Discussione

Le patch di neoformazione sono piccole e numerose, segno di un’afforestazione a “macchia di leopardo”, risultante dalla creazione di nuovi elementi in aree non boscate. Il nuovo mosaico del paesaggio è solo moderatamente aggregato, e si presenta altrettanto fitto rispetto a quello originario. I medesimi cambiamenti che hanno interessato le pinete si possono riscontrare, seppure con intensità più modeste, a scala di versante. Il fatto che alcuni indici rimangano invariati a distanza di 50 anni è legato al fatto che estese aree con coperture non forestali si conservino tali, a causa delle limitazioni stazionali legate alla morfologia.

Le dinamiche osservate trovano giustificazione soprattutto in fattori ecologici, e in particolare nel background socio-economico che caratterizza il sito. Una più capillare diffusione sul territorio della presenza e dell’attività antropica, unita a incentivi economici alla residenza e al presidio del territorio, fanno sì che a St. Denis l’abbandono riguardi piccole zone disgiunte. I nuclei di neoformazione possono insediarsi rapidamente ma in modo discontinuo, e rimangono alternati ad aree attivamente mantenute dalla presenza umana. Le zone interessate dall’attività umana (il fondovalle, la fascia medio-altitudinale e le aree pianeggianti) hanno conservato in gran parte l’uso non forestale del suolo. La conservazione di prati, pascoli e aree urbanizzate, unita al processo di successione forestale in atto nelle aree abbandonate, dà origine ad un mosaico paesaggistico assai vario e complesso.

L’espansione della superficie forestale legata all’abbandono delle terre marginali è un dato costante, ma le modalità con cui avviene la colonizzazione arborea differiscono significativamente, pur originando da un pattern iniziale molto simile. Tali differenze sono imputabili sia a fattori stazionali che socio-economici.

In particolare, la specie mostra qui il suo potenziale dinamico con un processo di ricolonizzazione frammentata e limitata alle aree lasciate libere da attività antropica. La scelta soggettiva dell’extent di analisi può determinare grandi variazioni nelle dinamiche osservate; tuttavia, il confronto dei risultati ottenuti dallo studio delle pinete con i processi in atto a scala di paesaggio hanno confermato che il pino silvestre è il principale elemento dinamico del territorio, e le trasformazioni che lo riguardano si ripercuotono, seppur con più modeste intensità, ad una scala ben maggiore del singolo popolamento.

Dall’altro lato, le pinete hanno visto un rapido abbandono delle pratiche di gestione selvicolturale e dello sfruttamento dei prodotti secondari del bosco, cosicché nelle stazioni più favorevoli si è assistito all’accelerazione della successione forestale verso le specie definitive, soprattutto le latifoglie. Il pascolo in bosco, la raccolta della lettiera e i frequenti tagli di utilizzazione, seppure di rilevanza talora solo locale, creavano le condizioni adatte alla rinnovazione di pino silvestre, esponendo il suolo minerale ed eliminando le specie concorrenti, più appetibili al brucamento. L’interruzione di tali pratiche in seguito all’abbandono di vaste aree montane ha, al contrario, comportato l’aumento della rinnovazione e della competitività delle specie definitive, laddove la stazione lo consentiva e a seconda delle piante portaseme disponibili.

Il caso della successione secondaria non rappresenta un quadro strettamente patologico, tuttavia l’aumento della competitività delle specie definitive fa sì che la componente pioniera sperimenti una diminuzione di vitalità, un tasso di mortalità elevato e l’impossibilità di rinnovarsi a causa del più efficace sfruttamento delle risorse stazionali da parte delle specie concorrenti. Una volta che le specie mediamente tolleranti (come la roverella) o tolleranti (come il faggio, l’abete rosso e l’abete bianco) si siano insediate, l’evoluzione del popolamento provocherà la riduzione e l’eventuale

22 scomparsa della componente a pino, impossibilitata a rinnovarsi a causa della crescente copertura esercitata dalle concorrenti e colpita dai processi di deperimento a loro volta accelerati dalle condizioni di sofferenza degli individui in boschi via via più densi. Si instaura così un feedback positivo che, in assenza di interventi o di disturbi, fa sì che la successione non sia solamente un effetto del deperimento (vedi Capitolo III) ma anche una sua causa indiretta, accelerando i cambiamenti di composizione specifica nelle pinete colpite ed esercitando i suoi effetti sul ruolo futuro della foresta, la disponibilità di risorse, il regime di disturbo naturale.

Figura 19 - Specie più frequente tra i semenzali in funzione dell'intensità di pascolamento (percentuale di aree di saggio pascolate sul totale, dati: IPLA)

Figura 20 - Grado di copertura delle chiome (media di tutte le aree di saggio) e specie prevalente tra i semenzali (dati: IPLA)

23

Il prevalere dell’uno o dell’altro processo dipende essenzialmente dall’uso del suolo passato, quindi indirettamente dall’intensità e dal tipo di impatto antropico, e dalle caratteristiche climatiche ed ecologiche della stazi0ne, che determinano la velocità di avanzamento della successione e le specie che via via vi partecipano. Gli studi effettuati a Nord delle Alpi (Vallese) evidenziano soprattutto il fenomeno dell’abbandono della gestione boschiva (Rigling et al., 2006), mentre si ritiene che nelle Alpi italiane non vada sottovalutata l’importanza delle pinete pioniere su ex-prati ed ex-pascoli, che interagendo con i cambiamento climatici (vedi succ.) può amplificare significativamente gli effetti del deperimento fornendo nuovo materiale sensibile agli agenti di stress coinvolti.

PRATO, PASCOLO PINETA

O COLTURA GESTITA

Abbandono della gestione

Clima, Parametri Clima, stazione socio- stazione economici

Successione Gestione

PINETA SPECIE NON GESTITA DEFINITIVE

Deperimento Disturbi naturali Deperimento del pino del pino (suoi agenti) (suoi agenti)

Clima, stazione

Deperimento sp. STEPPA definitive?

Figura 21 – Traiettorie successionali che coinvolgono le pinete di pino silvestre nell’area di studio, a partire da popolamenti storicamente gestiti o da prato-pascoli preesistenti all’invasione della pineta. I fattori climatici e stazionali agiscono come regolatori in tutte le fasi della successione (abbandono, successione secondaria, deperimento, regime di disturbo naturale e/o antropico) 24 A2: Casi di studio a scala di popolamento

Fase preliminare della ricerca sul deperimento del Pino silvestre ( L.) nelle vallate alpine è stata la scelta delle aree di studio. Il territorio della Regione Autonoma Valle d’Aosta è stato suddiviso in due grandi comprensori, corrispondenti rispettivamente all’alta e alla media-bassa valle.

In ciascun comprensorio si sono successivamente individuate nella fascia alta e bassa dell’areale di distribuzione del Pino silvestre da 1 a 3 aree di studio permanenti, sulla base di un preliminare esame cartografico dei principali popolamenti e di sopralluoghi in campo volti a valutarne le seguenti caratteristiche:

1. Composizione specifica e struttura dei popolamenti 2. Stato fitosanitario 3. Tipo di proprietà 4. Accessibilità e percorribilità 5. Disponibilità di dati storici

Sono state così scelte 4 aree permanenti, ciascuna rappresentativa delle condizioni stazionali e strutturali medie del popolamento in esame e il più possibile libera da disturbi di origine antropica. Ciascuna area misura 70x70 m sul piano topografico, per una superficie totale di 0.49 ha. Il confine dell’area permanente è stato delimitato da picchetti situati ai 4 angoli e la via di accesso contrassegnata in corrispondenza della viabilità principale.

2 1 3 4

Figura 22. Areale del pino silvestre (Pinus sylvestris L.) in Valle d’Aosta e ubicazione delle aree di studio permanenti.

25

Materiali e metodi

Le coordinate geografiche e la quota di ogni sito sono rilevate, con precisione metrica, nell’angolo NE mediante GPS (almeno 120 sec.) secondo il sistema di riferimento UTM – WGS 84, e successivamente sottoposte a correzione differenziale in laboratorio.

Sono da considerare oggetti del campionamento:

1. Alberi vivi o morti in piedi con diametro >2.5 cm a 130 cm di altezza.

2. Alberi a terra con diametro di base >10 cm, insieme alla rispettiva ceppaia se individuabile.

3. Ceppaie (altezza <130 cm) isolate con diametro >10 cm a 50 cm di altezza (o sup. di taglio).

Sono escluse le specie a portamento arbustivo (Juniperus sp., Corylus avellana, Rhododendron sp., Cornus sp., Rosa sp., Lonicera sp., Viburnum sp, .Clematis sp., Rubus sp….), gli individui con la base del fusto esterna ai confini dell’area permanente, i rami o parti di fusto appartenenti ad un unico individuo, la necromassa a terra che presenti uno stadio di decomposizione tale da non poter essere distinta dalla lettiera. Per gli individui biforcati e i polloni, si considerino individui separati coloro che presentano evidente autonomia biologica e di portamento (specialmente per le conifere). Come regola di riferimento, può essere considerata per la biforcazione una soglia di 130 cm di altezza.

Ogni individuo oggetto del campionamento è stato numerato con etichetta di plastica verde, recante un numero in bianco progressivo da 00001 a 10000. L’etichetta è collocata alla base delle piante o sulla ceppaia, dal lato meno visibile rispetto alle strade circostanti (solitamente a monte). Di ogni individuo così contrassegnato è rilevata la posizione secondo un sistema di coordinate polari relativo all’origine del plot (angolo SW) e a eventuali punti di appoggio individuati sul campo.

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Per ogni individuo sono stati rilevati e riportati nella Scheda di rilievo i seguenti dati dendrometrici:

√ Numero progressivo.

√ Tipo (Albero, Snag, Log, Ceppaia o combinazione di questi).

√ Specie (4 lettere).

√ Diametro a 50 cm di altezza sul lato a monte (precisione 0.5 cm). Per le ceppaie il diametro al livello del suolo (al netto dei contrafforti radicali).

√ Diametro a 130 cm di altezza sul lato a monte (precisione 0.5 cm). Per le ceppaie il diametro alla superficie di taglio.

√ Altezza totale dal suolo (precisione 1 cm fino a 200 cm, 10 cm fino a 400 cm, 50 cm oltre).

1 √ Condizioni vegetative / Stadio di decomposizione (per necromassa) .

√ Coordinate cartesiane (x;y) o polari (azimut in gradi sessagesimali, distanza centimetrica, caposaldo considerato) riferite alla base del fusto (lato monte), o alla ceppaia in caso di tronchi a terra (se divisi in più parti, accludere una breve descrizione nelle note).

√ Quota (misurata o interpolata dal DTM, precisione 1 m).

√ Angolo di inclinazione (scostamento dalla verticale, precisione 15°) e direzione (azimut) di inclinazione (precisione 15°, anche per i tronchi a terra). Per piante con sciabolatura vistosa indicare 5°.

√ Altezza dal suolo dell’inserzione della chioma (primo ramo verde non isolato ma in continuità con il resto della chioma) misurata a monte e a valle (in piano a Nord e a Sud) lungo la linea di massima pendenza (precisione 1 cm fino a 200 cm, 10 cm fino a 400 cm, 50 cm oltre). 0 - chioma verde assente, 1 - chioma verde da terra. Misurare sempre l’altezza all’ascella del ramo. Per le latifoglie con più polloni, rilevare una chioma unica (dati riferiti al fusti di diametro maggiore).

√ Proiezioni della chioma sul terreno lungo le 4 direzioni ortogonali Nord, Est, Sud, Ovest (precisione 10 cm) rispetto alla base del fusto; altezza dal suolo dell’inserzione del ramo la cui proiezione è stata misurata in ciascuna delle 4 direzioni (precisione 1 cm fino a 200 cm, 10 cm fino a 400 cm, 50 cm oltre). In caso di più rami aventi la stessa proiezione al suolo, misurare l’altezza di quello più basso.

√ Altezza della carota prelevata (precisione 1 cm, vedi rilievo dendrocronologico) e posizione della parte più interna della carota rispetto al midollo2.

1 Per gli alberi vivi: 1- piena vigoria, 2- leggermente danneggiati o deperienti, buona vitalità; 3- danneggiati o deperienti, vitalità ridotta; 4- molto deperienti, scarsa vitalità; 5- morti eretti. Per la necromassa: 1- appena morti, presenti aghi o foglie secche e ramificazione secondaria, corteccia integra; 2- Presente ramificazione primaria, corteccia parzialmente staccata, carie localizzata; 3- rami e corteccia assenti, legno solo in parte integro; 4- decomposizione avanzata, struttura del legno completamente degradata; 5- non distinguibile dalla lettiera.

2 m: midollo presente; o: midollo non presente ma anelli interni con curvatura accentuata (possibile stimare la posizione del midollo); x: midollo non presente e anelli interni privi di curvatura (impossibile stimare la posizione del midollo).

27 √ Spessore della corteccia misurata sul foro di prelievo della carota (precisione 1 mm).

√ Note (misure particolari, portamento, tracce di disturbo o di utilizzazione…).

Al fine di costruire la struttura dell’età nel popolamento forestale, è stata prelevata una carota dal lato dell’albero a monte e ad una altezza di 50 cm su tutti i pini silvestri vivi aventi diametro >7.5 cm a 130 cm di altezza (campionamento eventualmente da integrare in un secondo momento); per le altre specie forestali, il prelievo è stato eseguito a campione e secondo classi diametriche di 5 cm di ampiezza (Abete rosso e larice 50%, altre latifoglie 10% e solo un campione per ceppaia). In laboratorio tutte le carote sono state fissate su supporti legnosi e preparate per la misura mediante l’uso di bisturi o di successivi passaggi di carta abrasiva fino ad una risoluzione superficiale ottimale per la misura degli anelli legnosi. L’ampiezza degli anelli è stata quindi misurata con una definizione di 0.01 mm. La datazione incrociata, che permette di assegnare ad ogni anello l’anno di formazione, è stata effettuata sulle serie cronologiche derivate da campioni dendrocronologici già disponibili.

Sono stati identificati i disturbi che hanno avuto luogo in ciascuna area mediante l’analisi delle variazioni repentine di accrescimento effettuata con le carote prelevate. Una cronologia di tutti i disturbi registrati dagli anelli legnosi in ogni area è stata costruita utilizzando la percentuale di alberi che, in periodo di riferimento, presentano variazioni repentine di accrescimento positive o negative (analizzate separatamente). La cronologia dei disturbi ottenuta dall’analisi degli anelli legnosi è quindi confrontata con i dati ottenuti dall'analisi della struttura delle età e delle fotografie aeree ai fini di definire il fattore causale di ogni singolo disturbo.

Risultati

I rilievi dendrometrici nelle 4 aree di studio permanenti sono stati ultimati nel mese di giugno 2006. Sono stati rilevati in tutto circa 5000 punti; le tabelle 2 e 3 riportano i parametri stazionali e strutturali di sintesi dei popolamenti analizzati.

Tabella 2 – Parametri stazionali delle aree di studio permanenti (PSP).

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Plot Density Basal area QMD Relative Htop Cover density [trees ha-1] [m2 ha-1] [cm] [m] Challand 724 573 42.3 35.3 27.3 28.0 .56 .47 17.6 82% St.Denis I 1400 876 18.0 13.6 12.8 14.0 .34 .25 7.8 66% St.Denis II 933 929 35.7 35.7 22.1 22.1 .53 .53 14.2 55% Morgex 824 610 36.8 34.1 23.8 26.7 .53 .48 16.7 81%

Table 3 – Summary data for living trees in the permanent plots under study (trees larger than 7.5 cm in dbh); data for all trees and Scots pine only (in italics). Relative density is represented by the ratio of observed to maximum Stand Density Index (SDI), calculated by the summation method. Crown cover is the plot-wise figure computed by summing individual crown projections.

CWD Basal area Plot Snags Cut stumps Yearly mortality [m2 ha-1]

Challand 24.16 39 6 5% St.Denis (lower) 7.10 122 6 15% St.Denis (upper) 16.88 71 259 n.d. Morgex 7.12 80 67 1%

Table 4 – Summary data for coarse woody debris (Scots pine only) in the permanent plots under study (stumps and logs larger than 10 cm in dbh, all decay classes). Snags only account for natural mortality. Yearly mortality rates based on repeated inventories (re-entry time 3 to 12 months). All data are computed on a per-hectare basis.

29 Challand St. Anselme Forest type cover: Middle-alpine Scots pine on acid soils (Dechampsio-pinion)

The stand is located on a west-facing slope; a cliff directly above the stand is a source of frequent rockfall events and determines the formation of scree slopes. These give a gappy appearance to the stand’s horizontal structure; gaps are sometimes filled by Aspen (Populus tremula L.). Yearly rainfall is usually higher than 800 mm; the acid soil favors chestnut (Castanea sativa Miller) on lower elevations, where small orchards were once grown. The stand has been heavily grazed in the past.

Recent mort. 50 10 3 Felled 2.5 40 8 Mort. ratio 2 30 6 1.5 20 4 1 Number of trees Number of 10 2 0.5 .

0 Frequency 0 0 ratio Dead/live 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 70 10 25 40 55 70 85 100 dbh (cm) dbh [cm]

6% 2% 2% 12% 11% 1% 1% casa 84% lade 79% piab Percent basal area Percent frequency pisy potr prav soar

30 St.Denis I Forest type cover: Inner-alpine Scots pine on alkaline soils (Ononido-pinion)

Young stand originated by secondary invasion by pine and Downy Oak (Quercus pubescens Willd.) not earlier than 30 years ago and never managed thenceforth. The site is located in the aridest area of the region (400 mm year-1); high density and extremely low soil fertility result in poor health conditions for most individuals. Tree pattern is locally dense, but large gaps are present where the soil is too shallow to allow tree colonization.

Felled 200 30 Recent mort. 3 25 Mort. ratio 2.5 150 20 2

100 15 1.5 Frequency Number of trees of Number 10 1

50 ratio Dead/live 5 0.5

0 0 0 10 15 20 25 30 10 15 20 25 30 dbh (cm) dbh [cm]

25% 30%

75% 70%

Percent basal area Percent frequency pisy qupu

31 St.Denis II Forest type cover: Inner-alpine Scots pine on alkaline soils, variant with spruce

Mature Scots pine stand, patterned in many even-aged patches. Large groups of mature trees alternate with dense regeneration thickets, the latter establishing where light levels on the ground are higher. Tree growth is slow because of site- related drought; disturbances often disrupt stand structure, either by wind- or snow-induced uprooting, or by frequent crown fires.

40 Felled 1.5 100 35 Recent mort. 1.2 80 30 Mort. ratio 60 25 0.9 20 40 0.6

Frequency 15 dead/live ratio dead/live Numbertrees of 20 10 0.3 0 5 0 0 10 15 20 25 30 35 40 45 10 15 20 25 30 35 40 45 dbh [cm] dbh [cm]

100% 100%

Percent basal area Percent frequency

32

Morgex Forest type cover: Inner-alpine Scots pine on alkaline soils

The upper canopy layer is dominated by Scots pine, but downy oak and other late-seral broadleaves (Sycamore Maple [Acer pseudoplatanus L.], Wild Cherry [Prunus aviums L.], rowans [Sorbus spp.], Little-leaf Linden [Tilia cordata Miller], English Walnut [Juglans regia L.]) have been establishing in the understory for the last decades and have n reached codominant status. The stand is bordered by an active avalanche channel Intense logging for charcoal purposes, grazing and litter collection have been replaced in recent years by frequent but limited group selection cutting (Saponeri, 2006).

33

Analisi dei disturbi

140 St.Denis I 100 St.Denis II 120 90 80 100 70

80 60

50 60 40

40 30 20 20 10 0 0 5 10 15 20 25 30 35 5 10 15 20 25 30 35 40

45 60

40 Morgex Challand 50 35 30 40 Altro Lade 25 30 qupu - s 20 qupu - l qupu - c 15 20 pisy - s 10 pisy - l 10 pisy - c 5

0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 5 15 25 35 45 55 70 80 90

Figura 23 – Distribuzioni diametriche della necromassa nelle 4 aree di studio permanenti.

Per l’analisi dei disturbi si è deciso di utilizzare il metodo di analisi dendrocronologico: attraverso il prelievo e l’analisi di carote da tutti gli individui oggetto di campionamento, si è ricostruita la storia dell’area al fine di evidenziare l’influenza dei disturbi naturali ed antropici sulla struttura dei due popolamenti, e il ruolo della storia del popolamento nel determinare il regime di disturbi osservato. Contemporaneamente alle indagini in campo, sono state effettuate delle indagini storiche presso gli archivi comunali e le biblioteche, sono stati consultati i Piani di Assestamento e sono state raccolte informazioni presso la sede del Corpo Forestale.

Dal confronto tra questi due tipi di informazione è stato possibile ricostruire la storia passata dei due popolamenti forestali. Da un lato gli anelli annuali di accrescimento degli alberi sono importanti per individuare la durata e l’intensità dei disturbi subiti dal popolamento forestale, dall’altro gli archivi storici sono utili nel riconoscere il tipo di disturbo ed interpretarne le cause.

34 La prima analisi è stata condotta sul popolamento di Morgex. Una carota incrementale è stata prelevata da tutti gli individui di pino silvestre con diametro maggiore di 7,5 cm a 130 cm di altezza, da tutta la necromassa con almeno i primi 10 cm di carota relativamente intatta nella parte più esterna del tronco e da un prelievo a campione da tutte le altre specie forestali,. Il campionamento è stato effettuato mediante trivella di Pressler all’altezza di 50 cm dal suolo. In campo le carote sono state collocate su supporti temporanei in cartone, su cui sono state fissate con nastro adesivo di carta; su ogni campione sono stati annotati i dati necessari per il riconoscimento: area del rilievo, data, specie, numero di riferimento.

In laboratorio le carote sono state incollate su supporti definitivi in legno in modo tale che la fibratura si presentasse verticalmente (condizione necessaria per permettere la successiva lettura degli anelli) e levigate con passaggi successivi di carta abrasiva a granulometria via via più fine.

