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Edward Lear, pittore, poeta e musicista .

Edward Lear (1812-1888) è noto soprattutto per I suoi nonsen- se, benché sia stato un poeta e soprattutto un pittore tra i più rino- mati del XIX secolo, fu anche un musicista, autore di canzoni e un performer.

Era nato a Holloway, allora un piccolo villaggio rurale vicino a Highgate a nord di Londra, il ventesimo di ventuno fratelli. Piutto- sto timido di carattere, non ebbe un’istruzione formale: solo a 11 an- ni poté frequentare regolarmente la scuola, ma per un breve perio- do. Ciò fu dovuto alla sua salute piuttosto cagionevole: soffriva in- fatti di asma, di bronchite e di una grave forma di miopia. Inoltre, fin dalla prima infanzia sviluppò anche l’epilessia, che ne segnò l’intera esistenza. Egli stesso la definì il suo “Demone”, e fu la ragio- ne per cui non fu cresciuto in famiglia. Fu affidato alla sorella mag- giore, Ann, più vecchia di lui di ventuno anni, che si occupò anche della sua istruzione, insieme alla seconda sorella, Sarah. L’epilessia era allora ritenuta effetto di una possessione demoniaca, quindi una malattia da tenere nascosta, di cui provare vergogna. Più tardi si convinse che fosse ereditaria, per cui mai si sposò per paura di po- terla trasmettere ai figli (ne provò sempre ribrezzo e, soprattutto da adulto la tenne nascosta anche ai suoi amici – le convulsioni nor- malmente gli capitavano di notte mentre era a letto).

Dalle sorelle, entrambe appassionate d’arte e di poesia, oltre a leggere e scrivere e suonare il piano, apprese anche gli elementi di base del disegno e della pittura, che perfezionò poi da solo (e a Ro- ma, frequentando gli studi degli artisti). Fin da ragazzino le sorelle lo portarono con sé a visitare esposizioni e gallerie d’arte, o nella li- breria che il poeta James Bird (1788-1839) aveva aperto nel villaggio della contea di Suffolk, dove la sorella Sarah si era stabilita dopo il

1 matrimonio. Fu sotto l’influenza e la guida di quel poeta che il gio- vane Lear si avvicinò alla poesia e ne apprese la tecnica.

Forse già da prima dei 15 anni iniziò a guadagnarsi da vivere, eseguendo ritratti e caricature, disegnando bizzarri bozzetti di nego- zi, che poi vendeva agli stessi esercenti. Inoltre, decorava paraventi e ventagli, eseguiva disegni colorati di uccelli per naturalisti, figure anatomiche per medici e ospedali, oltre a dare lezioni di disegno e pittura ai vicini. Spesso esponeva i suoi acquerelli nelle hall dei tea- tri o delle locande dove gli spettatori e i clienti li compravano per pochi scellini. Fin da allora fu quindi del tutto autonomo, anche se continuò ancora per qualche anno a vivere con la sorella Ann in Grey’s Inn Road a Londra (e saltuariamente nel Suffolk presso la so- rella Sarah).

Compose le sue poesie migliori quando aveva 17 anni, i cui o- riginali sono riportati in uno dei suoi primi sketch books o quaderni di appunti giunto fino a noi e conservato a Edimburgo presso la Natio- nal Library of Scotland. Quelle composizioni sono sufficienti ad as- segnargli un posto di riguardo accanto ai maggiori poeti del suo tempo.

Nel 1830 ottenne un impiego come disegnatore presso la Zoo- logical Society di Londra, con l’impegno di illustrare i pappagalli e gli altri uccelli esotici presenti nei giardini aperti l’anno prima in Re- gent Park. I suoi disegni furono talmente apprezzati che solo due anni dopo gli furono pubblicati in uno dei primi volumi di ornitolo- gia mai usciti in Gran Bretagna, dedicati a una sola specie di volatili: Illustrations of the Family of Psittacidae, or Parrots. Si tratta del primo lavoro in folio imperiale ad essere riprodotto secondo il procedi- mento litografico e anche il primo in cui l’artista aveva operato di- rettamente dal vero. E fu proprio nella esecuzione di quelle illustra-

2 zioni che Edward Lear prese familiarità con quel tipo di tecnica (il successo del suo lavoro fu tale che a due esemplari della specie, a cui non era ancora stato attribuito un nome scientifico, fu assegnato il suo).

