lo mungevano da soli) ma quanto all’igiene sono caratteristiche quelle all’anice dette … qualcosa da obiettare ci anche anicini o quelle frastagliate, sarebbe stato. Oggi co- chiamate anche “strozzose” munque, con le mo- per la loro asciuttezza derni reti distributive, tanto da richiedere nelle Marche si di- l’aiuto di una tazza di spone, a poche ore dalla latte caldo o, se servite a mungitura, di un ottimo latte fine pasto, di un buon bic- fresco con garanzie igieniche infinitamente su- chiere di vino cotto. periori a quelle di un tempo. Ciò che è cambiato, Passando ai biscotti, troviamo quindi i gustosis- semmai, sono le tecniche di alimentazione e di simi anicetti a base di farina, strutto, semi di allevamento degli animali; ma questo è un pro- anice, zucchero, latte e uova da non confondersi blema che non riguarda solo il latte e possiamo con gli anicini che, abbiamo visto, sono delle affermare tranquillamente che anche da questo ciambelle. punto di vista le Marche se la passano relativa- Assai apprezzati sono anche i biscotti di mosto, mente bene rispetto ad altre regioni. che vengono prodotti nella maggior parte del Latte quindi come materia prima essenziale per territorio regionale. Si utilizza mosto di giornata la colazione di una volta sia dei bambini che dei che viene mescolato con farina di grano tenero, grandi (eventualmente colorato con un po’ di olio d’oliva, zucchero, anice e lievito. Dopo al- “caffè d’orzo”). La parte solida della colazione cune ore di fermentazione, si formano dei pa- era costituita dal pane fatto in casa; anzi la co- netti di colore bruno che vengono cotti al forno. lazione era il momento ideale per lo “smalti- A questo punto, il pane così ottenuto può essere mento” del pane raffermo che veniva ammorbi- consumato tal quale, una volta raffreddato, op- dito nel latte o abbrustolito sulla brace. Una pure lo si può tagliare a fette e biscottarlo. ghiottoneria consisteva nello spalmare sul pane Per concludere, infine, parleremo di un prodotto la panna che affiorava dal latte quando veniva che ai più anziani farà tornare alla memoria bollito (la bollitura era l’unica pratica igienica tempi bui e mai abbastanza dimenticati. Si effettuata sul latte). tratta dei biscottini sciroppati, detti anche bi- scutin’. I tristi ricordi derivano dal fatto che tica tradizione contadina. Se infatti il gusto at- 55 questi biscotti, essendo sciroppati e pertanto in tuale fa propendere per l’olio d’oliva, sia come in- grado di conservarsi a lungo in barattoli di vetro, grediente che per friggere, i cultori delle ricette “di facevano parte dei pacchi inviati dai familiari ai una volta” non vogliono sentir parlare d’altro soldati al fronte durante la guerra. I biscutin’ si fuorché di strutto. presentano di aspetto cilindrico, schiacciati ai Le sfrappe, localmente conosciute anche come poli, con un diametro di 4-5 centimetri e un fiocchetti, sono delle semplicissime frittelle for- peso di 20-25 grammi. All’esterno sono ricoperti mate da farina, uova, acqua, zucchero e olio d’o- da una glassa di acqua, zucchero, buccia di li- liva (allineamoci anche noi al gusto corrente). Nel mone grattugiata, farina, uovo e olio d’oliva. Piceno, si usa anche aggiungere anice in polvere, Questi biscotti racchiudono una serie di con- oppure vino bianco o, ancora, vino cotto. Con l’im- trasti che li rende particolarmente appetibili. La pasto, si forma una sfoglia di 2-3 millimetri di dolcezza della glassa è mitigata dalla freschezza spessore che viene poi tagliata nelle forme più del limone, mentre la fragranza del biscotto an- svariate: strisce, nastrini, fiocchetti ecc… e fritta. nega nella densità dello sciroppo di acqua, zuc- Le sfrappe si servono cosparse di zucchero e al- chero e limone. La zona di produzione di questo chermes. prodotto è circoscritta ad alcuni comuni del pe- Anche le castagnole si presentano di forme di- sarese, in particolare a quello di Fratte Rosa. verse: a filoncino nel pesarese, tondeggianti con Vista la particolarità del prodotto, vale senz’altro un diametro di 8-10 centimetri nell’ascolano, la pena andarne alla ricerca e scoprire, con l’oc- sempre tondeggianti ma di dimensioni ridotte nel- casione, delle zone ancora troppo poco cono- l’anconetano e nel maceratese. Gli ingredienti sciute della nostra regione. fondamentali sono gli stessi delle sfrappe, con l’aggiunta del latte, della buccia di limone grattu- giata e del lievito, oltre che di un pizzico di sale. i dolci di Carnevale Particolarmente golose sono le castagnole riem- pite con la crema pasticcera e cosparse di zuc- Da sempre il Carnevale è stato considerato un chero. Come la maggior parte dei dolci di Carne- momento di trasgressione e, in quest’occasione, vale, anche le anche chi non era in una condizione agiata si per- casta- metteva qualcosa in più. Almeno a livello culi- nario. Per questo motivo, non c’è paese delle Marche che non annoveri tra i propri prodotti tipici le sfrappe, le castagnole, gli scroccafusi o la cicerchiata. D’altronde, se andiamo a scor- rere la lista degli ingredienti, ci accorgiamo come questo concedersi qualcosa in più sia da riferirsi soprattutto al gusto in quanto le materie prime che compongono i dolci del carnevale sono gnole estremamente semplici ed erano facilmente repe- vengono fritte (in olio o strutto). Ne esistono tut- ribili in campagna e quindi alla portata anche tavia altre versioni come ad esempio quella diffusa delle famiglie meno agiate. Si parla essenzial- nel pesarese in cui vengono prima lessate in acqua mente di farina, uova e latte. Unico “lusso” lo zuc- bollente, lasciate gonfiare, quindi incise nel senso chero. Anche la scelta dei grassi ci riporta all’an- della lunghezza e infine cotte al forno. 56 Simili alle castagnole sono gli scroccafusi, an- mezzo centimetro, viene arrotolata. Si formano ch’essi esistenti in diverse versioni tanto da essere, così dei bastoncini (detti “bigoli”) che vanno poi talvolta, confusi con le castagnole e viceversa. Tra tagliati in piccole palline della dimensione di un le molte varianti, possiamo ricordare quella tipica seme di cicerchia. In una padella, dove intanto si di Camerano, in provincia di Ancona, dove gli sarà fatto scaldare lo strutto, si versano le palline scroccafusi si sono mantenuti immuni da “conta- facendo attenzione ad agitare spesso la padella in minazioni” (alchermes, rum e zucchero a velo), modo da non farle attaccare tra loro. Appena le mantenendo inalterata la loro semplicità. Sono palline assumono una colorazione dorata, si tirano chiamati scroccafusi lessi in quanto, prima di es- su e si posano a scolare sulla carta assorbente. In sere cotti al forno, vengono bolliti in acqua e si un’altra pentola, nel frattempo, si scioglie a calore producono lungo tutto l’arco dell’anno. moderato del miele finché non sarà liquefatto, L’ultimo prodotto che prendiamo in esame è la ci- evitando di farlo bollire. Si versano quindi nel cerchiata, senz’altro quello che richiede più tempo miele le palline fritte (a piacere si possono ag- per la realizzazione. Diffusa su tutto il territorio re- giungere mandorle tritate e abbrustolite, pinoli gionale, con prevalenza nell’anconetano è diven- oppure buccia grattugiata di arance e canditi ta- tata da un dolce tipico del periodo di Carnevale, gliati a dadini) rimestandole fino a quando il com- uno dei dolci più apprezzati del panorama marchi- posto non sarà perfettamente “legato”. A questo giano ed è possibile trovarla quasi tutto l’anno. Può punto, si versa il tutto in un piatto e si modella con assumere diverse forme; le più frequenti sono le mani fino all’ottenimento della forma deside- quelle a filoncino, a cupola o a ciambella. rata; poi si lascia raffreddare e consolidare. Servita fredda a fette o a spicchi, la cicerchiata si con- LA CICERCHIATA: COME SI PREPARA serva fragrante per diversi giorni. Ingredienti: farina, uova, burro (o olio d’oliva), mistrà (utilizzato prevalentemente in provincia di Macerata e Ascoli Piceno) o cognac, zucchero, fristinghi, frustenghe buccia di limone grattugiata, miele e, a piacere, buccia grattugiata di arancia, canditi, pinoli, e bostrenghi mandorle tritate e abbrustolite. Si impasta la farina con le uova, il burro (o l’olio), Sembra un gioco di parole, mentre in realtà si lo zucchero, la buccia di limone e il liquore. L’im- tratta di tre dolci caratteristici della nostra tra- pasto viene lavorato fino ad ottenere una pasta dizione. Se non si rischiasse di confondere an- morbida ed omogenea che, stesa con il mattarello cora di più le idee si potrebbe aggiungere che il fino ad uno spessore di fristingo è conosciuto, in alcune zone, con i circa nomi di frustingo, frustingu, fristingu, frestinghe e altri sinonimi dialettali la cui trascrizione è possibile solo ricorrendo all’alfabeto fonetico, ma è meglio soprassedere. Cambiano i nomi, cambia qualche ingrediente e questo suc- cede non solo passando di provincia in pro- vincia ma già di paese in paese e di casa in casa. Quello che non cambia è che ogni va- riante di questi prodotti racchiude tanta storia e altrettanto gusto. Il fristingo, per cominciare, è un dolce tipico della diffusione geografica del prodotto è leggermente 57 tradizione natalizia delle province di Macerata, diversa in quanto la frustenga è tradizionale di una Fermo ed Ascoli Piceno. Si presenta di colore zona più settentrionale che arriva fino alla provincia bruno e di aspetto compatto; ricorda vagamente il di Ancona mentre non è diffusa nell’Ascolano. panforte. È un dolce ricchissimo: scorrendo la Salendo ancora a nord di qualche decina di chilo- lunga lista degli ingredienti, troviamo: fichi secchi, metri, si arriva nella provincia di Pesaro e Urbino uva sultanina, canditi, mandorle tostate, noci, dove, soprattutto nelle