L'evoluzione Della Microcar: Da Semplice Motocicletta Con Il Tetto A
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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica Elaborato del corso “Storia della Meccanica” Prof. Edoardo Rovida L’EVOLUZIONE DELL A MICROCAR: da semplice motociclett a con il tett o a solutric e dei problemi del traffico urbano e dell ’ecologia Autori: Agosti Diego Matr. 725703 Inglardi Stefano Matr. 720639 Vercesi Emanuele Matr. 725690 Anno Accademico 2008 -2009 Indice Introduzione . pag. 1 1945 VOLUGRAFO Bimbo 46 . pag. 5 1947 ALCA Volpe . » 10 1947 MI-VAL Mivalino 175 . » 14 1953 ISO Isetta . » 20 1958 ACMA Vespa 400 . » 30 1968 LAWIL Varzina . » 35 1969 CASALINI Sulky . » 41 Qualche curiosità . pag. 45 Uno sguardo all’Europa . » 50 Microcars: tra passato e futuro . » 54 Car-Sharing: una proposta di mobilità sostenibile . » 69 Bibliografia e siti internet visitati Bibliografia . pag. 73 I Poca ingegneria tanta fantasia Parola d’ordine: semplicità. Per costare poco, pesare poco, consumare poco. I progettisti, spesso provenienti dall’industria aeronautica, possono sbizzarrirsi, eliminando tutto il possibile: ruote, differenziali, ammortizzatori, retromarcia, porte. A volte persino il tetto. La scuola tedesca è la più prolifica per varietà di modelli, l’italiana la più originale mentre l’inglese è la più sconcertante. Le micro vetture esistono da desiderio di automobile. Niente a sempre, dagli albori della che vedere con le moderne city-car, motorizzazione; esemplari unici “seconde macchine” concepite per assemblati da costruttori dilettanti, districarsi nel traffico caotico delle modelli a volte geniali prodotti in città e spesso molto costose. Le piccole serie da modesti artigiani, microvetture hanno avuto ma anche raffinati progetti di sostanzialmente due periodi di forte importanti aziende costrette, nel espansione: negli anni 30, in seguito dopoguerra, a riconvertire la alla Grande Depressione e, produzione per cogliere le soprattutto, nel dopoguerra, quando opportunità offerte dal mercato. costituivano una sorta di “seconda generazione” nello sviluppo della motorizzazione individuale, In passato le microvetture toccando la loro massima popolarità, costituivano spesso l’unica soluzione dopo il 1955, nei Paesi del Nord e per soddisfare a poco prezzo il Centro Europa. Mentre in Italia, e 1 in generale nei paesi con il clima più per aguzzare l’ingegno. Già a partire clemente, la “prima generazione” è dal 1950 infatti, diverse aziende costituita dagli scooter e continua a sviluppano prototipi, acquisiscono prosperare fino alla diffusione su brevetti e licenze e realizzano larga scala delle automobili “vere”, piccole serie di veicoli, che oggi nei Paese freddi la necessità di avere possono destare tenerezza, ma che un abitacolo ben protetto è spesso sono un lavoro di prioritaria fin dall’inizio. compromesso tra genio creativo e Emblematico l’esempio della modestia di mezzi. Germania, la cui produzione di microvetture negli anni 50 si La tecnologia è raramente di tipo articola su una gamma vastissima di automobilistico: più spesso si rifà marche e modelli, forse la più alle soluzioni motociclistiche o completa d’Europa. aeronautiche, oppure è il risultato di un bricolage evoluto e molto creativo. La parola d’ordine, per tutti, è “leggerezza”, poiché i motori, quasi sempre di origine motociclistica con raffreddamento ad aria, hanno cilindrata e potenza assai modeste, perché devono costare poco e consumare pochissimo. Si tratta per lo più di motori tedeschi, in genere monocilindrici a 2 tempi, semplici e leggeri, con cilindrate da 125 a 300 cm 3, ma non mancano raffinati bicilindrici, sempre a due tempi, con cilindrate da 250 fino a oltre 450 cm 3. Alcuni costruttori poi, per Dopo il ’45, delle grandi fabbriche tradizione aziendale (vedi BMW con belliche rimane poco o nulla, ma le l’Isetta), preferiscono fin da subito i menti creative sono in gran parte 4 tempi. sopravvissute e la manodopera non manca. Mancano invece il denaro e La semplicità concettuale e la ricerca le materie prime: un motivo in più della leggerezza impongono la 2 rinuncia a qualsiasi complicazione incastellature ausiliarie, sono un tecnica: gli schemi prescelti sono esempio di razionalità e leggerezza, quindi o “tutto dietro” o “tutto quanto di meglio si può concepire avanti”, con trasmissione tipo negli anni 50. Le sospensioni scooter a catena o ad ingranaggi, e posteriore delle “3 ruote” o delle “4 solo in rari casi si ricorre a corti ruote” a carreggiata molto stretta alberi di rinvio. La soluzione “tutto sono quasi sempre costituite da dietro” è decisamente la più diffusa: mezze balestre longitudinali a viene adottata su tutte le 3 ruote e sbalzo (cantilever) accoppiate, nei sulle 4 ruote con carreggiata casi più evoluti, ad ammortizzatori posteriore molto stretta, che telescopici; mentre sulle “4 ruote” consente di fare a meno del più convenzionali si trovano in differenziale offrendo al tempo genere semiassi oscillanti con molle stesso un comportamento più stabile elicoidali e ammortizzatori in curva. Il “tutto dietro” lo telescopici coassiali. All’anteriore