Fiorella Imprenti, Operaie E Socialismo. Milano, Le Leghe Femminili, La Camera Del Lavoro (1891-1918), Milano, Francoangeli, 304 Pp., € 23,00
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07B_SISSCO_IX 27-08-2008 16:48 Pagina 344 I LIBRI DEL 2007 Fiorella Imprenti, Operaie e socialismo. Milano, le leghe femminili, la Camera del Lavoro (1891-1918), Milano, FrancoAngeli, 304 pp., € 23,00 Il volume ricostruisce, con precisione e vivacità, la vicenda delle leghe femminili milane- si tra fine ’800 e prima guerra mondiale. Come avverte l’a. «Questo lavoro pone l’attenzione su alcuni aspetti inediti del sindacalismo italiano tra Otto e Novecento: la presenza delle don- ne nel movimento operaio, il loro ingresso nelle organizzazioni di categoria e lo sviluppo del- le leghe femminili, nell’intreccio dei rapporti tra operaie e istituzioni sindacali locali e nazio- nali» (p. 11). Ci viene così restituito un mondo del lavoro composito, per settori e per sessi, nella Mi- lano che si avvia a diventare capitale industriale d’Italia. Protagoniste del volume sono le ope- raie delle manifatture maggiori, tessitrici e tabaccaie, ma anche le lavoranti delle confezioni e delle sartorie, le cucitrici di biancheria, le cravattaie e le orlatrici di calzature. L’a. ci mostra come queste lavoratrici riuscirono ad organizzarsi in leghe e a promuovere agitazioni, ottenen- do anche alcuni successi. Dal confronto tra leghe femminili e miste, emerge come nelle pri- me le operaie poterono elaborare rivendicazioni basate sulle loro particolari esigenze e conno- tate da istanze emancipazioniste. Nelle leghe miste difficilmente le loro richieste erano accol- te nelle piattaforme sindacali, e le donne erano escluse dalle cariche sociali. Le leghe femmi- nili mostrarono capacità di lotta, espressero leader di prestigio, ed ottennero il sostegno della Camera del Lavoro, che ne incluse un piccolo numero nei suoi organismi dirigenti. Ancor più importante fu il rapporto con le associazioni emancipazioniste, e in particolare con le donne socialiste. Il lavoro di Imprenti copre un vuoto solo in parte colmato dalle pubblicazioni su donne e sindacato, in occasione del centenario della CGIL, poco interessate a queste prime lotte. Ed è proprio nella ricostruzione delle agitazioni, dei legami tra lavoratrici e dirigenti e dei rappor- ti col femminismo socialista che l’a. raggiunge i migliori risultati. Mentre forse avrebbe meri- tato maggiore considerazione il mutare nei decenni della situazione industriale – preminenza della metallurgica e meccanica a danno del tessile – e della mentalità della classe operaia, nel- la quale i migliori redditi delle fasce professionali maschili diffondevano un modello di dome- sticità femminile. Una maggiore attenzione alla storiografia estera, soprattutto francese ed an- glosassone, che già ci offre letture di genere nel mondo del lavoro e nel movimento sindaca- le, avrebbe arricchito quest’aspetto della trattazione, così come l’analisi dei rapporti tra lavo- ratrici e sindacato. Queste osservazioni non diminuiscono il merito del volume: l’averci di- mostrato l’esistenza di un protagonismo rivendicativo femminile nel mondo del lavoro ope- raio, per anni dimenticato e persino negato da buona parte della storiografia italiana. Laura Savelli 344 07B_SISSCO_IX 27-08-2008 16:48 Pagina 345 I LIBRI DEL 2007 Ludovico Incisa di Camerana, I ragazzi del Che. Storia di una rivoluzione mancata, Mila- no, Corbaccio, 402 pp., € 20,00 Dopo I caudillos, L’Italia della luogotenenza e Il grande esodo, la collana storica di Sergio Romano ospita l’ultimo volume di Incisa di Camerana, noto esponente del mondo diploma- tico italiano in America latina che, nella sua lunga carriera, ha ricoperto, tra gli altri incarichi, quello di ambasciatore in Argentina e Venezuela. I ragazzi del Che, ricco di aneddoti e le cui fonti, tutte edite, afferiscono essenzialmente a memorialistica e stampa internazionale, opera una sistematica demistificazione dell’icona per antonomasia della lotta armata nel sottocontinente e delle aspirazioni di giustizia sociale legate a un’intera generazione: Ernesto Guevara de la Serna. L’obiettivo dichiarato dall’a. è quello di valutare l’impatto che «una figura occidentale senza riscontro in altre aree extraeu- ropee, dal mondo arabo all’Africa, alla Cina, al Vietnam, all’India» (p. 10) ha prodotto all’in- terno di quell’area geografica, politica e culturale la cui collocazione si definisce all’insegna di una forte ambiguità – l’«Occidente del Terzo Mondo» o «Terzo Mondo dell’Occidente», per dirla con Alain Roquié. Non è un caso, probabilmente, che il clima di attuale effervescenza politica e sociale lati- noamericana stimoli in questo senso, e da più versanti, riflessioni articolate sulla genesi e le potenzialità di una pluralità di movimenti sociali che affonda le sue radici proprio nei primi anni ’60 del ’900 e nel