SILVANO CONTINI, IL CAMPIONE DI LEGGIUNO CHE HA FATTO SOGNARE IL MONDO DEL CICLISMO Di Felice Magnani

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SILVANO CONTINI, IL CAMPIONE DI LEGGIUNO CHE HA FATTO SOGNARE IL MONDO DEL CICLISMO Di Felice Magnani SILVANO CONTINI, IL CAMPIONE DI LEGGIUNO CHE HA FATTO SOGNARE IL MONDO DEL CICLISMO di Felice Magnani Dodici anni di professionismo, vittorie stupende, momenti di gloria strappati a una concorrenza spietata, dominata da quel Bernard Hinault, considerato uno dei più grandi campioni della storia del ciclismo, vincitore di cinque giri di Francia, tre giri d’Italia e due Vuelta a Espana. Con Silvano Contini il ciclismo italiano rafforza la sua immagine, dimostrando che si può essere campioni veri non solo nello sport, ma anche nella vita, vivendo in pienezza ed entusiasmo tutto ciò che la vita stessa regala. Silvano Contini in piena azione SILVANO CONTINI è nato a Leggiuno (Varese) il 15 gennaio 1958. Professionista dal 1978 al 1990, ha corso per la Bianchi Faema, la Bianchi Piaggio, l’Ariostea, la Gis Gelati, la Del Tongo Colnago, la Malvor Bottecchia, la Malvor Colnago e la Gis Benotto. Vanta 48 vittorie, quattordici giorni in maglia rosa e cinque presenze in nazionale. Tra i suoi successi spicca quello nella Liegi- Bastogne-Liegi del 1982. Lunga la serie di classiche e giri vinti: il Giro del Lazio, il Giro di Germania, il Giro dei Paesi Baschi, il Midi Libre, il Tour de l'Aude, la Coppa Placci, il Trofeo Baracchi (in coppia con Gisiger), il Giro del Piemonte, il Gran Premio di Camaiore, il Trofeo Matteotti, la Coppa Bernocchi, il Trofeo dello Scalatore, la Ruota d’Oro, il Giro dell’Umbria, il Giro di Puglia, il G.P. di Prato, la Coppa Sabatini. Silvano Contini oggi, nell’ufficio della sua falegnameria, alla Baraggia di Leggiuno Silvano Contini, Beppe Saronni, Roberto Visentini, Italo Zilioli e Dietrich Thurau, al Giro d’Italia (Archivio Contini) C’era un tempo in cui gli adolescenti vivevano all’aria aperta, nei prati e sulle strade, giocando a calcio o in bici, sfidandosi in lunghe volate, per vedere chi era il più forte. Una vita sana, fatta di movimento e di entusiasmo, animata da una gran voglia di manifestare la propria esuberanza. Silvano Contini è stato uno di questi, un ragazzo semplice, pieno di voglia di vivere, con una passione particolare per la bici e per il calcio. Frequentava le Scuole Medie a Caravate e durante il tragitto in bicicletta, sfidava gli amici, anche quelli più grandi, in interminabili corse, dimostrando anche a quelli che già correvano che li poteva battere. E’ proprio da lì, da quelle scatenate fughe e volate tra Laveno, Sangiano, Leggiuno e Caravate che nasceva in lui la voglia di correre, di mettersi alla prova, di vedere se era possibile entrare in quel mondo che lo affascinava al punto di farlo sognare. Di qualità doveva averne e non poche, se il grande Felice Gimondi e la Bianchi si sono accorti di lui e lo hanno assunto nel professionismo nazionale. Era il 1978, un anno difficile per il nostro paese, funestato dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro e dei cinque uomini di scorta, dalla morte di papa Paolo VI e quella di papa Giovanni Paolo I, dopo soli trentatré giorni di governo della chiesa cattolica. E’ proprio in questo intreccio di eventi che spunta il nome di un giovane ciclista forte, bravo, capace di stare alla pari con i campioni nazionali e con quelli d’oltralpe, trovando spesso anche la forza e il talento naturale per batterli. Si chiama Silvano Contini, un tipo di poche parole, schivo, di un’eleganza raccolta, solare e pieno di energia, capace di duettare fin da subito con i giovani leoni del ciclismo. Scalatore, passista, temibile velocista, lascia subito intendere che vuole giocarsela alla sua maniera, in modo diretto, con la determinazione di chi sa che per ottenere grandi risultati occorre fare grandi sacrifici. Corre e vince, dimostra sul campo di avere una marcia in più, ma non se ne fa un vanto, mantiene intatta la sua gioviale semplicità, il suo modo pulito e scanzonato di dimostrare che vale, salvo difendere a denti stretti la propria onestà, quando diventa necessario. Duettare a tu per tu con campioni del rango di Francesco Moser, Beppe Saronni, Roberto Visentini, Giambattista Baronchelli, Giovanni Battaglin, Tommy Prim, Bernard Hinault e tanti altri, non è facile, bisogna avere qualcosa dentro che vada oltre, un talento naturale impregnato di grandissima serietà professionale. Nel Giro d’Italia del 1979 arriva secondo nella tappa di Trento, dopo aver scalato alla grande il Falzarego e il Pordoi, dimostrando le sue ottime doti di scalatore. Sarà quinto nella classifica finale e vestirà la maglia bianca, come miglior giovane del Giro. E’ un’importante carta di credito, una conferma per chi crede nelle sue straordinarie doti di uomo e di atleta. Conclude l’anno piazzandosi secondo al Giro di Lombardia, dietro Bernard Hinault, il supercampione d’oltralpe con