Gli anelli di accrescimento sono stati misurati con una precisione di 0.01 mm tramite apparecchiatura LINTAB, portando alla costruzione di una cronologia elementare per ciascuna carota analizzata. I dati sono stati archiviati ed elaborati mediante il package TSAP in formato CATRAS (un file separato per ogni cronologia elementare).

Dopo aver registrato tutte le ampiezze degli anelli di ogni singolo albero, si è proceduto alla crossdatazione di ogni cronologia elementare con la cronologia media del sito per il pino silvestre, per verificare l’attendibilità delle misure effettuate ed assegnare la data corretta ad ogni anello annuale di accrescimento. È importante sottolineare che ai fini della sincronizzazione, il numero minimo di anelli di sovrapposizione per poter effettuare il calcolo è pari a 30, mentre per poter ottenere valori attendibili ne sono necessari almeno 50.

La crossdatazione è stata effettuata sia per gli individui vivi, sia per la necromassa, utilizzando una cronologia media già disponibile, ed in particolare quella di Brusson (10BRUS), in quanto rappresenta l’unica cronologia media reperibile per il pino silvestre in Valle d’Aosta; tale cronologia presenta un’estensione di 362 anni, nel periodo compreso tra il 1637 ed il 1998. Il procedimento è stato effettuato confrontando la cronologia di ogni singola pianta con quella media sia visivamente, facendo scorrere al video le singole curve sulla curva campione (si verifica così la coincidenza dei picchi di accrescimento positivi e negativi), sia statisticamente, utilizzando come coefficienti di concordanza il t di Student e il coefficiente di coincidenza.

Per la costruzione della struttura delle età, le carote disponibili sono state classificate in tre gruppi (con presenza di midollo, senza midollo ma con anelli più interni aventi una curvatura tale da rendere possibile la stima della posizione del midollo, senza midollo e con anelli più interni non curvati). Nel primo gruppo l’età all’altezza di prelievo è data dal numero di anelli presenti tra il midollo ed il cambio, mentre nel secondo gruppo, al conteggio degli anelli tra il cambio e l’anello più interno, è stato aggiunto il numero di anelli stimati mancanti al midollo.

L’età degli alberi con DBH inferiore a 7,5 cm è stata ottenuta mediante regressione lineare tra età e diametro dei campioni prelevati. Per ridurre l’incidenza degli errori dovuti alla stima degli anelli mancanti tra il midollo e l’anello più interno, e gli errori derivanti dalla stima dell’età attraverso l’utilizzo dell’equazione che relaziona l’età ai diametri, i valori ottenuti sono stati raggruppati in classi di età decennale per svolgere le successive elaborazioni.

I dati sull’età del soprassuolo sono stati utilizzati per ottenere la struttura delle età e l’epoca di insediamento del popolamento forestale oggetto di studio; è stato inoltre possibile ricavare l’età della necromassa campionata, e di conseguenza l’epoca a cui risale la morte di ciascun individuo.

35 Le variazioni repentine sono state identificate mediante l’ausilio del programma CALRRR applicato a tutte le cronologie elementari. Per questa ricerca sono state considerate significative le variazioni in cui le riduzioni e gli incrementi sono risultati rispettivamente inferiori al 60% (riduzioni) e superiori al 166% (riprese) rispetto agli anni precedenti.

È necessario sottolineare come, tra il disturbo e la variazione di accrescimento della pianta possano trascorrere uno o più anni in relazione al tipo e all’intensità del disturbo: nel caso di riprese legate all’apertura della copertura forestale, per esempio, gli alberi vissuti a lungo in ombra devono adattare il loro ritmo fisiologico alle nuove condizioni di illuminazione, anche in relazione al fatto che gli aghi delle conifere persistono per più anni. Per questa ragione, i disturbi sono stati analizzati per classi di 10 anni.

L’insediamento del popolamento è stato ricostruito realizzando una serie di mappe, in cui sono rappresentati, distinti per specie, gli alberi nati in ciascun decennio, mettendo inoltre in evidenza quegli individui che hanno presentato una variazione di accrescimento in positivo o in negativo. Analizzando la localizzazione di questi ultimi ed il conseguente insediamento negli anni successivi, è stato possibile stimare il tipo e l’entità dei disturbi che hanno interessato i popolamenti.

Gli studi effettuati sono stati integrati da una approfondita analisi della storia del popolamento oggetto di studio e delle superfici forestali adiacenti. I dati reperiti riguardano essenzialmente la gestione passata delle superfici forestali. Le informazioni sono state ottenute da ricerche bibliografiche integrate con i dati raccolti dalla consultazione degli strumenti di pianificazione e da interviste ai forestali locali. Le informazioni storiche raccolte sono state usate come una fonte di dati indipendenti per spiegare i cambiamenti nella struttura e nella composizione all’interno delle aree di studio.

Specie Alberi vivi Campioni Con midollo Midollo Midollo stimabile non stimabile Pino silvestre 355 323 46 270 7 Abete rosso 14 10 3 7 0 Roverella 131 32 5 25 2 Ciliegio 49 10 3 7 0 Sorbi 27 3 3 0 0 Tiglio 12 1 0 1 0 Frassino 9 1 1 0 0 Acero 3 1 0 1 0

Tabella 5 – Riassunto del campione utilizzato per l’analisi dendrocronologica.

36 Pino silvestre

200

180

160

140

120

100 Età 80

60 y = 2,2031x + 32,091 40 R2 = 0,4157 20

0 0 10 20 30 40 50 60 Diametri (cm)

Figura 24 – Relazione età-diametro per l’area di Morgex. R2: 0.42

L’età all’altezza di prelievo è stata calcolata per il 97% delle carote incrementali. Per quanto riguarda il pino silvestre, l’individuo più vecchio risulta avere 188 anni. Le classi di età più rappresentate sono quelle comprese nell’intervallo tra 80 e 100 anni, con una riduzione del numero di individui con età superiore ai 120 anni a causa delle intense utilizzazioni passate, e degli individui con età inferiore ai 60 anni a causa dell’elevata mortalità della rinnovazione del pino. L’abete rosso ha una distribuzione dell’età di tipo gaussiana con la massima frequenza nella classe dei 70 anni, ed un individuo isolato di 110 anni. La roverella e le altre latifoglie sono molto più giovani, e raggiungono al massimo la classe dei 60 anni, con una distribuzione delle età di tipo gaussiano. L’insediamento del bosco risale al 1820 con i primi pini ed un esemplare isolato di abete rosso. Il picco nell’insediamento del pino è avvenuto dal 1910 al 1930, mentre successivamente, il numero di nuovi individui insediati è andato progressivamente diminuendo fino ad avere un crollo dal 1970 in poi in concomitanza con un aumento del tasso di mortalità della rinnovazione del pino, e di un’espansione della roverella.

80 14

Pino silvestre 70 12 Abete rosso 60 Roverella 10 50 Latifoglie 8 40 6

30 N. (altre sp.)

N. (pino silvestre) 4 20

10 2 0 0

1820 1830 1840 1850 1860 1870 1880 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 Decennio

Figura 25 – Decennio di insediamento (età a 50 cm di altezza).

37 Il periodo coperto dall’analisi delle variazioni repentine va dal 1820 al 2000; sono però da considerarsi significativi solo i casi in cui si disponga di almeno 10 campioni per ogni singolo decennio. Una frequenza di release particolarmente elevata (più dell’30% degli individui presenti) si osserva durante i decenni 1880, 1890 (rappresentati però da un numero non sufficiente di campioni) e 1940. Per quanto riguarda le riduzioni di accrescimento, frequenze particolarmente elevate (più del 30% degli individui presenti) si hanno nei decenni 1870, 1890 e 1990.

Variazioni repentine di accrescimento Variazioni repentine di accrescimento

50,0 400 40,0 400 350 35,0 350 40,0 300 30,0 300 250 25,0 250 30,0 Ripresa Riduzioni 200 20,0 200 N° campioni N° campioni 20,0 150 15,0 150

% frequenze 100 campioni N° % frequenze 10,0 100 campioni N° 10,0 50 5,0 50 0,0 0 0,0 0

0 0 0 0 0 0 2 4 8 2 4 8 18 18 1860 18 1900 1920 1940 1960 1980 2000 18 18 1860 18 1900 1920 1940 1960 1980 2000 Decenni Decenni

Figura 26 – Variazioni repentine per decennio; è indicato il numero di campioni analizzati.

Osservando le mappe di insediamento, si nota come i primi pini si siano insediati nel 1820, mentre la roverella compare solo a partire dal 1940. Fino al 1910 l’insediamento del pino procede lentamente, ed avviene soprattutto nella parte nord-orientale dell’area. A partire dal 1920, invece, l’insediamento del pino diventa più massiccio, uniformemente distribuito su tutta l’area, per poi diminuire nuovamente dal 1960 in poi. Anche la roverella si insedia a partire dall’angolo nord- orientale, per poi espandersi su tutta l’area. Si può notare, inoltre, come negli ultimi decenni sia aumentata la rinnovazione della roverella, mentre sia diminuita quella del pino. Per quanto riguarda le variazioni di accrescimento, sono visibili solo a carico del pino e sono concentrate unicamente sugli individui presenti lungo il margine inferiore, mentre sono assenti sulla restante superficie dell’area.

Per quanto riguarda la necromassa, è stato possibile utilizzare solo il 6% delle ceppaie e dei log, ed il 46% degli snag, per ricavare i dati sull’epoca di morte. La maggior parte della necromassa, infatti, si trova in un avanzato stato di decomposizione, per cui non è stato possibile il prelievo di carote incrementali.

38

Figura 27 – Ricostruzione spaziale dell’insediamento del popolamento.

Periodo Disturbo Fine ‘600 - Espansione dell’attività minerario-metallurgica con conseguente elevata richiesta di legname per inizio ‘700 produzione di carbone vegetale La pratica della carbonaia, riducendo le difficoltà di trasporto del prodotto, dà il via ad utilizzazioni massicce anche di quei boschi che fino al XVII secolo erano lasciati ad un buon livello di naturalità Metà ‘700 perché difficilmente accessibili. Nel 1722 e 1757 viene vietato il taglio di qualsiasi specie arborea per produrre carbone; ciononostante, risultano abbattuti, con regolare autorizzazione, 144431 alberi. 1778 L’uso, la conservazione e la sorveglianza dei boschi è affidato alle amministrazioni locali. Emanazione di un regolamento per l’utilizzo dei boschi che ha effetti utilissimi per la conservazione del 1822 patrimonio forestale; le proprietà private sono sollevate dai vincoli imposti dal Regolamento nel 1833. Nuova fase di disboscamento per fornire materiale all’industria metallurgica in continua espansione. La 1830-1864 superficie totale dei boschi valdostani, a causa dei continui disboscamenti, passa da 60.000 a 25.000 ha. 1886 Intense utilizzazioni a carico dei boschi di Morgex per la costruzione della linea ferroviaria Ivrea-Aosta. Con la prima guerra mondiale vi è un depauperamento del patrimonio boschivo a causa della 1914-1918 diminuzione del personale di sorveglianza e dell’aumento degli illeciti; nel territorio di Morgex sono abbattuti 1800 alberi. Nuove intense utilizzazioni a carico dei boschi di Morgex per la costruzione dell’ultimo tratto ferroviario 1929 Aosta-Pré-St.-Didier. 1938 Periodo di grande siccità: dal 20 febbraio al 16 maggio cade un solo mm di pioggia in totale. Una valanga cubiforme si abbatte sul villaggio di Dailley e sulla superstrada per il tunnel del Monte 1999 Bianco; 10 ettari di bosco vengono schiantati.

39 Dalla consultazione dei Piani Economici per il periodo compreso tra il 1966 e il 2005 sono state ricavate le seguenti informazioni riguardanti la particella assestamentale 78, all’interno della quale si trova l’area di studio: Periodo Disturbo Taglio raso lungo la linea elettrica Pré-St-Didier-Arvier della consistenza di 35,510 mc (81 alberi). A 1968 seguito del taglio raso, viene rimboschita un’area di 14,50 mq con pino silvestre e abete rosso. 1968 Taglio selettivo a gruppi con asportazione di 101,270 mc (268 alberi) 1971 Taglio selettivo a gruppi con asportazione di 50,970 mc (61 alberi) 1974 Taglio selettivo a gruppi con asportazione di 81,3 mc (115 alberi) 1973-1974 Lotta meccanica (raccolta nidi) contro la processionaria del pino (Thaumetopea pityocampa) Taglio di sole piante morte (sradicate da intemperie) su una superficie di 14,50 ettari. Tagliate 10 piante 1976 per un totale di 1,80 mc. 1978-1987 Lotta meccanica (raccolta nidi) contro la processionaria del pino (Thaumetopea pityocampa) 1987 Taglio di 103 piante, di cui 101 pini silvestri e 2 abeti rossi, per un totale di 45,57 mc 1991-1995 Lotta meccanica (raccolta nidi) contro la processionaria del pino (Thaumetopea pityocampa) 1997 Incendio che interessa 0,60 ettari della particella 1998 Taglio di 221 piante, di cui 217 pini silvestri, 1 a.rosso e 2 larici, per un totale di 61,36 mc 2002 Taglio fitosanitario con asportazione di 5 pini silvestri, per un totale di 3,0 mc 2005 Costruzione di un vallo paramassi con taglio di 146 alberi, (138 pini e 8 abeti) per un totale di 89,67 mc

Tabella 6 – Disturbi di origine naturale e antropica nell’area di Morgex (da analisi documentale).

Il popolamento è caratterizzato da una struttura coetaneiforme sia per il pino silvestre, insediatosi con continuità nell’area da oltre un secolo, che per le altre specie, il cui insediamento è avvenuto solo in tempi più recenti. Il pino presenta una buona correlazione tra diametro e età, come per tutte le specie eliofile, che tuttavia diminuisce in età adulta, tanto che a diametri modesti possono corrispondere età elevate (120 anni o più). Questo può essere legato al fatto che le piante più vecchie del popolamento, cioè gli individui residui dei popolamenti precedenti, sono stati sottoposti alla competizione e all’azione dei disturbi naturali per un tempo maggiore, e anche per questo motivo non sono stati rimossi dall’uomo.

La maggioranza di individui ha un’età compresa tra i 76 e i 105 anni (classi di età 80, 90 e 100), mentre c’è carenza di individui con età superiore a 120 anni ed inferiore a 60 anni: tali lacune sono causate, nel primo caso, dalle intense utilizzazioni a cui è stato sottoposto il popolamento, mentre, nel secondo caso, ad un alto tasso di mortalità della rinnovazione del pino e alla sua difficoltà di rinnovazione a causa dell’aumentata capacità competitiva delle latifoglie insediatesi. Le altre specie arboree sono infatti molto più giovani del pino e, sia dalla distribuzione dei diametri, sia dalla struttura delle età, è evidente che la roverella e le altre latifoglie (ciliegio, sorbo, frassino, acero) sono in fase di attiva colonizzazione. L’insediamento del pino ha subito un brusco rallentamento a partire dagli anni ‘40, anche in relazione all’abbandono delle utilizzazioni intense degli anni precedenti, a favore della rinnovazione della roverella e delle altre latifoglie.

La componente a latifoglie è inoltre in grado di esercitare un’intensa azione competitiva, come testimonia l’elevato numero di esemplari di pino morti in piedi e appartenenti alle classi di età più giovani (autodiradamento).

Le riprese avvenute nei decenni del 1850, 1880 e 1890, possono essere attribuite alle intense utilizzazioni che hanno caratterizzato tutto il XIX secolo, per produrre carbone vegetale destinato all’industria minerario-metallurgica. Tuttavia, analizzando il grafico dell’insediamento, negli stessi anni non è riscontrabile un aumento della rinnovazione. Questo può essere attribuito al fatto che i boschi venivano privati anche degli individui più giovani, cioè quelli in grado di garantire la

40 ricostituzione del bosco, per ricavare la maggiore quantità possibile di legname; la produzione di carbone, infatti, non richiede necessariamente grossi diametri, ed inoltre le tecniche tradizionali di abbattimento rendevano più redditizia l’utilizzazione di alberi di medie e piccole dimensioni.

Nel 1900, e nel periodo compreso tra il 1930 e il 1950 vi sono nuovamente alte frequenze di release; tale periodo corrisponde anche con il massimo picco dell’insediamento del pino. Non è però possibile identificare un disturbo di sufficiente intensità da spiegare una così intensa rinnovazione; i tagli avvenuti durante la I Guerra Mondiale e le intense utilizzazioni effettuate a Morgex per ultimare la costruzione del tratto ferroviario Aosta-Pré.St.Didier, infatti, sono avvenuti dopo che l’insediamento era già iniziato, e hanno perciò solo intensificato un processo già in atto.

Inoltre, osservando le mappe della distribuzione spaziale del popolamento, si osserva che, mentre la rinnovazione del pino in quei decenni avviene uniformemente su tutta la superficie del bosco, i disturbi sono invece concentrati solo lungo il margine inferiore dell’area. Questa è una conferma del fatto che gli eventi di disturbo verificatisi in quegli anni non sono stati la causa del massiccio incremento nella rinnovazione del pino, ma hanno solo contribuito ad accentuare tale tendenza.

Dopo il 1940 l’insediamento del pino rallenta, così come le frequenze di release. Ciò avviene in corrispondenza dell’ingresso nel bosco di altre specie forestali, ed in particolare della roverella, e di un’espansione dell’abete rosso. Questa inversione di tendenza, con un’espansione di altre specie arboree ed una contrazione del pino silvestre, può essere dovuto ad un’attenuazione degli effetti delle massicce utilizzazioni avvenute durante i decenni precedenti, e che hanno sicuramente favorito il pino, specie pioniera in grado di colonizzare suoli poveri e di rinnovarsi in piena luce.

La riduzione di accrescimento osservata nel decennio 1940 può essere dovuta al periodo di grande siccità verificatosi dal 20 febbraio al 16 maggio 1938, in cui cadde un solo mm di piaggia in totale. A causa dei ripetuti attacchi da parte della processionaria del pino (Thaumetopea pityocampa) avvenuti nei periodi 1973-1974, 1978-1987, 1991-1995, possono essere inoltre spiegate le riduzioni nell’accrescimento radiale degli anelli legnosi avvenute nel periodo 1986-2005. Altro motivo di tale riduzione, può essere l’espansione della roverella con un conseguente aumento della competizione interspecifica per le sostanze nutritive e la luce.

L’interpretazione dei risultati deve essere cauta per diversi motivi. Innanzitutto è possibile che gli effetti di disturbi successivi si sommino, rendendo difficile distinguere tra essi, e perciò collegare ogni singolo disturbo con la successiva rinnovazione. Inoltre, la struttura attuale delle età è una rappresentazione degli individui sia insediatisi, sia successivamente sopravvissuti fino ad oggi, ed una lacuna nella presenza di alberi in un dato periodo può essere dovuta ad una assenza dell’insediamento e/o ad un alto tasso di mortalità della rinnovazione in quel periodo. Infine, è necessario ricordare come i dati storici di cui si dispone non siano sempre utilizzabili in modo puntuale poiché riferiti a zone geograficamente più ampie e non riportati con la scala di dettaglio necessaria per questo genere di ricerca.

Sebbene si siano osservate riduzioni negli accrescimenti radiali in seguito a particolari eventi siccitosi e a ripetuti attacchi da parte della processionaria del pino, tali disturbi non sono stati in grado, tuttavia, di determinare variazioni nella struttura e nella composizione della pineta. I disturbi di origine antropica sono invece stati sostenuti e prolungati nel tempo, e hanno determinato fortemente la composizione specifica, la struttura e la dinamica evolutiva del popolamento attuale.

I popolamenti che si generavano per rinnovazione naturale a seguito dei tagli intensi del XVIII e XIX secolo, dovevano essere di tipo coetaneo e, secondo i documenti storici consultati, venivano a loro volta sottoposti a taglio dopo periodi di tempo piuttosto brevi (dai 50 ai 100 anni sui versanti più impervi). Le conseguenze di questi turni sulla fertilità del suolo sono oggi di difficile

41 valutazione, ma si può pensare che la frequente asportazione del prodotto legnoso durante due secoli abbia impoverito non poco il suolo di sostanze nutritive. Questo tipo di utilizzazioni, inoltre, ha senz’altro condizionato la mescolanza: data la grande quantità di luce disponibile al suolo dopo i tagli, infatti, si può ipotizzare che fosse favorita la rinnovazione delle specie eliofile, quali il larice alle quote superiori ed il pino silvestre alle quote intermedie. Un altro fattore che può aver influito sulla composizione forestale è rappresentato dalla pratica del pascolo in bosco, soprattutto di quello ovino e caprino. Così come i tagli, anche il pascolo ha presumibilmente favorito il perdurare delle specie pioniere in quanto il calpestio provoca un’erosione del suolo negli strati superficiali; la specie che risulta favorita è, anche in questo caso, il pino silvestre, che non solo è rispettato dal bestiame poiché molto meno appetito delle latifoglie, ma si rinnova con facilità sui suoli poveri e superficiali. Il protrarsi nel tempo di tale pratica, unitamente alle intense utilizzazioni dello strato arboreo, hanno quasi certamente contribuito al mantenimento del pino silvestre fino ai giorni nostri. La fine di tali pratiche, e la conseguente attenuazione dei relativi effetti sulla struttura e composizione dei boschi, sta provocando una contrazione delle specie pioniere quali il pino, a favore di specie più esigenti rispetto alla fertilità del suolo e alla necessità di copertura per rinnovarsi.