processo rivoluzionario cubano. Suddiviso in cinque sezioni, il testo dedica le prime tre a una minuziosa narrazione della biografia del Che, dalla nascita ai rapporti con le potenti oligarchie argentine, all’avventura caraibica, a quella africana, fino al tragico epilogo in Bolivia. Non sembra trapelare, in questa parte, la complessità e la conflittualità del rapporto con Fidel Castro, in parte assodata dalla latinoamericanistica contemporanea. Le ultime due sezioni vedono invece una ricostruzione minuta dello scacchiere sociale e politico degli anni ’70 nel sottocontinente, dove emergono in particolare il protagonismo dei Tupamaros uruguaiani e l’esercito sandinista in Nicaragua. Non c’è successo, secondo Incisa di Camerana, per l’eredità del Che. Le conclusioni vedono infatti la sua rivoluzione, che «non è stata contadina, né operaia, né sociale, né indigena» ma «stu- dentesca e intellettuale, romantica, populista, temporanea» (p. 349), come un processo destinato inevitabilmente a fallire nel medio e lungo periodo. Saranno poi gli anni ’90 e la fine dell’equilibrio bipolare a decretare inoltre l’assoluta non praticabilità della lotta armata, anche da parte degli stes- si leader latinoamericani. In questa operazione di destrutturazione di un personaggio passato dalla storia al mito, resta da chiedersi se effettivamente, come lasciano intuire le ultime parole del volu- me, «la sua perdurante popolarità» non ne abbia fatto soprattutto «un bene di consumo ecceziona- le e a buon mercato, che ha finito con il logorare sempre più gli ideali di quei giovani che hanno cer- cato a caro prezzo di seguire l’esempio del «comandante delle Americhe» (p. 381). Benedetta Calandra 345 07B_SISSCO_IX 27-08-2008 16:48 Pagina 346 I LIBRI DEL 2007 Ombretta Ingrascì, Donne d’onore. Storie di mafia al femminile, Prefazione di Renate Sie- bert, Milano, Bruno Mondadori, XXII-200 pp., € 18,00 Come avverte Siebert nella Prefazione, di recente due fenomeni hanno dato trasparenza alla situazione delle donne nel mondo mafioso: il pentitismo con le connesse possibilità di sce- gliere tra diverse lealtà, e i processi sociali generali di emancipazione femminile. Nelle turbo- lenze dell’espansione mafiosa contemporanea, secondo le ricche fonti pubblicistiche e giudi- ziarie di cui dà conto anche questo agile percorso tra Sicilia e Calabria sotto il profilo della vi- sibilità femminile, si può dire che il fenomeno confermi la sua natura adattiva nel lasciare al- le donne crescenti spazi nella gestione economica e nella stessa delega di potere, a fronte del- la forte assenza maschile per carcerazioni e latitanze. Nonostante la perdurante esclusione dal- l’affiliazione e il carattere strumentale e temporaneo delle deleghe alle donne di famiglia, gli spazi da queste occupati segnano uno scarto netto rispetto a un passato di esclusione dalla re- te «stretta». L’evoluzione si riflette anche a livello giudiziario, con il relativo superamento del- la differenziazione di genere nel trattamento processuale e dunque l’inclusione delle donne al- meno nel concorso esterno del 416 bis, mentre intanto l’estendersi della collaborazione incri- na la regola del silenzio e apre alle donne le strategie di scelta del caso. Il rilevante spaccato della complessità mafiosa recente, che l’a. organizza secondo la prospettiva donne d’onore, si muove tra alcuni riferimenti teorici all’ambiguità della condizione femminile in una mafia al canonico confine tra tradizione e modernità (letta come pseudo-emancipazione), l’ampio uso della letteratura che valorizza la crescente visibilità femminile, infine il proprio originale con- tributo di ricerca attraverso alcune interviste a collaboratori di giustizia. Quella a Rosa N. con- quista uno spazio privilegiato grazie al particolare «colloquio tra donne» che si è stabilito tra la giovane ricercatrice e la «ndranghetista» pentita. Buona eccezione che conferma la regola di una pseudo-emancipazione femminile (dove la tensione tra sfera esterna/moderna e interna/tradizionale resta irrisolta), il vissuto di Rosa N. dimostra tra l’altro che le scelte indi- viduali possono produrre un’effettiva rottura, e l’identità personale risultare più forte di quel- la familiare-mafiosa. La regola resta quella di una subordinazione femminile che, più visibil- mente che in passato, condivide onori ed oneri con il potere mafioso-maschile. «Se lui fosse morto avrei avuto più onore», dichiara la moglie arrabbiata di un pentito (p. 142): frase chia- ve di un onore femminile come risorsa quantificabile nella competizione sociale, che aprireb- be possibilità comparative con la già lunga storia dell’onore camorrista/mafioso e con altre ac- cezioni anche più risalenti nelle strategie sessuali-familiari delle donne. Alle poche eccezioni à la Rosa N. può riportare il riferimento, alquanto incerto, ad una vittimizzazione della con- dizione femminile nella