Dal 1832 al 1836/37 fu impegnato a Knowsley, una cittadina non lontana da Liverpool presso la residenza di Lord Derby, con lo stesso compito, ossia di catalogare e disegnare gli uccelli e gli altri animali che facevano parte della collezione presente nel giardino zoologico privato costituito nella proprietà di famiglia. Pure in que- sto caso i suoi disegni furono inseriti in un volume dedicato allo stesso giardino zoologico: Gleamings from the Menagerie, at Knowsley Hall , uscito alcuni anni più tardi. Parte di quei disegni sono tuttora esposti nella biblioteca di quella cittadina. Il suo lavoro di illustrato- re scientifico attirò anche l’attenzione di Charles Darwin, che in quegli anni iniziava i suoi studi sull’evoluzione della specie.

Negli anni trascorsi a Knowsley Edward Lear concepì anche l’idea di comporre i suoi nonsense (o limericks), a cui deve la sua no- torietà, benché il suo maggiore impegno fosse da sempre rivolto alle arti figurative. E infatti, a partire dal 1836 si dedicò al paesaggio, de- finendosi appunto un Landscape Painter, un paesaggista, senza peral- tro trascurare la poesia (più tardi compose anche delle nonsense- songs e nonsense-stories in versi dedicate ai bambini, che avevano tuttavia molto da dire anche agli adulti, come del resto i suoi non- sense). Egli era convinto che ogni forma d’arte, per definirsi tale, doveva poter trasmettere delle emozioni come la poesia (e la musi- ca).

I limericks erano delle brevi composizioni che avevano avuto origine in Irlanda nella seconda metà del XVIII secolo fra i frequen- tatori dei pub e i militari, tra i quali si era diffusa l’abitudine di

3 comporre delle brevi poesie e canzoni a catena, rispondendo alla domanda seguente, posta da uno dei presenti: Will you come to Lime- rick? (“Vuoi venire a Limerick?”) Chi voleva intervenire – amici o commilitoni - aggiungeva dei versi estemporanei improvvisati, pieni di motivi inverosimili e allusioni talvolta maliziose o oscene. In se- guito, tali composizioni assunsero una struttura ben definita, che si mantenne nel tempo, ossia quella di una strofa divisa in cinque ver- si, non sempre regolari, per lo più rimati secondo lo schema metrico: aa, bb, a.

Edward Lear mantenne lo stesso schema, disponendo però i versi in tre righe, come si può vedere dalla prima edizione del suo Book of Nonsense del 1846 (uscito a Londra nel corso di uno dei suoi due rientri nel suo paese da Roma, dove tra l’altro aveva composto parte dei nonsense inclusi nello stesso volume), e nelle edizioni suc- cessive. Egli infatti intese i nonsense come didascalie di disegni e bozzetti in cui con pochi tratti di penna esprimeva dei concetti, o puntualizzava episodi di vita – spesso assurdi (o solo apparente- mente tali).

Edward Lear ebbe il merito di avere elevato a forma letteraria i limericks, che fino ad allora erano rimasti giochi di parole al pari del- le nursery rhymes o filastrocche recitate dai bambini. Egli tuttavia non usò mai quel termine per indicare le sue brevi composizioni, ma Nonsense o Old Persons. E l’edizione del 1861 di quel volume, arric- chito e aggiornato, lo rese popolare e apprezzato in tutti i paesi di lingua inglese, dove ebbe un’ampia diffusione. Nel corso della sua vita vi furono 24 ristampe dello stesso, e nuove edizioni si sono ripe- tute lungo tutto il XX secolo e inizi del XXI, fino ai nostri giorni, tan- to da oscurare la sua figura di artista di altrettanto valore (benché i suoi dipinti siano tuttora esposti nelle principali gallerie d’arte del

4 mondo: nel corso della sua vita produsse oltre diecimila acquerelli e circa trecento dipinti a olio).