zone montane, troviamo noce moscata, cannella, caffè, liquore all’anice, li- un dolce ancora tanto simile e allo stesso tempo mone, miele, pane grattugiato, farina di grano te- tanto diverso dai due che abbiamo descritto po- nero e olio extravergine di oliva. Non lo si può si- c’anzi: il bostrengo. Anch’esso tipico del periodo curamente definire un dolce dietetico, ma invernale, come ci dice anche un antico la presenza dell’olio extravergine di proverbio del luogo: "Piov e neng, oliva quale unico grasso lo rende tutt l vecchie fann el bostreng" assai più digeribile di quello (Piove e nevica, tutte le vec- che si potrebbe pensare. Ma chie fanno il bostrengo). È vediamo come si prepara. Bi- legato, in particolar modo, sogna, prima di tutto, ba- alla festività della Ma- gnare e bollire i fichi secchi donna di Loreto, che cade il prima di unirli all’insieme degli 10 dicembre. Cambia ancora altri ingredienti. Quindi, si me- la farina utilizzata: in questo scola accuratamente l’impasto così caso si usa la farina di castagne, ottenuto con la farina di frumento ed il che viene abbinata, nell’impasto, al riso. pane grattugiato. Quando si sarà ottenuta una Gli altri ingredienti sono in parte comuni al fri- certa consistenza, si porrà il tutto in un tegame da stingo ed alla frustenga (la cannella, la frutta forno precedentemente unto con olio d’oliva. La secca, l’uva sultanina, il miele), in parte nuovi cottura, da effettuare ad una temperatura di 150°, come il cioccolato e le bucce di agrumi grattu- si considera ultimata quando il fristingo assume, giate o sminuzzate. Infine, va osservata la pre- esternamente, una colorazione bruno-dorata. Si senza di tre ingredienti di origine animale: il serve una volta che si è ben raffreddato e si presta latte, il burro e lo strutto che contribuiscono a anche ad essere conservato per lunghi periodi. differenziare ulteriormente questo prodotto. È La frustenga è per alcuni aspetti simile al fri- evidente come gli ingredienti siano diversi da stingo, avendo in comune con esso alcuni ingre- zona a zona un po’ per un fatto squisitamente dienti (fichi secchi, uva sultanina, noci, olio e pane attinente al gusto ma, soprattutto, in base alla grattugiato). Se ne differenzia, tuttavia, per alcune disponibilità delle materie prime in ciascun caratteristiche che lo rendono veramente partico- luogo di produzione. Fristinghi, frustenghe e lare. La farina utilizzata non è infatti quella di bostrenghi, quindi. Difficile dire quale sia il pro- grano tenero, generalmente utilizzata per i dolci, dotto migliore, ciascuno valuterà in base al pro- bensì quella di mais tant’è che per questo dolce si prio gusto sapendo che il risultato finale sarà può azzardare la definizione di “polenta farcita”. sempre diverso in base alla mano del cuoco, del Altri caratteri distintivi della frustenga, rispetto al pasticcere, del fornaio o della massaia e all’at- fristingo, sono la presenza delle mele e la possibi- tenzione che sarà stata prestata nella scelta lità di gustare questo dolce anche caldo, diretta- delle materie prime. mente servito sul tagliere della polenta. Anche la 58 stituire un presidio per salvaguardarlo e rilan- dai fichi, lonze ciarlo. E i risultati non sono mancati visto che nei primi tre anni di operatività del presidio la e torroni produzione è aumentata di oltre il 230% ed il prezzo di vendita ha fatto registrare un incre- Per quanta cura si possa avere nell’allevare il mento del 63%. E ben il 25% della produzione maiale, nel procurargli la ghianda migliore, nel viene esportata in Francia, Inghilterra e ultima- lavorarne sapientemente le carni, non si potrà mente anche in Giappone; mai ottenere una lonza paragonabile alla dato assai sorprendente lonza di fico. È proprio questa, in- per un prodotto la cui fatti, la lonza marchigiana produzione è ancora li- più conosciuta ed ap- mitatissima, nell’ordine prezzata al di fuori di poche migliaia di unità dei confini re- all’anno. gionali. La pro- Ma spostiamoci ora nell’ascolano, dove si duzione è con- ottiene un prodotto per alcuni aspetti simile, il centrata essen- torrone di fichi, detto anche panetto di fichi. zialmente in pro- Esso si presenta di diverse forme: a torrone, a vincia di Ancona ma esiste, in piccole quantità, salame e persino a cuore. Va detto che il tor- anche in alcuni comuni del maceratese. rone di fichi, come d’altronde la lonza, nasce da È un dolce dalla caratteristica forma cilindrica, un’esigenza assai pragmatica, quella cioè di di 15-20 centimetri di lunghezza e circa 6 di utilizzare al meglio tutta la produzione di fichi diametro che si presenta avvolto da foglie di che, come noto, si concentra nell’arco di pochi fico legate con fili proprio come una lonza. giorni. Questo fatto, insieme alla scarsa serbe- L’ingrediente principale è costituito dai fichi volezza del frutto, ha fatto sì che venissero essiccati che vengono sperimentate diverse forme di conser- aromatizzati con mi- vazione fra cui la lonza e il strà, rum, o con la torrone sono senz’altro tra tradizionale sapa, che quelle meglio riuscite. ogni tanto vediamo ri- Il torrone, o panetto, si spuntare negli abbina- prepara partendo dai fichi menti più vari. Il tutto che vengono aperti e viene poi macinato ag- farciti internamente con giungendo noci e man- mandorle tostate e dorle triturate a parte. cedro candito. Si usa poi L’impasto così ottenuto aggiungere altri ingre- viene modellato finché non dienti variabili da zona a assume la forma di una lonza e viene poi av- zona e da ricetta a ricetta. I più volto nelle foglie. La lonza di fico si prepara ad usati sono: cacao, menta, cannella, vaniglia e ottobre e si mantiene fragrante fino a marzo- arancio candito. Una volta tagliati e allargati a aprile. forma di otto, i fichi vengono sistemati uno a Un prodotto straordinario, talmente interes- fianco all’altro in una piccola forma rettango- sante che nel 1999 Slow food ha deciso di co- lare in legno detta “coscena”. Si passa quindi alla farcitura interna a base di mandorle e 59 cedro candito con l’aggiunta di qualcuno degli serpi, cavallucci altri ingredienti “facoltativi”. La forma viene in- fine completata con un altro strato di fichi. Il ed altre creature coperchio della “coscena” viene a questo punto Può essere divertente andare a curiosare tra le utilizzato per effettuare una prima pressatura migliaia di nomi che vengono utilizzati per de- dolce alla quale, dopo aver fatto asciugare il signare le produzioni tipiche marchigiane. prodotto per qualche giorno, ne segue un’altra Spesso lo stesso prodotto viene chiamato con eseguita con un piccolo torchietto a mano. Il nomi diversi da una zona all’altra della regione torrone, a questo punto, è pronto per il confe- ma, a volte, anche famiglie dello stesso paese zionamento. amano disquisire su quale denominazione sia Entrambi i prodotti vantano una tradizione antica più appropriata a evocare le caratteristiche (in- e prestigiosa testimoniata da numerosi riferi- trinseche od estrinseche) di un tipo di pasta, di menti bibliografici. Si potrebbe iniziare citando la una pizza o di un dolce. Cosicché non mancano lettera di Giacomo Leopardi del 20 febbraio 1826 i rimandi al regno animale che non lesina certo nella quale il poeta recanatese ringrazia il padre spunti in grado di stimolare la fantasia dei no- per avergli inviato dei fichi “di un sapore eccel- stri pasticceri o delle nostre massaie. Non ab- lente”. Considerando che la lettera è del 20 feb- biate quindi timore di immergere un caval- braio, tutto lascia pensare che non si trattasse di luccio in un buon bicchiere di vino cotto op- fichi “settembrini” ma di fichi sotto forma di pure di addentare una serpe. E se vi dicono che lonza che, in questo modo, si potevano conser- a Pasqua la serpe diventa agnello, mantenete il vare fino all’inizio della primavera. Ma esistono vostro self control perché non state per assi- anche, sempre nell’ottocento, riferimenti assai più stere ad alcun evento soprannaturale. Né do- espliciti come ad esempio un articolo apparso vete paventare l’arrivo degli ungaracci perché sull’Eco del Tronto del 2 dicembre 1877 che elogia non di nuovi barbari si tratta o sentirvi minac- una fabbrica di Monsampolo che produceva lo ciati se vi promettono un bel calcione. E se do- “squisito Torrone di Fichi”. Il prodotto è citato vesse arrivare il chichiripieno? Meglio ancora! anche nel libro “Ascoli Piceno 1882 – Guida della Direbbe uno che sapeva apprezzare le cose città e dintorni” (G. Gabrielli) ne “La Guida della buone della vita. Ma andiamo a conoscere me- Provincia di Ascoli Piceno” (C.A.I. 1889) e in “La glio queste misteriose creature. patria – Geografia dell’Italia” (G. Strafforello La serpe, per cominciare, è un dolce diffuso 1898). Ma il primo riferimento storico risale addi- nelle province di Ancona e Macerata e nella rittura al 1571 ed è quello riportato in un docu- parte settentrionale della provincia di Ascoli mento dell’Archivio Storico del Comune di Mon- Piceno. Arricchisce la tavola nel periodo inver- sampolo del Tronto dal quale risulta che un “ca- nale, in particolare in occasione delle due festi- merario” comunale ha pagato due bolognini d’ar- vità religiose che segnano l’inizio e la fine della gento per l’acquisto di un “pezzo di fichi”. Un brutta stagione: il Natale e la Pasqua. In effetti, pezzo di storia verrebbe da dire, ma auspichiamo la forma di questo dolce ricorda quella di un che questi due prodotti possano avere anche un serpente ed è consuetudine nel periodo pa- futuro all’altezza della loro tradizione. squale, soprattutto nel maceratese, confezio- narlo a forma di agnello e chiamarlo, appunto, con questo nome. 60 L’impasto è formato da mandorle tritate fine- che vanno dalla semplice spruzzatina di