B. Studio di cause ed effetti

Materiali e Metodi All’interno di tutte le aree permanenti è stata effettuata un’indagine relativa alla trasparenza delle chiome, necessaria per la valutazione del grado di deperimento del pino silvestre. Diversi studi hanno, infatti, messo in evidenza che esiste una correlazione diretta tra il grado di trasparenza delle chiome e il grado di deperimento delle piante stesse [DOBBERTIN et al., 2004]. Allo scopo di valutare l’eventuale evoluzione del deperimento nel corso del tempo, l’indagine di trasparenza delle chiome è stata effettuata negli anni 2005 e 2007. Si tratta di un’indagine di tipo visivo che prevede l’assegnazione di un indice di deperimento (percentuale di defogliazione = trasparenza della chioma), sulla base dell’osservazione diretta o mediante binocolo della chioma di ciascuna pianta e grazie al supporto di opportune guide fotografiche relative alla specie oggetto di studio [MULLER et STIERLIN, 1990], in cui sono riportate differenti classi di defogliazione (nel caso particolare del pino silvestre le classi di defogliazione corrispondono al 5, 25, 45 e 75%, alle quali ne è stata aggiunta una quinta pari al 100%). Per ciascuna pianta analizzata sono state rilevate la posizione sociale dell’individuo (predominante, dominante, codominante e dominato) e la direzione rispetto alla quale è stato condotto il rilievo. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza in quanto, soltanto mantenendo la stessa posizione di rilevamento rispetto alla pianta, è stato possibile confrontare i dati relativi ai due diversi rilievi (2005 e 2007) e quindi valutare l’evoluzione del processo di deperimento. Oltre alla percentuale di defogliazione, assegnata sulla base dell’aspetto complessivo della chioma e del confronto con le fotografie di riferimento, sono stati anche rilevati:  Danni dovuti alla presenza di Tomicus sp., di altri insetti e di vischio (Viscum album). Il primo è causa di ingiallimento e di successiva caduta a terra dei getti apicali, mentre il vischio è stato spesso segnalato (es. nel Vallese) come la causa principale della morte di molte piante;  ingiallimenti o imbrunimenti degli aghi ed eventuali fenomeni di microfillia;

42  presenza di branche e rami morti (diametro inferiore a 3 cm) per cause diverse dall’assenza di luce, essendo quest’ultimo un fenomeno del tutto naturale all’interno dei boschi (autopotatura). La distribuzione delle piante nelle diverse classi di defogliazione è stata valutata per ognuna delle 4 aree. Inoltre, tutti i dati sono stati analizzati statisticamente (test non parametrici di Mann-Witney e di Kruskall-Wallis, valori significativi per p < 0.05) allo scopo di individuare non solo le differenze nel grado di deperimento tra le diverse aree, ma all’interno di una stessa area per valutare l’eventuale evoluzione del fenomeno tra il 2005 e il 2007.

Risultati Come si può notare dal grafico riportato in figura 28, nelle aree di Morgex, Challand e St. Denis località Petit Bruson (St. Denis l) il grado di deperimento è sensibilmente peggiorato tra il 2005 e il 2007 (valori significativi per p < 0.05), con incrementi nelle percentuali medie di defogliazione pari rispettivamente al 13%, 9% e 13%. I dati relativi all’area di St. Denis località Bois de Vorpeillere (St. Denis h) non sono stati riportati in quanto al momento non ancora disponibili. Da entrambi i rilievi emerge che l’area di St. Denis l presenta il maggior grado di deperimento, con percentuali medie di defogliazione nel 2005 e nel 2007 rispettivamente pari al 43 e al 57%. Questo aspetto è confermato anche dalle cattive condizioni stazionali che caratterizzano proprio quest’area rispetto alle altre. Al contrario tra le due aree di Morgex e Challand non emergono significative differenze nel grado di deperimento.

2 005 2 007

1 00 9 0 8 0 7 0 b 6 0 b b a 5 0 4 0 a a 3 0

% di defogliazione di % 2 0 1 0 0 Mor g ex Ch a llan d St. Denis l

Figura 28: Confronto delle percentuali medie di defogliazione tra i due rilievi del 2005 e del 2007. Per ogni area a lettere diverse corrispondono valori significativamente diversi (test non parametrico per due campioni indipendenti, valori significativi per p < 0.05).

Il peggioramento della situazione nelle 3 aree di studio è ancor più evidente osservando la distribuzione delle piante nelle diverse classi di defogliazione nel 2005 e nel 2007 (figure 29-30).

43 Distribuzione per classi di defogliazione - 2005

Mor gex Ch a lla nd St. Denis l

1 00 9 0 80 7 0 6 0 5 0 4 0 3 0

% piante sul totale 2 0 1 0 0 5 2 5 4 5 7 5 1 00 classi di defogliazione

Distribuzione per classi di defogliazione - 2007

Mor gex Ch a lla nd St. Denis l

1 00 9 0 8 0 7 0 6 0 5 0 4 0 3 0

% % totalepiante sul 2 0 1 0 0 5 2 5 4 5 7 5 1 00 classi di defogliazione

Figure 29 e 30: Distribuzione delle piante nelle diverse classi di defogliazione nei due rilievi del 2005 e del 2007 per le 3 aree di Morgex, Challand e St. Denis l.

Come si può notare, infatti, in tutte e tre le aree la distribuzione delle piante nelle diverse classi di defogliazione ha subito uno spostamento verso destra, cioè il numero di piante appartenenti alle prime due classi di defogliazione (5 e 25%) si è ridotto, mentre il numero di piante appartenenti alle altre tre classi di defogliazione (45, 75 e 100%) è aumentato. Questa traslazione verso destra è quindi il segno evidente che il deperimento ha subito un peggioramento tra il 2005 e il 2007.

B.2 PATOGENI FUNGINI E MORTALITÀ

All’interno delle aree permanenti oggetto di studio sono stati effettuati i seguenti rilievi fitopatologici: 1. Valutazione dell’eventuale presenza di funghi responsabili di marciumi radicali come Heterobasidion spp. e Armillaria spp.. 2. Valutazione della presenza di funghi responsabili di malattie fogliari. 3. Prelievo di microcarote a livello del colletto per l’isolamento dei funghi sopra citati, di funghi Ophiostomatoidi responsabili dell’azzurramento del legno e per la valutazione delle micocenosi associate all’alburno di pino silvestre. 4. Abbattimento di piante caratterizzate da un diverso grado di deperimento per lo studio dei funghi Ophiostomatoidi associati all’alburno di pino silvestre.

44 B.2.1 Accertamento della presenza di funghi responsabili di marciumi radicali Per valutare l’eventuale presenza di funghi responsabili di marciumi radicali è stata condotta in bosco la ricerca sistematica dei carpofori (Heterobasidion spp., Armillaria spp.) e delle rizomorfe (Armillaria spp.) a livello del suolo e della superficie di tronchi e ceppaie. L’indagine ha avuto esito negativo nelle aree permanenti di Morgex e di St. Denis l, in quanto non è stata riscontrata la presenza né di carpofori né di rizomorfe dei funghi sopra citati, mentre nell’area permanente di Challand è stata riscontrata la presenza di rizomorfe di Armillaria spp, alla base di una pianta morta in piedi (n. 5284).

B.2.2 Accertamento della presenza di funghi responsabili di malattie fogliari In diverse aree di studio è stata riscontrata la presenza di alcuni agenti responsabili di malattie fogliari ed in particolare Cyclaneusma minus (Butin) DiCosmo, Peredo & Minter, Sclerophoma pithyophila (Corda) Höhn. e Truncatella hartigii (Tubeuf) Steyaert. Tra questi, solo Cyclaneusma minus (Butin) DiCosmo, Peredo & Minter è un patogeno primario capace cioè di infettare piante in buone condizioni sanitarie, mentre gli altri sono per lo più patogeni di debolezza.

B.2.3 Micocenosi associate all’alburno di pino silvestre Materiali e Metodi All’interno delle 3 aree permanenti di Morgex, Challand e St. Denis l, in una sottoarea di 50x50 m (0,25 ha), sono state prelevate 4 microcarote (diametro 2 mm e lunghezza 1 cm circa) da ciascun individuo di pino silvestre con DHB superiore a 15 cm e 2 microcarote da ciascun individuo con DHB compreso tra 10 e 15 cm. Il prelievo, che ha interessato piante vive, morte in piedi e a terra, è stato effettuato alla base delle piante a circa 10-20 cm dal suolo, previa asportazione della corteccia. In particolare, il prelievo delle microcarote è stato effettuato mediante campionatore Trephor, messo a punto presso il Centro Studi per l’Ambiente Alpino (San Vito di Cadore, BL) del Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (Università degli Studi di Padova). Ciascuna microcarota è stata conservata in provette sterili, contrassegnate con il numero della pianta corrispondente, in attesa dell’allestimento delle prove di isolamento in laboratorio. Nella tabella 7 per ognuna delle 3 aree sono riportati il numero di pini campionati e il numero di microcarote estratte.

Località N. piante campionate N. microcarote estratte Morgex 132 433 Challand 96 301 St. Denis l 289 638 Tabella 7: Numero di piante campionate e corrispondenti microcarote estratte per ognuna delle 3 aree di studio.

L’allestimento delle prove di isolamento si è articolato in due fasi successive: 1) Sterilizzazione di ogni microcarota in una soluzione di perossido di idrogeno (H2O2) al 30% per circa 8 secondi e risciacquo in acqua sterile per circa 10 secondi, allo scopo di prevenire lo sviluppo di eventuali funghi inquinanti presenti sulla superficie del legno.

45 2) Sezionatura delle microcarote in due parti da destinare a due differenti condizioni di crescita. In particolare:  La porzione più esterna, rispetto all’orientamento della pianta, è stata inoculata in capsule Petri contenenti un substrato elettivo per i Basidiomiceti.  La porzione più interna, rispetto all’orientamento della pianta, è stata inoculata in capsule Petri contenenti un substrato generico, ma segnalato come elettivo per i funghi agenti dell’azzurramento del legno [JANKOWIAK, 2005]. Tutte le inoculazioni sono state effettuate sotto cappa biologica per garantire le migliori condizioni di sterilità; i campioni sono stati incubati alla luce e a temperatura ambiente e tutte le capsule sono state chiuse mediante Parafilm, in attesa dello sviluppo di eventuali agenti fungini. Le colonie sviluppatesi, fino a 4 mesi dopo l’inoculazione delle microcarote, sono state trasferite singolarmente in capsule Petri contenenti MEA ed incubate alla luce e a temperatura ambiente. A completamento dello sviluppo, per ciascun isolato è stata condotta un’analisi preliminare delle caratteristiche macroscopiche (morfologia della colonia, colore ecc…), allo scopo di individuare i differenti gruppi morfologici per la successiva identificazione a livello di genere e, se possibile, a livello di specie. L’identificazione dei funghi basidiomicetoidi sterili è stata effettuata mediante il confronto, con opzione BLAST, delle sequenze della regione ITS del DNA ribosomiale, amplificate con la combinazione di primer ITS1-F e ITS4 secondo quanto descritto da WHITE et al. [1990] e GARDES e BRUNS [1993], con le sequenze depositate presso il National Center for Biotechnology Information’s GenBank. Le colture di Heterobasidion spp. sono state identificate a livello specifico mediante Taxon Specific Competitive Priming (TSCP)-PCR abbinata alla diagnosi di inserti di natura intronica specie- specifici nella subunità maggiore del gene ribosomiale mitocondriale (LrRNA), così come descritto da GONTHIER et al. [2003]. Per ogni area sono stati calcolati il numero medio di unità formanti colonia per pianta (CFU/pianta) e il numero medio di taxa fungini per pianta. Inoltre, per ogni taxon sono state calcolate la frequenza di colonizzazione (F), espressa come rapporto percentuale tra il numero di piante colonizzate da un determinato taxon e il numero totale di piante campionate per ogni area, e la densità di colonizzazione (D), espressa come rapporto percentuale tra il numero di frammenti di microcarote infetti e il numero totale di frammenti di microcarote inoculati per ogni pianta [VARESE et al., 1999; VARESE et al., 2003]. Le unità formanti colonia per pianta (CFU/pianta), il numero di taxa fungini per pianta e le densità di colonizzazione (D) per ogni taxon fungino sono stati elaborati mettendo a confronto le tre aree di studio mediante test non parametrici per campioni indipendenti Kruskal-Wallis e Mann-Whitney (p < 0,05).

Risultati Le due aree di Morgex e Challand differiscono significativamente (p < 0.05) in termini di numero medio di CFU/pianta rispetto all’area di St. Denis l; al contrario in termini di numero medio di taxa/pianta le tre aree differiscono significativamente tra loro (figura 31).

46 CFU/pia n ta taxa/pianta

6 .00

5 .00 a 4 .00 a a b 3 .00 c b 2 .00 taxa-CFU/pianta 1 .00

0.00 Mor gex St. Denis l Ch a lla n d

Figura 31: Istogramma relativo al numero medio di CFU/pianta e di taxa /pianta per ognuna delle 3 aree di studio. Sia per le CFU/pianta che per i taxa/pianta a lettere diverse corrispondono valori significativamente diversi (p < 0.05) (test di Kruskall-Wallis e Mann-Witney).

Complessivamente sono stati identificati 73 taxa fungini, dei quali solo 8 risultano comuni a tutte e tre le aree di studio; i risultati sono riportati nella tabella che segue. Le colture di Heterobasidion annosum identificate mediante Taxon Specific Competitive Priming (TSCP)-PCR appartengono alla specie Heterobasidion annosum sensu stricto (ex ISG P), che si trova tipicamente nelle foreste di pino e in particolare il pino silvestre è uno dei suoi ospiti preferenziali.

47 MORGEX ST. DENIS L CHALLAND Elenco specie identificate F D F D F D Penicillium sp. Link. 59.85 0.163 a 34.95 0.140 b 71.88 0.289 c Cladosporium chlorocephalum (Fresen.) E.W. Mason & M.B. Ellis 15.15 0.028 a 7.27 0.024 b 7.29 0.013 ab Trichoderma sp. Pers. 10.61 0.027 a 47.75 0.197 b 10.42 0.022 b Moniliaceous fungus 32.58 0.06 a 1.73 0.005 b 5.21 0.006 b Epicoccum nigrum Link. 3.79 0.008 1.38 0.004 2.08 0.003 Cladosporium cladosporioides (Fresen.) G.A. de Vries 3.79 0.006 3.81 0.011 1.04 0.003 Dematiaceous fungus 3.03 0.004 a 20.07 0.069 b 6.25 0.009 a Gibberella fujikuroi (Sawada) Wollenw. 1.52 0.005 a 0.00 0.00 b 4.17 0.008 a Alternaria alternata (Fr.) Keissl. 15.15 0.025 a 3.46 0.010 b 3.13 0.004 b Mucor plumbeus Bonord. 1.52 0.002 4.84 0.014 1.04 0.001 Mycelia sterilia dematiacea 12.88 0.033 a 7.61 0.018 b 14.58 0.021 a Mycelia sterilia moniliacea 6.82 0.010 a 1.73 0.005 b 8.33 0.012 a Aspergillus niger Tiegh. 4.55 0.009 a 0.00 0.00 b 1.04 0.001 ab Isaria farinosa (Holmsk.) Fr. 0.76 0.002 0.00 0.000 2.08 0.004 Mucor hiemalis Wehmer 3.03 0.005 0.00 0.000 0.00 0.000 Peniophora aurantiaca (Bres.) Hohn. & Litsch. 0.00 0.000 0.35 0.001 0.00 0.000 Rhizopus stolonifer (Ehrenb.) Vuill. 12.12 0.036 a 0.00 0.00 b 3.13 0.006 c Umbelopsis vinacea (Dixon-Stew.) Arx 7.58 0.014 a 0.00 0.00 b 1.04 0.003 b Acremonium pteridii W. Gams & Frankland 0.00 0.00 ab 0.00 0.00 a 2.08 0.007 b Acremonium strictum W. Gams 0.76 0.001 0.35 0.000 2.08 0.003 Ascomycete sp. 0.00 0.00 ab 0.00 0.00 a 2.08 0.004 b Aspergillus spp. Link. 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.003 Aspergillus tubingensis (Schober) Mosseray 3.03 0.008 a 0.00 0.00 b 1.04 0.001 ab Beauveria bassiana (Bals.-Criv.) Vuill. 0.00 0.00 a 0.00 0.00 a 3.13 0.004 b Chalara sp. (Corda) Rabenh. 0.76 0.001 0.35 0.000 1.04 0.001 Chaunopycnis pustulata Bills, Polishook & J.F. White 1.52 0.002 1.04 0.003 1.04 0.001 Cladosporium herbarum (Pers.) Link. 1.52 0.002 0.35 0.000 1.04 0.001 Cordana pauciseptata Press 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Devriesia staurophora (W.B. Kendr.) Seifert & N.L. Nick. 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Eurotium amstelodami L. Mangin 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Exophiala / Phialophora sp. 1.52 0.003 a 0.00 0.00 b 0.00 0.00 ab Fusarium sp. Link 1.52 0.002 a 0.00 0.00 b 0.00 0.00 ab Fusarium lateritium Nees 0.00 0.000 0.35 0.000 0.00 0.000 Gibberella avenacea R.J. Cook 0.76 0.001 1.04 0.003 0.00 0.000 Graphium fragrans Math.-Käärik 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.001 Helotiales sp. 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Heterobasidion annosum (Fr.) Bref. 3.03 0.01 a 0.00 0.00 b 0.00 0.00 ab Hyphoderma praetermissum (P. Karst.) J. Erikss. & Å. Strid 0.76 0.002 0.00 0.000 0.00 0.000 Hypocrea koningii Lieckf., Samuels & W. Gams 0.00 0.000 0.35 0.001 0.00 0.000 Hypocrea lixii Pat. 0.00 0.000 0.69 0.002 0.00 0.000 Hypocrea pachybasioides Yoshim. Doi 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.005 Irpex lacteus (Fr.) Fr. 0.00 0.000 0.35 0.001 0.00 0.000 Monocillium indicum S. B. Saksena 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Mortierella globalpina W. Gams & Veenb.-Rijks 1.52 0.006 1.04 0.002 1.04 0.003 Mortierella lignicola (G.W. Martin) W. Gams & R. Moreau 1.52 0.002 a 0.00 0.00 b 0.00 0.00 ab Mycelia sterilia fibulata 0.76 0.001 0.35 0.001 0.00 0.000 Mycelia sterilia rosata 0.76 0.002 0.35 0.001 1.04 0.001 Phialemonium curvatum W. Gams & W.B. Cooke 0.00 0.00 ab 0.00 0.00 a 2.08 0.003 b Phoma eupyrena Sacc. 0.00 0.000 1.73 0.005 1.04 0.001 Phoma herbarum Westend. 0.00 0.000 1.04 0.003 0.00 0.000 Phoma glomerata (Corda) Wollenw. & Hochapfel 0.00 0.000 0.35 0.000 0.00 0.000 Phoma leveillei Boerema & G.J. Bollen 0.00 0.000 1.73 0.008 1.04 0.002 Phoma putaminum Speg. 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Podospora sp. Ces. 0.00 0.000 0.35 0.001 0.00 0.000 Ramichloridium subulatum De Hoog 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Rhinocladiella atrovirens Nannf. 3.79 0.009 1.04 0.003 4.17 0.006 Sarea difformis (Fr.) Fr. 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.001 Schizophyllum commune Fr. 0.00 0.000 0.69 0.002 0.00 0.000 Scytalidium lignicola Pesante 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Sistotrema coroniferum (Höhn. & Litsch.) D.P. Rogers & H.S. Jacks. 0.00 0.00 ab 0.00 0.00 a 2.08 0.004 b Sistotrema coronilla (Höhn.) Donk 0.76 0.003 0.00 0.000 0.00 0.000 Steccherinum litschaueri (Bourdot & Galzin) J. Erikss. 0.00 0.000 0.35 0.001 0.00 0.000 Thanatephorus cocumeris (A. B. Frank) Donk 0.00 0.000 0.69 0.002 0.00 0.000 Torrubiella confragosa Mains. 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000 Trichaptum abietinum (Pers. Ex J.F.Gmel) Ryvarden 0.76 0.004 0.00 0.000 0.00 0.000 Trichoderma asperellum Samuels, Lieckf & Nirenberg 3.03 0.006 a 0.00 0.00 b 0.00 0.00 ab Trichoderma atroviride P. Karst. 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.001 Trichoderma koningii Oudemans 0.76 0.002 0.35 0.001 0.00 0.000 Trichoderma viride Pers. 12.12 0.028 a 0.35 0.002 b 22.92 0.062 c Tritirachium oryzae (Vincens) de Hoog 0.00 0.000 0.00 0.000 1.04 0.001 Umbelopsis isabellina (Oudem) W. Gams 7.58 0.012 a 0.00 0.00 b 1.04 0.001 b Umbelopsis ramanniana (A. Møller) W. Gams 0.00 0.000 0.35 0.000 0.00 0.000 Virgaria nigra (Link.) Nees 0.76 0.001 0.00 0.000 0.00 0.000

48 B.2.4 Funghi Ophiostomatoidi associati al legno Materiali e Metodi Allo scopo di analizzare la composizione degli agenti fungini causa dell’azzurramento del legno, sono stati effettuati degli abbattimenti di piante caratterizzate da un differente grado di deperimento sulla base dell’indice di trasparenza delle chiome (come già riportato nelle precedenti relazioni Interreg). In particolare, in ciascuna area sono stati abbattuti da 3 a 5 individui caratterizzati da un differente grado di deperimento (1 pianta con indice di trasparenza del 0-20%, allo scopo di valutare l’accrescimento degli aghi e delle branche; 2 piante con indice del 45-75%; 2 piante con indice del 80-100%, in base alla disponibilità di alberi appartenenti a questa classe). Da ciascuna pianta abbattuta sono state prelevate 4 microcarote a livello del colletto e 3 rotelle legnose in corrispondenza delle parti basale, centrale ed apicale del fusto. Il prelievo delle microcarote è stato effettuato mediante campionatore Trephor, secondo la metodologia già descritta al punto B.2.3. Per quanto riguarda le rotelle legnose, invece, sono state condotte due differenti indagini finalizzate, rispettivamente, alla determinazione del grado di alterazione cromatica del legno (azzurramento) e all’identificazione dei funghi agenti di tale alterazione. In particolare, per la valutazione del grado di alterazione del legno, sono state misurate per ciascuna rotella: 1. la superficie complessiva, 2. la superficie corrispondente all’alburno e quella corrispondente al durame, quando distinguibili (i funghi agenti dell’azzurramento del legno sono associati prevalentemente all’alburno), 3. la superficie alterata dagli agenti dell’azzurramento, evidenziata dal caratteristico colore bluastro assunto dal legno. La tabella 8 riporta per ciascuna area permanente il numero di piante abbattute, le rotelle complessivamente analizzate e quelle nelle quali è stata riscontrata la presenza di azzurramento. PIANTE ROTELLE ROTELLE AREA COMUNE ABBATTUTE TOTALI AZZURRATE Bois de Feisouilles Morgex (AO) 6 24 8 Bois de Vorpeillere St. Denis (AO) 6 20 7 Petit Bruson St. Denis (AO) 9 25 16 Rouvere Challand (AO) 9 23 15 Tabella 8: piante abbattute, rotelle complessivamente analizzate e rotelle con azzurramento per ciascuna area oggetto di studio.

