Il Testo Che Segue È Tratto Da L'occupazione Allegra. Gli Italiani In

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Il Testo Che Segue È Tratto Da L'occupazione Allegra. Gli Italiani In Il testo che segue è tratto da L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943), di Eric Gobetti (Roma, Carocci, 2007) capitolo 9 ITALIANI BRAVA GENTE? Una volta una collina la bombardammo per dodici ore e finita l’azione andai lassù. Non ci trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di viet. Ma quell’odore, si sentiva quell’odore di benzina. Tutta la collina odorava di… vittoria1 Il mito Nella storiografia e nella memorialistica italiana il mito degli “italiani brava gente” si fonda su due considerazioni, entrambe già diffuse durante la guerra in Jugoslavia. La prima fa riferimento all’atteggiamento genericamente assunto dai soldati di fronte ai massacri ustaša dell’estate 1941; la seconda tende a relativizzare il comportamento dell’esercito italiano confrontandolo con altre forze armate presenti su quel teatro di guerra, in particolare quelle tedesche. Secondo la maggior parte degli autori gli italiani «non potevano assistere impassibili a tali eccessi [degli ustaša] a causa dei loro sentimenti estremamente umani»2: «Va ascritto a merito delle Forze Armate italiane se nel lontano 1941 le comunità perseguitate non vennero totalmente soppresse»3. Nel contempo, «il paragone con le nefandezze tedesche servì a circoscrivere e ridimensionare i crimini italiani […]. All’immagine del “cattivo tedesco”, guerriero fanatico e capace di ogni nefandezza, si contrappose quella del cosiddetto “bravo italiano”: malamente equipaggiato, catapultato contro il proprio volere in una guerra sciagurata, il soldato italiano aveva solidarizzato con le popolazioni dei paesi invasi, le aveva aiutate 1 F. F. Coppola, Apocalypse Now, USA 1979. 2 Roatta, Otto milioni di baionette, cit., p. 170. 3 Loi, Le operazioni delle unità italiane in Jugoslavia, cit., p. 144. contro la fame e la miseria dividendo quel poco che aveva e, soprattutto, le aveva protette dai soprusi e dalle violenze dei commilitoni germanici»4. Gli italiani si sarebbero dunque distinti per un atteggiamento “umano” nei confronti della popolazione civile. Secondo il comandante della II armata Mario Roatta, «durante le operazioni le popolazioni che si mantenevano neutrali non solo sono state completamente rispettate, ma aiutate e vettovagliate come nei periodi normali, e protette dai massacri e dalle angherie dei “partigiani”»5. Nella memorialistica gli esempi degli idilliaci rapporti dell’esercito occupante con i civili sono innumerevoli: «I rapporti intercorrenti tra gli italiani e la popolazione […] presto divennero cordiali e, improntati ad uno spirito di reciproca simpatia, si rafforzarono di giorno in giorno. La signorilità dei nostri ufficiali, il comportamento esemplare della truppa, disciplinata, educata, tollerante e rispettosa degli usi e costumi locali, suscitarono viva ammirazione»6; «L’azione del nostro soldato, nei contatti spiccioli con le popolazioni locali, è sempre ispirata a un elevato senso di bontà e di civiltà. Egli si accosta alla miseria, divide il rancio coi più bisognosi»7. Trionfa poi l’immagine dell’italiano bonaccione ma anche cortese e tombeur de femmes. La ragazza jugoslava «aveva avuto modo di conoscere gli italiani che erano bonari e alla mano, senza ombra di marzialità che pure spesso sembravano ostentare. Quante volte quei giovanottoni in grigioverde l’avevano fatta ridere»8. In definitiva il soldato italiano poteva aver compiuto «qua e là i suoi piccoli furti e le sue marachelle, ma a nessun militare, di nessun grado, sarebbe venuto in mente di organizzare scientificamente la spogliazione delle popolazioni civili, né di organizzarne il maltrattamento»9. Le lodi del tenero animo italiano nascondono, nelle memorie dei generali, un malcelato fastidio, come a voler accusare i propri soldati per le sconfitte subite e per la scarsa volontà nell’eseguire gli ordini più repressivi. «Gli italiani avevano un cuore. L’hanno sempre avuto e tutto il mondo lo sa. È la loro gloria e debolezza»10. L’italiano «è per sua natura – e con ciò non rivolgo un elogio alla sua natura! – più proclive a lasciarsi scannare che a scannare, più incline a metter fuori una lagrimuccia piuttosto che la “grinta dura” di cui parlava Roatta»11. Questa costruzione simbolica, inaugurata dalla memorialistica militare ma poi sorretta dal contributo di storici di tutte le tendenze, è stata coraggiosamente e in misura crescente messa in discussione negli ultimi anni12. Tuttavia queste analisi rimangono troppo spesso confinate in ambito accademico, non riuscendo a sfociare in un vero e proprio esame di coscienza nazionale come quello che ha coinvolto gli altri Stati usciti sconfitti dalla guerra (Germania e Giappone). La deplorevole assenza di 4 Focardi, L’Italia fascista come potenza occupante nel giudizio dell’opinione pubblica italiana: la questione dei crimini di guerra (1943-1948), in Mantelli, (a cura di), L’Italia fascista potenza occupante, cit., pp. 165-7. 