al- mente, zucchero e albume d’uovo ai quali si ag- chermes con aggiunta di zucchero fino alla glas- giungono liquore e cannella. Il tipo di liquore satura e successiva rifinitura con i confettini co- utilizzato può variare da ricetta a ricetta così lorati. come non è costante l’uso della cannella che Abbandoniamo ora ogni velleità sistematica e può essere omessa o sostituita con altri aromi. lasciamoci guidare dalla logica della curiosità. Una volta modellato secondo la forma deside- Spostiamoci quindi in provincia di Pesaro e Ur- rata, l’impasto viene guarnito con confettini e bino e incontriamo gli ungaracci o ungarucci se cotto al forno per pochi minuti. Dopo la cottura, vogliamo utilizzare il nome più rassicurante con è frequente l’abitudine di guarnire il prodotto cui li chiamano a Cantiano. Si tratta di gustosi con una glassa composta da albumi montati a filoncini lunghi circa 20-30 centimetri costituiti neve e zucchero e di farlo asciugare al da farina di mais, uvetta, semi di forno a bassa temperatura. In anice, zucchero, acqua, lievito e sale. alternativa, si usa spolve- E passiamo ora ai cal- rarlo con zucchero a cioni. Ce ne sono velo a cottura ulti- per tutti i gusti: al mata. La serpe si forno, fritti, ri- può consumare pieni di pecorino, fresca ma si ma anche di fave presta ottima- o di ceci e, per i mente alla più esigenti, anche conservazione. aromatizzati con Basti pensare che un tempo l’alloro. Il più famoso le famiglie di Filottrano (un paese di tutti è il calcione di dell'anconetano) preparavano grandi quantità Treia: un disco di pasta di questi dolci a Natale e ne conservavano alcuni sfoglia, spesso un centi- per consumarli in occasione della festa del pa- metro e dal diametro di trono che cade nel mese di maggio. circa dieci, con un ripieno di uova, farina, peco- Grosso modo la stessa, anche se un po’ più ri- rino, zucchero e olio. Si cuoce al forno e si serve stretta verso sud, è la zona di produzione dei ca- sia come dolce che come spuntino, accompa- vallucci, dei biscotti a forma di cavalluccio ma- gnato da un vino bianco secco o dalla Vernaccia rino, anch’essi tipici del periodo invernale. La di Serrapetrona che ben si legano al suo sapore loro preparazione è più complessa rispetto alla dolce e leggermente piccante. Da circa 40 anni, serpe richiedendo più tempo e una maggior va- la Sagra del Calcione di Treia è l’appuntamento rietà di ingredienti. Occorre infatti da una lato immancabile della terza domenica di maggio. impastare farina, uova zucchero, olio e vino Di questo prodotto, abbiamo detto, esistono bianco fino ad ottenere una sfoglia spessa, dal- molte varianti sia nella stessa provincia di Mace- l’altro preparare il “ripieno” a base di: sapa, rum rata, sia in quelle confinanti di Ancona ed Ascoli o marsala, caffè, noci, mandorle tritate, ciocco- Piceno. Una di queste è talmente particolare da lato fondente, canditi, uvetta, fichi secchi, cacao meritare una menzione a parte: si tratta del cal- amaro e pane grattugiato. I biscotti vengono cione di fava fritto. In pratica, un grosso raviolo quindi farciti, modellati e cotti al forno. Varie composto da una sfoglia di farina e uova ripiena sono anche in questo caso le possibili guarniture di purea di fave opportunamente dolcificata e e non è finita 61

Ce n’è proprio per tutti i gusti nelle Marche. Non paghi di aver conosciuto frustenghi, serpi, chichi- ripieni, ungaracci e cacciannanzi, accingiamoci a fare un’ultima escursione nell’affascinante mondo dei prodotti da forno e affini. Per cominciare, incontriamo un prodotto presente in tutto il territorio regionale: le fave dei morti. Sono dei dolcetti di forma circolare, leggermente appiattiti, dal colore dorato e dalla consistenza dura e compatta, il cui nome ci ricorda tradizioni che, solo qualche decina di anni fa, erano ancora piuttosto diffuse. Ai funerali, si usava infatti offrire agli ospiti la colazione, che non avevano fatto prima per poter ricevere la comunione durante il servizio funebre. E, in quell’occasione, si offrivano appunto, insieme a dei maritozzi appena sfornati aromatizzata. Prima di essere schiacciate, le fave e ad un bicchierino di vermuth, le fave dei morti. vengono lasciate in ammollo per una notte in- Ingrediente essenziale per la loro preparazione è tera. Dopodiché vengono lessate e … non dimen- rappresentato dalle mandorle che, una volta ab- ticate mai una foglia di alloro. Il calcione viene brustolite, vengono tritate e amalgamate con zuc- quindi fritto in olio o strutto bollente. È cono- chero, farina, uova, cannella in polvere, strutto sciuta un’ulteriore variante di questo prodotto, fuso e acqua calda. Nell’ascolano è frequente diffusa nel territorio di Civitanova Marche dove anche l’aggiunta di buccia di limone grattugiata, viene chiamata “lu cicerù”, in cui si utilizzano i mentre nell’entroterra anconetano si usa aggiun- ceci anziché le fave. gere del rum. Una volta preparato l’impasto, ven- Concludiamo questa carrellata con il chichiri- gono modellate le fave che poi vanno cotte in pieno, detto anche chichì. È un prodotto tipico forno per circa mezz’ora ad una temperatura in- dell’ascolano, in particolare di Offida e delle aree torno ai 150 gradi. immediatamente circostanti. Consiste in una fo- Passando a un altro prodotto molto diffuso su caccia ripiena di peperoni gialli e rossi, carciofini tutto il territorio regionale, troviamo i sughetti. Si sott’olio, olive verdi, tonno, alici sott’olio, prezze- tratta di un dolce freddo ottenuto dal mosto bol- molo ed eventualmente anche capperi. E se vi lito con l’aggiunta di farina di granoturco, noci e, sembra poco, considerate che nella focaccia, per a piacere, mandorle, pinoli e semi di zucca tritati renderla più elastica, si aggiunge anche dello grossolanamente. La preparazione è simile a strutto. Il tutto viene poi cotto ad alta tempera- quella della polenta con la differenza che, anziché tura, preferibilmente nel forno a legna. Una spe- l’acqua, si usa il mosto non fermentato. Anche la cialità gustosissima che vi spingerà ad assaggiare presentazione finale è la stessa: in piatti o vassoi uno degli ottimi vini che vengono prodotti in dei quali i sughetti, una volta raffreddati e solidi- questa zona particolarmente vocata alla vitivini- ficati, assumono la forma. coltura. 62 Di consistenza morbida, al palato rimangono mamente compatta, ed è composta da: pasta del leggermente dolci con un piacevole contrasto pane, noci, fichi secchi, nocciole, uva passita, tra il sapore un po’ acidulo del mosto e quello buccia di arancio e di li- salato delle noci, delle mandorle, dei pinoli o dei mone e lievito. Ri- semi di zucca che vengono uniti all’impasto. Il chiede un periodo di colore dei sughetti è generalmente sul marrone lievitazione di 6- ma può avere riflessi variabili tra il verde scuro e 8 ore e va il violetto a seconda del tipo di mosto utilizzato. cotta, preferi- Abbiamo detto che i sughetti sono diffusi su bilmente, nel tutto il territorio regionale anche se va precisato forno al legna. che nel nord delle Marche la loro presenza è Ma ci sono ancora altri meno radicata e si usa anche prepararli con la prodotti da scoprire; da scoprire nel farina di grano anziché quella di granoturco. vero senso della parola perché hanno Tra i termini dialettali più frequentemente uti- una diffusione estremamente limitata e bisogna lizzati possiamo ricordare l’anconetano “sciu- proprio… andarseli a cercare. gheti”, il maceratese “sughitti” o, infine, l’asco- Procedendo da nord a sud, lasciamo la A14 a Se- lano “sapetti” (dall’altro prodotto a base di nigallia e ci dirigiamo verso l’interno fino ad ar- mosto, la sapa). rivare, a 250 metri sul livello del mare, a Ostra Tipico del pesarese, con una relativa diffusione Vetere, immersi in un paesaggio di rilassanti col- anche nelle province di Ancona e Macerata, è il line. Qui si produce il maiorchino (o maroc- pan nociato. È una pagnottina dorata, dal peso chino), un dolce di forma allungata e schiacciata di circa 50 grammi, composta da farina di grano dal colore ambrato all’esterno tenero, latte, strutto, olio, noci, fichi secchi a e giallo chiarissimo interna- pezzetti, pecorino, lievito, sale e pepe. mente e dal sapore molto Grosso modo nella stessa zona si producono le delicato. È formato da fa- frittelle di polenta: gustose pizzettine dolci rina, uova, zucchero e man- fritte ricavate impastando la polenta raffreddata dorle e può essere consu- con la farina di grano. mato sia fresco, se lo preferite Nelle due province meridionali delle Marche si più morbido, oppure secco. In prepara invece, nel periodo natalizio, la pizza questo caso sarà d’obbligo con le noci. Di aspetto simile ad un ciambellone inzupparlo in un buon bic- non molto lievitato, ha chiere di vino locale. una consi- Per trovare il prossimo prodotto, occorre rag- stenza giungere Serravalle del Chienti. Se avete estre- fretta potete riprendere la A14 e se- guirla fino a Civitanova Marche e poi prendere la superstrada in direzione Foligno. Chi va in cerca di prodotti tipici sa, tuttavia, che è molto meglio prendersela comoda perché si possono incontrare piacevoli sor- prese proprio lungo i tra- gitti più impensati. Perdetevi quindi tra le colline, Superato il confine della provincia di Macerata, 63 ricoperte dai vigneti del Verdicchio dei Castelli di attraversiamo per qualche chilometro la “gio- Jesi e, se siete appassionati di vini, non avete che vane” provincia di Fermo per ritornare quindi da scegliere se andarvene per Matelica alla ricerca nell’ascolano dove, tra paesaggi affascinanti e dell’altro Verdicchio oppure se fare una puntata a aspre colline, entriamo in una della aree più vo- Serrapetrona e ritemprarvi con un buon bicchiere cate alla vitivinicoltura: la zona di produzione