Nascita Dell'anarchismo
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vai all’indice Samizdat 2000 il copyright è una legge fascista che protegge la proprietà delle idee la riproduzione di questo materiale è libera a patto di rispettarne integralmente i contenuti e di mantenerne la circolazione all’esterno di qualsiasi logica di profitto PIERRE ANSART NASCITA dell’ANARCHISMO Samizdat PREFAZIONE alla presente edizione Sono riconoscente alle edizioni Samizdat di aver condotto a buon fine la traduzione in italiano e l’edizione di questo stu- dio su Proudhon, pubblicato per la prima volta ormai più di venticinque anni fa. Questa edizione mi permette di precisare alcuni punti che avrebbero richiesto un maggior approfondi- mento e di rispondere, fra l’altro, alle osservazioni benevole o critiche che mi sono state indirizzate dopo la pubblicazione della prima edizione. Devo ricordare le ragioni che mi hanno condotto ad in- traprendere questo lavoro ed il clima politico nel quale fu rea- lizzato. All’indomani dell’ultima guerra, studente di filosofia alla Sorbona e ansioso d’informarmi sulla storia dei movimenti operai, avevo letto lunghe pagine del libro del 1846 Système des contradictions économiques ou Philosophie de la misère. Abituato a dissecare le teorizzazioni dei filosofi, rimasi meravigliato dalla ricchezza delle pagine di Proudhon, e in modo particolare dal- le sue analisi così precise e concrete sulla condizione delle clas- si lavoratrici in questa prima metà del XIX secolo. Queste pri- me letture mi avevano invogliato a proseguire lo studio delle altre opere. Mi sembrava evidentemente di avere un documen- to esemplare sul movimento operaio negli anni che precedette- ro la rivoluzione del 1848, e una pregevole fonte di documenta- zione su questo periodo appassionante. Eppure negli anni 1950, l’opera di Proudhon era oggetto di vero e proprio ostracismo. Era processata continuamente e a più riprese dagli intellettuali dell’area del partito comunista che ripetevano, imperturbabili, che Proudhon era un personaggio pericoloso, nocivo per la classe operaia, utopista e, ingiuria su- prema, intellettuale “piccolo borghese”. Senza essere ancora in- formato della lunga storia dei conflitti attorno all’anarchismo, capivo sufficientemente che queste formule ingiuriose, lancia- te per altro spesso senza spiegazioni, attenevano più alla pole- mica politica o alla propaganda piuttosto che ad una qualsiasi preoccupazione della verità. Eppure questi giudizi semplicistici 9 mi indignavano come una forma di ingiustizia. Capivo che i dirigenti del Partito Comunista temessero lo spirito di fronda dei loro aderenti operai, ma non sopportavo che dovessero, per raggiungere questo obiettivo, usare una tale deformazione del- la storia. Non mi ci volle molto per incontrare una seconda fonte di indignazione. Nei libri di storia del pensiero politico, trovai altri apprezzamenti perentori su Proudhon, provenienti questa volta dal pensiero tradizionalista e stranamente lodevoli, ini- ziando dagli argomenti che mi parvero altrettanto fallaci. Si trat- tava quindi di un Proudhon strano, anti-marxista convinto, ten- tato dal corporativismo, e del quale si faceva una specie di scu- do, prima del tempo, contro il Bolscevismo. Questo recupero mi sembrava indifendibile e altrettanto fallace della polemica precedente. Avevo comunque tendenza a vedere in queste let- ture fantasiose solo argomenti di polemica politica. Solo più tardi, studiando meglio la storia dell’Anarchismo, capii l’importanza di questi dibattiti e che in realtà queste in- giurie e queste banalità rispondevano a problemi fondamentali che potevano interessare non solo la docilità dei cittadini e la protezione delle autorità burocratiche, ma anche il ruolo dello Stato e la sua collocazione in una società socialista, l’importan- za delle censure intellettuali, la concezione stessa delle classi operaie ed il loro ruolo reale. In mezzo a tutti questi problemi Proudhon diventava un simbolo estremamente significativo che nessun regime autoritario poteva tollerare. Come sfuggire a questi recuperi contraddittori? Come ri- spondere a ciò che mi sembrava la vera domanda: quale era l’esatto significato dell’opera di Proudhon? Leggendo e rileg- gendo ero certo persuaso che c’erano nei suoi scritti delle con- traddizioni evidenti, delle audacie verbali poco accademiche, delle posizioni sicuramente non difendibili oggi, per esempio sul ruolo delle donne, ma ero totalmente convinto dell’esisten- za di una potente coerenza intellettuale e di una continuità del- le tesi fondamentali dal suo Premier Mémoire del 1840 fino all’ul- timo Manifesto del 1865, De la capacité politique des classes ouvrières. Fu soltanto alla vigilia degli avvenimenti del maggio 1968, avevo appena terminato un lavoro su la Sociologia di Proudhon, che capii chiaramente cosa dovevo fare per evitare le polemi- che pro o contro Proudhon. Scelsi con fermezza di non rispon- dere alle solite domande sulla “verità” delle sue tesi e di con- durre una ricerca socio-storica tendente a scoprire, il più fedel- mente possibile, le fonti sociali del suo pensiero ed il suo inseri- 10 mento nei