Pazzi, Patrizi Ed Api Dalla Rilettura Dell'utopia Platonica Al Totalitarismo
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Pazzi, patrizi ed api Dalla rilettura dell’utopia platonica al totalitarismo controriformista. Un percorso nel pensiero politico italiano fra Cinquecento e Seicento a cura di Giuliano Pasqualetto 2015 Sommario Introduzione Pazzi, patrizi ed api Dalla rilettura dell’utopia platonica al totalitarismo controriformista 1 Anton Francesco Doni 19 da Il mondo savio e pazzo 20 Francesco Patrizi 39 La città felice 39 Ludovico Agostini 67 da La repubblica immaginaria 68 Ludovico Zuccolo 127 L'Aromatario overo della Repubblica d'Utopia 127 Il Porto o vero della Republica d'Evandria 156 Il Belluzzi, o vero la città felice 193 Giovanni Bonifacio 211 La republica delle api 212 Pazzi, patrizi ed api Introduzione Pazzi, patrizi ed api Dalla rilettura dell’utopia platonica al totalitarismo controriformista L’ Utopia di Thomas More conobbe, subito dopo la pubblica- zione, una fortuna notevole presso il pubblico umanista euro- peo, dando luogo a una quantità cospicua di critiche, ripensa- menti, imitazioni. L’ondata non risparmiò l’Italia, dove trovia- mo anzi un’accoglienza assai attenta, che si inscrive, tra l’altro, nel rinato interesse per il pensiero di Platone, fiorito nel corso del Quattrocento e del Cinquecento, in polemica con l’aristote- lismo medievale. In quest’ambito è da collocare la prima traduzione italiana da More, curata da Ortensio Lando, scrittore di cui è giunta un’immagine alquanto sfuocata, che deve aver avuto però un ruolo importante nell’epoca; la sua versione 1 apparve con l’as- sistenza editoriale di Anton Francesco Doni, che fu il primo a scrivere un’utopia tutta italiana, nei suoi Mondi 2. Fu seguito da diversi autori più o meno suggestionati dalle idee utopistiche: qui di seguito presenterò alcuni di loro e una antologia di testi sufficientemente ampia per una prima presa di conoscenza del fenomeno: oltre a Doni, Francesco Patrizi, Ludovico Agostini, Ludovico Zuccolo, Giovanni Bonifacio. Sarebbe da aggiungere 1 L’opera, col titolo La repubblica nuovamente ritrovata del governo dell'isola Eutopia … Opera di Tommaso Moro cittadino di Londra , non reca il nome del traduttore; fu pubblicata nel 1548 a Venezia da A. Pincio. 2 Vedi più sotto la parte antologica. 1 Pazzi, patrizi ed api Tommaso Campanella, per il quale rinvio a testi facilmente re- peribili. Si tratta di un autore che andrebbe trattato in modo più organico, al quale attribuire un’importanza di livello europeo e non ristretta al suo tempo, mentre qui intendo limitarmi alla tradizione italiana e alla particolare curvatura “controriformi- stica” e “reazionaria” (per quanto riferirsi a queste opere con tale aggettivo appaia anacronistico) che assume nella penisola la riflessione sulla “città ideale”, cosa che già in parte è diversa dalla prospettiva “nazionale” presente in More (e poi in Cam- panella): ciò è facilmente comprensibile, qualora si ricordi che nel primo Cinquecento l’Inghilterra è uno stato unitario e sal- damente nazionale, l’Italia un coacervo di stati regionali in cui sono presenti forti emergenze municipalistiche: il diverso con- testo produce riflessioni e proposte altrettanto variate 1. Rispetto alle reali intenzioni degli utopisti nostrani, appare già sintomatico Anton Francesco Doni. Nel Mondo Savio e Pazzo , complice il gioco dialogico fra i due personaggi che danno ori- gine al titolo, per i quali non è chiaro se indicano davvero la lo- ro condizione caratteriale o se, ironicamente, descrivano perso- nalità esattamente inverse 2. Non è in altri termini chiaro se il gran progetto di città ideale che viene esposto sia un’ipotesi che l’autore condivide oppure se intenda metterla alla berlina. Cer- to, che si tratti di uno scherzo può essere adombrato da diversi 1 Per la questione “Controriforma” si deve peraltro ricordare che anche l’ipotesi campa- nelliana prevede uno stato autoritario, tant’è vero che è stato possibile leggere – cfr. Luís Nuñez Ladereza, De la Utopia cl ásica a la distopía actual, in Revista de estudios pol íticos (Nueva época), n. 44. marzo-aprle 1985, p. 47 segg. – un classico novecentesco come 1984 di Orwell come puntuale critica alla società ideale preconizzata dal monaco cala- brese. 2 Qualcosa del genere è realizzato nell’ Elogio della Follia erasmiano. 