di Vernaccia. del Rosso Piceno Superiore. Raggiungiamo Of- Ciò che troverete, una volta arrivati a Serravalle fida, dove si conclude il nostro itinerario con è la rocciata, una torta salata costituita da una l’assaggio del “funghetto di Offida”, così chia- sfoglia farcita con la Silena vulgaris, una pianta mato in quanto ricorda, effettivamente, un pic- localmente chiamata “sfrizzoli”. La rocciata, colo fungo, è un dolcetto molto croccante a base detta anche erbata proprio per la presenza di di farina, zucchero, acqua e anice. questa erba, rappresentava tradizionalmente la Si mescolano accuratamente gli ingredienti fino merenda tipica del giorno dell’Ascensione. Si ad ottenere un impasto omogeneo e consistente. prepara comunque anche in altri periodi del- Si formano quindi delle palline del diametro di l’anno e la farcitura varia a seconda della sta- 2-3 centimetri che vengono adagiate sopra una gione. Ad esempio, nel periodo natalizio, la roc- spianatoia infarinata dove devono rimanere per ciata viene farcita con i cavoli e, appena sfor- almeno un paio di giorni ad essiccare. Una volta nata, prima di essere tagliata, si usa cospargerla asciutte, le palline vengono disposte in piccoli di miele e pepe ottenendo un caratteristico sa- cerchi di legno o di metallo che vengono, a loro pore agrodolce. Da Serravalle, attraversando il volta, sistemati, l’uno accanto all’altro su larghi Parco dei Sibillini, tra paesaggi mozzafiato e pro- testi da introdurre nel forno ben caldo per circa dotti anch’essi mozzafiato (fermarsi a bere un mezz’ora. Ciò che avviene nel forno è molto bicchierino di mistrà a Pievebovigliana per cre- spettacolare: le superfici delle palline rimangono dere), raggiungiamo Sarnano dove ci aspetta la bianchissime e dure, ma l’interno, essendo mor- crostata al torrone. Lavorata esclusivamente a bido, si espande con la cottura e fuoriesce, mano, questa specialità si compone di un im- unendo così l’una all’altra le palline e assu- pasto formato da: mandorle, nocciole tostate, mendo un colore bruno. L’effetto che ne risulta zucchero, farina, uova, olio e spezie. Si predilige è sorprendente: sembra di vedere una distesa di cuocerla nel forno a legna dove acquisisce la ti- funghetti bianchi sulla terra scura. pica croccantezza. La fragranza e il sapore della crostata al torrone rimangono pressoché inalte- rati anche per 15-20 giorni. le delizie dell’orto

Già nel 1440, a Montelupone, in provincia di Macerata, si svolgeva una festa del carciofo, o meglio dello “scarciofeno" come dicono da queste parti. Si tratta del carciofo montelupo- nese, che viene raccolto tra aprile e maggio ed è molto apprezzato sia per il consumo fresco che per la preparazione di conserve sott’olio se- condo le tradizionali ricette casalinghe. Più pre- coce il carciofo violetto di Jesi, diffuso oltre che nel comune da cui prende il nome, anche a Monsano, San Marcello, Belvedere Ostrense, Morro d’Alba, San Paolo di Jesi e Monte San Vito. Pure il car- ciofo violetto vanta una tradizione plurisecolare, come attestano alcuni documenti risalenti alla fine del ‘700. Sempre da Jesi e dintorni ci arriva un'altra primizia: il cavolfiore precoce di Jesi. Questo prodotto, che vanta una considere- vole presenza anche nella fascia costiera della marrone del provincia di Ascoli Piceno (in particolare nella Montefeltro zona di San Benedetto del Tronto dove si coltiva dalla fine dell’Ottocento) è stato oggetto, negli anni, di ripetute selezioni finalizzate al migliora- tartufo mento delle caratteristiche commerciali del pro- dotto. All’origine, infatti, l’infiorescenza presen- bianco carciofo tava le classiche lumachelle: delle protuberanze violetto di Jesi coniche a spirale che, se da un lato sono da con- carciofo siderare un mirabile esempio di architettura ve- monteluponese getale, dall’altro creavano non pochi problemi in granturco fase di trasporto, poiché si rompevano facil- quarantino mente. Il miglioramento genetico ha influito taccole anche sul colore del corimbo che da giallognolo è roveja divenuto via via sempre più bianco. Si tratta quindi di un prodotto che col passare del tempo olive ascolane ha mutato alcune delle sue caratteristiche mor- marrone del Piceno fologiche, per andare incontro alle esigenze del di Acquasanta mercato, che ha però mantenuto invariate le ca- ratteristiche di precocità e rusticità che lo distin- guono dagli altri. E, tra questi altri, è d’obbligo citare il cavolfiore sima o completamente assente. Apprezzate per il 65 tardivo di Fano che compare già in alcune na- loro sapore dolce e delicato, le taccole si raccol- ture morte della fine del 1700 del pittore fanese gono nel periodo compreso tra aprile e giugno e Carlo Magini. Diffuso oltre che a Fano anche vengono cucinate in modo molto semplice (al for- nelle zone costiere limitrofe, fino a Senigallia, maggio, al lardo, in umido o al forno). Il prodotto presenta un’infiorescenza compatta, di pezza- è diffuso su tutto il territorio regionale ma trova la tura media o medio-piccola, di grana grossa e di sua terra di elezione nelle pianure del fermano e colore bianco o bianco avorio. Rustico e resi- dell’ascolano. Già all’inizio del Novecento le tac- stente al freddo, il cavolfiore fanese ha un ciclo cole facevano registrare consistenti produzioni biologico piuttosto lungo. Infatti, il trapianto si nella Valdaso da cui venivano esportate anche nel effettua dalla fine di agosto ai primi di set- Nord Europa. tembre e la maturazione inizia a fine febbraio L’ultima delizia degli orti marchigiani è il gobbo di per protrarsi fino a metà maggio. Trodica: il gigante degli ortaggi visto che la pianta Sempre al confine tra le province di Ancona e Pe- può pesare tranquillamente 8-10 chili. Oltre che a saro-Urbino, si produce la cipolla di Suasa. È dif- Trodica di Morrovalle, questo stretto parente del fusa particolarmente nel Comune di Castelleone di carciofo (appartiene alla varietà botanica “attilis Suasa tanto da prenderne il nome. Ma, in questo D.C.” della stessa specie del carciofo, la “Cynara caso, la relazione tra pro- cardunculus L.”) è diffuso nel dotto e territorio è talmente comune di Macerata e nelle stretta che gli abitanti di Ca- zone circostanti tanto da es- stelleone sono detti “cipol- sere identificato anche come lari”. Coltivata da almeno un cardo di Macerata. Rispetto secolo con la stessa cura e agli altri cardi, il gobbo di dedizione, la cipolla di Suasa Trodica presenta alcune ca- viene prima seminata in vi- ratteristiche distintive: la vaio per essere, poi, trapian- maturazione è meno precoce, tata in file semplici. Una le spine sono totalmente as- volta che la cipolla è giunta a senti, le foglie sono piene con maturazione, si pratica il piegamento delle foglie liste meno frastagliate. Si differenzia ancora per e il loro schiacciamento sul terreno. Tale tecnica doti di gentilezza più evidenti della costola me- ha il compito di bloccare lo sviluppo vegetativo e diana fogliare che si presenta molto ampia, spessa, di permettere alle foglie di asciugarsi ed acquisire priva di pellicola feltrosa, di colore bianco-avorio, la consistenza che renderà poi possibile intrec- carnosa, succosa, di aroma franco e sapore armo- ciarle tra loro a formare la caratteristica “treccia” nico molto delicato. La costola si distingue infine di 30-40 bulbi utilizzata sia per la conservazione per la scarsa presenza di filamenti che, a volte, che per la vendita di questo prodotto. mancano completamente. Una volta liberato dai Sempre per rimanere in tema di ortaggi, andiamo filamenti, il gobbo viene tagliato a pezzi e lavato a conoscere le taccole, una particolare varietà di accuratamente. Quindi, una volta lessato, è pronto pisello, detta anche “pisello mangiatutto” poiché per essere impiegato in diverse ricette: tutte tradi- si mangia con l’intero baccello. Un baccello lungo zionalmente semplici: in padella con la salsiccia, circa 10-15 centimetri, di forma larga e appiattita oppure in umido o, ancora, fritto con lo strutto. e di colore verde chiaro, caratterizzato dal fatto Non stupisca l’abbinamento del gobbo con sal- che la membrana posta al suo interno è sottilis- siccia e strutto in quanto il periodo ideale per gu- 66 stare questo ortaggio va da dicembre a febbraio e La ricetta classica in salamoia prevede le seguenti coincide perfettamente con l’epoca “della pista”. E fasi: una prima deamarizzazione, alcuni lavaggi per siccome coincide anche con il massimo del rigore la riduzione dell’alcale residuo, la successiva fer- invernale, è lecito concedersi qualche caloria in più. mentazione e conservazione in salamoia. Chimica- mente, la deamarizzazione è l’idrolisi dell’oleuro- peina, un principio attivo naturalmente presente tanti modi nelle olive. Anticamente, si effettuava con il “ranno”, un liquido alcalino ottenuto omogeneiz- di gustare l’oliva zando una parte di calce viva e 4-5 parti di cenere. Oggi si usa la soda in percentuale variabile tra In precedenza abbiamo visto quanto prezioso sia l’1,5% e il 3%. Questa fase deve durare fino a sempre stato considerato l’olio d’oliva. Ma una quando il principio alcalino non ha raggiunto i 2/3 grandissima reputazione ha sempre avuto anche della polpa. I successivi lavaggi con acqua si pro- l’oliva da mensa. E quando si parla di oliva da mensa traggono per 24-36 ore. Si aggiunge quindi la sa- nelle Marche, e non solo nelle Marche, è sottinteso lamoia all’8-10% di cloruro di sodio. Esiste anche che si sta parlando dell’oliva tenera ascolana. una produzione definita “al naturale” che viene ot- Buona, succosa e di facile digestione, quest’oliva, tenuta con una semplice deamarizzazione in sala- oggi conosciuta a apprezzata ben al di fuori dei moia. L’altra preparazione che ha reso celebre confini nazionali, era