Qualche anno più tardi un recensore lo definì “la voce del primo grande Poeta del Nonsense del secolo” (“ The Spectator”, De- cember 17th, 1870 ).

Quelli che seguono sono solo alcuni esempi dei nonsense che compose negli anni della sua formazione artistica trascorsi a Roma:

There was an Old Person of Ischia, whose conduct grew friskier and friskier; He danced hornpipes and jigs, and ate thousands of figs, That lively Old Person of Ischia.

C’era un Vecchio Signore di Ischia, la cui condotta divenne sempre più vi- vace; al suono di cornamuse si scatenava in danze e giga, e mangiava fi- chi a migliaia, quel brioso Vecchio Signore di Ischia.

5

There was an Old Man who supposed, that the street door was partially closed; But some very large rats, ate his coats and his hats, While that futile old gentleman dozed.

C’era un Vecchio Signore che suppose di aver chiuso, almeno parzialmen- te, la porta che dava sulla strada; ma entrarono alcuni grossi ratti, che rosicchiarono i suoi cap- potti e cappelli, mentre quel futile Vecchio Signore sonnecchiava.

6

There was a Young Lady of Parma, whose conduct grew calmer and calmer; When they said, “Are you dumb?” she merely said, “Hum!” That provoking Young Lady of Parma.

C’era una Giovane Signora di Parma, nella cui condotta ella divenne sem- pre più calma; quando le chiesero, “Siete muta?” lei solamente rispose, “Ah!” Quella irritante Giovane Signora di Parma.

7

There was an Old Man of Vesuvius, who studied the works of Vitruvius; When the flames burnt his book, to drinking he took, That morbid Old Man of Vesuvius. .

C’era un Vecchio Signore del Vesuvio, che studiava le opere di Vitruvio; quando le fiamme bruciarono i suoi libri, al bere si diede, quell’insano Vecchio Signore del Vesuvio.

8

There was an Old Man of th’Abruzzi, so blind that he couldn’t his foot see; When they said, “That’s your toe,” he replied, “Is it so?” That doubtful Old Man of th’Abruzzi.

C’era un Vecchio Signore degli Abruzzi, tanto cieco da non vedere il suo piede; quando gli dissero, “Quello è il tuo alluce,” egli rispose, “Davvero?” Quel dubbioso Vecchio Signore degli Abruzzi. .

Quando giunse a Roma, il 3 dicembre del 1837, Edward Lear aveva quindi già acquisito notevoli competenze nel campo del dise- gno e della pittura, ed era in grado di utilizzare la litografia su pietra per la riproduzione dei suoi lavori. Nella capitale venne subito in contatto con gli artisti più noti del tempo, che apprezzarono la sua arte e la sua dedizione, oltre alla sua cultura. Con gli stessi egli per- fezionò la tecnica dell’acquerello, affermandosi come uno dei mag- 9 giori acquerellisti inglesi del secolo. Inoltre, apprese anche l’uso dei colori ad olio, che non aveva mai utilizzato prima.

Nella prima metà dell’’800 Roma era divenuta il centro della cultura europea: artisti, musicisti, poeti e scrittori, soprattutto dai paesi del Nord Europa, avevano i loro studi nella capitale, concen- trati per lo più attorno a Piazza di Spagna. Il loro punto di ritrovo era il Caffè Greco, che aveva sale e spazi distinti a seconda del paese di provenienza dei frequentatori, dove gli artisti si trovavano a di- scutere di arte, di musica, di poesia e di politica. Si calcola che negli anni ’30 vi fossero più di cinquecento “foresti”, come li chiamavano indistintamente i romani.