Per l’identificazione dei funghi agenti dell’azzurramento del legno sono state allestite per ciascuna rotella legnosa delle prove di isolamento. In particolare, l’allestimento degli isolamenti si è articolato nelle seguenti fasi: 1. Ciascuna rotella legnosa è stata suddivisa in quattro quarti; 2. da ciascun quarto è stato prelevato un campione di legno delle dimensioni di circa 5 X 2 X 2,5 cm; 3. da ciascun campione di legno si è prelevata una scaglietta; Le scaglie sono state inserite all’interno di capsule Petri del diametro di 15 cm contenenti un foglio di carta bibula sterile imbibito di acqua (camera umida) e poste in incubazione a temperatura

49 ambiente e al buio, in attesa dello sviluppo delle fruttificazioni di eventuali agenti dell’azzurramento Tutti gli Ophiostomatoidi ottenuti sono stati identificati mediante il confronto, con opzione BLAST, delle sequenze della regione ITS del DNA ribosomiale, amplificate con la combinazione di primer ITS1-F e ITS4 secondo quanto descritto da WHITE et al. [1990] e GARDES e BRUNS [1993], con le sequenze depositate presso il National Center for Biotechnology Information’s GenBank.

Risultati Nelle diverse aree di studio solo le piante appartenenti all’ultima classe di defogliazione (100%) hanno evidenziato la presenza di azzurramento nell’alburno. In particolare, nelle due aree di Challand e St. Denis l sono state riscontrate le maggiori percentuali medie di azzurramento del legno pari, rispettivamente, al 65 e al 63%. Nella tabella 9 sono riportati tutti gli Ophiostomatoidi identificati (caselle gialle) con il relativo ospite preferenziale e gli insetti vettori ad essi associati.

Teleomorfo Anamorfo Ospite Insetti vettori Leptographium serpens (Goid.) Siem. Pinus sylvestris Tomicus destruens Graphium sp. Picea abies Ophiostoma piceae (Munch) H. Sydow & P. Sydow Ips typographus Sporotrix sp. Pinus sylvestris Pinus sylvestris Tomicus piniperda Leptographium wingfieldii Morelet Picea abies Tomicus minor Tomicus piniperda Ophiostoma minus (hedgc.) Syd. & P. Syd. Pinus sylvestris Dendroctonus frontalis Dendroctonus brevicomis Ips typographus Graphium fragrans Math. - Kaarik Pinus sylvestris Ips sexdentatus ? Sporotrix sp. Pinus sylvestris ? Ceratocystis sp. Chalara sp. Pinus sylvestris ? Tabella 9: Ophiostomatoidi identificati (caselle gialle) con il relativo ospite preferenziale e gli insetti vettori ad essi associati.

Particolare attenzione merita il genere Chalara sp. (anamorfo di Ceratocystis sp.), l’unico ad essere stato isolato da una pianta non azzurrata e con una percentuale di defogliazione inferiore al 50%.

B.2.5 Valutazione della pressione di inoculo nell’aria di Heterobasidion annosum Materiali e Metodi In virtù della presenza di Heterobasidion annosum (paragrafo B.2.3) è stata condotta in tutte le aree permanenti un’indagine volta a stabilire la pressione d’inoculo nell’aria di questo patogeno, mediante esposizione in bosco per 24 ore di dischi di legno di abete rosso [GONTHIER et al., 2005]. In particolare, in ciascuna area permanente sono stati esposti 13 dischi di legno (figura 32), secondo lo schema riportato in figura 33. Ogni disco è stato preventivamente trattato con una soluzione di etanolo al 60%, necessaria per una disinfezione superficiale, e posto all’interno di capsule Figura 32: Disco di legno esposto in bosco per 24 ore Petri contenenti un foglio di carta bibula imbibito di per valutare la pressione di inoculo di Heterobasidion acqua sterile, allo scopo di prevenire il disseccamento annosum. del disco stesso durante l’esposizione. In seguito all’esposizione in bosco ogni disco è stato trattato con una soluzione di benomyl e posto in incubazione alla temperatura di 24°C per circa 10-11 giorni. La presenza di H. annosum è stata verificata mediante osservazione al microscopio

50 stereoscopico delle colonie dell’anamorfo (Spiniger meineckellus). Gli isolamenti sono stati effettuati trasferendo o piccoli frammenti di legno infetti o ife del fungo in capsule Petri contenenti PCNB [KUHLMAN & HENDRIX, 1962], substrato selettivo per H. annosum. Le colture di Heterobasidion spp. così ottenute sono state identificate a livello specifico mediante Taxon Specific Competitive Priming (TSCP)-PCR abbinata alla diagnosi di inserti di natura intronica specie- specifici nella subunità maggiore del gene ribosomiale mitocondriale (LrRNA), così come descritto da GONTHIER et al. [2003].

Figura 33: Rappresentazione schematica della disposizione delle rotelle di legno all’interno di ciascuna area permanente.

Risultati Le spore di Heterobasidion annosum sono state riscontrate esclusivamente nell’area di Morgex. In particolare, il 31% dei dischi esposti in bosco sono stati colonizzati dalle spore del patogeno e il numero medio di CFU/m2*h è risultato pari a 19. L’identificazione a livello specifico mediante (TSCP)-PCR ha evidenziato la presenza di due diverse specie del patogeno ed in particolare Heterobasidion annosum sensu stricto (ex ISG P) e Heterobasidion parviporum Niemelä & Korhonen (ex ISG S) (figure 33-34). Il primo si trova tipicamente nelle foreste di pino e in particolare il pino silvestre è uno dei suoi ospiti preferenziali, il secondo, invece, è più tipico delle foreste di abete rosso. La presenza di Heterobasidion parviporum nel popolamento di Morgex è giustificata dalla presenza di boschi di abete rosso nelle aree limitrofe all’area oggetto di studio.

◄Figura 34: Esempio di gel elettroforetico per l’identificazione a livello specifico di Heterobasidion annosum.

▼Figura 35: Diagramma a torta relativo alle percentuali di campioni identificati nell’area di Morgex e appartenenti alle due specie di Heterobasidion annosum.

P P P P S F S

campioni controlli

51 B.2.6 Conclusioni Il fenomeno del deperimento è in continua evoluzione come dimostra l’incremento della trasparenza delle chiome riscontrato in tutte le aree oggetto di studio. In particolare, l’area di St. Denis località Petit Bruson è quella che manifesta il maggior grado di deperimento, probabilmente anche a causa delle cattive condizioni stazionali che la caratterizzano. Lo studio delle micocenosi associate all’alburno di pino silvestre ha permesso di evidenziare l’esistenza di una certa biodiversità tra i differenti siti, ma questa non può essere considerata come il fattore condizionante lo stato di salute della foresta, bensì come uno dei tanti effetti del declino della copertura forestale. La biodiversità riscontrata potrebbe essere in qualche modo legata al diverso grado di deperimento in quanto in habitat dinamici e in evoluzione può essere normale trovare un maggior numero di specie fungine, perché in tali siti sono presenti sia le specie fungine tipiche del bosco sano sia quelle tipiche delle foreste deperienti. Questo aspetto, quindi, potrebbe spiegare le differenze qualitative e quantitative riscontrate tra le micocenosi associate all’alburno di pino silvestre delle 3 aree oggetto di studio. L’area di St. Denis l, infatti, avendo ormai raggiunto livelli critici di deperimento, è probabilmente caratterizzata da una micocenosi associata all’alburno di pino quasi esclusivamente composta da specie più tipiche del bosco deperiente; al contrario le due aree di Morgex e Challand, manifestando un minor grado di deperimento e quindi presentando ancora una certa dinamicità, sono probabilmente caratterizzate da micocenosi associate all’alburno di pino silvestre composte sia da specie fungine tipiche del bosco sano sia da quelle più tipiche del bosco deperiente. Ulteriori studi saranno comunque necessari per approfondire le conoscenze ecologiche dei diversi taxa fungini identificati nelle aree di studio e confermare così l’ipotesi formulata. Il ruolo secondario ricoperto dalla componente fungina associata all’alburno di pino silvestre è anche confermato dal fatto che la maggior parte dei funghi Ophiostomatoidi identificati è risultata associata esclusivamente a piante in avanzato stato di deperimento (per lo più piante morte con percentuali di trasparenza delle chiome pari al 100%). Solo in un caso è stato possibile isolare un fungo Ophiostomatoide (Chalara sp.) da una pianta priva di azzurramento e soprattutto con una percentuale di trasparenza della chioma inferiore al 50%. Anche in questo caso ulteriori studi permetteranno di approfondire le conoscenze ecologiche di questo fungo e l’eventuale ruolo nel deperimento delle piante. Tra tutti i taxa fungini identificati, Heterobasidion annosum è senza dubbio il più interessante dal punto di vista patologico, essendo uno dei più importanti agenti di marciumi radicali delle foreste di conifere delle regioni temperate. In particolare, nell’area di Morgex il patogeno è stato riscontrato sia all’interno delle piante (paragrafo B.2.3) sia nell’aria sottoforma di spore aeree (paragrafo B.2.5). Quest’ultimo aspetto merita particolare attenzione in quanto le spore aree giocano un ruolo essenziale nella biologia di H. annosum [RISHBETH, 1951; SWEDJEMARK & STENLID, 1993; VASILIAUSKAS & STENLID 1998; GARBELOTTO et al., 1999]. Il fungo, in modo particolare, infetta i suoi ospiti inizialmente per mezzo delle spore che colonizzano le superfici legnose appena tagliate o lesionate e poi si diffonde attraverso l’apparato radicale alle piante circostanti, provocando marciumi radicali e/o carie del legno. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato che nelle Alpi occidentali la pressione di inoculo di questo patogeno è molto limitata nei mesi invernali e primaverili, mentre nel corso dell’estate e dell’autunno il rischio di infezione aumenta raggiungendo i valori massimi, aspetti questi molto importanti per un’eventuale gestione selvicolturale del bosco.

52 Bibliografia DOBBERTIN M., HUG C., MIZOUE N., 2004: Using slides to test for changes in crown defoliation assessment methods, Part I: visual assessment of slides. Environmental Monitoring and Assessment 98: 295-306. GARBELOTTO M., COBB F. W., BRUNS T. D., OTROSINA W. J., POPENUCK T., SLAUGHTER G., 1999: Genetic structure of Heterobasidion annosum in white fir mortality centers in California. Phytopathology, 89, 546-554. GARDES M., BRUNS T.D., 1993: ITS primers with enhanced specificity for basidiomycetes - application to the identification of mycorrhizae and rusts. Molecular Ecology, 2, 113-118. GONTHIER P., GARBELOTTO M., NICOLOTTI G., 2005: Seasonal patterns of spore depositin of Heterobasidion species in four forests of the Western Alps. Phytopathology 95: 759-767. MULLER ERICH, STIERLIN HANS RUDOLF, 1990: Tree Crown Photos. SANASILVA, WSL. KUHLMAN G., HENDRIX F. F., 1962: Selective Medium for the Isolation of Fomes annosus. Phytopathology, 52: 1310-1312. JANKOWIAK R., 2005: Fungi associated with Ips typographus on Picea abies in southern Poland and their succession into the phloem and sapwood of -infested trees and logs. Forest Pathology, 35, 37-55. RISHBETH J., 1951: Observations on the biology of Fomes annosus with particular reference to East Anglian plantations. (II) Spore production, stump infection, and saprophytic activity in stumps. Ann. Bot., 15, 1-21. SWEDJERMARK G., STENLID J., 1993: Population dynamics of the root rot fungus Heterobasidion annosum following thinning of Picea abies. Oikos, 66, 247-254. VARESE G. C., BUFFA G., LUPPI A. M., GONTHIER P., NICOLOTTI G., CELLERINO G. P., 1999: Effects of biological and chemical treatments against Heterobasidion annosum on the microfungal communities of Picea abies stumps. Mycologia, 91, 747-755. VARESE G. C., GONTHIER P., NICOLOTTI G., 2003: Long-term effects on other fungi are studied in biological and chemical stump treatment in the fight against Heterobasidion annosum coll. Mycologia, 95, 379-387. VASILIAUSKAS R., STENLID J., 1998: Spread of S and P group isolates of Heterobasidion annosum within and among Picea abies trees in central Lithuania. Can. J. For. Res., 28, 961-966. WHITE T.J., BRUNS T.D., LEE S., TAYLOR J.W., 1990: Amplification and direct sequencing of fungal ribosomal RNA genes for phylogenetics. PCR protocols: a guide to methods and applications. Academic Press, San Diego, CA, 315-322.

53

B.3 INSETTI E MORTALITÀ DEL PINO

ANALISI ENTOMOLOGICA Insetti potenzialmente nocivi al pino silvestre Dalla bibliografia scientifica esaminata e dalle indagini d’archivio, risulta che oltre 220 specie di insetti possono causare danni al pino silvestre nelle nostre regioni. La maggior parte delle specie fortunatamente non raggiunge livelli di densità tali da costituire un pericolo per le nostre pinete. Va rilevato che possono essere considerati parassiti primari soltanto la processionaria del pino (Traumatocampa pityocampa) e la lida stellata (Acantholyda posticalis), che negli ultimi decenni hanno provocato defogliazioni consistenti. Vale la pena di far notare che negli ultimi trent’anni diverse specie di insetti di importanza forestale, quali i lepidotteri limantriidi Lymantria monacha e Calliteara pudibunda e l’imenottero sinfita Acantholyda erytrocephala, che normalmente sono presenti nelle nostre regioni a livelli di popolazione irrilevante, hanno dato origine a vistose infestazioni. Contemporaneamente il lepidottero tortricide Zeiraphera diniana, defogliatore del larice, ha interrotto la serie di gradazioni con cadenza decennale che si verificava da quasi due secoli. Questi fenomeni vengono da più parti collegati alle variazioni climatiche verificatesi nello stesso periodo, facendo temere che altri fitofagi presenti da noi, ma attualmente non dannosi, possano dimostrarsi nocivi in futuro. Le specie di insetti considerate secondarie, ovvero in grado di attaccare soltanto piante indebolite da fattori biotici o abiotici, sono numerose; qui si sottolineano soprattutto i problemi forestali derivanti dai due coleotteri scolitidi, il blastofago maggiore del pino (Tomicus piniperda) e il blastofago minore del pino (T. minor), che hanno dato luogo a infestazioni preoccupanti negli ultimi decenni. Queste due specie si sono rivelate capaci di attaccare piante relativamente sane quando si verificano pullulazioni dell’insetto su materiale legnoso deperiente presente nelle vicinanze. Tutte le altre specie non necessitano attualmente di alcuna misura di controllo, tranne due coleotteri scolitidi: il bostrico acuminato (Ips acuminatus) e il bostrico dai sei denti (Ips sexdentatus). Questi ultimi attaccano preferibilmente piante indebolite, ma in casi di forti pullulazioni possono riversarsi su piante apparentemente in buone condizioni. Le tecniche di lotta sono analoghe a quelle adottate per i due blastofagi, che sono descritte dettagliatamente del manuale di prossima pubblicazione. A lato di alcune delle specie segenti sono stati posti dei simboli atti ad evidenziare quelle potenzialmente più pericolose, che hanno causato di danni in Valle d'Aosta (##) o in zone limitrofe (#). Le note riguardanti i danni sono state volutamente contenute e solo per le specie più frequenti e dannose si è arricchito il testo sul ciclo biologico e sulla tipologia del danno. Le specie sono state elencate secondo la sistematica per quanto riguarda ordini e famiglie, secondo l'alfabeto per i generi.

RHYNCHOTA

Adelgidae: Pineus orientalis Dreyfus. Pineus pini Macq.: quasi cosmopolita; si sviluppa specialmente nei vivai o su piante giovani; produce una secrezione cerosa bianca.

Tenuipalpidae: Brevipalpus lineola Can. et Fanz. Brevipalpus wainsteini Livsh. et Mitrof.

54 Lachnidae: Cinara escherichi Bomer. Cinara oblonga Del Guercio. Cinara pilosa Zetterstedt: segnalata in Valle d'Aosta (Binazzi, 1990). Cinara pinea Mordulko: si sviluppa preferibilmente sui getti dell'ultimo anno; produce abbondante melata. Cinara pini L.: si sviluppa sui rami di uno o due anni. Cinara piniphila Ratzeburg. Cinara punihabitans Mordulko. Eulachnus agilis Kaltenbach: sulle Alpi orientali. Eulachnus brevipilosus Bomer. Schizolachnus pineti F.

Aradidae: Aradus cinnamomeus Panzer: provoca la depigmentazione di aghi e germogli e la conseguente caduta; provoca inoltre con le punture necrosi e macchie sotto corteccia.

Margarodidae: Matsucoccus pini Green: rallenta la crescita; provoca ingiallimenti e caduta degli aghi.

Lygeidae: Gastrodes grossipes De Geer: succhia la linfa dagli aghi; provoca danni modesti; viene segnalato in tutta Europa.

Miridae: Campterygum aequale Villers: si trova sui germogli e sui coni dell'anno; può provocare la caduta degli aghi.

Pseudococcidae: Heliococcus bohemicus Sulc: polifago, presente anche su latifoglie.

Diaspididae: #Leucaspis loewi Colvec: in tutta Europa, spesso in gran numero e dannoso; provoca l'ingiallimento e la caduta degli aghi e, in caso di forti attacchi, anche la caduta dei rametti. Leucaspis pini Hartig: oligofago sulle specie di pino; provoca ingiallimento e caduta precoce degli aghi. Leucaspis pusilla Loew.: è specie più mediterranea, ma potrebbe essere presente in Valle d'Aosta in quanto è una valle calda; provoca ingiallimento e caduta degli aghi; predispone all'attacco degli scolitidi. Mytilococcus newsteadi Sulc: oligofago, spesso unito con Leucaspis sp.; provoca ingiallimento e caduta degli aghi.

LEPIDOPTERA

Tortricidae: Archips piceana L.: specie polifaga delle conifere, di scarsa importanza forestale, anche se il pino silvestre è la specie più colpita; nei primi 2-3 stadi la larva è minatrice, dal 3° al 6° è defogliatrice. Blastethia posticana Zett.: provoca pochi danni su gemme e germogli del pino silvestre e del pino mugo. Blastethia turionella L.: presente su pino silvestre, mugo e nero; colpisce le gemme. Choristoneura murinana Hbn.: è generalmente monofaga su Abies alba, ma nelle grandi infestazioni si può trovare anche su pino, larice e ginepro. Epinotia tedella Clerck: ospite di elezione è l'abete rosso, ma è segnalata anche su pino silvestre;

55 mina gli aghi provocando danni anche estetici. Gravitarmata margarotana H.S.: danneggia la produzione di semi e la azzera quando è presente in numero superiore a tre in ogni cono. Laspeyresia cormoforana Tr.: presente sui coni di Pinus, Juniperus e Picea specialmente dopo gli attacchi provocati da Dioryctria. Laspeyresia duplicana Zett.: in località elevate è un minatore della corteccia su Abies, Pinus, Juniperus. Laspeyresia pactolana Zett. ##Petrova resinella L.: vive preferibilmente su pino silvestre, ma anche su pino mugo e domestico. Compie una generazione ogni due anni. Gli adulti sfarfallano in maggio-giugno e le femmine depongono le uova alla base delle gemme dei rametti giovani. Le larve neonate, dopo aver roso la base degli aghi, penetrano all'interno dei germogli; dal foro di entrata esce resina che viene a formare una specie di galla delle dimensioni di un pisello, entro cui la larva sverna. A primavera la larva riprende la propria attività: fuoriesce nuova resina e così la pseudogalla aumenta di volume fino a raggiungere un diametro di circa 2 cm. L'attacco determina ipertrofie che possono condurre a morte i getti colpiti. Le larve raggiungono la maturità nell'autunno del secondo anno e svernano all'interno della massa di resina per trasformarsi in crisalide nella primavera successiva. Infesta generalmente i getti laterali ed è molto meno dannosa di Rhyacionia buoliana. ##Rhyacionia buoliana Den. et Schiff.: attacca tutte le specie di pino con preferenza per i soggetti più giovani. Gli adulti sfarfallano in giugno-luglio e le femmine depongono le uova isolate od in piccoli gruppi sui giovani germogli. Le larve neonate penetrano all'interno degli aghi e possono minarne più di uno durante la prima e la seconda età; in seguito penetrano in una gemma e, come conseguenza dell'attacco, si osserva l'emissione di resina che si raccoglie in piccoli grumi. Svernano nella gemma e, nella successiva primavera, possono erodere anche diversi germogli vicini per completare il loro sviluppo. Raggiungono la maturità verso la fine di maggio o in giugno e si incrisalidano dentro un germoglio, dopo aver tappezzato di seta la galleria. Le piante attaccate assumono col tempo un aspetto deforme; i getti colpiti presentano una caratteristica ripiegatura su se stessi e, a seconda del momento dell'attacco e quindi della gravità della ferita, possono riprendersi oppure seccare. In quest'ultimo caso, quando il germoglio apicale viene sostituito dai laterali, si ha la formazione sull'asse principale di due rami divergenti con aspetto "a lira" o "a candelabro". Rhyacionia duplana Rbn.: osservata solo su pino silvestre; attacca i germogli. Mai segnalata in Italia. Rhyacionia pinicolana Dbld: penetra alla base delle pigne arrestandone la crescita. Rhyacionia pinivorana Zett.: citata solo su pino silvestre; provoca danni poco significativi sulle gemme, come R. buoliana. Zeiraphera ratzeburgiana Sax.: ospite principale è l'abete, ma anche Pinus spp.; raduna gli aghi in fascetti e li divora dall'interno.

