l’attualità Coppa Davis, sangue blu e business La GIANNI CLERICI e ADRIANO PANATTA Domenica cultura Il Piemonte nudo di Josef Koudelka CARLO PETRINI DOMENICA 24 GENNAIO 2010 di Repubblica

PRIMO LEVI “Io, vivo per miracolo”

Alla vigilia del Giorno della Memoria, in una lettera inedita dello scrittore lo stupore di essersi “salvato” FOTO ARCHIVIO PRIVATO DI GIULIA COLOMBO DIENA

PRIMO LEVI TAHAR BEN JELLOUN spettacoli KATTOWICE 6 giugno 1945 CARPI (Modena) Carlo Verdone, trent’anni di cinema CURZIO MALTESE ianca carissima, finalmente mi si presenta un’oc- arpi, una delle più graziose cittadine dell’Italia set- casione di comunicare con l’Italia con una certa tentrionale, cinquantotto chilometri da Bologna, garanzia di arrivo a destinazione. Io non accom- non va confusa con Capri. Un gruppo di turisti i sapori pagno il latore della presente che viaggia con mez- americani vi si è ritrovato qualche mese fa, e si è Bzi suoi solo perché le finanze non me lo permettono, ed inoltre Cchiesto per quale motivo il mare non si vedesse. Carpi ha sessan- Frutta & alcol, convergenze parallele perché il giorno del rimpatrio collettivo sembra prossimo. tamila abitanti, più di diecimila dei quali immigrati in buona par- GIAN LUCA FAVETTO e LICIA GRANELLO Come i pochi compagni italiani superstiti, io sono vivo per mi- te da Pakistan, Marocco e Cina e al lavoro nei campi e nell’indu- racolo. Al momento in cui i tedeschi hanno abbandonato l’Alta stria dell’abbigliamento. È una cittadina tranquilla che va fiera Slesia, io ero convalescente di scarlattina nell’Ospedale di Mo- della propria piazza, la più grande in Europa: si chiama piazza dei le tendenze nivitz con altri ottocento malati; pare che i tedeschi avessero or- Martiri in memoria di sedici partigiani, i cui cadaveri furono dine di ucciderci (come fecero altrove in altre circostanze) e for- esposti per tre giorni dai soldati fascisti nell’agosto 1944. Carpi, Passerella addio, la moda è di tutte se non ne ebbero il tempo. Sono riuscito a sfamarmi alla meglio, da sempre di sinistra, conserva una buona qualità della vita. Ma LAURA ASNAGHI e IRENE MARIA SCALISE per dieci giorni sfuggendo a un tremendo bombardamento, poi questa città che a fine Ottocento contava oltre cinquemila ebrei il 27 gennaio, sono arrivati i russi. Dopo parecchi pellegrinaggi, oggi se ne ritrova soltanto sette, un numero insufficiente per apri- sono finito qui, in un campo cosiddetto “di attesa”. Effettiva- re una sinagoga. Gli ebrei di Carpi erano andati incontro a perse- l’incontro mente, tutti gli stranieri che hanno soggiornato qui sono stati cuzioni tra il 1290 e il 1294, ma soltanto nel 1719 il ghetto fu chiu- smistati verso le relative patrie, solo gli italiani attendono anco- so e ricevettero l’autorizzazione a costruirsi un luogo di culto. Carmen Consoli, musica da non sprecare ra. Di coloro che partirono con me da Fossoli siamo ora qui in sei. (segue nelle pagine successive) GINO CASTALDO (segue nelle pagine successive) con un servizio di MASSIMO NOVELLI

Repubblica Nazionale 36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010 la copertina Il 6 giugno 1945 l’autore di “Se questo è un uomo” è appena Lettera di un salvato stato liberato e per la prima volta scrive all’amica Bianca Guidetti Serra dell’arrivo dei russi, del tatuaggio al braccio, “segno di infamia per chi ora dovrà espiare”, ma soprattutto chiede notizie sulla sorte degli altri compagni. Ecco il documento inedito in occasione di una grande mostra a Torino Primo Levi: “Cara, sono vivo”

PRIMO LEVI ventosamente duro a causa della fame, del freddo, delle percosse, del pericolo costante di es- sere eliminato in quanto inabile al lavoro. (segue dalla copertina) Porterò (spero) in Italia il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro, documento di infamia non per noi, ma per coloro che ora cominciano ad espiare. Ma la maggior parte dei egli inabili al lavoro (donne, vecchi, bambini) non abbiamo che pochissime miei compagni portano nelle carni più gravi segni delle sofferenze patite. Spero di poter sali- notizie, risulta purtroppo certo che Vanda Maestro è morta. Luciana Nissim re presto la tradotta: ad ogni modo tieni presente che il servizio postale non è ancora regola- partì in settembre per Breslavia: forse si è salvata. Di noi 95 del campo di Mo- re e ti sarei gratissimo se tu cercassi di affidare ad un polacco o un russo rimpatriante anche nivitz, 75 sono morti colà di fame e di malattia; quattordici furono deportati sommarie notizie delle mie carissime e di Voi tutti. Con l’incarico una volta giunto in Polonia dai tedeschi in fuga (fra questi Alberto della Volta di Brescia, Franco Sacerdo- di scriverle indirizzando a Primo Levi, presso il Comitato Ebraico di qui. CENTRANLY KO- ti di Torino, l’ing. Aldo Levi di Milano, Eugenio Gluecksmann di Milano). Di lo- MITET ZYDOW POLSKICH — KATOWICE ULICA MARIAWKA 21. Dro non si hanno notizie sicure, ma corrono voci assai preoccupanti sulla loro sorte. Viviamo qui con l’ansia terribile di qualche vuoto al nostro ritorno: se fossimo rassicurati Restiamo noi sei. Qui non si sta male. Si mangia in abbondanza (ma la cucina russa richie- su questo, non ci sarebbe grave l’attesa. Ti prego tenta tutte le vie: Croce Rossa, Svizzera, i par- de stomaci appositi) si dorme bene, non si lavora, si gode una certa libertà, per cui con un po’ titi: pensate alla nostra tremenda incertezza di iniziativa si può circolare, pagarsi il lusso di qualche alimento extra, di qualche cinemato- Il mio cuore è con Voi. grafo, o almeno qualche visita economica turistica alla città. Siamo ora più di mille italiani, fra (Torino, Archivio Ebraico “B. e A. Terracini”, Delegazione per l’assistenza agli emigranti ebrei prigionieri di guerra, politici e “rastrellati”. La popolazione è molto benevola, i russi anche. (Delasem), Privati, enti diversi. Fascicoli nominativi (L) 1945-1946, n. 82 sottofascicolo 62)

Non credere a quanto ho potuto scrivere da Monovitz; l’anno passato sotto le SS è stato spa- © RIPRODUZIONE RISERVATA

FOTO DI GRUPPO Primo Levi (nel tondo) con Carla Consonni, un amico sconosciuto, Anna Maria Levi, Laura Jona e dietro Silvio Ortona e Giulia Colombo a Saccarello nel ’43 FOTO ARCHIVIO PRIVATO DI GIULIA COLOMBO DIENA

lla sera, al rientro in baracca accucciate nei Ravensbrück, il Ponte dei Corvi, a Maria Camilla, ven- letti a castello, s’incominciava a parlare di mi- tunenne, appare «come un enorme paese di baracche di La fame «A nestre e pietanze; di tante minestre da sentir- legno dipinte di verde scuro», con le strade «coperte di ne il profumo e di tante pietanze da sentirne il sapore e carbonina». Il «tutto lugubre, ma davanti ai blocchi prin- parlando si scrivevano ricette sui ritagli bianchi dei gior- cipali non mancano i fiorellini molto ben curati». Negli nali». Campo di concentramento di Ravensbrück, sotto- ultimi mesi, dopo le evacuazioni dei lager polacchi, «i for- e le ricette campo di Rechlin, novanta chilometri a nord di Berlino. ni cominciarono a funzionare notte e giorno». Bisogna Qui, tra il settembre del 1944 e l’8 maggio del ’45, quando sopravvivere, soprattutto alla denutrizione. È in quei me- verranno liberate dall’Armata Rossa, le sorelle Maria Ca- si trascorsi nei block che Maria Camilla e le compagne milla e Maria Alessandra Pallavicino di Ceva e di Priola, provano a dimenticare per un po’ la fame che le lacera. Lo del lager giovani nobildonne piemontesi, vivono l’inferno del la- fanno parlando di «meravigliose pietanze» e discuten- ger. Arrestate nell’aprile del ’44 dai tedeschi a Nucetto, vi- done l’esecuzione fino anche «a litigare per le divergen- MASSIMO NOVELLI cino a Ceva, nella loro casa di villeggiatura, con l’accusa ze di come avrebbero dovuto essere preparate». Giorni e di avere collaborato con la Resistenza e aiutato il fratello notti senza fine, una babele di lingue — polacco, russo, partigiano, sono deportate in Germania. ceco, slovacco, ungherese, francese, italiano — che vuo-

Repubblica Nazionale DOMENICA 24 GENNAIO 2010 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37