chiamata, dai classici latini, questo prodotto nel mondo è la versione farcita e “picena”. Illustri estimatori ne decantavano la poca fritta “all’ascolana”. La preparazione non è delle più presenza di olio ed acidi, la bontà in salamoia semplici ma il risultato finale è qualcosa di vera- (Plinio) o come inizio e fine pasto (Marziale). I Piceni mente straordinario. Bisogna innanzitutto prepa- erano soliti inviarle, entro barilotti di legno o in vasi rare il ripieno delle olive. Si fanno soffriggere, in di terracotta, come omaggio ai protettori romani olio o strutto: sedano, carota, cipolla e pezzi di che ne erano ghiottissimi. Non erano da meno i carne di bovino adulto e, in quantità minore, carne Cartaginesi, che, al tempo di Annibale, ne fecero suina. È possibile anche l’aggiunta di piccole quan- vere e proprie razzie. Citazioni più recenti sono le- tità di carni bianche gate a Papa Sisto V, Garibaldi, Rossini e Puccini. Il suo habitat ideale, originato dal disfacimento di rocce calcaree su travertini, dal confluire di acque e da un freddo ideale per le piante, è vicino ad Ascoli Piceno, anche se la zona produttiva è più vasta e sconfina anche nella parte settentrionale della pro- vincia di Teramo. Il limite dell’oliva ascolana è l’e- strema delicatezza dei frutti che, per essere idonei alla lavorazione, devono essere perfettamente in- tegri. Quindi si può immaginare quanta maestria e quanta pazienza si richieda alle laboriose donne ascolane che si dedicano ancora alla raccolta di questo autentico tesoro. Finché non si arrende- ranno alla fatica della raccolta, sarà ancora possi- bile gustare questo prodotto, la cui produzione at- tuale è nell’ordine di 4-5 migliaia di quintali. di pollo o di tacchino. Al soffritto, che va preparato nei contenitori di vetro dove si aggiungono gli 67 a fuoco lento, si aggiungono sale e vino bianco e, stessi ingredienti utilizzati per le olive marinate. Le eventualmente, salsa di pomodoro. A cottura ulti- basse temperature invernali favoriscono la perdita mata, la carne e gli altri ingredienti aggiuntivi ven- del sapore amaro delle olive e ne determinano la gono triturati e l’impasto così ottenuto viene le- disidratazione facendo assumere ad esse un gato con uova, formaggio grattugiato e spezie. A aspetto raggrinzito. Nel maceratese, questa prepa- questo punto le olive, che nel frattempo saranno razione è nota col nome di olive strinate. state snocciolate, vengono riempite con la farci- tura e passate nell’uovo e nel pangrattato. Quindi il tocco finale: la frittura in olio extravergine di i prodotti del bosco, oliva: una frittura breve che deve durare appena il del sottobosco tempo necessario perché si formi una leggera e croccante crosticina dorata. È un prodotto che e...del sottosuolo vanta non pochi tentativi di imitazione ma la croc- cantezza e la delicatezza delle olive all’ascolana Tipico prodotto delle zone interne, il marrone prodotte sul luogo, con la varietà ascolana tenera trova il suo habitat tra i 300 e 950 metri sul li- locale, non sono assolutamente eguagliabili. vello del mare. Tra i vari tipi di marroni esistenti, Comunque, proprio per distinguere il prodotto au- tre sono inseriti nell’elenco dei prodotti tradizio- tentico dai prodotti simili, è stata chiesta per l’O- nali: il marrone di Acquasanta Terme, il mar- liva Ascolana del Piceno la protezione comunitaria rone di Roccafluvione e il marrone del Monte- come DOP, registrata proprio in questi ultimi feltro. I primi due sono caratteristici dell’asco- giorni dalla Commissione Europea. lano, con maggiore diffusione nei due comuni Ma anche le olive da olio vengono utilizzate per che danno loro il nome: Acquasanta Terme e alcune preparazioni molto interessanti. È il Roccafluvione. Quello di Acquasanta è più caso, ad esempio, delle olive nere marinate che grande e si presenta bruno scuro con sfumature si ottengono, nelle varie zone della regione a rossastre, mentre quello di Roccafluvione è mar- partire dal Leccino o dalla Raggiola (nel pesa- rese) ma anche dalla Raggia (in provincia di An- cona) o dal Piantone di Falerone (nel fermano). Le olive raccolte vengono lavate in acqua cor- rente e quindi, una volta fatte asciugare, poste in vasi di vetro insieme a sale grosso, aglio, pezzi di finocchio selvatico essiccato e scorze di li- mone o di arancio essiccate. I recipienti vanno chiusi non ermeticamente e agitati quotidiana- mente per consentire un’uniforme distribuzione degli ingredienti. Dopo circa 40 giorni, il pro- dotto è pronto per essere consumato. Un’alternativa consiste nel mettere le olive in un sacco di juta insieme al sale grosso. Il sacco va ap- peso nel luogo più freddo della casa e, per evitare l’insorgere di muffe, le olive vanno rimescolate due volte al giorno. Successivamente, le olive passano 68 rone avana, con sfumature giallastre. Il marrone invece la seguente. Si tagliano i germogli in acquasantano è inoltre più dolce e si sbuccia più pezzi di due o tre centimetri che vengono messi facilmente. Ultima differenza, infine, che di- a bagno con acqua e succo di limone. Si fanno stingue il clone di Acquasanta dagli altri delle poi cuocere nell’olio con sale, pepe, aglio e prez- zone circostanti, è l’altezza decisamente mag- zemolo e, a cottura ultimata, si mettono in ba- giore degli alberi. rattolo. Il marrone del Montefeltro, invece, si ottiene Ma i veri gioielli dell’entroterra marchigiano dalla varietà locale detta “Gentile”, particolar- sono ben nascosti e solo pochi esperti sono in mente diffusa nell’alta Valmarecchia. In partico- grado di scovarli. E bisogna rivolgersi ad esperti lare sono presenti due cloni (Botticella e Monte a quattro zampe: i cani da tartufo; solo loro ci San Benedetto) che presentano le seguenti ca- permettono di deliziarci di queste autentici te- ratteristiche: pianta di media grandezza e vi- sori che già i Babilonesi conoscevano bene 5.000 gore, rami espansi e chioma a globo. Il tronco è anni fa o giù di lì. di colore grigiastro con numerose lenticelle Scientificamente, questi oggetti misteriosi sono grandi, rilevate biancastre o grigiastre. Il riccio si definiti come i corpi fruttiferi di funghi ipogei presenta grande, con tre frutti di pezzatura che vivono e si sviluppano sottoterra in simbiosi medio-grande con pericarpo marrone e striature mutualistica con l’apparato radicale di alcune scure rilevate. La presenza di castagneti ultra piante arboree. Prodotto spontaneo per eccel- secolari attesta la presenza di questo prodotto lenza, il tartufo, a causa del suo elevatissimo già in epoca piuttosto remota. Si fa infatti risa- valore di mercato, è stato oggetto, nel secolo lire l’introduzione di questa coltura all’attività di scorso, di approfonditi studi e ricerche mirati al- alcuni ordini monastici in epoca medievale. l’individuazione di tecniche che ne rendessero Sempre nel Montefeltro, troviamo altri prodotti possibile la coltivazione. In effetti, non si tratta molto singolari: si tratta dei germogli di pungi- di una coltivazione come siamo abituati ad in- topo, di tamaro e di vitalba conservati sot- tenderla tradizionalmente in quanto la tartufi- t’olio. Tutti e tre sono preparati in primavera per coltura consiste nel creare le migliori condizioni essere poi consumati durante il resto dell’anno. I possibili per consentire lo sviluppo dei tartufi at- germogli di pungitopo, raccolti nei boschi e nelle traverso la messa a dimora di piante “tartufi- macchie, si scottano in acqua e aceto legger- gene”, ovvero micorrizate in laboratorio. Sin mente salata. Fatti asciugare per qualche ora, dalla nascita della tartuficoltura, di cui nelle vengono speziati e messi sott’olio in barattoli Marche si parlava già nel lontano 1932, la no- chiusi ermeticamente. Hanno un gusto grade- stra è sempre stata una regione leader nel set- volmente amaro che li rende estremamente ap- tore. Come non ricordare, ad esempio, le nume- petitosi. Nei germogli primaverili del tamaro il rose tartufaie coltivate e realizzate da Lorenzo sapore amaro è ben più marcato, tanto da non Mannozzi-Torini, il precursore della moderna renderli graditi a tutti i palati. Per attenuare tartuficoltura. Molte di esse sono ancora pro- questa caratteristica, vengono associati con duttive, soprattutto nelle zone marginali dell’en- altre erbe aromatiche dal gusto più mite. La pre- troterra (Acqualagna, Cagli, Fabriano, Arcevia, parazione è simile a quella dei germogli di pun- Sassoferrato, Visso …). Dal 1980, è inoltre in gitopo con la differenza che la scottatura av- funzione il Centro sperimentale per la tartuficol- viene in aceto diluito con vino. Inoltre, nella pre- tura di Sant’Angelo in Vado. Tutto questo inte- parazione, è sempre previsto l’uso dell’aglio. La resse verso il tartufo si spiega con il fatto che le preparazione dei germogli di vitalba sott’olio è Marche sono una delle poche regioni italiane a poter vantare una buona produzione di tutte le giori centri di diffusione sono in provincia di Ascoli 69 specie di tartufo più significative. Piceno (Colle San Marco), Macerata (Pievebovi- Innanzitutto, il re dei tartufi, il tartufo bianco gliana e Muccia) e Pesaro-Urbino (Mercatello sul pregiato, il cui nome scientifico “Tuber ma- Metauro e Carpegna). Oltre alla roverella, per il tar- gnatum Pico” (dei magnati) indica tutta la no- tufo nero si utilizzano con buoni risultati il noc- biltà di questo prodotto. È diffuso principal- ciolo, il carpino ed il leccio. mente in provincia di Pesaro-Urbino (con i centri più rappresentativi ad Acqualagna, Sant’Angelo in Vado e Sant’Agata Feltria) ma fa registrare presenze significative anche nelle altre province (Amandola e Montefortino nel fermano e Vena- rotta nell’ascolano, Arcevia e Fabriano nell’an- conetano, Sarnano in provincia di Macerata).