Il nostro paese aveva trovato spazio nella mente di Edward Lear, da quando, a dieci anni, aveva avuto modo di sfogliare il libro di Samuel Rogers sull’Italia, con le illustrazioni di Joseph William Turner, che lo affascinarono per tutta la vita. Era venuto in Italia per evitare l’inverno britannico, poco favorevole alla sua salute, e fer- marsi il tempo necessario ad affinare la sua arte. Vi rimase, quasi i- ninterrottamente, fino al ’48. E se non fosse stato per i moti insurre- zionali di quell’anno, probabilmente sarebbe rimasto anche di più, se non per sempre, visto che più tardi, nel 1870/71, si stabilì a Sare- mo, dove visse fino alla fine dei suoi giorni. Nel cimitero della città ligure fu anche sepolto.

Nel periodo trascorso a Roma, Edward Lear strinse amicizia con alcuni artisti e durante l’estate compì varie escursioni, dapprima nella campagna romana, poi in , in , in Sicilia, e in altre regioni d’Italia, sempre munito dei suoi sketch books sui quali intercalava versi o disegni e bozzetti (che poi nel suo studio trasfor- mava in quadri o litografie), a dettagliate descrizioni dei luoghi visi- tati. Queste ultime gli servirono per la stesura dei suoi Journals e dei

10 suoi libri di viaggio, come i due volumi delle Excursions in Italy, usci- ti nel 1846/47, sempre mentre era ancora a Roma, illustrati con lito- grafie e vignette, e arricchiti con note storiche e topografiche (di cui non mancava di citare le fonti).

I due volumi delle sue Excursions in Italy, ebbero un’ampia dif- fusione in tutti i paesi di lingua inglese e, in particolare il primo, che includeva trenta illustrazioni riprodotte con la tecnica della litogra- fia su pietra, di cui era un esperto, attirò, tra gli altri, l’attenzione della regina Vittoria. La sovrana fu talmente impressionata dalla lo- ro raffinatezza che invitò l’artista a corte per delle lezioni di disegno e pittura. E così nel mese di agosto del 1846, Edward Lear rientrò a Londra da Roma per adempiere al compito richiesto, impartendole dodici lezioni. Due dei quadri eseguiti sotto la sua guida sono tutto- ra esposti nella biblioteca del castello di Windsor. Nel suo diario la regina Vittoria non mancò di accennare a quell’esperienza, definen- dolo un insegnante di “notevoli” abilità e valore. Dal canto suo, E- dward Lear – a cui non mancava il senso dell’umorismo – in una let- tera inviata a un amico, usò parole affettuose nei suoi confronti, os- servando però che il suo modo di muoversi e trascinarsi gli faceva pensare a un’anitra.

Edward Lear era inoltre un abile musicista: sapeva suonare il pianoforte, il flauto, la chitarra e la fisarmonica. E possedeva una voce del tutto armonica: quanti lo sentirono esibirsi in canzoni pro- prie o arie d’opera (come “A te, o cara”, da “I Puritani” di Bellini), ne rimasero estasiati e ne lasciarono traccia nelle loro lettere, memo- rie e diari. In varie occasioni si esibì anche in arie d’opera insieme ad artisti professionisti.

Dagli anni ’60, poi, iniziò anche a scrivere e comporre delle nonsense-songs, canzoni dedicate soprattutto ai bambini, anch’esse

11 di successo. Di recente, alcuni studiosi hanno cercato di porre in ri- lievo l’importanza della musica nella sua opera e nella sua vita (co- me Sara Lodge con il suo saggio*). Musicò, oltre a diverse sue can- zoni, anche la base di 12 composizioni poetiche di Alfred Tennyson, ritenuto in quegli anni il poeta più rappresentativo dell’età Vittoria- na, i cui versi erano spesso recitati o cantati durante le sue esibizioni. Riferimenti a Tennyson – che conobbe nel 1850 - si trovano in molti suoi scritti.