Geometridae: Bupalus piniarius L.: gli adulti sono presenti dalla fine di maggio ai primi di luglio; le larve rodono le foglie fino a settembre; le crisalidi schiudono nella primavera successiva. Ectropis bistortata Georg.: defogliatore su pini e larice. Eupithecia indigata Rb.: su Picea, Larix e Pinus; sui fiori e i singoli aghi. Eupithecia tantillaria Bsd. Thera obeliscata Rb.: le larve vivono su Pinus spp. e meno frequentemente su Picea e Juniperus; attacca gli aghi. Thera variata Den. et Schiff.: presente con singoli elementi sugli aghi di Picea, Abies, Pinus e Juniperus.

Noctuidae:

56 Euxoa nigricans L.: su Picea e Pinus; presente sia in ambiente forestale sia in giardini; si nutre degli aghi. Orgyia recens Hbn.: frequente su molte latifoglie; segnalata sul genere Pinus. #Panolis flammea Schiff.: segnalata su tutto il genere Pinus; predilige il pino silvestre; gli adulti volano durante i mesi di aprile e maggio. Le larve si vedono durante i mesi di giugno e luglio. Panthea coenobita Esp.: segnalata più frequentemente sull' abete, ma citata anche su larice e pino; si nutre degli aghi.

Lasiocampidae: Cosmotriche lunigera Esp.: frequenta solo aghifoglie: Picea, Abies, Pinus, ecc. Dendrolimus pini L.: gli adulti sfarfallano nel mese di luglio; in agosto nascono le larve, che penetrano nel terreno alla fine di ottobre; sono mature verso la metà di giugno; si possono avere anche 2 generazioni se le condizioni climatiche sono favorevoli. Da noi non ha mai causato gravi danni, ma in Europa centrale è considerata una delle specie più dannose; il pino silvestre è la pianta preferita. Lasiocampa quercus L.: esistono alcune "razze ecologiche" che frequentano le conifere tra cui il pino. Le pullulazioni di questa specie interessano soprattutto i popolamenti compresi tra i 50 e i 100 anni di età e si verificano per lo più in seguito a condizioni di indebolimento del bosco, dopo periodi caldi e siccitosi, in particolare in stazioni con terreni poveri e soggetti a intenso drenaggio: per questi motivi è importante tenere sotto controllo le pinete della Valle d'Aosta.

Thaumetopoeidae: ##Thaumetopea pityocampa Schiff.: è un lepidottero termofilo, la cui distribuzione non supera, a nord e sulle montagne, l'isoterma di 22°C di luglio; altra limitazione nella sua espansione è costituita dalla temperatura media di almeno 12°C nel periodo dello sviluppo embrionale. Nella seconda metà di giugno, in luglio e in nella prima parte di agosto, sfarfallano gli adulti, che hanno abitudini crepuscolari; le femmine depongono le uova a manicotto (ogni ovatura è formato da 100- 250 elementi) intorno alle foglie dei pini, generalmente nelle parti più soleggiate, scegliendo di preferenza le piante presenti ai bordi dei boschi, nei punti più aperti e di altezza limitata. Le larve nascono dopo circa un mese; rimangono gregarie e rodono le foglie vicino ai corion avvolgendole con fili di seta bianchi. In seguito le larve si spostano su un altro punto della chioma e costruiscono un nido: per questo scopo possono collaborare individui provenienti anche da più ovature vicine. Il nido, formato dapprima da un tessuto lasso, viene via via aumentato di dimensioni con l’avvicinarsi della cattiva stagione. Durante l'inverno l'attività delle larve, che nella generalità dei casi hanno raggiunto la quarta età, è più o meno ridotta o completamente sospesa, in funzione della temperatura. In marzo viene ripresa la normale attività e le larve, quando escono dal nido, si pongono in fila indiana, talvolta lunghissima, e si sparpagliano sulle piante per ritornare poi al nido guidate dal filo sericeo che avevano disteso all'andata. Le larve raggiungono la maturità alla fine di aprile o in maggio e abbandonano il nido scendondo lungo il tronco per penetrare nel terreno ed imbozzolarsi ad una profondità compresa tra gli 8 e i 10 cm. Lo sfarfallamento avviene nel mese di luglio, ma una parte delle crisalidi può trascorrere in diapausa fino a un massimo di due anni. La presenza di questo defogliatore è ritenuta cronica e viene contenuta unicamente nei giovani rimboschimenti di pino nero e silvestre con la raccolta manuale dei nidi. Questa operazione, a causa dei costi elevati e dei modesti risultati, è stata negli ultimi anni via via ridotta.

Sphingidae: Hyloicus pinastri L.: le larve si nutrono degli aghi vecchi.

Lymantriidae: Calliteara pudibunda L.: di solito frequente solo nell'Europa centrale e sporadica in Italia, si è presentata con imponenti gradazioni in Piemonte e in Liguria negli ultimi anni; si trova su molte

57 latifoglie, è stata segnalata anche sul genere Pinus. Calliteara selenitica Esp.: frequente su molte latifoglie; è stata segnalata sul genere Pinus. #Lymantria dispar L.: è normalmente segnalata su latifoglie, anche se in alcuni casi è stata rinvenuta su pino. ##Lymantria monacha L.: polifaga, predilige le conifere, tra cui Pinus spp.. Le ali anteriori sono biancastre con linee trasversali zigzaganti grigio scuro, mentre le ali posteriori sono di un bianco quasi uniforme. Le larve si trovano nei mesi di maggio e giugno: alla fine del loro sviluppo si imbozzolano negli anfratti della corteccia. Gli adulti volano in luglio-agosto. Questa specie, che compie estese defogliazioni, in Italia è citata solo per sporadiche infestazioni. Dal 1988 al 1995 si è però verificato un esteso attacco in Valle d'Aosta (Currado et al., 1991). Le principali specie attaccate in ordine decrescente di preferenza sono: abete rosso, abete bianco, larice e pino silvestre.

Saturniidae: Graellsia isabelae Graells.

Gelechiidae: dodecella L: segnalata principalmente su pino silvestre; minatore degli aghi, causa moria dei germogli; sono citati danni consistenti solo in Polonia.

Hyponomeutidae: Cedestis farinatella Dup.: minatore su pino silvestre, pino mugo e abete bianco, in tutta Europa. #Ocnerostoma piniariellum Zell.: citato anche sul pino silvestre; le larve sono minatrici.

Aegeridae: Synanthedon cephiformis Ochs.: segnalato su Abies, Pinus, Juniperus; xilofago; si sviluppa nei tessuti danneggiati da ferite o colpiti da tumori.

Pyralidae: Assara terebrella Zinch.: segnalata in centro Italia su abete e pini; attacca i semi provocando la caduta dei coni ancora verdi. #Dioryctria abietella Den. et Schiff.: presente in tutta Europa in giovani coni e germogli di abeti, di larici e, meno frequentemente, di pini. Dioryctria mutatella Fuchs: citata principalmente sul pino silvestre; mina prima gli aghi, poi le gemme ed infine la corteccia. Dioryctria pinaeae Stgr.: citata nel sud Europa, anche su pino silvestre; danneggia i coni. #Dioryctria splendidella H.S.: le larve, presenti in agosto-settembre, perforano le piccole pigne, formando gallerie che pregiudicano il loro sviluppo; le pigne attaccate sono facilmente riconoscibili per gli escrementi uniti con fili di seta che le ricoprono.

DIPTERA

Itonididae: Cecydomia pini De Geer: le larve danneggiano lo strato di corteccia dei giovani getti di maggio, provocando una fuoriuscita di resina. Contarinia baeri Prell.: vive su tutte le specie di Pinus compreso il silvestre. Le larve si sviluppano tra gli aghi provocandone l'ingiallimento e la caduta. #Thecodiplosis brachyntera Schwagrichen: segnalata su pino silvestre, nero e mugo, è notoriamente diffusa al di là dello spartiacque delle Alpi, dove ha regolari gradazioni con ingenti danni. Provoca il disseccamento delle foglie infestate.

Chloropidae:

58 Hapleginella laevifrons Lw.: attacca i coni dei pini, ma predilige solitamente altre specie di conifere.

COLEOPTERA

Scarabeidae: Anoxia villosa Fabr.: adulti in giugno-luglio; si sviluppa in luoghi caldi e sabbiosi; stessi costumi e danni provocati dal maggiolino. Polyphylla fullo Fabr.: adulto in luglio; si trova soprattutto in zone sabbiose.

Anobiidae: Ernobius abietis L.: su legno e coni di varie specie di pino. Ernobius mollis L.: su legno molto secco non scortecciato. Ernobius pini Sturm.: si sviluppa principalmente nei getti dell'anno e nei coni di pino silvestre; è poco frequente.

Bostrychidae: Stephanopechys substriatus Paykull: ospite secondario, frequenta i boschi danneggiati dal fuoco; molto dannoso nei depositi di cortecce.

Buprestidae: Acmaeodera bipunctata Olivier: ospite secondario nei rami di svariate conifere, tra cui il pino silvestre. Anthaxia godeti Gory et Laporte: ospite secondario nei rami morenti. Anthaxia helvetica Stierlin: ospite secondario nei rami morenti. Anthaxia istriana Rosenhauer: ospite secondario nei rametti. Anthaxia quadripunctata L.: molto comune sulle Alpi, predilige alberi giovani o i rami di alberi adulti. Anthaxia similis Saunders: ospite secondario nei rami. Buprestis haemorroidalis Herbst: ospite secondario. Buprestis novemmaculata L.: ospite secondario. Buprestis octoguttata L.: ospite secondario nelle radici. Bubrestis rustica L.: ospite secondario. Buprestis splendens Fabricius: ospite secondario nel tronco. Chalcophora mariana L.: ospite secondario nelle radici e nella parte basale del tronco. Chalcophora massiliensis Villers: ospite secondario nelle radici e nella parte basale del tronco. Chrysobothris chrysostigma L.: ospite secondario nel tronco e nei grossi rami. Chrysobothris igniventris Reiter: ospite secondario nei rami. Chrysobothris solieri Gory et Laporte: ospite secondario. Dicerca moesta Fabricius: ospite secondario nei tronchi. Melanophila cyanea Fabricius: ospite secondario nei tronchi e nella corteccia. Melanophilaformaneki Jakobson: ospite secondario nei rametti. Oxypteris acuminata De Geer: ospite secondario nei tronchi e rami parzialmente bruciati. Phaenops cyanea E: in genere colpisce i tronchi morti o abbattuti di recente e tessuti subcorticali morti di alberi vivi.

Alleculidae: Omophlus lepturoides Fabr.: rodono le foglie. Omophlus rufitarsis Lesk.: fa comparse massiccie, ma sporadiche, danneggiando le infiorescenze maschili.

59 Cerambycidae: Acanthocinus aedilis L.: subcorticicolo di piante deperienti o morte; poco dannoso; frequente ovunque. Arhopalus rusticus L.: su conifere morte o su ceppaie. Asenum striatum L.: tipico del pino silvestre. Caenoptera minor L.: le larve scavano gallerie nei rami di tronchi deperienti. Callidium aeneum De Geer: si sviluppa sui tronchi e sui rami morti delle conifere e di alcune latifoglie. Callidium violaceum L.: si sviluppa sui tronchi e i rami morti di abete rosso e pini. Criocephalus rusticus L.: presente su varie specie di pino. Clytus lama Muis.: unica specie di Clytus vivente sulle conifere. Non è raro in Valle d'Aosta sui tronchi abbattuti. Corymbia hybrida Rey: vive nel legno morto. Corymbia maculicormis De Geer: vive nel legno morto. Corymbia rubra L.: vive nel legno morto. Ergates faber L.: vive in alberi già morti; arreca danni tecnologici notevoli perché rende inservibili i tronchi colpiti. Hylotrupes bajulus L.: colpisce alberi deperenti o vecchi, anche se abbattuti, travi accatastate, pali telegrafici, legname in opera, ecc. Leptura hibrida Rey: solo in legno secco e morto. Leptura rubra L.: solo in legno secco e morto. Molorchus minor L.: vive sui rami di abete rosso e pino, scavando numerose gallerie e provovando il distacco della corteccia. Monochamus galloprovincialis Olivier: attacca le conifere; citato su pino silvestre. Monochamus sartor F.: attacca di preferenza l'abete e più raramente il pino. Monochamus sutor L.: presente prevalentemente su abete rosso, ma anche sui pini; è il nemico tecnologico più importante dopo gli incendi e i colpi di vento in Scandinavia; sporadico in Valle d'Aosta. Pogonocherus fasciculatus De Geer: vive nei piccoli rami dei pini provocando prima l'ingiallimento e poi la morte. Prionus coriarius L.: si sviluppa su alberi molto vecchi o morti; i danni sono di natura tecnologica. Rhagium bifasciatum F.: colpisce alberi vecchi e deperienti o già abbattuti; frequenta numerose specie di latifoglie e di conifere, scava gallerie in tutti i sensi, rendendo inservibile il legno. Rhagium inquisitor L.: attacca gli alberi morti a livello subcorticale o tessuti subcorticali morti di alberi vivi. Rhagium mordax De Geer: presente sui pini e sulle latifoglie. Spondylis buprestoides L.: attacca le ceppaie o gli alberi abbattuti di recente; non arreca danni forestali. Tetropium castaneum L.: solo in casi eccezionali si trova sui pini. Trichoferus holoscriceum Rossi: colpisce solo il legno morto; è dannoso al legneme da opera.

Curculionidae: Anthonomus pubescens Payk.: su pino silvestre in tutta Europa, esclusa la Norvegia. Anthonomus varians Payk.: colpisce i fiori del pino silvestre; è presente in tutta Europa escluso il sud, non è considerata dannosa in Italia. Focarile (1983) l'ha trovata in tutti i boschi di pino silvestre della Valle. #Brachyderes incanus Schonherr: uno dei più importanti insetti del pino in coltura dal nord Europa al centro Italia; è il più importante nemico dei vecchi impianti; colpisce in località secche; si nutre di notte degli aghi, profondamente e irregolarmente per tutta la lunghezza. Brachonyx pineti Payk.: nelle pinete europee, soprattutto nei siti meno favorevoli; provoca «galle» (ingiallimenti giallastri) sugli aghi.

60 Coniocleonus glaucus F.: segnalato in Europa su corteccia e radici di pini; osservato anche su pino silvestre. #Hylobius abietis L.: durante la buona stagione le femmine ovidepongono entro cellette scavate nella corteccia; l'infestazione interessa generalmente le ceppaie e, di rado, i giovani esemplari. Le larve scavano gallerie che dapprima decorrono nel floema e in seguito incidono a solchi l'alburno, scendendo anche in profondità nelle radici. La specie può avere ciclo annuale o biennale. Le pupe si formano all'estremità delle gallerie. In agosto-settembre e specialmente in primavera, gli adulti si nutrono nottetempo di corteccia. Per questo essi invadono le piantagioni recenti o le aree popolate di novellame e vi provocano a volte devastazioni preoccupanti. L'attività larvale, al contrario, non è dannosa: essa è a tutto vantaggio dell'ecosistema forestale, dato che accelera i processi di mineralizzazione. Hylobius pinastri Gyll.: su conifere; questa specie predilige luoghi più umidi rispetto alla specie precedente, e contrariamente al suo nome preferisce l'abete al pino. Magdalis duplicata Germ.:diffuso specialmente su P. sylvestris. Magdalis frontalis Gyll.:presente in Europa soprattutto sul pino silvestre, ma anche su altri pini e su picea; è un fitofago secondario, anche se a volte può diventare primario. Magdalis memnonia Gyll.: segnalato su pino silvestre e pino cembro, in centro e sud Europa; fitofago secondario, colpisce apici e germogli. Magdalis phlegmatica Hbst.: questa specie in associazione con Laspeyresa pactolana (lepidottero tortricide) può portare gli alberi a morte. Magdalis rufa Germ. Magdalis violacea L.: soprattutto su pino silvestre; sotto corteccia nei rami; fitofago secondario. #Othiorrhyncus niger (L.): su pino e abete rosso. #Othiorrhyncus ovatus L.: predilige l'abete e, solo occasionalmente, attacca gli aghi dei giovani pini. #Othiorrhyncus scaber L.: raramente su pino. #Othiorrhyncus singularis L.: polifago su latifoglie e conifere. harcyniae Hrbst.: questa specie predilige l'abete rosso ed è solo citata per il pino silvestre; è un parassita secondario che a volte può comportarsi da primario e, se associato a scolitidi o cerambicidi, può divenire piuttosto pericoloso. #Pissodes notatus Fabr.: attacca qualsiasi specie del genere Pinus purché siano piante già indebolite da avversità anche non manifeste; colpisce esemplari di ogni età, prediligendo però gli individui di 3-15 anni; gli adulti si trovano sui pini da aprile a novembre: essi rodono le cortecce di giovani rami, lasciandovi piccole tracce tondeggianti, destinate a coprirsi in breve di calli cicatriziali a rosetta. Le femmine depongono gruppi di uova in cellette scavate negli strati corticali. Le larve si irradiano nel floema circostante, scavando gallerie che si allargano progressivamente e che terminano, in genere, presso l'inserzione di un palco di rami oppure al colletto, in cellette pupali. Lo sfarfallamento avviene attraverso un foro circolare che il nuovo adulto pratica in maniera netta verso l'esterno. Nell'Europa continentale sembra accertata una generazione annua. #Pissodes pini F.: presente in tutta Europa in pianura e montagna; è un parassita esclusivamente secondario e quindi poco dannoso; colpisce tutti i pini, ma predilige il silvestre. Pissodes piniphilus Herbst.: in tutta Europa su pino silvestre; vive sotto corteccia, spesso insieme a P. notatus; esso tende a comportarsi da primario, mentre il notatus da secondario; può trasmettere fitopatie. Pissodes validirostris Gyll.: presente in tutta Europa, danneggia i coni e i germogli di diverse specie di pini. #Polydrosus atomarius Ol.: polifago, citato anche sui pini. Polydrosus marginatus impar Steph.: polifago, citato anche su pini. Polydrosus mollis Stroem.: polifago, citato anche su pini. Strophosomus capitatus De Geer: su pino erode gli aghi alla base. Strophosomus melanogrammus Forst.: si nutre delle gemme e talora della corteccia tenera.

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Chrysomelidae: Chryptocephalus pini L.: è presente in Italia, su pino silvestre e altri pini; si nutre degli aghi e piega i germogli. Luperus pinicola Duft.: gli adulti, nel periodo estivo, rodono gli aghi terminali. Phaeodon coclearis F.: segnalato su pino silvestre, si nutre di gemme.

Scolytidae: Carphoborus minimus F.: è il più piccolo scolitide dei pini; attacca rami morenti di alberi dove ci sono alte densità di impianto. Cryphalus intermedius Ferr.: diffuso nella zona alpina, segnalato su larice e silvestre; di modesta importanza forestale. Cryphalus piceae Ratz..: citato su Abies, colpisce anche il silvestre; attacca i rami degli alberi più vecchi. Cryphalus saltuarius Weise: su picea e pini spp..; si trova su rami e alberi vecchi, in età di utilizzo; poco importante. Crypturgus cinereus Er.: in tutta Europa su Pinus, Abies, Picea; colpisce alberi deperienti; è specie esclusivamente secondaria, quindi poco importante dal punto di vista forestale. Crypturgus pusillus Er.: su Pinus, Abies, Picea, in tutta Europa; attacca rami deperienti o con corteccia sottile; di modesta importanza forestale. Dendroctonus micans Kug.: presente anche su pino silvestre; è il più grande scolitide europeo; è sempre un parassita secondario. Dryiocoetes autographus Ratz.: su picea e pini in tutta Europa; colpisce piante morenti in zone umide. Gnathotrichus materarius Fitch.: originario del nord America, diffuso in Francia su pino silvestre; scavando nel legno gallerie dritte porta alla morte velocemente gli alberi; sembra che l'attacco avvenga successivamente ad altri scolitidi o buprestidi. Hylastes angustatus Herbst.: colpisce il pino silvestre; si sviluppa su radici di alberi malati; presente in centro e sud Europa. Hylastes ater Payk.: su pino, presente alla base dei tronchi e al colletto di alberi morti o deboli. Hylastes attenuatus Erichs.: su pino, in particolare silvestre e nero; in zone montuose, spesso associato a H. ater, di cui utilizza i fori d'ingresso. Hylastes cunicularius Erichs.: rarissimo su pino. Hylastes linearis Erichs.: su pino silvestre, marittimo e d'aleppo; presente in centro e sud Europa. Hylastes opacus Erichs.: su pini spp.; lavora nelle radici principali e alla base del fusto; 1-2 generazioni all'anno; danneggia impianti giovani. Hylurgops glabratus Zett.: in tutta Europa, su abete rosso, pino cembro e anche pino silvestre; su alberi morti al suolo, in tronchi con alto tenore di umidità. Hylurgops palliatus Gyll.: si trova su tutte le conifere; su alberi malati e rami tagliati; secondario, poco importante dal punto di vista forestale. Hylurgus ligniperda F.: esclusivamente su specie di pino, al centro e sud Europa; colpisce rami e radici di alberi morenti o caduti; di modesta importanza forestale. Ips acuminatus Gyll.: attacca soprattutto il pino silvestre; solo localmente può avere importanza forestale; solitamente parassita secondario, anche se talvolta può attaccare piante sane; presente in Valle d'Aosta talvolta in associazione con Orthomicus erosus; gli adulti sono presenti in aprile- maggio, le larve passano tutto l'inverno all'interno del tronco dove si impupano. Ips amitinus Eichh.: in Europa meridionale e occidentale sopra i 1000 m di altitudine, su abete rosso e su varie specie di pini; è un parassita secondario su piante indebolite o sradicate. Ips cembre Heer: raro su pino silvestre; secondario nell' areale di diffusione del larice, può colpire alberi sani, ma sofferenti per stress idrico. Ips duplicatus Sahlb.: raro sul silvestre; poco frequente in Italia.