ritroviamo anche su molte “4 ruote” troviamo invece braccetti di concezione più automobilistica, le longitudinali con barre di torsione quali si uniformano così alla oppure quadrilateri articolati con configurazione più diffusa delle molle elicoidali o barre di torsione. utilitarie anni 50. Anche i cambi sono si origine motociclistica: si va dalle soluzioni più semplici che non prevedono la retromarcia a quelle più complesse che fanno ricorso a campi ad innesti elettromagnetici. I telai sono costituiti da tubi d’acciaio, saldati spesso senza neanche essere piegati. Lo schema più in voga prevede un tubo centrale e due trasversali, anche se non mancano esempi di telai a piattaforma: pur ridotti “all’osso”, essi garantiscono quel minimo di stabilità e resistenza necessarie a mezzi con prestazioni e Ma il massimo della creatività viene capacità di carico più elevate. Le espresso nelle carrozzerie. All’inizio sospensioni, montate su piccole si tratta di trovare un’alternativa 3 alla lamiera d’acciaio stampata, che non sarebbe giustificata dai modesti volumi produttivi. Si opta allora per intelaiature in legno, sulle quali vengono fissati pannelli di lamierino, soluzione che fa assomigliare la vettura alla fusoliera di un vecchio aeroplano. Per migliorare l’estetica e ridurre le spaventose vibrazioni di una simile struttura, si pensa allora ad un rivestimento in finta pelle che permette di ottenere forme più arrotondate ed aggraziate. Evidentemente non ci si poneva affatto il problema della resistenza agli urti o anche soltanto alle sollecitazioni durante la guida, eppure vengono costruite e vendute migliaia di vetture realizzate con questa tecnica. Con il passare degli anni la reperibilità di materie prime migliora e si cominciano a realizzare stampi per carrozzerie in alluminio che, al di là di scelte estetiche a volte discutibili, sono leggere e resistenti. Dalla metà degli anni 50 si diffondono infine le carrozzerie in acciaio, autoportanti o saldate su telai a piattaforma, mentre per le piccole serie compaiono le prime carrozzerie in plastica. Ma intento è cominciata l’era delle moderne utilitarie, che costano come le microcar e offrono i vantaggi delle vere automobili. 4 VOLUGRAFO Bimbo 46 - 1945 Sembra uscita dalle giostre, invece è una macchina vera, uno dei tanti tentativi di offrire, nel dopoguerra, quattro ruote al prezzo di due. La “Bimbo” nasce nel 1945 per opera dalle Officine Meccaniche Volugrafo, azienda di Torino specializzata nella produzione di rimorchi, cisterne e pompe per i distributori di carburante. Progettata dall’ingegner Belmondo, la microcar sembrava più una automobilina giocattolo che una vera e propria vettura. E’ infatti difficile definirla automobile: sebbene sia immatricolata come tale, ricorda le vetture delle giostre o le macchine a motore elettrico per i ragazzini. Era molto bassa, di dimensioni estremamente contenute (passo di appena 1,5 m), senza porte (per entrare infatti, si scavalcava la fiancata), con carrozzeria d’alluminio di linea tondeggiante e carenata. Poteva trasportare due sole persone a condizione che fossero di piccola taglia. I due tappi sopra il muso sono per il serbatoio della benzina (dieci litri) e per quello dell'olio (tre litri). La lubrificazione è a carter secco. 5 Il parabrezza è simbolico in quanto adatto appena a riparare il tronco del guidatore ma non la testa, che sporge quasi completamente. Le ruote , di taglia minima , montano pneumatici di misura 3.50x8, ossia quelle utilizzate normalmente per le carriole dei muratori. Il disegno evidenza l’estrema semplicità della “Bimbo” priva di porte, cofani e paraurti come le automobiline delle giostre. Sia i freni che lo sterzo sono comandati da cavi metallici. 6 Il telaio era in tubi d’acciaio con sospensione anteriore ad assale rigido e mezze balestre longitudinali; per quanto riguarda il retrotreno, la sospensione posteriore è a ruote indipendenti. A differenza delle altre micro vetture dell’epoca, che generalmente adottavano un motore bicilindrico a due tempi, la bimbo era spinta da un motore monocilindrico a quattro tempi di 125 cm 3 con valvole in testa, raffreddato ad aria, sistemato dietro, che agiva mediante una catena sulla sola ruota sinistra. Il motore era di origine motociclistica con carter cilindro La strumentazione non si può guastare perché manca del e testa in alluminio. Con una tutto. Il commutatore nero sulla sinistra serve per contatto corsa di 58 mm e un alesaggio di e luci, quello bianco, aggiunto dopo, per le frecce. Il lungo 52 mm, sviluppava una potenza di pedale che sporge dietro la leva del cambio è quello dell'avviamento. 4,5 cavalli a 4500 giri/min. Il rapporto di compressione è di 6:1 e montava una carburatore Weber da 18mm. Il cambio era a tre marce, senza retro, con comando a leva laterale e i pneumatici erano da 3.50x8. Il serbatoio di carburante era capace di 10 litri mentre quello di lubrificante ne conteneva 3. 7 L’omologazione è per due persone, ma come si può notare, bisogna essere snelli per poterci entrare. Da osservare inoltre l’assenza degli specchietti di serie, che possono però essere aggiunti, così come le frecce direzionali.