T003 TASCAM01 N. 46
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Città di Seregno Consiglio Comunale del 21/05/2019 Delibera n. 46 Conferimento cittadinanza onoraria a mons. Silvano Motta PRESIDENTE: Ringrazio il Consiglio e tutti i presenti. Grazie a lei. Allora, procediamo come in accordo dalla conferenza capigruppo, e quindi introduciamo il punto 2.72 “Conferimento cittadinanza onoraria a Monsignor Silvano Motta”. Per la presentazione della delibera, perché di delibera si tratta, invito il signor Sindaco alla parola. Prego. SINDACO ROSSI ALBERTO: Grazie Presidente. Buonasera a tutti voi, e benvenuti qui. Leggerò quello che è, diciamo, il testo delle motivazioni che abbiamo pensato per proporre di insignire la cittadinanza onoraria a Monsignor Silvano Motta. Quando Don Silvano viene nominato prevosto della parrocchia San Giuseppe in Seregno, trova una comunità che vive ancora una situazione di disorientamento. Siamo a ottobre del ’95; meno di tre mesi prima è morto improvvisamente Monsignor Luigi Gandini, che della città è stato prevosto per oltre un trentennio. Al momento della nomina, Don Silvano Motta, originario di Brivio, ha 60 anni. Ha alle proprie spalle un percorso umano e sacerdotale molto ricco e articolato. È entrato in seminario a diciannove anni, che per la sua generazione è una vocazione adulta. Prima ha lavorato come contabile in un negozio. Da sacerdote è stato economo e poi Rettore del seminario di San Pietro Martire in Seveso, quindi Segretario dell’Arcivescovo di Milano, Cardinale Giovanni Colombo. Quindi, per quindici anni, parroco a Valmadrera. Don Silvano Motta è un sacerdote ambrosiano; lo è per formazione e per vocazione. E di questa identità culturale manifesta in maniera inequivocabile due caratteri. Da un lato, la consapevolezza che la comunità locale è parte di una comunità più ampia, la chiesa diocesana, a sua volta parte della chiesa universale; e dall’altra la volontà di valorizzare le radici della comunità locale, la storia e le tradizioni, che rappresentano un punto di riferimento a cui richiamarsi per prendere slancio nei momenti di vigore e per trarre conforto nei momenti più faticosi. A queste due caratteristiche, Don Silvano associa l’indole del curato d’anime. Prega in chiesa, dedica molto tempo al Confessionale. Ha un’attenzione particolare verso gli ammalati. E passando per le famiglie, trovando molte persone anziane, sole, bisognose di assistenza spirituale, la prima idea pastorale: far collaborare le suore per la visita degli ammalati, dando loro il ministero straordinario dell’eucaristia. Così spiega, nel ’95, la prima innovazione introdotta nella parrocchia, poche settimane dopo il suo ingresso ufficiale. Parimenti attento anche a cogliere le istanze di chi versa nel bisogno materiale. “Sarebbe bello se a Seregno fossimo capaci di lasciare un’opera a memoria del Giubileo, come segno che dica la carità dei seregnesi”. È il grande sogno, lanciato in occasione dell’anno santo del 2000. Sogno che si rivelerà troppo grande, ma che forse può considerarsi in qualche misura realizzato con la Mensa del Povero, promossa in collaborazione con la Conferenza di San Vincenzo e inizialmente collocata all’interno della casa prepositurale, per poi essere trasferita nell’ex oratorio femminile di via Lamarmora. Monsignor Motta è persona di indole decisa, diretta. Nel discorso del suo insediamento ufficiale, dice: “Mia premura sarà di conoscere; senza fretta, con la pazienza necessaria per potermi adattare e inserire in un camino già ben avviato in una comunità”. E già in poche settimane però si coglie la volontà di imprimere alla vita della comunità parrocchiale un rinnovato impulso, sempre seguendo i due caratteri fondanti dello spirito del sacerdote ambrosiano: appartenenza alla chiesa diocesana e valorizzazione delle tradizioni locali. Dopo poche settimane di presenza in città, Monsignor Silvano Motta avvia il percorso volto a realizzare un nuovo altare all’interno della Basilica San Giuseppe. L’altare del ‘95 non è più conforme alle disposizioni del Concilio Vaticano II, e recepite dai sinodi diocesani. Occorre una mensa solida e stabile (si celebra ancora, ai tempi, su un tavolo di legno), collocata in una posizione meno defilata rispetto all’assemblea, e con uno spazio che consenta solenni celebrazioni, come si addice a una chiesa che si fregia del titolo di Basilica. Adeguare la Basilica significa sottolineare la volontà di appartenenza della chiesa locale alla chiesa universale. È un passaggio, come rivelerà più tardi Monsignor Bernardo Citterio, già prevosto di Seregno e poi Vescovo ausiliare di Milano, che era già stato pensato oltre dieci anni prima, ma mai attuato. L’intervento raccoglie anche critiche e incomprensioni, ma Monsignor Motta lo persegue con determinazione, e con coraggio sceglie di affidare