il quale dovrà sempre fare i conti, soprattutto nell’82, l’anno d’oro della sua storia professionale. E’ l’anno in cui tutti gl’ italiani pensano che il campione di Leggiuno possa davvero essere il grande dominatore del ciclismo. Nella terz’ultima tappa del Giro, la corazzata Bianchi attacca Hinault, con un trio di straordinaria potenza di fuoco, Contini, Prim, Baronchelli. La rappresaglia va a buon fine e sul Croce Domini Silvano Contini, con uno spunto da vero campione, fa scattare l’esultanza del popolo del ciclismo. S’impone come solo un grande campione può fare e tutti pensano che il Giro sia suo, ma il ciclismo non perdona. Il giorno dopo infatti, quando il sogno sembra poter diventare realtà, Contini va in crisi e cede la maglia rosa a Hinault, primo a Montecampione. Il giovane varesino non si dispera, accetta i giochi del destino con quell’onestà intellettuale che lo ha sempre accompagnato in ogni momento della sua vita. Al termine è terzo in classifica generale, dietro allo svedese Tommy Prim e al francese Bernard Hinault. Il terzo posto è comunque una grande conquista, il risultato di un talento naturale che ha saputo mettersi in gioco, dimostrando carattere e autorevolezza. Contini conferma le sue doti vincendo la Coppa Bernocchi e la Liegi - Bastogne - Liegi, la classica del nord, una delle più amate dagli appassionati del ciclismo mondiale. Una vittoria incredibilmente bella quella di Silvano, ottenuta con una volata straordinaria, in cui batte due belgi e uno svizzero, lasciando nel mutismo più assoluto quel popolo del nord, abituato alle vittorie dei campioni di casa. Del Giro d’Italia, Contini è sempre stato uno dei protagonisti, lo dimostrano le sue quattordici volte in maglia rosa, la grinta, il coraggio, il talento, l’aver saputo interagire con quel popolo del ciclismo che gli ha voluto bene e che lo ha apprezzato anche per quel suo volto sincero e solare, pronto sempre a legittimare con un sorriso i momenti difficili della vita sportiva di un campione. Le sue vittorie sono state molte e di grande prestigio. Ha vinto un po’ dappertutto, sulle grandi salite, come nelle grandi pianure, dimostrando la bellezza di uno sport che non finisce mai di stupire e di farsi amare. Oggi è un padre felice, un uomo realizzato, un artigiano che lavora con la passione di sempre quel legno che ha imparato ad amare grazie a uno zio che non ha mai dimenticato. Alla Baraggia di Leggiuno, il campione che ha fatto tremare il grande Bernard Hinault, continua con entusiasmo un’antica attività familiare, con quella dedizione che solo i campioni, quelli veri, sanno mettere in tutte le cose che fanno. Con il suo cane, durante una pausa L’INTERVISTA 1)Silvano, cos’hai provato, quando nel 1978 Gimondi, Ferretti e la Bianchi ti hanno proposto di entrare in quello che fu il gruppo sportivo del grande Fausto Coppi? E’ stata una grande fortuna essere andato alla Bianchi. In quell’anno ero nella squadra dilettanti con quel Claudio Corti, che ha vinto il Campionato del Mondo dilettanti, la Bianchi è poi venuta al Piccolo Giro di Lombardia per acquistare Corti, solo che lui aveva già firmato per un’altra squadra. Ricordo che Giancarlo Ferretti, che era il direttore sportivo e che mi aveva visto all’opera sul Ghisallo, era andato da Felice Gimondi e gli aveva raccontato di un ragazzino, lui mi chiamava così, perché avevo diciannove anni, dicendogli che gli ero piaciuto per come avevo affrontato la salita, Gimondi gli rispose: “Se ti è piaciuto, prendilo e così mi sono trovato alla Bianchi”. Trovarmi a tu per tu con Felice Gimondi, seduto a tavola vicino a lui, è stata una grande emozione. Felice è stato un mito. Da ragazzino giravo con la bicicletta nel cortile di casa, urlando: “ Gimondi, Gimondi!”. Trovarmelo accanto, è stato straordinario, quasi non ci credevo. Gli davo del lei, buongiorno, buonasera, perché questa era l’educazione che avevo appreso dai miei genitori e che girava in quel ciclismo. Lui, in seguito, mi avrebbe dato la possibilità di dargli del tu, ma dopo che mi aveva visto correre per circa tre mesi. Un giorno mi ha preso da parte e mi ha detto: “Da oggi puoi darmi del tu”. Ero felice. Davvero una bella lezione che manca al giorno d’oggi, credo infatti che dare del lei, almeno inizialmente, sia una sacrosanta forma di rispetto, un rispetto che diventa fondamentale nella vita di relazione. Credo che si possa avere un rapporto bellissimo anche senza dover precorrere i tempi, non solo nello sport, ma anche nella storia di tutti i giorni. Oggi va di moda il ciao, le persone non ti conoscono, non ti hanno mai frequentato, non sanno chi sei e ti danno del tu come se ti avessero conosciuto da sempre. Il rispetto parte anche da qui. Alla fine siamo diventati amici e l’amicizia si è estesa alle nostre famiglie, alla nostra vita privata, è stato anche un modo per capire meglio quel mondo del ciclismo nel quale lavoravamo con grande impegno.
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