ORIGINALE A sinistra, DISEGNO DA CRONACHE DI MILANO DI EUGENIO GENTILI TEDESCHI un disegno di Primo Levi Ritorno a Fossoli e la lettera inedita di Levi a Bianca Guidetti Serra; stazione per l’inferno nell’altra pagina in basso, TAHAR BEN JELLOUN il ricettario originale (segue dalla copertina) di Maria Camilla e Maria iò non rese loro in ogni caso la vita facile. Se ne andaro- Alessandra no: nel 1898 a Carpi erano rimasti non più di trenta Pallavicino Cebrei, e ciò portò alla chiusura della sinagoga nel 1922. Quando nel 1938 furono promulgate le leggi razziali — sulla falsariga delle leggi tedesche del 1935 — gli ebrei italiani furo- no presi apertamente di mira. Formavano l’élite intellettuale, appartenevamo alla borghesia o a una classe media molto agiata. Per loro quelle leggi furono veramente inimmaginabi- li. Non pensavano affatto che un giorno sarebbero stati di- scriminati nel loro stesso Paese, scacciati dalle scuole, esclusi dai mezzi pubblici, umiliati pubblicamente dai fascisti. Atte- sero il peggio e il peggio arrivò. Il premio Nobel per la medici- na del 1986 Rita Levi Montalcini, oggi centenaria, nel 1938 era scappata in Belgio. Il governo di Mussolini aprì alcuni campi di concentramento per ammassarvi l’opposizione politica da una parte e gli ebrei dall’altra. Ciò accadde proprio nei dintorni di Carpi, per la precisione a Fossoli, in aperta campagna. Agli ebrei furono destinate ot- to baracche, nelle quali furono rinchiuse intere famiglie. In ogni camerata c’erano tra le centocinquanta e le centoses- santa persone. Le condizioni di detenzione erano «più o me- no corrette» — raccontano oggi alcuni dei sopravvissuti —, so- prattutto se paragonate a quelle che avrebbero vissuto a Au- schwitz o a Bergen-Belsen, dove il novantadue per cento dei prigionieri fu sterminato dai nazisti. Gli oppositori politici fu- rono spediti a Mauthausen, in . Primo Levi fu arrestato per motivi politici il 13 dicembre 1943 in Val d’Aosta, ma nel suo interrogatorio confessò di es- sere anche ebreo. Fu spedito immediatamente nel campo di Fossoli dove rimase un mese nelle baracche riservate agli ebrei, per la precisione nella sesta. Poi, il 22 feb- braio 1944, fu deportato ad Auschwitz. Nel suo libro Se questo è un uomo parla poco di Fossoli: «Ci carica- rono sui torpedoni, e ci portarono alla stazione di Car- pi. Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi e la cosa fu così nuova e in- sensata che non provammo dolore, nel corpo né nel- l’anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?». La discrezione e il coraggio di Levi furono notati dai suoi compatrioti, come testimoniamo alcuni soprav- vissuti. Egli aveva assistito all’esecuzione di donne in- cinte e di anziani, perché in attesa della morte in ogni caso certa non erano risultati adatti a lavorare nei campi. Quell’uomo ferito così profondamente si con- vinse che le parole non potessero bastare a reggere il peso di una simile tragedia. Il 12 luglio 1944 i nazisti uccisero nel campo di Fos- soli settanta antifascisti, i cui nomi sono scritti sulle pareti del museo di Carpi. Il campo di Fossoli è diven- tato oggi un luogo della memoria. È visitato dalle sco- laresche (fino a quarantamila studenti ogni anno), da stranieri, da storici, dai familiari di chi vi perse la vita. Una mostra permanente ricorda che cosa fu quel luo- go, cosa fu quell’epoca. È interessante vedere il primo numero della rivista fascista La difesa della razza, da- tato agosto 1938, un mese prima che entrassero in vi- gore le leggi razziali. Foto, testimonianze, disegni, modellini, tutto ciò che serve a rendere l’idea di quel- lo che accadde in quegli anni disgraziati è lì esposto. La sinagoga principale, situata all’angolo tra la

FOTO ARCHIVIO FONDAZIONE FOSSOLI piazza dei Martiri e via Giulio Rovighi, è vuota. Funge da ufficio per la Fondazione dell’ex-campo di Fossoli. Più lontano, il museo della me- moria è situato di fronte alla più vecchia chiesa di Carpi, Santa Maria del Castello detta la Sagra. Sulle sue pareti sono incisi migliaia di nomi. Vi sono delle voci regi- strate, dei disegni su pietra, uno dei qua- li di Picasso, e un muro dipinto da Guttu- so in ricordo delle Fosse Ardeatine, l’e- secuzione di 335 civili nella rappresa- glia per l’attentato del 23 marzo 1944 a LA MOSTRA Roma nel quale erano stati uccisi tren- Dal 27 gennaio al 20 marzo 2010 all’Archivio tatré tedeschi. di Stato di Torino, in via Piave 21, la mostra Le pareti del museo sono intera- A noi fu dato in sorte questo tempo 1938-1947, mente ricoperte di brani di lettere prodotta dall’Istituto nazionale per la storia scritte dai deportati: «Le porte si del movimento di liberazione in Italia e promossa aprono… ed ecco i nostri assassini. dal Museo diffuso della Resistenza di Torino Sono vestiti di nero. Le loro mani Un percorso interattivo e multimediale, sporche indossano guanti bianchi» che attraverso un gruppo di giovani amici, tra cui (Esther); «Io muoio, ma vivrò» Primo Levi, racconta le vicende degli ebrei torinesi (Alekscin); «Se tu avessi visto, co- La mostra è nata dagli studi di Alessandra me io ho visto in questa prigione, ciò che fan- Chiappano, che ne è la curatrice, sull’archivio no patire agli ebrei, rimpiangeresti di non averne salvati in privato di Luciana Nissim Momigliano e su altri numero maggiore» (Odoardo); «Sono fiero di meritare questa documenti inediti (www.iltempoinsorte.it) pena» (Pierre); «Che cosa può fare un uomo che si trova in pri-

FOTO ARCHIVIO DI ALBERTO MOMIGLIANO DONATO A ISTORETO gione e che è minacciato di morte sicura? Eppure mi temono» (Sawa); «La mia bocca vi porterà sulle labbra mute» (Emile). le allontanare la morte. «La nostra fantasia lavorava, im- Il ricettario la seguì nel lungo viaggio di ritorno: «Non PRIGIONE E così Carpi mantiene viva la memoria delle vittime del fa- maginando l’impasto del burro con la farina e le uova, se abbandono certo questo libretto, conservato con grandi In alto, Luciana scismo e del nazismo. I suoi abitanti amano altresì ricordare ne sentiva quasi il sapore. Forse questo rendeva ancora fatiche e sotterfugi». Ritrovato nella casa di Nucetto, vie- Nissim, che è una regione ricca, che non ha mai votato a destra e che più triste il nostro destino di affamate croniche, ma era ne proposto in versione anastatica (su cd) nel libro che una cartolina coltiva le sue tradizioni culinarie, famose per il parmigiano e una cosa più forte di noi e non la si poteva controllare». raccoglie le memorie dell’ex matricola numero 49569, che spedì l’aceto balsamico. C’è un centro culturale molto attivo, e ogni Le ricette vengono scritte su pezzi di carta trovati qua e morta nel 1989. Curato da Elisa Mora, Non perdere la spe- dal campo anno si organizza un grande festival letterario, la Festa del rac- là, nascosti alle ispezioni. Anche Maria Camilla le copia: ranza. La storia di due sorelle in Lager è pubblicato dalle di Fossoli conto. Alcuni ricordano con umorismo che i genitori dell’at- «In minutissima calligrafia c’è la cucina di gran parte Edizioni dell’Orso, nella collana Quaderni della Memo- e un’immagine tore americano Ernest Borgnine sono di Carpi. Dicono: «Car- d’Europa. Si trovava sempre un’interprete gentile che riadiretta da Mariarosa Masoero e da Lucio Monaco. Da del campo pi ha regalato al cinema il più celebre interprete di ruoli se- traduceva le ricette come quella per confezionare il dol- tempo si sapeva dell’esistenza di quaderni del genere. Ma di prigionia condari, spesso cattivo e crudele. Ma Ernesto Bordino (il suo ce di Pasqua russo. Tra noi italiane avevamo discusso del- finora, come sottolinea la professoressa Masoero, «non In copertina, vero nome) è un uomo così affascinante!». l’enorme difficoltà che avremmo incontrato a casa per ne erano mai stati scoperti». È dunque «un documento Primo Levi Traduzione di Anna Bissanti trovare la panna acida o altri ingredienti strani per le pie- eccezionale; una testimonianza, tipicamente femmini- il giorno © RIPRODUZIONE RISERVATA tanze ungheresi e polacche; più il piatto era difficile e più le, di resistenza. Ed è un atto di fiducia nel futuro». della laurea nel ’41 ci aveva interessate». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale 38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010 l’attualità Centodieci anni fa, all’esordio del Novecento, nasceva Sport e costume il prestigioso torneo di per squadre nazionali La sua storia ci accompagna dai “gesti bianchi” dei gentlemen pionieri al circo tv degli atleti muscolari e sponsorizzati. E adesso c’è chi propone di rivoluzionare il trofeo in nome del box office

I MOSCHETTIERI FRANCESI Da sinistra, Cochet, Brugnon, Muhr, Lacoste e Borotra nel 1923; Panatta e Bertolucci nel 1976 in Cile; a destra, la foto della prima edizione con Whitman, Davis e Word Sangue blu e business la parabola della Davis

GIANNI CLERICI match con la Gran Bretagna, il paese che gli anglo- Doherty. I presuntuosi furono giustamente sassoni, ignari delle origini rinascimentali, ritene- puniti, con un netto tre a zero, che avrebbe os’è la ? Fisicamente una vano avesse inventato il tennis: soprattutto grazie potuto addirittura tramutarsi in umiliante coppa di sei chili e centocinquanta ad un copyright depositato a Londra dal maggiore cinque a zero, non fosse giunto un tempora- grammi d’argento, commissionata nel 1874. In seguito al le ad interrompere la terza giornata. da Dwight Filley Davis, studente ad suggerimento del giovane Davis, , Gli inglesi non affrontarono nemmeno la Harvard (Boston) ai gioiellieri Shre- allora presidente della Federazione americana, traversata l’anno seguente, e si sarebbe dovu- ve Crump and Lowe, disegnata da inviò ai parigrado britannici una lettera che ebbi to attendere la riluttante adesione dei Fratelli RowlandC Rose e realizzata dai cesellatori William occasione di leggere, nel cottage di Dwight jr: «La Doherty perché portassero la Coppa a Londra, Morton e Warren Peckman. Lawn Tennis Association pensa che sia desidera- nel 1903. Di lì sarebbe iniziata una storia squisi- Com’è nata? In seguito a un viaggio in Califor- bile, nell’interesse del gioco, organizzare un mat- tamente anglosassone, in pratica limitata agli nia, compiuto dallo stesso Davis in compagnia di ch tra il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America». inglesi, agli americani e ad un paese inesistente, , e Holcombe Erano talmente compresi dalla loro presunta Ward, i campioni della costa atlantica, nell’inten- invenzione, e insieme intrisi del loro complesso di to di meglio conoscere, o addirittura affratellare, i superiorità, i britanni, che impiegarono tre anni Dopo la Grande guerra club di tennis americani. Da quell’iniziale propo- per accettare con degnazione l’invito americano. sito, in seguito ad una conversazione con il dottor E non inviarono nemmeno al Longwood Tennis si affacciò a sorpresa anche James Dwight, padre della patria tennistica, il gio- Club di Boston i loro migliori giocatori, i primi vane Davis trasse l’audacia per immaginare un campioni della storia, i Fratelli Laurie e Reggy il Giappone, in finale nel ’21