62 Ips mannsfeldi Wacktl.: preferibilmente su pino nero, lo si trova anche su pino silvestre; segnalato in Austria e sulle Alpi orientali; è un' ospite secondario di modesta importanza forestale. Ips sexdentatus Boerm.: la principale pianta ospite è il pino silvestre, ma questa specie di scolitide è solitamente poco diffusa e di bassa importanza forestale rispetto ad altre; colpisce preferibilmente dopo colpi di vento, incendi e attacchi di altri insetti; ha fatto la sua comparsa in Valle d'Aosta nel 1995 presso Saint-Nicolas, provocando il successivo abbattimento delle 141 piante aggredite, e nel comune di Valpelline dove ha colpito 40 piante (Vertui e Negro, 1996). Orthomicus erosus Woll.: colpisce i generi Pinus, Abies, Cedrus; attacca alberi malati o morenti delle classi di età più vecchie. Orthomicus laricis F.: attacca preferibilmente il pino silvestre; ospite secondario su alberi malati, deperienti o appena schiantati. Orthomicus longicollis Gyll.: presente in tutta Europa, anche se praticamente ininfluente dal punto di vista forestale. Orthomicus proximus Eichh.: attacca di preferenza il pino silvestre ed è presente in tutta Europa; colpisce i rami caduti o gli alberi morenti con corteccia sottile; ha modesta importanza forestale. Orthomicus suturalis Gyll.: attacca le conifere, è raro. #Pytiogenes bidentatus Herbst.: associato ad altre specie di scolitidi, attacca quasi esclusivamente i rami. Pytiogenes bistridentatus Eich.: presente anche sul pino silvestre nel nord e sud Europa; colpisce gli alberi indeboliti o sofferenti #Pytiogenes chalcographus L.: vive solitamente in associazione con Ips typographus. Pytiogenes quadridens Htg.: si comporta praticamente come il P. bistridentatus. Pytiogenes trepanatus Nord.: presente anche sul pino silvestre nel nord e centro Europa e sulle Alpi; colpisce in particolare le piante deperienti, ma si può trovare anche su piante sane. Pityiokteines curvidens Germ.: attacca tutte le conifere, tra cui il pino silvestre; colpisce preferibilmente piante danneggiate o deperienti, ma anche gli alberi sani, in cui la pressione vascolare sia inferiore al normale: quindi è soprattutto la disidratazione che costituisce il fattore scatenante. Pityiokteines spinidens Rast.: raro sul silvestre. Pityophthorus buysoni Reitt.: presente in Spagna, Pirenei, Corsica, Italia; abbondante su pino nero, ma anche sul pino silvestre; vive nei rami. Pityophthorus carniolicus Wichm.: presente in Austria, Istria, Cecoslovacchia, su pino nero e silvestre; ha poca importanza forestale. Pityophthorus exculptus Ratz.: si trova in centro Europa su abete rosso e pino silvestre (non molto abbondante); scava gallerie raggiungendo il legno profondo; poco importante dal punto di vista forestale. Pityophthorus glabratus Eich.: presente in Europa centrale e meridionale sul genere Pinus e sul larice. Pityophthorus lichtensteini Ratz.: essenzialmente su pino silvestre, su rami sottili, attacca giovani piante; dannoso solo localmente. Pityophthorus pityographus Ratz.: su abete rosso e più raramente sul pino silvestre; è importante negli impianti giovani. Pityophthorus pubescens Marsh.: presente in Europa centrale e meridionale su varie specie di Pinus tra cui il silvestre; attacca solo i rami sottili di diametro inferiore al centimetro. Polygraphus polygraphus L.: in tutta Europa; colpisce i rami e la parte alta del fusto di alberi di età superiore agli 80 anni; è raro su pino. #Tomicus minor Hartig: tipico del pino silvestre, può attaccare anche piante rigogliose; spesso associato al T. piniperda come nel caso di Saint-Denis; gli adulti escono dai ripari inveranli più tardi rispetto al piniperda; ha una sola generazione; attacca di preferenza i rami con corteccia sottile, che si screpola poi in corrisponenza delle gallerie materne; in caso di attacchi massicci la corteccia si stacca in piccoli pezzi; colpisce piante più giovani del T. piniperda.

63 #Tomicus piniperda L.: questa specie predilige il pino silvestre; attacca specialmente le piante mature già sofferenti per altre cause, come è successo a Saint-Denis dove, dopo i danni provocati dalla neve nel 1989, ha causato la morte di numerose piante; questa specie può attaccare anche alberi rigogliosi. Trypodendron lineatum Ol.: adulti assai precoci in primavera, scavano gallerie a gradini in alberi morti o indeboliti; le larve si limitano ad allargare le gallerie materne. Xyleborus dispar F.: polifago su latifoglie presente solo occasionalmente sulle conifere. Xyleborus eurygraphus Ratz.: sul pino silvestre e sul nero in sud e centro Europa; colpisce preferibilmente alberi vecchi e deperienti. Xyleborus saxseseni Ratz.: presente in tutta Europa, polifago, segnalato su 50 specie di latifoglie e molte conifere; colpisce alberi morenti o molto danneggiati. Xyloterus lineatus Olivier: polifago, colpisce preferibilmente le conifere tra cui il pino silvestre; è un parassita secondario su soggetti vecchi e deperienti.

HYMENOPTERA

Xyelidae: Xyela curva Benson: su pino silvestre. Xyela julii Brébisson: in tutta Europa tranne che al sud; associata al pino silvestre; le larve si sviluppano all'interno dei fiori maschili di pino, che si piegano ed emettono polline in anticipo; non è particolarmente dannosa.

Tenthredinidae: Lophyrus pini L.: le larve divorano completamente gli aghi dei pini. Lophyrus rufus Retz.: defogliatore, predilige le piante giovani sui 20 anni, specialmente se deboli e in luoghi un po' aridi e soleggiati.

Siricidae: Sirex juvencus L.: xilofago, si trova su tutte le conifere; la larva penetra nel legno per più di 4 cm e le gallerie sono lunghe al massimo 15 cm; il suo ciclo dura da 2 a 9 (raro) anni. Sirex noctilio F.: xilofago, predilige il genere Pinus, ma è frequente anche sull'abete bianco; il numero di gallerie non esprime il numero di uova deposte; provoca danni soprattutto su impianti artificiali. Urocerus gigas L.: xilofago, predilige piante malate o morte; la larva impiega 2-3 anni per svilupparsi.

Pamphiliidae: #Acantholida erytrocephala L.: defogliatore, presente in Valle d'Aosta; gli adulti compaiono in aprile e in pochi giorni di attività depongono file di uova lungo gli aghi di vari pini, prediligendo gli esemplari di modesto sviluppo e i rami prossimi al suolo; le larve schiudono presto e vivono in gallerie di seta fabbricate tra la vegetazione; in giugno-luglio, ultimato lo sviluppo a spesa delle foglie dell'anno precedente, esse penetrano nel terreno in vicinanza del tronco e vi trascorrono una numerosi mesi fino al momento di impuparsi, generalmente nella primavera successiva; non sono tuttavia rare le diapause di 2 anni, e per questo il ciclo può risultare annuale o biennale. Acantholida hieroglyphica Crist.: attacca specie del genere Pinus; in Valle d'Aosta è sporadica sul pino silvestre; sui germogli dell'anno, le larve sono defogliatrici con un ciclo biologico di 2-3 anni. ##Acantholida posticalis Matsumura: defogliatore; adulti lunghi 10-15 mm; ali ialine, capo e torace neri con disegni gialli molto più ridotti nel maschio; addome bruno, marginalmente e ventralmente giallo-rossastro; gli adulti volano in maggio-giugno; le uova vengono deposte singolarmente sugli aghi dei pini; le larve iniziano la loro attività trofica che prosegue fino alla fine di giugno-inizio di luglio: si portano poi al suolo ove rimangono in una celletta a 5-20 cm di profondità; l'impupamento

64 avviene a fine aprile-inizio maggio del 3° anno e dura 10-12 giorni; danni consistenti.

Diprionidae: #Diprion pini L.: defogliatore; colpisce di preferenza gli esemplari maturi di pino silvestre; le larve gregarie sono attive in due periodi durante la buona stagione: una prima volta in maggio-giugno, a danno di aghi dell'anno precedente (i bozzoli sono tessuti sulla parte aerea delle piante), una seconda in agosto-settembre, a spese di foglie di ultima emissione (i bozzoli sono tessuti tra i residui vegetali alla superficie del suolo); i danni risultano particolarmente gravi nelle pinete costituite su terreni difficili. #Diprion simile Hartig: defogliatore, ha come ospite principale il pino silvestre, ma si può trovare anche su pino mugo, nero e strobo. #Gilpinia socia Klug.: oligofago sul genere Pinus, ma è tra le specie più rare. #Microdiprion pallipes Fallen: oligofago, dannoso per pino silvestre; è stato trovato in Valle d'Aosta su pino cembro. #Neodiprion sertifer Geoffr.: defogliatore; gli adulti compaiono d'autunno su giovani esemplari di pini, nelle cui foglie aciculari depongono uova, anche partenogenetiche, destinate a svernare; alla fine di maggio o ai primi di giugno, le larve scendono nel suolo e si rinchiudono in bozzoletti. Lo sfarfallamento può essere ritardato di uno o più anni per frequenti fenomeni di diapausa.

Dati storici Le notizie circa la presenza di insetti fitofagi di Pinus spp. in Valle d’Aosta sono molto scarse e di non facile reperimento. Negli archivi di Stato rarissimi documenti, a partire dal XVII secolo, in genere ordinanze regie o prefettizie, indicano la presenza di “gatte” o “bigatte”, pelose o non, infestanti i boschi, senza precisare la specie botanica colpita. In qualche caso si capisce trattarsi di processionaria del pino per il riferimento a nidi da asportare ed “abbruciare”. Oltre alle segnalazioni storiche di alcuni autori Cecconi, 1924, Della Beffa, 1961, si fa riferimento alla bibliografia specifica e a dati ottenuti consultando il Bollettino del "Reale Osservatorio di Fitopatologia di Torino", poi "Osservatorio per le malattie delle piante", l'archivio del "Settore Fitosanitario della Regione Piemonte" che ha sostituito l'Osservatorio e l'archivio del "Corpo Forestale della Valle d’Aosta", nonché dati storici presenti in stazioni forestali valdostane. Contrariamente a quanto si possa pensare, specialmente per il periodo 1950-1970, la quantità di dati reperibili presso gli organismi pubblici, preposti alla tutela dei boschi, è veramente esigua e frammentaria, solo in parte spiegata dai ripetuti trasferimenti amministrativi e di collocazione subiti. Solo per gli ultimi decenni esistono segnalazioni più frequenti e particolareggiate, per lo più derivanti da iniziative di singoli e da richieste di interventi da parte di pubbliche amministrazioni, Comuni e Comunità Montane.

La ricostruzione cronologica di attacchi di insetti dannosi ai pini delle diverse specie viene elencata di seguito:

1948-49: Rhyacionia buoliana su pino silvestre a Verres e Morgex (AO). 1955-56: Lymantria monacha anche su pino silvestre a Courmayeur (AO). 1964: Traumatocampa pityocampa su pino silvestre a Pré-St-Didier (AO). 1964-79: Ocnerostoma piniariellum su Pinus cembra in Valle d’Aosta. 1973-2003: Acantholyda posticalis su pino silvestre in Valle d’Aosta. 1974: Traumatocampa pityocampa su pino silvestre sopra Aosta. 1974: Acantholyda erythrocephala su pino silvestre in Valle d’Aosta 1977: Acantholyda erythrocephala su pino cembro in Valle d’Aosta 1984-91: Lymantria monacha anche su pino silvestre in Valle d’Aosta. 1985: Lymantria dispar anche su pino silvestre ad Arvier e Introd (AO). 1990-97: Tomicus piniperda su pino silvestre e pino uncinato in Valle d’Aosta.

65 1990-97: Tomicus minor su pino silvestre e pino unccinato in Valle d’Aosta. 1990-98: Ips typographus anche su pini in Valle d’Aosta. 1994-96: Lymantria monacha anche su pino silvestre a Saint Marcel (AO). 1995: Dioryctria abietella su Pinus excelsa a Quarto (AT). 1995: Ips sexdentatus su pino silvestre a St. Nicholas (AO). 1995: Diprion pini (o simile) su pino silvestre a St. Denis (AO). 1996: Ips acuminatus su pino silvestre in Valle d’Aosta.

Specie di insetti dannosi ai pini e che si ritrovano generalmente ogni anno nelle segnalazioni sono: Cinara pini su pino nero, silvestre, mugo, ecc. Pineus pini su pino silvestre, strobo, excelsa. Pineus strobi su pino strobo. Leucaspis loewi, pini, pusilla su pino silvestre, nero, mugo, excelsa. Petrova resinella su pini. Traumatocampa pityocampa su pino nero, silvestre, strobo, ecc. Ips acuminatus su pino silvestre. Ips sexdentatus su pino silvestre.

Segnalazioni saltuarie in varie province per infestazioni di minor conto su varie specie di pini riguardano: Pseudaulacaspis pentagona Panolis flammea Dioryctria abietella Bupalus piniarius Hyloicus pinastri Dendrolimus pini Thecodiplosis brachyntera Polyphylla fullo Omophlus lepturoides Prionus coriarius Ergates faber Vesperus strepens Rhagium inquisitor Tetropium castaneum Hylotrupes bajulus Acanthocinus aedilis Luperus pinicola Brachyderes incanus Hylobius abietis Otiorrhynchus niger Otiorrhynchus ovatus Otiorrhynchus scaber Otiorrhynchus singularis Pissodes notatus Pissodes pini Polydrosus atomarius Pityogenes bidentatus Pityogenes chalcographus Xyloterus lineatus Ips cembrae Microdiprion pallipes

66 Urocerus gigas Sirex juvencus Gilpinia socia

Risultati e considerazioni sull’attività svolta nel 2007 Gli ultimi sopralluoghi, svolti il 26 aprile e il 17 maggio 2007 hanno posto in evidenza quanto segue:

Area 1 - Bois de Feisouilles (Morgex) E’ discreta la presenza dei due Tomicus piniperda e T. minor, maggiormente al bordo inferiore della parcella. Area 2 - Bois de Vorpeillere (St. Denis) Sono state trovate numerose tracce di T. minor e T. piniperda, circa 10-15/albero. Poiché il fuoco è ripassato marginalmente e vi è una notevole presenza di tronchi abbattuti e non scortecciati in cumuli in prossimità della parcella, si consiglia di svolgere operazioni di esbosco molto più rapidamente. Area 3 - Petit Bruson (St. Denis) Sono state notate molte tracce di T. minor e T. piniperda, ma con una densità non preoccupante.

Area 4 - Rouvere (Challand St. Anselme) E’ stata notata la presenza diffusa di Tomicus sp., ma con una densità non preoccupante.

Tomicus piniperda è considerato dalla letteratura entomologica un parassita secondario, ovvero si moltiplica soltanto in presenza di piante gravemente stressate per fattori primari, quali quelli climatici, meteorologici, incendi, parassiti entomologici e patologici, disturbi fisiologici, inquinamento, ferite estese e ripetute di origine antropica ecc. (Battisti et al., 1994; Battisti, 2004; Ozenda, 1991). Non si può quindi imputare a questa specie l’attuale deperimento del pino silvestre. In passato Tomicus spp. può aver provocato l’indebolimento di alcune delle piante che sono successivamente morte ma la situazione attuale non evidenzia segnali di gradazione in atto. L’azione come vettore di funghi dell’azzurramento del legno non è classificabile come danno avente ripercussioni per la salute della pianta, anche se studi in questo campo sono in progresso. Ovviamente la comparsa di fattori di stress può scatenare pullulazioni di insetti nocivi, in particolare di Tomicus spp., da contenersi tempestivamente con i metodi indicati in letteratura (Schwenke, 1978).

ANALISI PEDOFAUNISTICA

E’ stata completata l’analisi quantitativa dei campioni raccolti nelle diverse località ottenendo l’indice IF, che fornisce informazioni più precise dell’indice QBS, che è soltanto qualitativo. Per l’applicazione dell’indice IF, si devono considerare solo le unità tassonomiche che risiedono nel suolo e non quelle che casualmente sono state ivi rinvenute (come ad esempio, i ditteri alati, i tisanotteri radicicoli, i collemboli francamente epigei, ecc.). A ciascuna forma biologica viene quindi assegnato un punteggio secondo il grado di adattamento morfologico alla vita edafica del taxa in esame, come suggerito da Parisi (2001). Modifiche al criterio di assegnazione dei punteggi proposto da Parisi (2001) riguardano l’assegnazione del massimo valore di 20 per morfotipi particolari strettamente euedafici che non vengono presi in considerazione dall’Autore: ad esempio, Ditteri adulti atteri o microatteri, come alcune specie appartenenti alle famiglie Sciaridae e

67 Cecidomyiidae, che sono caratteristiche per trascorrere quasi l’intero ciclo vitale all’interno del suolo e quindi mostrano opportuni adattamenti morfologico/comportamentali (Frouz et al., 1999); alcuni coleotteri come gli Staphylinidae Leptotyphlinae, caratteristici perchè anoftalmi ed endogei (Ciceroni et al., 1996), ecc. Un’altra differenza nei punteggi, riguarda gli acari Oribatidae che secondo Parisi (2001) sono da considerarsi strettamente euedafici e quindi dovrebbero ottenere il massimo valore di 20: se è vero che spesso si tratta di acari piuttosto sensibili alla distruzione del proprio microhabitat, in quanto caratterizzati da un basso tasso metabolico, una scarsa fitness e un lento sviluppo, molti generi sono invece adattati a vivere in condizioni di forte stress (Behan- Pelletier, 1999); per tal motivo, viene effettuato il loro conteggio al solo scopo di verificare se ci sono taxa sovrabbondanti, che potrebbero indicare situazioni ambientali peculiari, tipiche ad esempio di suoli soggetti a perturbazioni di origine naturale o antropica, come suoli agricoli trattati con pesticidi e fertilizzanti, oppure suoli presenti in aree di demolizione o di miniera (Behan- Pelletier, 1999). In definitiva, nell’ambito dell’applicazione dell’indice IF viene solo considerata la loro presenza/assenza. Una volta riconosciute le differenti unità biologiche, si procede al loro conteggio, rapportato a 0,5 Kg di peso di suolo secco per campione. Quindi per ogni taxa si considera la massima abbondanza rinvenuta nelle 3 repliche del campione e la si moltiplica per il punteggio assegnato al taxon stesso. Per quanto riguarda Araneidae e Formicidae, viene presa in considerazione esclusivamente la loro presenza/assenza. Una volta raccolti i suddetti dati, l’applicazione dell’indice IF segue la seguente formula:

IF = (Ab test/Ab controllo + UB test/ UB controllo)/2

Ove Ab sta a significare la somma delle abbondanze di tutti i taxa analizzati moltiplicate per il punteggio relativo al grado di adattamento alla vita edafica e UB indica il numero totale di Unità Biologiche osservate.

E’ chiaro che più il valore dell’indice IF è vicino a 1 più le differenze nell’artropodofauna fra il sito test e il sito controllo sono lievi. Al contrario, più tale valore si allontana dall’unità, più le differenze sono rimarchevoli. Inoltre, moltiplicando il valore dell’indice IF per 10, si può considerare la seguente semplice scala di valutazione del suolo test:  ≤3.9: suolo profondamente perturbato  4-4.9: suolo molto perturbato  5-5.9: suolo abbastanza perturbato  6-6.9: suolo solo moderatamente perturbato  7-7.9: suolo in condizioni discrete  8-8.9: suolo in buone condizioni  ≥9: suolo in ottime condizioni Dal momento che la valutazione di un determinato edaphon viene fatta esclusivamente rapportando i dati a quelli di un sito controllo, l’indice IF ben si colloca anche in studi che concernono lo studio del grado di rinaturalizzazione di suoli soggetti ad impatto ambientale, come ad esempio nelle coperture di bacini di discarica (Nizzoli et al., 2004).

68 CATEGORIE Località Bois de Località Bois de Località Petit Località Rouvere TASSONOMICHE Feisouilles - Vorpeillere - Bruson - - Challand - DI ARTROPODI Morgex S. Denis S. Denis St.Anselme ACARI ORIBATIDAE 543 2042 338 976 ALTRI ACARI 64 284 297 157 COLLEMBOLA 97 71 203 48 ENTOMOBRYIDAE COLLEMBOLA - 1 - - SMINTHURIDAE COLLEMBOLA 85 93 110 279 ISOTOMIDAE COLLEMBOLA 15 20 304 21 PODURIDAE COLLEMBOLA - - - - NEANURIDAE COLLEMBOLA 23 89 14 35 ONYCHIURIDAE COLLEMBOLA - 2 - 2 NEELIDAE DIPTERA (larve) 7 10 3 15 DIPTERA (adulti) 2 - - 10 COLEOPTERA (adulti) 37 26 25 36 COLEOPTERA (larve) 7 34 10 8 PROTURA 6 67 - - DIPLURA 3 40 - 6 HYMENOPTERA 13 13 8 49 HYMENOPTERA 18 3 10 63 FORMICIDAE PSOCOPTERA - - 4 6 MEGALOPTERA (larve) 63 9 11 47 HEMIPTERA (adulti) 6 2 3 16 HEMIPTERA (larve) 9 10 35 8 THYSANOPTERA 3 8 1 2 PSEUDOSCORPIONIDA 3 9 3 5 CHILOPODA 1 3 1 - DIPLOPODA - 9 3 3 PAUROPODA 52 1 - - ISOPODA 4 5 - 6 SYMPHYLA 3 7 1 162 ARANEAE 3 10 1 5

Tab. 10 - Categorie tassonomiche degli artropodi censiti nei 4 siti valdostani: l’abbondanza relativa di ogni taxon è la massima registrata fra le 3 repliche di campionamento ed è rapportata a 0,5 Kg di suolo secco (i valori sono arrotondati).