Sia il tartufo bianco che il nero caratterizzano da sempre la cucina marchigiana. Tra i maggiori esti- matori dei tartufi di casa nostra troviamo Gioacchino Rossini che, tra una Semiramide ed un Guglielmo Tell, si dilettava tra i fornelli con risultati, a detta dei suoi fortunati ospiti, davvero eccellenti. Egli confessò di aver pianto tre volte nella sua vita: quando venne fischiata la sua prima opera, quando sentì suonare Tra le specie simbionti, predilige la roverella, ma Paganini e quando gli cadde in acqua un tacchino sono utilizzate anche altre piante come il cerro, il farcito ai tartufi durante una gita in barca. tiglio, la farnia, il salice ed il pioppo. E pensare che a vederlo … è proprio vero che l’apparenza in- ganna. Con il suo aspetto irregolare, la pezzatura mele e pere: assai variabile, il colore giallo ocra, a volte con ri- flessi olivastri fino ad arrivare al grigio verdastro, la frutta classica... deve aver insinuato più di un dubbio in chi per primo ha osato verificarne l’edibilità. Non che l’a- ma non troppo spetto sia molto diverso quando parliamo di tar- Fatta non di grandi numeri, la frutticoltura mar- tufo nero. Generalmente più piccolo del bianco, il chigiana può contare su alcuni prodotti di nicchia tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vitt.), è veramente interessanti. Anche tra le mele e le diffuso soprattutto nelle province di Pesaro-Urbino pere, la frutta per antonomasia, si possono con- (Acqualagna e Cagli) e Macerata (Camerino, Mon- tare tre veri e propri assi nella manica. tecavallo, Fiordimonte e Visso). Il primo di questi è la pera angelica che può essere Non trascurabile la sua presenza anche a Rocca- gustata nel periodo che va dalla fine di agosto al- fluvione (AP), Comunanza (AP) e Sassoferrato (AN). l’inizio di settembre. Già la sua presenza in un ne- Il tartufo nero estivo o scorzone (Tuber aestivum gozio di frutta e verdura è di per sé una garanzia Vitt.) può raggiungere, invece, pezzature molto si- che non vi trovate da un fruttivendolo qualsiasi. Se gnificative (anche fino a mezzo chilo). I suoi mag- poi volete andare a colpo sicuro, non avete che da 70 andare alla festa della pera angelica che si tiene a starvi in pochi istanti. Anche le caratteristiche fine agosto a Serrungarina, in provincia di Pesaro agronomiche della pianta non sono trascurabili e Urbino. Avrete modo allora di gustarla in un’at- trattandosi di un albero molto resistente al freddo. mosfera suggestiva in cui perdersi tra i vicoli e le Il frutto presenta, pure, una buona resistenza alla piazzette di questo tranquillo borgo medievale. La ticchiolatura e alle principali avversità biotiche. La pera angelica si presenta esternamente di colore mela rosa si presta quindi perfettamente alla col- verde-giallo con una grande macchia rosata nella tivazione con metodi biologici o a basso impatto parte rimasta più esposta al sole. Ha sapore deli- ambientale. Oltre ad essere consumate fresche, le cato, con note di moscato, leggermente speziata. mele rosa sono ottime anche cotte sotto la brace La polpa è butirrosa e presenta piccole granula- o al forno. Vengono anche utilizzate nella prepa- zioni intorno al cuore. Oltre ad essere consumata razione di vari tipi di dolci. Particolare è la prepa- come frutta fresca, può essere utilizzata a fine razione di una marmellata di mele rosa e menta pasto nella preparazione di piatti locali o anche, riscontrata in provincia di Macerata. come confettura, in diversi dolci. Estremamente limitata anche la diffusione della Spostandoci nei Sibillini, incontriamo la mela mela rozza della quale sono stati riscontrati sola- rosa, anche se sarebbe più adatto dire le mele mente due biotipi: uno a Santa Vittoria in Mate- rosa. Si tratta infatti di una varietà-popolazione il nano, in provincia di Fermo, l’altro a Recanati, in cui biotipo marchigiano si individua perlopiù nel- provincia di Macerata. La mela rozza presenta un l’area pre-appeninica dei Monti Sibillini ed è frutto di dimensioni contenute che non supera il quello che viene denominato “mela rosa marchi- peso di 40 grammi, di calibro abbastanza uni- giana”. Uno studio effettuato qualche anno fa dal- forme, di forma appiattita più o meno fortemente, l’allora Ente di sviluppo agricolo nelle Marche sul con profili irregolari. La cavità peduncolare è germoplasma del melo nelle Marche censì qual- stretta e poco profonda ed il peduncolo è molto cosa come 51 varietà e biotipi di provenienza lo- corto. La buccia è di colore verde, rugginosa su cale e si trattava quasi esclusivamente di mele tutta la superficie, di consistenza ruvida, cosparsa rosa. Il frutto è medio-piccolo, irregolare, di forma di poche lenticelle piccole e rugginose. Un altro appiattita e asimmetrica. La buccia è liscia e di co- caso quindi di aspetto esteriore poco accattivante lore rosso-vinoso, comunemente detto rosa. Un che penalizza l’apprezzamento del frutto da parte aspetto quindi che si discosta considerevolmente dei consumatori. Ma, la mela rozza viene consu- dagli standard della grande distribuzione che ven- mata solo da chi sa apprezzarla veramente. D’al- gono graditi dalla maggior parte dei consumatori. tronde, la scarsissima diffusione di questo frutto Ma, all’assaggio, scoprirete qualcosa di straordi- fa sì che non potrebbe essere diversamente. Ciò nario. Piacevolmente acidula e che colpisce sono Il profumo e il sa- profumatissima, pore un po’ aspro che la ren- la mela rosa dono facil- saprà con- mente rico- qui- noscibile dalle altre mele. Con la conservazione, poi, acquisisce della Regione Marche e della Comunità Europea, 71 un gusto spiccatamente zuccherino, asciutto e il tentativo di reintrodurre questa coltivazione aromatico, mai stucchevole. In passato, si usava non ha dato esiti soddisfacenti. Sono stati rea- anche tagliare le mele rozze in fette che, essiccate lizzati alcuni interventi significativi come ad su grate metalliche al calore della stufa a legna, esempio la messa a dimora di un campo dimo- venivano poi conservate in barattoli di latta per strativo, la ricerca di sbocchi di mercato appro- essere consumate durante l’inverno tal quali op- priati, l’incentivazione di nuovi impianti, uno pure fatte bollire nell’acqua mielata o nella sapa. studio finalizzato alla registrazione della DOP per l’Amarena di Cantiano … ma la produzione continua a rimanere a carattere poco più che fa- visciole e dintorni miliare. E pensare che nel 1928 le amarene di Cantiano erano apprezzate persino dalla fami- Se veniamo da sud, per arrivare a Cantiano siamo glia reale come dimostra un documento con cui costretti a sconfinare in terra umbra fino ad arri- Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte ne or- vare, lungo la Flaminia, ad una decina di chilo- dina urgentemente un quantitativo ad una nota metri da Gubbio. Poi, una volta lasciatici alle spalle industria del luogo. Ancora prima esistono testi- Scheggia, la strada diventa tortuosa e scende ra- monianze di riconoscimenti e onorificenze quali pidamente di qualche centinaio di metri per ripor- la Medaglia d’oro all’Esposizione internazionale tarci in terra marchigiana dove il paesaggio si ad- di Parigi e la Croce al Merito dolcisce inaspettatamente e intanto siamo arrivati all’Esposizione internazionale a Cantiano. Siamo a 360 metri sul livello del mare di Milano. Oggi, invece, chi e qui, un tempo, crescevano gli alberi vuole gustare delle delle visciole. amarene locali, e Più precisamente si per locali inten- tratta del ciliegio diamo locali al acido (Prunus ce- 100% (ma- rasus L.), una specie teria prima particolarmente ru- compresa), stica che ben si deve tentare la adatta anche a condi- fortuna presso zioni pedoclimatiche qualche agriturismo o ristorantino della zona. non propriamente ideali per la Ma come abbiamo già detto, uno degli scopi frutticoltura. Purtroppo, alcune carat- di questa pubblicazione è proprio quello di teristiche quali i costi troppo elevati per la rac- suscitare interesse verso quei prodotti a rischio colta, che deve essere effettuata rigorosamente di estinzione e qui siamo proprio di fronte ad a mano, e l’eccessiva durata della fase impro- una “specie da salvare”. duttiva, hanno, col tempo, ridotto considerevol- Altri due prodotti tradizionali ottenuti dalla la- mente la diffusione di questa pianta e anche le vorazione delle visciole sono le visciole essic- due industrie di trasformazione un tempo pre- cate e le visciole sciolte al sole; due prodotti senti hanno cessato l’attività. molto semplici, per alcuni versi simili, con un Nonostante l’impegno profuso negli ultimi anni denominatore comune: entrambi necessitano, dall’amministrazione comunale di Cantiano e da per un’ottimale preparazione, di una materia una cooperativa locale, con il finanziamento prima di grande qualità. 