Nel corso dei suoi viaggi annotò nei suoi sketch books i testi del- le canzoni popolari che gli capitava di ascoltare e cercò di memoriz- zarne anche le arie e le melodie, alla stessa maniera in cui ricordava, poi, attraverso i bozzetti, il paesaggio e il panorama dei luoghi visi- tati, che poi riproduceva nei suoi quadri e dipinti. Negli anni tra- scorsi in Italia, ne raccolse di napoletane, siciliane, e di altri luoghi visitati.

Spesso le sue canzoni erano precedute da delle illustrazioni, che ne anticipavano o riassumevano il contenuto. In molti casi ne e- rano anche intercalate. Poi le regalava ai suoi amici perché le passas- sero ai figli. Quasi sempre però le narrazioni erano solo apparente- mente leggere e quindi adatte ai bambini, ma offrivano anche moti- vi e spunti di riflessione che avevano a che fare con le grandi do- mande sull’esistenza di ognuno.

Pure le sue nonsense-songs ebbero un’ampia diffusione, quasi al pari dei suoi nonsense. Le più popolari sono tuttora oggetto di rappresentazioni teatrali, o pubblicate, sia singolarmente, con nuove illustrazioni o abbinate ai nonsense adatti ai più piccoli. Ci sono an- che adattamenti per un pubblico di adulti. The Owl and the Pussy-cat (“Il Gufo e la Gattina”) è senz’altro la più nota. Secondo un’indagine condotta nel 2014, è risultata la più amata dai bambini inglesi e quel-

12 la che i genitori cantano o ripetono più spesso ai loro figli la sera per addormentarli. E’ pure eseguita e cantata nei matrimoni, quale au- spicio di buona fortuna, in particolare al momento dei saluti, quan- do gli sposi lasciano i commensali prima di partire per la luna di miele.

Edward Lear la scrisse tra il 14 e il 18 dicembre 1867 per la fi- glia di una coppia di suoi amici (i Symonds). E’ anche la prima delle sue nonsense-songs di cui si conosca la data della sua composizione e la prima a essere pubblicata (nella rivista, Our Young Folks , Boston, February 1870). Nello stesso anno un recensore non mancò di sotto- lineare come la canzone fosse in sintonia con il “vero spirito dei di- ritti delle donne”, dato che era la Gattina a chiedere al Gufo di spo- sarla e non viceversa secondo quanto prevedevano le convenzioni del tempo (“The Science of Nonsense”, Spectator, 17 December 1870). D’altro canto, dal testo appare esplicitamente che si narra di una fu- ga d’amore: “Il Gufo e la Gattina andarono per mare/ […] Essi navi- garono lontano, per un anno e un giorno/ […] prima di decidere di sposarsi (il che rappresentava un motivo di rottura in una società tradizionale come la Vittoriana).

Nel suo diario, in data 14 dicembre, Edward Lear annotava: “La loro ragazzina [dei Symonds] non sta bene, il che è davvero tri- ste”. Quattro giorni più tardi fece loro visita con una “poesia illu- strata per la piccola Janet”. Il manoscritto originale fu venduto nel 1937 dagli eredi ad un’asta organizzata dalla Croce Rossa per racco- gliere fondi da destinare ai soldati feriti durante la guerra civile spa- gnola. Da allora se ne sono perse le tracce. Ne esistono, tuttavia, al- tre copie che l’autore donò ad amici o conoscenti, di cui sapeva a- vessero dei figli, che potevano apprezzarla. Esse coprono un arco di tempo che va dal 1868 fino ad un’ultima copia su cui è segnata la da-

13 ta 3 giugno 1886, che regalò a una sua vicina italiana per i suoi bam- bini, a Sanremo, due anni prima di morire.

Per la stessa, egli compose anche la musica, che però non è giunta fino a noi, nell’originale, ma attraverso gli spartiti di amiche che la cantarono in sua presenza, accompagnate al piano dallo stesso Lear, le quali a loro volta li pubblicarono. E’ accaduto lo stesso anche con altre sue canzoni. The Owl and the Pussy-cat era senz’altro la can- zone che egli amava di più come ne è prova il numero di copie ma- noscritte giunte fino a noi. Era solito cantarla, accompagnandosi al piano e lo fece fino alla fine della sua vita, come è testimoniato dalle lettere di amici e vicini che gli facevano visita.