conflitti degli anni 1840-1865, il suo posto esatto in quel mondo particolare attraversato da grandi speranze e da sanguinose delusioni. In effetti, questa ipotesi che possiamo definire “sociologica”, ha molte possibilità di essere feconda per un autore appassionatamente impegnato nel suo secolo, prove- niente da un ambiente popolare al quale è stato sempre fedele, che ha preso posizione in tutti i grandi dibattiti dell’epoca e che è stato fortemente cosciente della natura e del peso delle forze sociali in conflitto. Se vi è, come hanno sottolineato alcu- ni critici, un partito preso “sociologico”, io lo assumo completa- mente, oggi come ieri. Certamente non è l’unico metodo per raggiungere una certa verità in queste tematiche così contro- verse, ma è sicuramente un approccio fecondo, adatto a mette- re fra parentesi le polemiche e valido come sentiero di ricerca suscettibile di condurre a conclusioni argomentate. Fu nel mezzo degli avvenimenti del maggio 1968 che ca- pii meglio l’interesse di questo lavoro. Il ritratto di Proudhon, ingrandito alle dimensioni di un manifesto, troneggiava in mez- zo al cortile della Sorbona, affisso da studenti anarchici che ave- vano fatto di Proudhon il loro emblema. Senza conoscere in modo preciso i dettagli di tutti i libri di Proudhon, non avevano dubbi a rivendicarlo e farne uno stendardo dell’anarchismo. In realtà questi studenti ponevano un problema temibile al quale non mi era possibile rispondere: quello di sapere perché la fi- gura di Proudhon restava emblematica un secolo dopo la sua scomparsa e di sapere se l’anarchismo del 1968 era, in qualche modo, paragonabile a quello del 1850? Questa domanda oltre- passava, e di molto, le mie ambizioni e fu allora che scelsi il titolo “Nascita dell’Anarchismo” per indicare al lettore che non pretendevo uscire dal XIX secolo in questa mia ricerca. È vero che vi sono altre “nascite”, da Godwin a Stirner, per esempio, ma avrei appesantito inutilmente il titolo sostituendolo con “una delle nascite dell’anarchismo...”. Non rimaneva altro quindi che condurre l’inchiesta, per- ché si trattava proprio di una inchiesta, di una ricerca progres- siva senza conclusioni a priori, della storia di un cammino, con le sue soste e i suoi bilanci provvisori, che volevo presentare ai lettori con il sogno di trascinarli in questo viaggio. Invece no: chi fu il vero Proudhon? Passo dopo passo: dove attinse l’ispira- zione su tale punto, poi su quell’altro, con quale fedeltà, co- scientemente o incoscientemente, e dopo ogni passo, cosa pos- siamo concludere parzialmente? Da dove aveva attinto Proudhon i modelli delle sue proposte economiche? Quali prassi operaie 11 gli erano servite da modello? A quale ideologia politica di quel- l’epoca si è avvicinato e quali teorie aveva di fatto scombussola- to? Queste erano le tre domande da trattare in modo distinto. Mi era sembrato allora che la migliore ipotesi da porre fosse quella delle omologie rintracciabili tra le strutture sociali e l’organizzazione delle tesi proudhoniane. Per esempio, nel mezzo delle diverse strutture economiche che si sovrapponevano negli anni 1850, a quale il progetto economico proudhoniano era più vicino? È questo termine di omologia che mi ha attirato il maggior numero di critiche. Alcuni hanno espresso dubbi sulla possibilità di imporre al pensiero di Proudhon una ipotesi così obbligata mentre esso era soprattutto caratterizzato da inventi- va, flessibilità e, eventualmente, dalle proprie contraddizioni. Ma non si trattava di una specie di dogma; si trattava chiara- mente di una ipotesi di ricerca destinata a mettere tra parentesi le polemiche e a permettere di arrivare a delle conclusioni. Con- tinuo a pensare che si tratti di una ipotesi feconda, purché non si trasformi in verità definitiva una ipotesi di ricerca. Fu soprat- tutto l’utilizzo fattone da Erwin Panofsky che mi parve lumino- so e utile al suo prolungamento. Panofsky, che si interrogava sulle origini delle cattedrali gotiche e delle loro progettazioni, aveva formulato l’ipotesi di un rapporto privilegiato tra l’edu- cazione della scolastica del XI secolo e l’opera di questi archi- tetti. Aveva sviluppato l’ipotesi secondo la quale questo inse- gnamento che privilegiava l’ordine, la chiarezza, la simmetria delle forme, aveva formato le abitudini intellettuali ed artisti- che di questi architetti e li aveva preparati a proiettare nello spazio forme ordinate, pure, fortemente simmetriche ed armo- niche. Le forme di questo insegnamento, interiorizzate da questi giovani architetti, si sarebbero così riprodotte ( “omologicamente”) nei progetti e nelle forme di queste cattedrali. Evidentemente si trattava di una ipotesi da meditare e proprio in questo senso mi sembrava seducente e in nessun modo meccanica o sclerotizzante. Si può in effetti utilizzare l’omologia in sensi diversi. Lo stesso Proudhon si avvicina a questa ipotesi quando analizza le religioni, le filosofie della trascendenza, come modelli confor- mi alle strutture sociali dell’ineguaglianza nelle quali un pote- re superiore, Dio, Re o tiranno è supposto superiore alla folla dei dominati e si trova legittimato da queste credenze.