la realizzazione del nuovo altare a Floriano Bodini, uno dei massimi scultori di arte sacra del ‘900. Rimarrà nella storia della nostra Basilica, e nella storia dell’arte del nostro secolo. “Seregno merita tale scelta, e sono certo che i semplici e i colti potranno apprezzare questo passo che si è compiuto”, dirà ad opera ormai conclusa. Parallelamente all’altare, Monsignor Motta si cura della traslazione delle spoglie mortali del suo predecessore dal cimitero, dove erano state provvisoriamente tumulate, alla Basilica, sotto il cui pavimento oggi riposa Monsignor Luigi Gandini. Costante è stato il riferimento deferente verso i precedenti prevosti. A Monsignor Ratti intitolerà il centro pastorale di via Cavour, mentre ringrazierà pubblicamente il suo successore, Monsignor Bruno Molinari, per la dedica di un’aula interna alla Basilica a Monsignor Bernardo Citterio. Soprattutto nei primi anni del suo apostolato, Monsignor Motta apre diversi cantieri: la ristrutturazione della casa prepositurale, dell’oratorio dei Santi Rocco e Sebastiano, della chiesa di San Salvatore, la realizzazione della quadreria della Basilica San Giuseppe, della tomba per i sacerdoti seregnesi al cimitero, e la messa a norma degli impiantistica dell’oratorio San Rocco sono gli interventi più importanti e onerosi. Tenta anche di rilanciare attività che presentano evidenti segni di affaticamento, su tutti la casa per vacanze a San Fedele D’Intelvi. Fino a quando è possibile, Monsignor Motta conserva gli oratori maschile e femminile distinti e collaboranti. Quando la Congregazione delle Suore Missionarie di Gesù Sacerdote, le suore messicane, chiude la Comunità di via Lamarmora, prova ad affidare gli ambienti alle Figlie di Nostra Signora della Misericordia. L’esperimento dura un solo anno e poi, dopo il congedo di Don Norberto Gamba, che non viene sostituito, la decisione di accorpare gli oratori. Forse, per la parrocchia San Giuseppe, l’accorpamento dei due oratori è il primo segnale forte di una più grave problematica che coinvolge tutta la chiesa diocesana: la drastica riduzione delle vocazioni sacerdotali del precedente ventennio induce una complessiva rivisitazione dei modelli organizzativi. Occorre, per ricondurre alla massima dell’Arcivescovo di Milano, Cardinal Dionigi Tettamanzi, imparare a fare meno, fare meglio, fare insieme; che nella pratica significa riunire più comunità parrocchiali sotto un unico parroco. Siamo nel 2006. Monsignor Silvano Motta ha già varcato la soglia dei settant’anni. La sua formazione e il suo ministero sacerdotale sono incentrati sul ruolo del parroco e della parrocchia. Sente che il cambiamento avanza, e lo accetta con la consueta determinazione. “Nella vita si deve ricominciare sempre: pretendere di cambiare le persone e le cose con un colpo di bacchetta magica è infantile. La realtà è complessa, non si può semplificare. Lo dico per me, che vorrei mantenermi giovane nello spirito accettando con Fede i cambiamenti”. Il cambiamento richiestogli è realizzare una unità pastorale con la parrocchia del Lazzaretto. “Ci è chiesto di mettere in atto una pastorale d’insieme, che sappia valorizzare anche l’identità e la storia con le sue caratteristiche, con le feste, come si sono sviluppate in 40 anni nel rione del Lazzaretto. Lo scopo è quello di sviluppare insieme una modalità più missionaria di presenza oggi nella realtà della città di Seregno”. Non è un obiettivo semplice, perché comporta un complessivo cambiamento culturale in tutti i parrocchiani. Le prevosture di Monsignor Citterio e Monsignor Gandini avevano visto, una dopo l’altra, la nascita delle parrocchie della periferia della città, e dal distacco giuridico si era progressivamente sviluppata in tutte le comunità un’autonoma identità. La pastorale d’insieme determina, di fatto, la necessità di innescare un meccanismo inverso. Sin dal Giubileo del 2000 Monsignor Motta aveva provato a introdurre proposte pastorali di rilievo cittadino, proposte che erano poi passate attraverso le missioni del 2001. L’unità pastorale tra Basilica e Lazzaretto è un passaggio ulteriore decisamente più complesso. Passaggio che poi viene rivisitato in almeno due occasioni, prima con le comunità pastorali di San Luca e Maria Madre della Chiesa, e poi con il compito, guidato dall’attuale prevosto Monsignor Bruno Molinari, alla comunità pastorale Giovanni Paolo II. Sono anni densi, quelli dell’organizzazione delle comunità pastorali, e Monsignor Motta si dedica al progetto con encomiabile dedizione. Il contesto in cui operare non è semplice: la crisi economica si fa sentire, aumentano le famiglie in difficoltà, e in questo senso molte delle attenzioni pastorali sono dedicate al “fondo famiglia e lavoro”, promosso dalla diocesi di Milano. Pure in questo contesto di cambiamento, Monsignor Motta non rinuncia a sognare,