Le sue canzoni, più dei nonsense, le sentì come parte della sua vita e le storie che in esse narrava vennero spesso riprese nelle sue lettere e nei suoi scritti, in cui amava riferirne gli sviluppi, come se fossero vere. E ne parlava sempre in modo serio.

In una lettera, scritta il 12 giugno 1884, ad un’amica, in cui le accennava che il fratello gli aveva fatto visita, portandogli in dono un collare per il suo gatto, Foss, le scriveva come fosse stato un gesto davvero gentile da parte sua. Tuttavia si rammaricava che né lei né il fratello fossero informati sulle ultime notizie di cui era in possesso relative alla Pussy-cat della sua canzone. Le ricordava che il suo gat- to, Foss, era suo zio materno, e che la poverina era morta, cadendo da un albero mentre la famiglia si trovava in Nuova Guinea.

Il dolore del povero Gufo fu tale che subito decise di abban- donare il posto con i sei figli e di imbarcarsi su una barca a vela. E il suo dolore era così grande che non fu possibile avere un numero sufficiente di fazzoletti per asciugare le sue lacrime, tanto che si do- vette tagliare la vela maestra e le altre vele per averne a sufficienza.

14 Naturalmente la barca senza le vele non fu in grado di procedere, ma fortunatamente fece naufragio sulla costa della Cornovaglia, do- ve il Gufo e i suoi figli ancora vivevano, conducendo una vita da bohémien.

Un anno più tardi, nell’aprile del 1885, ne diede un’altra ver- sione, in una composizione poetica, forse una canzone strutturata in quattro strofe, i cui versi li scrisse nelle ultime pagine di un saggio che stava leggendo, di difficile comprensione in quanto rimasero i- nediti fino a non molti anni fa. Negli stessi, sono i figli della coppia a raccontare la storia. La Pussy-cat era morta tanti anni prima nella fo- resta della Sila, precipitando da un albero e finendo in un profondo burrone da cui scomparve per sempre alla loro vista. Il Gufo soffrì a lungo e dal dolore, ma in questo caso si asciugava le lacrime con le penne della sua coda.

THE OWL AND THE PUSSY-CAT

The Owl and the Pussy-cat went to sea In a beautiful pea-green boat, They took some honey, and plenty of money, Wrapped up in a five-pound note. The Owl looked up to the moon above, And sang to a small guitar, ‘O lovely Pussy! O Pussy, my love, What a beautiful Pussy you are, What a beautiful Pussy you are!’

Pussy said to the Owl, ‘You elegant fowl!

15 How charmingly sweet you sing! O let us be married! too long we have tarried: But what shall we do for a ring?’ They sailed away, for a year and a day, To the land where the Bong-tree grows, And there in a wood a Piggy-wig stood, With a ring at the end of his nose, With a ring at the end of his nose.

‘Dear Pig, are you willing to sell for one shilling Your ring?’ Said the Piggy, ‘I Will.’ So they took it away, and were married next day By the Turkey who lives on the hill. They dined on mince, and slices of quince, Which they ate with a runcible spoon; And hand in hand, on the edge of the sand, They danced by the light of the moon, They danced by the light of the moon.

IL GUFO E LA GATTINA

Il Gufo e la Gattina andarono per mare in una bella barca color verde-pisello; presero con sé del miele e monete in quantità, ben avviluppate in una banconota da cinque sterline. Il Gufo guardò in alto la luna nel cielo e cantò, accompagnandosi a una chitarrina, ‘O mia bella Gattina, o Gattina, amor mio, sei una bella Gattina davvero, sei una bella Gattina davvero.