denominato Australasia, un team composto dal- pone privo del grande Satoh, suicidatosi in mare l’australiano sir e dal neozelan- per depressione tennistica. I giapponesi non af- dese e grandissimo Tony Wilding, che tennero la frontarono la traversata, e i nostri si ritrovarono in Coppa dal 1909 al 1911. secondo turno contro gli ingiocabili britanni. Ad imitazione della Americas Cup di vela, e for- L’anno successivo vide l’accesso in squadra di uno se di un suggerimento esoterico rintracciabile ne dei migliori italiani di tutti i tempi: italiano di pas- Il ramo d’orodi Frazer, la struttura della Davis pre- saporto, perché il Barone Uberto de Morpurgo, vedeva che il detentore non partecipasse alle eli- nato a , si professava cittadino dell’impero minatorie dell’anno seguente, ma attendesse in austroungarico, e si rivolgeva in francese al suo casa la sfida (challenge) del vincitore di una prima partner Gaslini. Questa squadra, confortata dal- fase, chiamata All Comers. l’altro singolarista De Stefani, primo nella storia a A rendere la Coppa un tantino meno anglosas- servirsi di due diritti, sarebbe giunta a superare sone si sarebbero via via inseriti i più ricchi e spor- due volte l’Australia, e avrebbe addirittura affron- tivi tra i paesi europei, e la Germania sarebbe giun- tato gli americani nella semifinale di Parigi, dove ta a minacciare gli australiani, in semifinale, pro- si disputava il match di accesso al Challenge prio alla vigilia della guerra ’15-18. Terminata Round. Fu, quello del 1930, il nostro maggior suc- quella strage, che rapì tra gli altri il grandissimo cesso sino al termine di un’altra guerra mondiale, Wilding, vincitore di ben quattro Wimbledon, i cui vincitori non ci consentirono di ritornare in giunsero ad affacciarsi molti paesi, tra i quali, sor- campo sino al 1948, addossando ai tennisti le col- prendentemente, il Giappone che raggiunse la fi- pe di Mussolini. nale del 1921 contro gli Stati Uniti. Era divenuta di Ma, in quegli anni e nei seguenti, una congiun- fatto internazionale, la Davis, come ormai la si tura tra ex-raccattapalle e signorini impoveriti is- chiamava succintamente. E finì per uscire dalla sò il paese a ruoli di primo piano. Un giovane pro- gravitazione anglosassone con l’irruzione della fugo dalla Tunisia, , e un fiuma- Francia, una straordinaria squadra formata dai no scacciato da Tito, Orlando Sirola, riuscirono Quattro Moschettieri, Cochet, Lacoste, Borotra e addirittura a battere gli americani, in Australia, e Brugnon. Capaci, I Moschettieri, di imporsi a Fila- ad accedere alla finale 1960, seguita da un’altra, delfia, la città natale del grande Big , anch’essa vana contro gli imbattibili aussies, l’an- considerato sin lì imbattibile. A Parigi, nei sotter- no seguente. I loro nipotini, quattro piccolo bor- ranei della Banque Nationale, la Coppa sarebbe ri- ghesi, Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli, masta dal ’27 al ’31, sinché un nuovo fenomeno, il riuscirono a fare ancor meglio, conquistando ben professionismo, non fosse giunto a privare, ogni quattro finali, tutte fuori casa, e la nostra unica vit- anno, la nazione vincitrice di qualche tennista né toria. nobile né facoltoso, come i campioni d’inizio se- Fu, quel successo del 1976 a Santiago, compli- colo. catissimo per gli scoraggianti dissidi politici del Con un ritardo certo comprensibile a chi si oc- Paese, ancor prima che per la non eccelsa qualità cupi di storia, anche i nostri si erano affacciati alla degli avversari. Il Partito comunista si oppose a Coppa, nel 1922. Una squadra composta dal ge- lungo alla Dc e ai tennisti, il cui capitano, Pietran- novese Mino Balbi di Robecco e dal milanese Ce- geli, si comportò non meno coraggiosamente del sare Colombo venne sorteggiata contro un Giap- numero uno Panatta, che si dichiarò pronto a li-

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Quella coppa-mamma raddrizzava le storture di un gioco per uomini soli

ADRIANO PANATTA l regalo per la vittoria in Coppa Davis, a Ma andava bene così. Appartengo a una Santiago, mille e passa anni fa, fu addi- delle ultime generazioni di tennisti che ha Irittura doppio, e noi nemmeno ci erava- avuto una Coppa per mamma. E di Coppa, mo abituati. Tre giorni di vacanza a Rio de va da sé, ce n’è una sola. La Davis era al cen- Janeiro e un orologio. I giorni a Rio servi- tro della preparazione e della programma- rono a convincerci che nessuna forma- zione annuale. Coppa, Roma, Parigi, per me. zione di tennisti italiani, adulti e ben Coppa, Miami e Us Open per un america- allenati, avrebbe potuto battere una no… E così via. qualsiasi squadra di ragazzini fra i Poi si giocava ovunque, certo, ma quelli nove e gli undici anni reclutata sul- erano gli obiettivi e su quelli si costruiva la la spiaggia. Ci facevano passare il carriera. Oggi è diverso, e non vi verrò di cer- pallone fra le orecchie… Sull’o- to a dire che sia peggio. È diverso e basta. La rologio, invece, sfoggiammo le Coppa si divide con altre esigenze, sconta nostre più recondite manie di quell’individualismo un po’ ottuso che per- grandezza. Scegliemmo, fi- mea i nostri tempi. A noi faceva da contral- gurarsi, un Rolex d’acciaio, tare, bilanciava con lo spirito di gruppo le con la scritta Davis 1976 sul re- storture di uno sport per uomini soli, ci face- tro. La federazione acconsentì, va bene e ci apriva gli occhi. Avvertivamo che poi ce ne regalò un altro. Il Rolex, fosse giusto tenerla in gran conto, non solo dissero, costava troppo. per la bandiera, ma anche per noi stessi. Og- gi questo non è venuto meno, ma altre esi- genze si sono fatte avanti, prima fra tutte fa- re cassa. Così, c’è chi vuole cambiarla la vecchia Davis. Un’aggiustatina, certo, le farebbe be- ne, ma organizzarla come un Mondiale ogni due anni la condurrebbe a morte certa. Que- sta è l’ultima proposta. Ma mi sono infor- mato, anche fra gli addetti ai lavori ne parla- no come della barzelletta di fine anno. Me- glio così… La Coppa crea ancora opportu- nità, e per molti paesi c’è solo quella. Fosse solo per questo, meriterebbe di vivere in eterno.

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ALBUM Da sinistra, in senso orario, la premiazione del 1914; un incontro del ’53; con i reali inglesi; gli italiani nel ’76; Kramer in famiglia

Uberto de Morpurgo, barone, Dopo il match con il rumeno nato a Trieste, si professava Ion Tiriac, l’americano Stan cittadino austroungarico Smith fu ribattezzato “San”

berarsi del passaporto italiano. Ma, alla fine, riu- di Campionato mondiale biennale, una competi- scimmo a partire nonostante lo scoraggiante at- zione da svolgersi in un’unica sede, tra trentadue teggiamento di balilla rossi capaci di invadere gli paesi raggruppati in gironi, con i vincitori destina- uffici federali, o del cantautore Modugno, autore ti a scontri diretti dagli ottavi di finale in poi. Simi- dello slogan «Non si giocano volé contro il boia Pi- le semplificazione assumerebbe aspetti innova- nochet». tori con la possibilità di sostituzioni tipo basket, Era, in quegli anni, giunto alla presidenza della tempi ridotti tra un punto e l’altro, e tie-break ac- Federtennis il romano Luigi Orsini, la cui propo- corciato a cinque punti. sta avrebbe mutato la struttura della Davis. Pare- Sotto questa nuova pelle giovanile, si celano va infatti ingiusto, a Orsini e ai suoi sostenitori, che tuttavia ben altri interessi. Il calendario mondiale, la squadra detentrice dovesse affrontare un solo imperniato sulle date in altri tempi accettabili dei incontro, e per di più in casa, contro un avversario quattro Grand Slam (Melbourne, Parigi, Wimble- che aveva dovuto superare quattro altri paesi. La don, Flushing Meadows), costringe oggi i pur ric- proposta di Orsini venne approvata e, nel 1972, chi tennisti ad un minimo di dodici tornei obbli- fummo costretti ad assistere all’aspetto più preoc- gatori, più la finale della Masters per i primi otto. I cupante della Coppa, un rigurgito di sciovinismo quattro ipotetici turni di Davis vanno a collocarsi di un pubblico ineducato al tennis, integrato da in date disagevoli, prima di Indian Wells (11 mar- giudici di linea capaci di ben sedici chiamate do- zo), subito dopo Wimbledon (9 luglio), la settima- lose nel match della finale tra il rumeno Ion Tiriac na seguente lo U.S. Open (17 Settembre) e, nel- e l’americano , da quel giorno ribattez- l’ultima settimana della stagione subito dopo il zato San Smith. Masters (4 Dicembre). Alla indubbia fatica di si- Il nuovo formato non si limitò tuttavia all’abo- mili collocazioni, va sommato un probabile man- lizione del Challenge Round. Dapprima si crearo- cato guadagno, poiché i compensi sono gestiti no tre ripartizioni geografiche, America, Europa e dalle Federazioni. Asia, e nel 1981 si procedette all’attuale divisione È, a mio parere, soprattutto questa la svolta de- tra una Serie A di sedici squadre e una B le cui vin- cisiva del problema. Pur avendo perduto il con- citrici si battono con le retrocedende dalla A. Oltre trollo del sindacato giocatori, le Federazioni sono a ciò, una base variamente assortita che ammon- rimaste proprietarie non solo dei quattro più ta alle attuali centotrenta iscritte. grandi impianti, ma del copyright di Davis. I ten- È contro questo aspetto nazionalistico ed ele- nisti spingono per sottrarsi all’obbligo di una gara fantiaco, del tutto opposto alla filosofia del gioco faticosa e non redditizia. Schierate con loro ap- più individuale e internazionale, insieme al golf, paiono le multinazionali produttrici dell’abbi- che sembra apparentemente diretta l’opposizio- gliamento, delle racchette, e di molte implicazio- ne di Federer e Nadal, e del loro portavoce Djoko- ni televisive. Guarda caso, il nuovo direttore Atp, vic. Rappresentanti, insieme a Ljubicic, di una As- Adam Helfant, era sino a ieri un importante fun- sociazione (Atp) troppo a lungo maldiretta da di- zionario della Nike. Non si tratta ancora di guerra rigenti sciaguratamente eletti e strapagati dagli che, dice il proverbio, è fatta dall’argent, dal dena- stessi tennisti. ro. E forse non ci si arriverà, se il bilancio econo- Hanno di recente suggerito, i giocatori, che la mico pendesse a favore dei tennisti.

