CORLEONESI” (Dal 1981-1982 a Seguire)
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I FATTI VALUTABILI CONCERNENTI L’EPOCA SUCCESSIVA ALL’AVVENTO DEI “CORLEONESI” (dal 1981-1982 a seguire). 1) PREMESSE INTRODUTTIVE 1. Si è già evidenziato come alcuni fatti fondamentali giustifichino il convincimento che nella primavera del 1980 si sia consumata una frattura nei rapporti fra Andreotti ed i suoi referenti mafiosi. Si tratta, per riepilogare: a) del deterioramento delle relazioni fra l’imputato ed il suo principale interlocutore mafioso, Stefano Bontate, deterioramento che di certo non scaturiva da dissapori circoscrivibili nell’ambito della sfera delle specifiche relazioni personali con il capomafia, ma investiva, in generale, tutta Cosa Nostra e la attività criminale della stessa nella essenziale connotazione ad essa, infine, conferita dalla vicenda dell’assassinio del Presidente Mattarella; b) della, già in corso, progressiva emarginazione dai centri di comando di Cosa Nostra dei capimafia che con l’imputato intrattenevano relazioni: era già maturata la estromissione dal sodalizio del Badalamenti ed era già in corso il progressivo isolamento del Bontate e dell’Inzerillo, culminato, nella primavera del 1981, nell’assassinio dei due, seguito dalla decimazione degli “uomini d’onore” agli stessi fedeli; c) della sintomatica assenza di indicazioni ulteriori concernenti fatti idonei a comprovare la prosecuzione, nell’arco di tempo che va dall’incontro della primavera del 1980 all’assassinio del Bontate e dell’Inzerillo ed alla presa del potere da parte dei “corleonesi”, delle pregresse relazioni, che stride con il numero degli episodi significativi riferibili al periodo precedente (a voler ricomprendervi anche quelli solamente sospettabili, si potrebbero citare la vicenda Nardini, la vicenda Moro, la vicenda Pecorelli, la vicenda Rimi, la vicenda Sindona, la vicenda Mattarella, l’episodio riferito dal teste Di Maggio, il regalo del dipinto – sia pure, a quest’ultimo riguardo, con qualche dubbio in ordine alla precisa collocazione temporale del fatto -). In particolare, al di là della generica possibilità della perpetuazione inerziale di appoggi elettorali forniti ad esponenti della corrente andreottiana, che, come già rimarcato, va, comunque, più correttamente inquadrata nell’ambito delle dirette e personali relazioni del singolo personaggio politico locale, non è stata acquisita, a differenza di quanto accaduto per il periodo precedente, alcuna indicazione, anche vaga e sfornita di idonea efficienza dimostrativa, concernente favori concessi o richiesti dall’imputato – sul punto, come meglio si preciserà, anche in relazione al periodo ancora successivo non è destinata ad approdare ad esiti positivi la indagine sul comportamento dell’imputato, nel cui atteggiamento non sono ravvisabili neppure quelle manifestazioni di disponibilità che, con riferimento all’epoca precedente, quanto illustrato autorizza a considerare provate -. La rimarcata, oggettiva situazione ed il subentrare dell’egemonia dei “corleonesi”, fino ad allora estromessi da ogni rapporto con Andreotti tanto da irritarsene, non consentono, se non a prezzo di un inammissibile salto logico, di ipotizzare senz’altro una continuità delle relazioni fra l’imputato e Cosa Nostra, fondata su quanto accertato in riferimento all’epoca antecedente: del resto, è del tutto intuitivo che sui legami in questione esercitavano un peso determinante non già le “cariche” occupate dagli interlocutori, ma le relazioni personali fra i medesimi. Oltre che defatigante, deve, allora, considerarsi inconducente il sistematico e ripetuto richiamo operato dai PM appellanti al valore probatorio corroborante dei dimostrati fatti pregressi e, principalmente, dei rapporti intrattenuti da Andreotti con il Bontate ed i suoi amici, con il Lima ed con i cugini Salvo e delle relative menzogne dell’imputato: quanto evidenziato e la radicale modifica delle posizioni di potere all’interno di Cosa Nostra indebolisce fin quasi ad annullarla la valenza logica di tali risultanze allorché debba verificarsi se gli elementi acquisiti consentano di ritenere provato che gli amichevoli atteggiamenti e la disponibilità dell’imputato siano stati manifestati con autentica partecipazione anche al nuovo gruppo di potere che aveva assunto il predominio assoluto sul sodalizio mafioso. In buona sostanza, proprio in dipendenza delle peculiarità evidenziate, la dimostrazione dell’assunto non può giovarsi del richiamo ad un contesto ormai tramontato e necessita, pertanto, di una prova autonoma ed autosufficiente, libera dalla possibile suggestione indotta (anche, eventualmente, in alcuni dichiaranti) da vicende precedenti e dalla conservazione, da parte dell’imputato, di rapporti amichevoli e di solidarietà politica con l’on. Lima o dall’eventuale mantenimento