16 La Gattina disse al Gufo, ‘Tu volatile elegante! come canti tanto dolcemente! Oh, sposiamoci, allora! troppo a lungo abbiamo indugiato: ma come faremo per l’anello?’ Essi navigarono lontano, per un anno e un giorno verso la terra dove cresce l’albero Bong; dove in un bosco stava un Porcellino con un anellino sulla punta del naso, con un anellino sulla punta del naso.

‘Caro Porcellino, ti va di venderci per uno scellino il tuo anellino?’ Rispose il Porcellino, ‘Sì, certamente.’ Così lo portarono via, e furono maritati il giorno seguente dal Tacchino che vive in cima alla collina. Essi pranzarono con tortine ripiene e fettine di mela cotogna, che mangiarono con un cucchiaio tridente, e mano nella mano, sul bordo della spiaggia, danzarono al chiaro di luna fino a mattina, danzarono al chiaro di luna fino a mattina.

17 BIBLIOGRAFIA

Ina Rae Hark , Edward Lear, Boston, Twaine, 1982.

Virginio Gracci, “Edward Lear e il Periodo Romano”, in Pomezia- notizie, settembre 2020, pp. 37-41.

Edward Lear, The Complete Nonsense and Other Verse, London, Pen- guin Books, 2001, 2006.

Sara Lodge, Inventing Edward Lear, Cambridge Mass. & London, Harvard University Press, 2019*.

• Sara Lodge, con il pianista David Owen Norris e i cantanti Marc Wilde e Amanda Pitt, ha registrato varie canzoni, molte delle quali sono state identificate per la prima volta come parte del repertorio di Edward Lear. Sono ora liberamente accessibili nel website ad esse dedicato: edwardlearsmu- sic.com

Vivien Noakes, The Life of a Wanderer, London, Collins, 1968; Sutton. Stroud, 2004.

Vivien Noakes, The Painter Edward Lear, London, David and Charles Newton Abbot, 1991.

Jenny Uglow, Mr Lear: a Life of Art an Nonsense, London, Faber& Fa- ber, 2017.

18 APPENDICE

Qualche altro limerick

There was an Old Man of the Hague, C’era un vecchio di Praga Whose ideas were excessively vague; Dalla mente quanto mai vaga; He built a balloon Costruì un’aeronave di fortuna Per osservare la luna, To examin the moon, Quell’illuso vecchio di Praga That deluded Old Man of the Hague. traduz in italianostoriablogsite com

There was an Old Person of Pisa, Un'anziana signora di Pisa, Whose daughters did nothing to please her; Alle figlie era sempre più invisa; She dressed them in grey, Con la veste più frusta And banged them all day, Le metteva alla frusta, Round the walls of the city of Pisa. Tutt'intorno i bastioni di Pisa. traduz. di Carlo Izzo .

19 There was a Young Lady of Troy, A una giovin signora di Troia Whom several large flies did annoy; Dei mosconi le davano noia; Some she killed with a thump, Ne ammazzò col pestello, Some she drowned at the pump, Ne affogò nel lavello, And some she took with her to Troy. E qualcuno se lo portò a Troia. traduz. di Carlo Izzo .

There was an Old Lady of , Un'anziana signora di Praga Whose language was horribly vague, Si esprimeva in maniera assai vaga. When they said, «Are these caps?» Le chiedevi. «È un babà?». She answered «Perhaps!» Rispondeva: «Chissà!». That oracular Lady of Prague. Quell'anziana Cassandra di Praga. traduz. di Carlo Izzo .

There was an Old Person of Skye, C’era un vecchio di Ripatransone Who waltz’d with a Bluebottle Fly: Che valzeggiava con un moscone: 20 They buzz’d a sweet tune, Zufolavano amabili ballate To the light of the moon, Sotto la luna d’estate, And entranced all the people of Skye E incantavano tutta Ripatransone traduz. di Carlo Izzo .