obsoleta Davis Cup venga sostituita da una sorta © RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale 40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010

Il grande fotografo della Primavera di Praga CULTURA alle prese con i campi, le colline e i resti industriali * di una delle regioni più addomesticate dal lavoro dell’uomo Scatti di tristezza o di speranza per il male e il bene fatti alla natura E un messaggio per il figlio nella dedica: “Che ami la sua terra e la rispetti più di quanto non abbiano fatto le generazioni che l’hanno preceduto”

TORINO. Lingotto, ex stabilimento Fiat, pista di collaudo

imbarazza vedere il Piemonte nudo. Non tanto per la nudità in sé, ma perché essa fa sembrare indifesi. Josef Koudelka de- dica al Piemonte una raccolta di fotografie (Piemonte, Con- trasto, 168 pagine, 82 foto, 45 euro) che spiazzano, perché rac- contano di un paesaggio che immaginiamo e crediamo di co- noscere bene — montagne, colline, laghi, prati, pianure — ma M’ del quale sottovalutiamo Il l’antropizzazione. La ma- no dell’uomo disegna, cu- ra, costruisce, ma spesso sfregia, devasta, ricopre, snatura per sempre. Piemonte È questa mano comun- que pesante, che i pie- montesi hanno imposto sulla propria terra, la pro- tagonista di un volume elegante ma essenziale, con ottantadue fotografie di di un bianco e nero senza accenti, lancinante per il suo realismo. Koudelka non ha bisogno di presen- tazioni perché ha fatto la storia della fotografia, a partire dalla sua documentazione della Primavera di Praga, Koudelkaquando le truppe del Patto di Varsavia repressero il riformismo ceco e lui fu in grado Paesaggio nudo di far trapelare il reportage attraverso la Cortina di ferro. Nel suo ultimo periodo, do- po aver collezionato premi di ogni tipo e rango, Koudelka ha focalizzato la sua atten- zione sui paesaggi vuoti da uomini in carne ed ossa, ma a ben vedere pregni di pre- senza umana. Sono indeciso sul fatto se queste foto comunichino più malinconia e tristezza per l’assenza, oppure speranza per una presenza che resiste anche se in- con tracce umane gombrante e sregolata. Il Piemonte è nudo perché il paesaggio si fa imbrigliare dalle reti per la raccolta nei CARLO PETRINI frutteti vicino a Saluzzo, perché teli di plastica coprono la terra smossa dai lavori al- l’Oval di Torino. È nudo nei tubi e nei reticoli che raccontano di tanti lavori di costru- zione, momenti di passaggio che svestono la natura per vestirla di ciò che dovrebbe essere cultura. Ma il freddo cementificio ne è l’emblema. Anche di fronte al paesaggio

TORINO. Piazza Carlo Alberto

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IL LIBRO Si intitola Piemonte il libro di Josef Koudelka pubblicato da Contrasto e ora in libreria (con un testo di Giuseppe Culicchia, 168 pagine, 82 foto in bianco e nero, 45 euro). Nato nel 1938 in Cecoslovacchia, Koudelka nel ’68 documenta l’invasione di Praga. Le sue foto passano la frontiera di nascosto e Magnum le distribuisce anonime Verranno pubblicate con il suo nome solo nel 1984

TORINO. Dintorni di Porta Palatina

più idilliaco, al prodigio della natura, si contrappone l’opera dell’uomo: la schiera del pioppeto sullo sfondo di un vecchio e rugoso albero solitario; la diga che imbriglia il torrente appena sceso tra rocce imponenti; quelle stesse rocce tagliate nette, come burro, in una cava. Anche il maestoso Belvedere delle Langhe, a La Morra, ha in pri- mo piano la mappa che aiuta a leggerlo e dare nomi ai paesi. Non credo sia un caso che Koudelka l’abbia ritratto offuscato da nuvole basse, una nebbia che fa perdere l’o- rientamento tra i colli, che così diventano anonimi e indistinti. Il cedro dell’Annun- ziata, cartolina perfetta sempre di La Morra, è tra la foschia in fondo: in primo piano una siepe alta e ordinata e la sbarra di un cancello. I luoghi più duri da raggiungere, più apparentemente incontaminati, contengono il bestiame, tracce di trattori, stradine precarie. C’è una continua tensione tra ordine e disordine, tra il tentativo (vano?) di sistemare qualcosa che però già seguiva il suo si- stema interiore, il suo perché, da millenni. Tracce della storia, tracce rivolte al futuro. Imbarazza questo sguardo, ma è un voyeurismo su ciò che è stato, che ha un’utilità, una missione, alta o bassa che sia. Il primo impatto è di tristezza, o di rimpianto per ciò che si è perso e rovinato. Poi subentra il compiacimento per la capacità di costrui- re, di inventare, di caratterizzare, di sforzarsi in una convivenza che vorrebbe essere armonica anche se non sempre ci riesce. Infine emerge il monito, che non è una con- danna: possiamo fare del bello e del funzionale, possiamo toccare con la nostra ma- LA MORRA. Vigne e vigneti no, a patto che sia leggera e intelligente. È ciò che dice Koudelka a suo figlio Nicola, che vive e studia a Torino, nelle uniche parole che l’autore riserva per il libro: «Che ami la sua terra e la rispetti più di quanto non abbiano fatto le generazioni che l’hanno pre- ceduto». Ripeto, non è una condanna, perché Koudelka certo non fotografa soltanto il male che l’uomo sa procurare ai suoi luoghi, ma restituisce piuttosto il distaccato raccon- to di una presenza, che pur ha avuto meriti, compiuto imprese, reso importante una terra. Una presenza di passaggio: «In Piemonte come altrove non interpretiamo altro che la parte degli ospiti», ricorda giustamente Giuseppe Culicchia nello scritto che fa da introduzione al libro. E siamo ospiti in una terra fortunata, perché di confine, e mol- to diversa al suo interno, dove manca soltanto il mare. Perseverare nell’imparare a rispettarla è il nostro compito, conservarla, celebrarla. Forse presi dal viverla non riusciamo a vedere le cose come Koudelka: se guardiamo il Belvedere quello vediamo, se guardiamo il vecchio albero o il cedro dell’Annunzia- ta non scorgiamo altro. È un po’ il contrario del vecchio adagio: guardiamo la luna e ne restiamo affascinati, ma non vediamo di che pasta è fatto il dito che la indica. Per- FOTO DI JOSEF KOUDELKA/MAGNUM/CONTRASTO ché quello, forse, potrebbe essere imbarazzante.

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ROBILANTE. Cementificio

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Nel gennaio 1980 usciva il primo film dell’attore e regista romano. Da quell’opera fino a “Io, loro e Lara”, SPETTACOLI adesso nelle sale, ha catturato tic, difetti e mutazioni degli italiani in una memorabile galleria di personaggi. Siamo andati a trovarlo per ripercorrere assieme tre decenni: “Gli Ottanta sono stati la fine dell’utopia I Novanta quelli del grande imbroglio. E ora siamo alla resa dei conti”