di amichevoli relazioni con i cugini Salvo. A tali ultime circostanze non può, invero, ai fini che qui interessano, riconoscersi significato decisivo. ----------------------------------------------------------- 2. Quanto alla conservazione del legame con il Lima, se si deve prendere atto che i rapporti con costui non sono stati recisi dall’imputato nel corso degli anni pur nella consapevolezza dei legami che il medesimo intratteneva con il Bontate ed altri mafiosi, tuttavia tre riflessioni si impongono: - la prima è che, come già rimarcato, il Bontate ed i suoi amici di lì a poco sarebbero stati eliminati dalla fazione “corleonese”, cosicché è venuto ben presto meno ogni loro ruolo che potesse orientare negativamente i rapporti fra Andreotti ed il Lima; - la seconda è che, per quanto riguarda il periodo successivo, si può dubitare che il Lima abbia intrattenuto con i nuovi padroni di Cosa Nostra, il boss Salvatore Riina ed i “corleonesi”, gli stessi, intimi e diretti legami che lo univano al Bontate e che, comunque, l’imputato abbia avuto esatta consapevolezza in merito alle, meno strette, relazioni serbate dal predetto con i mafiosi; - la terza e troncante è, infine, che la responsabilità penale dell’imputato, qui oggetto di valutazione, non può che essere personale, cosicché non potrebbe, di per sé, assumere rilievo decisivo il fatto che egli, astenendosi da ogni disponibilità personale nei confronti dei mafiosi, abbia continuato a coltivare il suo legame politico con il Lima. In ordine al punto 2) giova fare cenno al contenuto del lungo e dovizioso capitolo dedicato dalla appellata sentenza ai rapporti fra l’on. Lima ed esponenti mafiosi: agevole è rilevare come alle ricche indicazioni che caratterizzano la vicenda fino alla scomparsa del Bontate, periodo nel quale non difetta affatto una consuetudine personale e diretta del Lima con esponenti mafiosi del massimo livello (ed, in primo luogo, con il Bontate medesimo), facciano da riscontro, in riferimento all’epoca successiva, scarne notazioni, che, in definitiva, si esauriscono nella vicenda dell’avv. Raffaele Bevilacqua, sulla quale si ritornerà più avanti, e nell’illecito concorso con il Siino nelle pratiche spartitorie di alcuni grandi appalti pubblici. In quest’ultima situazione, peraltro, è difficile negare che, in realtà, l’intento del Lima non era tanto quello di agevolare gli interessi mafiosi, ma quello di perseguire il proprio utile che addirittura poteva entrare in conflitto con quello dei mafiosi medesimi (“SIINO A.: In generale mafia-appalti, 30 miliardi. - PM: Di tangenti o di lavori 30 miliardi? - SIINO A.: No, no, 30 miliardi di tangenti, che di lavori! - PRESIDENTE: Cioè dall'86 al 1991? - SIINO A.: Sì. Solo Salamone mi dava 200 milioni al mese. - PM: Senta, e questi 30 miliardi di tangenti, li prendeva tutti Lima, oppure c'era una ripartizione? - SIINO A.: No, no, erano ripartiti. Praticamente Lima a un certo punto si trovò in condizione di nascondere parte di queste cose, perchè naturalmente c'erano i mafiosi che facevano la parte del leone. Praticamente alle volte noi eravamo diventati ... - PM: La percentuale ci dica, la percentuale. - SIINO A.: La percentuale era così divisa: 2% la mafia, 2% al gruppo andreottiano, lo 0,50% era per la commissione provinciale di controllo”). Al riguardo, per inciso, si deve sottolineare come appaia frutto di una forzatura la osservazione dei PM appellanti secondo cui l’imputato sarebbe stato ben consapevole della esistenza dello specifico patto di scambio in materia di appalti tra la sua corrente siciliana e Cosa Nostra, traendo spunto dalla affermazione del Siino circa la raccomandazione dell’imprenditore Catti De Gasperi rivolta (peraltro, infruttuosamente) da un altissimo personaggio al sen. Andreotti e da costui girata al Lima: è evidente che la enorme influenza di quest’ultimo in Sicilia rendeva assolutamente plausibile che il suo capocorrente si rivolgesse a lui per girargli una raccomandazione politica proveniente da un altissimo personaggio e concernente un imprenditore impegnato nel tentativo di acquisire nell’Isola una grossa commessa pubblica, senza che ciò comportasse una precisa cognizione delle malversazioni che, nell’ambito del sistema spartitorio degli appalti, collegavano il Lima al Siino e, tramite costui, ai mafiosi. Giova chiarire che la Corte non intende affatto affermare che il Lima, dopo la scomparsa del Bontate, si sia rigorosamente astenuto da ogni relazione con esponenti mafiosi: tuttavia, si deve ribadire che gli elementi acquisiti non consentono di affermare che gli stretti e diretti rapporti con il Bontate siano proseguiti con i “corleonesi”. In quest’ambito mette conto rilevare come sia significativo che nessun importante collaboratore abbia riferito di diretti contatti fra il Riina ed il Lima (deve, ovviamente, farsi