72 Le visciole essiccate sono un prodotto caratte- chero non sarà sciolto completamente. Per fa- ristico delle zone montane della provincia di cilitare lo scioglimento dello zucchero, i barat- Pesaro e Urbino. Le materie prime utilizzate toli vengono mossi o rigirati quotidianamente. sono quanto di più semplice si possa immagi- Al termine di questa fase, i barattoli vengono nare: visciole di provenienza locale e sole dei ritirati e conservati in luoghi freschi e asciutti mesi estivi. Dopo la raccolta, le per altri 30-40 giorni senza visciole vengono poste su più muoverli. Il prodotto grandi setacci al sole così ottenuto può con- per 10-15 giorni, rigi- servarsi anche per al- randole quotidiana- cuni anni. L’ultimo mente, fino a che, per prodotto a base di vi- la perdita di gran sciole, forse il più fa- parte dell’acqua con- moso, è il visner, il tenuta nelle drupe, as- cosiddetto “vino di sumono un aspetto visciole”, che abbiamo raggrinzito. Vengono trattato nella specifica quindi conservate in ba- sezione relativa a be- rattolo o in un sacco di tela. vande, distillati e liquori. Le visciole essiccate possono essere consumate tali e quali, a fine pasto, o possono L’AMARENA DI CANTIANO: COME SI PREPARA costituire la materia prima per un altro pro- Si prendono le visciole che, a maturazione, si dotto della zona: la visciolata. Per preparare la presentano di colore rosso scuro, ricche di polpa visciolata, una volta essiccate le visciole, si e di sugo e si puliscono dai gambi. Vengono procede alla loro bollitura nel vino, insieme a quindi calibrate tramite un setaccio e denoccio- zucchero, cannella e chiodi di garofano. Si la- late. È importante che tra la raccolta e la lavo- scia quindi raffreddare il tutto prima di versarlo razione trascorra al massimo qualche giorno in in barattoli di vetro che, chiusi ermeticamente, quanto la serbevolezza di questo frutto è piut- vengono riposti in locali idonei dove vengono tosto limitata. Le visciole si fanno quindi cuo- lasciati per due o tre mesi; il tempo necessario cere nel loro liquido di governo aggiungendo lo affinché questo prodotto possa raggiungere il zucchero necessario. A cottura ultimata, la giusto equilibrio tra il gusto inconfondibile frutta viene posta in contenitori di vetro, prece- delle visciole e gli aromi della cannella, dei dentemente sterilizzati ad alta temperatura. In chiodi di garofano e del vino. Un mix vera- tal modo, questo prodotto, tipico dei mesi di mente unico: provare per credere. Un quarto giugno, luglio e agosto, può conservarsi a lungo prodotto a base di visciole ci porta a Macerata in ambienti freschi e al riparo dalla luce diretta. dove troviamo le visciole sciolte al sole o, come L’amarena di Cantiano così preparata è un ot- dicono da queste parti, “li visciuli a lu sole”. timo dessert da gustare “al naturale” ma è anche Come per le visciole essiccate, le materie prime squisita sul gelato o per guarnire torte e dolci sono molto semplici in quanto alla base di vi- fatti in casa. A chi poi la frutta piace gustarla sciole e sole si aggiunge solamente dello zuc- “come natura crea”, ricordiamo che le visciole chero. Le visciole coperte di zucchero vengono sono particolarmente apprezzate anche come messe in barattoli di vetro che vengono lasciati frutta fresca per il loro sapore dolce e allo stesso al sole, per almeno 40 giorni, fino a che lo zuc- tempo leggermente acidulo. Oltre alle marmellate più comuni, ottenute dalle 73 frutta con fantasia susine, dalle pesche e dalle albicocche, nelle Marche troviamo delle preparazioni estrema- Abbiamo visto che, in termini meramente quan- mente particolari. La prima è la marmellata di titativi, le Marche non possono vantare grandi pomodori verdi. Questa marmellata viene pro- produzioni frutticole; tuttavia, almeno per l’au- dotta prevalentemente nelle zone dell’ascolano toconsumo, gli alberi da frutto non scarseggia- e del maceratese, nei mesi di settembre e ot- vano di sicuro nelle nostre campagne, sia tra i fi- tobre. I pomodori preferibilmente della varietà lari delle viti, sia come piante sparse. Questo, al- San Marzano, raccolti quando sono ancora verdi, meno, prima che la meccanizzazione del lavoro vengono puliti dai semi e liberati dall’acqua di agricolo avesse trasformato gli alberi da frutto vegetazione, tagliati a pezzi, messi a macerare in ostacoli da abbattere. Oggi abbiamo pertanto per 24 ore nello zucchero e un pizzico di sale. qualche frutteto specializzato in più ma ab- Vengono fatti bollire in acqua dopo biamo perso e stiamo ri- avere aggiunto un limone ta- schiando di perdere an- gliato sottilmente, fino a che cora un patrimonio raggiungono la giusta di biodiversità, di consistenza. Si mette la ecotipi e varietà lo- confettura nei vasi cali davvero straor- quando è ancora bol- dinario. lente, si chiude erme- Le pesche nella Val- ticamente il barattolo daso, le mele rosa nei Sibillini, riponendolo in luogo buio la pera angelica a Serrungarina, le vi- e fresco. Il prodotto è di colore sciole a Cantiano sono solo alcuni esempi di verde scuro, molto denso e com- frutti di altissimo pregio che hanno finito per di- patto. Il sapore è caratteristico in ventare un tutt’uno con il territorio da cui pro- quanto, rispetto alle altre marmellate, vengono. Oltre che al consumo fresco, la frutta ha un retrogusto piacevolmente aspro. è stata da sempre destinata anche alla prepara- Se vogliamo continuare a parlare di tradizione, zione di marmellate, composte, frutta sciroppata gli anziani ci rammentano che una tipica mar- e via dicendo. Ciò, oltre che per la squisitezza di mellata “di casa”, utilizzata tutto l’anno, era queste preparazioni, per ovviare al fatto che la quella di “mosto e mele“ detta anche ”mo- maturazione avveniva in un periodo piuttosto ri- starda”, utilizzata tutto l’anno poiché era molto stretto dell’anno e che pertanto, non potendo economica in quanto veniva realizzata con in- utilizzare tutta la frutta in eccedenza per l’ali- gredienti semplici, presenti in tutte le case di mentazione degli animali, occorreva salvaguar- campagna; si faceva durante la vendemmia e si dare questi preziosi doni della terra. portava con il pane nei campi durante la semina Pane e marmellata hanno costituito per genera- e la raccolta delle olive. La marmellata ha un co- zioni la merenda classica dei lore bruno intenso, dall’aspetto bambini prima che la lucido, dall’odore grande industria fruttato ten- iniziasse a pro- dente al cara- porre le “famige- mello, dal sapore rate” merendine. classico di 74 frutta cotta, leggermente amarognolo. Per pre- vengono messi in una casseruola con pochissima pararla occorrono 3 chili di mele scelte per ogni acqua fino a quando il prodotto, parzialmente litro di mosto, (particolarmente apprezzato è l’u- concentrato, conserva ancora una certa fluidità. tilizzo delle mele cotogne). Si aggiunge una Il tutto viene poi chiuso ermeticamente in ba- buccia grattugiata del limone (solo la parte rattoli di vetro che vengono poi sterilizzati a gialla) a fine cottura. Si sbucciano e si tagliano le bagno maria. Il fico è un frutto a bassa acidità mele in fettine sottili, aggiungendo un po’ di li- pertanto durante la preparazione della marmel- mone per evitare che si scuri- lata sarà utile unirlo a del li- scano, si versano nella pen- mone il quale darà un sapore tola con il mosto e si fanno meno dolce. bollire a fuoco basso, girando Dal Montefeltro ci giunge in- il composto lentamente con il vece un prodotto ancora più mestolo da quando comincia particolare: la marmellata di la bollitura fino a quando il bacche di rosa canina. Questa composto non si addensa. Per marmellata si presenta come verificare che la marmellata una purea dal colore rosso- abbia raggiunto la giusta vinaccia con riflessi giallo- densità, se ne versa un cuc- dorati. La rosa canina è un ar- chiaio in un piatto e si accerta che scenda lenta- busto spontaneo, selvatico, vigoroso, eretto e ra- mente senza lasciare gocce. moso, alto mediamente da un metro a due metri Una marmellata più classica che soddisfa il e mezzo, appartenente alla famiglia delle Ro- gusto di tutti i palati è quella di “more”. La mar- sacee. Le bacche sono globose, di colore rosso mellata è a base di more di rovo, zucchero e li- vivo, con piccoli peli irritanti. Ricche di vitamina mone. E’ particolare l’utilizzo delle more di C, pectine e zuccheri, sono acidule e asprigne se gelso, in sostituzione di quelle di rovo, riscon- acerbe ma, dopo le prime gelate del tardo au- trato nel Comune di Macerata. tunno, assumono un sapore più dolciastro e gra- Dell’alta reputazione di cui gode- devole. Oltre che per pro- vano i fichi abbiamo già par- durre l’omonima marmel- lato a proposito delle lonze lata, le bacche di rosa ca- e dei torroni. Ma, fra tutti i nina finiscono in gelatine, fichi coltivati nella Marche, sciroppi e tè, oltre che come i più pregiati erano conside- aromatizzanti in aceto, vino e rati quelli appartenenti alla infusi vari. varietà “Dottato”, tanto pre- Per preparare la marmellata, si giati da essere riservati alla “signora” cioè raccolgono le bacche dopo la prima alla moglie del padrone che ai tempi della mez- gelata, si nettano con cura e si svuotano della zadria era considerata tra le massime Autorità peluria interna e dei semi. Si aggiunge miele o dello Stato. Pertanto questi fichi erano chiamati zucchero e qualche goccia di limone, lasciando “fichi della signora” e la marmellata da essi rica- riposare tutta la notte. Il giorno successivo il vata non poteva che chiamarsi marmellata di composto deve essere bollito fino alla completa fichi della signora. Ma vediamo come ancora perdita dell’acqua. Si mette quindi in barattoli di oggi, a Macerata, si prepara questa particolare vetro chiusi ermeticamente da conservare al ri- marmellata. I fichi dopo essere stati sminuzzati paro dalla luce. Ancora più rara è la marmellata di cotogne e mescolando spesso per favorire l’evaporazione 75 radici di cicoria, un prodotto originario della dell’acqua. Terminata la cottura, si ottiene una zona di Ussita e ormai quasi scomparso, di cui si purea densa che va versata in forme ed asciu- sta cercando di rilanciare la produzione in un gata al sole o, comunque, in un ambiente caldo. altro comune del maceratese, precisamente a La si può anche stendere su un piano di marmo Montecosaro. È una marmellata di colore scuro o di acciaio, a formare uno strato di un centi- con riflessi dorati e dal gusto amarognolo. Le metro di spessore, ricoperta di zucchero. Quando mele cotogne e le radici di cicoria vengono pu- la composta è ben asciutta, la si taglia in por- lite, lavate, tagliate a pezzi e mescolate insieme. zioni generalmente rettangolari o a losanga e si Dopo aver aggiunto succo di limone e una parte può conservare per diverso tempo in scatole di di zucchero, si lascia riposare il tutto per latta o in barattoli di vetro al riparo dall’umidità. qualche ora e si fa bollire a fuoco lento. Si passa A fine stagione, rimaneva comunque della frutta quindi la purea in un setaccio e si procede quindi che non era stata utilizzata; prevalentemente a completare la cottura. Ancora bollente, si mele e pere, ma anche fichi secchi, uva e quan- mette nei vasi di vetro, aggiungendo un po’ di t’altro rimaneva in dispensa. Sempre con l’in- mistrà o di grappa che si fa ardere. Una volta tento di utilizzare tutto ciò che la terra era in evaporato l’alcol, si richiude ermeticamente il grado di produrre, i nostri antenati si erano in- vaso che va conservato al riparo dalla luce. Le gegnati e avevano ideato