Tutto iniziò trent’anni fa con gli schiaffi di Leone

CURZIO MALTESE teatro Alberichino, roba di quaranta posti, scomo- di. Ma un giorno sono arrivati Enzo Trapani e Bru- ROMA no Voglino, un geniale capostruttura Rai, e così mi sono ritrovato a fare il comico a No Stop. In meno a casa di Carlo Verdone è dove te l’im- di un anno ero sul set, con Sergio Leone, a girare Un magini, sulla salita per il Gianicolo, sacco bello. Un sogno, una follia». LEO con un’imperiale vista su Roma, ma Con Un sacco bello nasce una galleria di perso- L’ingenuo e goffo non come l’immagini. «Sembra la ca- naggi che ci accompagnerà per trent’anni. Un ci- ragazzo trasteverino Lsa di un critico rock, vero?», anticipa l’ospite. I ri- nema umile, intelligente, generoso che ha raccon- che in Un sacco bello cordi di trent’anni di cinema e sessanta di vita, vis- tato l’Italia reale meglio forse di qualunque altro. si imbatte nella turista suta da prima e sempre nel mondo del cinema, so- Da dove prendeva l’ispirazione? «Mi guardavo in- spagnola Marisol no sommersi dal magazzino di cimeli pop, chitar- torno e imitavo senza forzature. La realtà era già re, bacchette (Verdone è un batterista di valore), abbastanza caricaturale. Il mammone che ospita album in vinile con dediche degli Who e dei Led la spagnola era un mio amico del cortile. Il viaggio Zeppelin, poster di Jimi Hendrix. La raccolta com- in Polonia per rimorchiare ragazze l’avevo fatto pleta dei Walker Brothers, il suo culto personale, davvero, a Breslavia, in un ostello della gioventù una meteora negli anni Sessanta, un trio dallo sti- dove gli unici stranieri erano italiani. Perfino la Fiat le londinese, salvo che non erano di Londra, non Dino nera targata Viterbo era la stessa di un play- erano fratelli e non si chiamano Walker. Ma il più boy da ostello incontrato laggiù. Quanto alla regia, sconvolgente di tutti è appeso alla parete davanti mi ha insegnato tutto Sergio Leone». all’ingresso: un quadro cupo e potente. Ed è dav- Le interviste a Carlo Verdone andrebbero filma- vero quello. «È il primo quadro dipinto da Yoko te. Uno spettacolo. Si alza, vaga per la stanza, as- Ono a quarantotto ore dall’assassinio di John Len- sume la voce e i gesti dei personaggi citati e dopo non. Sono le parole di Imaginespezzate da nuvole un po’ sei immerso in una folla. Una delle sue imi- ENZO grigie. Ho smosso mezzo mondo per averlo». Ogni tazioni formidabili è Sergio Leone. Il primo collo- Jeans attillati, camicia generazione conserva nella memoria il suo tragi- quio fu catastrofico. «Qual è il mio film che ti piace aperta sul petto, ciondolo co fermo immagine. Dov’era, cosa faceva quando di più?», chiede il maestro. E lui: «Il buono, il brut- al collo, in Un sacco bello hanno ucciso i Kennedy o l’11 settembre. Chi è na- to e il cattivo». «Sei proprio un burino…». è il coatto in partenza to nel 1950 come Carlo Verdone non può dimenti- «Leone interpellò mezzo cinema, dalla per la Polonia care la notizia della morte di Lennon. Tanto più vi- Wertmüller a Steno, poi decise: “Lo giri tu”. Mi dis- ste le circostanze. «È stato Sergio Leone a darmela. se di dimenticare quello che avevo imparato al Ero all’ultimo giorno di montaggio di Bianco, ros- centro sperimentale e di andare ogni giorno a le- so e Verdone. Entrò maestoso come sempre e mi zione da lui, dalle 10 alle 18. Lo feci per sei mesi. Era disse: “Mi sa che hai perso un idolo”. Rimasi ag- durissimo. Mi menò due volte. Uno schiaffo in pie- MEMORABILIA ghiacciato, non so per quanto tempo, a contem- no viso perché non avevo fatto il giro di corsa del- Il copione aperto sulla prima scena di Un sacco bello; il David plare la fine della mia giovinezza. Poi arrivò Ennio l’isolato che mi aveva chiesto per farmi venire l’af- di Donatello vinto e la foto di Carlo Verdone con Sergio Leone Morricone che voleva festeggiare la fine del film. fanno in una scena. Si era appostato alla finestra alla fine delle riprese di Bianco, rosso e Verdone nel 1980 Mi scattò lui questa foto con Sergio Leone, dove mi per controllare. E poi un calcio violento nel sedere sforzo di essere allegro». perché avevo rimontato un primo piano secondo È paradossale che il magico 1980 di Carlo Ver- lui tagliato male. Ma naturalmente fu anche un done, l’anno dell’esordio travolgente con Un sac- maestro formidabile». co bello, sia celebrato nella sua casa soprattutto da Un sacco bello diventa un fenomeno d’incassi e RUGGERO quel triste ricordo. «Eppure è andata così. L’inizio di costume. L’avvio di una nuova stagione della Hippie alla romana, dell’avventura nel cinema coincise con la fine di commedia. «Allora non me ne resi conto. Pensavo praticante dell’amore libero un’avventura ancora più bella, gli anni Sessanta e di aver vinto una lotteria e basta. Non andai mai a In Un sacco bello, il padre Settanta. I più belli della storia d’Italia, di sicuro i vederlo in sala, mi vergognavo. Non capivo nem- cerca di riportarlo miei, di quando ero felice e sconosciuto. Gli anni meno perché la gente ridesse tanto. I grandi sì. Tul- sulla retta via con Don Alfio dell’amicizia, delle gite in Vespa alla spiaggia di lio Kezich, Ermanno Olmi, Oreste Del Buono. Be- Anzio, delle sere al cineclub e delle notti poi volate niamino Placido, per esempio, disse: “Ma ti rendi a parlare di Buñuel o De Sica, Fritz Lang e Dreyer, conto che hai fatto una rivoluzione?”». A distanza gli anni degli studi al centro sperimentale, della di tanti anni, se ne rende conto? «Era una miscela bella politica. In fondo a un’infanzia trascorsa, giusta, fra qualcosa di riconoscibile e di nuovo. Da grazie a mio padre, in mezzo a personaggi straor- una parte il carattere perenne italiano, quello che dinari, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, meglio di tutti ha descritto Ennio Flaiano e che era passando per Monicelli, Germi, Lattuada e tanti al centro della commedia all’italiana. Dall’altra i altri. Quel giorno di dicembre del 1980, mentre tut- mutamenti antropologici dell’italiano medio al ti volevano festeggiare il successo, io avevo capito principio degli Ottanta». che quell’epoca era finita per sempre. Massì, sono Il trionfo di Un sacco bello è anche un boome- un malinconico di natura e si vede anche nei miei rang. Spiana la strada al successo di una nuova ge- film più comici. La verità è che non capivo cosa sta- nerazione della commedia, da Massimo Troisi a DON ALFIO va accadendo. Fu tutto troppo veloce. Ero uscito Roberto Benigni a Francesco Nuti. E Verdone fini- Tenta di convincere dal centro sperimentale deciso a fare il regista di sce un po’ nell’ombra. «Bianco, rosso e Verdone l’hippie Ruggero a tornare documentari. Una via di mezzo fra le avanguardie non incassò altrettanto. Se ne andarono tutti, Ser- alla normalità. Ma le sue underground di Warhol e Julian Beck e il cinema gio Leone, la Medusa, rimasi solo. Per un paio di troppe divagazioni politico. Per passare il tempo e divertire gli amici, mesi pensai seriamente di rispolverare la laurea e non ottengono il risultato ogni tanto facevo qualche spettacolino comico al mettermi a fare documentari. Ma un giorno mi

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FURIO PASQUALE MIMMO IVANO Metodico, È l’emigrato Bambinone “Lo famo ansiogeno, in Germania inesperto strano?” è il suo esaspera che in Bianco, che viaggia richiamo la moglie Magda rosso e Verdone con l’anziana d’amore prima e durante si mette e saggia nonna indirizzato il viaggio in viaggio verso (la Sora Lella) a Claudia in Bianco, rosso il paese natale in Bianco, rosso Gerini in Viaggi e Verdone per votare e Verdone di nozze

e non con compiacimento ai vizi nazionali. L’e- rede eversore di Alberto Sordi. «Sordi l’ho cono- sciuto proprio nel momento più difficile, quan- do mi propose di girare In viaggio con papà. Mi considerava davvero un figlioccio e mi seque- strava per giorni, raccontandomi tutta la sua incredibile vita. Un genio, si capisce. È stato rivoluzionario quando menava le vecchiet- te e faceva il compagnuccio della parroc- chietta. Ma anche un gran reazionario. Un giorno Marcello Veneziani scrisse che era stato il peggior educatore degli italiani. “Ma chi è ’sto comunistaccio?” urlò lui. Quando gli spiegai che veniva dall’Msi, ci rimase malissimo. Anche con lui sbagliai la do- manda sul film migliore. Per me era I vitelloni. Sor- di protestava che Fellini era un falso mito, un gran- de imbroglione». Ora Verdone si alza dalla poltrona, dov’era Sor- di, e diventa Fellini. «Prima di capire chi fosse, da bambino Fellini era lo zio Federico, il più formida- bile narratore di storie di provincia che abbia mai conosciuto». Quanto ha contato quell’infanzia passata all’ombra dei grandi, tutti amici di quella magnifica figura intellettuale che è stata Mario Verdone? «È quello che più manca nell’Italia di og- gi. Grandi figure di artisti, sostenuti da una forte vi- sione etica. Perché è l’etica, l’ho imparato da loro, che ti fa guardare avanti. Il berlusconismo c’è già tutto in Ginger e Freddi Fellini, scritto venticinque anni fa. L’Italia televisiva degli anni Ottanta era stata prevista e paventata da Pasolini. Era impor- tante per me, perché il lavoro del comico ha una natura cinica, ti spinge a ridere di qualcosa di cui dovresti vergognarti. I miei amici francesi non capiscono il cul- to di Alberto Sordi: come fate, dicono, ad amare uno che vi rappresenta come mostri?». Gli chiedo quale di questi decenni è stato il più difficile da raccontare. «Gli Ottanta so- no stati la vera svolta, la fine del- l’utopia. Borotalco e Compagni di scuola sono i film dove ho cer- cato di raccontare un’Italia di bu- gie, cinismo e solitudine. A un tem- po edonista e lugubre. Come la poli- tica che ha espresso, nella miseria del rampantismo. In Compagni di scuola c’è per la prima volta un politico, Ghini, che sniffa cocaina in bagno. Ma la figura più patetica e significativa è quella di Ch- ristian De Sica, il cantante senza talento e senza successo che supplica una racco- mandazione o almeno un prestito. Gli anni Novanta sono quelli del grande imbroglio, degli hedge found. Dei mitomani che diven- tano leader, come il Gallo Cedrone, che vuole trasformare Roma in una Los Angeles con i lun- gotevere a sei corsie. Anni fragili, dove tutti van- no in analisi. Questi sono gli anni della resa fina- le all’assurdo. Ma anche, mi piace chiamò Mario Cecchi Gori. S’era innamorato di un mi- pensarlo, della fine del personaggio del film, l’immigrato che torna in Ita- razione, affet- tunnel. Il punto più bas- lia per il voto. Ne uscì Borotalco, il film che ha avu- to e anche, perché no, so l’abbiamo toccato e to più riconoscimenti, cinque David, le lodi della un pizzico d’invidia. A me la non si può che risalire. critica. Ma per me, soprattutto, l’apprezzamento critica non mi ha mai preso tanto sul se- Sta tornando, in maniera di mio padre, Mario. Ero passato da virtuosista ad rio. Forse c’entra anche la politica. Io non andavo magari caotica, la voglia di partecipare. Quando autore, per raccontare un’Italia che stava cam- alle feste dell’Unità, non ero considerato uno im- vedo mio figlio con gli amici a discutere di futuro, biando, sempre più prigioniera del mito dell’im- pegnato, un riferimento. Insomma, a un mio film quando giro l’Italia per presentare un film e incro- magine». la stelletta Repubblica non l’ha mai data». Eppure cio tante storie straordinarie, dopo tanti anni mi Torniamo un po’ al rapporto con la sua genera- è Verdone a inaugurare la comicità “di sinistra”, un torna un po’ di ottimismo».

zione, Troisi, Benigni, Nanni Moretti. «Stima, am- modo di guardare con sarcasmo un po’ moralista © RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale 44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010 i sapori Dalle antiche ricette da alchimisti che mettevano insieme Armonie di opposti distillati e bacche ai Bellini, Cosmopolitan e Piñacolada, passando attraverso la tradizione universale dall’acquavite Il binomio tra pere, mele, noci, prugne e alta gradazione accompagna da sempre l’uomo. Come testimonieranno i maestri dell’alambicco il prossimo weekend