2 Pazzi, patrizi ed api indizi, per esempio la spropositata quantità di strade che do- vrebbero convergere sulla piazza centrale, o l’idea spinta all’e- stremo della specializzazione della produzione agricola, che porterebbe in poco tempo al degrado dei terreni coltivabili, co- me pure dell’insistenza altrettanto estrema sulla divisione delle funzioni, senza che si capisca come si possa in qualche modo ridurla ad unità. Si può ancora vedere come sia intimamente contraddittoria l’idea che i disabili debbano essere eliminati con quella, riferita poco dopo, secondo cui i medici della città ideale sono in grado di guarire ogni malattia: e allora perché no quelle invalidanti? Né appare più coerente l’impostazione generale del dialogo, in cui si afferma senza troppi giri di parole che quello che conta è l’utile, che tutto deve essere a esso subordinato, e che gli uomini vanno considerati soltanto nella loro prospettiva fisica, materiale, diciamo di componenti di macchine, per poi invece affermare il libero amore e l’abbandono dell’ordine pa- triarcale. È vero che il superamento della famiglia è centrale pu- re nel pensiero di Platone, che è un po’ l’archetipo di questi scritti, ma è altrettanto vero che lì non c’era alcuna libertà e tut- to era ordinato per una migliore organizzazione della riprodu- zione 1. Il tema teoretico centrale della città doniana è che il potere debba coincidere con la conoscenza – e in questo il nostro auto- re è buon allievo di Platone. L’idea di partenza, e qui siamo in- vece alla Controriforma, è che ogni uomo ha bisogno di una guida. Chi può svolgere questo ruolo è il sapiente, l’intellettua- le, tale perché ha compiuto un cammino di ascesi, per cui si de- ve avere la vocazione, ma che richiede anche l’impiego, da par- 1 Qualcosa del genere, tre secoli dopo, proporrà il reverendo John H. Noyes di Oneida, con molta più aderenza all’idea platonica e anche, si direbbe, con più senso di realtà. 3 Pazzi, patrizi ed api te degli educatori, di opportune tecniche maieutiche. Strada pertanto destinata a pochi. La scienza di cui si parla guarda all’indietro: si ispira a una gnoseologia di tipo deduttivo, sul modello che si rintraccia bene in Aristotele: dati i principi gene- rali, per via di logica vi si estraggono i concetti secondari, fino ad arrivare ai dettagli. Dovesse essere una geografia, sarebbe la geografia della mappa, non quella del viaggio: l’esperienza vie- ne rifiutata. Si tratta di entrare nel progetto , un po’ come le ma- glie del piano urbanistico di Biagio Rossetti per Ferrara, dispo- ste sul terreno ad imbrigliare edifici ancora da edificare e anzi da pensare. La conoscenza – ossia disporre dei principi generali – richiede un cammino iniziatico: i sapienti sono quelli che en- trano dentro i segreti misteri, o che hanno accesso alla rivelazio- ne , la quale è di natura analoga al sogno. Entriamo qui in un altro dei punti ambigui del dialogo: il rap- porto con la religione che, pagando dazio alla stagione oppres- siva in cui viveva Doni, è centrale (al centro della città sorge uno strano tempio circolare con cento porte). Non si capisce be- ne però, e forse la cosa è voluta, come sia questa religione, se essa coincida, ad esempio, con qualche confessione cristiana: su questo viene steso un velo di silenzio. Di certo però la realtà di questa città ideale richiede un’adesione fatta di fede : ma una fe- de analoga a quella che ci voleva a credere la realtà di luoghi favolosi come l’America – così poteva ancora sembrare a metà del Cinquecento – peraltro ben reali. La fede ha di bello che to- glie i dubbi, ma ha anche di brutto che, attribuendo il bene alla rivelazione, lo toglie all’uomo o fa delle sue opere il Male: è la strada per cui secoli dopo, attraverso la considerazione che l’uomo, cambiando il mondo, mette in dubbio l’opera creatrice di Dio, si arriverà a identificare il Male con la Tecnica. 4 Pazzi, patrizi ed api C’è un corollario, che troveremo spesso in questi autori e non solo in loro, ed è che la conoscenza, la perfezione, si possa rag- giungere soltanto eliminando il desiderio, il quale ha per effetto il disordine delle passioni: ma non il desiderio si spegne anche la libertà di pensiero, che dovrebbe dare un contenuto alla vo- lontà dell’individuo e a una conoscenza segnata dalla persona. La caratteristica fondamentale della società preconizzata dal Doni (o, meglio, dai suoi personaggi: come si è già osservato, non è affatto facile ricostruire il suo pensiero autentico) è l’ap- plicazione di un principio di uniformità ed eguaglianza econo- mica: sono diversificate le funzioni ma non ci sono ruoli gerar- chici; in altre parole, ad esempio, ci saranno panettieri vinai farmacisti; ma non vi sarà gerarchia fra queste diverse attività economiche, né al loro interno. L’unica distinzione, che permet- te di identificare un gruppo dirigente, è data da un parametro oggettivo, l’età, il che dà origine a una vera e propria geronto- crazia; poco chiaro appare come essa si correli all’altro principio di distinzione sociale, che invece è di natura ierocratica: sono i sacerdoti che dirigono e comandano, instaurando pertanto una divisione di ceto fra chi lavora e chi comanda. Al di là di aspetti di dettaglio e di una riproduzione un po’ umoristica e un po’ nebulosa del modello, appare chiaro che Doni si è fortemente ispirato a Platone, dal quale mutua anche l’abolizione della fa- miglia, perché la nuova società dovrebbe superare l’ordine so- ciale che potremmo definire, con parole più moderne, patriarca- le.