69 Dal momento che per l’applicazione dell’indice IF si devono considerare solo le unità tassonomiche che risiedono nel suolo e non quelle che casualmente sono state ivi rinvenute, nella Tab. 11 sono visualizzati i taxa presenti nei suoli valdostani utilizzati per il calcolo dell’indice e, a fianco, il punteggio relativo secondo il grado di adattamento morfologico alla vita edafica.

Località Bois Località CATEGORIE Località Bois Località Petit de Rouvere - Punteggi TASSONOMICHE de Feisouilles Bruson - Vorpeillere - Challand - relativi PER L’INDICE IF - Morgex S. Denis S. Denis St.Anselme COLLEMBOLA 24 89 14 35 20 ONYCHIURIDAE COLLEMBOLA NEELIDAE 0 2 0 2 20 (es. Megalothorax sp.) EUEDAPHIC 1 0 0 10 20 DIPTERA (adulti) EUEDAPHIC 2 6 3 53 20 COLEOPTERA (adulti) PROTURA 6 67 0 0 20 DIPLURA 1 40 0 2 20 EUEDAPHIC 1 0 0 3 20 HYMENOPTERA SYMPHYLA 8 9 1 162 20 PSEUDOSCORPIONIDA 3 9 3 5 20 CHILOPODA 1 3 1 0 20 PAUROPODA 52 8 0 0 20 ISOPODA 4 5 0 6 20 EUEDAPHIC 0 7 1 3 20 DIPLOPODA EMIEDAPHIC 0 5 2 0 10 DIPLOPODA MEGALOPTERA (larve) 63 9 11 47 10 HYMENOPTERA (larve) 0 0 1 0 10 COLEOPTERA (larve) 15 40 10 8 10 COLLEMBOLA 99 93 110 279 10 ISOTOMIDAE COLLEMBOLA 19 34 304 21 10 PODURIDAE COLLEMBOLA 0 0 1 2 10 NEANURIDAE DIPTERA (larve) 15 10 3 15 10 ACARI ORIBATIDAE* 1 1 1 1 1/0* HYMENOPTERA 1 0 1 1 1/0* FORMICIDAE* ARANEIDAE* 1 0 1 1 1/0*

Tab. 11 - Categorie tassonomiche degli artropodi censiti nei 4 siti valdostani e utili per il calcolo dell’indice IF. L’abbondanza relativa di ogni taxon è la massima registrata fra le 3 repliche di campionamento ed è rapportata a 0,5 Kg di suolo secco (i valori sono arrotondati).

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Per gli Acari Oribatidae, gli Hymenoptera Formicidae e gli Araneidae viene considerata esclusivamente la loro presenza/assenza (1/0). Il numero di unità biologiche e l’abbondanza dei diversi taxa osservati nei campioni di suolo piemontesi e valdostani sono sintetizzati in Tab. 12.

Challand Morgex S.Denis I S. Denis II St.Anselme

ABBONDANZE 4170 6810 4850 9320 UNITA’ BIOLOGICHE 19 18 17 19

Tab. 12 – Valori di abbondanze e numero di unità biologiche utilizzati nel calcolo dell’indice IF

Considerazioni Confrontando le località valdostane con quelle piemontesi inserite nel progetto Interreg appare chiaro che la località valdostana che più si avvicina ai siti piemontesi controllo di Borgo Ticino, Toceno e Trasquera è Challand St. Anselme. Infatti, i valori dell’indice IF sono vicini all’unità (rispettivamente 0,97, 1,04 e 1,12), per cui siamo in presenza di una fauna assolutamente confrontabile con i siti controllo e quindi ricca di organismi, fra cui molti con un elevato grado di adattamento alla vita edafica. Infatti, in tale località sono stati conteggiati numerosi esemplari di Collembola Onychiuridae (35), di Diptera adulti euedafici (10), di Coleoptera euedafici (53) e oltre 150 Symphyla (Tab.1). Inoltre, sono stati osservati anche altri gruppi caratteristici di suoli non soggetti ad azioni di disturbo presenti, oltretutto, in buon numero: 5 Pseudoscorpionida, 3 Diplopoda con alto grado di adattamento edafico, 6 Crustacea Isopoda, 3 adulti di Hymenoptera euedafici, 2 Diplura e 2 Collembola Neelidae appartenenti al gen. Megalothorax che, nei suoli piemontesi, mancano solo in località Scarliccio. A questo punto è bene ricordare che l’indice QBS attribuiva a Challand St. Anselme il valore di 200 e lo assegnava alla classe di qualità 5, la penultima in ordine di qualità. Questa assegnazione era dovuta sostanzialmente al fatto che in questa località non sono stati campionati Protura e Pauropoda, il cui valore EMI è di 20 ciascuno; questo determina il non superamento della soglia di 200 per l’indice QBS e tale soglia divide nettamente le due classi di qualità 5 e 6. Anche in questo caso particolare, non si può non notare che un’analisi più dettagliata della pedofauna che tenga presente anche le quantità dei diversi taxa pone meglio in evidenza la “ricchezza” del suolo di Challand St. Anselme. Anche il suolo di S. Denis (Località Bois de Vorpeillere) appare in buone condizioni: i confronti con i 3 controlli piemontesi restituiscono valori alti, superiori allo 0,8, indici di suoli la cui pedofauna appare anche in questi casi ricca e non soggetta a particolari azioni di disturbo. A S. Denis sono presenti moltissimi Onychiuridae (89), Protura (67) e Diplura (40) e sono stati pure rinvenuti numerosi altri gruppi strettamente legati alla vita nel suolo (Tab.1). Meno buoni paiono invece i campioni delle due località di Bois de Feisouilles (Morgex) e Petit Bruson. La prima presenta dei valori che rientrano in un range che va da 7 a 7,9, valori caratteristici di suoli solo in discrete condizioni: la pedofauna ivi insediata presenta sì elementi ben adattati, ma, a parte Onychiuridae e Pauropoda, essi sono in numero generalmente scarso (1 solo dittero, 1 solo dipluro, 1 solo imenottero, 2 soli coleotteri, ecc., Tab.1). Tutto ciò determina un abbassamento del valore dell’indice IF e una conseguente classificazione di tale suolo come suolo di discreta qualità. Da ciò si potrebbe dedurre che la comunità ivi insediatasi potrebbe essere stata soggetta in passato a fenomeni di leggero disturbo determinando la riduzione numerica di alcuni taxa particolarmente sensibili. E’ anche vero che poche sono le unità sistematiche euedafiche non rinvenute (mancano

71 esclusivamente Collemboli del gen. Megalothorax e Diplopodi euedafici) e dunque questo potrebbe far ipotizzare che la artropodofauna sia in qualche modo “in ripresa”, tentando una ricolonizzazione dell’habitat. Tuttavia, in mancanza di dati storici sulla situazione ambientale di tale località, questa ipotesi non può essere avvalorata. Il suolo di Petit Bruson, invece, pur rientrando nel medesimo range di 7-7,9, presenta un numero di parecchio inferiore di taxa euedafici (5 su un totale di 13; Tab.2). Quindi, oltre a presentare una generale scarsità numerica di organismi, si assiste anche ad una riduzione di unità biologiche. Questo potrebbe essere indice di un’azione di disturbo – sempre comunque non eccessivo – che agisce probabilmente anche tuttora sulla comunità, non permettendo la vita e il proliferare di determinati organismi. L’applicazione dell’indice QBS ai suoli delle 4 stazioni di campionamento valdostane porta a concludere che per quei siti non sembrano esistere particolari situazioni di disturbo a carico delle comunità edafiche ivi insediate. Tuttavia, considerando anche le abbondanze delle diverse unità biologiche, la località valdostana che presenta una fauna del tutto confrontabile con i siti controllo e quindi ricca di organismi, fra cui molti con un elevato grado di adattamento alla vita edafica, appare Challand - St.Anselme. Reti trofiche del suolo così ben articolate possono contribuire alla realizzazione di un equilibrato apporto di nutrienti per le comunità vegetali e in tali condizioni, dunque, le foreste di P. sylvestris non avrebbero ragione di stress particolari. Una situazione analoga sembra essere quella di S.Denis che, pur non raggiungendo l’eccellenza di Challand - St.Anselme, presenta una pedofauna comunque ben differenziata ed equilibrata, ricca di organismi molto sensibili ad alterazioni di varia origine. Invece, i suoli di Bois de Feisouilles (Morgex) e di Petit Bruson appaiono solo di discreta qualità: la comunità di microartropodi insediatasi nella prima stazione potrebbe essere stata soggetta in passato a fenomeni di leggero disturbo che possono aver agito determinando la riduzione numerica di alcuni taxa particolarmente sensibili; l’artropodofauna sembra comunque in qualche modo “in ripresa”, tentando una ricolonizzazione dell’habitat. E’ chiaro che in mancanza di dati storici sulla situazione ambientale di Bois de Feisouilles (Morgex), questa ipotesi non può essere avvalorata. La comunità edafica di Petit Bruson, invece, oltre a presentare una generale scarsità numerica di organismi, evidenzia pure una riduzione di unità biologiche. Questo potrebbe essere indice di un’azione di disturbo – sempre comunque non eccessivo – che sta agendo probabilmente anche tuttora sulla comunità, non permettendo la vita e il proliferare di determinati organismi.

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73 B6: Relazioni clima-accrescimento e dinamiche competitive

Analisi climatiche

Il Pino silvestre è specie indubbiamente plastica riguardo alle caratteristiche climatiche, potendo sopravvivere in un intervallo di estremi termici compreso tra -40°C (invernale) e +35°C (estiva) e con precipitazioni medie annue comprese tra 500 e 2000 mm. Se si eccettuano gli estremi invernali, l’areale di distribuzione del Pino silvestre nelle Alpi occidentali copre la totalità di tale range climatico, dai fondivalle caldi delle vallate endalpiche al distretto insubrico dove cadono le precipitazioni più abbondanti. Nella regione alpina le temperature medie decrescono di 0.56 gradi per 100 m di quota, mentre la precipitazione tende ad aumentare con la quota (sebbene influenzata dalla distribuzione locale di aree a maggiore o minore continentalità). Il regime climatico del Piemonte appenninico e delle vallate interne è caratterizzato da un minimo estivo delle precipitazioni (regime pluviometrico sublitoraneo), mentre le regioni mesalpiche ed esalpiche della fascia montana sono interessate da un minimo invernale e un massimo autunnale (regime subalpino o sub continentale a seconda delle stazioni). Il gradiente delle precipitazioni nelle valli interne diminuisce da est ad ovest a causa della maggiore continentalità indotta dalle masse montuose.

1

1 3 2 2

4

3

4

5

5

Figura 1 - Precipitazione media annua nella regione alpina occidentale per il periodo 1971-1990 (fonte: Schwarb et al., 2001) e termoudogrammi di cinque località rappresentative dei regimi climatici presenti nell'areale di distribuzione della specie. 1- Druogno (VB), 2- Varallo Pombia (NO), 3- St.Denis (AO), 4- Salbertrand (TO), 5- Somano (CN)

74 Se da un lato le differenze in termini di temperature medie mensili sono trascurabili, non così si può dire per le precipitazioni. Le condizioni climatiche medie degli ultimi 30 anni sono ben entro i limiti per la sopravvivenza della specie, ma i diversi regimi pluviometrici sono in grado di influenzare il bilancio idrico dei siti. L’umidità disponibile, interagendo con le caratteristiche fisico-chimiche del suolo e a seconda della richiesta da parte del soprassuolo, esercita i suoi effetti sulla morfologia, la fisiologia e la vitalità degli alberi, non solo in valore assoluto ma soprattutto nel suo variare stagionale e interannuale.

In particolare nelle vallate continentali, le precipitazioni risultano determinanti per l’accrescimento delle pinete. La maggiore influenza della precipitazione rispetto alla temperatura appare evidente confrontando le curve di accrescimento medie di siti più o meno continentali e quelle associate a quote più o meno elevate. Alle quote inferiori, dove a causa del gradiente fisiografico le precipitazioni tendono ad essere più modeste, l’accrescimento è limitato sebbene la temperatura sia più favorevole; al contrario, le pinete delle quote superiori (soprattutto se in età matura) beneficiano di un bilancio idrico più favorevole, mentre l’accrescimento non è limitato dalle temperature più fredde.

Figura 29 - Indice di disponibilità idrica in stazioni deperienti e di controllo (in basso), annuale e primaverile (maggio-giugno). La maggiore o minore disponibilità idrica dei siti è correlata all’accrescimento longitudinale (curva ipsometrica media, a destra). Poiché l’accrescimento dipende più dalla disponibilità idrica che dal valore assoluto della precipitazione, è stato elaborato un indice di siccità mediante la differenza tra precipitazione totale e evapotraspirazione potenziale secondo Thorntwaite

75 Per lo studio delle relazioni clima-accrescimento è indispensabile avere una conoscenza approfondita dei regimi climatici nelle aree di studio, sia a breve che a medio periodo. A tale scopo, in ciascuna area di saggio è stato collocato un misuratore automatico (logger) di temperatura ed umidità relativa. I misuratori, adeguatamente schermati contro lo splash-down e l’irradizione solare diretta, sono posti sotto il piano delle chiome, su alberi stabili ad un’altezza di 2.5 m dal suolo ed in esposizione Nord. Il rilevatore misura la temperatura esterna (°C) e l’umidità relativa percentuale ad intervalli di 16 minuti. Nelle vicinanze di ogni area di saggio è stato inoltre installato un pluviometro elettronico, collocato su terreno scoperto e in modo da ridurre al minimo le influenze di eventuali manufatti vicini nei confronti dell’intercettazione della precipitazione. Lo strumento è in grado di rilevare ogni evento piovoso di entità superiore a 0.2 mm, ma non le precipitazioni nevose.

I dati climatici sono stati raccolti e i trend analizzati tramite apposito software (BoxCar Pro 4.3). I parametri da indagare sono stati: temperature medie (inverno, primavera, estate, autunno), numero di giorni al di sopra di determinate soglie termiche, precipitazioni, indici di siccità. Questi dati sono stati inoltre utilizzati per le analisi delle dinamiche clima-albero-crescita e clima-mortalità, e per valutare l’influenza dei parametri climatici e meteorologici sulla biologia e sulla dinamica di popolazione dei funghi e degli insetti minatori del pino.

Per quanto riguarda invece le serie climatiche di lungo periodo, utili anche alla definizione dei regimi storici di precipitazioni e temperature e all’analisi delle dinamiche di deperimento dovute ad agenti biotici, si è provveduto alla raccolta delle serie meteorologiche disponibili in prossimità delle aree di studio e alla loro elaborazione e interpolazione statistica.

Figura 30 – Serie climatiche disponibili sul territorio regionale.

76 In ogni popolamento (A2, 12 popolamenti) sono state quantificate le relazioni clima-accrescimento utilizzando metodi dendroclimatologici standard. È stato utilizzato un software dedicato (RESIME, Guiot unpub.) in grado di stimare la più adeguata serie climatica in relazione all'altitudine, latitudine e longitudine del sito. In ogni area 2 carote sono state prelevate da 15-20 alberi dominanti. Nel laboratorio le carote saranno quindi fissate su supporti legnosi e preparate per la misura mediante l’uso di bisturi o di successivi passaggi di carta abrasiva, fino ad una risoluzione superficiale ottimale per il conteggio e la misura degli anelli annuali. Le serie dendrocronologiche sono state indicizzate e sottoposte a datazione incrociata. L’analisi delle funzioni di risposta (lineari e non lineari) ha consentito una migliore differenziazione della sensibilità al clima nelle diverse aree durante gli ultimi 60-70 anni.

Le ricerche effettuate mostrano una maggiore sensibilità della specie alle piogge primaverili, più accentuata nelle zone continentali e mesalpiche rispetto a quelle esalpiche; si ritiene che, in siti soggetti a fluttuazione di falda, il livello idrico (associato alla precipitazione) sia il principale determinante dell’accrescimento radiale. Studi simili hanno inoltre sottolineato l’associazione positiva tra disponibilità idrica in maggio e novembre e accrescimento radiale dell’anno successivo.

0.5 1846-1919 0.4 0.3 0.2 0.1 0.0 -0.1 PSET PDIC PFEB

-0.2 PGIU POTT PAPR PLUG PGEN PAGO PNOV PMAR -0.3 PMAG -0.4 -0.5

Oulx Salbertrand Trasquera Brusson

0.5 1919-1997 0.4 0.3 0.2 0.1 0.0 -0.1 PSET PDIC PFEB PGIU

-0.2 POTT PAPR PLUG PGEN PAGO PNOV PMAR -0.3 PMAG -0.4 -0.5

Oulx Salbertrand Trasquera Brusson

Figura 2 - Correlazione tra incremento diametrico medio (347 individui) e precipitazione media mensile (annuale e primaverile, media mobile con 5 anni) a Morgex (a sinistra); relazione clima-accrescimento calcolata mediante funzioni di risposta alla precipitazione mensile per siti selezionati (a destra, coefficiente di correlazione secondo Pearson)

Gli effetti fisiologici del deficit idrico si possono riassumere in quattro categorie:

1. Danni al comparto radicale e alterazione dell’assorbimento di acqua e nutrienti 2. Danni fogliari e alterazioni nell’assimilazione e del metabolismo del carbonio e dell’azoto 3. Disfunzioni vascolari (embolia xilematica) 4. Diminuzione immediata o differita della vitalità e della sopravvivenza

77 Lo stress idrico influenza gli accrescimenti in modo diretto, riducendo il turgore delle cellule e interferendo con il metabolismo e la mitosi cellulare, e indirettamente rallentando la sintesi dei carboidrati e la loro allocazione al cambio. Inoltre, una risposta frequente è la diminuzione della respirazione radicale, parte del declino complessivo dell’assimilazione e del metabolismo del carbonio associato al rallentamento della crescita. L'importanza delle precipitazioni primaverili può essere attribuita, oltre che all’influenza sull’attività cambiale, anche ad un effetto indiretto sull'allungamento degli aghi e dei getti. A sua volta, una minore superficie fogliare riduce la quantità di fotosintati disponibili per il metabolismo dell’accrescimento.

Poiché l’attivazione della crescita radicale può precedere quella epigea di diverse settimane, un severo deficit idrico in primavera può inibire la crescita delle radici fini e danneggiare le micorrize ad esse associate negli strati superiori del suolo. A sua volta, la contrazione del sistema radicale riduce l’assimilazione di acqua e nutrienti, conducendo l’albero ad un maggiore stress. La necessità di assicurare un adeguato rifornimento idrico durante un periodo secco può causare una maggiore allocazione del carbonio alle radici fini, spiegando così la riduzione in crescita radiale conseguente alla siccità.

Altri effetti della carenza idrica includono il disseccamento dei cimali con conseguenti disordini della crescita, la filloptosi precoce e la depressione della produzione di seme. Il deficit idrico estivo può avere severe conseguenze anche a carico della rinnovazione; in stazioni estreme, là dove le condizioni di luce sono favorevoli alla germinazione e all’accrescimento, non lo è in genere il bilancio idrico (ad esempio in radure su suolo minerale), e viceversa (sotto copertura, dove l’illuminazione è insufficiente pur in presenza di una disponibilità idrica adeguata). Nei siti più aridi la mortalità dei semenzali allo scoperto può essere del 100% durante la prima stagione. Qui la germinazione è possibile saltuariamente, in annate eccezionalmente favorevoli e con un’estate umida; la germinazione è più facile sotto copertura arborea o arbustiva, dove gli estremi di aridità sono mitigati.

In genere, l’effetto della siccità sulla vitalità del pino dipende dalla provenienza, dall’età, dalle caratteristiche stazionali, dall’epoca dell’anno e dalla durata della carenza idrica. Gli individui sviluppatisi in stazioni umide sono più sensibili di quelli di siti xerici; siccità prolungate esercitano un impatto più grave sui semenzali che sugli adulti, che possono contare su un apparato radicale più sviluppato ed atto ad approvvigionarsi in profondità (qualora il suolo lo permetta). Alcune ricerche hanno tuttavia accertato una maggiore sensibilità di alberi maturi (150 anni) allo stress idrico, che può essere spiegata da una minore capacità di adattarsi alle fluttuazioni di falda, o ad una richiesta idrica che aumenta con l'età.

Sebbene la relazione tra variabili climatiche e accrescimento radiale non mostri un'influenza significativa delle temperature estive, un calore eccessivo e una forte irradiazione possono alterare il bilancio idrico aumentando l’evapotraspirazione. Lo stesso effetto si verifica qualora prevalgano venti caldi e secchi durante la primavera.

78 Al contrario del pino silvestre, la roverella si è evoluta in ambiente sub-mediterraneo, sviluppando adattamenti morfologici e funzionali per tollerare il deficit idrico (basso potenziale idrico per la chiusura degli stomi, regolazione osmotica efficiente, foglie xeromorfiche ed un apparato radicale profondo). Ricerche sull’accrescimento intra-annuale della roverella in siti xerici hanno dimostrato che l’accrescimento della roverella risponde alla disponibilità idrica nei mesi autunnali (settembre- novembre) dell’anno precedente e all’inizio della primavera dell’anno in corso (marzo). In altre parole, la specie inizia accrescimento e la produzione di tessuti conduttori assai più precocemente rispetto al pino. La strategia di adattamento al deficit idrico si completa entrando in fase di riposo durante i mesi estivi (luglio), mese in cui invece il pino è ancora in fase di crescita attiva. Come è tipico delle specie mediterranee, le roverelle concentrano dunque la loro attività nei mesi più favorevoli, riducendo in estate il pericolo di cavitazione dei vasi xilematici (a cui invece il pino è più sensibile).