Sangria Slivovitz Sotto spirito Distillato Frutta, alcol e zucchero La tradizionale acquavite La golosità della frutta Frutta matura pressata, sono alla base serba, sorellina spiritosa ha come base fermentata grazie ai lieviti della bevanda spagnola della balcanica rakija una leggera sbollentatura e distillata nell’alambicco più festaiola. Oltre al vino e del britannico old plum in acqua. Una volta scolata tradizionale discontinuo rosso (color sangue, brandy, è un distillato e messa in vaso, Il kirsch (acquavite sangre in spagnolo), ricavato dalle prugne si riempie di metà acqua alla ciliegia) cannella, chiodi Gusto abboccato zuccherata e metà alcol prevede l’utilizzo di garofano, frutta e robusto, si beve liscio puro. Due mesi di riposo anche di parte e, volendo, brandy e a temperatura ambiente prima del consumo dei noccioli

so e attraversa l’intero panorama gastronomico. Da dove co- minciare, Bellini o sangria, pere al vino rosso o marroni al rum, fragole&champagne o pesche al rosolio? In realtà, ogni volta che la frutta non basta, quando occorre irrobustire e corroborare, aggiungere personalità e forza, sensualità e trasgressione, l’al- Se lo spirito col si presenta come il serpente tentatore. I verbi della contami- nazione danno il senso della resa: la frutta viene profumata, ma- cerata, avvolta, immersa, ricoperta, cotta, pressata, disciolta e poi lasciata riposare prima di finire in piattini, tazze e bicchieri. tenta il corpo Esistono frutti a cui la manipolazione alcolica regala una pas- serella altrimenti impraticabile: pere martin sec, graffioni, me- Frutta le e pere cotogne, a cui aggiungere gran parte della cosiddetta frutta dimenticata (giuggiole, azzeruoli, nespole, corniole, uva spina…). Così, non c’è banco-bar senza ciliegie candite e fetti- ne d’arancia, rondelle di mela e succo di limone. Guai al pastic- ciere che non tiene a portata di mano kirsch e cointreau o che scorda di battezzare il “monte bianco” con il rum. Quanto agli chef, agrodolci e brasati difficilmente prescindono da frutta (fresca o secca) e alcol. Ma la lavorazione più rigorosa, delicata, speciale, è quella de- dicata alla fusione tra alcol puro e frutta, ottenuta grazie alla tec- & nica della distillazione. Fino a trent’anni fa, i segreti di questa al- chimia erano tutti nelle mani di distillatori tedeschi e austriaci, fieri dei loro tipi di acquavite di bacche e frutti di bosco, mentre alcolLICIA GRANELLO qui non si andava al di là della grappa. Gli sforzi dei migliori ar- l’appuntamento tigiani italiani arrivarono a compimento il 27 novembre 1984 ssaggio con Angelo Solci il distillato di quando, grazie alla pervicacia di Giannola Nonino, un decreto Festa grande a Percoto, Udine, uva malvasia rosa di Vittorio Capovilla. ministeriale sancì l’autorizzazione a produrre acquavite d’uva il prossimo fine settimana, in occasione È sbalordito. Lo vedo impallidire. O vita (che i Nonino chiamarono ÙE, uva in dialetto friulano). del trentacinquesimo Premio Nonino mia. Sprezza anche lui, come Jacopone Se avete la vocazione dei distillatori, comprate una delle La famiglia che ha riscattato l’acquavite da Todi, la vita celeste de l’odorifera ro- 435mila reticelle di arance rosse che sabato i volontari dell’As- dai piani bassi della qualità alcolica sa?». Luigi Veronelli non era uomo da sociazione per la ricerca sul cancro venderanno nelle piazze. e introdotto in Italia la cultura dei distillati commenti«A banali. L’emozione sua e dell’amico Solci — storico Prendete un vaso dalla bocca larga, sospendete un’arancia a po- di frutta, accoglierà un migliaio di ospiti enotecaro milanese — davanti al gioiello di uno dei grandi ma- chi millimetri dalla superficie di mezzo litro d’alcol da dolci e celebrando i premiati, sotto la regia stri distillatori italiani regala brividi alcolici. Perché magico è l’in- chiudete ermeticamente. Una settimana più tardi, mescolate di Ermanno Olmi, con il nuovissimo distillato contro tra alcol e frutta, purché guidato da mani sapienti. l’alcol aromatizzato con uno sciroppo di zucchero e godetevi il di frutti e bacche dei boschi di Carnia Se è vero che i superalcolici fruttaioli sanno inebriare, la pri- profumo del sole di Sicilia a piccoli sorsi. Con il resto delle aran- ma corrispondenza di amorosi sensi tra due ingredienti tanto di- ce, fate spremute per tenere lontana influenza e sensi di colpa. versi da sembrare inconciliabili si realizza molti gradi più in bas- © RIPRODUZIONE RISERVATA

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San Vigilio (Bz) Cesenatico (Fc) Ercolano (Na) Le Dolomiti abbracciano L’Emilia Romagna Tra Costiera e Parco itinerari l’incantato borgo è terra benedetta Nazionale del Vesuvio, adagiato in Val Marebbe, per le ciliegie. In un’antica la frutta gode di terreno Mattia Pastori, tra boschi e malghe, dove pasticceria artigianale fertilissimo e microclima Enrico Willeit distilla mele, della riviera romagnola, straordinario. Noci e limoni barman dell’Hotel frutti di bosco e bacche si perpetua la tradizione vengono trasformati Park Hyatt a due raccolte in alta quota dei golosi boeri in liquori squisiti passi dal Duomo DOVE DORMIRE DOVE DORMIRE DOVE DORMIRE di Milano, HOTEL OLYMPIA (con cucina) GATTI DI MARE IL CRATERE B&B è fresco vincitore Strada Valiares 40 Via Cremona 23 Via San Vito 140 del concorso Wirspa Tel. 0474-501028 Tel. 338-7654005 Tel. 347-1667414 Mezza pensione da 78 euro a persona Camera doppia da 60 euro, colazione inclusa Camera doppia da 70 euro, colazione inclusa con il cocktail “Carribean Sun”. Tra gli ingredienti, DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE DOVE MANGIARE OSTARIA PLAZORES (con camere) OSTERIA DEL GRILLO ’E CURTI oltre al rum, frutto Strada Plazores 20 Via Fiorentini 94 Via Padre Michele Abete 6, Sant’Anastasia della passione, Tel. 0474-506168 Tel. 0547-82140 Tel. 081-5313840 ananas e lime Chiuso lunedì, menù da 25 euro Chiuso mercoledì, menù da 25 euro Chiuso la domenica, menù da 25 euro DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE DOVE COMPRARE MASO CIANORÈ DALBA ENOTECA CAROTENUTO Strada Cianorè 1, Pieve di Marebbe Via Adriatica 15 Via Madonnelle 9/11 Tel. 0474-501203 Tel. 0547-86089 Tel. 081-7390246

Punch Cocktail La versione elegante Dal Cosmopolitan, del grog prevede cinque Ciliegie da tinello per ospiti mai visti a cui il succo di mirtilli ingredienti (da cui il nome, selvatici regala il classico di derivazione hindi): GIAN LUCA FAVETTO colore rosa pallido, tè, zucchero, cannella, alla Piñacolada (base limone e acquavite ruttasotto alcol. L’immagine che viene è gozza- sur ton, gusto su gusto — i mirtilli alla grappa e i dat- ananas e latte di cocco), o rum arricchiti nian-gargantuesca, da signorina Felicita che si teri al rum. Preparava tutto da sola. Mentre lo faceva, i barman celebrano da frutta secca o passa Faccoppia con Pantagruel. Un’immagine moro- era inavvicinabile. Conservava il frutto del suo lavoro la frutta nelle loro tea: da Aldo Moro (1916-1978), politico e statista di ta- nella credenza della sala, in bottiglie di foggia ricerca- e buccia d’arancia lento democristiano, capace di formule ardite che sfi- ta che sembravano ricamate. Non l’offriva mai a nes- creazioni alcoliche dano la logica, annunciano un paradosso e certifica- suno: era sempre per un’altra occasione. Bisognava no la realtà. L’immagine è quella delle convergenze rubarlo. Da ragazzi, il sapore ci faceva schifo: ma vuoi Grappa alla Williams parallele. Non tanto tra frutta e alcol, che stanno be- mettere l’ebbrezza del furto? Bevevamo sorsate, più Calvados La bottiglia vuota ne insieme, quanto fra zia Romilda e Sias, che insie- che masticare mirtilli, e poi rimboccavamo con ac- La celebre acquavite viene infilata sul frutto me non sono immaginabili. qua e zucchero, una volta anche con un resto di birra. di mele nata in Normandia appena sviluppato, Zia Romilda era esile e caparbia, l’ostinazione fat- Quando è morta, ha lasciato in eredità una mezza e invecchiata nelle botti fissata al ramo ta esistenza, voce educata e cristallina, una gran ca- dozzina di bottiglie. Piene. Una è ancora lì. di quercia è il prodotto pote di capelli bianchi raccolti in un largo chignon, in- La specialità di Sias, invece, era qualunque cosa con il collo rivolto a terra dossava grembiuli scuri, calze di lana grezza al ginoc- con l’alcol: albicocche, ciliegie, uva. Soprattutto, ca- della distillazione del sidro, Quando la pera è giunta chio — o collant, sempre al ginocchio — e mocassini. stagne alla Vecchia Romagna. Sapeva far lui, garanti- ottenuto dai frutti a maturazione, si stacca Era l’incarnazione della vecchiaia: vecchia a qua- va, ed era piuttosto veloce. In un pomeriggio, con i fermentati. È diffuso dall’albero e si riempie rant’anni, è rimasta vecchia fino a ottantanove. Ave- suoi al lavoro, era tutto fatto. Le metteva in una latta tra Francia, Inghilterra la bottiglia di grappa va due specialità, che faceva con le sue manine. con coperchio e dopo una settimana erano già buo- e Paesi Baschi Sias è sempre stato grosso. A quindici anni era il più ne, diceva. Tendevamo a dar ragione a Sias e manda- grosso di tutti. A trenta, non parliamone. Oggi, che ne vamo giù senza masticare, a golate. Il suo motto era: Boeri ha cinquanta, è grosso al cubo. Sias viene da Ezio, tieni alto lo spirito, bocia. Bocia, nel senso di ragazzo Limoncello I cioccolatini dalla carta Eziaccio, poi girato in dialetto. Simpatico, di buon co- e, spirito, nel senso di alcol. Lo diceva in dialetto. E noi Limoni rigorosamente bio lorito, con la voce emetteva tuoni non parole. Pochi in dialetto bevevamo. rossa come la divisa boera capelli, ma molto in disordine. Magliette e camiciot- Per completezza. La seconda specialità di Sias era per il liquore della Costiera (seicentesca colonia ti anche d’inverno. Uno che ha sempre mangiato due annodare gambe e braccia dei gagni che si metteva- Amalfitana. Alle scorze, olandese in Sudafrica) piatti di tutto; d’insalata, tre. Anche lui aveva due spe- no contro di lui. La seconda specialità di zia Romilda affettate sottili e senza I frutti sotto spirito cialità, che faceva con le sue manone. era tirare il collo alle galline: ancora meglio, tagliare il bianco, dopo due vengono immersi prima Sono loro le mie convergenze parallele. Convergo- loro la lingua e lasciarle dissanguare appese per le settimane di infusione nella glassa di zucchero no parallelamente sulla frutta sotto alcol. La specia- zampe. Diceva venissero più buone. in alcol, si aggiunge lità di zia Romilda erano le amarene al cherry — ton e poi nel cioccolato © RIPRODUZIONE RISERVATA sciroppo di zucchero fondente fuso Filtratura finale