There was an Old Man who said, ‘Hush! C’era un vecchio di Brusuglio I perceive a young bird in this bush!’ Che scoprì un uccellino in un cespuglio; When they said, ‘Is it small?’ Quando gli chiesero: «È ancora da nido?» He replied, ‘Not at all! «No, davvero! – rispose indispettito – It is four times as big as the bush!’ È quattro volte più grande del cespuglio! traduz. di Carlo Izzo .

There was an Old Derry down Derry, C’era un vecchio Din Din di Rindini 21 Who loved to see little folks merry; Cui piaceva veder ridere i bambini; So he made them a book, Fece allora un bel libro coi pupazzi, And with laughter they shook Fin che risero tutti come pazzi At the fun of that Derry down Derry Alle trovate di quel Din di Rindini traduz. di Carlo Izzo .

There was an Old Person of Pinner, C’era un vecchio di Corfù As thin as a lath, if not thinner, Sottile come un’asse e forse più; They dressed him in white, Gli misero un càmice bianco And roll’d him up tight, E lo arrotolarono su tutto quanto, That elastic Old Person of Pinner Quell’elastico vecchio di Corfù traduz. di Carlo Izzo .

22 There was an Old Man with a beard, Disse un vecchio con un lungo barbone: Who said, 'It is just as I feared! “È come nella mia cupa previsione! Two Owls and a Hen, Una gallina ovaiola e due civette, Four Larks and a Wren, uno scricciolo e quattro lodolette, Have all built their nests in my beard!' han fatto il nido nel mio pel di Mormone!” traduz. in keespopinga.blogspot.com

There was an Old Man of Moldavia, C’era un vecchio di Riva Trigoso Who had the most curious behaviour; che si comportava in modo assai curioso; For while he was able, Ché fino a che ci riusciva, he slept on a table. su una tavola dormiva. That funny Old Man of Moldavia. Quel buffo vecchio di Riva Trigoso traduz. in keespopinga.blogspot.com

23 There was a Young Lady of Portugal, C’era una giovane signora di Braganza Whose ideas were excessively nautical: con idee nautiche in abbondanza: She climbed up a tree, si volle arrampicare, To examine the sea, per osservare il mare, But declared she would never leave Portugal. ma disse di non voler mai lasciare Braganza.

traduz. in keespopinga.blogspot.com

There was an Old Sailor of Compton, C’era un vecchio di mare a Camogli Whose vessel a rock it once bump’d on; La cui barca sbatté sugli scogli; The shock was so great, Il gran colpo alla roccia that it damaged the pate, Danneggiò la capoccia Of that singular Sailor of Compton. Del bizzarro di mare a Camogli. traduz. di Francesca Cosi e Alessandra Repossi

24 There was a Young Lady whose chin Una giovin signora col mento Resembled the point of a pin; Appuntito da fare spavento, So she had it made sharp, Se lo fece affilare and purchased a harp, Per poter arpeggiare And played several tunes with her chin. Melodie con la punta del mento. traduz. di Francesca Cosi e Alessandra Repos- si

There was an Old Man of Calcutta, C’era un certo signore a Calcutta, Who perpetually ate bread and butter; S’abbuffava di strutto e di frutta; Till a great bit of muffin, Ma un bel dì un maritozzo On which he was stuffing, Incastrato nel gozzo Choked that horrid old man of Calcutta. Strozzò il bieco signor di Calcutta traduz. di Ottavio Fatica

25 Edward Lear in u n ritratto a matita di Wilhelm Marstrand, 1840

26 Auto caricatura di Edward Lear

27 L’ultima fotografia di Edward Lear . Siamo nel 1887

28 Edward Lear svolse, fra l ’altro, un ’intensa , apprezzata ed elegante attività di illustratore naturalistico. Qui un’esemplare di Testudo actinoides, apparsa in A Mono- graph of the Testudinata di

29 Macaco rosso , illustrazione di Lear da Gleaning from the M e- nagerie and Aviary at Knosley Hall

30 Tre tavole da Illustrations of the Family of Psittacidae or Parrots, London, 1832. Macrocercus arapanga

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Macrocercus abarau na

32 Psittacara leptorryacna

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