Figura 32 - Sopra, risposta dell'accrescimento alla disponibilità idrica mensile (da giugno dell’anno precedente a settembre di quello in corso) per pino silvestre e roverella nel Vallese; è indicata la percentuale di cronologie con coefficiente di correlazione significativo (p <0.05). I mesi cerchiati indicano differenze significative tra le due specie (da Weber, 2005). Sotto, accrescimento diametrico intra-annuale di pino silvestre e roverella (quattro individui) nel Vallese nell’anno 2003; l’apertura delle gemme (budburst)

Lo stress idrico agisce come agente predisponente di stress, interagendo con i processi fisiologici sopra dettagliati fino ad indebolire la resistenza dell’individuo a fattori di stress scatenanti o finali. Come per gli altri fattori predisponenti, l’azione dello stress idrico si prolunga e si aggrava nel tempo. Nel pino silvestre, specie ad aghi persistenti, la perdita di tessuto fotosintetico dovuta alla defogliazione da stress idrico influenza anche l’accrescimento dell’anno successivo; se la siccità si prolunga negli anni, la probabilità di sopravvivenza dell’individuo risulta fortemente ridotta. Per questa ragione, l’azione predisponente del deficit idrico come fattore di stress è più evidente quando si susseguono annate siccitose, che amplificano e rendono irreversibili gli effetti sopra descritti. Nel contesto della teoria sul decline-disease è interessante notare come singole annate di stress idrico estremo abbiano un effetto sugli accrescimenti meno durevole che non serie di annate mediamente secche ma consecutive.

79 Figura 33 - Relazione tra disponibilità idrica e grado di defogliazione. A sinistra, variazione relativa nelle precipitazioni (da agosto a luglio) e nella trasparenza media delle chiome in pino silvestre (39 individui) e latifoglie (34) a Visp (Vallese) nel periodo 1997-2002 (da Rebetez e Dobbertin, 2004); a destra, andamento dell’indice di aridità P-PET dell’estate precedente (giugno-luglio) e della trasparenza media delle chiome in due siti valdostani nel periodo 2003-2006 (questa ricerca)

Figura 34 – Probabilità annuale di mortalità annuale a Visp (Vallese) e indice di aridità (P-PET) negli ultimi 150 anni (da Bigler et al., 2006)

Figura 35 - Indice di siccità (differenza tra precipitazione annua ed

evapotraspirazione potenziale secondo Thorntwaite) e cronologia media del sito di

Visp (Vallese) per il pino silvestre (linea scura) e la roverella (linea chiara), ricostruita mediante analisi dendrocronologica (in basso il numero di campioni per anno di insediamento). L’area ombreggiata corrisponde a risultati non mostrati qui (da Eilmann et al., 2006)

80 Come si è visto, sono gli eventi estremi ad avere un’importanza cruciale come cause predisponenti del deperimento, più che non le condizioni climatiche medie di un sito. Siccità intense e ripetute sono state identificate da numerosi studi come la causa predisponente (e talvolta scatenante) di diversi episodi di declino di specie forestali in Europa e nel mondo.

L’ IPCC (Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti climatici) ha indicato che, a livello globale, undici degli ultimi dodici anni (1995–2006) sono stati tra gli anni più caldi che hanno registrato un record significativo delle temperature sulla superficie terrestre (dal 1850). L’anno 2003, in particolare, è stato caratterizzato da un’anomalia termica particolarmente intensa: le alte temperature e le precipitazioni ridotte già dalla primavera hanno causato una siccità pronunciata in tutta l’Europa centro-meridionale.

La tendenza del clima globale al riscaldamento e all’aumento della variabilità delle precipitazioni annuali si manifesta accentuata nell’area alpina. Le ricerche effettuate in questo ambito forniscono risultati contrastanti in dipendenza dagli indici e dal periodo di riferimento utilizzato; tuttavia, la tendenza all’aumento delle temperature medie e di quelle estreme è chiara, e l’ondata di calore eccezionale dell’estate 2003 ha dimostrato che tali eventi, non necessariamente più frequenti, si manifestano tuttavia con crescente intensità.

L’andamento lineare del surriscaldamento in Italia negli ultimi 50 anni (0.13°C ± 0.03°C a decennio) è raddoppiato rispetto a 100 anni. L’aumento complessivo delle temperature dal 1850– 1899 al 2001 2005 è di 0.76°C (± 0.19°C). Dal 1930, sia al centro che al sud Italia, oltre agli aumenti delle temperature, si è registrata una progressiva riduzione delle precipitazioni e, di conseguenza, un aumento dell’aridità. L’andamento delle temperature su scala nazionale è inversamente proporzionale a quello delle precipitazioni; la riduzione delle giornate piovose in tutto il territorio nazionale (circa il 14% sia al nord che al sud) è statisticamente significativa, con maggiori riduzioni nel periodo invernale. È stato altresì osservato un aumento dell’intensità delle precipitazioni sia nelle regioni settentrionali che in quelle meridionali; la stessa cosa si verifica durante l’estate anche nelle aree con una diminuzione delle precipitazioni medie, come l’Europa centrale e le regioni del Mediterraneo. Al contrario, la persistenza di periodi di siccità aumenta nelle regioni settentrionali in inverno e in quelle meridionali in estate.

Il clima delle regioni alpine è caratterizzato da caratteristici cicli giornalieri e stagionali e da un’elevata variabilità a tutte le scale, accentuata dalle differenze locali di quota, esposizione e pendenza. La regione alpine è stata inclusa da Schär et al. (2004) tra quelle dove è maggiore la probabilità che il clima sia caratterizzato in futuro da un’accentuata variabilità, e quindi da una frequenza più alta di estremi climatici.

Nell’area di studio, l’aumento recente delle temperature non è stato uniforme durante l’anno, ma ha riguardato specialmente quelle primaverili; anche le precipitazioni, che non mostrano una tendenza interannuale significativamente superiore alla variabilità stocastica, variano tuttavia la loro distribuzione stagionale, con una tendenza di lungo periodo alla diminuzione di quelle del periodo primaverile. Il fenomeno riguarda indifferentemente tutte le regioni climatiche dell’area di studio, da quelle più continentali ai settori alpini esterni. L’effetto combinato dell’aumento di temperatura e della variazione del regime pluviometrico risulta in una diminuzione sostenuta della disponibilità idrica in anni siccitosi, sebbene dai dati disponibili non si evidenzino incrementi nella frequenza delle annate anomale.

81 Figura 36 – A sinistra, temperatura media dell'emisfero settentrionale per il periodo 1000-1999 ricostruita da archivi storici e biologici (blu) e dati strumentali (rosso), media mobile ed errore standard (in grigio); fonte: IPCC. A destra, media mobile (31 anni) delle temperature e precipitazioni medie annue per il periodo 1500-2000 nell’emisfero settentrionale (punto- linea), l’Europa (tratteggio) e la regione alpina (punti, linea continua); le anomalie sono calcolate in riferimento al periodo 1961-1990 (da Casty et al., 2005)

Figura 37 - A sinistra, l'aumento delle temperature medie e massime primaverili (maggio-giugno) è più pronunciato di quello delle temperature estive (luglio-agosto). Stazioni di rilevamento di Morgex e Courmayeur (AO), periodo 1966-2006. A destra, tendenza all’aumento del numero di giornate estive (temperatura massima >27.5°C) a Morgex (indicatori neri), St. Denis (verde) e Challand S.A. (azzurri) negli ultimi 10 anni

82

Figura 38 - Indice di aridità di Palmer del mese di luglio negli ultimi 200 anni (valori annuali, andamento lineare e media mobile ventennale), ricostruito per la stazione di St.Denis (AO) (fonte: Mitchell et al., 2003)

Figura 39 - A sinistra, durata media degli eventi di siccità estrema (Palmer Drought Severity Index <4) in Europa, 1901- 1999 (da Lloyd-Hughes e Saunders, 2002). A destra, numero di anni siccitosi (self-calibrated PDSI <0) per decennio negli ultimi 200 anni, ricostruzione per il sito di St. Denis (fonte: Mitchell et al., 2003)

In futuro, gli effetti combinati delle temperature più calde associate alle precipitazioni estive medie ridotte, potrebbero favorire il verificarsi di ondate di calore e siccità. La riduzione delle precipitazioni medie associata agli aumenti termici invernali (che, secondo alcuni scenari, possono essere ancora più marcati di quelli estivi) può inoltre provocare una diminuzione della stagione nelle nevi e della loro intensità.

Gli effetti del cambiamento climatico sulla vegetazione, e sulla pineta in particolare, si esercitano sia a scala individuale, mediante alterazioni fenologiche e fisiologiche, che a carico della specie nel suo insieme, con conseguenze a carico della struttura dei popolamenti, del potenziale di rinnovazione e della distribuzione geografica. Gli ecotoni come il limite degli alberi e le aree di

83 contatto tra una fascia vegetazionale all’altra (quale il caso delle pinete di bassa quota) sono considerate le più sensibili al cambiamento.

Nel corso del XXI secolo la temperature media globale aumenterà probabilmente di 2-4.5 °C; l’areale del pino silvestre al suo estremo meridionale potrebbe essere interessato nel medio termine da aumenti della temperatura media annua di 2-3 °C (soprattutto nel periodo invernale) che ne limiteranno l’accrescimento a causa delle limitazioni al bilancio idrico. I fattori morfologici ed edafici contribuiranno ancora ad una parte significativa della variabilità locale; in generale, un più precoce scioglimento delle nevi e l’anticipato instaurarsi dell’aridità estiva ridurrà la disponibilità idrica proprio durante il periodo vegetativo. La risposta dell’accrescimento alle precipitazioni evidenzia già una sensibilità maggiore del pino silvestre alla disponibilità idrica dei mesi estivi negli ultimi 90 anni.

Figura 40 – A sinistra, range del riscaldamento medio globale fino all'anno 2100 secondo gli scenari delineati da IPCC, 2007. A destra, conseguenze dello scenario A2 (emissioni invariate) a carico delle temperature e delle precipitazioni stagionali globali ed europee a 30 e a 100 anni (da Bugmann, 1997)

I cambiamenti climatici esercitano i loro effetti negativi in particolare nelle aree già sensibili a causa della minore precipitazione annua, aggravando ulteriormente il bilancio idrico e manifestandosi sia come causa predisponente del deperimento, mediante l’indebolimento generalizzato degli individui colpiti (sia dominanti che dominati) che risultano più esposti a stress endogeni (competizione per la luce, per i nutrienti e soprattutto per la limitata acqua a disposizione, anche con lo strato arbustivo ed erbaceo) ed esogeni (patogeni di debolezza, parassiti secondari, vischio). Qualora lo stress idrico sia particolarmente severo e le temperature massime estive raggiungano valori superiori ai 35 °C, e ancor più se tali fenomeni fossero prolungati nella stagione o si ripetessero in annate consecutive, gli agenti climatici sarebbero da considerare fattori di stress acuti (scatenanti) oltre che predisponenti. Nelle aree a bilancio idrico favorevole, al contrario, l’aumento delle temperature e dell’intensità delle precipitazioni potrebbero avere un influenza favorevole sulla vitalità e gli accrescimenti del pino silvestre, a meno che non siano presi in considerazione effetti potenzialmente negativi a lungo termine quali quelli sulle caratteristiche del suolo, la stabilità meccanica dei fusti e la pressione di inoculo degli agenti fungini.

Se da un lato individui adulti e affermati potranno sopravvivere diversi anni nelle mutate condizioni climatiche subendo solamente alterazioni di crescita, l’insediamento e lo sviluppo della rinnovazione può risultare invece assai più problematico, a causa della maggiore sensibilità dei

84 semenzali ai cambiamenti del clima. Nelle valli continentali aride di bassa quota, gli scenari di riscaldamento e di aumento della variabilità delle precipitazioni potrebbero rendere difficile la rinnovazione naturale delle pinete. Si prevede così, a medio termine, uno spostamento verso l’alto sia delle pinete, in dipendenza del gradiente fisiografico delle precipitazioni e delle temperature, che della fascia vegetazionale termofila, meglio adattata a tollerare condizioni di stress idrico ripetuto (specialmente su substrato calcareo).

L’evoluzione di queste comunità dipenderà interamente dall’entità dei mutamenti climatici e dalla tolleranza alla siccità delle specie coinvolte. La roverella può beneficiare da un lato di una migliore disponibilità idrica autunnale e primaverile; il pino silvestre può approfittare delle precipitazioni ancora disponibili a maggio (all’inizio del suo periodo vegetativo), ma subirà invece le siccità più frequenti e prolungate dei mesi estivi, con i loro effetti sull’accrescimento dell’anno in corso e di quello successivo. Qualora lo stress climatico si riveli particolarmente intenso, tuttavia, anche la roverella può andare incontro a fenomeni di deperimento, lasciando il posto a una vegetazione steppica.

Infine, i mutamenti climatici descritti possono concorrere a modificare l’intensità e la frequenza di altri disturbi naturali, sia abiotici (tempeste, fulmini) che biotici, contribuendo ad accentuare o mitigare secondo i casi la severità del deperimento, e alterando la disponibilità della risorsa-pineta e le sue possibilità di gestione.

85 Analisi della competizione

La linea di massima densità descritta dalla legge dell’autodiradamento rappresenta la massima combinazione possibile di dimensioni medie e densità per popolamenti di una data specie (Drew e Flewelling, 1977). La validità di tale relazione è stata dimostrata per molte comunità erbacee ed arboree (White, 1980); la vicinanza di un popolamento alla linea limite è indice dell’intensità della competizione intraspecifica nel popolamento osservato (Dean e Baldwin, 1996).

Il rapporto tra il numero di individui per unità di superficie osservato in ciascun popolamento e il massimo teorico previsto dal principio dell’autodiradamento è la base per la formulazione di diversi indici di densità relativa (Stout e Larson, 1988; Long et al., 2004). Gli indici di densità relativa possono descrivere efficacemente le dinamiche evolutive dei popolamenti forestali, essendo in grado di fornire stime sintetiche della competizione intraspecifica e delle variabili strutturali da essa dipendenti (mortalità, copertura, vitalità della chioma, qualità del fusto, incremento, possibilità di rinnovazione del popolamento o di successione da parte di altre specie).

Secondo Reineke (1933), quando le dimensioni medie degli individui sono espresse attraverso il diametro medio del popolamento, la retta di autodiradamento per boschi puri, coetanei e non disturbati di qualsiasi specie assume una pendenza di –1,605. Lo Stand Density Index (SDI) proposto da Reineke (1933) esprime l’ipotetica densità assunta da un popolamento forestale ad un diametro medio di 25 cm considerando costante l’intensità della competizione intraspecifica, assumendo cioè uno sviluppo ideale del popolamento parallelo alla linea di autodiradamento.

Si è valutata l’intensità della competizione intraspecifica nei popolamenti, mediante una stima della loro densità relativa (cioè il rapporto tra la densità osservata e il massimo teorico previsto dal principio dell’auto diradamento). Il massimo grado di competizione è descritto dalla linea di auto diradamento; ciascun popolamento sarà quindi descritto in base alla sua vicinanza alla linea di auto diradamento individuata, in modo da descrivere quantitativamente il grado di competizione e prevederne lo sviluppo ipotizzando differenti ipotesi gestionali.

Utilizzando come fonte i dati relativi alle aree di saggio rilevate in Piemonte e in Valle d’Aosta durante i rispettivi Inventari Forestali regionali (IPLA, 2001) e limitando l’analisi alla categoria forestale “Pineta di pino silvestre” (circa 600 plots), è stato calcolato lo SDI di ciascun popolamento secondo la seguente metodologia:

1. Interrogazione del database degli Inventari Forestali regionali (Piemonte e Valle d’Aosta) per le aree di saggio appartenenti alla categoria forestale “Pinete di pino silvestre”.

2. Selezione delle aree di saggio in base alla loro composizione specifica (70% o più dell’area basimetrica totale rappresentata da pino silvestre), struttura (esclusione dei popolamenti disetanei, irregolari o collassati e dei cedui composti), gestione (esclusione dei popolamenti in cui il numero di ceppaie rilevate è maggiore del 10% degli alberi vivi). Sono così stati selezionati 245 plot per il proseguimento delle analisi.

3. La densità e il diametro medio dei popolamenti sono stati calcolati a partire dai piedilista e successivamente rappresentati mediante un grafico a dispersione su

86 assi logaritmici. Seguendo il valore indicato originariamente da Reineke (1933), si è determinata l’equazione della retta di massima densità ln(densità) = a -1.605*ln(Dm) (equazione 2) la cui intercetta a è stata calcolata in base al fit sul plot caratterizzato dalla massima combinazione di densità e diametro medio (SDI massimo). È stata infine verificata la bontà dell’adattamento di tale retta ai dati e la sua coerenza con quanto indicato in letteratura per la stessa specie.

4. Il massimo SDI calcolato è stato considerato il valore massimo per la specie nelle Alpi sudoccidentali. La densità relativa di ogni popolamento è stata calcolata come percentuale di tale valore di riferimento e collocata entro le classi proposte da Long (1985):

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Densità relativa Dinamiche di popolamento 0-25% L’accrescimento complessivo del popolamento aumenta proporzionalmente alla sua densità. 25-35% Chiusura delle chiome e inizio delle dinamiche competitive; l’incremento per unità di superficie aumenta con la densità, ma l’accrescimento individuale diminuisce a causa della competizione. 35-60% Le opposte influenze della densità in aumento e della crescita individuale sempre più ridotta risultano in una perfetta compensazione; la crescita complessiva del popolamento è indipendente dalla densità relativa.

80-100% La competizione per le risorse è estrema ed è stata elevata per un periodo esteso. Alberi cresciuti in queste condizioni perdono la capacità di rispondere ad ulteriori input di risorse (luce, umidità e nutrienti), anche nel caso in cui i disturbi naturali o i trattamenti selvicolturali riducessero la densità mediante la rimozione degli alberi o della vegetazione adiacente.

Tabella 7 – Valori di densità relativa corrispondenti a differenti fasi evolutive dei popolamenti.

Lo Stand Density Index massimo per le pinete di pino silvestre esaminate è 1440; cinque plot che presentavano valori più alti, probabilmente a causa di errori nel campionamento, sono stati esclusi dall’analisi. L’equazione della retta di autodiradamento è ln(densità) = 12.26 -1.58*ln(Dm)

La retta di regressione è stata calcolata in base ai nove popolamenti con lo SDI maggiore; l’intervallo di confidenza (p<0.05) per la pendenza include al suo interno il valore di -1.605 originariamente indicato da Reineke (1933). La densità relativa dei popolamenti, calcolata in base allo SDI massimo, è compresa tra 0.06 e 1.00 (massimo affollamento); la maggior parte dei popolamenti (48%) ha una densità relativa compresa tra 0.35 e 0.6, un valore superiore alla densità- soglia per la chiusura delle chiome e corrispondente all’instaurarsi del processo di autodiradamento.

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Figure 41 – Distribuzione del Pino Silvestre nell’area di studio e localizzazione delle aree di saggio.

50%

40%

30%

20%

10%

0% <0.25 0.25-0.35 0.35-0.60 0.60-1 >1 Relative SDI

89 Figure 42 – Relative density frequency distribution for SDImax =1440. Relative density classes according to Long (1985). Occasionally, highly crowded plots may attain size-density combination higher than what overall stand conditions would allow (hence the values higher than 1).

Figure 43 – Size-density combinations for the 210 plots included in the data set. Continuous line: maximum self- thinning boundary for SDI= 1440, slope of -1.6. Points above the line are characterized by size-density combinations beyond the 98th percentile of the SDI frequency distribution. Dashed line: average self-thinning boundary computed by ordinary least square regression between maximum QMD points of 5 log-density classes (white points). SDI computed by the binning method is 1310, i.e., 91% of SDImax.

90 AZIONE C – SINTESI E SVILUPPO DI LINEE GUIDA GESTIONALI. Sintomatologia, processi causativi e gestione selvicolturale

Il quadro sintomatologico associato al deperimento è assai complesso e variabile, e dipende strettamente dalla catena causale di volta in volta responsabile del fenomeno e dall’agente di deperimento prevalente. La descrizione riportata di seguito ha dunque carattere generale, e prescinde dai sintomi più strettamente associati alla presenza di particolari agenti patogeni .

La conseguenza più evidente è la morte degli individui colpiti, che si può manifestare in modo improvviso e apparentemente asintomatico (cioè su alberi in apparenza sani), in genere durante la primavera, oppure dopo un deperimento lungo e progressivo, caratterizzato dalla rarefazione della chioma, dal disseccamento dei rami secondari e del cimale, fino alla morte completa dell'individuo. Il fenomeno può riguardare singoli individui, talora solo nello strato dominante ma altre volte in tutte le classi di età, e nuclei di piccole o medie dimensioni.

Figura 44 - Deperimento di singoli individui (a sinistra, St.Denis) o per gruppi (a destra, Oulx)

Figura 45 - Sintomi del deperimento: microfillia (a sinistra) e rami secondari con portamento "a spazzolino" per caduta precoce degli aghi più vecchi di 2 anni (a destra) La perdita di aghi, quando graduale, inizia a manifestarsi in genere dall’interno verso l’esterno, e dal cimale procede verso il basso, così che la chioma assume aspetto bruscamente rastremato. Gli aghi possono tendere alla microfillia (nella regione apicale o in modo generalizzato su tutta la

91 chioma), talvolta assumere una colorazione anomala tendente al verde opaco e permanere per 1-2 anni anziché i 3-6 caratteristici dei pini sani. Ampi tratti di rami e rametti appaiono spogli (50% dei casi analizzati); i rametti terminali densi di aghi che sperimentano un allungamento ridotto assumono un aspetto “a spazzolino”. Il fenomeno può essere accompagnato dalla produzione intensa e ripetuta di infiorescenze maschili e coni; nel primo caso, il ramoscello assume un caratteristico aspetto “ a piani” con zone prive di aghi intercalate a brevi ciuffi fogliari. Alcune indagini riportano come sintomo più frequente l’ingiallimento degli aghi (Quaglino et al., 1986); il fatto che l’analisi sia stata condotta nell’estate inoltrata fa presumere che tale sintomo sia la conseguenza di un bilancio idrico sfavorevole ma non necessariamente a carattere patogenico.

La trasparenza della chioma, come conseguenza della defogliazione e del disseccamento dei rami, può essere confusa con portamenti tipici di stazioni sfavorevoli o con l’effetto dell’invecchiamento sulla densità degli aghi nella chioma interna, ma valori superiori al 20-25% sono da considerarsi di origine patologica.

Figura 46 - Sintomi del deperimento: avanzato grado di defogliazione (a sinistra, Nus) e morte dei rametti laterali (a destra, St.Denis)

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