5 Roatta, Otto milioni di baionette, cit., pp. 178-9. 6 Loi, Jugoslavia 1941, cit., p. 36. 7 Mayneri, Parla un comandante di truppe, cit., p. 73. 8 A. Mafrici, Guerriglia sulla ferrovia del petrolio, Loffredo, Napoli 1981, p. 92. 9 M. Donosti, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista, Leonardo, Roma 1945, pp. 97-8. 10 Trucco, Nell’ombra di Tito, cit., p. 29. 11 Zanussi, Guerra e catastrofe d’Italia, cit., p. 222. 12 Tra i contributi più recenti: C. Di Sante (a cura di), Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre corte, Verona 2005. processi per crimini di guerra a carico di esponenti delle forze armate ha anche contribuito a una «sorta di rimozione nei confronti dell’esperienza e delle responsabilità dell’occupazione»13. 14 La vicenda del documentario della BBC Fascist Legacy , acquistato dalla RAI e mai trasmesso (ma diffuso in ambienti elitari, come università e cinema d’essai), è un esempio lampante di quanto questi temi siano ancora assurdamente scottanti. D’altronde, se pochissimi sanno che l’Italia fece uso di “armi di distruzione di massa” (gas asfissianti) durante la guerra d’Etiopia, altrettanto pochi ricordano i risvolti oscuri della missione militare italiana in Somalia negli anni Novanta. La cultura di massa – non solo nazionale ma internazionale – continua a essere dominata dallo stereotipo del soldato italiano un po’ stupido ma buono e simpatico. È un’immagine che dall’Oscar attribuito all’occupante Abatantuono15, arriva al mandolino di capitan Nicolas Cage16 che canta tutto il giorno e fa innamorare le ragazze greche. E nonostante il prepotente ritorno delle truppe italiane sui principali teatri di guerra, l’immagine dei nostri soldati resta legata più alle missioni umanitarie (col modello esemplare dell’operazione Arcobaleno) che alle azioni militari vere e proprie. Vesela okupacija – l’occupazione allegra A diffondere e conservare il mito degli “italiani brava gente” ha contribuito – in maniera solo apparentemente paradossale – la storiografia jugoslava dell’epoca titoista. In effetti il governo jugoslavo richiese già nel febbraio del 1945, a guerra ancora in corso, la consegna di 40 criminali di guerra italiani17 (tra i quali Ambrosio, Roatta e Robotti), che divennero 302 dopo le investigazioni dalla commissione jugoslava per i crimini di guerra18. Sul banco degli imputati non c’erano singoli episodi ma l’intera politica fascista del divide et impera: sui collaborazionisti infatti veniva fatta ricadere la responsabilità delle peggiori stragi. Al contempo si voleva difendere l’immagine di un popolo italiano sostanzialmente antifascista che, dopo l’8 settembre, sia in Jugoslavia che nella stessa Italia, era sceso in campo al fianco dei partigiani. La stragrande maggioranza dei soldati italiani non si sarebbe macchiata di alcun delitto, nonostante le disposizioni repressive emanate dai generali e dai gerarchi fascisti fossero paragonabili a quelle tedesche. «Anche le forze d’occupazione italiane avevano inteso la guerra come lotta armata per lo sterminio del popolo jugoslavo»19 ma «esiste una netta differenza tra i regimi d’occupazione italiano e tedesco»20. Erano i tedeschi infatti, nella versione ufficiale jugoslava, i veri occupanti, 13 Collotti, Sulla politica di repressione italiana nei Balcani, cit., p. 187. 14 K. Kirby, Fascist Legacy (Eredità fascista), UK 1989. 15 G. Salvatores, Mediterraneo, Italia 1991. 16 J. Madden, Captain Corelli’s Mandolin (Il mandolino del capitano Corelli), USA 2000. 17 Per tutto il dibattito sulla mancata consegna dei criminali di guerra italiani alla Jugoslavia, si veda Focardi, L’Italia fascista come potenza occupante, cit. 18 Il testo tradotto è riportato in C. Di Sante (a cura di), Italiani senza onore, cit., pp. 57-107. 19 Morača, I crimini commessi da occupanti e collaborazionisti in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale, cit., p. 538. 20 F. Čulinović, Okupatorska podjela Jugoslavije, Vojnoizdavački zavod, Beograd 1970, p. 306. il vero pericolo per la patria, e la collaborazione con la Germania portava alla condanna dei “traditori interni”, mentre quella con l’Italia, da sola, non pareva sufficiente21. Negli studi sui četnici si giungeva al paradosso di sminuire la vera e propria alleanza con gli italiani per concentrarsi esclusivamente sui rarissimi (almeno fino al 1943) contatti stabiliti con i tedeschi22. Se i tedeschi incutevano timore ma anche rispetto, l’occupazione italiana non era vista come una cosa seria, al punto da venire definita nel linguaggio ufficiale vesela okupacija (occupazione allegra). La debolezza militare della II armata era razzisticamente interpretata come connessa alla
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