questo prodotto che persone anziane ricordano che si usava consu- ancora oggi è possibile trovare nel maceratese: mare questa marmellata a fine pasto per favo- il misto di fine stagione che si prepara nel pe- rire la digestione. riodo invernale. Si tratta di una composta otte- Sempre per restare in tema di marmellate e af- nuta aggiungendo alle mele, alle pere, ai fichi fini, troviamo la composta di castagne, prodotta secchi, all’uva e agli altri frutti disponibili, principalmente nelle zone montane della pro- arance e limoni tritati finemente. L’aggiunta vincia di Pesaro e Urbino. Si presenta come una degli agrumi, che tra l’altro rappresentano l’u- purea dal sapore molto dolce in cui il gusto della nica frutta di stagione nel misto di fine stagione, castagna si lega alla perfezione con gli aromi conferisce un aroma caratteristico e un retro- della vaniglia, dell’alloro e dei semi di finocchio. gusto leggermente amaro che rendono partico- Dallo stesso territorio ci giunge poi la cotognata. larmente stuzzicante questa composta. Essa si prepara tagliando in quattro le mele co- Un’altra preparazione piuttosto diffusa che per- togne precedentemente lavate e sbucciate. I mette di conservare la frutta anche per molti quarti così ottenuti vengono mesi è rappresentata dall’ag- posti in un recipiente giunta dello sciroppo di con acqua e limone per zucchero. La frutta viene evitare l’ossidazione. Si messa in barattoli di cuoce quindi la frutta vetro insieme allo sci- in acqua alla quale si roppo di acqua e zucchero aggiunge della buccia preparato in precedenza. di limone grattugiata. Una volta chiusi ermeti- Una volta cotta, la frutta camente, i barattoli ven- viene passata al setaccio, dopodiché si aggiunge gono fatti cuocere a bagno maria per un tempo una quantità di zucchero pari al peso del com- variabile a seconda del tipo di frutta e della sua posto ottenuto. Viene quindi ultimata la cottura pezzatura. Questo procedimento viene utilizzato 76 per la maggior parte delle tipologie di frutta stata oggetto nelle Marche di una vera e pro- presenti sul nostro territorio. Due di questi pro- pria riscoperta. Già piuttosto diffusa nel ‘600 dotti sono talmente particolari che sono entrati come risulta da testimonianze rinvenute negli a far parte dell’elenco dei prodotti tradizionali. Il archivi storici di Belvedere Ostrense e Serra de’ primo è rappresentato dalle bacche di bianco- Conti, la cicerchia aveva progressivamente la- spino in sciroppo, preparate in autunno nell’en- sciato il campo, nel vero senso della parola, ad troterra della provincia di Pesaro e Urbino e aro- altre colture più “nobili”. Ma da diversi anni, matizzate con cannella e chiodi di garofano. vuoi per il gusto semplice e antico, vuoi per le Ci sono poi i lamponi sciroppati: una vera de- riconosciute qualità nutrizionali dovute all’ele- lizia caratteristica di Matelica ma diffusa anche vato apporto proteico e al basso contenuto di in altre zone montane. Si possono gustare in di- grassi o, ancora, per l’adattabilità ai metodi versi modi: qualcuno li preferisce “al naturale”, altri dell’agricoltura biologica, la coltivazione della li trovano deliziosi sul gelato, altri ancora li utiliz- cicerchia è in forte aumento. zano per preparare crostate e torte fatte in casa. Non è stato, tuttavia, un semplice ritorno al Dai monti al litorale pesarese per concludere la no- passato perché nella reintroduzione della cicer- stra carrellata sui prodotti a base di frutta con una chia si è tenuto conto anche dei progressi fatti grattamarianna: una rinfrescante granita prodotta registrare nel campo della selezione varietale. con le gustosissime pesche di Montelabbate alle Un inconveniente non trascurabile era infatti quali di aggiungono zucchero e acqua. A differenza rappresentato dalla latirina, un principio delle altre granite, pertanto, non vi è aggiunta di amaro, contenuto in questo legume, che co- ghiaccio, per cui la grattamarianna risulta estre- stringeva, prima della cottura, ad effettuare mamente cremosa. Curiosa anche la vendita di lunghe macerazioni in acqua salata e ripetute questo prodotto che avviene ancora nel tradizio- nale carrettino a pedali tipo “vecchio gelataio”. la ricchezza della povertà

Ci sono alcuni prodotti di questa sezione per i quali calza alla perfezione l’esclamazione am- mirata che Faust pronuncia di fronte alla di- mora casta e pura dell’amata “Quanta ric- chezza in questa povertà”. Cosa c’è infatti di più povero della cicerchia, o del farro, o ancora della roveja? E allo stesso tempo, quanta ric- chezza come patrimonio genetico, storico, cul- turale è racchiusa in questi prodotti? Leguminosa da granella rustica, adattabile anche a terreni poveri e alle condizioni clima- tiche più sfavorevoli, resistente alla siccità ma anche alle basse temperature, la cicerchia è bolliture con frequenti cambi d’acqua. Col Passando ad un altro cereale, troviamo l’orzo 77 tempo sono state selezionate varietà più dolci, mondo. È un orzo “nudo”, una varietà pregiata prive di questo principio amaro, che hanno no- caratterizzata dal fatto che i rivestimenti glu- tevolmente semplificato il modo di cucinare la meali (lemma e palea) si separano completa- cicerchia. Per cui oggi è sempre più frequente mente a maturità. Il pericarpo, non avendo pro- trovare, sia negli agriturismi che nei ristoranti tezione, risulta così meno compresso e più ro- delle aree rurali, gustose zuppe a base di cicer- busto. Eseguite le operazioni di svecciatura e chia, sia da sola che abbinata a ceci, farro, fa- ventilazione, l’orzo mondo viene torrefatto e gioli borlotti e cannellini. Chi poi volesse cono- macinato. È così pronta la materia prima per la scere piatti più fantasiosi sempre preparati con preparazione di una bella tazza di “caffè questo straordinario legume, può recarsi a d’orzo”. Questo succedaneo del caffè, adatto Serra de’ Conti dove, tra le mura medievali, si anche ai bambini, era una volta largamente svolge annualmente, alla fine di novembre, la consumato, preferibilmente la sera prima di Festa della cicerchia. andare a letto, ma anche la mattina a cola- Molte delle considera- zione, mescolato con il latte. Dopo qualche zioni fatte per la cicer- anno in cui era ca- chia valgono anche per duto un po’ in il farro. Anch’esso og- disuso, l’orzo ha getto di una conosciuto una recente ri- vera e propria ri- scoperta, è scoperta, tanto anch’esso ru- che ora è in grado di stico e adattabile e sfidare il caffè anche pertanto ideale per la sul suo campo. Non c’è coltivazione con il me- ormai bar o ristorante, todo biologico. Anche il infatti, dove non si possa target dei consumatori è lo ordinare un orzo “espresso”. È stesso: gente che oltre a ricercare molto apprezzato anche nella i sapori semplici “di una volta” è allo stesso versione aromatizzata con semi di tempo attenta alla salubrità degli alimenti che anice. Restando in tema di cereali e di prodotti acquista. Più ampia è invece la gamma degli poveri, troviamo la farina con cui si prepara la utilizzi in quanto questo cereale è utilizzato polenta. In particolare vale la pena soffermarsi anche per la produzione di farina, per cui si sulla farina di granturco quarantino del mace- trovano con una certa facilità, nei negozi spe- ratese. Questo mais appartiene ad una varietà cializzati, pane, pasta e biscotti contenenti fa- locale a impollinazione libera tradizionale. Il rina di farro. Tale è l’interesse suscitato dal mais “nostrano”, così viene definito comune- farro che a San Lorenzo in Campo, un piccolo mente il granturco quarantino, era già cono- comune situato lungo la Valle del fiume Ce- sciuto nel maceratese già nei secoli XVI e XVII sano, grosso modo a metà strada tra Marotta e come testimoniato da documentazione dell’e- Cagli, è stata inaugurata la prima farroteca d’I- poca sugli scambi commerciali conservata talia, dove è possibile degustare, dall’antipasto presso l’Accademia Georgica di Treia. In quel al dolce, una serie di squisitezze tutte rigorosa- periodo non erano ancora comparsi termini mente a base di farro. come “ibrido” e “geneticamente modificato”. 78 Una coltivazione antica, quindi, legata alle an- comprensorio dei Monti Sibillini, si coltivano tiche tradizioni popolari contadine come, ad infatti piccoli appezzamenti di roveja, un pi- esempio, “lo scartoccià”. Questa operazione, sello selvatico dal seme di color marroncino, consistente nella pulizia delle cosiddette pan- tendente al giallo, da cui si ricava una farina nocchie dalle brattee, si effettuava un tempo che viene appunto utilizzata per la prepara- manualmente e rappresentava un momento di zione di una particolare polenta, detta “farroc- incontro e di socializzazione tra gli abitanti chiata” o “farecchiata”. È un piatto dal gusto della campagna. Si “scartocciava” nell’aia e, al intenso, lievemente amarognolo, che si con- suono dell’organetto, si ballava il saltarello disce tradizionalmente con un battuto di alici, marchigiano. Oggi abbiamo bisogno di tenere aglio e olio extravergine di oliva. Ottima anche ben distinto il lavoro dal tempo libero e ab- il giorno dopo, affettata e abbrustolita in pa- biamo perso questa capacità di coniugare la- della. voro e divertimento. Ma ciò che abbiamo perso veramente è la filosofia dei nostri antenati, che sapevano godere della semplicità e delle pic- cole cose della vita di ogni giorno. Ma la po- lenta non si fa solo con la farina di mais. Nel

Termina così, all’insegna della semplicità, questo viaggio alla riscoperta dei prodotti tradizionali marchigiani. Termina con un auspicio: che nella nostra regione l’obiettivo dello sviluppo econo- mico e della competitività delle imprese non prescinda mai dal perseguimento di un altro obiettivo non meno importante: il mantenimento della nostra identità territoriale. Quindi, dobbiamo sentire la responsabilità di non poter dilapidare quell’immenso patrimonio che le generazioni precedenti ci hanno affidato sotto forma di un paesaggio rurale tra i più apprezzati d’Europa, di tradizioni, di culture, di opere d’arte e, ovviamente, di prodotti tradizionali. Finito di stampare nel mese di gennaio 2006 presso Errebi Grafiche Ripesi Falconara Marittima - AN