Repubblica Nazionale 46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010 le tendenze Sei sarebbero le silhouette a cui ricondurre le tipologie Stratagemmi del corpo femminile. Mediterranea tutte curve, “petite” ovvero Venere tascabile, “a pera”, “Olivia”, androgina e “compatta”. La moda prêt-à-porter offre a ognuna una gamma di proposte per valorizzare al meglio le forme Perché l’abito giusto, spesso, può fare miracoli

anche sul singolo paio. Se una gonna lascia perplessi, in attesa di congiunture più favorevoli si posticipa la decisione. Una, nessuna e centomila Ma quante sono le tipologie fisiche femminili? Sembrano ri- conducibili a sei silhouette, e le aziende, da Simona Barbieri e Celin B sino a Pinko e Liu Jo, offrono soluzioni per tutte. La me- diterranea, o tutta curve, dovrà valorizzare le forme con abiti at- tillati invece d’ingolfarsi in camuffamenti a sacco. Il tipo petite, a ciascuna il suo stile la Venere tascabile, è minuta e magra e potrà giocare con i tacchi per conquistare i centimetri mancanti. Da evitare i cappotti lun- IRENE MARIA SCALISE ghi. Meglio le giacche corte che slanciano la figura. Per la donna “a pera”, quella dal fondoschiena un po’ ingombrante, l’impor- GLOSSARIO a moda passa lo stile resta», ammoniva lapi- tante è spostare l’attenzione sulla parte alta del corpo. Maglie a • Androgina daria Coco Chanel. Ma le donne, che pure righe, camicie bianche, tutto è lecito pur di distogliere lo sguar- Il tipo magro Mademoiselle la adoravano, non hanno mai do da quell’ostile circonferenza sotto il punto vita. con seno piatto fatto tesoro dell’insegnamento. A ogni cam- Problemi opposti, ovvero la totale mancanza di forme, sono la e spalle larghe bio di stagione affrontano con eccesso di di- consuetudine per la donna troppo lunga e magra. Un’eterna • A mela sinvoltura lo scollamento tra aspirazione e “Olivia” che dovrà cercare di creare delle curve illusorie. Per lei è Tipi appesantiti realtà.« Strizzate dentro vestiti pensati per le magrissime, anche consigliato sovrapporre strati di tessuti e aggiungere volant e e con pancetta L se la bilancia scricchiola, o innalzate su tacchi vertiginosi, pur se pieghe. C’è poi la figura androgina, simile a quella di un ragazzo: • A pera l’altezza è da giocatrici di pallacanestro, le ragazze di ogni taglia spalle larghe, seno piatto e gambe magre. Un fisico piuttosto fa- Il tipo dal “fondoschiena s’interrogano su cosa osare ogni volta che incontrano uno spec- scinoso, se esaltato da pantaloni maschili, camicie e gilet che ri- ingombrante” chio. Ma il più delle volte sfidano a testa alta ogni logica. E così il cordano la meravigliosa Diane Keaton di Io e Annie. Ultima ti- • Stangona rapporto tra le donne e la moda è burrascoso, contraddittorio e pologia femminile, decisamente poco fortunata, è quella appe- Il tipo lungo e asciutto in certi momenti esaltante. Secondo un ingeneroso Oscar Wil- santita e compatta. Una donna a tutto tondo che può tentare di • Petite de: «La moda è una forma di bruttezza cosi intollerabile che sia- allungarsi con sapienti scollature a V e, comunque, dovrà attin- Il tipo piccolo e agile mo costretti a cambiarla ogni sei mesi». Complice anche la crisi gere tra i colori più scuri del guardaroba per un risultato snellen- • Tutta curve economica, il vorticoso valzer degli abiti ha però subìto un ral- te. Perché la moda, se ben gestita, può fare miracoli. Con seno abbondante lentamento. Se prima si compravano tre stivali adesso si riflette © RIPRODUZIONE RISERVATA

LE FORME tutta curve l’androgina la petite

LUI JO DIOR CHIARA BONI PIANURA ROSSETTI NOLITA COCCINELLE JUCCA FORNARINA Per sdrammatizzare Orecchini Milly Sarebbe piaciuto Camicia di Pianura Scamosciata, Elegante Pochette verde Per le Veneri Mini gonna qualche centimetro Carnivora, alle formose star a mini quadretti punta in vernice e divertente stampa cocco tascabili non può per ragazze in più ecco la t-shirt per la nuova anni Cinquanta ingentilita dal collo e senza tacco, il pantalone Nolita con fiocchetto mancare il vestitino non altissime. Questa Liu Jo con fumetto collezione firmata il vestito a drappeggi bianco che smorza la scarpa nero con le pence di Coccinelle nero anni Trenta è di Fornarina di Mafalda Dior Joaillerie di Chiara Boni lievemente le forme dei Fratelli Rossetti È un capo-jolly Must di eleganza a balze di Jucca a disegni cachemire

Repubblica Nazionale DOMENICA 24 GENNAIO 2010 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47

Simona Barbieri / Twin-Set “Il mio guardaroba evergreen disegnato dalla parte delle donne”

LAURA ASNAGHI l twin-set è uno dei capi che non può man- ne vogliono, innanzitutto, piacere a se stesse care in un guardaroba iperfemminile, che ma non dimentichiamo che vogliono anche Iprofuma di donna. Ed è forse per questo che fare colpo sugli uomini». Simona Barbieri (lei creativa) e Tiziano Sgarbi Quali sono, secondo lei, i pezzi che non pos- (lui la mente economica) hanno scelto questo sono mancare in un guardaroba “ever- nome, quando, negli anni Novanta, hanno da- green”? to vita al loro marchio di moda, partendo dalla «Ai capi indicati prima vanno aggiunti un maglieria. Twin-Set è cresciuto rapidamente e cappotto sartoriale, tagliato a trapezio, perfet- oggi è un po’ il simbolo della griffe che rispetta to per le occasioni importanti, i pantaloni il corpo delle donne, non le costringe a diete “skinny”, quelli super sottili (in alternativa ai ferree per entrare in un abito e le fa belle, esal- leggings delle ragazzine) e le canotte da voga- tando anche le rotondità e camuffando abil- tore veneziano, quelle a righe, molto care a mente i “punti deboli”. Chanel. Quelle canotte possono essere vera- Simona Barbieri, lei è una stilista che dise- mente eleganti con una gonna stretta o molto gna «stando dalla parte delle donne». Quali sportive con un paio di jeans tagliati alla perfe- sono i segreti per fare collezioni molto fashion zione». ma, allo stesso tempo, «tutte da mettere»? Le donne, a differenza degli stilisti maschi, «Quando disegno un abito penso a una don- hanno una marcia in più. Qual è? na come me. Che lavora ma è anche madre, che «Noi il corpo femminile lo conosciamo be- è curiosa, gira il mondo e vuole sempre essere ne, non abbiamo bisogno di chiedere ad altri molto femminile». com’è. E quando disegniamo una collezione Un gioco non facile da reggere. sappiamo fino a dove spingerci per uno spac- «Vero. Ma se chi crea è una donna, tutto di- co, una scollatura. Siamo più abili nell’usare i venta più semplice. Il cardigan con l’abito sot- pizzi “vedo non vedo”, abbiamo più malizia toveste è uno dei miei must. Sta bene a tutte, nel creare un giro vita magari più morbido per magre e rotondette, piccole e alte, discrete o tollerare meglio qualche peccato di gola a ta- esibizioniste. Questo abbinamento ha la for- vola». tuna di essere sexy e grintoso, senza sfiancar- Simona Barbieri, lei, quando crea a chi si ti». ispira? Lei è una fan di Chanel. Nel suo studio ci so- «Io sono una viaggiatrice accanita. E per no molte immagini dei dettagli creati da “Ma- ogni città che frequento, da Parigi a Londra demoiselle Coco”: dai fiori al gioco dei bian- piuttosto che a Los Angeles, mi attrezzo con i chi e neri, dalle catene ai ricami. Elementi ri- miei quaderni foderati di cuoio. Annoto tutto correnti nelle sue collezioni. quello che mi piace. Un manifesto sorpren- «Vero. Io sono convinta che in un guardaro- dente, una vetrina speciale, il modo in cui una ba femminile non possa mai mancare una ca- donna porta una borsa, un fiore, un colore. tena dorata da usare come cintura o collana, Raccolgo tutto e poi quello diventa il mio libro un tubino leggermente svasato sui fianchi o un dei sogni da cui ricavo idee per vestire la mia abito con un bel decolté che cattura subito l’at- donna». tenzione dei maschi. Perché è vero che le don- © RIPRODUZIONE RISERVATA

la stangona a mela a pera

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BRACCIALINI FURLA MISS SIXTY REFRIGIWEAR LOUIS VUITTON TWIN-SET PINKO GANT CELYN B Sembra pensata Ballerina in colore Per chi ha gambe Un sobrio cappotto Se il punto debole Per chi preferisce Copre qualsiasi Gonna arricciata Per chi preferisce per la donna alta rosa adatta anche chilometriche come quello sono le braccia agire in incognito difetto il cappotto ai fianchi di Gant sorvolare sul punto la borsa per l'abito e troppo magre Refrigiwear ideale in carne, il guanto l'abito di Twin-Set nero di Pinko per chi non ama vita c'è l'abito in stile gitano da gran sera di Furla c'è il jeans a tubo per assottigliare Louis Vuitton nasconde di foggia militare mettere in primo casacca in organza di Braccialini Piacerà a tutte secondo Miss Sixty la figura smagrisce e allunga ogni imperfezione con collo in pelliccia piano il lato b di Celin B

Repubblica Nazionale 48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 GENNAIO 2010 l’incontro Vulcaniche Trentacinque anni, da quindici sulla scena, la “cantantessa” siciliana è cresciuta. Ha smesso i panni della ragazza “Confusa e felice” che si esibiva sul palco Carmen Consoli di Sanremo. Adesso è una donna riflessiva e attenta all’ascolto di sé Tanto da essersi fatta una promessa: «D’ora in poi tutti i dischi che realizzerò saranno frutto di un sentimento profondo e voluto Non voglio più sprecare la mia musica»

GINO CASTALDO ci arrivo da Catania preferisco arrivarci ni e tanti dischi, rischi di non farlo più, questo mi interessa oggi. O meglio, non superare i miei limiti musicali proprio in macchina, così per sedimentare la di- di fare le cose a tavolino. Da questo pun- è bello tutto ciò che è vero, ma sicura- in termini di conoscenza. Quando stu- ROMA stanza. In aereo non mi piace, finisco to di vista forse sono anche un po’ tor- mente ciò che è bello è vero». dio trovo soluzioni che mi stupiscono, per avere nostalgia di quello che lascio, nata indietro, e sono molto ispirata, il Dalla convinzione con cui afferma la ci sono leggi incredibili, uno schema rima dell’espressione arri- della terra ai piedi dell’Etna, invece disco è uscito da tre mesi, ma io ho con- sua fiducia nella musica si intravede matematico che sembra riflettere ordi- vano due occhi neri che bu- quando ci metto delle ore ho il tempo di tinuato a scrivere, scrivo di tutto, quello qualcosa di spiritualmente forte. Da ni superiori, la cosa incredibile è che og- cano una piccola mappa si- assaporare tutti gli stati d’animo e alla che mi pare, pezzi onirici con accosta- qualche anno ha iniziato una pratica gi capisco che anni fa, senza renderme- ciliana impressa sul volto, fine non vedo l’ora di arrivare a Roma. È menti improbabili, pezzi strumentali, buddista. Ed è facile immaginare che ne conto, lo facevo d’istinto, c’ero arri- Pforza e malinconia incise come un graf- il problema che abbiamo tutti, oggi non ma del resto chi me lo impedisce? Dopo questa scelta abbia avuto un ruolo im- vata con l’orecchio. Noi sappiamo rico- fito, da sirena minuta e caparbia un ci prendiamo più il tempo di cui le cose quindici anni è facile crearsi degli sche- portante nella sua crescita. Magari non noscere la bellezza, questo è l’orecchio, tempo confusamente felice, oggi addi- hanno bisogno. A me piace sentirmi iti- mi, invece gioco, sperimento, provo co- è una cosa di cui ha voglia di parlare, op- l’essere umano sa quello che vuole dire rittura capace di calarsi nei panni di nerante, non pellegrina o viandante, se diverse. A volte in passato ho usato la pure sì? «La pratica c’entra molto, per- poi il linguaggio codifica, a volte avevo Elettra, come ha intitolato il suo ultimo semplicemente itinerante». musica per esprimere rabbia, rancore, ché ti insegna a trasformare le avversità riconosciuto il bello, che certe volte cor- disco nel quale mette fuori sentimenti Ormai cresciuta, Carmen Consoli ha oppure la mia insoddisfazione riguar- in opportunità, quindi fondamental- risponde anche a delle leggi matemati- forti, molto privati. «Ha coinciso col imparato a pesare bene ogni cosa, ad do alle ingiustizie che vedevo, ora è di- mente ti spinge all’azione, è fondata su che irreversibili, inconfutabili, quando tentativo di superare un dolore forte, apprezzare le forme del vivere come ventato un atto d’amore, ho una sensa- un preciso rapporto di causa ed effetto, automaticamente dici a orecchio que- quasi invalicabile. Ovvero la morte di specchio dell’anima. La vita che rac- zione di esaltazione, la passione è la per cui c’è di mezzo anche la passione sto accordo ci sta bene, poi lo vai a stu- mio padre. Questo mi ha fatto capire conta sembra un incastro prezioso, chiave, e vuol dire anche sofferenza, su- per la vita. E io la voglio celebrare, e nel diare teoricamente e ti rendi conto che l’importanza che la musica ha nella mia senza sprechi e al centro campeggia dore, bisogna lavorare tanto per tirare farlo sono come un archivista, come c’era un motivo matematico che tu non vita. Ha trasformato un sentimento di enorme il culto della musica. «A trenta- fuori il grano dalla gramigna, perché a Darwin, cerco di guidare i miei pensieri conoscevi». disperazione in gioia». cinque anni la musica ha assunto un al- volte ci si inganna, ma quando si lavora e le mie azioni perché possano produr- Poi alla fine prende la chitarra, fa Parla con una cadenza perfetta dalla tro significato, non la voglio più spreca- tanto, poi succede il miracolo. La can- re valore. La pratica ha esaltato il gusto esempi di come un accordo possa cam- quale affiora come un vezzo il dialetto re. Tutti i dischi che farò saranno frutto zone che ho scritto sul mio papà, Man- di trovare piacere anche da piccole co- biare con un semplice passaggio, una siciliano, anzi catanese, un chiddu e di un sentimento profondo e voluto, daci una cartolina, l’ho scritta in se, ti rendi conto delle fortune che hai. settima qui, una diminuita lì: «Nel ro- chistu ogni tanto messo lì a intercalare non voglio sciupare queste opportu- mezz’ora, tutta intera, frrr… era fatta. A Prima se un giornalista diceva che il mio manzo Presto con fuoco di Roberto Co- il suo sguardo spalancato sulla vita, nità, non l’ho mai fatto in realtà ma volte mi sembra che noi da qualche par- disco faceva schifo, e altri dieci diceva- troneo c’è una cosa che mi ha colpito questo sì, ancora da bambina. «Da que- adesso più che mai: la rispetto troppo e te lo sappiamo già quello che vogliamo no che era un capolavoro, io che anda- moltissimo. La gente, dice, può essere sto momento nutro una gratitudine an- ho capito che non la venderei mai, pre- dire, ed è un mezzo, una cosa nobile, co- vo a pensare? Ovviamente a chidduche paragonata agli accordi musicali, uno cora più grande nei confronti della mu- scinde dal business, se un giorno mi me la bellezza. È bello ciò che è vero, gli faceva schifo, e invece no, non è giu- ci può avere una faccia da do maggiore, sica. Non è la prima volta, certo, ma è la sentirò di fare un disco in arabo, assolu- sto. Quello che mi piace è che parla del- l’accordo più bestia che c’è, oppure do prima volta che mi sono trovata a supe- tamente non commerciabile, ma è l’oggi, non dice: tranquilli perché poi minore settima bemolle, e l’espressio- rare una fase così dura. Diciamo tre an- quello che dice la mia voce interiore, al- Continuo a studiare: sarete felici con Dio, e che facciamo, lo ne si complica, una faccia triste va in mi- ni impegnativi, mi sembrava che mi lora lo farò. L’ho fatto anche con Elettra. statalismo della religione? Tutte quelle nore, se invece si trasforma in nona è camminasse vicino il concetto di mor- Ho iniziato dicendo faccio un disco armonia, basso, anime messe lì in deposito che non fan- più malinconico, insomma crea paral- te, è morto il mio bassista, poi c’è stata acustico, non ci voglio mettere troppo no niente? A me piace l’attuazione nel- leli tra esseri umani e armonie». Così la morte di mio padre, e poi intendia- ketchup (come dicono i discografici, vi- quattro ore al giorno la pratica, nel buddismo quello che fai ti che alla fine la domanda è praticamen- moci ci sono state esperienze meravi- sto che ormai è tutta una gastronomia). Magari tra qualche torna, questa filosofia mi porta molta te obbligatoria. Ma lei, Carmen Conso- gliose, sono stati anni intensi e belli, e al- Loro mi lasciano completamente libe- calma, mi spinge a non prendermela li, con quale accordo si descriverebbe? la fine anche la scomparsa di mio papà ra, devo dire, però mi dicevano: così è tempo scrivo per questioni irrilevanti, a dare la giusta Prova a suonare, cerca, sembra che si ha avuto una sua parte molto bella, di- difficile da vendere, ma io ho insistito, lo gerarchia alle cose». stia specchiando nella chitarra per poi ciamo una parte di saluto, avvenuta in voglio così, e non è un problema di co- un bolero, un’opera, Ma non per questo è pacificata, anzi, dire sicura: «Io sono un accordo in mi- una maniera speciale». raggio. Un disco è come fare un bambi- sembra un tumulto di ragazza, una che nore sesta, che non è triste, casomai è La sua casa romana, in un palazzo no, è un atto d’amore, esce come deve chissà. Mi piace il vulcano sotto il quale è cresciuta se lo quello della saudade brasiliana, è mi- qualsiasi del quartiere Prati, è linda ed uscire e lo accetto com’è. Poi è stato co- porta dentro, metabolizzato e relativa- nore ma con la sesta ti apre la strada ver- essenziale, bianca, quasi a contrasto col me una medicina, mi ha portato una l’idea di evolvermi, mente sotto controllo. E non si stanca, so qualcos’altro». nero degli occhi e dei capelli. «Quando guarigione quasi completa, regalando- questo è importante, di trovare stupore © RIPRODUZIONE RISERVATA mi momenti di estasi, di gioia, quindi superare i limiti nel consumatissimo mestiere di fare anche simbolicamente rappresenta un canzoni. Possibile, dopo un secolo in punto importante della mia vita. Ci ho cui sono state inventate milioni di can- lavorato tanto, in modo epidermico, zoni e le combinazioni sembrano prati- non l’ho lasciato un attimo, i dischi li ho camente esaurite? «In realtà le combi- ‘‘ sempre fatti con trasporto, ma qui non nazioni sono infinite, anche se le rela- era più solo musica: è quello che sono, zioni tra le note sono sempre le stesse. E non quello che faccio, sono io». come quando dici che una donna è bel- È talmente infervorata che sembra lissima, lo dici dopo millenni di bellez- diventata la sacerdotessa di uno specia- ze femminili, ma ciò non impedisce di le culto dell’arte. «Al di là dei fatti perso- stupirti ed emozionarti di fronte alla nali, sono arrivata alla decisione di de- sua bellezza anche se in fondo gli ele- dicare la mia vita alla musica. Ed è sicu- menti sono gli stessi di sempre. Per la ramente il frutto della mia crescita pro- canzone accade la stessa cosa. Ma per prio in un’età che sembra stare nel mez- crescere bisogna studiare, io sto stu- zo del cammin di nostra vita. Diciamo diando armonia, studio il basso, in- che ci sono state esperienze e circo- somma studio, sempre, quattro ore al stanze che mi hanno portato a ricorre- giorno, magari tra dieci anni scrivo un re alla musica tutte le volte che dovevo bolero, un’opera, chissà, ma io intanto centrarmi. Succede che, dopo tanti an- studio perché voglio evolvermi, voglio FOTO GUIDO HARARI/CONTRASTO ‘‘ Repubblica Nazionale